la Voce
del popolo
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del popolo
palcoscenico
FESTIVAL
VISTI
PERVOI
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Anno 9 • n. 76
Martedì, 3 settembre 2013
ALLE NOTTI FIUMANE, IL DRAMMA
ITALIANO HA PROPOSTO UN VIAGGIO
FILOSOFICO NELL’UNIVERSO KAFKIANO
ATTRAVERSO ALCUNI DEI PIÙ NOTI
TESTI DEL CELEBRE SCRITTORE
PRAGHESE. AUTRICE DEL PROGETTO,
KARINA HOLLA
FIUME
BRIONI
POLA
SANVINCENTI
GORIZIA
Notti estive fiumane
Ulysses Theatre
Teatro Popolare
Istriano
Teatro danza
e non verbale
Estate nel parco
Stasera vado al Castello
Sssshhht! Il teatro si muove
2|3 4|5
Lucrezia, un gioiello
Dramma Italiano Kafka project
Per i mari del palcoscenico
6
7
8
Tre sorelle e un imbranato
2
palcoscenico
Martedì, 3 settembre 2013
NOTTI ESTIVE FIUMANE
la Voce
del popolo
di Gianfranco Miksa
«LUCREZIA»
DA DIVERSI ANNI RIPROPOSTO AL festival
UNPICCOLOGIOIELLO
DIRECITAZIONE,REGIAEDRAMMATURGIA
L
a stella della decima edizione delle
Notti Estive Fiumane, che è stata accesa
in concomitanza con il momento di
adesione della Croazia nell’Unione europea,
ha lasciato il segno nella vita culturale e
artistica di Fiume. Il cartellone del festival
appena passato – che si è concentrato
prevalentemente nel mese di luglio – si è
basato soprattutto su diverse repliche di
spettacoli, concerti e performance varie
che hanno lasciato il segno nei dieci anni
delle Notti. È il caso degli allestimenti
tradizionali del Dramma Croato presenti
ciclicamente al festival. Tra cui “Baba Jaga
ha fatto l’uovo”, “La locandiera”, ma anche
il melodramma ambientale dell’Opera,
“Cavalleria Rusticana”, nonché “Lucrezia o
meglio dire dell’ingordigia”, di cui vogliamo
parlarvi. Perché è un piccolo gioiello di
recitazione, regia e drammaturgia che merita
di essere visto nuovamente ogni volta che
viene proposto alla manifestazione delle
Notti. La pièce – allestita, nella suggestiva
cornice della spiaggia di Villa Olga
(Glavanovo) a Pećine – è una dolcissima
storia d’amore, molto goldoniana, che si
deve al noto poeta e letterato istriano,
Daniel Načinović. Scritta per metà in dialetto
ciacavo mentre per l’altra metà in dialetto
fiumano, è una goduria per occhi e orecchie.
“Lukrecija o’bimo rekli Požeruh” ci racconta
di due innamorati, Lukrecija e Berto,
rispettivamente interpretati da una strepitosa
Tanja Smoje e da un bravissimo Damir Orlić.
A completare questa grande coppia di attori
c’è pure Alen Liverić nei panni del servo
Požeruh, il Mangione, un Arlecchino ciacavo
che fa da preambolo ed epilogo a quasi ogni
scena. I passi migliori sono detti proprio da
lui, come quando alla fine della prima scena
pronuncia “Ma che giornata! Je sve vedro,
a kako da bi mogal neverin...”, e come per
magia si alza un vento che fa rabbrividire
tutti. Liverić merita una particolare menzione
perché ha creato una figura fantastica e
divertente, dimostrando grande versatilità.
Požeruh, pur avendo una figura da tonto,
stupisce il pubblico per il suo sguardo
tagliente e luminoso, con il sorriso stampato
in bocca di continuo. Oltre al servo Požeruh
la scena viene riempita dall’altrettanto
bravo Škapin (Dragan Mićanović), una
sorta di mendicante tuttofare. Berto, figlio
di Antonio (Denis Brižić), commerciante di
vino e grappa, è innamorato di Lukrecija, un
amore corrisposto, figlia di Trojo (Bosnimir
Ličanin), riccone locale. Sia Antonio sia Trojo
sono concordi nel fare sposare il figlio e la
figlia. Però a mettere i bastoni tra le ruote
sarà la mamma di Berto, Tubòlda (Olivera
Baljak), moglie di Antonio. Lei, contraria al
matrimonio, arriverà addirittura a chiedere
una stregoneria alla maga Esmeralda
(Dragana Tomšić) per non far sposare i
due. Come tutte le commedie di tradizione
adriatica (Carlo Goldoni, Marin Držić/
Marino Darsa e altri) anche questa avrà un
lieto finale.
Il pubblico si trova sulla spiaggia, sui palchi,
rivolto verso il mare, dove su un piccolo
porticciolo si svolge parte dello spettacolo.
La scena come anche il mare è illuminata
dall’alto, in più nel mare sono presenti alcuni
effetti speciali, opera del tecnico Milan
Alavanja, come luci stroboscopiche, bolle e
cosi via. Gli attori con i costumi entrano ed
escono dal mare, una sorta di catarsi spazio
temporale. Il mare, con la sua presenza,
l’odore e il fruscio delle onde è uno dei
protagonisti dell’opera teatrale.
Lo spettacolo inizia con le note dell’opera “La
Wally” di Alfredo Catalani. Lukrecija e Berto
si trovano sulla scena, e insieme entrano in
mare, dove fanno delle piccole coreografie,
movimenti che simboleggiano l’amore.
Una delle scene migliori è sicuramente
quella dove Lukrecija, sotto l’effetto
dell’incantesimo e dunque letteralmente
impazzita e vogliosa, va con il primo che
capita, ossia con il “povero” Škapin. I
due fanno l’amore dappertutto, e in una
sequenza capita che Škapin nuoti stile libero
e delfino – all’asciutto – letteralmente su
Lukrecija. Succede pure che l’incantesimo
faccia effetto anche su Požeruh, che
s’innamora del primo che capita... Di nuovo
il povero Škapin. La scena – spettacolare e
divertente davvero –, va avanti per diversi
minuti, senza cadere di tensione neanche
una volta con i tre che si rincorrono per
tutta la spiaggia. Artefice di tutto questo è il
regista montenegrino Jagoš Marković.
“Lukrecija”, dopo l’opera “Carmen” e
gli spettacoli “Il gabbiano” e “Filumena
Marturano”, è la sua quarta regia nel
capoluogo quarnerino. Come nelle
sue opere precedenti anche in questo
spettacolo l’universo teatrale è un’attenta
contaminazione di lingue, con un rapido
passaggio dai vari dialetti ciacavi al dialetto
fiumano.
“Lukrecija” come d’altronde tutti i suoi
spettacoli, è caratterizzata da una messa
in scena ironica piena di cliché e luoghi
comuni della passionalità. L’opera teatrale
è accompagnata pure dalla didascalia “Una
scherzosa storia di teatro, mare e amore,
scritta in dialetto ciacavo-mediterraneo per
mano di Daniel Načinović”. Tra l’altro il
pezzo è nato come elaborazione di un testo
scritto da un anonimo nel 17.esimo secolo.
Načinović ha spiegato che era sua intenzione
scrivere un’opera teatrale con una profonda
coloritura dei dialetti dell’alto Adriatico. “Il
testo è frutto di due mesi di lavoro, che ho
adattato solo in seguito alla cornice della
Spiaggia di Villa Olga (Glavanovo) a Pećine,
approfondendo certi dialoghi e monologhi.
Gli elementi goldoniani presenti nel
testo sono anche un modo per onorare il
grande autore veneziano. La commedia
oltre a essere fisicamente vicina al mare
è profondamente legata all’Adriatico, alle
sue genti e alla sua cultura” ha concluso
Načinović.
Lukrecija è uno spettacolo pieno di
provocazione e riflessione ma che al tempo
stesso stupisce per la sua dinamicità e
fluidità. E che speriamo rimarrà ancora per
molto tempo nel cartellone delle Notti.
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Martedì, 3 settembre 2013
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DRAMMA ITALIANO
IL CONFRONTO DELla compagnia
CON IL TEATRO FISICO
«KAFKAPROJECT»–
UNVIAGGIOSENZA
SPAZIOETEMPO
È
stato l’evento centrale delle Notti
Estive Fiumane 2013. Un lavoro
che si presenta come un viaggio
filosofico nell’universo kafkiano attraverso
alcuni testi più noti del celebre scrittore
praghese. Stiamo parlando di “Kafka
Project: Frontiere/Granice/Meje/Grens/
Border”, ultimo lavoro del Dramma Italiano
del Teatro Nazionale Croato “Ivan de Zajc”
di Fiume. Lo spettacolo, di cui è autrice
e regista Karina Holla, una delle più
grandi attrici-mimo e registe olandesi, ha
debuttato nel mese di luglio alla Cartiera.
Alla base si racconta, attraverso le parole
del grande scrittore Franz Kafka, come
si può declinare in varie forme la parola
frontiera. A realizzare l’idea di Karina è
il proficuo lavoro interpretativo e fisico
con gli otto interpreti dello spettacolo:
Rosanna Bubola, Elena Brumini, Miriam
Monica, Mirko Soldano, Giuseppe
Nicodemo, Ivna Bruk, Tomas Kutinjač e
Andrea Tich. Tutti loro si sono dimostrati
capaci di declinare al meglio i noti testi
accentuando al massimo la propria capacità
espressivo-corporea. “Kafka Project” è
stato presentato anche al Teatro comunale
di Cormons nell’ambito del Mittelfest
di Cividale del Friuli – uno dei festival
teatrali più importanti della Regione Friuli
Venezia Giulia – proprio per raccontare
un tema caro a tutte le edizioni che si
sono susseguite in questi anni: le frontiere
come limite e barriera tra i popoli, tra
lingue e culture. Infatti, l’edizione di
quest’anno era dedicata alla Croazia e al
suo ingresso nella Famiglia europea. La
rappresentazione rientrerà anche nella
regolare programmazione del Dramma
Italiano per la prossima stagione teatrale.
La fisicità oltre la parola
Ma veniamo alla rappresentazione in cui il
movimento scenico è privilegiato rispetto
alla parola. Di conseguenza è un progetto
insolito, quasi inusuale, per il Dramma
Italiano, ma decisamente attraente. Perché
l’esordio nell’universo teatrodanza – ma
anche in quello del canto – è stato dei
più riusciti per la compagnia di prosa in
lingua italiana di Fiume. Ma che cosa c’è di
tanto particolare in questo lavoro? “Kafka
Project” è uno spettacolo teatrale in cui la
fisicità e il linguaggio del corpo hanno la
meglio sulla parola, messa completamente
in secondo piano. L’atmosfera che la
regista olandese crea è quella di un sogno
in movimento o di un’opera senza canto
che propone un’attenta riflessione sul
significato di frontiera, di attraversamento
di confini reali o immaginari, sul rapporto
fra il potere e l’uomo comune”.
La questione che viene affrontata è quella
del confine tra noi e il mondo là fuori, un
confine tra la realtà e il sogno. Al pubblico
viene offerto un insieme di frammenti
di testi e altre elaborazioni delle opere
di Kafka. Sono tutti testi molto cari a
Holla, frutto di diversi anni di letture,
considerazioni personali e duro lavoro.
Nello specifico, si tratta di classici come
“La metamorfosi” e “Il processo”, uniti ad
alcuni dettagli biografici tratti soprattutto
dalle lettere che l’autore scrisse a suo
padre. Queste, rielaborate per l’occasione,
vengono filtrate dalle suggestioni e
dall’intimistico mondo poetico di Holla.
Di Kafka, la regista sembra cogliere non
tanto l’aspetto grottesco e quello che
viene definito il paradosso “kafkiano”
(l’assurdità e il surrealismo), quanto invece
il lucido e paralizzante desiderio di vivere
e amare, l’impossibilità di essere normali
e venire accettati dalla società. E par farlo
spezza l’azione narrativa in diversi quadri,
intercalati a loro volta da coreografie. La
prima parte è strettamente legata a Franz
Kafka e al suo tempo. Si parte con “La
metamorfosi” dove l’Insetto è interpretato
da Tomas Kutinjač. La sua performance è
una delle più marcate: l’Insetto si muove
in uno spazio claustrofobico, rigettato da
tutti e cerca un proprio posto nel mondo
contemporaneo. Si passa a “Il processo”
con Mirko Soldano nei panni dell’impiegato
che viene accusato, arrestato e processato
per motivi ignoti e misteriosi. Soldano è
l’unico che sostiene l’uso della parola più
degli altri. Suo è, infatti, il monologo “La
legge” che chiude “Il processo”.
Omaggio a Pina Bausch
La seconda parte, intitolata “La vita
moderna”, è invece un attento omaggio
alla leggendaria ballerina Pina Bausch
e alla sua vita. Ad affiancare Kutinjač
e Soldano, in un preciso e minuzioso
lavoro di gruppo, sono Rosanna Bubola,
Miriam Monica, Ivna Bruk, Elena Brumini,
Andrea Tich e Giuseppe Nicodemo. Tutti
sostengono ruoli diversi e lo fanno con
straordinaria bravura. Entrano ed escono
dalle storie e le vivono da molteplici punti
di vista.
La composizione è un’apoteosi di
sensazioni, rimandi, citazioni, slanci,
chiusure, vertigini, dissonanze, ferocità,
lirismo, poesia. Il tutto affidato al
linguaggio corporeo degli attori, chiamati
a dialogare, scontrarsi, accompagnarsi,
sfuggirsi.
Il risultato è un bellissimo e faticoso
viaggio senza spazio e tempo, in cui le
storie si rimescolano e si rimandano
segnali a distanza, in cui le interpretazioni
si moltiplicano e soltanto alla fine del
percorso si coglie la forza evocativa
dell’intera rappresentazione. A trainare
il tutto c’è poi una musica di eccentrica
bellezza e grande suggestione, che
l’autore Stanko Juzbašić ha assecondato
con rigore e vibrante essenzialità.
Le sue composizioni, assieme ai
movimenti scenici, s’impadroniscono
della parola, prolungandone l’impatto
e suggerendo l’intensità e la tensione
delle interpretazioni. Per dare spazio
a questa dimensione è stata essenziale
la traduzione scenica di Anton T. Plešić
che è interamente adattata agli spazi
architettonici della Cartiera. In altre
parole, viene lasciato lo spazio necessario
per dare sfogo alla fisicità e alla movenze
degli attori. Manuela Paladin Šabanović
ha realizzato i costumi inspirandosi
ai modelli di fine Ottocento, epoca
dell’infanzia e della gioventù di Kafka.
Sono costumi in cui prevalgono colori
tenui, il bianco e il nero. Quelli che
rappresentano la contemporaneità sono
caratterizzati, invece, da tinte forti.
Gianfranco Miksa
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Martedì, 3 settembre 2013
ULYSSES THEATRE
di Carla Rotta
NELLA FORTEZZA DI BRIONI MINORE, TRA REPLICHE
E NOVITÀ, LA TREDICESIMA STAGIONE DEL TEATRO
DI RADE ŠERBEDŽIJA: DA RE LEAR A SHAKESPEARE AL
CREMILINO PASSANDO PER ARTURO UI
PERIMARIDEL
PALCOSCENICO
U
n teatro che calamita il pubblico
da tredici anni, quello di Brioni
Minore, dove si dipanano le stagioni
dell’Ulysses Theatre di Rade Šerbedžija.
Musica, poesia e teatro-teatro, quest’anno.
L’inaugurazione è stata affidata alla
Filarmonica zagabrese, con Ricardo Luque
e Olvido Ruiz Castellano. Ma è stato anche
appuntamento con la voce suadente di
Amira Medunjanin, con un bouquet di
poesia... Noi ci soffermiamo a leggere il
teatro. Immancabile il classico “Re Lear”,
ormai trade mark dell’Ulysses, la riproposta
del “Defunto” (Branislav Nušić), la novità
di “Shakespeare al Cremlino” (Ivo Štivičić),
ancora “Odisej” (Goran Stefanovski) e
Cabaret Brecht - “La sostenibile ascesa di
Arturo Ui”. Tra repliche e novità un teatro
da non disertare. Non ci siete stati? Ve lo
raccontiamo.
Re Lear
La stagione teatrale a Brioni Minore è
impensabile senza “Re Lear”. Del resto con
il tragico Re il teatro Ulysses ha avuto il
suo battesimo nel 2001. E come nelle altre
edizioni, nemmeno quest’anno è servito
metter piede sull’isola perché sia teatro. Il
tragitto tra la terraferma e Brioni Minore è
stato fatto assieme al duca di Borgogna e al
re di Francia. I due vanno da Lear, pronto ad
abdicare, per chiedere la mano di Cordelia. E
così, di striscio, anche il regno.
Lear in effetti lo vorrebbe diviso tra le tre
figlie: Cordelia, Gonerilla e Regana. Ma
sapete come vanno le questioni di eredità:
anche gli eredi fanno quattro conti. A volte
si ruffianano anche. Se vale per un pezzo
di terra, figuriamoci se non lo si fa per un
regno! E tra le tre inizia una guerra senza
sconti. Cordelia ne è fuori, perché non sa
usare le armi della falsità. Sposerà il redi
Francia e lo seguirà. Il regno di Britannia
viene tagliato in due, come una mela.
Un pezzo a Regana (sposa del Duca di
Cornovaglia), un pezzo a Gonerilla (sposa
del Duca di Albany). Dalle parti nostre si
dice “a regalare in vita si muore in soffitta”.
Re Lear si era tenuto il diritto di soggiornare
a turno dalle figlie con i suoi cento cavalieri,
ma entrambe le porte sembrano essere
sprangate. E così Lear finisce nella soffitta di
aneddotica memoria.
Corre in aiuto Cordelia. Non vissero felici e
contenti. Perché, dice Shakespeare, l’esercito
francese con il quale Cordelia è giunta a
Dover per soccorrere il regale genitore verrà
sconfitto e lei impiccata. Lear non resisterà
al dolore (plurimo, ci viene da dire: per il
tradimento delle figlie “ereditiere” e per la
perdita di Cordelia). Poi, la tragedia si fa
valanga: Gonerilla avvelenerà Regana per
una faccenda di cuore e per avere libero
accesso alla soluzione del problema di cuore
vorrà avvelenare il marito. Scoperta, si
toglierà la vita.
Il cast: Rade Šerbedžija (Re Lear), Jure
Ivanušić, Marko Juraga, Filip Detelić, Nenad
Cvetko, Zoran Gogić, Miodrag Krivokapić,
Mladen Vulić, Franjo Mašković, Igor Kovač,
Mladen Vasary, Ksenija Marinković, Lucija
Šerbedžija, Nina Šerbedžija. Regia Lenka
Udovički.
Il Defunto
Lenka Udovički ha diretto anche “Pokojnik”
(Il defunto), di Branislav Nušić. Ad essere
precisi, l’ultima opera di Nušić, e forse
l’unica per la quale non ha dovuto affrontare
interrogatori se non addirittura una spartana
cella. Quando l’ha scritta era già famoso,
e quindi forse era meglio lasciarlo stare.
Eppoi, una volta tanto, questo attento e
ironico osservatore della società dell’epoca
non aveva tirato per la manica nessuno. Ed
allora nessuno si sarebbe potuto arrabbiare
al punto da denunciarlo. Specifichiamo
che la messinscena ulissiana non è pura
trasposizione, ma piuttosto una rilettura.
La pièce racconta di un uomo dichiarato
erroneamente morto e che anni dopo la
scomparsa fa ritorno a casa. Ovviamente
tutto è cambiato. A tutti i livelli. Anche
familiari e di amicizia. E viene da chiedersi
quale sia la tenuta dei principi morali, dei
valori, dell’etica. Su questo “prima e dopo”,
sulla vacuità dei valori si dipana un gomitolo
di ironia, comicità, ma anche amarezza.
Ottimo il cast, non c’è che dire. Ma ci preme
sottolineare la colossale interpretazione
di Zijah Sokolović nei panni di Spasoje
Blagojević, parente del defunto. Quello al
quale forse più di tutti l’inaspettato ritorno
va a genio. Insomma, perché torna questo
benedetto uomo se le cose stavano andando
talmente bene?
Applausi anche per Jelisaveta Seka Sabljić
(la zia Agnija), Katarina Bistrović-Darvaš
(la vedova, ma non troppo) e per Miodrag
Krivokapić, ovvero LUI, Pavle Marić, il
defunto.
Storia di un ritorno impossibile. Non in senso
“fisico”, ma per tutte quelle implicazioni che
il fatto comporta. Una storia senza tempo
e senza luogo: potrebbe succedere in ogni
momento e dappertutto.
Pavle Marić torna da un improbabile Aldilà.
E scombussola la geometria comoda che la
famiglia e gli amici hanno saputo disegnarsi
grazie proprio ai suoi soldi. Da qui la loro
voglia di dargli ancora una volta l’ultimo
saluto. Una lotta impari, al punto che il
poveretto per vivere rinuncerà alla propria
identità e se ne andrà il più lontano possibile
dalle menzogne, dalle falsità e altro.
E come sarà poi per “Shakespeare al
Cremlino”, nella piacevole notte a teatro, in
mezzo al mare, ci è piaciuto ripensare ad un
altro scomparso eccellente e alla sua storia,
“Il fu Mattia Pascal” di Luigi Pirandello, con
l’uomo in fuga dalla vita e dalla famiglia.
Sceglie Monte Carlo, per andare alla ricerca
di identità, ma soprattutto di vita..
In scena a Brioni Minore ancora Branislav
Zeremski, Filip Nola, Maja Posavec, Filip
Detelić, Drago Grabnar, Dušan Gojić, Borko
Perić, Zoran Pribičević, Josip Milanović,
Borko Perić e Josip Milanović. La scenografia
è di Deni Šesnić, Bjanka Adžić Ursulov firma
i costumi, mentre le musiche sono di Nigel
Osborne
Shakespeare (e i suoi) al Cremlino
Nella fortezza di Brioni Minore anche
“Shakespeare al Cremlino”, di Ivo
Štivičić, per la regia di Lenka Udovički. La
messinscena è coproduzione che ha messo
a fianco dell’Ulysses lo Srpsko narodno
pozorište di Novi Sad.
Siamo al Cremlino, dunque, e le sorti sono
rette dal Grande Capo e dai suoi accoliti. Ma
il Capo (Josif Visarionovič Stalin? Del quale
peraltro mai si fa il nome, e impersonato
da Boris Isaković) vuole ritirarsi. Le mura
possenti del Cremlino vengono scosse dal
panico. Chi succederà al Capo? E, dettaglio
di vitale importanza, a chi bisogna inchinarsi
fin da ora, lisciando lisciando per mantenere
posizione e trattamento? E un ulteriore
dettaglio, anche questo di vitale importanza,
forse ancora più del primo: chi finirà in
disgrazia. Perché sapete come vanno le cose,
no? In questo benedetto mondo a scale,
quando rotola il capofila, rotolargli dietro
è un niente. O venir spinti giù dalla scale,
che poi si risolve con lo stesso doloroso
capitombolo.
Il Capo sente che il suo tempo sta finendo
e vuole un dialogo, a cuore aperto con
Timofeo (Dragan Mićanović), un attore che
il Politbureau, per mano del suo numero 1
Lavrentije (Ozren Grabarić), tre anni prima
aveva mandato al confino. E dove se non in
Siberia?
E così, pennellata dopo pennellata, prende
forma e colore (piuttosto noire, ma con
striature di comicità) dell’epoca stalinista.
Soprattutto nella lettura di Lavrentije, più
importante ancora del Gran Capo. Perché
anche i capi, grandi o piccoli, hanno una loro
durata. Come il latte, per dire. Quello con la
data di scadenza marchiata sul tetrapack.
Lavrentije è un ruffiano, una iena a cinque
stelle, pericoloso, subdolo, vigliacco, conscio
la Voce
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del popolo
del proprio potere e della paura che riesce a
mettere nelle ossa. Infatti, anche chi gli sta
accanto lisciandolo racimolando briciole di
minimi privilegi, ne ha una sacrosanta paura.
Basta una sua parola, un suo cenno, un’alzata
di sopracciglio e si diventa così, in un amen,
“nemico del popolo”. Basta ed avanza per
prendere la strada della sconfinata, lontana e
fredda Siberia o per finire davanti al plotone
di esecuzione.
E Shakespeare? Come è finito da Oltre
Manica al Cremlino? Ecco, ci sono momenti
nei quali i personaggi e la trama del grande
dramma che si dipana ad Est si legano
indissolubilmente a personaggi e drammi/
tragedie di shakespeariana memoria.
Forse il gran maestro dell’intrigo è Iago,
ma Lavrentije è assolutamente in grado di
dirgli seri punti. Se respira un pizzico di
Riccardo III (anche se il Gran Capo non è
nelle condizioni di cambiare un cavallo per il
suo regno), o di Amleto E il flash si accende
quando Timofeo offre al Capo uno spettacolo
che senza possibilità di fraintendimenti
rimanda alle decisioni sue e dei suoi accoliti:
decisioni sempre crudeli, peraltro. Sarà un
attore, una persona che vive di infingimenti,
di vite altrui, a dire la verità, laddove altri si
vendono al costo di merce scadente.
O ancora qualcosa rimanda a Macbeth
(quando ad esempio durante una delle
tante riunioni del Gran Capo & affini arriva
in scena il Giudice, che denuncia i suoi
aguzzini. Come Banco, no?
Da Shakespeare, dal Cremlino di staliniana
memoria all’oggi, passando per la caduta del
muro di Berlino per arrivare a Julian Assange
e Edward Snowden. Un modo per dire che, a
di riffe o di raffe, anche i muri più resistenti
vengono giù e ogni catena del potere ha un
anello che la spezzerà.
In scena, accanto ai nomi già citati, Jasna
Đuričić, Bojan Dimitrijević, Filip Đurić,
Jadranka Đokić, Katarina Bistrović Darvaš,
Nenad Pećinar, Filip Nola, Miroslav Fabri,
Marko Marković, Igor Pavlović, Stefan
Martedì, 3 settembre 2013
Trifunović, Milan Kovačević, Draginja
Voganjac, Mladen Vasary, Radoje Čupić e
Jovan Živanović. Le musiche, belle, sono di
Nigel Osbourne e Davor Rocco, e siispirano
ad Alexandera Mosolov, Arsenyj Avraamov e
alla musica etnica dell’ex Unione Sovietica.
Senza appunti di alcun genere? Forse no, e
un po’ ci secca dirlo. In effetti, alla risposta
“ma che genere teatrale è”, non è facile
trovare risposta immediata. Si potrebbe dire
dramma, come si potrebbe dire tragedia, o
commedia o farsa. Ma è solo un dettaglio. A
conti fatti, ognuno la vive come meglio crede
o secondo l’ispirazione del momento.
Odisseo
Storia di vagabondaggi e di ricerca, di sé,
del proprio essere, dei propri ambiti anche
in “Odisej” (Odisseo/Ulisse) di Goran
Stefanovski, per la regia di Aleksandar
Popovski. Il fascino di Ulisse, del suo lungo
e sofferto viaggio verso casa, ma non solo
in termini di tetto, il suo voler andar oltre
le cose... non risente del tempo. Brilla con
uguale intensità da sempre. E da sempre ha
trovato spazio nella letteratura, a teatro, nella
pittura: la resistenza a partire alla guerra,
l’assedio a Troia, la vittoria, l’infinito viaggio
verso casa, la sanguinosa giustizia a Palazzo,
l’attesa di Penelope... Non ha resistito all’eroe
omerico nemmeno Goran Stefanovski.
“Capisco Ulisse” – aveva avuto modo di dire,
raccontando poi di sé, macedone sposato
ad un inglese, vissuto tranquillamente in
Macedonia finché un giorno tutto è cambiato
e si è ritrovato come Ulisse alla ricerca di
tutto. La moglie è tornata a Londra, così lui si
è trovato a navigare tra l’Europa meridionale
e l’Oltre Manica. Dove è Itaca?
Per la messinscena Itaca è Brioni Minore.
Giusto. Un’isola. Circondata dal mare
che è elemento che all’occorrenza divide,
all’occorrenza unisce. Sa essere impedimento
al ritorno, ma sa anche agevolarlo.
La storia è quella che ben sappiamo,
presentata in chiave un po’ diversa, con
abbondante uso di coreografie, canti, qualche
(più di qualche, ad essere fiscali) parolaccia
(senza la quale sembra difficile vivere in
queste geografie), allusioni, giochi di parole...
Omero riletto e adattato all’oggi, anche se
i costumi sono... lontani. Ad occhi chiusi,
potrebbe essere la storia di ognuno di noi.
Perché ognuno di noi ha bisogno di un punto
fermo, di un indirizzo al quale mandare i
ricordi, al quale andare a prendere sicurezza
e tranquillità. La casa è dove è il cuore.
Ed è lì che si bussa con la certezza che ci
sarà aperto. Ripensiamo, in questo gioco di
paralleli(smi) ad un’altra storia di ricerca e di
ritorno. “Il Mago di Oz” e la voglia di casa di
Dorothy. Non tanto di affetti, proprio di casa.
Perché gli affetti li ha saputi creare, dare e
avere anche a Oz. “Ora sono sicuro di avere
un cuore perché mi si sta spezzando”, dirà
l’Uomo di Latta. Ma per Dorothy “There is
no place like home”. (Nessun posto è come
a casa). Nemmeno per Odisseo/Ulisse. E per
noi?
Il fatto di averlo visto già la scorsa stagione,
non ci ha fatto rinunciare all’incontro con
Odisseo/Ulisse. Per la storia in sé, per la
suggestiva scenografia (un’isola-scultura
opera di Miljenko e Ana Sekulić, per il cast
(Ozren Grabarić, Anita Manlić, Branko
Jordan, Nataša Matijašec Rašker, Svetozar
Cvetković, Boris Isaković, Jasna Đuričić,
Dijana Vidušin, Franjo Dijak e Nikola
Ristovski
La resistibile ascesa di Arturo Ui
La resistibile ascesa di Arturo Ui. L’opera
di Brecht, scritta di getto nel 1941 quando
l’autore era ormai in fuga, dice di un
immaginario gangster della Chicago degli
Anni Trenta impegnato a costruirsi un
impero attraverso il controllo del racket dei
cavolfiori. Ma sotto sotto dice del dittatore
impegnato, dopo aver preso il potere in
Germania, a costruirsi un impero suo. Arturo
Ui diventa Hitler, l’America è la Germania,
Chicago Berlino e via discorrendo. Sulla
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duplice sfumatura anche l’impianto teatrale
in sé, un connubio musical-teatrale: la band,
insomma è anche banda.
Vediamo quindi le deprecabili gesta di
Arturo e la crudeltà spartita a piene mani per
mettersi in tasca il controllo dei cavolfiori in
qual di Chicago, e parallelamente l’ascesa
di Hitler e del nazismo in Germania.
Anzi, la storia è quella dell’ascesa di A.H.
Rappresentata attraverso le vicende di volgari
volgarissimi malavitosi. Capo cosca è Arturo
Ui, il dittatore del gruppo.
La scena forse più esplicativa è ambientata
nel “trust dei cavolfiori” (che giù come
merce...), dove Ui tiene un comizio nel
corso del quale punta sulle paure dei
negozianti, paure provocate peraltro dai suoi
stessi scagnozzi: offre ai poveri diavoli la
protezione della sua stessa banda, adottando
misure e modalità della malavita organizzata.
Causa ed effetto. Per aiutare i negozianti a
prendere la giusta decisione, alcuni uomini
di Ui incendiano un magazzino, dopo averlo
innaffiato di benzina. Non c’è dubbio: la
protezione serve proprio. Ma che cosa lega
la vicenda alla Germania? Una data e un
fatto: febbraio 1933; il palazzo del Reichstag
sparisce tra le fiamme. Hitler puntò il dito
contro i suoi nemici, i comunisti, quando
in effetti i fiammiferi (accesi) in mano li
avevano i suoi. Finì con una lunga litania
di arresti, la messa al bando del Partito
Comunista. Poi, nella notte dei lunghi coltelli
Hitler rincarò la dose. Sappiamo come andò
a finire.
Nel cast Mislav Čavajda, Ozren Grabarić,
Goran Bogdan, Filip Detelić, Damir Poljičak,
Damir Šaban, Jerko Marčić, Zoran Pribičević,
Maja Posavec, Mladen Vasary, Jure Ivanušić e
Dado Ćosić.
Arrivederci all’anno prossimo. Sempre a
Brioni Minore. Anticipazioni? Beh, forse
è un po’ presto, anche se si sta pensando
di mettere al centro della Stagione 2014 il
centenario dallo scoppio della Prima grande
guerra.
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palcoscenico
Martedì, 3 settembre 2013
TEATRO POPOLARE ISTRIANO
STASERAVADO
ALCASTELLO
PALCOSCENICO ALL’APERTO CON
QUATTRO TITOLI CLASSICI IN RILETTURA
E TRASPOSIZIONE CIAKAVA. E UN’OPERA
ROSSINIANA PER DARE IL NECESSARIO «LA»
I
l Teatro Popolare Istriano ha optato
per un palco all’aperto, portando al
Castello quattro titoli di divertimento
e fantasia. Adatti alle vacanze, insomma,
e alla voglia di tener lontano i pensieri. Il
cartellone: “Lindarski kaban” (Il tabarro
di Lindaro), “Oštarica Mirandolina” (La
locandiera), “Mistero buffo”, “Furbaćona”
(La moscheta).
“Lindarski kaban” porta la firma di
Dragutin Lucić Luce e si avvale della
regia di Jasminko Balenović. È titolo
già collaudato che ha portato in scena
Helena Minić, Rade Radolović e Teodor
Tiani. La musica è di Livio Morosin e
Tomislav Šestan, i costumi di Katarina
Radošević Galić. Il testo è liberamente
ispirato a Hans Christian Andersen e “I
vestiti nuovi dell’imperatore”. Solo che
tutto succede a Lindaro, e tutto viene
raccontato nell’antica parlata locale,
ormai in disuso e usata da poco più
di una decina di persone. Nel luogo e
in un tempo lontano, quindi, succede
grossomodo (almeno nell’algoritmo
dell’imbroglio che si dipana durante tutto
lo spettacolo) quanto è stato nel titolo
di H. Ch. Andersen, un calice di verità
e finzione, bugie e verità. Un gruppo di
imbroglioni si spaccia per esperti tessili
che più qualificati non si può, e si fa beffe
delle autorità locali. Una fiaba per adulti
e non. Ognuno ride al livello che crede e
che gli compete.
Liberamente ispirato alla goldoniana
“Locandiera” la messinscena di “Oštarica
Mirandolina”, su testo di Danijel
Načinović. La locanda non si affaccia
sull’Arno bensì guarda all’Adriatico
dall’ombra dell’Arena. Nella rivisitazione
ciakava, Mirandolina parla ovviamente
ciakavo, con abbondante uso di
espressioni italiane dialettali. La regia è
ancora una volta di Jasminko Balenović.
Siamo a Pola nell’anno che precede quello
della I Guerra mondiale, un 1913 che
lascia ancora sognare e fare progetti.
Nella locanda “3 soldata”, gestita da
Mirandolina, Bartolo conte Škampavija
(uomo d’affari) e Albino Ladrunkovitsch
(dipendente delle Ferrovie) fanno la
corte alla “padrona”, mentre Felix Srećko
Kosovits, capitano di fregata e ufficiale
dei servizi segreti dell’imperial e regia
marina, da misantropo qual è, la evita al
massimo. Salvo poi cadere nella sua rete.
E in quella stessa rete finirà Mirandolina,
che capirà che l’amore è amore e correrò
nella braccia del cameriere Mikula, al
quale il padre l’aveva promessa. Come per
“Il tabarro di Lindaro”, anche qui c’è posto
per ieri e oggi. L’oggi si potrebbe leggere
nei nomi di Škampavija e Ladrunkovitsch,
e metterli nel contesto delle vicissitudini
economiche che ci sono successe. Kosovits
potrebbe rispolverare eventuali memorie
dei servizi segreti. Per il resto si fanno
piani alla grande: da una sorta di Prater
in Bosco Siana, al ponte sullo stretto
di Fasana per collegare la località alle
Brioni, metterci sopra una bella statua
del granitico ammiraglio Tegethoff e farci
arrivare anche il treno da Dignano.
In scena Lana Gojak, Robert Ugrina, Teo
Tiani, Denis Brižić, Luka Juričić, Romina
Vitasović ed Elena Orlić. Musiche di Livio
Morosin.
Home made anche “Furbaćona”, ovvero
“La moscheta” (Ruzante) nella traduzione
ciakava. Scritta e adattata da Branko
Lučić, la pièce è diretta da Jasminko
Balenović, e interpretata da Denis Božić,
Romina Vitasović, Rade Radolović, Teo
Tiani e Alfredo Kocijančić. Una storia
tutta da ridere incentrata sul rapporto
uomo-donna, equivoci, calcoli, imbrogli.
Una storia, insomma, che da quando è
stata scritta, resta attuale. All’occorrenza
potrebbe cambiare il vestiario, unica
prova che il tempo è trascorso.
Al Castello ancora “Mistero Buffo”,
capolavoro del teatro popolare di Dario
Fo, sostenuto in scena da Valter Roša
(che ha avuto per questo lavoro anche
vasti riconoscimenti su scala nazionale),
assolutamente a suo agio nel gestire le
varie giullarate. Ed ancora una volta si
è trattato di offrire una trasposizione
linguistica di non facile elaborazione.
Perché già Fo si era inventato il
“gramelot”, quella strana lingua nata da
un mix di lingue e suoni. Al Castello il
gramelot è stato principalmente ciakavo,
ma le storie, le giullarate, le dissacranti
letture di momenti biblici sono state
proprio “quelle”.
Cartellone ciakavo, quindi, quello
della stagione fuori stagione del Teatro
Popolare Istriano, già da tempo impegnato
anche nelle stagioni, diciamo, regolari,
nella produzione di un filone prettamente
di casa, riconoscibile essenzialmente nella
parlata. Ed è un’aggiunta indovinata, che
anche nella calde serate estive ha avuto la
sua conferma.
Per la cronaca, l’estate al Castello è
stata inaugurata con “La cambiale di
matrimonio”, di Gioacchino Rossini,
che il Teatro polese ha portato in scena
in collaborazione con l’Opera b.b. di
Zagabria. Il ruolo principale è stato
sostenuto da Ronald Braus, affiancato da
Lidija Horvat-Dunjko, Dalibor Hanzalek,
Blanka Tkalčić, Božidar Peričić, Goran
Grčić e Leon Košavić.
“La cambiale di matrimonio“ è
principalmente farsa, ambientata della
Londra del XVIII secolo. Norton e Clarina
aprono e leggono una lettera indirizzata
al loro padrone, Tobias Mill. La lettera è
contratto di matrimonio inviato dal ricco
Slook, in viaggio dal Canada in Europa.
Mill ha già deciso di dargli in moglie la
figlia Fanny, contro un bel versamento,
naturalmente. Non fosse che Fanny è
già innamorata di Eduard Milfort. Segni
particolari: povero. Andrà bene, non
preoccupatevi. (car)
la Voce
del popolo
palcoscenico
la Voce
del popolo
FESTIVAL DI SANVINCENTI
Quattro stage per comunicare attraverso
la danza e il movimento. nella piccola
localitÀ dell’istria danzatori, coreografi e
mimi di 9 paesi
SSSSHHHT!
ILTEATROSIMUOVE
L
e stagioni del Festival del teatro
danza e non verbale di Sanvincenti
si rincorrono. Quest’anno, all’ombra
del castello Morosini Grimani si è spesa la
quattordicesima edizione. Diciamo ombra
tanto per dire: in effetti gli appuntamenti
si sono svolti sotto i riflettori, quindi, ci sia
concessa la licenza. Danzatori, coreografi,
mimi ed artisti vari provenienti da Spagna,
Danimarca, Slovacchia, Francia, Norvegia,
Belgio, Cipro, Serbia e Croazia hanno
occupato quattro palcoscenici situati in
piazza, nel cortile del castello, nella loggia
e al Centro mediterraneo di danza.
Bo Madvig e nove danzatori hanno
inaugurato la manifestazione (sul
palcoscenico in piazza) con “Work in
progress”. A seguire un omaggio al tennis
tavolo con “A dance tribute to ping pong”,
spettacolo interessante e stuzzicante
attraverso il quale a norvegese Jo
Stromgren Kompani ha letto il gioco
del ping pong quale filosofia di vita. Per
chiudere la prima serata si è andati alla
“Memoria dell’acqua” (The memory of
water”): Maša Kolar, Ksenija Kurtova
e Ana Rocha Nene hanno affascinato
il pubblico del Centro mediterraneo di
danza.
Ha riferimenti politici “Divna, divna
katastrofa” (Una catastrofe meravigliosa):
otto ballerine hanno interpretato il lavoro
a più mani di Selma Banich, Deana
Gobac, Nataša Govedić, Roberta Milevoj,
Iva Nerina Sibila, per chiedere quale
sia la storia di ciascuno di noi, quanto
dipenda dal contesto e quanta libertà ci
appartiene.
Le Slovaks (Slovacchia – Belgio) hanno
proposto “Fragments”, grazie all’energica
interpretazione di cinque energici
danzatori slovacchi con residenza belga.
La Fabien Prioville Dance Company
(Francia – Germania) è stata impegnata
con “Experiment on chatting bodies”,
esperimento sull’influenza delle nuove
tecnologie sulla comunicazione. Progetto
vasto e... densamente popolato. Prioville,
infatti, attraverso Facebook ha invitato
gli interessati a danzare con lui e Pascal
Merighi via Skype. Piena condivisione,
dunque, di musica e movimento su vasta
scala.
Gli Šikuti Machine (Andi Bančić, Elvis
Lenić e Darko Pekica), forze di casa,
hanno proposto “Partida”, con sottofondo
musicale tradizionale (pive) offerto da
Noel Šuran.
“PROmjene”, omnibus di danza di tre
coreografi (Aleksandra Mišić, Martina
Nevistić e Ognjen Vučinić) e dello
Zagrebački plesni ansambl, ha sezionato la
società odierna a partire dai cambiamenti
degli Anni Sessanta.
Ha scavato dento anche Bruno Isaković
(diplomato all’ Amsterdam School of the
Arts), con “Zaziv”: un viaggio nel labirinto
umano.
Enter Achilles, di Lloyd Newson loyd
Newson, Clara Van Gool, DV8 (Gran
Bretagna -Olanda – Australia), ha
impegnato otto ballerini per la lettura
della psicologia maschile in un tipico pub
inglese.
L’ultima serata del Festival ha visto
presentarsi Natalija Manojlović, con
“Đubrad Prokleta!”: sei ballerini hanno
interpretato il nostro oggi, i nostri
rapporti e questa società che non
concede possibilità di errori, non lascia
il tempo per le emozioni, la nostalgia o
altro Milena Ugren Koulas (Cipro) ha
portato all’attenzione del pubblico “She
Who Stays”, ed infine “House Of Heaven
III”. “ A Place To Bury Strangers, del
coreografo spagnolo Robert Olivan, ha
portato il pubblico in un viaggio nelle
paure, nell’ansia, nei timori che sono
propri del vivere odierno, offrendo però
la speranza di un ritrovarsi. (cierre)
Martedì, 3 settembre 2013
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Martedì, 3 settembre 2013
ESTATE NEL PARCO
palcoscenico
la Voce
del popolo
Di Emanuela Masseria
una messinscena che Tra ironia e paradosso
vorrebbe ripercorrere alcuni sentieri
battuti da un grande come pirandello. Ma
permane qualche dubbio
TRESORELLEE
UNIMBRANATO
F
orse ci sono serate da prendere così
come vengono, complici il caldo, i
difetti strutturali della messa in scena
di uno spettacolo, la folla per accaparrarsi
un posto e l’audio non ottimale di un palco
all’aperto. Detto questo, si può iniziare
una schietta recensione per la commedia
“Tre sorelle e un imbranato”, presentata a
Gorizia nel suggestivo giardino della sede
municipale per la rassegna Estate nel parco.
Ci si muoverà nel solco del dubbio, secondo
il modesto parere di chi scrive, visto che
l’insieme è apparso un po’ incerto. Partiamo
dal testo firmato da Aldo Lo Castro, il
quale, sempre a vederlo soggettivamente,
stenta a decollare per più di qualche
motivo. Non si capisce infatti se l’intento
sia di dipingere una sorta di soap opera, o
regalare attimi spensierati, o far sorridere
con battute più o meno poco convincenti.
Senza troppo senso nemmeno una serie di
parolacce, che al limite possono condire
il tutto, ma dovrebbero comunque essere
inserite qui e là con più gusto o senso
della misura. A leggere le informazioni che
circolavano prima della serata in questione,
si apprendeva poi che “la trama ripercorre,
attraverso l’ironia e il paradosso, alcuni
sentieri battuti da un grande autore come
Pirandello”. L’obiettivo insomma era di
volare alto.
Rose rosse per te
Veniamo ai dettagli della storia qui
elaborata dalla regia e dalla scenografia di
Salvatore Zona, direttore artistico del Teatro
degli specchi di Catania (luci e suoni di
Daniele Spolverini e Fabio Miotti; assistenti
di scena Francesco Piscopo e Rosalia
Pasquali). La rappresentazione, proposta
dall’associazione culturale “Gradisca...il
teatro” narra la vicenda di tre sorelle gettate
nello scompiglio dall’arrivo di un misterioso
mazzo di rose corredato da un bigliettino
anonimo e da una telefonata dai contenuti
poco chiari. Le sorelle, si scopre poco prima,
si trovano a convivere forzatamente nella
stessa casa: sono Bianca (Rita De Colle),
la maggiore, costretta a rimanere zitella e
a prendersi cura delle due sorelle ingrate,
pur coltivando ancora sogni d’amore
appassionato; Angela (Francesca Sodano),
una ragazza dolce e remissiva che vive in
un mondo di fantasia, sognando l’amore
perfetto, e Roberta (Raffaella Munari),
donna dalla forte personalità, ma priva di
talento, che tenta di sfondare nel mondo
del teatro. Le tre protagoniste si attaccano
tra loro in maniera isterica, in particolare
dando addosso alla più piccola che viene
sempre definita e trattata come un’idiota,
con epiteti tra i più vari. Unica parentesi al
la Voce
del popolo
Anno 9 /n. 76 / Martedì, 3 settembre 2013
IN PIÙ Supplementi è a cura di Errol Superina
[email protected]
Edizione
Progetto editoriale
Caporedattore responsabile
Errol Superina
PALCOSCENICO
Silvio Forza
Redattore esecutivo
Carla Rotta
Impaginazione
Željka Kovačić
Collaboratori
Emanuela Masseria, Gianfranco Miksa;
Foto: siti teatro
loro acido zitellaggio ormai consolidato è
l’arrivo appunto di questa telefonata in cui
un uomo si spertica in facili complimenti,
preceduto da un mazzo di rose anonimo
in cui dichiara il suo amore, ma senza
specificare verso chi. Ciò basterà a tirar
fuori il peggio, fin da subito, delle tre
arpie, che a lungo si interrogheranno
sull’identità del possibile ammiratore. A
chi saranno destinate cotante attenzioni?
Ovviamente ognuna delle tre ha in serbo
nel cassetto un possibile candidato, oltre a
parecchia arroganza. “Nulla di complicato
- scrive una nota dello spettacolo - se
non l’eterno dissidio tra essere, realtà e
illusione”. In effetti la trama è abbastanza
lineare. I dubbi iniziali verranno abbattuti
dall’arrivo dell’Imbranato Matteo (Alessio
Bergamasco), che è proprio tale anche
perché calca con estrema pedanteria il
suo ruolo. Sulle prime Matteo dichiara
di nutrire dei sentimenti per Roberta,
che lo rifiuta subito. Quel che è certo è
che la sua interpretazione salva la platea
con un determinante rinforzo vocale alle
altre attrici. Le tre protagoniste infatti,
ad eccezione forse di Bianca, si sentono
con difficoltà, complice lo spazio aperto e
qualche rumore di fondo. A compendio,
anche la presenza di un palco rasoterra che
ovviamente ha reso interamente visibile lo
spettacolo solo dalle prime file. Tuttavia,
forse entro il primo tempo si riusciva a
trovare qualcosa di godibile tra il riso, il
sorriso e qualche amara considerazione.
Quest’ultima non era di certo per il prezzo,
visto che la rappresentazione era gratuita
come tutta la rassegna che si concluderà l’8
settembre, allo scopo di distrarre chi resta
in città nelle torride giornate estive. Non ci
si può certo lamentare troppo, alla fine.
Ma dal secondo tempo il clima si fa un filo
più pesante per spettatori e protagonisti.
Intanto è chiaro che l’imbranato, una
volta scartato da Roberta, può ripiegare
tranquillamente sulla più piccola, Angela,
ben felice di figurare sul podio di un
qualunque uomo che soddisfi il suo bisogno
spasmodico di Principe azzurro. Certo,
Matteo è messo male. Occhialoni enormi,
ingessato neanche fosse in bilico su un
parapetto, noioso nel dire di essere sono
“Matteo d’Agostino, figlio dei D’Agostino,
quelli delle pelletterie”, incapace alla
base di distinguere una sorella dalle altre.
In realtà, a parte Roberta che vorrebbe
distruggerlo per il suo “trasformismo”, lo
sfigatissimo ragazzo in realtà alla lunga
conquista tutte, e con il minimo sforzo. Per
prima appunto Angela, che lo convince nel
frattempo a cambiare abiti e personalità.
Per aiutarlo nel processo di metamorfosi si
presenta con giubbotto di pelle, gonna corta
nera, pettinatura fluente. Lui si adorna di
camicione casual, aria svagata, occhiali da
sole e pirandellianimamente si rivela come
un altro: sicuro di sé, abile, fiero. E fa strike,
visto che poi Bianca si dà una svecchiata
e chiede pareri su quel che resta della sua
avvenenza, mentre Roberta, l’attrice, torna
sui suoi passi e si ricorda della voce tanto
seducente, almeno al telefono, che sulle
prime l’aveva fatta innamorare (per poi
deluderla enormemente: ma c’è qualcosa
di più romantico di un amore andato a
male?- Ndr). In ogni caso, ripensamenti
delle altre o meno, è troppo tardi, visto
che qui è l’uomo che fa la sua scelta e si
consacra alla giovane idiota, che poi non ha
mai dimostrato di essere veramente tale. E
vissero felici e contenti? Forse, ma in realtà
il problema è più complesso. Matteo ad un
certo punto ritorna in scena indossando
lo stesso abito scuro di prima e gli stessi
occhiali. È palesemente a disagio, ma il
suo atteggiamento non è più impacciato
come “prima”. Non è una buffonata. O
meglio, “non è più” una buffonata. “Fine
della recita, cara Roberta. Non è roba per
me. Evidentemente non ho la stoffa del
grand’uomo che sprizza sicurezza e simpatia
da tutti i pori. Non ho la tempra né i requisiti
di colui che riesce a conquistare le donne
con uno schiocco di dita. No, Roberta,
non sono io la persona che tu immagini”afferma Matteo, che ammette di essere
un poveraccio qualunque, con un sacco di
difetti, di fobie. Roberta lo insulta e Matteo
afferma di non avere autostima, ma anche
di aver capito molte cose. “Ci ho messo un
po’ di tempo ma, alla fine, ho scoperto di
non essere affatto inferiore a nessuno. E ho
scoperto d’averla, la mia bella personalità.
Una personalità diversa da quella degli
altri, certo. Ma è fatale che sia diversa”. Il
male, invece, è stato nel volerne simulare
un’altra, nel voler cambiare ad ogni costo.
Matteo quindi chiede perdono ad Angela
per averla delusa. “Gli alieni comunicano
perfettamente tra di loro”, osserva a margine
la sempre caustica Roberta. Ma l’uomo ormai
chiede ad Angela:– “Vuoi sposarmi? Te la
senti di sposare uno come me?”. “Sì! Sì! Sì!
- risponde lei, paralizzata dall’emozione -.
Vieni qui e abbracciami, stupido!” - risponde,
mentre Matteo, disorientato, finisce per
abbracciare Bianca. “Angela, amore mio, se
sei d’accordo... io avrei un’idea: vieni tu ad
abbracciarmi: è meglio e facciamo prima!”.
Applausi e qui sì, dai, sono carini. Angela
ride e corre ad abbracciarlo.
Con un po’ di sé
Tutto sommato, a parte le impressioni
dirette, potrebbe essere, da quel che si legge
in giro di questo testo, che la trama sia un
po’ autobiografica, il che potrebbe rendere
tutto più sapido.
Lo Castro, nella sua lunga carriera, ha
tuttavia cambiato più volte registro.
Negli anni ’80 pur non abbandonando le
tematiche avanguardistiche su cui lavorò
agli esordi, concentra la sua attenzione
verso storie quotidiane attingendo
sovente dalla tradizione e dalla cultura
popolare. Da spunti autobiografici e dalla
sua indole descritta come quella di un
“acuto osservatore di contraddizioni e
ipocrisie della realtà provinciale”, trova poi
ispirazione per scrivere diverse opere, fra
cui “Ius primae noctis”, “Tango Monsieur?”
(premio UNITER in Romania), “Occhio
non vede… ” e quindi “Tre sorelle e un
imbranato.”.
“Il Principe Dracula” rappresenta invece una
delle sue più recenti fatiche. Con il supporto
delle documentazioni storiche l’opera
ripercorre la vita di Vlad Tepes Dracula,
eroe romeno forte e carismatico, a lungo
dimenticato dalle pagine della storia. Aldo
Lo Castro recentemente ha dedicato un’altra
opera a Vlad Tepes, dal titolo “Dracula, una
storia, un mito”. La pìece ha partecipato al
Festival Internazionale di Sibiu (Romania).
Il fiore all’occhiello di Lo Castro è comunque
il Laboratorio di avviamento al teatro del
Teatro degli Specchi, che dirige fin dal 1990
(insegnandovi recitazione ed espressione
corporea) e che oggi rappresenta in Sicilia
una realtà ormai consolidata. Quindi, in
definitiva, forse i gusti talvolta rimangono
tali e potrebbe essere che il testo sia stato
scalfito dalla recitazione talvolta incerta dei
protagonisti e dalle problematiche condizioni
del palco.