1.xSTUDI_DE_VERGOTTINI - Dipartimento di Scienze Politiche

annuncio pubblicitario
La comparazione nel diritto costituzionale:
approccio ‘normativistico’ e approccio ‘realista’ alla “zona grigia” del diritto
costituzionale
di Silvio Gambino (Università della Calabria)
1. Crisi dello Stato liberale e ripensamenti metodologici nella dottrina costituzionale:
realtà politica e metodo giuridico.
L’approccio al tema del diritto dello Stato e della sua sovranità impone di richiamare
preliminarmente, sia pure in modo essenziale, i termini fondamentali che caratterizzano il
contesto giuridico-dottrinario e quello storico-politico del tardo ’800 e dell’intero ’900. Nella
fase caratterizzata dall’affermazione del fascismo, essi erano dati, fondamentalmente, dai
condizionamenti crescenti che tale regime politico era riuscito ad operare sulla dottrina
costituzionalistica come anche sugli altri saperi. Ma la stessa vicenda della trasformazione
autoritaria dello Stato in Italia – come per altri versi, sia pure con direzione opposta quanto ai
fini perseguiti, può dirsi dell’affermazione, con la rivoluzione bolscevica, nel 1917, dello
Stato socialista – evidenzia, accanto al mero succedersi degli accadimenti storico-politici, un
processo di ripensamento della stessa teoria giuridica dello Stato.
Pur nelle sue formulazioni dogmatiche più compiute, quest’ultima, infatti, non aveva
saputo riadeguarsi – per prenderle nel debito conto – alle problematiche poste dalle crescenti
esigenze rappresentative prodotte negli Stati contemporanei a seguito della graduale
estensione del suffragio e delle stesse modifiche operate all’interno dell’architettura
costituzionale dello Stato.
Le tematiche dogmatiche della sovranità dello Stato evidenziavano un chiaro ancoraggio
teorico a nozioni divenute nel tempo vetuste, come quelle che – con il richiamo alla nozione
idealistica e rivoluzionario-giacobina di ‘nazione’ – assumevano di poter fondare una capacità
di legittimazione politica del potere politico statuale di tipo autoreferenziale.
A partire dagli anni ’20 e fino alla fine degli anni ’40 (con la riaffermazione dello Stato
democratico), la dottrina costituzionale affronta questo tema e riflette sullo stesso metodo
giuridico da utilizzare al fine di offrire una risposta che si dimostri capace di assolvere al
difficile compito, che era stato già segnalato – nella fase tardo-ottocentesca dello Stato – da
V.E. Orlando1, di “ridurre ad armonia ... l’ordine giuridico e l’ordine politico”, in una parola il
diritto e la politica. In un simile scenario, il quadro politico-istituzionale generale nel quale è
chiamato a muoversi il giurista che opera nel corso di questi anni si connota in termini di

Destinato agli Studi in onore di Giuseppe De Vergottini.
1 Così in Studi giuridici sul governo parlamentare, in ADP, XXXVI, 1886, poi in Diritto pubblico generale, Milano, 1940, 352. Cfr.
anche V.E. Orlando, Intorno alla crisi mondiale del diritto. La norma e il fatto, in Scritti giuridici in onore di Francesco Carnelutti,
Padova, 1950, 580.
‘crisi’ molto più di quanto non avvenga attualmente2. Il costituzionalista che ha deciso di non
orientare la sua ricerca verso un impegno scientifico di tipo ‘militante’, così, ritrova nel “muro
protettivo”3 dello affinamento del metodo giuridico la stessa possibilità “di lavorare con
sufficiente distacco dalla realtà politica del momento”4.
Tuttavia, nonostante la percezione della trasformazione, ormai irreversibile, del modo di
essere dello Stato moderno segnata dal fascismo, che avrebbe impegnato coerentemente
“anche tutto lo svolgimento delle future architetture della teoria generale dello Stato e del
diritto pubblico”5, la dottrina costituzionale non sembra cogliere pienamente le evidenti
contraddizioni che si erano ormai esplicitate nello Stato fascista, tanto da portare autorevole
dottrina ad affermare che lo Stato fascista si colloca in una linea di continuità con quel
“complesso ordinamento che si è convenuto chiamare ‘Stato di diritto’ ... e (che) ne realizza
una fase di ulteriore perfezionamento”6. Tali affermazioni rinviano ad analisi approfondite di
studiosi che hanno “vissuto interamente il proprio tempo, in esso profondamente immerso ...
nessun rifiuto manicheo, nessuna assolutizzazione moralistica ma una grande capacità di
ascolto e un grande rispetto per ogni umana vicenda. In questo pensiero è dato, infatti,
cogliere tutta la duttilità di uno spirito … sensibile ai molti segni che gli passano intorno,
disinvolto nell’utilizzare gli strumenti storici che vengono alla sua portata, che sono e restano
strumenti ... Piuttosto che di nicodemismo si deve parlare della sincerità di (personaggi) che
non smentisc(ono) mai i legami col proprio tempo, che tend(ono) a strumentalizzarlo e
pertanto a non lasciarsi particolarizzare dalle miserie legate alla contingenza”7.
Lo scenario da cui muove e a cui porterà la ricerca costituzionale nel periodo costituente e
durante i primi anni della Repubblica, l’utilizzazione da parte di questa dottrina di un metodo
antiformalistico, attento a ricercare sintesi e armonie fra diritto e politica, è quello definito
dagli eventi istituzionali e politici dello Stato italiano post-risorgimentale8, che sono
contrassegnati da un rapido e talvolta drammatico succedersi di trasformazioni politiche e
sociali, che non possono non riflettersi – oltre che nella legislazione e nell’amministrazione –
nella stessa tipizzazione della forma dello Stato e nei nuovi valori e princìpi posti, via via, a
suo fondamento.
La crisi dello Stato moderno, prima ancora della rottura segnata dal fascismo, aveva
assunto piena rilevanza già dopo (e anche a causa del) la prima guerra mondiale,
manifestandosi in eventi portentosi nella quantità e nella qualità, prima del tutto sconosciuti,
come la nascita e l’affermazione dei partiti di massa (prima come ‘partiti di combattimento’9,
secondo la lucida definizione di G.U. Rescigno, e in seguito come partiti popolari), la
2 Cfr. S. Cassese, “La prolusione romaniana sulla crisi dello Stato moderno e il suo tempo”, in Consiglio di Stato, Associazione Italiana
dei Costituzionalisti, Conclusioni alla Giornata di studio su ‘Lo Stato moderno e la sua crisi’ a un secolo dalla prolusione pisana di Santi
Romano, Roma, 30 novembre 2011 (paper); P. Grossi, Lo Stato moderno e la sua crisi (a cento anni dalla prolusione pisana di Santi
Romano), in RTDP, 2011, n. 1, 1; A. Romano, Santi Romano, Lo Stato moderno e la sua crisi e l’ordinamento giuridico, in RTDP, 2011, n.
2, 33.
3 Cfr. M. Galizia, Profili storico-comparativi della scienza del diritto costituzionale, in Archivio giuridico F. Serafini, 1963, 1-2, 103,
cui adde P. Biscaretti di Ruffia, L’esposizione dommatica del diritto costituzionale nella recente letteratura italiana, in Jus, 1941, 106.
4 Cfr. M. Galizia, Profili ... cit., 103.
5 Cfr. P. Grossi, Pagina introduttiva, in M. Galizia e P. Grossi (a cura di), Il pensiero giuridico di C. Mortati, Milano, 1990. Nella
stessa direzione cfr. M. Galizia, op. cit., 104 e bibliografia ivi citata.
6 Cfr. P. Grossi, op. cit., 2.
7 Cfr. P. Grossi, op. cit., 2.
8 Cfr. V. Crisafulli, La legislazione del cinquantennio, in AA.VV. (Atti convegno Messina-Taormina, 3-8 novembre 1981),
Cinquant’anni di esperienza giuridica in Italia; L. Paladin, voce Fascismo (dir. cost.), EdD, XVI; Santi Romano, Lo Stato moderno e la
sua crisi, Milano, 1969 (riedizione); G. Cianferotti, Il pensiero di V.E. Orlando e la giuspubblicistica italiana fra ’800 e ’900, Milano,
1980.
9 Cfr. G.U. Rescigno, Alcune considerazioni sul rapporto partiti-Stato-cittadini, in Studi in onore di C. Mortati, Padova, 1977.
2
diffusione del movimento sindacale e la sua graduale partecipazione alla produzione
normativa (contratti collettivi). In breve, il passaggio, con la graduale estensione del suffragio
(che diviene universale solo con il referendum istituzionale del 1946) da uno Stato
monoclasse ad uno pluriclasse (per utilizzare la efficace nozione gianniniana10) e il
riconoscimento sempre più esplicito della disomogeneità sociale che connota la base sociale
dello Stato costituiscono eventi e consapevolezze che, se cercano di trovare nello Stato il
luogo istituzionale per assicurare la rappresentanza e la mediazione fra la complessità degli
interessi presenti nella società, fanno assistere, al tempo stesso, al dilagare della lotta politica
fra gruppi contrapposti e spesso fanno degenerare la stessa in rissa violenta.
Analizzato sotto un profilo più strettamente giuridico, può dirsi che l’esistenza di quei
fenomeni, appena accennati, e il loro sviluppo accelerato, a cavallo fra ’800 e ’900, si
riflettono in modo particolare nel diritto pubblico, e in particolare in quello costituzionale,
registrando tale branca del diritto una minore efficacia a dominare la complessità dei
fenomeni sociali e al contempo a garantire (e ad espandere) la protezione del sistema delle
libertà civili e politiche, che costituisce patrimonio proprio del modello teorico dello Stato di
diritto moderno11. Possiamo ricordare, in tal senso, come già nel 1910 Santi Romano, uno dei
più attenti costituzionalisti del tempo, aveva modo di sottolineare che “il diritto pubblico
moderno non domina ma è dominato da uno movimento sociale (corporativismo) al quale si
viene stentatamente adattando e che intanto si governa con delle leggi proprie”12.
Orientamenti non molto diversi sottolineava V.E. Orlando, il quale si spingeva fino a
riconoscere il successo del colpo di mano fascista del 1922 nella debolezza e nell’incapacità
dei governi dell’epoca, trasformati – come egli sottolineava – in “una assemblea di delegati
dei gruppi”, più che in soggetto-istituzione responsabile del governo del Paese.
Questi richiami ci consentono di osservare come la crisi dello Stato (e, più in generale, la
trasformazione profonda delle istituzioni costituzionali) trovi una sua prima origine e
spiegazione nella trasformazione profonda delle basi economiche e sociali delle costituzioni
liberali moderne. Il passaggio da un capitalismo di tipo concorrenziale ad uno di tipo
monopolistico, nei primi anni del XX sec., si accompagna, infatti, ad una ristrutturazione della
compagine sociale che, originariamente fondata su una concezione atomisticoindividualistica, tende a riarticolarsi in una pluralità di formazioni e gruppi sociali. A questi,
nella loro concreta articolazione e diversità di profili (confessioni religiose, associazioni
politiche e sindacali, comunità di lavoratori e di utenti, ecc.), le costituzioni contemporanee, e
quella italiana in particolare, attribuiranno in prosieguo una rilevanza così piena della qualità
di veicolo politico-giuridico fra lo Stato e l’individuo da riconoscere loro funzioni di tipo
pubblicistico e con esse la stessa attribuzione di autonome potestà normative (è quanto
avverrà, ad esempio, in materia di contrattazione collettiva). Con il riconoscimento di un
pluralismo sociale e, di conseguenza, con l’assunzione di un neo-corporativismo complesso
come nuova base di riferimento dell’azione statale, così, le costituzioni che si formano a
seguito della crisi delle originarie forme di Stato liberaldemocratico risultano ben più
complesse: aumenta la quantità e la qualità degli interessi costituzionalmente riconosciuti e
tutelati, mutano le stesse finalità costituzionali e i valori di riferimento dello Stato.
10
Cfr. M.S. Giannini, Il pubblico potere, Bologna, 1986.
Fra gli altri, cfr. anche G. Zagrebelsky, Il diritto mite, Torino, 1992, e dello stesso A., Il metodo di Mortati, in F. Lanchester (a cura
di), Costantino Mortati costituzionalista calabrese, Napoli, 1989.
12 Cfr. Santi Romano, Lo Stato ... cit., 12.
11
3
Se la trasformazione del contesto sociale ed economico, nei suoi profili più strettamente
giuridici e istituzionali, come nuova base di riferimento dell’azione dello Stato, trova una
parte della dottrina impreparata a coglierla, ad una posizione tutt’altro che evasiva si orienta,
in questi anni di crisi dello Stato liberale, una parte di giovani studiosi (fra cui, insieme a
Mortati, sono da ricordare Tosato, Crisafulli, Esposito), che avvieranno già negli anni del
fascismo una riflessione approfondita sulle nuove tematiche dello Stato, del diritto e della
Costituzione. Se nell’immediato l’analisi teorica di questi studiosi non conseguirà risultati
innovativi di elaborazione teorico-dogmatica, tuttavia, porrà le basi teoriche su cui si fonderà
la scienza costituzionale successiva e la stessa ricerca della più attenta dottrina costituzionale
della fase democratico-repubblicana.
Così, se la dottrina classica – in conformità alle concezioni idealistiche di fondo dell’epoca
– fondava la dogmatica giuridica e la teoria dello Stato sui princìpi del formalismo giuridico,
ispirati a loro volta a nozioni aprioristiche ascrivibili al metodo delle scienze perfette, tale
nuovo orientamento della dottrina costituzionale mira piuttosto ad approfondire le tematiche
della “istituzionalità sociale del diritto”13, nel tentativo teorico di fondare la sua “dimensione
sociale”14, senza per questo prefiggersi di flettere le esigenze dogmatiche della scienza
giuridica alle modalità (eminentemente) descrittive dello approccio sociologico.
Già le analisi del Mortati15 (e soprattutto il saggio monografico su ‘La Costituzione in
senso materiale’) e quelle del Crisafulli16 esprimono appieno i risultati cui perviene
l’applicazione innovativa dei criteri e del metodo giuridico ad argomenti dalla natura
prevalentemente politica. Si tratta di una ricerca che, per la prima volta, si propone di
estendersi – come è stato bene osservato – fino alla “zona grigia” del diritto costituzionale.
Illuminando le discontinuità di un simile approccio rispetto alla dogmatica tradizionale,
un’impostazione metodologica e teorica così caratterizzata porterà la dottrina costituzionale
più avvertita a cogliere la portata e il significato giuridico di una nuova nozione, quella di
‘costituzione materiale’, che si propone come nuova categoria interpretativa capace di cogliere
il “fondamento giuridico”, la “fonte suprema” degli ordinamenti giuridici17.
Riflettendo sulle novità del contesto sociale e politico e sulle problematiche poste dalla
emersione del fenomeno partitico, prima, e dalla qualificazione dei rapporti fra Partito
Nazionale Fascista e Stato, Mortati comprende come non possa limitarsi a confinare nel mero
fatto un simile, nuovo, scenario politico-istituzionale. Con la nozione di ‘Costituzione in
senso materiale’, in realtà, tale orientamento si muove alla ricerca di nuove nozioni giuridiche
nelle quali il principio di effettività (e non più solo quello della mera esistenza della norma
giuridica) si ponga come fondativa della stessa validità delle norme giuridiche,
dell’ordinamento costituzionale e della stessa sovranità dello Stato18.
13 Cfr. M. Galizia, op. cit., 105. Per un approfondimento del contributo metodologico e teorico di Mortati alla scienza giuridica cfr.
anche M.S. Giannini, Scienza giuridica e teoria generale in Costantino Mortati, in M. Galizia e P. Grossi (a cura di), Il pensiero giuridico
… cit., 7; G. Zagrebelsky, Il metodo di Mortati e F. Lanchester, Costantino Mortati e la dottrina degli anni trenta, ambedue in F.
Lanchester (a cura di), Costantino Mortati ... cit..
14 Cfr. M. Galizia, op. cit., passim.
15 Soprattutto in L’ordinamento del governo nel nuovo diritto pubblico italiano, Roma, 1931.
16 In Per una teoria giuridica dell’indirizzo politico, Urbino, 1939.
17 Cfr. C. Mortati, La Costituzione in senso materiale, Milano, 1940, 49. Dello stesso A. cfr. anche Costituzione (dottrine generali), in
EdD, XI, Milano, 1962, 174 e bibliografia ivi citata.
18 Osservazioni per uno studio del diritto costituzionale quale “struttura sociale”, in Studi in onore di C. Esposito, IV, Padova, 1974,
2778; S.M. Cicconetti, Appunti di diritto costituzionale, Torino, 1992, 19; M. Nigro, Costituzione ed effettività costituzionale, in RTDPC,
1972, 31; F. Modugno, Il concetto di costituzione, in Scritti in onore di C. Mortati, I, Milano, 1977, 208; G. Guarino, Sulla normatività
4
È su questa base che Mortati può definire come ‘costituzione materiale’ quell’insieme di
fini politici e di forze politiche dominanti, per significare come non sia più bastevole la mera
assunzione di regole formali accolte nella Costituzione a definire la concreta, reale, vigenza
della stessa, dovendosi porre lo studioso, al contempo, la problematica della concreta vigenza
di tali regole e dei soggetti che di essa sono responsabili.
La novità del metodo giuridico proposto dal Mortati consiste appunto in questa nuova
consapevolezza teorica. Ad essa lo studioso perviene sulla scorta di uno studio approfondito
che partiva dallo studio della dottrina tedesca classica (da Laband a Jellinek, a Kormann,
all’intera pandettistica gius-pubblicistica). Rispetto agli approcci dottrinari dominanti
all’epoca – quello normativistico di Kelsen, l’istituzionalismo, il decisionismo di Schmitt e la
teoria dell’ordinamento giuridico – la teoria mortatiana, a ben vedere, non si propone un
allontanamento dall’approccio normativistico. Come osserva l’Autore, infatti, “il considerare
la Costituzione politica come decisione concreta non vale a differenziarla dalla norma”19, e
“se poi la decisione s’inserisce, come si deve, in un ordine e si fa derivare da questo”20, non ne
segue un contrasto necessario fra la “naturalezza e la spontaneità di quest’ultimo con l’astratta
validità della norma”21, in quanto “la norma non è tale giuridicamente solo come forma
astratta, ma come comando concretamente efficiente ... (e poiché uno Stato) non si costituisce
solo per perpetuare, garantire e rafforzare un dato ordine spontaneo ma per dirigere
quest’ordine verso vie nuove, tracciare un piano ... (le norme) non devono considerarsi solo la
parte giuridica dell’ordine concreto, il mezzo indispensabile per esprimerlo esteriormente, ma
anche il meccanismo di trasformazione di quest’ordine”22.
La novità della teoria della ‘costituzione materiale’, in tale ottica, consiste meno nei
tentativi di definizione teorica del concetto, sostanziandosi piuttosto nel metodo giuridico
utilizzato, che si ripropone di integrare, in modo compiuto, il principio di effettività
all’interno della dogmatica giuridica. Come Mortati osserva, infatti, “… non è esatto ritenere
che la Costituzione formale, una volta entrata in vigore, assorba in essa totalmente quel
complesso di elementi e di fattori che si sono inclusi nel concetto di Costituzione materiale,
sicché essi siano da considerare irrilevanti per lo studio del diritto e da respingere nella sfera
del pregiuridico. Una volta ammesso che diritto non è l’insieme delle statuizioni consacrate in
un testo di legge e operanti pel solo fatto di tale consacrazione, ma quel complesso ordinato di
situazioni e di rapporti che si raccoglie in un centro di autorità, e costituisce il diritto
‘vivente’, valevole come tale anche se contrastante con quello legale, allorché l’osservazione
documenti l’avvenuta sua stabilizzazione, non si rende possibile escluderne l’autonomo
rilievo. In altri termini, quando la categoria del giuridico si collochi sotto il segno della
effettività si rende necessario alla sua comprensione l’esame del concreto modo di operare
delle istituzioni sociali sottostanti alle norme”23.
Non si può affermare, tuttavia, che le novità introdotte con il nuovo metodo consentano di
conseguire “idee generali cristallizzate, fuori dal tempo, valide di per sé, alle quali si possa
fare appello per la costruzione di una teoria generale della Costituzione o di un diritto
della Costituzione materiale, in Il foro penale, 1957; S. Bartole, Costituzione materiale e ragionamento giuridico, in Scritti in onore di V.
Crisafulli, Padova, 1986 e dello stesso A. Costituzione (dottrine generali e diritto costituzionale), in Dig. D.P., 1989; S. D’Albergo, Il
potere democratico fra Costituzione materiale e funzione di indirizzo politico, in Democrazia e diritto, 1973, 3.
19 Cfr. C. Mortati, La Costituzione ... cit., 121.
20 Ibidem, 154.
21 Cfr. anche G. Cianferotti, op. cit., 285.
22 Cfr. C. Mortati, La Costituzione ... cit., 96.
23 Cfr. C. Mortati, Istituzioni di diritto pubblico, Padova, IX ed., 1975, 34 e bibliografia ivi citata sul principio di effettività.
5
costituzionale generale”24. Il problema della effettività era posto ma non ancora risolto. La
Costituzione formale continua a prevalere e ad assorbire la costituzione materiale e, come si fa
correttamente valere, “è dalla prima che s’identifica la forma di Stato, così come è da essa,
oltrechè dall’ordinamento nel suo complesso, che si ricavano gli elementi per la
interpretazione e l’integrazione delle norme”25.
I risultati di una simile impostazione, dunque, non sono ancora tali da assicurare la
ricostruzione di un percorso di ricerca costituzionale capace di fornire piena certezza nei
risultati dell’indagine stessa; tuttavia, essi pongono un problema, rompendo un inquadramento
dogmatico che risale alla dottrina francese e alle elaborazioni teoriche della dottrina austrotedesca. In breve, può dirsi che esse pongono le premesse di un orientamento dottrinario
ispirato all’esigenza di ‘deformalizzare’ lo specialismo giuridico della dottrina
giuspubblicistica classica alla ricerca di un avvicinamento alle nuove intuizioni consentite
dalla metodologia giuridica (definita nei termini sopra richiamati), alla ridefinizione giuridica
dei nuovi rapporti fra la realtà costituzionale e quella politica, ove ormai operano complessi
interessi e ‘nuovi principi’, i partiti politici. Come potremo osservare meglio in seguito, a
questi risultati – aiutato dalla nuova collocazione costituzionale delle funzioni di tali soggetti
politico-comunitari – si rifarà, con la riconquistata democrazia, prima timidamente e poi con
maggiore consapevolezza, la dottrina costituzionalistica a partire dagli anni ’5026.
Avviando a conclusione questo primo avvicinamento al tema della cultura giuridicocostituzionale nella sua evoluzione dall’800 al ’900, unitamente agli esiti teorici realizzati da
una simile ricerca critica nei confronti delle chiusure imposte dalle concezioni classiche del
metodo giuridico, occorre cogliere la stessa ridefinizione del ruolo del giurista nel
“superamento del divorzio fra indirizzo empirico e indirizzo sistematico, nella
consapevolezza che, come l’indagine puramente empirica senza un criterio fondamentale
ordinatore e senza la successiva organica coerente elaborazione dei dati non è in grado di dar
luogo a risultati scientificamente rilevanti, così, correlativamente, le costruzioni concettuali
staccate da un’ampia ricerca in profondità sul terreno vivo dell’esperienza giuridica sono un
mero esercizio razionale a vuoto”27.
La risoluzione di tale antinomia segna, per una parte della migliore dottrina, la stessa fine
del modello del ‘giurista neutro’, che non è priva di un rischio di asservimento della scienza
giuridica alle categorie politiche: “In pratica, per avere chiavi interpretative, se non sicure
almeno accettabili, il giuspubblicista deve divenire anche politicamente orientato: è, cioé,
anche operatore politico politicamente orientato; senza che, ovviamente, ciò significhi
necessariamente politicamente impegnato. Viene così a cessare il giurista politicamente
neutro, mero analista e teorico del dato, che aveva avuto tanto spazio nel periodo
precedente”28.
Il superamento del fascismo con la riconquista della democrazia consentirà alla dottrina,
così, di sviluppare tutte le premesse poste da un simile orientamento metodologico e teorico. I
24
Così anche G. Zagrebelsky, Il metodo ... cit., 85-86.
Così S. M. Cicconetti, op. cit., 24.
26 Per un inquadramento istituzionale e critico di tale processo, nell’ampia bibliografia, cfr. almeno P. Ridola, Partiti politici, Milano,
1989; S. Gambino, Partiti politici e forma di governo, Napoli, 1977; S. Bonfiglio, Forme di governo e partiti politici, Milano, 1993;
AA.VV., Partiti politici e società civile a sessant’anni dall’entrata in vigore della Costituzione, Napoli, 2009. L’opera che segna lo
spartiacque teorico e metodologico sul punto rimane tuttora la voce Governo (forme di) di L. Elia, in EdD, XVI, 1970.
27 Così M. Galizia, op. cit., p. 109.
28 Così M. S. Giannini, Diritto amministrativo, in AA.VV., Cinquant’anni di esperienza giuridica ... cit., p. 374.
25
6
risultati più felici di una simile ricerca porteranno la migliore dottrina a trarre tutte le
conseguenze teorico-dogmatiche di un processo costituzionale che ha ridefinito, nella
Costituzione repubblicana del ’48, le proprie fonti di legittimazione politico-giuridiche,
superando la tradizionale teoria della sovranità dello Stato a favore di un approccio teorico
che, nella definizione dello Stato, riunisce in unum gli elementi ascrivibili alla nozione di
Stato-persona giuridica e quelli riferibili allo Stato-comunità.
Con Mortati, in particolare, si avvia – per usare la stessa terminologia usata dall’Autore –
una “nuova fase della scienza giuspubblicistica indirizzata alla determinazione del proprio
oggetto ... (operando essa stessa) quale fattore creativo della realtà alla quale rivolge il suo
studio, s’inserisce cioé in essa come forza attiva, nel senso che, mentre ne riflette le esigenze e
idealità, contribuisce poi a potenziarle scoprendone le ragioni e le forze che le muovono, i
nessi che le legano in unità, la regolarità delle loro manifestazioni da cui si deduce la
intrinseca loro normatività”.29
Dalle concezioni dogmatiche classiche, ispirate com’erano al concetto filosofico hegeliano
di Stato, assunto come trascendente rispetto alle esigenze e alle domande del corpo sociale, e
considerato “come qualcosa di astratto e di mitico, come entità superindividuale, distaccata
dagli uomini e trascendente, se non addirittura divina, avente finalità e interessi suoi, superiori
e diversi da quelli dei cittadini”30, si passa, così, da parte della dottrina più attenta, a prendere
coscienza degli elementi fondamentali della sua immanenza e della sua storicità e con esse
delle esigenze teoriche di una sua ridefinizione.
Tale è il significato più profondo della ripresa e dell’approfondimento di nozioni come
quella espositiana di ‘nazione’31, o come quella mortatiana di ‘costituzione materiale’,
attraverso le quali la dottrina costituzionale più avvertita si muove lentamente nella direzione
di una ripresa di contatto, di dialogo, fra Stato-apparato e società civile, coinvolte anche dalla
nozione crisafulliana di ‘indirizzo politico’32. Lo Stato si presenta ormai allo studioso sempre
più come il “re nudo” della nota favola di Anderson. Lo Stato liberal-democratico del
costituzionalismo moderno (sia quello rivoluzionario del costituzionalismo francese che
quello consuetudinario del costituzionalismo britannico), in breve, non riesce più a
giustificare “il mito dello Stato neutrale, super-arbitro delle contese fra le classi sociali”33;
entra in crisi l’intera concezione classica dell’unità della “forma” statuale.
Dalla rottura della previgente ‘omogenità sociale’, che, a sua volta, era conseguenza della
ristrettezza del suffragio, emergono una pluralità di nuove “forze e concezioni sociali”
(gruppi, formazioni e associazioni sorti a tutela di interessi differenziati e conflittuali), che si
contrappongono in modo maggiore o minore allo Stato e, “pur di perseguire un proprio
interesse, non esitano a ferire a morte quelle che sono condizioni essenziali per la salute e la
29 Così C. Mortati, Diritto costituzionale (nozioni e caratteri), in EdD (ora anche in C. Mortati, Raccolta di scritti, II, 256, da cui
riprendiamo le citazioni), il quale sulle problematiche poste dalla funzione creativa della scienza rinvia a G. Capograssi, Il problema della
scienza del diritto, Milano, 1962.
30 Cfr. E. Tosato, Sovranità del popolo e sovranità dello Stato, in RTDP, 1957, 42.
31 Nell’approfondimento che ne fa C. Esposito nelle sue opere, a partire già da Lo Stato e la nazione italiana, in ADP, 1937, II.
32 In Per una teoria giuridica dell’indirizzo politico, Urbino, 1939, 91.
33 Così L. Elia, Diritto costituzionale, in AA.VV., Cinquant’anni di esperienza giuridica ... cit.
7
vita dello Stato”34. Con la loro emersione si rompe il previgente equilibrio assicurato dalla
legge generale e astratta, fondando, al contempo, un regime pluralistico di fonti normative.
A fronte di un simile assetto, la dottrina non può non avvertire, come osserva Mortati,
“l’esigenza di adeguare la sua metodologia alle trasformazioni verificatesi, di spostare la
propria attenzione dalla legge al fatto normativo, dall’ordine legale all’ordine concreto, dalla
Costituzione formale alla istituzione, dalla validità all’effettività, facendo aderire le sue
costruzioni ai dati desumibili da tutti gli elementi che concorrono alla vita dell’ordinamento e
respingendo ogni specie di astratto logicismo formale”35.
Il processo di crisi dell’unità politica statuale, interagendo con la crisi del formalismo
giuridico, accentua la “perdita di unità e di identità della forma Stato”36; con essa si
compromette la stessa sua “capacità di direzione e di neutralizzazione, di conciliazione degli
antagonismi nei confronti di tutte le forze particolari dipendenti”37. Si perviene così, nella
dottrina come nella pratica istituzionale dei pubblici poteri, a una ‘deformalizzazione’ dello
Stato e ad un viepiù crescente ‘pluralismo di poteri diffusi’. È in questo quadro di
superamento dell’approccio dottrinario tradizionale che occorre collocare i tentativi della più
attenta dottrina costituzionale del dopoguerra di accostarsi in modo innovativo allo studio
delle forme di Stato e di quelle di governo38.
Il tentativo di fare il punto sul contributo alla deformalizzazione della scienza
costituzionale nello studio dello Stato e delle forme storiche della democrazia impone di far
partire la ricerca dagli eventi istituzionali-costituzionali registrati nel corso del fascismo e
dalle diverse rielaborazioni che tali eventi hanno prodotto nella dottrina giuspubblicistica.
Nella definizione della forma di Stato contemporaneo come ‘Stato di partiti’, infatti,
occupano uno spazio indubbiamente importante gli eventi costituzionali registrati durante il
regime fascista, con il ruolo centrale occupato al suo interno dal partito unico (il P.N.F.), nella
sua ipostatizzazione ideologica e costituzionale; da qui, appunto, aveva preso le mosse
l’analisi mortatiana della ‘costituzione materiale’. Pur senza voler discutere, in questa sede, la
tematica della sua giuridicità-prescrittività, non si può disconoscere come essa abbia
condizionato, nella fase della riconquistata democrazia, lo sviluppo della ricerca
costituzionale sui rapporti fra vitalità della forma di Stato e modalità di organizzazione al suo
interno dei poteri costituzionali.
A parte l’interesse in sé della questione, un profilo appare importante da sottolineare, in
quanto idoneo a fare da trait d’union fra le problematiche istituzionali del fascismo con
quelle, a monte, delle istituzioni statutarie e, a valle, delle vigenti istituzioni repubblicane.
Tale profilo è dato dalle teorie giuridiche e statuali che hanno accompagnato le fasi di
evoluzione dello Stato nel XX sec. Nell’affrontare il tema dei rapporti Stato-società, basterà
solo accennare ad alcuni di essi per osservare come in tale approccio sia escluso
34 Come osservava V.E. Orlando, Lo Stato e la realtà, ora in Diritto pubblico generale. Scritti vari ordinati in sistema, Milano, 1956,
220. Analisi non dissimili, salvo a differenziarsene nelle soluzioni suggerite, sono svolte da C. Mortati in Brevi note sul rapporto tra
Costituzione e politica nel pensiero di Carl Schmitt, in QF, II, 1973, 717.
35 Così C. Mortati, Diritto costituzionale ... cit., 257.
36 Così anche G. Cianferotti, op. cit., 348.
37 Ult. op. cit., 348.
38 Un esempio illuminante di questo orientamento è fornito da Elia nella voce Governo (forme di) ... cit., sulla scorta di un approccio
metodologico che risaliva indietro nel tempo e al quale si erano ispirate le importati analisi di T. Martines nel suo Contributo ad una teoria
giuridica delle forze politiche, Milano, 1957.
8
teoreticamente ogni rapporto fra diritto e realtà. Quando tale metodo viene da taluni superato
in dottrina, esso lo è comunque in una considerazione della realtà che è comunque parziale. La
conseguenza di ciò, nella considerazione della dottrina classica del diritto pubblico e di
conseguenza della giurisprudenza, è di ritenere che il metodo con il quale “essi interpretavano
la realtà giuridica fosse il metodo giuridico per eccellenza”39.
La scienza giuridica si costruisce, così, come una pura tecnica interpretativa finendo –
come si fa bene osservare – “col forzare la realtà che essa afferma di volere interpretare o
descrivere in maniera del tutto neutra e coll’influire essa stessa su questa realtà”40. Il giurista
non è, dunque, in questa concezione – che potremmo definire positivista – un creatore del
diritto quanto piuttosto un suo mero interprete, un sistematizzatore. Nella sua attività, il
giurista deve escludere cioé ogni valutazione di merito, dovendosi limitare ad una mera
attività di tipo esegetico. Una simile premessa sulla scienza giuridica appariva utile per
cogliere le novità metodologiche e la produttività ermeneutica delle teorie giuridiche che
maggiormente hanno caratterizzato la riflessione della scienza giuridica del XX sec.;
parliamo, in particolare, della teoria dell’ordinamento giuridico, della teoria dell’istituzione e
soprattutto della teoria della Costituzione in senso materiale – costruzioni teorico-dogmatiche,
queste ultime, che hanno in comune di costituire una riflessione critica dell’approccio
giuridico classico nel senso di una nuova percezione verso l’organizzazione delle forze
sociali, orientata nel senso del superamento della discrasia osservata fra realtà e costruzioni
teoriche.
Tali teorie, che si sviluppano coevamente agli eventi politici di trasformazione dello ‘Stato
di diritto’ nel contemporaneo ‘Stato costituzionale’, registrano cioé l’esigenza di aggiornare il
concetto di Stato rispetto alle analisi della dottrina ottocentesca come “vera e unica istituzione
necessaria” per risolvere i problemi della vita associata. Dovuta a Santi Romano, la prima di
tali concezioni rompe la sacralità delle antiche definizioni, disarticolando “l’unità e l’unicità
dello Stato e del suo diritto” e proponendone una teorizzazione che, più che dissolvere, lo
articola in una pluralità di ordinamenti, ciascuno dotato di un proprio sistema giuridico, di cui
la teoria approfondisce le differenze e le relazioni rispetto all’ordinamento giuridico-Stato.
Dopo aver tratteggiato, sia pure in modo essenziale, gli orientamenti dottrinari che si sono
affermati in Italia nel primo cinquantennio di vigenza della carta costituzionale, con specifico
riferimento alla questione della natura giuridica del partito e del suo processo di
avvicinamento allo Stato, fino a divenirne – come taluno in dottrina si è spinto ad affermare –
un suo quasi-organo, occorre ora avvicinarsi più da vicino per riprendere il contributo che alla
sistematizzazione della dottrina ha offerto uno degli studiosi del quale, dopo Costantino
Mortati, può dirsi che con maggiore realismo, equilibrio e continuità ha guidato il processo di
rinnovamento del metodo e della stessa scienza costituzionale in Italia.
Elia è, certamente, fra quegli autori che hanno mostrato maggiore sensibilità alla
comprensione dei condizionamenti di natura extra-giuridica in sede di attuazione delle norme
costituzionali; ciò in ossequio ad una metodologia giuridica mirata non solo alla
comprensione dell’organizzazione strutturale dei poteri ma anche, e soprattutto, alla
comprensione dei relativi momenti funzionali e dinamici, che risulta quanto mai produttivo di
conoscenza nello studio delle forme di governo sia nell’ambito del diritto costituzionale che in
39
40
Cfr. C. Roehrssen, Governo, legge, politica, Milano, 1969.
Ult. op. cit.
9
quello comparato. Come è stato osservato, l’adozione di un criterio complesso per classificare
le forme di governo, in Elia, “esprimerà le diverse modalità di attribuzione e di esercizio della
funzione di indirizzo politico attraverso uno schema concettuale offerto in parte dalla teoria
della separazione dei poteri (per quanto riguarda gli elementi emergenti dai dati normativi) ed
in parte dalla tipologia dei sistemi di partito (per quanto riguarda gli aspetti dinamici
dell’equilibrio tra gli organi costituzionali)”41. Questa contaminazione del diritto
costituzionale, pur rendendosi necessaria in virtù del fatto che la dogmatica aveva finito per
attribuire alle tipologie di governo “un valore di forme o categorie logiche a priori, tali da
condizionare le norme piuttosto che rimanere da queste condizionati”42, con un’evidente
rigidità dei modelli rispetto alla complessità delle realtà contemporanee, nondimeno, ha posto
rilevanti problemi soprattutto di ordine metodologico.
Come si è ricordato in precedenza, l’evoluzione dottrinaria sul metodo nella scienza
costituzionale che ha evidenziato, nel tempo, l’esigenza di una deformalizzazione della stessa
– se si prescinde dalle analisi problematiche della prevalente dottrina a proposito della
categoria mortatiana di ‘costituzione materiale’ (la critica della cui ambiguità aveva ottenuto il
consenso della prevalente dottrina degli anni ’50) – non ha sempre trovato specifica attenzione
da parte della dottrina, a partire dagli anni ’60 in poi. La scienza costituzionale – in modo
prevalente – si concentra sulla lettura delle norme costituzionali offerte dalla Corte
costituzionale, sviluppando in tal modo un approccio giurisdizionalistico del diritto
costituzionale stesso, al quale, come si può osservare, talora rimane sostanzialmente esterno
se non proprio secondario l’apporto della dottrina.
In un quadro dottrinario di questo tipo e nello stesso contesto di una forma di governo che,
come già aveva osservato il Mortati dei primi anni ’70, si era trasformato, con il passare del
tempo, in ‘regime maggioritario’, le analisi di Elia sembrano chiaramente conformarsi ad una
simile deformalizzazione della scienza costituzionale, mai facendo venir meno, tuttavia, le
esigenze di certezza che sono proprie della prescrittività delle norme giuridico-costituzionali.
Talora, questo approccio metodologico esplicita la stessa preoccupazione del rischio
conformistico in cui può incorrere il costituzionalista. Nel richiamare tale censura, che era
stata espressa a suo tempo dal Capograssi43, Elia sembra far propria, tuttavia, la nozione
capograssiana di “esperienza”, ricorrendo alla quale egli si ripropone di sottolineare la novità
formale e sostanziale della carta repubblicana, nonché il carattere progressivo del processo di
adeguamento dei rapporti e degli istituti alle direttive della Costituzione, riaffermandosi in tal
modo che “il diritto costituzionale, più ancora degli altri settori dell’esperienza giuridica, è
realtà vivente che deve essere colta nella immediatezza delle molteplici manifestazioni nella
quali si spiega”.44 “L’affermarsi di un metodo più ‘realistico’” è ciò che l’Autore, più che
auspicare, sembra dare come scontato quando riflette sugli sviluppi nella metodologia accolta
dai costituzionalisti a partire dagli anni ‘60 anche alla luce dei contributi offerti dalla
letteratura anglosassone e dallo studio delle giurisprudenze costituzionali straniere, cui si fa
sempre più frequente riferimento, un metodo – quest’ultimo – che si orienta al superamento
del “divorzio tra indirizzo empirico e indirizzo sistematico”, pur cogliendo come
41 In tal senso M. Dogliani, Spunti metodologici per un’indagine sulle forme di governo, in GC, 1973, 233, che sviluppa una critica di
fondo alla classificazione tradizionale delle forme di governo.
42 Cfr. C. Mortati, voce Diritto costituzionale (nozioni e caratteri), in EdD, XII, 950.
43 In Il problema di V.E. Orlando, in Opere, V, Milano, 1959, 360.
44 Così L. Elia, in Diritto costituzionale, in Cinquant’anni ... cit., 355, in cui, a conferma, si cita l’accoglimento di tale orientamento
della dottrina costituzionale riunita intorno alla rivista Giurisprudenza costituzionale, colta come una “specie di C.L.N. della scienza
costituzionalistica” italiana.
10
“eccessivamente ottimistico” quella convergenza auspicata dal Galizia “tra istanze
sociologiche, politiche e giuridiche nella ricerca cotituzionalistica” che teneva tuttavia fermi
“l’autonomia ed il carattere giuridico della stessa”45.
Sull’assenza di una specifica analisi sul metodo nella scienza costituzionale, anche altri
studiosi46 osservano che “il superamento del c.d. metodo giuridico è avvenuto senza una
precisa ed univoca scelta di metodo”; mentre altri, in modo più netto, fanno rilevare che
“quando si è rotta la vecchia e superata impalcatura, cosa che è successa alla metà degli anni
‘60, il diritto costituzionale è stato inizialmente vivificato, ma alla lunga è uscito distrutto”47.
In quanto scienza e non dogma, in una simile concezione, così, si osserva che il diritto
costituzionale non può cristallizzare nel tempo i propri oggetti e le proprie metodologie ma
deve, pur con difficoltà, adeguarli ai bisogni di conoscenza via via emergenti. In tal senso – e
limitandosi alle problematiche poste dallo studio delle forme di governo – se alle tipologie
delle forme di governo non si chiede solamente una valenza prescrittiva, ma anche una
valenza immediatamente descrittiva, non è chi non veda quanto vantaggiosi appaiano quegli
approcci a più dimensioni che producono esiti comprensivi della realtà.48
Sotto tale specifico profilo, la mancata considerazione dei partiti politici come elementi
quantomeno rilevanti per la comprensione della funzionalità delle forme di governo derivava
dalla concezione esclusivamente normativistica, dalla mancata distinzione tra “assenza di
norma giuridica e assenza di norma scritta”, il che ha impedito “all’attenzione dei giuristi di
posarsi sul fenomeno partitico e sulle alterazioni del sistema di governo che ad esso fanno
capo, relegandole nel campo della pura rilevanza politica”.49
Sui limiti del normativismo nella comparazione costituzionale si sofferma autorevole
dottrina, secondo la quale “diventa problematico comprendere le ragioni del funzionamento di
un sistema costituzionale senza far riferimento a quella che penso si possa chiamare formula
politica istituzionalizzata che rappresenta il vero tipo (tanto più importante quanto meno
necessita di verbalizzazione) della struttura costituzionale dell’uno o dell’altro sistema ... si è
parlato di spirito del sistema, di norma non scritta, di realtà costituzionale, di costituzione in
senso materiale, intesa ... come quel complesso di norme di relazioni che esprimono il modo
di essere dei rapporti costituzionali”;50 in ogni caso, trattando di questi argomenti, il discorso
tende a fuoriuscire dal campo proprio del diritto per entrare in domìni “ad esso prossimi, ma
da esso distinti e diversi, come la scienza politica, la sociologia del potere”.
Come si vedrà in seguito, con specifica attenzione alla concezione di Elia in tema di
convenzioni, prodotte dallo stabilizzarsi del sistema dei partiti, tuttavia, anche nel caso della
‘formula politica istituzionalizzata’ utilizzata da Lombardi si pone il problema di come
assicurarne l’ammissibilità “in uno studio giuridico comparato dei rapporti istituzionali”. La
risposta che se ne dà porta a sottolineare che più il discorso è normativistico meno è possibile
45
Cfr. M. Galizia, Profili ... cit., 107; L. Elia, Diritto costituzionale ... cit., 358.
Cfr. S. Bartole, op. cit., 11.
47 Cfr. G. Amato, Diritto costituzionale, in S. Cassese (a cura di), Guida alla Facoltà di Giurisprudenza, Bologna, 1978, 83.
48 Per Dogliani, l’applicazione rigida del metodo dogmatico al diritto costituzionale è quantomeno riduttivo poiché tale branca del
diritto “non può essere ridotta in un compiuto sistema di norme scritte, né sistematizzata in rigide formulazioni che vengono presto rese
inadeguate dal costante e progressivo sviluppo dell’ordinamento” (op. cit., 925).
49 Così M. Dogliani, per il quale il bisogno di superare il normativismo è dettato dalla necessità pratica di comprendere gli ordinamenti
giuridici sulla base del principio dell’effettività che tenga conto non solo della norma ma anche della sua applicazione (op. cit., 995).
50 Così G. Lombardi, Premesse al corso di diritto pubblico comparato, Milano, 1986, 69.
46
11
inquadrare nel diritto il concetto di formula politica istituzionalizzata; se invece ci si muove
nell’ambito dell’istituzionalismo è proprio a questo livello che “si trovano le formule politiche
istituzionalizzate, che operano come elementi di integrazione del sistema ... rendendone non
solo possibile il funzionamento ma offrendole al tempo stesso gli elementi fondamentali
dell’identificazione. In questo specifico significato che recupera il livello di equilibrio fra
elemento normativo ed elemento fattuale (che è tale, tuttavia, solo al suo punto di partenza,
perché senza il sostegno di quest’elemento giuridico, la formula politica istituzionalizzata non
cesserebbe di essere puro evento, senza forza di durata e quindi senza portata giuridica di
stabilità) si può dire che la formula politica istituzionalizzata è quell’elemento in più che si
aggiunge, nel diritto pubblico comparato, agli altri elementi comuni alla comparazione di
derivazione gius-privatistica”.51
Queste brevi osservazioni consentono di poter meglio accostarsi alla logica sottesa ad una
delle analisi dottrinarie più ricche di conseguenze teoriche sia dal punto di vista della
sistematizzazione metodologica che da quello dei risultati ermeneutici cui perviene. Si fa
riferimento al più volte richiamato studio sulle forme di governo curato da L. Elia per
l’Enciclopedia del diritto, redatto nei primi anni ’70 e destinato, comunque, ad innescare un
dibattito molto intenso nel quale non difettano opinioni critiche relative all’utilizzabilità della
nozione stessa di forma di governo per le “insuperabili antinomie tra elementi descrittivi (di
sociologia politica) e prescrittiva (di diritto costituzionale)”.52
Preliminarmente allo studio in senso stretto sulle forme di governo, Elia opera una precisa
scelta metodologica che rileva sotto il peculiare profilo dell’approccio comparatistico,
allorché lo studioso si prefigge – non solo per esigenze conoscitive (ad docendum) ma anche
prescrittive (ad jubendum) – di accostarsi alle tipizzazioni costituzionali. In tale ricerca,
l’Autore si fa guidare da un metodo “realistico” al quale, tuttavia – dopo aver osservato che
comunque esso conosce il “limite non valicabile nella distinzione tra sistema politico o dei
partiti politici e forma di governo, qualificato anche, ma impropriamente, come costituzione
materiale”53 – egli assegna come finalità non tanto quello di cogliere il “dosaggio di elementi
conoscitivi e di elementi prescrittivi, ma piuttosto il giudizio circa il quantum e il quid che dai
primi trapassa nei secondi”.54
Nel richiamarsi, in tal senso, al suggerimento metodologico seguito da autorevole dottrina,
Elia cerca esplicitamente di evocarne i rischi osservando come proprio quell’approccio
“realistico” risulti in qualche modo inadeguato per la drastica contrapposizione in esso
contenuta fra momento sociologico e momento giuridico, aspetto conoscitivo e momento
normativo, quando “in realtà il nodo del tema consiste proprio nella valutazione degli
elementi giuridicamente rilevanti ai fini di una tipizzazione: tenendo presente, peraltro, che la
costruzione per tipi non serve ad uno scopo meramente conoscitivo (sul piano della sociologia
o della scienza politica), ma tende a ‘riempire’ le formule adottate dai framers della
Costituzione italiana e di altre costituzioni e a confrontare poi con questo contenuto le norme
51
52
Cfr. G. Lombardi, op. cit., 73-74.
Cfr. M. Dogliani, Spunti metodologici ... cit., soprattutto 235. Nello stesso senso cfr. anche, fra gli altri, S. Bartole, Metodo giuridico
... cit.
53
54
Cfr. L. Elia, La forma di governo e il sistema politico italiano, in AA.VV., Critica dello stato sociale, Roma-Bari, 1982, 104
Cfr. L. Elia, Governo ... cit., 634.
12
scritte e non scritte (consuetudinarie e convenzionali) che vigono (o che sono proposte per la
vigenza) in questo settore della pubblica organizzazione”.55
Nello sviluppo dell’analisi, la comparazione eliana fra le diverse forme di governo viene,
quindi, condotta all’interno della categoria “sistema democratico costituzional-pluralistico”,
nel senso che “l’individuazione delle varie forme di Stato assume un’importanza notevole
perché stabilisce il limite di utilità (e, in un certo senso, anche di possibilità) della
comparazione della forma di governo”.56
Tra le forme di stato e le forme di governo necessariamente vengono a stabilirsi profonde
interconnessioni e, in primis, il carattere strumentale della forma di governo rispetto alla
forma di stato. Da questo punto di vista, è chiara l’influenza della concezione “compatta” di
Costituzione (di mortatiana memoria) la quale rende “strumentale la forma di governo al
conseguimento delle finalità assunte dalle forze politiche portatrici dell’ordinamento. Questo
nesso ... non è meno forte nello stato democratico contemporaneo” perché, se e vero che
quest’ultimo può realizzarsi in più forme di governo analizzabili autonomamente, “lo stato
democratico ... si caratterizza in primo luogo per una variabile che coinvolge forma di stato e
forma di governo e cioé per il ruolo che riescono effettivamente a svolgere nella dinamica
dell’ordinamento il corpo elettorale e l’intero popolo”.57
Tanto richiamato e prima di soffermarsi sulla trattazione della rilevanza del tema relativo
alla forma di governo parlamentare secondo le categorie interpretative eliane, è opportuno
richiamare come l’Autore intenda per forma di governo “una situazione eminentemente
relazionale e cioé i rapporti che si instaurano tra due o più organi partecipanti all’indirizzo
politico nessuno dei quali viene mai in considerazione al di fuori di tale contesto”.58
Come egli stesso ci ricorda, l’obsolescenza della nozione di forma di governo parlamentare
era stata già bene argomentata dal Giannini59 per il quale tale formula organizzatoria dei poteri
sarebbe indissolubilmente legata ad una forma statale pre-democratica di natura oligarchica
(lo Stato monoclasse borghese). La provocazione del Giannini – come si ricorderà – era
rivolta soprattutto alla rigidità degli schemi cristallizzati con cui la teoria classica delle forme
di governo si rapportava alle esperienze devianti; occorre pertanto sottolineare come “dietro a
questa assolutizzazione delle forme connesse all’esperienza dello Stato liberal-borghese stia
una assolutizzazione, indiretta, dei contenuti stessi di tale Stato che emerge non solo
dall’essere la strumentazione degli organi e dei poteri ispirata e funzionalmente collegata ai
fini ed ai valori fondamentali dell’organizzazione statale nel suo complesso ma che talvolta si
esprime anche nella trasposizione di elementi inerenti al regime politico, nella tipologia delle
forme di governo”.60
55
Cfr. L. Elia, Governo ... cit., 635.
Così L. Elia, op. cit., 635. Per l’Autore le forme di governo acquistano un autonomo rilievo all’interno della categoria ‘sistema
democratico costituzional-pluralistico’, mentre in altri sistemi “potrebbe dirsi che la forma di Stato assorbe largamente quella di governo,
riducendola a un insieme di modalità organizzative piuttosto marginali”. Riguardo alle questioni relative alla utilità ed alla stessa possibilità
della macro-comparazione fra sistemi di governo nell’ambito di forme di Stato diverse, per G. De Vergottini (Diritto costituzionale
comparato, Padova, 1987, 33-34) tale operazione “è scientificamente legittima, purché funzionale agli obiettivi della ricerca”; più
specificatamente, “mentre nell’ambito di una stessa forma di Stato la similitudine dei presupposti rende la comparazione agevole, fra forme
di Stato diverse l’uso del metodo comparativo richiede particolari cautele che tengano conto di queste radicali diversità”.
57 Così L. Elia, Appunti su Mortati e le forme di governo ... cit., 946.
58 Così L. Elia, Governo ... cit., 636.
59 Cfr. M.S. Giannini, Prefazione a G. Burdeau, Il regime parlamentare nelle costituzioni europee del dopoguerra (trad. ital. a cura di
S. Cotta), Milano, 1950.
60 Cfr. M. Dogliani, op. cit., 222.
56
13
Pur riconoscendo all’approccio del Giannini il merito di avere evidenziato l’insufficienza
di un criterio distintivo delle forme di governo basato sul mero rapporto tra gli organi
costituzionali, soprattutto con riguardo al preteso passaggio tra l’oligarchia ottocentesca alla
democrazia dell’era contemporanea, Elia osserva che “il salto tra oligarchia e democrazia vale
più come indicazione di tendenza che come evento compiuto: in realtà, viviamo in una lunga
situazione poliarchica”.61
Con ciò si vuole significare da parte dello studioso che, con la progressiva estensione del
suffragio, al Parlamento composto dai notabili si è sostituito il Parlamento dei partiti ma non
si è ancora raggiunta la perfetta corrispondenza fra la volontà dei governati e quella dei
governanti poiché, ubbidendo alla legge ferrea dell’oligarchia, di michelsiana memoria, anche
nelle organizzazioni di partito è venuta assumendo sempre più capacità decisionale una
ristretta cerchia di oligarchi. In più, quanto detto a proposito del parlamentarismo dovrebbe
valere anche per le altre forme di governo perché nessuno può negare le evoluzioni subite in
questo secolo anche dalle esperienze presidenziali o direttoriali; in questo insieme di
evoluzioni Elia vede soprattutto il passaggio da una democrazia ‘governata’ ad una
democrazia ‘governante’.62
Ad ogni modo, come si è detto, con l’orientamento gianniniano risulta ormai sottolineata la
necessità di includere nella definizione delle forme di governo (non solo quelle parlamentari,
anche se queste dimostrano una maggiore sensibilità ad essere qualificate nel funzionamento
dai sistemi partitici), sia in funzione conoscitiva che prescrittiva, elementi rintracciabili nel
contesto partitico “sicché il criterio di classificazione”, utilizzando come punto di partenza le
formule organizzatorie dei rapporti tra esecutivo e legislativo (il grado di separazione dei
poteri), “dovrà qualificarle in relazione ai diversi sistemi di partito”.63
Così, l’inclusione del sistema dei partiti nell’alveo degli elementi qualificanti la forma di
governo si giustifica poiché esso assume un valore di primo piano dal punto di vista della
descrizione e della classificazione degli ambienti socio-politici in cui operano le strutture
costituzionali perché in esso sono, per così dire, trasfusi tutti gli elementi più rilevanti di una
società, che la caratterizzano dal punto di vista del livello di tensione, della compattezza della
classe politica, del peso dei gruppi di pressione, del grado di consenso ottenuto dallo Stato,
dell’omogeneità culturale ed etnica”.64
Il processo di democratizzazione, espresso soprattutto con il lento e graduale allargamento
della partecipazione politica consentito dalla estensione del diritto di voto, ha fatto sì che “le
forme di governo dello Stato democratico non possono più essere classificate né studiate,
61
Cfr. L. Elia, ult. op. cit., 637.
La formula è stata coniata dal Burdeau, Traité de science politique, Paris, 1957, 7. Le due categorie – ‘democrazia governata’ e
‘democrazia governante’ – sono di estremo interesse: “la democrazia era governata quando, pur essendoci il suffragio universale, tuttavia
erano i notabili che esercitavano un’influenza preponderante ... nella democrazia governata l’influenza del censo e della cultura faceva sì che
vi fossero pochi leader ed un ceto dirigente ristretto”; invece “la democrazia governante è un regime che comporta un peso decisivo del
popolo nella scelta non solo dei parlamentari, ma anche della formula di governo, delle alleanze, degli schieramenti di partito”. In tal senso,
quando si afferma che si deve realizzare una democrazia governante significa che “l’aumento della forza deliberativa degli organi di governo
e parlamentari, in un regime democratico, deve collocarsi in un quadro di accrescimento delle caratteristiche di democraticità
dell’ordinamento stesso” (così L. Elia, Costituzione-processo, democrazia ‘governante’, riforme istituzionali, in AA.VV., Quattro lezioni
sulla Costituzione. Attualità e riformabilità della Costituzione repubblicana, Bologna, 1989, 33. Nello stesso senso cfr. anche Da una
democrazia d’investitura ad una di indirizzo, in Parlamento (supplemento a Il Popolo, n. 41, del 21.2.1988); Stabilità del governo e
regime parlamentare, in AA.VV., La riforma delle istituzioni, Roma, 1995.
63 Così L. Elia, ult. op. cit., 638.
64 Cfr. M. Dogliani, op. cit, 229.
62
14
anche dal punto di vista giuridico, prescindendo dal sistema dei partiti; in effetti, questo è
esplicitamente o implicitamente presupposto dalle norme costituzionali vigenti”65.
Se l’influenza che il sistema dei partiti esercita sull’effettivo funzionamento del rapporto
fra i poteri è pacificamente accettata, la fonte di maggiore incertezza per gli studiosi riguarda
la saldatura, dal punto di vista eminentemente metodologico, di due mondi prima separati: la
scienza giuridica e le scienze socio-politologiche. In diverso approccio, la condizione del
pluripartitismo estremo non può essere considerata come un elemento di contorno al sistema
legale perché, e nella misura in cui si stabilizza, essa “diviene una condizione di fatto di
immediata rilevanza giuridica, in quanto entra nel sistema ‘presupposto’ dalle norme
costituzionali”66.
La circostanza che, poi, in ordine al sistema dei partiti non è pensabile una normazione
specifica di dettaglio, non toglie “l’immediata rilevanza giuridica del fatto: il problema è di
prendere in considerazione gli aspetti che interessano veramente chi studia diritto
costituzionale”.67
Ma, come riconduce Elia i fenomeni empirici al rango di elementi giuridicamente
rilevanti? Una volta accertato che taluni tratti caratteristici del sistema dei partiti sono divenuti
in un certo qual modo stabili, per lo studioso, possono riscontrarsi “due fenomeni: a) sorgono
e si affermano una serie di regole convenzionali attinenti all’esercizio dei poteri previsti dalla
Costituzione, regole che in questo caso non potranno considerarsi implicite nella Costituzione
stessa o nei suoi principi; b) in secondo luogo, queste regole non contrastano con le
disposizioni della Costituzione scritta, ma si fondano su prassi corrispondenti ad ipotesi
diverse (e non contrarie da quelle previste dalle norme costituzionali. Dunque, la rilevanza
giuridica dei tratti caratteristici assunti dal sistema dei partiti sarà commisurata al prodursi di
convenzioni, concernenti ipotesi differenziate rispetto a quelle prese in considerazione dal
costituente: sicché potrebbe concludersi, a proposito del sistema dei partiti, tanto di
presupposto quanto di precipitato in regole convenzionali”.68
Nell’economia argomentativa di tale analisi (di cui qui si stanno analizzando alcuni
soltanto dei profili maggiormente rilevanti), senza altra pretesa che non sia quella di
interrogarsi sulle opportunità offerte da un percorso metodologico ‘realistico’ ma nondimeno
strettamente adesivo al rispetto del dato formale, le convenzioni vengono intese come “regole
65
Cfr. L. Elia, ult. op. cit, 638.
Ibidem, 638. S. Bartole, dopo aver constatato come la scienza del diritto costituzionale utilizzi con frequenza concetti derivanti
dall’osservazione della realtà empirica, osserva che “dovendo legittimare questo modo di procedere, i costituzionalisti si sono sforzati di
ricondurlo nei termini tradizionali dell’approccio giuridico ed hanno ritenuto di concludere che in tanto quei concetti potevano essere
utilizzati nel contesto di un’argomentazione giuridica di quanto fosse consentito di affermare che essi avevano riguardo a fenomeni dotati di
rilevanza, se non di efficacia giuridica” (S. Bartole, op. cit., 24).
67 Cfr. L. Elia, ult. op. cit., 638; non che Elia non si sia posto il problema di una normativa in ordine ai partiti che anzi è una costante
nei suoi scritti; infatti, l’Autore ha affrontato a più riprese il problema della connessione fra la sottoposizione dei partiti alle leggi sul metodo
democratico interno e le leggi sul finanziamento pubblico dei partiti. “Si deve prendere atto che i paesi europei di maggiore dimensione
(Germania e Spagna) nei quali vige una legislazione statale sui partiti provvedono anche, in varie forme ed in varia misura, il finanziamento
pubblico dei partiti politici, condizionando pure entro certi limiti i contributi di origine privata. All’inverso vi sono stati che hanno una
legislazione per il finanziamento pubblico dei partiti ... che non hanno una disciplina legislativa a tutela del metodo democratico
intrapartitico”, così L. Elia, Per una legge sui partiti, in Diritto costituzionale ed amministrativo, 1992. Sull’influenza esercitata dalla
sentenza del 19 luglio 1996 dalla Corte Costituzionale di Karlsruhe sulla successiva legislazione statale in ordine al finanziamento dei partiti
si veda sempre L. Elia nella “Introduzione” ad AA.VV., Disciplina dell’ordinamento e finanziamento dei partiti nella Repubblica Federale
Tedesca, Roma,1970.
68 Così L. Elia, Governo ... cit., 640. Aggiungiamo che per Dogliani, “i partiti sono ... protagonisti della lotta per il potere e quindi i
rapporti di forza e la qualità delle relazioni tra di loro intercorrenti costituiscono i rapporti reali cui va commisurato il funzionamento dei
meccanismi giuridici regolati dalla Costituzione formale e cioé le procedure all’interno delle quali si deve (o dovrebbe) svolgere la lotta per
il potere” (op. cit., 230).
66
15
di condotta vincolanti gli operatori politici”, che si collocano “decisamente al di fuori del
diritto inteso come insieme di norme poste secundum ordinem e suscettibili pertanto di
considerazione dogmatica: queste regole prodotte fra accordi tra partiti (a loro volta provocati
dal loro numero, dimensione e situazione) sono rilevanti per il diritto costituzionale, ma
rimangono da esso del tutto distaccate”.69 Un esempio emblematico di tali regole di condotta è
individuabile, nel caso del sistema parlamentare italiano, nella osservanza quasi
cinquantennale della c.d. conventio ad excludendum”, che ha avuto termine solo con la
riforma elettorale dei primi anni ’90 (legge Mattarella).70
Concludendo “si potrebbe dire che, di conseguenza, le norme sulla forma di governo (e
particolarmente quelle relative al governo parlamentare in senso proprio) sono a fattispecie
aperta (entro certi limiti) e cioé suscettibili di essere qualificate dal sistema dei partiti ed
integrate dalle regole convenzionali che ad esso fanno capo”.71 A questo punto si
imporrebbero una serie di considerazioni e di precisazioni che lo stesso Autore non ha
mancato di fornire successivamente alla pubblicazione della studio sulla forma di governo, ma
prima di procedervi è opportuno insistere ancora, per trarne qualche argomentazione
conclusiva, sui criteri utilizzati da Elia per la classificazione delle forme di governo per
osservarne le evoluzioni concettuali.
Pur non escludendosi l’esistenza di reciproche interferenze, il principio della separazione
dei poteri assume come tendenzialmente automatica la coincidenza fra le funzioni dello Stato
e gli organi ad esse corrispondenti. La teoria delle forme di governo sistematizza tali rapporti
a seconda dei princìpi che li regolano ed elabora “dei tipi che, mettendo in luce il modo con
cui sono state definite le competenze reciproche e le influenze inter-organiche, forniscono un
quadro statico, strutturale dei sistemi di governo”.72 Queste tipologie, nella misura in cui non
prendono in considerazione, accanto alle istituzioni classiche (Parlamento e Governo), fattori
condizionanti di natura sociologica, mostrano la loro inadeguatezza nella comprensione delle
realtà costituzionali.73 Il ricorso al sistema dei partiti e alle relative modalità di intervento
sugli organi costituzionali titolari della funzione di indirizzo politico consente di meglio
valutare l’aspetto dinamico (e per questo modificabile per natura) e funzionale delle forme di
governo. Infatti, se gli aspetti più propriamente strutturali ben emergono in base al criterio
della separazione dei poteri non altrettanto potrebbe dirsi per gli aspetti funzionali; come
osserva Elia, infatti, “non vi è dubbio che fra aspetti strutturali ed aspetti funzionali non possa
69
Così L. Elia, Governo ... cit., 639.
Le regole di cui parla Elia non possono essere ricondotte nel diritto secundum ordinem per una serie di motivi: non fanno attualmente
capo ai principi della Costituzione, non possono essere tradotte in norme scritte di diritto costituzionale, non possono essere fatte valere in
sede giudiziaria. Per Bartole, (op. cit., l4-15) le convenzioni di cui parla Elia si riferiscono “a regole o uniformità di comportamento che
traggono giustificazione e forza da mere scelte di indirizzo politico”; in più, per tale A. coloro i quali reputano essenziale studiare le forme di
governo alla luce del sistema politico in cui quella forma va a realizzarsi corrono il “rischio di convertire tutto il reale in razionale” (op. cit.,
10).
71 Così L. Elia, ult. op. cit., 640. La teoria delle “norme a fattispecie aperta”, pur se formulata con riferimento alle norme regolanti la
forma di governo, per Dogliani (Interpretazione della Costituzione, Milano, 1982, 80-84) “è estensibile anche alle altre” poiché “configura
la disciplina costituzionale non come un sistema chiuso ma, al contrario, suscettibile – ed anzi bisognoso – di essere integrato”, laddove per
integrazione si intende “un procedimento con il quale le norme della Costituzione vengono non specificate e concretizzate da norme in esse
implicite o comunque deducibili dai principi costituzionali, ma vengono invece affiancate da norme che rispondono ad ipotesi ed esigenze
diverse, ma non contrarie, da quelle poste ad oggetto dalla disciplina costituzionale ... La norma costituzionale viene così ad essere
qualificata da questa normazione ulteriore senza che ne risulti però sterilizzata, in quanto, anche se perde il ruolo di vincolo positivo
assolutamente obbligante, conserva la capacità di vietare il proprio contrario”.
72 Cfr. M. Dogliani, Spunti ... cit., 232.
73 La distribuzione del potere politico non è immutabile ma è anzi sensibile all’intervento di fattori diversi, pertanto “l’indagine non
deve più limitarsi a definire staticamente, sulla base della regolamentazione normativa, le influenze ed i rapporti reciproci tra gli organi
costituzionali, ma deve, assunto come criterio fondamentale quello dell’intervento nella funzione di indirizzo politico ... determinare le
posizioni e le relazioni tra quegli organi che vi intervengono e sulla base di questi elementi procedere alla qualificazione delle forme di
governo” (così M. Dogliani, ult. op. cit., 232).
70
16
mancare un collegamento ma siamo di fronte ad un rapporto indicativo di una situazione
liminare. E cioé l’esistenza di una separazione strutturale di tipo statunitense garantisce che
esecutivo e Congresso non scendano al di sotto di un certo livello di partecipazione al potere
di indirizzo politico. Invece, dove la separazione strutturale manca ... allora si ha uno schema
labile, che consente le dislocazioni più estreme del potere di indirizzo”.74
La finalità che il classico criterio della separazione dei poteri si poneva – quella, ossia, di
porre i princìpi cardine in base ai quali distinguere le forme di governo – risulta “troppo
ambiziosa” e deve essere ridimensionata; essa “non va messo da parte, ma va ritenuto come la
componente che viene in rilievo per prima (in ordine logico) di un criterio distintivo più
complesso”75.
Un rilievo particolare merita, infine, la distinzione tra sistema politico e forme di governo
allorquando si utilizzi un metodo “realistico” nello studio di quest’ultime. Se, come si è detto,
il formato, la meccanica ed il grado di polarizzazione del sistema dei partiti sono variabili
indispensabili per la comprensione della dinamica e del funzionamento delle forme di
governo, nondimeno, “sarebbe improprio ritenere che ogni variazione importante nell’ambito
del sistema politico comporti un mutamento della forma di governo, sia pure assunta nella
figura della costituzione ‘reale’, ‘materiale’, ‘vivente’”76.
L’applicazione meccanica del metodo realistico renderebbe pressoché inutilizzabile la
stessa Costituzione e il “‘prescrittivo’ della forma di governo contribuisce alla vita dello
ordinamento in quanto è capace di comprendere, regolandole, fasi successive del sistema
politico”.77 Queste precisazioni sono necessarie all’Autore anche per specificare che il
potenziale venir meno di una delle convenzioni che ha maggiormente caratterizzto il sistema
italiano nella fase della democrazia repubblicana, la c.d. conventio ad excludendum, non
comporterebbe una modifica sostanziale della forma di governo parlamentare.
In definitiva, per chi si propone di studiare le forme di governo negli stati democratici
contemporanei è utile non dare per pacifica l’“importanza essenziale” per la loro
comprensione e spiegazione assunta dai partiti politici odierni; “è anzi necessaria una verifica,
caso per caso, del ruolo che i partiti riescono effettivamente ad esercitare”.78 Più
specificamente, un cambiamento del sistema partitico potrebbe favorire il mutamento da un
sottotipo di governo parlamentare ad un altro, ma resta vero “che tali esiti si lasciano
inquadrare in una forma di organizzazione nella quale l’esecutivo si pone, attraverso il
rapporto di fiducia, come un’emanazione permanente delle assemblee legislative”.79
In conclusione, e limitatamente ai profili cui si è brevemente accennato, sembrerebbe di
poter convenire sulla considerazione secondo cui Elia, insistendo sulla relazione interorganica
minimale che definisce prescrittivamente il parlamentarismo, ha di fatto recepito uno dei
rilievi critici di fondo mossogli da altra autorevole dottrina, per la quale l’elaborazione di
tipologie di governo più aderenti alla realtà, se ha aumentato la rappresentatività delle stesse
(saldando funzione conoscitiva e funzione normativa), d’altro canto, ha fatto “assumere ai
74
Cfr. L. Elia, ult. op. cit, 641.
Ibidem
76 Così L. Elia, La forma di governo ... cit.
77 Ibidem
78 Cfr. L. Elia, Appunti su Mortati ... cit., 248.
79 Cfr. L. Elia, La forma di governo ... cit., 106.
75
17
modelli un contenuto analitico ed empirico-descrittivo che era estraneo a quelle classiche: per
cui, mentre queste ultime potevano essere ridotte a schematiche definizioni, cioé le singole
forme di governo potevano essere definite in tutti i loro dati caratteristici essenziali con poche
espressioni, le tipologie moderne hanno invece un contenuto più ampiamente descrittivo ed
inscuscettibile di riassunzione sintetica”.80 Dalla “crisi permanente” con cui l’Autore vede
stabilmente caratterizzarsi il diritto costituzionale contemporaneo, e nella quale molti
vedrebbero compromessa (in modo più o meno radicale) la stessa prescrittività delle
disposizioni costituzionali, per Elia, così, si esce “anche con il concorso di una dottrina attenta
ad equilibrare esigenze garantistiche e necessità di difesa dei beni della vita (e di vita) dei
singoli e della collettività ... identificandosi con più rigore i Wesengehalte delle situazioni
giuridiche soggettive garantite dalla carta costituzionale”.81 Una missione – quest’ultima – che
assegna al giurista e, più in generale alla dottrina costituzionale, il compito di assicurare
l’equilibrio delle tutele fra i diversi beni giuridici, egualmente meritevoli di garanzia, che
impone un approccio dottrinario “che comporta più matura visione storica, rinuncia ad
esasperazioni illuministiche ma anche a troppo rassegnate acquiescenze pragmatiche”.82 In
breve, nell’essere di questo pensiero si realizza appunto la saldatura fra realismo del metodo
giuridico e certezza delle garanzie costituzionali. Al contempo, esso può validamente proporsi
come il confine raggiunto dalla dottrina costituzionale del Paese nella sua ricerca di un
approccio metodologico che, nel superare i limiti euristici del metodo ‘normativistico’ a
favore di uno ‘realista’, proponga di conservare pienamente la coscienza dei limiti
inderogabili della regola costituzionale senza, tuttavia, trascurare le problematiche della sua
effettività.
2. Partiti politici, forma di Stato e forma di governo: profili metodologici e problematici.
La rilevanza dei partiti politici nell’ordinamento costituzionale – data e accresciuta in
ragione dello sviluppo delle relative funzioni, oltre che nell’ambito associativo, nelle funzioni
a rilevanza pubblicistica degli stessi nonché della stessa capacità di incidere sull’intera
impalcatura costituzionale dello Stato contemporaneo – costituisce ormai un dato pienamente
condiviso dalla dottrina costituzionale italiana e, più in generale, da quella europea (a partire
dagli studi del Triepel nei primi anni ’20 del secolo scorso).
Tale orientamento pone termine ad una lunga e contrastata evoluzione in cui si sono
confrontate due opposte correnti di pensiero, una che individuava nel partito politico la natura
giuridica di associazione privata (come tale venendo disciplinata sotto il profilo civilistico
dalle norme di cui agli artt. 36-39 c.c.) e l’altra che, al contrario, ne coglieva una natura a
rilevanza pubblicistica, di organo o quasi-organo dello Stato.
In tempi più recenti, anche in ragione dell’instabilità e della difficoltà dei governi a darsi
indirizzi politici stabili e coesi e per il persistere della crisi istituzionale, la questione si
ripropone anche come questione di politica costituzionale, orientata alla ricerca di soluzioni
80
Cfr. M. Dogliani, Spunti ... cit., 237.
Cfr. L. Elia, Diritto costituzionale ... cit., 360.
82 Ult. op. cit., 361.
81
18
(più o meno radicali) di riforma. In tale ultimo approccio rilevano sia le questioni inerenti al
partito (individuato come singolo e come sistema), al posto e ruolo occupati nel sistema
costituzionale, alla questione della sua democraticità interna, sia i relativi rapporti con le
istituzioni costituzionali di governo e gli stessi ripensamenti in materia della dottrina
costituzionale, chiamata a riflettere a causa di ciò sullo stesso metodo giuridico-costituzionale
utilizzato al fine di renderlo più adeguato alla comprensione delle complesse fenomenologie
delle forme di stato e di governo contemporanee.
L’orientamento dottrinario orientato a sottolineare nel sistema dei partiti, oltre all’elemento
della ‘concorsualità’ nella definizione delle politiche nazionali (art. 49 Cost.), un processo
(complesso, dialettico e giuridicamente incompiuto) di trasformazione dell’originario modello
della democrazia rappresentativa, si afferma embrionalmente nei primi anni ’20 del secolo
scorso e pienamente a partire dagli anni ’40, trovando linee di riflessione comune alla dottrina
costituzionale tradizionale ed a quella che potremmo definire ‘più moderna’. È trascorso
ormai più di una metà di secolo da quando, in Italia, V.E. Orlando, costituzionalista di
formazione classica, si era cimentato (in uno dei suoi ultimi scritti)83 in un tentativo – rimasto
incompiuto – di sistemazione metodologica dei partiti politici all’interno della scienza
costituzionale, riconoscendo la necessità di avviare uno studio finalizzato ad elaborare una
nuova teoria dei partiti che potesse servire per una più adeguata comprensione del mutamento
profondo nella vita degli stati contemporanei.84 Nella sua analisi, egli sottolineava con lucidità
– registrandone pienamente l’effetto dirompente rispetto alla organizzazione costituzionale dei
poteri esistente – il ruolo significativo che andava assumendo lo sviluppo dei partiti nella
profonda trasformazione della struttura dei regimi politici e della stessa forma dello Stato
contemporaneo. Nella stessa direzione, Pietro Virga, qualche anno più tardi, introducendo uno
studio sul ‘partito nell’ordinamento giuridico’ – destinato a divenire un classico nello studio
dei rapporti fra partiti politici ed ordinamento costituzionale – affermava che “sia che i partiti
siano assurti ad elementi costitutivi del sistema di governo (‘Stato di partiti’), sia che un unico
partito abbia informato ai suoi princìpi lo stesso ordinamento dello Stato divenendone
l’elemento motore (‘Stato-partito’), non si può negare che, parallelamente allo sviluppo ed
all’organizzazione dei partiti, si sia profondamente mutata la realtà costituzionale”.85.
Se, da un approccio generale, l’analisi si volge a considerare le carte costituzionali, per
cogliere il grado di istituzionalizzazione e di costituzionalizzazione conseguito in esse dai
partiti, si può osservare che le ragioni dell’attenzione e del ruolo attribuito ad essi nelle nuove
costituzioni della fase storica che va dalla fine della prima guerra mondiale all’inizio della
seconda86 deve attribuirsi – unitamente ad altri fattori storico-politici – ai loro autori, molto
spesso uomini di partito, che in questo modo tendevano a legittimare la loro azione
diplomatica e/o rivoluzionaria. Ma le ragioni teoriche profonde sono da individuare
soprattutto nella ricerca di meccanismi di “razionalizzazione del potere”, concepiti come
ricerca di strumenti per il bilanciamento fra i poteri dello Stato, che apparivano, nel tempo,
significativamente sfasati a causa dell’ingresso sulla scena politico-istituzionale, in modo
organizzato, del popolo, inteso sia nella sua generalità, sia – e forse soprattutto – nelle sue
83 Cfr. V.E. Orlando, Sui partiti politici. Saggio di una sistemazione scientifica e metodica, in Scritti di sociologia e politica in onore
di L. Sturzo, Bologna, 1953.
84 Nell’ampia bibliografia sui rapporti fra partiti e Stato cfr., almeno, P. Ridola, Partiti politici, in EdD, XXXII; S. Bartole, “Partiti
politici’ in Dig. D.P.
85 Cfr. P. Virga, Il partito nell’ordinamento giuridico, Milano, 1948, 26.
86 Cfr., in questo senso, B. Mirkine-Guetzevitch, Les nouvelles tendences du droit constitutionnel, Paris, 1936.
19
articolazioni in gruppi e classi sociali portatori di interessi fra loro confliggenti.87 Ad un
esame anche sommario, infatti, i testi costituzionali di questo periodo dimostrano una
notevole incertezza nei confronti dei partiti, come, più in generale, nei confronti
dell’associazionismo politico e sindacale. Solo alcune costituzioni si spingono fino a
riconoscere in modo esplicito i partiti e ad attribuire loro ruoli rilevanti; fra di esse, come è
noto, la Legge Fondamentale di Bonn perviene al processo più spinto di attrazione del partito
nell’ambito costituzionale.
Ispiratore principale, in modo diretto o indiretto, di tale atteggiamento delle costituzioni
europee verso i partiti, e più in generale del modello di democrazia politica che si va
affermando (ispiratore egli stesso della Costituzione austriaca del 1920), è senz’altro Hans
Kelsen degli studi teorico-dogmatici sul diritto e sullo Stato.88 La concezione kelseniana della
democrazia – come è noto – ha fondamenti ben diversi da quelli radicali teorizzati da
Rousseau, secondo cui l’individuazione della ‘sovranità’ nella ‘volontà generale’ della
collettività implicava necessariamente indivisibilità e rifiuto della delega. La libertà del
singolo, in questo modello, viene garantita dal suo assoggettamento alla legge. Tuttavia, la
produzione di tale ‘strumento di libertà’, la legge, in una collettività dagli interessi e dai valori
sostanzialmente disomogenei, non potrà essere che l’atto finale di un compromesso fra
maggioranza e minoranza, in cui quest’ultima cercherà di far passare nella decisione finale la
maggior parte possibile delle proprie domande ed aspettative. Con Hans Kelsen si ha, così,
l’affermazione di una teoria della sovranità del popolo che si contrappone alla teoria della
‘sovranità nazionale’: una teoria che nega l’attribuzione della sovranità ad una entità astratta,
come la nazione, per ripartirla – restando sempre integra – fra la totalità dei soggetti che
compongono lo Stato-società. Le conseguenze di una simile teorizzazione sono ovvie: con il
principio della rappresentanza del corpo elettorale, ogni deputato rappresenterà una parte della
collettività. In questo modello, la rappresentanza suppone l’esistenza e l’organizzazione dei
partiti politici, soprattutto per presiedere alle fasi costitutive delle liste elettorali ed alla
sorveglianza delle operazioni elettorali. Nella concezione kelseniana, così, è il partito, in base
al consenso numerico di cui dispone, a dover selezionare i propri deputati da mandare in
Parlamento. Se ne può concludere che se nelle costituzioni del primo dopoguerra non sono
state trasfuse tutte le intuizioni del Kelsen, la maggior parte di esse sono senz’altro presenti
nel definire il quadro giuridico delle associazioni-partiti, che costituiscono, al contempo, le
premesse teoriche per l’evoluzione ulteriore che il rapporto Stato-partiti registrerà nelle
costituzioni del secondo dopo-guerra.
Ma il processo di avvicinamento dei partiti allo Stato – e con esso la ridefinizione fattuale
del suo fuzionamento – non è certo un processo lineare, unidirezionale e senza contraddizioni.
Nella fase di transizione dallo Stato liberale (monoclasse, secondo l’appropriata definizionedescrizione del Giannini) allo Stato ‘sociale’ contemporaneo (pluriclasse) si introduce, così,
uno degli elementi fondamentali nella definizione dei sistemi politico-istituzionali
contemporanei. Esso è dato, in via generale, da un insieme di attività dello Stato che
concretizzano un principio definibile di auto-tutela, che si esplica in modo precipuo attraverso
l’espunsione dal sistema politico-istituzionale del partito o dei partiti ritenuti anti-istituzionali,
dei partiti, in breve, la cui ‘lealtà’ sostanziale ai principi liberal-democratici posti a base degli
ordinamenti costituzionali, alle regole di fondo della democrazia liberale non appaia garantita.
Cfr. C. Mortati, Commento all’art. 1 Cost, in Commentario alla Costituzione, a cura di G. Branca, Roma, 1976.
Cfr. H. Kelsen, I fondamenti della democrazia (in particolare il saggio Essenza e valore della democrazia), Bologna, 1955
(ripubblicato in edizione accresciuta nel 1970) e Teoria generale del diritto e dello Stato, Torino, 1952.
87
88
20
Questo modello, che si è riprodotto, nella sua forma più abnorme, nei regimi fascista, nazista,
franchista, salazarista, consiste nella reazione violenta dello Stato contro i partiti nella loro
pluralità per lasciare spazio, nella teoria e nella pratica politica, al partito-unico che diviene
espressione e sintesi dell’unità della nazione – concepita essa stessa con forti contenuti eticoidealistici – e si fa al contempo organo dello Stato-persona. Tale evoluzione si rafforza
mutando le forme in cui si esprime con il procedere negli anni verso la grande crisi degli anni
’30 e con il processo di delegittimazione sostanziale a cui la crisi economica sottoponeva il
sistema politico nelle più diverse realtà nazionali.89
L’analisi dottrinaria relativa ai rapporti (nel diritto e nella realtà) fra partiti politici e Stato
s’inscrive, soprattutto nel corso degli ultimi decenni, nel contesto di una chiara tendenza al
superamento delle concezioni tradizionali del diritto, che se non comportano il superamento
del rigido approccio formalistico ai problemi del diritto (e dello Stato) almeno favoriscono
una più attenta riconsiderazione dei complessi rapporti esistenti tra la realtà sociale ed il
complesso delle norme, in un tentativo di riconoscimento del continuum pregiuridicogiuridico che solo riesce a rendere la complessità dell’ordinamento giuridico vigente, della
c.d. costituzione ‘vivente’, ‘reale’.
Peraltro, tale tendenza appare ancora più rilevante all’interno della scienza costituzionale,
dove forte è l’insoddisfazione da parte dello studioso per una scienza meramente esegetica,
incapace di identificare i fini e i valori della società e dove viva è l’esigenza di una più
adeguata comprensione degli istituti giuridici e degli stretti rapporti esistenti tra essi e le
norme fondamentali dell’ordinamento costituzionale.90 Nella prospettiva di tale sforzo di
rinnovamento metodologico, la novità fondamentale dello studio dei partiti (e del loro
inserirsi fattualmente nell’organizzazione costituzionale dello Stato), considerati sia nel loro
aspetto sociologico (partiti di massa o di quadri, partiti istituzionali o anti-istituzionali, ecc.),
sia nel loro aspetto di sistema, consiste nel fatto che essi costituiscono ormai un elemento
fondamentale per giungere all’identificazione della forma dello Stato e del suo modello
organizzativo, la forma di governo. Sia l’una che l’altra non si definiscono più in termini
astrattamente fissi quanto piuttosto, come sottolinea Elia, in funzione dinamica, “come parti
del diritto costituzionale vivente”,91 non potendosi più trascurare le reciproche influenze e
interferenze che vanno istaurandosi tra le due figure, fino al punto che l’instabilità dell’assetto
governativo opera in termini fortemente negativi sulla stessa vitalità-sopravvivenza della
forma dello Stato.
Proprio in questo rinnovamento metodologico, che ha imposto alla dottrina costituzionale
una verifica di forme e di contenuti, trova ampia giustificazione il tentativo di assumere il
sistema dei partiti come un elemento imprescindibile nello studio dei governi parlamentari di
tipo rappresentativo, come un elemento fondamentale per comprendere il funzionamento del
meccanismo costituzionale complessivo. In tal senso, nell’approccio alla living Constitution,
diviene obiettivo primario l’analisi della rilevanza dei partiti politici, nella loro duplice e
dialettica configurazione giuridica, all’interno dei sistemi di governo degli stati
contemporanei. Essi si presentano, infatti, come organi costituzionali sostanziali di indirizzo
89
Cfr. C. Schmitt, Teoria del partigiano (traduzione italiana), Milano, 1981.
Nell’ampia bibliografia sul punto cfr. anche il nostro Stato sociale e stato socialista in Costantino Mortati e nella realtà di oggi, in
M. Galizia (a cura di), Le forme di governo nel pensiero di Costantino Mortati, Milano, 1997.
91 Nel contributo Governo (forme di) per l’Enciclopedia del diritto (vol. XIX), che costituisce, come si è già osservato, un contributo
fondamentale nella formalizzazione della svolta metodologica in materia.
90
21
politico in posizione di parità giuridica ed al contempo come associazioni di tipo privato e
dunque strettamente collegate alla società.
La concezione dello Stato contemporaneo come ‘Stato di partiti’, così, costituisce un
apporto rilevante ad una moderna teoria dello Stato democratico-rappresentativo. Come si è
ricordato, essa fu in gran parte elaborata, anche sotto il profilo dogmatico, dalla dottrina
tedesca degli anni ’20 e solo successivamente fatta propria da quella italiana, passando per un
approccio metodologico, quello mortatiano della ‘costituzione materiale’ che, nella realtà
(almeno a livello tendenziale), risulta giustificazionista di prassi di occupazione indebita di
poteri costituzionali. Con essa sembra farsi maggiore chiarezza su tutta una serie di
problematiche che il costituzionalismo classico non riusciva più ormai a risolvere, fermo
com’era a concezioni ancora asettiche e statiche delle forme di Stato e di governo, in cui non
trovavano posto i moderni e complessi problemi imposti dalla crisi non solo del
parlamentarismo ma anche dei partiti.
Pur costituendo un indubbio passo in avanti nell’elaborazione dottrinaria, lo ‘Stato dei
partiti’, nell’accezione che ne ha offerto la dottrina costituzionale, tuttavia, non riesce a
cogliere la complessità della problematica dello Stato contemporaneo. Ed è qui che la scienza
costituzionale avverte maggiormente, nella fase attuale, la necessità di recuperare la propria
socialità e pertanto di ricorrere all’ausilio di altre scienze, per comprendere a fondo gli stretti
rapporti d’interazione esistenti fra l’insieme delle strutture, comportamenti sociali e ambiti
giuridici al fine precipuo di rispondere alle problematiche poste dall’effettività delle norme
giuridico-costituzionali.
In questo contesto, assume rilievo e significato l’analisi del ruolo effettivo svolto da tutte le
formazioni sociali e politiche diverse dai partiti che operano sia attraverso forme dirette di
pressione sul potere esecutivo sia attraverso forme di democrazia semi-diretta come il
referendum, l’iniziativa popolare ma anche l’associazionismo e l’azione sindacale. In questa
nuova luce appaiono nettamente, altresì, i limiti della concezione dello Stato contemporaneo
come ‘Stato di partiti’, che sembra attribuire in modo riduttivo ad alcune strutture soltanto,
investite da un processo evidente di istituzionalizzazione, le funzioni di rappresentanza e di
mediazione della realtà sociale all’interno dello Stato-persona, laddove il sistema prefigurato
dalla Costituzione nei primi tre articoli e nell’art. 49 rifiuta tale interpretazione per accogliere
nel diritto di partecipazione ‘permanente’ dei cittadini alla determinazione della politica
nazionale tutte le conseguenze di un simile capovolgimento di prospettiva. È quanto fà parte
della dottrina costituzionale quando, sottolineando l’ambiguità di talune categorie
costituzionali, affronta la mutata prospettiva di analisi in termini di ‘Stato di democrazia
pluralista’ o ‘Stato di democrazia partecipativa’,92 con tale terminologia sottolineando la
necessità di considerare la realtà sociale nella sua complessa e conflittuale articolazione.
Come si può osservare, in breve, nel quadro dell’esigenza di rinnovamento della
metodologia scientifica nel campo della scienza giuridica e soprattutto in quello del diritto
costituzionale – diritto che è, per sua natura, ‘di frontiera’ – il problema fondamentale non è
più quello di una mera analisi della ‘costituzionalità’ o meno del sistema dei partiti nei suoi
rapporti con lo Stato, quanto piuttosto di verificare, non più in termini di modello astratto, la
concreta funzionalità delle forme di governo dello Stato contemporaneo, caratterizzate e
92
Cfr. ad es. E. Spagna Musso, Diritto costituzionale. Principi generali, Padova, 1984, 76.
22
ridefinite dalla presenza dei grandi partiti di massa. Tale impostazione, che comincia a farsi
strada anche nella dottrina più tradizionale, finisce però con il concentrare l’attenzione sulle
relazioni tra i partiti e le istituzioni tipiche del sistema di governo parlamentare
(sostanzialmente sul binomio partiti-Parlamento e partiti-Governo) mettendo in secondo piano
elementi fondamentali della fenomenologia dei rapporti politici che pure avevano dato corpo
alla crisi del sistema stesso.
I partiti politici, come si può cogliere dalle considerazioni finora svolte, non si limitano
soltanto ad incidere sulla forma di governo per organizzare il proprio concorso partecipativo,
ideologicamente caratterizzato; essi incidono sulla stessa forma dello Stato, costituendone la
cosiddetta ‘costituzione materiale’, il ‘regime politico’. In tale ottica, risulta ormai del tutto
superata la tradizionale querelle teorico-politica che, con il termine ‘partitocrazia’, assumeva
ogni tipo di critica sulla scarsa capacità rappresentativa dei partiti e sulla relativa invadenza
negli ambiti propri dei soggetti titolari di sovranità. Il sistema dei partiti, dunque, sia nella sua
funzione di impulso che in quella di condizionamento delle istituzioni costituzionali
costituisce un dato sempre più accettato, almeno dalla dottrina prevalente. Risultano
inaccettabili sotto tale profilo quegli orientamenti dottrinari i quali assumono che “solo
attraverso la partecipazione alla vita di un partito il cittadino può aspirare ad esercitare
pienamente i suoi diritti sovrani o, che fa lo stesso, che la sovranità popolare si realizza solo
attraverso i partiti politici”.93
Così, se rientra indubbiamente nell’aggiornamento del modello costituzionale il
riconoscimento ai partiti politici della funzione di organizzare il popolo secondo una data
ideologia, dando voce agli interessi e alle esigenze dei paese reale, nella sua concreta
articolazione di ceti, formazioni sociali e gruppi contrastanti, ciò che risulta meno convincente
in tale modello esplicativo è piuttosto la concezione secondo cui la sovranità del popolo si
esaurirebbe in modo esclusivo (o quasi) nei partiti, i quali, così, da strumento di
rappresentanza, di mediazione fra corpo sociale e Stato finiscono per trasformarsi in uno dei
poli di tale raccordo. L’allusione al partito-Stato, alla Inkorporierung (della tipizzazione) del
Triepel è evidente per non avvertire l’esigenza di sottolineare i limiti di una siffatta
concezione. Rispetto al problema del singolo partito si può agevolmente concludere che, se
risultano valide le osservazioni finora svolte, siamo in presenza di una doppia istituzionalità
(interna ed esterna) e si è in presenza altresì di una tendenza che vede il partito (e il sistema
dei partiti) perdere quelle funzioni di tramite permanente, costituendosi spesso come un
pericoloso diaframma, uno strumento di organizzazione – più che di rappresentanza – della
società nello Stato, finendo in tal modo con il restringere più che ampliare gli spazi di libertà
della moderna democrazia.
Passando nuovamente a riflettere, sia pure in termini essenziali, sulla questione della natura
giuridica del partito politico e sugli orientamenti dottrinari affermatisi sul punto nei tempi più
recenti, si può ricordare che, soprattutto nella prima fase della riflessione dottrinaria,
sviluppatasi alla fine degli anni ’50 del secolo scorso con significativi contributi, l’analisi
giuridica dei partiti politici si era concentrata sull’esegesi dell’art. 49 Cost. (in alcuni autori
ancora disancorata da un’interpretazione sistematica della norma costituzionale) pervenendo a
una conclusione sulla natura meramente associazionistica degli stessi, per i quali veniva
prevista la mera tutela giuridica accordata alle associazioni non riconosciute. Una parte della
93 Per queste posizioni, in generale, cfr. L. Basso, Il partito nell’ordinamento democratico moderno, in Indagine sul partito politico,
Milano, 1966.
23
dottrina, sia pubblicistica che privatistica, aveva qualificato tale interpretazione con argomenti
che l’avevano portato a sostenere che la natura privatistica per le associazioni partitiche
sarebbe stata maggiormente in grado di dare efficace tutela ed adeguato rilievo alla libertà di
associazione politica di concorrere alla formazione della volontà statale di quanto non potesse,
invece, fare una concezione del partito intesa come organo o quasi-organo dello Stato.
Tuttavia, tale considerazione rinviava a concezioni di organicismo statuale che era stato
senz’altro volontà dei costituenti superare, dopo il pesante smacco per le libertà civili e
politiche nel regime fascista, con la giuridicizzazione-statalizzazione della realtà sociale che
esso aveva perseguito.94 Benché non aliene da riflessi antistatuali, spesso immanenti in una
parte della cultura delle istituzioni (a cui si ascrivono prevalentemente tali orientamenti
dottrinari, in gran parte dovuti a giuristi di orientamento cattolico), tali argomentazioni, che
mirano ad accentuare l’insediamento sociale dei partiti e quindi la loro natura di ‘formazioni
sociali’, come si è già osservato, non appaiono adeguate a spiegare tutta una serie di fenomeni
nuovi (prassi e convenzioni), con i relativi riflessi e condizionamenti che è possibile osservare
nel reale funzionamento delle istituzioni rappresentative, le quali, come è noto, si presentano
come ampiamente discordanti dal modello costituzionale.
Senza soffermarsi oltre a discutere la validità di un simile approccio metodologico
nell’analisi dottrinaria, che si dà quindi come presupposto, così, si può osservare che, se si
parte da un’interpretazione più ampia dell’art. 49 Cost., che mira a cogliere la stretta
interconnessione della sua previsione normativa nell’ambito più generale del sistema di
democrazia previsto dai costituenti, non si può che trovare angusta ed inadeguata la natura
associazionistica di tipo privato che quest’orientamento dottrinario ha individuato per il
partito politico, benché l’ordinamento positivo propenda in modo prevalente per tale indirizzo
interpretativo. Benché, con notevoli differenziazioni interne, una parte della dottrina
giuspubblicistica ha sostanzialmente affrontato l’analisi esegetica dell’art. 49 Cost.
riconoscendo, accanto alla necessaria pluralità dei partiti e all’esigenza del ‘metodo
democratico’ nel loro funzionamento interno, una natura giuridico-costituzionale di libere
associazioni di cittadini “istituzionalmente dirette, in concorso dialettico con altrettali
associazioni, alla determinazione della politica nazionale”95. Ma, come si è fatto bene
osservare, se l’analisi si ferma a questo risultato rischiano di sfuggire tutta una serie di altri
elementi che a buona ragione la fanno apparire, più che formalistica, scarsamente adeguata a
comprendere il reale equilibrio fra gli organi costituzionali registrato nella realtà e quindi le
vere problematiche, i nodi della forma statuale della democrazia italiana contemporanea. Per
tale diverso approccio più adeguata appare una indagine ispirata alle dottrine
istituzionalistiche del diritto più che a quelle normativistiche. Fra i tanti contributi, in tale
prospettiva, appare quanto mai opportuno richiamare in materia una riflessione di C. Esposito
circa il ruolo effettivo dei partiti nell’ordinamento costituzionale reale, per il quale “secondo
considerazioni largamente diffuse solo nelle costituzioni formali o legali degli stati
contemporanei con pluralità di partiti è scritto che le leggi sono fatte da deputati e senatori
eletti dai cittadini e rappresentativi della nazione ... In effetti, invece, all’ombra
dell’impalcatura legalistica della Costituzione, i partiti politici avrebbero nelle mani la
legislazione, il governo, la giurisdizione e l’amministrazione ... Una costituzione legale
94 La sottolineatura della natura associativa del partito è sostenuta in particolare da P. Rescigno, Sindacati e partiti nel diritto privato,
in Persona e comunità, Bologna, 1982, 190. Per le posizioni dei giuristi cattolici cfr. Quaderni di Justitia, 1953, n. 2; 1958, n. 10; 1959, n.
11.
95 Sulla connotazione “a prevalente gravitazione pubblicistica” del partito, in opposizione alle tesi di P. Rescigno, cfr. S. Galeotti, Note
sui partiti nel diritto italiano, in Justitia, 1959, 249, 253.
24
adeguata alla realtà dovrebbe abbandonare le finzioni delle assemblee legislative composte da
liberi deputati, dei governi formati dai capi di Stato ... e riconoscere che nella comunità statale
il potere di direzione politica spetta ai partiti; dovrebbe inoltre precisare le forme, i
presupposti e le conseguenze dell’ascesa dei partiti al potere, determinare il valore degli
accordi tra i partiti (e tra i capo-partiti), indicare la via per la soluzione dei conflitti insorgenti
fra essi”.96 In quest’autorevole orientamento dottrinario, come si può osservare, viene
richiamata, a mò di premessa metodologica generale all’analisi dei partiti nella Costituzione,
una problematizzazione di grande rilievo che ha ad oggetto la questione dell’effettività
dell’ordinamento costituzionale rispetto alle discrasie cui è sottoposto per l’insorgenza di
attività partitiche ultronee rispetto alle funzioni costituzionalmente definite per i partiti politici
nell’art. 49 Cost.
È nell’ambito di un diverso approccio – conosciuto in dottrina, ormai da gran tempo, con la
mutevole terminologia – ancorché incerta e ambigua – di ‘costituzione materiale’, ‘reale’,
‘vivente’ – che va riconosciuto come l’effettivo potere di indirizzo politico e la formulazione
e l’attuazione delle relative modalità concrete si sia trasferito ai partiti, in grado come sono di
“avere nelle mani” la legislazione, il Governo, l’amministrazione e – per taluni
(riattualizzando un approccio di Minghetti valido per il secolo scorso) – la stessa
giurisdizione. Si riconosce, così, che non coglie l’effettiva realtà costituzionale chi ritenga
ancora di trovarsi di fronte ad una forma di Stato democratico parlamentare, disconoscendo
ciò che in via di fatto si è andato realizzando: un completo, effettuale, superamento della
democrazia rappresentativa di stampo ottocentesco, fondata sulla centralità dell’organo
parlamentare, nella direzione di una democrazia di massa basata sui partiti politici, al cui
interno, tuttavia, permangono forme, istituti e procedure della previgente forma democratica,
che riappaiono soprattutto in determinate situazioni limite (voto segreto in contrasto con le
indicazioni di partito, ecc.).
Salvo a ritornare su tale problema, che costituisce una questione centrale
nell’approfondimento della tematica oggetto di analisi, occorre ora accennare, anche se in
modo essenziale, alle principali novità metodologiche registrate nel corso degli anni ‘70 e ai
più significativi risultati conseguiti nell’analisi dei partiti (considerati sia uti singuli sia nella
loro pluralità, come ‘sistema pluripartitico polarizzato’, come ‘sistema tendenzialmente
bipartitico’ o a ‘bipartitismo esasperato’, a seconda delle varie ipotesi interpretative) da parte
della dottrina.97 In tal senso, nell’ambito della dottrina che si è occupata della questione, si
deve fare riferimento, in particolare, alle analisi di due autori che più di altri studiosi della
materia possono individuarsi come capofila di un’approfondita riflessione dottrinaria sui
partiti, incentrata, al contempo, sia sul singolo partito (colto nella sua dinamica evolutiva, il
c.d. partito ‘situé’), sia sul relativo rapporto con le istituzioni di governo; oltre a Elia,98 ci
riferiamo, in tal senso, a Rescigno,99 le cui analisi sono parimenti fondamentali nel fondare la
96
Cfr. C. Esposito, I partiti nella Costituzione italiana, nella sua La Costituzione italiana, Padova, 1954, 215.
Per un approccio in questo senso sia consentito rinviare anche ai nostri Partiti politici e forma di governo, Napoli, 1977 e Crisi
istituzionale e riforma della Costituzione, Pisa, 1983.
98 Di questo autore, oltre alla già citata opera, nota per le sue novità metodologiche nello studio delle forme di governo (Governo (forme
di) in EdD, XVI, 1970.), si devono ricordare altri contributi dedicati specificamente all’analisi dei partiti e della loro evoluzione, fra cui:
Realtà e funzione del partito politico: orientamenti ideali, interessi di categoria e rappresentanza politica, in Partiti e democrazia, Roma,
1964; L’attuazione della Costituzione in materia di rapporti fra partiti e istituzioni, in Il ruolo dei partiti nella democrazia italiana,
Cadenabbia, 1965; Introduzione a Disciplina dell’ordinamento e finanziamento dei partiti nella R.F.T. e I progetti di legge
sull’ordinamento e finanziamento dei partiti nella R.F.T., Roma, 1965.
99 Di G.U. Rescigno, oltre al noto Manuale (Corso di diritto pubblico, Bologna, 1995), si possono ricordare tutta una serie di contributi,
alcuni dei quali con preminente attenzione ai riflessi del dato politico-ideologico sulla diversa caratterizzazione dell’azione dei partiti al
proprio interno e nei rapporti con le istituzioni statali: Costituzione italiana e stata borghese, Roma, 1975; Partiti politici, articolazioni
97
25
svolta metodologica nello studio dei partiti politici come espressione e strumento della
trasformazione della democrazia contemporanea. Alle loro analisi, in particolare ed alle
innovazioni nella stessa metodologica seguita – pur partendo da premesse metodologiche
diverse – si possono far risalire le evoluzioni dottrinarie più significative in materia di partiti
politici e lo stesso riconoscimento dell’esigenza di approfondire l’analisi di tale materia
ponendo nell’obiettivo della ricerca giuspubblicistica gli stessi aspetti della vita interna dei
partiti e della conseguente dinamica d’interazione con le istituzioni pubbliche. Secondo
quest’orientamento, che parte da premesse diverse ma raggiunge lo stesso risultato, i partiti
non possono considerarsi alla stregua di mere associazioni di diritto privato, come ritiene
parte della dottrina. Essi costituiscono un elemento fondamentale (come per altro avevano
significativamente riconosciuto ricerche sui partiti, negli anni ‘40, dovute al Ferri e al Virga,
per citare una parte soltanto della dottrina che se ne è occupato con maggiore sistematicità)100
per giungere alla corretta identificazione della forma di Stato e del suo modello organizzativo,
la forma di governo, rendendo obsolete ed inefficaci, a tale scopo, le stesse classiche
metodologie adottate per lo studio comparato delle forme statuali moderne e contemporanee e
della loro evoluzione nel tempo.101
Tuttavia, se di tipo prevalentemente metodologiche sono le conclusioni sul punto cui
perviene Elia, le argomentazioni del Rescigno sembrano spingere oltre l’indagine,
richiamandosi ad una metodologia e ad una riflessione di vecchia data nell’ambito della
dottrina più critica,102 che individua per il partito politico la natura di ente complesso, che
integra, al contempo ed in modo necessariamente correlate, la natura giuridica delle
associazioni private e quella degli organi (o quasi organi) dello Stato soggetto. La carenza di
uno dei due elementi, in un quadro in cui essi si assumono, come si è detto, necessariamente
complementari, per le funzioni cui assolvono nello Stato di democrazia pluralista
(rappresentanza e mediazione-integrazione), farebbe venir meno l’intera funzionalità del
sistema di democrazia rappresentativa.103 All’interno delle forme di governo degli Stati
contemporanei a struttura liberal-democratica ed in quelli a preminente caratterizzazione
‘sociale’, come quello delineato dalla Costituzione italiana del ’48, così, i partiti, in ragione
delle funzioni assolte nella rappresentanza politica e nella collaborazione allo svolgimento di
funzioni a rilevanza pubblicistica, costituiscono organi di effettivo rilievo costituzionale che
risultano titolari, in via fattuale, della formulazione e dell’attuazione dell’indirizzo politico.
Ma essi sono, al contempo, associazioni di tipo privato e quindi strettamente insediati nella
società, difficile apparendo così la ricomposizione strutturale e funzionale in una lineare
definizione della loro natura giuridica. Questa osservazione, peraltro, giustifica ampiamente il
pessimismo sulle capacità risolutive della crisi in atto ad opera delle riforme istituzionalicostituzionali fin qui discusse nella prospettiva de jure condendo, le quali, nel loro limitarsi a
discutere proposizioni di riforma più o meno radicali dell’attuale forma di governo verso
soluzioni di neo-parlamantarismo razionalizzato o perfino di semipresidenzialismo,
interne dei partiti politici, diritto dello stato, in GC, 1964 , ma anche La responsabilità politica e Le convenzioni costituzionali, nonché
Alcune considerazioni sul rapporto partiti-stato-cittadini, in Scritti in onore di C. Mortati.
100 Cfr. G.D. Ferri, Studi sui partiti politici, Roma, 1950; P. Virga, Il partito nello ordinamento giuridico, Milano, 1948. Sulla tesi del
partito come “ente ausiliario del governo e/o dello stato” cfr. Santi Romano, Principi di diritto costituzionale, Milano, 1947, 177; ma anche
A. Predieri, I partiti politici, in Commentario sistematico alla costituzione italiana, Firenze 1950, che configura come istituzioni non tanto i
singoli partiti quanto l’insieme degli stessi.
101 Cfr. L. Elia, voce Governo ... cit., passim.
102 Per una rassegna critica di questa dottrina cfr. A. Negri, Alcune riflessioni sullo ‘Stato dei partiti’, ora anche in La forma stato,
Milano, 1977, 116.
103 Questa è anche la ragione che porta tale Autore a ritenere sostanzialmente vano e perfino ‘autoritario’ ogni forma d’intervento
legislativo sui partiti (cfr. G.U. Rescigno, Alcune riflessioni ... cit., 955).
26
escludono, tuttavia, – in modo discutibile per le ragioni argomentate in precedenza – di
affrontare le ragioni di crisi dovute appunto alle interferenze sugli organi costituzionali di
governo da parte dei partiti politici, i quali, peraltro, non sempre sono retti da normative
statutarie nelle quali sia assicurato il rispetto della democrazia interna.104
Si può, dunque, osservare come indicazione conclusiva di queste osservazioni generali
sulla natura giuridica del partito politico e sulle letture che ne ha dato la dottrina
costituzionale che il ritardo registrato da una parte significativa della dottrina nel considerare
il partito sotto il suo aspetto funzionale di “elemento costitutivo del sistema di governo”
costituisce anche una ragione della più generale difficoltà a comprendere la sua
configurazione “a prevalente gravitazione pubblicistica”105 e dunque la sua natura di parte
integrante fondamentale del modello di democrazia e della forma di Stato vigente, la quale –
come si è ricordato – viene appunto definita ‘Stato dei (di) partiti’ in quanto concretizzata ed
incentrata sul funzionamento del modello previsto dalla carta costituzionale ad opera di un
sistema di partiti dai tratti giuridici dalla natura privatistico-associativo ed al contempo
organicistica, mentre dai tratti sociologico-politologici, caratterizzato dall’esistenza di una
pluralità di partiti, ma dei quali alcuni soltanto hanno potuto accedere alle maggioranze di
governo (clausola ed excludendum ed inesistenza della regola dell’alternanza fino ai primi
anni ‘90 come regola convenzionale che ha guidato la formazione dei governi per mezzo
secolo).106
104 Per una sottolineatura di questa problematica cfr. anche, S. Gambino (a cura di), Elezioni primarie e rappresentanza politica,
Soveria Mannelli, 1995.
105 Cfr. S. Galeotti, Note sui partiti ... cit., 257.
106 Sulle origini e sul significato della c.d. conventio ad excludendum nella costituzione reale del paese cfr. L. Elia, Perché l’Italia si è
tenuta e si tiene questo sistema di governo?, in F.L. Cavazza, S.R. Graubard (a cura di), Il caso italiano, Milano, 1974, I, 224.
27
Scarica