la Voce del popolo la Voce del popolo palcoscenico FESTIVAL VISTI PERVOI www.edit.hr/lavoce Anno 9 • n. 76 Martedì, 3 settembre 2013 ALLE NOTTI FIUMANE, IL DRAMMA ITALIANO HA PROPOSTO UN VIAGGIO FILOSOFICO NELL’UNIVERSO KAFKIANO ATTRAVERSO ALCUNI DEI PIÙ NOTI TESTI DEL CELEBRE SCRITTORE PRAGHESE. AUTRICE DEL PROGETTO, KARINA HOLLA FIUME BRIONI POLA SANVINCENTI GORIZIA Notti estive fiumane Ulysses Theatre Teatro Popolare Istriano Teatro danza e non verbale Estate nel parco Stasera vado al Castello Sssshhht! Il teatro si muove 2|3 4|5 Lucrezia, un gioiello Dramma Italiano Kafka project Per i mari del palcoscenico 6 7 8 Tre sorelle e un imbranato 2 palcoscenico Martedì, 3 settembre 2013 NOTTI ESTIVE FIUMANE la Voce del popolo di Gianfranco Miksa «LUCREZIA» DA DIVERSI ANNI RIPROPOSTO AL festival UNPICCOLOGIOIELLO DIRECITAZIONE,REGIAEDRAMMATURGIA L a stella della decima edizione delle Notti Estive Fiumane, che è stata accesa in concomitanza con il momento di adesione della Croazia nell’Unione europea, ha lasciato il segno nella vita culturale e artistica di Fiume. Il cartellone del festival appena passato – che si è concentrato prevalentemente nel mese di luglio – si è basato soprattutto su diverse repliche di spettacoli, concerti e performance varie che hanno lasciato il segno nei dieci anni delle Notti. È il caso degli allestimenti tradizionali del Dramma Croato presenti ciclicamente al festival. Tra cui “Baba Jaga ha fatto l’uovo”, “La locandiera”, ma anche il melodramma ambientale dell’Opera, “Cavalleria Rusticana”, nonché “Lucrezia o meglio dire dell’ingordigia”, di cui vogliamo parlarvi. Perché è un piccolo gioiello di recitazione, regia e drammaturgia che merita di essere visto nuovamente ogni volta che viene proposto alla manifestazione delle Notti. La pièce – allestita, nella suggestiva cornice della spiaggia di Villa Olga (Glavanovo) a Pećine – è una dolcissima storia d’amore, molto goldoniana, che si deve al noto poeta e letterato istriano, Daniel Načinović. Scritta per metà in dialetto ciacavo mentre per l’altra metà in dialetto fiumano, è una goduria per occhi e orecchie. “Lukrecija o’bimo rekli Požeruh” ci racconta di due innamorati, Lukrecija e Berto, rispettivamente interpretati da una strepitosa Tanja Smoje e da un bravissimo Damir Orlić. A completare questa grande coppia di attori c’è pure Alen Liverić nei panni del servo Požeruh, il Mangione, un Arlecchino ciacavo che fa da preambolo ed epilogo a quasi ogni scena. I passi migliori sono detti proprio da lui, come quando alla fine della prima scena pronuncia “Ma che giornata! Je sve vedro, a kako da bi mogal neverin...”, e come per magia si alza un vento che fa rabbrividire tutti. Liverić merita una particolare menzione perché ha creato una figura fantastica e divertente, dimostrando grande versatilità. Požeruh, pur avendo una figura da tonto, stupisce il pubblico per il suo sguardo tagliente e luminoso, con il sorriso stampato in bocca di continuo. Oltre al servo Požeruh la scena viene riempita dall’altrettanto bravo Škapin (Dragan Mićanović), una sorta di mendicante tuttofare. Berto, figlio di Antonio (Denis Brižić), commerciante di vino e grappa, è innamorato di Lukrecija, un amore corrisposto, figlia di Trojo (Bosnimir Ličanin), riccone locale. Sia Antonio sia Trojo sono concordi nel fare sposare il figlio e la figlia. Però a mettere i bastoni tra le ruote sarà la mamma di Berto, Tubòlda (Olivera Baljak), moglie di Antonio. Lei, contraria al matrimonio, arriverà addirittura a chiedere una stregoneria alla maga Esmeralda (Dragana Tomšić) per non far sposare i due. Come tutte le commedie di tradizione adriatica (Carlo Goldoni, Marin Držić/ Marino Darsa e altri) anche questa avrà un lieto finale. Il pubblico si trova sulla spiaggia, sui palchi, rivolto verso il mare, dove su un piccolo porticciolo si svolge parte dello spettacolo. La scena come anche il mare è illuminata dall’alto, in più nel mare sono presenti alcuni effetti speciali, opera del tecnico Milan Alavanja, come luci stroboscopiche, bolle e cosi via. Gli attori con i costumi entrano ed escono dal mare, una sorta di catarsi spazio temporale. Il mare, con la sua presenza, l’odore e il fruscio delle onde è uno dei protagonisti dell’opera teatrale. Lo spettacolo inizia con le note dell’opera “La Wally” di Alfredo Catalani. Lukrecija e Berto si trovano sulla scena, e insieme entrano in mare, dove fanno delle piccole coreografie, movimenti che simboleggiano l’amore. Una delle scene migliori è sicuramente quella dove Lukrecija, sotto l’effetto dell’incantesimo e dunque letteralmente impazzita e vogliosa, va con il primo che capita, ossia con il “povero” Škapin. I due fanno l’amore dappertutto, e in una sequenza capita che Škapin nuoti stile libero e delfino – all’asciutto – letteralmente su Lukrecija. Succede pure che l’incantesimo faccia effetto anche su Požeruh, che s’innamora del primo che capita... Di nuovo il povero Škapin. La scena – spettacolare e divertente davvero –, va avanti per diversi minuti, senza cadere di tensione neanche una volta con i tre che si rincorrono per tutta la spiaggia. Artefice di tutto questo è il regista montenegrino Jagoš Marković. “Lukrecija”, dopo l’opera “Carmen” e gli spettacoli “Il gabbiano” e “Filumena Marturano”, è la sua quarta regia nel capoluogo quarnerino. Come nelle sue opere precedenti anche in questo spettacolo l’universo teatrale è un’attenta contaminazione di lingue, con un rapido passaggio dai vari dialetti ciacavi al dialetto fiumano. “Lukrecija” come d’altronde tutti i suoi spettacoli, è caratterizzata da una messa in scena ironica piena di cliché e luoghi comuni della passionalità. L’opera teatrale è accompagnata pure dalla didascalia “Una scherzosa storia di teatro, mare e amore, scritta in dialetto ciacavo-mediterraneo per mano di Daniel Načinović”. Tra l’altro il pezzo è nato come elaborazione di un testo scritto da un anonimo nel 17.esimo secolo. Načinović ha spiegato che era sua intenzione scrivere un’opera teatrale con una profonda coloritura dei dialetti dell’alto Adriatico. “Il testo è frutto di due mesi di lavoro, che ho adattato solo in seguito alla cornice della Spiaggia di Villa Olga (Glavanovo) a Pećine, approfondendo certi dialoghi e monologhi. Gli elementi goldoniani presenti nel testo sono anche un modo per onorare il grande autore veneziano. La commedia oltre a essere fisicamente vicina al mare è profondamente legata all’Adriatico, alle sue genti e alla sua cultura” ha concluso Načinović. Lukrecija è uno spettacolo pieno di provocazione e riflessione ma che al tempo stesso stupisce per la sua dinamicità e fluidità. E che speriamo rimarrà ancora per molto tempo nel cartellone delle Notti. palcoscenico la Voce del popolo Martedì, 3 settembre 2013 3 DRAMMA ITALIANO IL CONFRONTO DELla compagnia CON IL TEATRO FISICO «KAFKAPROJECT»– UNVIAGGIOSENZA SPAZIOETEMPO È stato l’evento centrale delle Notti Estive Fiumane 2013. Un lavoro che si presenta come un viaggio filosofico nell’universo kafkiano attraverso alcuni testi più noti del celebre scrittore praghese. Stiamo parlando di “Kafka Project: Frontiere/Granice/Meje/Grens/ Border”, ultimo lavoro del Dramma Italiano del Teatro Nazionale Croato “Ivan de Zajc” di Fiume. Lo spettacolo, di cui è autrice e regista Karina Holla, una delle più grandi attrici-mimo e registe olandesi, ha debuttato nel mese di luglio alla Cartiera. Alla base si racconta, attraverso le parole del grande scrittore Franz Kafka, come si può declinare in varie forme la parola frontiera. A realizzare l’idea di Karina è il proficuo lavoro interpretativo e fisico con gli otto interpreti dello spettacolo: Rosanna Bubola, Elena Brumini, Miriam Monica, Mirko Soldano, Giuseppe Nicodemo, Ivna Bruk, Tomas Kutinjač e Andrea Tich. Tutti loro si sono dimostrati capaci di declinare al meglio i noti testi accentuando al massimo la propria capacità espressivo-corporea. “Kafka Project” è stato presentato anche al Teatro comunale di Cormons nell’ambito del Mittelfest di Cividale del Friuli – uno dei festival teatrali più importanti della Regione Friuli Venezia Giulia – proprio per raccontare un tema caro a tutte le edizioni che si sono susseguite in questi anni: le frontiere come limite e barriera tra i popoli, tra lingue e culture. Infatti, l’edizione di quest’anno era dedicata alla Croazia e al suo ingresso nella Famiglia europea. La rappresentazione rientrerà anche nella regolare programmazione del Dramma Italiano per la prossima stagione teatrale. La fisicità oltre la parola Ma veniamo alla rappresentazione in cui il movimento scenico è privilegiato rispetto alla parola. Di conseguenza è un progetto insolito, quasi inusuale, per il Dramma Italiano, ma decisamente attraente. Perché l’esordio nell’universo teatrodanza – ma anche in quello del canto – è stato dei più riusciti per la compagnia di prosa in lingua italiana di Fiume. Ma che cosa c’è di tanto particolare in questo lavoro? “Kafka Project” è uno spettacolo teatrale in cui la fisicità e il linguaggio del corpo hanno la meglio sulla parola, messa completamente in secondo piano. L’atmosfera che la regista olandese crea è quella di un sogno in movimento o di un’opera senza canto che propone un’attenta riflessione sul significato di frontiera, di attraversamento di confini reali o immaginari, sul rapporto fra il potere e l’uomo comune”. La questione che viene affrontata è quella del confine tra noi e il mondo là fuori, un confine tra la realtà e il sogno. Al pubblico viene offerto un insieme di frammenti di testi e altre elaborazioni delle opere di Kafka. Sono tutti testi molto cari a Holla, frutto di diversi anni di letture, considerazioni personali e duro lavoro. Nello specifico, si tratta di classici come “La metamorfosi” e “Il processo”, uniti ad alcuni dettagli biografici tratti soprattutto dalle lettere che l’autore scrisse a suo padre. Queste, rielaborate per l’occasione, vengono filtrate dalle suggestioni e dall’intimistico mondo poetico di Holla. Di Kafka, la regista sembra cogliere non tanto l’aspetto grottesco e quello che viene definito il paradosso “kafkiano” (l’assurdità e il surrealismo), quanto invece il lucido e paralizzante desiderio di vivere e amare, l’impossibilità di essere normali e venire accettati dalla società. E par farlo spezza l’azione narrativa in diversi quadri, intercalati a loro volta da coreografie. La prima parte è strettamente legata a Franz Kafka e al suo tempo. Si parte con “La metamorfosi” dove l’Insetto è interpretato da Tomas Kutinjač. La sua performance è una delle più marcate: l’Insetto si muove in uno spazio claustrofobico, rigettato da tutti e cerca un proprio posto nel mondo contemporaneo. Si passa a “Il processo” con Mirko Soldano nei panni dell’impiegato che viene accusato, arrestato e processato per motivi ignoti e misteriosi. Soldano è l’unico che sostiene l’uso della parola più degli altri. Suo è, infatti, il monologo “La legge” che chiude “Il processo”. Omaggio a Pina Bausch La seconda parte, intitolata “La vita moderna”, è invece un attento omaggio alla leggendaria ballerina Pina Bausch e alla sua vita. Ad affiancare Kutinjač e Soldano, in un preciso e minuzioso lavoro di gruppo, sono Rosanna Bubola, Miriam Monica, Ivna Bruk, Elena Brumini, Andrea Tich e Giuseppe Nicodemo. Tutti sostengono ruoli diversi e lo fanno con straordinaria bravura. Entrano ed escono dalle storie e le vivono da molteplici punti di vista. La composizione è un’apoteosi di sensazioni, rimandi, citazioni, slanci, chiusure, vertigini, dissonanze, ferocità, lirismo, poesia. Il tutto affidato al linguaggio corporeo degli attori, chiamati a dialogare, scontrarsi, accompagnarsi, sfuggirsi. Il risultato è un bellissimo e faticoso viaggio senza spazio e tempo, in cui le storie si rimescolano e si rimandano segnali a distanza, in cui le interpretazioni si moltiplicano e soltanto alla fine del percorso si coglie la forza evocativa dell’intera rappresentazione. A trainare il tutto c’è poi una musica di eccentrica bellezza e grande suggestione, che l’autore Stanko Juzbašić ha assecondato con rigore e vibrante essenzialità. Le sue composizioni, assieme ai movimenti scenici, s’impadroniscono della parola, prolungandone l’impatto e suggerendo l’intensità e la tensione delle interpretazioni. Per dare spazio a questa dimensione è stata essenziale la traduzione scenica di Anton T. Plešić che è interamente adattata agli spazi architettonici della Cartiera. In altre parole, viene lasciato lo spazio necessario per dare sfogo alla fisicità e alla movenze degli attori. Manuela Paladin Šabanović ha realizzato i costumi inspirandosi ai modelli di fine Ottocento, epoca dell’infanzia e della gioventù di Kafka. Sono costumi in cui prevalgono colori tenui, il bianco e il nero. Quelli che rappresentano la contemporaneità sono caratterizzati, invece, da tinte forti. Gianfranco Miksa 4 lalaVoce Voce del popolo del popolo Martedì, 3 settembre 2013 ULYSSES THEATRE di Carla Rotta NELLA FORTEZZA DI BRIONI MINORE, TRA REPLICHE E NOVITÀ, LA TREDICESIMA STAGIONE DEL TEATRO DI RADE ŠERBEDŽIJA: DA RE LEAR A SHAKESPEARE AL CREMILINO PASSANDO PER ARTURO UI PERIMARIDEL PALCOSCENICO U n teatro che calamita il pubblico da tredici anni, quello di Brioni Minore, dove si dipanano le stagioni dell’Ulysses Theatre di Rade Šerbedžija. Musica, poesia e teatro-teatro, quest’anno. L’inaugurazione è stata affidata alla Filarmonica zagabrese, con Ricardo Luque e Olvido Ruiz Castellano. Ma è stato anche appuntamento con la voce suadente di Amira Medunjanin, con un bouquet di poesia... Noi ci soffermiamo a leggere il teatro. Immancabile il classico “Re Lear”, ormai trade mark dell’Ulysses, la riproposta del “Defunto” (Branislav Nušić), la novità di “Shakespeare al Cremlino” (Ivo Štivičić), ancora “Odisej” (Goran Stefanovski) e Cabaret Brecht - “La sostenibile ascesa di Arturo Ui”. Tra repliche e novità un teatro da non disertare. Non ci siete stati? Ve lo raccontiamo. Re Lear La stagione teatrale a Brioni Minore è impensabile senza “Re Lear”. Del resto con il tragico Re il teatro Ulysses ha avuto il suo battesimo nel 2001. E come nelle altre edizioni, nemmeno quest’anno è servito metter piede sull’isola perché sia teatro. Il tragitto tra la terraferma e Brioni Minore è stato fatto assieme al duca di Borgogna e al re di Francia. I due vanno da Lear, pronto ad abdicare, per chiedere la mano di Cordelia. E così, di striscio, anche il regno. Lear in effetti lo vorrebbe diviso tra le tre figlie: Cordelia, Gonerilla e Regana. Ma sapete come vanno le questioni di eredità: anche gli eredi fanno quattro conti. A volte si ruffianano anche. Se vale per un pezzo di terra, figuriamoci se non lo si fa per un regno! E tra le tre inizia una guerra senza sconti. Cordelia ne è fuori, perché non sa usare le armi della falsità. Sposerà il redi Francia e lo seguirà. Il regno di Britannia viene tagliato in due, come una mela. Un pezzo a Regana (sposa del Duca di Cornovaglia), un pezzo a Gonerilla (sposa del Duca di Albany). Dalle parti nostre si dice “a regalare in vita si muore in soffitta”. Re Lear si era tenuto il diritto di soggiornare a turno dalle figlie con i suoi cento cavalieri, ma entrambe le porte sembrano essere sprangate. E così Lear finisce nella soffitta di aneddotica memoria. Corre in aiuto Cordelia. Non vissero felici e contenti. Perché, dice Shakespeare, l’esercito francese con il quale Cordelia è giunta a Dover per soccorrere il regale genitore verrà sconfitto e lei impiccata. Lear non resisterà al dolore (plurimo, ci viene da dire: per il tradimento delle figlie “ereditiere” e per la perdita di Cordelia). Poi, la tragedia si fa valanga: Gonerilla avvelenerà Regana per una faccenda di cuore e per avere libero accesso alla soluzione del problema di cuore vorrà avvelenare il marito. Scoperta, si toglierà la vita. Il cast: Rade Šerbedžija (Re Lear), Jure Ivanušić, Marko Juraga, Filip Detelić, Nenad Cvetko, Zoran Gogić, Miodrag Krivokapić, Mladen Vulić, Franjo Mašković, Igor Kovač, Mladen Vasary, Ksenija Marinković, Lucija Šerbedžija, Nina Šerbedžija. Regia Lenka Udovički. Il Defunto Lenka Udovički ha diretto anche “Pokojnik” (Il defunto), di Branislav Nušić. Ad essere precisi, l’ultima opera di Nušić, e forse l’unica per la quale non ha dovuto affrontare interrogatori se non addirittura una spartana cella. Quando l’ha scritta era già famoso, e quindi forse era meglio lasciarlo stare. Eppoi, una volta tanto, questo attento e ironico osservatore della società dell’epoca non aveva tirato per la manica nessuno. Ed allora nessuno si sarebbe potuto arrabbiare al punto da denunciarlo. Specifichiamo che la messinscena ulissiana non è pura trasposizione, ma piuttosto una rilettura. La pièce racconta di un uomo dichiarato erroneamente morto e che anni dopo la scomparsa fa ritorno a casa. Ovviamente tutto è cambiato. A tutti i livelli. Anche familiari e di amicizia. E viene da chiedersi quale sia la tenuta dei principi morali, dei valori, dell’etica. Su questo “prima e dopo”, sulla vacuità dei valori si dipana un gomitolo di ironia, comicità, ma anche amarezza. Ottimo il cast, non c’è che dire. Ma ci preme sottolineare la colossale interpretazione di Zijah Sokolović nei panni di Spasoje Blagojević, parente del defunto. Quello al quale forse più di tutti l’inaspettato ritorno va a genio. Insomma, perché torna questo benedetto uomo se le cose stavano andando talmente bene? Applausi anche per Jelisaveta Seka Sabljić (la zia Agnija), Katarina Bistrović-Darvaš (la vedova, ma non troppo) e per Miodrag Krivokapić, ovvero LUI, Pavle Marić, il defunto. Storia di un ritorno impossibile. Non in senso “fisico”, ma per tutte quelle implicazioni che il fatto comporta. Una storia senza tempo e senza luogo: potrebbe succedere in ogni momento e dappertutto. Pavle Marić torna da un improbabile Aldilà. E scombussola la geometria comoda che la famiglia e gli amici hanno saputo disegnarsi grazie proprio ai suoi soldi. Da qui la loro voglia di dargli ancora una volta l’ultimo saluto. Una lotta impari, al punto che il poveretto per vivere rinuncerà alla propria identità e se ne andrà il più lontano possibile dalle menzogne, dalle falsità e altro. E come sarà poi per “Shakespeare al Cremlino”, nella piacevole notte a teatro, in mezzo al mare, ci è piaciuto ripensare ad un altro scomparso eccellente e alla sua storia, “Il fu Mattia Pascal” di Luigi Pirandello, con l’uomo in fuga dalla vita e dalla famiglia. Sceglie Monte Carlo, per andare alla ricerca di identità, ma soprattutto di vita.. In scena a Brioni Minore ancora Branislav Zeremski, Filip Nola, Maja Posavec, Filip Detelić, Drago Grabnar, Dušan Gojić, Borko Perić, Zoran Pribičević, Josip Milanović, Borko Perić e Josip Milanović. La scenografia è di Deni Šesnić, Bjanka Adžić Ursulov firma i costumi, mentre le musiche sono di Nigel Osborne Shakespeare (e i suoi) al Cremlino Nella fortezza di Brioni Minore anche “Shakespeare al Cremlino”, di Ivo Štivičić, per la regia di Lenka Udovički. La messinscena è coproduzione che ha messo a fianco dell’Ulysses lo Srpsko narodno pozorište di Novi Sad. Siamo al Cremlino, dunque, e le sorti sono rette dal Grande Capo e dai suoi accoliti. Ma il Capo (Josif Visarionovič Stalin? Del quale peraltro mai si fa il nome, e impersonato da Boris Isaković) vuole ritirarsi. Le mura possenti del Cremlino vengono scosse dal panico. Chi succederà al Capo? E, dettaglio di vitale importanza, a chi bisogna inchinarsi fin da ora, lisciando lisciando per mantenere posizione e trattamento? E un ulteriore dettaglio, anche questo di vitale importanza, forse ancora più del primo: chi finirà in disgrazia. Perché sapete come vanno le cose, no? In questo benedetto mondo a scale, quando rotola il capofila, rotolargli dietro è un niente. O venir spinti giù dalla scale, che poi si risolve con lo stesso doloroso capitombolo. Il Capo sente che il suo tempo sta finendo e vuole un dialogo, a cuore aperto con Timofeo (Dragan Mićanović), un attore che il Politbureau, per mano del suo numero 1 Lavrentije (Ozren Grabarić), tre anni prima aveva mandato al confino. E dove se non in Siberia? E così, pennellata dopo pennellata, prende forma e colore (piuttosto noire, ma con striature di comicità) dell’epoca stalinista. Soprattutto nella lettura di Lavrentije, più importante ancora del Gran Capo. Perché anche i capi, grandi o piccoli, hanno una loro durata. Come il latte, per dire. Quello con la data di scadenza marchiata sul tetrapack. Lavrentije è un ruffiano, una iena a cinque stelle, pericoloso, subdolo, vigliacco, conscio la Voce palcoscenico del popolo del proprio potere e della paura che riesce a mettere nelle ossa. Infatti, anche chi gli sta accanto lisciandolo racimolando briciole di minimi privilegi, ne ha una sacrosanta paura. Basta una sua parola, un suo cenno, un’alzata di sopracciglio e si diventa così, in un amen, “nemico del popolo”. Basta ed avanza per prendere la strada della sconfinata, lontana e fredda Siberia o per finire davanti al plotone di esecuzione. E Shakespeare? Come è finito da Oltre Manica al Cremlino? Ecco, ci sono momenti nei quali i personaggi e la trama del grande dramma che si dipana ad Est si legano indissolubilmente a personaggi e drammi/ tragedie di shakespeariana memoria. Forse il gran maestro dell’intrigo è Iago, ma Lavrentije è assolutamente in grado di dirgli seri punti. Se respira un pizzico di Riccardo III (anche se il Gran Capo non è nelle condizioni di cambiare un cavallo per il suo regno), o di Amleto E il flash si accende quando Timofeo offre al Capo uno spettacolo che senza possibilità di fraintendimenti rimanda alle decisioni sue e dei suoi accoliti: decisioni sempre crudeli, peraltro. Sarà un attore, una persona che vive di infingimenti, di vite altrui, a dire la verità, laddove altri si vendono al costo di merce scadente. O ancora qualcosa rimanda a Macbeth (quando ad esempio durante una delle tante riunioni del Gran Capo & affini arriva in scena il Giudice, che denuncia i suoi aguzzini. Come Banco, no? Da Shakespeare, dal Cremlino di staliniana memoria all’oggi, passando per la caduta del muro di Berlino per arrivare a Julian Assange e Edward Snowden. Un modo per dire che, a di riffe o di raffe, anche i muri più resistenti vengono giù e ogni catena del potere ha un anello che la spezzerà. In scena, accanto ai nomi già citati, Jasna Đuričić, Bojan Dimitrijević, Filip Đurić, Jadranka Đokić, Katarina Bistrović Darvaš, Nenad Pećinar, Filip Nola, Miroslav Fabri, Marko Marković, Igor Pavlović, Stefan Martedì, 3 settembre 2013 Trifunović, Milan Kovačević, Draginja Voganjac, Mladen Vasary, Radoje Čupić e Jovan Živanović. Le musiche, belle, sono di Nigel Osbourne e Davor Rocco, e siispirano ad Alexandera Mosolov, Arsenyj Avraamov e alla musica etnica dell’ex Unione Sovietica. Senza appunti di alcun genere? Forse no, e un po’ ci secca dirlo. In effetti, alla risposta “ma che genere teatrale è”, non è facile trovare risposta immediata. Si potrebbe dire dramma, come si potrebbe dire tragedia, o commedia o farsa. Ma è solo un dettaglio. A conti fatti, ognuno la vive come meglio crede o secondo l’ispirazione del momento. Odisseo Storia di vagabondaggi e di ricerca, di sé, del proprio essere, dei propri ambiti anche in “Odisej” (Odisseo/Ulisse) di Goran Stefanovski, per la regia di Aleksandar Popovski. Il fascino di Ulisse, del suo lungo e sofferto viaggio verso casa, ma non solo in termini di tetto, il suo voler andar oltre le cose... non risente del tempo. Brilla con uguale intensità da sempre. E da sempre ha trovato spazio nella letteratura, a teatro, nella pittura: la resistenza a partire alla guerra, l’assedio a Troia, la vittoria, l’infinito viaggio verso casa, la sanguinosa giustizia a Palazzo, l’attesa di Penelope... Non ha resistito all’eroe omerico nemmeno Goran Stefanovski. “Capisco Ulisse” – aveva avuto modo di dire, raccontando poi di sé, macedone sposato ad un inglese, vissuto tranquillamente in Macedonia finché un giorno tutto è cambiato e si è ritrovato come Ulisse alla ricerca di tutto. La moglie è tornata a Londra, così lui si è trovato a navigare tra l’Europa meridionale e l’Oltre Manica. Dove è Itaca? Per la messinscena Itaca è Brioni Minore. Giusto. Un’isola. Circondata dal mare che è elemento che all’occorrenza divide, all’occorrenza unisce. Sa essere impedimento al ritorno, ma sa anche agevolarlo. La storia è quella che ben sappiamo, presentata in chiave un po’ diversa, con abbondante uso di coreografie, canti, qualche (più di qualche, ad essere fiscali) parolaccia (senza la quale sembra difficile vivere in queste geografie), allusioni, giochi di parole... Omero riletto e adattato all’oggi, anche se i costumi sono... lontani. Ad occhi chiusi, potrebbe essere la storia di ognuno di noi. Perché ognuno di noi ha bisogno di un punto fermo, di un indirizzo al quale mandare i ricordi, al quale andare a prendere sicurezza e tranquillità. La casa è dove è il cuore. Ed è lì che si bussa con la certezza che ci sarà aperto. Ripensiamo, in questo gioco di paralleli(smi) ad un’altra storia di ricerca e di ritorno. “Il Mago di Oz” e la voglia di casa di Dorothy. Non tanto di affetti, proprio di casa. Perché gli affetti li ha saputi creare, dare e avere anche a Oz. “Ora sono sicuro di avere un cuore perché mi si sta spezzando”, dirà l’Uomo di Latta. Ma per Dorothy “There is no place like home”. (Nessun posto è come a casa). Nemmeno per Odisseo/Ulisse. E per noi? Il fatto di averlo visto già la scorsa stagione, non ci ha fatto rinunciare all’incontro con Odisseo/Ulisse. Per la storia in sé, per la suggestiva scenografia (un’isola-scultura opera di Miljenko e Ana Sekulić, per il cast (Ozren Grabarić, Anita Manlić, Branko Jordan, Nataša Matijašec Rašker, Svetozar Cvetković, Boris Isaković, Jasna Đuričić, Dijana Vidušin, Franjo Dijak e Nikola Ristovski La resistibile ascesa di Arturo Ui La resistibile ascesa di Arturo Ui. L’opera di Brecht, scritta di getto nel 1941 quando l’autore era ormai in fuga, dice di un immaginario gangster della Chicago degli Anni Trenta impegnato a costruirsi un impero attraverso il controllo del racket dei cavolfiori. Ma sotto sotto dice del dittatore impegnato, dopo aver preso il potere in Germania, a costruirsi un impero suo. Arturo Ui diventa Hitler, l’America è la Germania, Chicago Berlino e via discorrendo. Sulla 5 duplice sfumatura anche l’impianto teatrale in sé, un connubio musical-teatrale: la band, insomma è anche banda. Vediamo quindi le deprecabili gesta di Arturo e la crudeltà spartita a piene mani per mettersi in tasca il controllo dei cavolfiori in qual di Chicago, e parallelamente l’ascesa di Hitler e del nazismo in Germania. Anzi, la storia è quella dell’ascesa di A.H. Rappresentata attraverso le vicende di volgari volgarissimi malavitosi. Capo cosca è Arturo Ui, il dittatore del gruppo. La scena forse più esplicativa è ambientata nel “trust dei cavolfiori” (che giù come merce...), dove Ui tiene un comizio nel corso del quale punta sulle paure dei negozianti, paure provocate peraltro dai suoi stessi scagnozzi: offre ai poveri diavoli la protezione della sua stessa banda, adottando misure e modalità della malavita organizzata. Causa ed effetto. Per aiutare i negozianti a prendere la giusta decisione, alcuni uomini di Ui incendiano un magazzino, dopo averlo innaffiato di benzina. Non c’è dubbio: la protezione serve proprio. Ma che cosa lega la vicenda alla Germania? Una data e un fatto: febbraio 1933; il palazzo del Reichstag sparisce tra le fiamme. Hitler puntò il dito contro i suoi nemici, i comunisti, quando in effetti i fiammiferi (accesi) in mano li avevano i suoi. Finì con una lunga litania di arresti, la messa al bando del Partito Comunista. Poi, nella notte dei lunghi coltelli Hitler rincarò la dose. Sappiamo come andò a finire. Nel cast Mislav Čavajda, Ozren Grabarić, Goran Bogdan, Filip Detelić, Damir Poljičak, Damir Šaban, Jerko Marčić, Zoran Pribičević, Maja Posavec, Mladen Vasary, Jure Ivanušić e Dado Ćosić. Arrivederci all’anno prossimo. Sempre a Brioni Minore. Anticipazioni? Beh, forse è un po’ presto, anche se si sta pensando di mettere al centro della Stagione 2014 il centenario dallo scoppio della Prima grande guerra. 6 palcoscenico Martedì, 3 settembre 2013 TEATRO POPOLARE ISTRIANO STASERAVADO ALCASTELLO PALCOSCENICO ALL’APERTO CON QUATTRO TITOLI CLASSICI IN RILETTURA E TRASPOSIZIONE CIAKAVA. E UN’OPERA ROSSINIANA PER DARE IL NECESSARIO «LA» I l Teatro Popolare Istriano ha optato per un palco all’aperto, portando al Castello quattro titoli di divertimento e fantasia. Adatti alle vacanze, insomma, e alla voglia di tener lontano i pensieri. Il cartellone: “Lindarski kaban” (Il tabarro di Lindaro), “Oštarica Mirandolina” (La locandiera), “Mistero buffo”, “Furbaćona” (La moscheta). “Lindarski kaban” porta la firma di Dragutin Lucić Luce e si avvale della regia di Jasminko Balenović. È titolo già collaudato che ha portato in scena Helena Minić, Rade Radolović e Teodor Tiani. La musica è di Livio Morosin e Tomislav Šestan, i costumi di Katarina Radošević Galić. Il testo è liberamente ispirato a Hans Christian Andersen e “I vestiti nuovi dell’imperatore”. Solo che tutto succede a Lindaro, e tutto viene raccontato nell’antica parlata locale, ormai in disuso e usata da poco più di una decina di persone. Nel luogo e in un tempo lontano, quindi, succede grossomodo (almeno nell’algoritmo dell’imbroglio che si dipana durante tutto lo spettacolo) quanto è stato nel titolo di H. Ch. Andersen, un calice di verità e finzione, bugie e verità. Un gruppo di imbroglioni si spaccia per esperti tessili che più qualificati non si può, e si fa beffe delle autorità locali. Una fiaba per adulti e non. Ognuno ride al livello che crede e che gli compete. Liberamente ispirato alla goldoniana “Locandiera” la messinscena di “Oštarica Mirandolina”, su testo di Danijel Načinović. La locanda non si affaccia sull’Arno bensì guarda all’Adriatico dall’ombra dell’Arena. Nella rivisitazione ciakava, Mirandolina parla ovviamente ciakavo, con abbondante uso di espressioni italiane dialettali. La regia è ancora una volta di Jasminko Balenović. Siamo a Pola nell’anno che precede quello della I Guerra mondiale, un 1913 che lascia ancora sognare e fare progetti. Nella locanda “3 soldata”, gestita da Mirandolina, Bartolo conte Škampavija (uomo d’affari) e Albino Ladrunkovitsch (dipendente delle Ferrovie) fanno la corte alla “padrona”, mentre Felix Srećko Kosovits, capitano di fregata e ufficiale dei servizi segreti dell’imperial e regia marina, da misantropo qual è, la evita al massimo. Salvo poi cadere nella sua rete. E in quella stessa rete finirà Mirandolina, che capirà che l’amore è amore e correrò nella braccia del cameriere Mikula, al quale il padre l’aveva promessa. Come per “Il tabarro di Lindaro”, anche qui c’è posto per ieri e oggi. L’oggi si potrebbe leggere nei nomi di Škampavija e Ladrunkovitsch, e metterli nel contesto delle vicissitudini economiche che ci sono successe. Kosovits potrebbe rispolverare eventuali memorie dei servizi segreti. Per il resto si fanno piani alla grande: da una sorta di Prater in Bosco Siana, al ponte sullo stretto di Fasana per collegare la località alle Brioni, metterci sopra una bella statua del granitico ammiraglio Tegethoff e farci arrivare anche il treno da Dignano. In scena Lana Gojak, Robert Ugrina, Teo Tiani, Denis Brižić, Luka Juričić, Romina Vitasović ed Elena Orlić. Musiche di Livio Morosin. Home made anche “Furbaćona”, ovvero “La moscheta” (Ruzante) nella traduzione ciakava. Scritta e adattata da Branko Lučić, la pièce è diretta da Jasminko Balenović, e interpretata da Denis Božić, Romina Vitasović, Rade Radolović, Teo Tiani e Alfredo Kocijančić. Una storia tutta da ridere incentrata sul rapporto uomo-donna, equivoci, calcoli, imbrogli. Una storia, insomma, che da quando è stata scritta, resta attuale. All’occorrenza potrebbe cambiare il vestiario, unica prova che il tempo è trascorso. Al Castello ancora “Mistero Buffo”, capolavoro del teatro popolare di Dario Fo, sostenuto in scena da Valter Roša (che ha avuto per questo lavoro anche vasti riconoscimenti su scala nazionale), assolutamente a suo agio nel gestire le varie giullarate. Ed ancora una volta si è trattato di offrire una trasposizione linguistica di non facile elaborazione. Perché già Fo si era inventato il “gramelot”, quella strana lingua nata da un mix di lingue e suoni. Al Castello il gramelot è stato principalmente ciakavo, ma le storie, le giullarate, le dissacranti letture di momenti biblici sono state proprio “quelle”. Cartellone ciakavo, quindi, quello della stagione fuori stagione del Teatro Popolare Istriano, già da tempo impegnato anche nelle stagioni, diciamo, regolari, nella produzione di un filone prettamente di casa, riconoscibile essenzialmente nella parlata. Ed è un’aggiunta indovinata, che anche nella calde serate estive ha avuto la sua conferma. Per la cronaca, l’estate al Castello è stata inaugurata con “La cambiale di matrimonio”, di Gioacchino Rossini, che il Teatro polese ha portato in scena in collaborazione con l’Opera b.b. di Zagabria. Il ruolo principale è stato sostenuto da Ronald Braus, affiancato da Lidija Horvat-Dunjko, Dalibor Hanzalek, Blanka Tkalčić, Božidar Peričić, Goran Grčić e Leon Košavić. “La cambiale di matrimonio“ è principalmente farsa, ambientata della Londra del XVIII secolo. Norton e Clarina aprono e leggono una lettera indirizzata al loro padrone, Tobias Mill. La lettera è contratto di matrimonio inviato dal ricco Slook, in viaggio dal Canada in Europa. Mill ha già deciso di dargli in moglie la figlia Fanny, contro un bel versamento, naturalmente. Non fosse che Fanny è già innamorata di Eduard Milfort. Segni particolari: povero. Andrà bene, non preoccupatevi. (car) la Voce del popolo palcoscenico la Voce del popolo FESTIVAL DI SANVINCENTI Quattro stage per comunicare attraverso la danza e il movimento. nella piccola localitÀ dell’istria danzatori, coreografi e mimi di 9 paesi SSSSHHHT! ILTEATROSIMUOVE L e stagioni del Festival del teatro danza e non verbale di Sanvincenti si rincorrono. Quest’anno, all’ombra del castello Morosini Grimani si è spesa la quattordicesima edizione. Diciamo ombra tanto per dire: in effetti gli appuntamenti si sono svolti sotto i riflettori, quindi, ci sia concessa la licenza. Danzatori, coreografi, mimi ed artisti vari provenienti da Spagna, Danimarca, Slovacchia, Francia, Norvegia, Belgio, Cipro, Serbia e Croazia hanno occupato quattro palcoscenici situati in piazza, nel cortile del castello, nella loggia e al Centro mediterraneo di danza. Bo Madvig e nove danzatori hanno inaugurato la manifestazione (sul palcoscenico in piazza) con “Work in progress”. A seguire un omaggio al tennis tavolo con “A dance tribute to ping pong”, spettacolo interessante e stuzzicante attraverso il quale a norvegese Jo Stromgren Kompani ha letto il gioco del ping pong quale filosofia di vita. Per chiudere la prima serata si è andati alla “Memoria dell’acqua” (The memory of water”): Maša Kolar, Ksenija Kurtova e Ana Rocha Nene hanno affascinato il pubblico del Centro mediterraneo di danza. Ha riferimenti politici “Divna, divna katastrofa” (Una catastrofe meravigliosa): otto ballerine hanno interpretato il lavoro a più mani di Selma Banich, Deana Gobac, Nataša Govedić, Roberta Milevoj, Iva Nerina Sibila, per chiedere quale sia la storia di ciascuno di noi, quanto dipenda dal contesto e quanta libertà ci appartiene. Le Slovaks (Slovacchia – Belgio) hanno proposto “Fragments”, grazie all’energica interpretazione di cinque energici danzatori slovacchi con residenza belga. La Fabien Prioville Dance Company (Francia – Germania) è stata impegnata con “Experiment on chatting bodies”, esperimento sull’influenza delle nuove tecnologie sulla comunicazione. Progetto vasto e... densamente popolato. Prioville, infatti, attraverso Facebook ha invitato gli interessati a danzare con lui e Pascal Merighi via Skype. Piena condivisione, dunque, di musica e movimento su vasta scala. Gli Šikuti Machine (Andi Bančić, Elvis Lenić e Darko Pekica), forze di casa, hanno proposto “Partida”, con sottofondo musicale tradizionale (pive) offerto da Noel Šuran. “PROmjene”, omnibus di danza di tre coreografi (Aleksandra Mišić, Martina Nevistić e Ognjen Vučinić) e dello Zagrebački plesni ansambl, ha sezionato la società odierna a partire dai cambiamenti degli Anni Sessanta. Ha scavato dento anche Bruno Isaković (diplomato all’ Amsterdam School of the Arts), con “Zaziv”: un viaggio nel labirinto umano. Enter Achilles, di Lloyd Newson loyd Newson, Clara Van Gool, DV8 (Gran Bretagna -Olanda – Australia), ha impegnato otto ballerini per la lettura della psicologia maschile in un tipico pub inglese. L’ultima serata del Festival ha visto presentarsi Natalija Manojlović, con “Đubrad Prokleta!”: sei ballerini hanno interpretato il nostro oggi, i nostri rapporti e questa società che non concede possibilità di errori, non lascia il tempo per le emozioni, la nostalgia o altro Milena Ugren Koulas (Cipro) ha portato all’attenzione del pubblico “She Who Stays”, ed infine “House Of Heaven III”. “ A Place To Bury Strangers, del coreografo spagnolo Robert Olivan, ha portato il pubblico in un viaggio nelle paure, nell’ansia, nei timori che sono propri del vivere odierno, offrendo però la speranza di un ritrovarsi. (cierre) Martedì, 3 settembre 2013 7 8 Martedì, 3 settembre 2013 ESTATE NEL PARCO palcoscenico la Voce del popolo Di Emanuela Masseria una messinscena che Tra ironia e paradosso vorrebbe ripercorrere alcuni sentieri battuti da un grande come pirandello. Ma permane qualche dubbio TRESORELLEE UNIMBRANATO F orse ci sono serate da prendere così come vengono, complici il caldo, i difetti strutturali della messa in scena di uno spettacolo, la folla per accaparrarsi un posto e l’audio non ottimale di un palco all’aperto. Detto questo, si può iniziare una schietta recensione per la commedia “Tre sorelle e un imbranato”, presentata a Gorizia nel suggestivo giardino della sede municipale per la rassegna Estate nel parco. Ci si muoverà nel solco del dubbio, secondo il modesto parere di chi scrive, visto che l’insieme è apparso un po’ incerto. Partiamo dal testo firmato da Aldo Lo Castro, il quale, sempre a vederlo soggettivamente, stenta a decollare per più di qualche motivo. Non si capisce infatti se l’intento sia di dipingere una sorta di soap opera, o regalare attimi spensierati, o far sorridere con battute più o meno poco convincenti. Senza troppo senso nemmeno una serie di parolacce, che al limite possono condire il tutto, ma dovrebbero comunque essere inserite qui e là con più gusto o senso della misura. A leggere le informazioni che circolavano prima della serata in questione, si apprendeva poi che “la trama ripercorre, attraverso l’ironia e il paradosso, alcuni sentieri battuti da un grande autore come Pirandello”. L’obiettivo insomma era di volare alto. Rose rosse per te Veniamo ai dettagli della storia qui elaborata dalla regia e dalla scenografia di Salvatore Zona, direttore artistico del Teatro degli specchi di Catania (luci e suoni di Daniele Spolverini e Fabio Miotti; assistenti di scena Francesco Piscopo e Rosalia Pasquali). La rappresentazione, proposta dall’associazione culturale “Gradisca...il teatro” narra la vicenda di tre sorelle gettate nello scompiglio dall’arrivo di un misterioso mazzo di rose corredato da un bigliettino anonimo e da una telefonata dai contenuti poco chiari. Le sorelle, si scopre poco prima, si trovano a convivere forzatamente nella stessa casa: sono Bianca (Rita De Colle), la maggiore, costretta a rimanere zitella e a prendersi cura delle due sorelle ingrate, pur coltivando ancora sogni d’amore appassionato; Angela (Francesca Sodano), una ragazza dolce e remissiva che vive in un mondo di fantasia, sognando l’amore perfetto, e Roberta (Raffaella Munari), donna dalla forte personalità, ma priva di talento, che tenta di sfondare nel mondo del teatro. Le tre protagoniste si attaccano tra loro in maniera isterica, in particolare dando addosso alla più piccola che viene sempre definita e trattata come un’idiota, con epiteti tra i più vari. Unica parentesi al la Voce del popolo Anno 9 /n. 76 / Martedì, 3 settembre 2013 IN PIÙ Supplementi è a cura di Errol Superina [email protected] Edizione Progetto editoriale Caporedattore responsabile Errol Superina PALCOSCENICO Silvio Forza Redattore esecutivo Carla Rotta Impaginazione Željka Kovačić Collaboratori Emanuela Masseria, Gianfranco Miksa; Foto: siti teatro loro acido zitellaggio ormai consolidato è l’arrivo appunto di questa telefonata in cui un uomo si spertica in facili complimenti, preceduto da un mazzo di rose anonimo in cui dichiara il suo amore, ma senza specificare verso chi. Ciò basterà a tirar fuori il peggio, fin da subito, delle tre arpie, che a lungo si interrogheranno sull’identità del possibile ammiratore. A chi saranno destinate cotante attenzioni? Ovviamente ognuna delle tre ha in serbo nel cassetto un possibile candidato, oltre a parecchia arroganza. “Nulla di complicato - scrive una nota dello spettacolo - se non l’eterno dissidio tra essere, realtà e illusione”. In effetti la trama è abbastanza lineare. I dubbi iniziali verranno abbattuti dall’arrivo dell’Imbranato Matteo (Alessio Bergamasco), che è proprio tale anche perché calca con estrema pedanteria il suo ruolo. Sulle prime Matteo dichiara di nutrire dei sentimenti per Roberta, che lo rifiuta subito. Quel che è certo è che la sua interpretazione salva la platea con un determinante rinforzo vocale alle altre attrici. Le tre protagoniste infatti, ad eccezione forse di Bianca, si sentono con difficoltà, complice lo spazio aperto e qualche rumore di fondo. A compendio, anche la presenza di un palco rasoterra che ovviamente ha reso interamente visibile lo spettacolo solo dalle prime file. Tuttavia, forse entro il primo tempo si riusciva a trovare qualcosa di godibile tra il riso, il sorriso e qualche amara considerazione. Quest’ultima non era di certo per il prezzo, visto che la rappresentazione era gratuita come tutta la rassegna che si concluderà l’8 settembre, allo scopo di distrarre chi resta in città nelle torride giornate estive. Non ci si può certo lamentare troppo, alla fine. Ma dal secondo tempo il clima si fa un filo più pesante per spettatori e protagonisti. Intanto è chiaro che l’imbranato, una volta scartato da Roberta, può ripiegare tranquillamente sulla più piccola, Angela, ben felice di figurare sul podio di un qualunque uomo che soddisfi il suo bisogno spasmodico di Principe azzurro. Certo, Matteo è messo male. Occhialoni enormi, ingessato neanche fosse in bilico su un parapetto, noioso nel dire di essere sono “Matteo d’Agostino, figlio dei D’Agostino, quelli delle pelletterie”, incapace alla base di distinguere una sorella dalle altre. In realtà, a parte Roberta che vorrebbe distruggerlo per il suo “trasformismo”, lo sfigatissimo ragazzo in realtà alla lunga conquista tutte, e con il minimo sforzo. Per prima appunto Angela, che lo convince nel frattempo a cambiare abiti e personalità. Per aiutarlo nel processo di metamorfosi si presenta con giubbotto di pelle, gonna corta nera, pettinatura fluente. Lui si adorna di camicione casual, aria svagata, occhiali da sole e pirandellianimamente si rivela come un altro: sicuro di sé, abile, fiero. E fa strike, visto che poi Bianca si dà una svecchiata e chiede pareri su quel che resta della sua avvenenza, mentre Roberta, l’attrice, torna sui suoi passi e si ricorda della voce tanto seducente, almeno al telefono, che sulle prime l’aveva fatta innamorare (per poi deluderla enormemente: ma c’è qualcosa di più romantico di un amore andato a male?- Ndr). In ogni caso, ripensamenti delle altre o meno, è troppo tardi, visto che qui è l’uomo che fa la sua scelta e si consacra alla giovane idiota, che poi non ha mai dimostrato di essere veramente tale. E vissero felici e contenti? Forse, ma in realtà il problema è più complesso. Matteo ad un certo punto ritorna in scena indossando lo stesso abito scuro di prima e gli stessi occhiali. È palesemente a disagio, ma il suo atteggiamento non è più impacciato come “prima”. Non è una buffonata. O meglio, “non è più” una buffonata. “Fine della recita, cara Roberta. Non è roba per me. Evidentemente non ho la stoffa del grand’uomo che sprizza sicurezza e simpatia da tutti i pori. Non ho la tempra né i requisiti di colui che riesce a conquistare le donne con uno schiocco di dita. No, Roberta, non sono io la persona che tu immagini”afferma Matteo, che ammette di essere un poveraccio qualunque, con un sacco di difetti, di fobie. Roberta lo insulta e Matteo afferma di non avere autostima, ma anche di aver capito molte cose. “Ci ho messo un po’ di tempo ma, alla fine, ho scoperto di non essere affatto inferiore a nessuno. E ho scoperto d’averla, la mia bella personalità. Una personalità diversa da quella degli altri, certo. Ma è fatale che sia diversa”. Il male, invece, è stato nel volerne simulare un’altra, nel voler cambiare ad ogni costo. Matteo quindi chiede perdono ad Angela per averla delusa. “Gli alieni comunicano perfettamente tra di loro”, osserva a margine la sempre caustica Roberta. Ma l’uomo ormai chiede ad Angela:– “Vuoi sposarmi? Te la senti di sposare uno come me?”. “Sì! Sì! Sì! - risponde lei, paralizzata dall’emozione -. Vieni qui e abbracciami, stupido!” - risponde, mentre Matteo, disorientato, finisce per abbracciare Bianca. “Angela, amore mio, se sei d’accordo... io avrei un’idea: vieni tu ad abbracciarmi: è meglio e facciamo prima!”. Applausi e qui sì, dai, sono carini. Angela ride e corre ad abbracciarlo. Con un po’ di sé Tutto sommato, a parte le impressioni dirette, potrebbe essere, da quel che si legge in giro di questo testo, che la trama sia un po’ autobiografica, il che potrebbe rendere tutto più sapido. Lo Castro, nella sua lunga carriera, ha tuttavia cambiato più volte registro. Negli anni ’80 pur non abbandonando le tematiche avanguardistiche su cui lavorò agli esordi, concentra la sua attenzione verso storie quotidiane attingendo sovente dalla tradizione e dalla cultura popolare. Da spunti autobiografici e dalla sua indole descritta come quella di un “acuto osservatore di contraddizioni e ipocrisie della realtà provinciale”, trova poi ispirazione per scrivere diverse opere, fra cui “Ius primae noctis”, “Tango Monsieur?” (premio UNITER in Romania), “Occhio non vede… ” e quindi “Tre sorelle e un imbranato.”. “Il Principe Dracula” rappresenta invece una delle sue più recenti fatiche. Con il supporto delle documentazioni storiche l’opera ripercorre la vita di Vlad Tepes Dracula, eroe romeno forte e carismatico, a lungo dimenticato dalle pagine della storia. Aldo Lo Castro recentemente ha dedicato un’altra opera a Vlad Tepes, dal titolo “Dracula, una storia, un mito”. La pìece ha partecipato al Festival Internazionale di Sibiu (Romania). Il fiore all’occhiello di Lo Castro è comunque il Laboratorio di avviamento al teatro del Teatro degli Specchi, che dirige fin dal 1990 (insegnandovi recitazione ed espressione corporea) e che oggi rappresenta in Sicilia una realtà ormai consolidata. Quindi, in definitiva, forse i gusti talvolta rimangono tali e potrebbe essere che il testo sia stato scalfito dalla recitazione talvolta incerta dei protagonisti e dalle problematiche condizioni del palco.