La comparazione nel diritto costituzionale: approccio ‘normativistico’ e approccio ‘realista’ alla “zona grigia” del diritto costituzionale di Silvio Gambino (Università della Calabria) 1. Crisi dello Stato liberale e ripensamenti metodologici nella dottrina costituzionale: realtà politica e metodo giuridico. L’approccio al tema del diritto dello Stato e della sua sovranità impone di richiamare preliminarmente, sia pure in modo essenziale, i termini fondamentali che caratterizzano il contesto giuridico-dottrinario e quello storico-politico del tardo ’800 e dell’intero ’900. Nella fase caratterizzata dall’affermazione del fascismo, essi erano dati, fondamentalmente, dai condizionamenti crescenti che tale regime politico era riuscito ad operare sulla dottrina costituzionalistica come anche sugli altri saperi. Ma la stessa vicenda della trasformazione autoritaria dello Stato in Italia – come per altri versi, sia pure con direzione opposta quanto ai fini perseguiti, può dirsi dell’affermazione, con la rivoluzione bolscevica, nel 1917, dello Stato socialista – evidenzia, accanto al mero succedersi degli accadimenti storico-politici, un processo di ripensamento della stessa teoria giuridica dello Stato. Pur nelle sue formulazioni dogmatiche più compiute, quest’ultima, infatti, non aveva saputo riadeguarsi – per prenderle nel debito conto – alle problematiche poste dalle crescenti esigenze rappresentative prodotte negli Stati contemporanei a seguito della graduale estensione del suffragio e delle stesse modifiche operate all’interno dell’architettura costituzionale dello Stato. Le tematiche dogmatiche della sovranità dello Stato evidenziavano un chiaro ancoraggio teorico a nozioni divenute nel tempo vetuste, come quelle che – con il richiamo alla nozione idealistica e rivoluzionario-giacobina di ‘nazione’ – assumevano di poter fondare una capacità di legittimazione politica del potere politico statuale di tipo autoreferenziale. A partire dagli anni ’20 e fino alla fine degli anni ’40 (con la riaffermazione dello Stato democratico), la dottrina costituzionale affronta questo tema e riflette sullo stesso metodo giuridico da utilizzare al fine di offrire una risposta che si dimostri capace di assolvere al difficile compito, che era stato già segnalato – nella fase tardo-ottocentesca dello Stato – da V.E. Orlando1, di “ridurre ad armonia ... l’ordine giuridico e l’ordine politico”, in una parola il diritto e la politica. In un simile scenario, il quadro politico-istituzionale generale nel quale è chiamato a muoversi il giurista che opera nel corso di questi anni si connota in termini di Destinato agli Studi in onore di Giuseppe De Vergottini. 1 Così in Studi giuridici sul governo parlamentare, in ADP, XXXVI, 1886, poi in Diritto pubblico generale, Milano, 1940, 352. Cfr. anche V.E. Orlando, Intorno alla crisi mondiale del diritto. La norma e il fatto, in Scritti giuridici in onore di Francesco Carnelutti, Padova, 1950, 580. ‘crisi’ molto più di quanto non avvenga attualmente2. Il costituzionalista che ha deciso di non orientare la sua ricerca verso un impegno scientifico di tipo ‘militante’, così, ritrova nel “muro protettivo”3 dello affinamento del metodo giuridico la stessa possibilità “di lavorare con sufficiente distacco dalla realtà politica del momento”4. Tuttavia, nonostante la percezione della trasformazione, ormai irreversibile, del modo di essere dello Stato moderno segnata dal fascismo, che avrebbe impegnato coerentemente “anche tutto lo svolgimento delle future architetture della teoria generale dello Stato e del diritto pubblico”5, la dottrina costituzionale non sembra cogliere pienamente le evidenti contraddizioni che si erano ormai esplicitate nello Stato fascista, tanto da portare autorevole dottrina ad affermare che lo Stato fascista si colloca in una linea di continuità con quel “complesso ordinamento che si è convenuto chiamare ‘Stato di diritto’ ... e (che) ne realizza una fase di ulteriore perfezionamento”6. Tali affermazioni rinviano ad analisi approfondite di studiosi che hanno “vissuto interamente il proprio tempo, in esso profondamente immerso ... nessun rifiuto manicheo, nessuna assolutizzazione moralistica ma una grande capacità di ascolto e un grande rispetto per ogni umana vicenda. In questo pensiero è dato, infatti, cogliere tutta la duttilità di uno spirito … sensibile ai molti segni che gli passano intorno, disinvolto nell’utilizzare gli strumenti storici che vengono alla sua portata, che sono e restano strumenti ... Piuttosto che di nicodemismo si deve parlare della sincerità di (personaggi) che non smentisc(ono) mai i legami col proprio tempo, che tend(ono) a strumentalizzarlo e pertanto a non lasciarsi particolarizzare dalle miserie legate alla contingenza”7. Lo scenario da cui muove e a cui porterà la ricerca costituzionale nel periodo costituente e durante i primi anni della Repubblica, l’utilizzazione da parte di questa dottrina di un metodo antiformalistico, attento a ricercare sintesi e armonie fra diritto e politica, è quello definito dagli eventi istituzionali e politici dello Stato italiano post-risorgimentale8, che sono contrassegnati da un rapido e talvolta drammatico succedersi di trasformazioni politiche e sociali, che non possono non riflettersi – oltre che nella legislazione e nell’amministrazione – nella stessa tipizzazione della forma dello Stato e nei nuovi valori e princìpi posti, via via, a suo fondamento. La crisi dello Stato moderno, prima ancora della rottura segnata dal fascismo, aveva assunto piena rilevanza già dopo (e anche a causa del) la prima guerra mondiale, manifestandosi in eventi portentosi nella quantità e nella qualità, prima del tutto sconosciuti, come la nascita e l’affermazione dei partiti di massa (prima come ‘partiti di combattimento’9, secondo la lucida definizione di G.U. Rescigno, e in seguito come partiti popolari), la 2 Cfr. S. Cassese, “La prolusione romaniana sulla crisi dello Stato moderno e il suo tempo”, in Consiglio di Stato, Associazione Italiana dei Costituzionalisti, Conclusioni alla Giornata di studio su ‘Lo Stato moderno e la sua crisi’ a un secolo dalla prolusione pisana di Santi Romano, Roma, 30 novembre 2011 (paper); P. Grossi, Lo Stato moderno e la sua crisi (a cento anni dalla prolusione pisana di Santi Romano), in RTDP, 2011, n. 1, 1; A. Romano, Santi Romano, Lo Stato moderno e la sua crisi e l’ordinamento giuridico, in RTDP, 2011, n. 2, 33. 3 Cfr. M. Galizia, Profili storico-comparativi della scienza del diritto costituzionale, in Archivio giuridico F. Serafini, 1963, 1-2, 103, cui adde P. Biscaretti di Ruffia, L’esposizione dommatica del diritto costituzionale nella recente letteratura italiana, in Jus, 1941, 106. 4 Cfr. M. Galizia, Profili ... cit., 103. 5 Cfr. P. Grossi, Pagina introduttiva, in M. Galizia e P. Grossi (a cura di), Il pensiero giuridico di C. Mortati, Milano, 1990. Nella stessa direzione cfr. M. Galizia, op. cit., 104 e bibliografia ivi citata. 6 Cfr. P. Grossi, op. cit., 2. 7 Cfr. P. Grossi, op. cit., 2. 8 Cfr. V. Crisafulli, La legislazione del cinquantennio, in AA.VV. (Atti convegno Messina-Taormina, 3-8 novembre 1981), Cinquant’anni di esperienza giuridica in Italia; L. Paladin, voce Fascismo (dir. cost.), EdD, XVI; Santi Romano, Lo Stato moderno e la sua crisi, Milano, 1969 (riedizione); G. Cianferotti, Il pensiero di V.E. Orlando e la giuspubblicistica italiana fra ’800 e ’900, Milano, 1980. 9 Cfr. G.U. Rescigno, Alcune considerazioni sul rapporto partiti-Stato-cittadini, in Studi in onore di C. Mortati, Padova, 1977. 2 diffusione del movimento sindacale e la sua graduale partecipazione alla produzione normativa (contratti collettivi). In breve, il passaggio, con la graduale estensione del suffragio (che diviene universale solo con il referendum istituzionale del 1946) da uno Stato monoclasse ad uno pluriclasse (per utilizzare la efficace nozione gianniniana10) e il riconoscimento sempre più esplicito della disomogeneità sociale che connota la base sociale dello Stato costituiscono eventi e consapevolezze che, se cercano di trovare nello Stato il luogo istituzionale per assicurare la rappresentanza e la mediazione fra la complessità degli interessi presenti nella società, fanno assistere, al tempo stesso, al dilagare della lotta politica fra gruppi contrapposti e spesso fanno degenerare la stessa in rissa violenta. Analizzato sotto un profilo più strettamente giuridico, può dirsi che l’esistenza di quei fenomeni, appena accennati, e il loro sviluppo accelerato, a cavallo fra ’800 e ’900, si riflettono in modo particolare nel diritto pubblico, e in particolare in quello costituzionale, registrando tale branca del diritto una minore efficacia a dominare la complessità dei fenomeni sociali e al contempo a garantire (e ad espandere) la protezione del sistema delle libertà civili e politiche, che costituisce patrimonio proprio del modello teorico dello Stato di diritto moderno11. Possiamo ricordare, in tal senso, come già nel 1910 Santi Romano, uno dei più attenti costituzionalisti del tempo, aveva modo di sottolineare che “il diritto pubblico moderno non domina ma è dominato da uno movimento sociale (corporativismo) al quale si viene stentatamente adattando e che intanto si governa con delle leggi proprie”12. Orientamenti non molto diversi sottolineava V.E. Orlando, il quale si spingeva fino a riconoscere il successo del colpo di mano fascista del 1922 nella debolezza e nell’incapacità dei governi dell’epoca, trasformati – come egli sottolineava – in “una assemblea di delegati dei gruppi”, più che in soggetto-istituzione responsabile del governo del Paese. Questi richiami ci consentono di osservare come la crisi dello Stato (e, più in generale, la trasformazione profonda delle istituzioni costituzionali) trovi una sua prima origine e spiegazione nella trasformazione profonda delle basi economiche e sociali delle costituzioni liberali moderne. Il passaggio da un capitalismo di tipo concorrenziale ad uno di tipo monopolistico, nei primi anni del XX sec., si accompagna, infatti, ad una ristrutturazione della compagine sociale che, originariamente fondata su una concezione atomisticoindividualistica, tende a riarticolarsi in una pluralità di formazioni e gruppi sociali. A questi, nella loro concreta articolazione e diversità di profili (confessioni religiose, associazioni politiche e sindacali, comunità di lavoratori e di utenti, ecc.), le costituzioni contemporanee, e quella italiana in particolare, attribuiranno in prosieguo una rilevanza così piena della qualità di veicolo politico-giuridico fra lo Stato e l’individuo da riconoscere loro funzioni di tipo pubblicistico e con esse la stessa attribuzione di autonome potestà normative (è quanto avverrà, ad esempio, in materia di contrattazione collettiva). Con il riconoscimento di un pluralismo sociale e, di conseguenza, con l’assunzione di un neo-corporativismo complesso come nuova base di riferimento dell’azione statale, così, le costituzioni che si formano a seguito della crisi delle originarie forme di Stato liberaldemocratico risultano ben più complesse: aumenta la quantità e la qualità degli interessi costituzionalmente riconosciuti e tutelati, mutano le stesse finalità costituzionali e i valori di riferimento dello Stato. 10 Cfr. M.S. Giannini, Il pubblico potere, Bologna, 1986. Fra gli altri, cfr. anche G. Zagrebelsky, Il diritto mite, Torino, 1992, e dello stesso A., Il metodo di Mortati, in F. Lanchester (a cura di), Costantino Mortati costituzionalista calabrese, Napoli, 1989. 12 Cfr. Santi Romano, Lo Stato ... cit., 12. 11 3 Se la trasformazione del contesto sociale ed economico, nei suoi profili più strettamente giuridici e istituzionali, come nuova base di riferimento dell’azione dello Stato, trova una parte della dottrina impreparata a coglierla, ad una posizione tutt’altro che evasiva si orienta, in questi anni di crisi dello Stato liberale, una parte di giovani studiosi (fra cui, insieme a Mortati, sono da ricordare Tosato, Crisafulli, Esposito), che avvieranno già negli anni del fascismo una riflessione approfondita sulle nuove tematiche dello Stato, del diritto e della Costituzione. Se nell’immediato l’analisi teorica di questi studiosi non conseguirà risultati innovativi di elaborazione teorico-dogmatica, tuttavia, porrà le basi teoriche su cui si fonderà la scienza costituzionale successiva e la stessa ricerca della più attenta dottrina costituzionale della fase democratico-repubblicana. Così, se la dottrina classica – in conformità alle concezioni idealistiche di fondo dell’epoca – fondava la dogmatica giuridica e la teoria dello Stato sui princìpi del formalismo giuridico, ispirati a loro volta a nozioni aprioristiche ascrivibili al metodo delle scienze perfette, tale nuovo orientamento della dottrina costituzionale mira piuttosto ad approfondire le tematiche della “istituzionalità sociale del diritto”13, nel tentativo teorico di fondare la sua “dimensione sociale”14, senza per questo prefiggersi di flettere le esigenze dogmatiche della scienza giuridica alle modalità (eminentemente) descrittive dello approccio sociologico. Già le analisi del Mortati15 (e soprattutto il saggio monografico su ‘La Costituzione in senso materiale’) e quelle del Crisafulli16 esprimono appieno i risultati cui perviene l’applicazione innovativa dei criteri e del metodo giuridico ad argomenti dalla natura prevalentemente politica. Si tratta di una ricerca che, per la prima volta, si propone di estendersi – come è stato bene osservato – fino alla “zona grigia” del diritto costituzionale. Illuminando le discontinuità di un simile approccio rispetto alla dogmatica tradizionale, un’impostazione metodologica e teorica così caratterizzata porterà la dottrina costituzionale più avvertita a cogliere la portata e il significato giuridico di una nuova nozione, quella di ‘costituzione materiale’, che si propone come nuova categoria interpretativa capace di cogliere il “fondamento giuridico”, la “fonte suprema” degli ordinamenti giuridici17. Riflettendo sulle novità del contesto sociale e politico e sulle problematiche poste dalla emersione del fenomeno partitico, prima, e dalla qualificazione dei rapporti fra Partito Nazionale Fascista e Stato, Mortati comprende come non possa limitarsi a confinare nel mero fatto un simile, nuovo, scenario politico-istituzionale. Con la nozione di ‘Costituzione in senso materiale’, in realtà, tale orientamento si muove alla ricerca di nuove nozioni giuridiche nelle quali il principio di effettività (e non più solo quello della mera esistenza della norma giuridica) si ponga come fondativa della stessa validità delle norme giuridiche, dell’ordinamento costituzionale e della stessa sovranità dello Stato18. 13 Cfr. M. Galizia, op. cit., 105. Per un approfondimento del contributo metodologico e teorico di Mortati alla scienza giuridica cfr. anche M.S. Giannini, Scienza giuridica e teoria generale in Costantino Mortati, in M. Galizia e P. Grossi (a cura di), Il pensiero giuridico … cit., 7; G. Zagrebelsky, Il metodo di Mortati e F. Lanchester, Costantino Mortati e la dottrina degli anni trenta, ambedue in F. Lanchester (a cura di), Costantino Mortati ... cit.. 14 Cfr. M. Galizia, op. cit., passim. 15 Soprattutto in L’ordinamento del governo nel nuovo diritto pubblico italiano, Roma, 1931. 16 In Per una teoria giuridica dell’indirizzo politico, Urbino, 1939. 17 Cfr. C. Mortati, La Costituzione in senso materiale, Milano, 1940, 49. Dello stesso A. cfr. anche Costituzione (dottrine generali), in EdD, XI, Milano, 1962, 174 e bibliografia ivi citata. 18 Osservazioni per uno studio del diritto costituzionale quale “struttura sociale”, in Studi in onore di C. Esposito, IV, Padova, 1974, 2778; S.M. Cicconetti, Appunti di diritto costituzionale, Torino, 1992, 19; M. Nigro, Costituzione ed effettività costituzionale, in RTDPC, 1972, 31; F. Modugno, Il concetto di costituzione, in Scritti in onore di C. Mortati, I, Milano, 1977, 208; G. Guarino, Sulla normatività 4 È su questa base che Mortati può definire come ‘costituzione materiale’ quell’insieme di fini politici e di forze politiche dominanti, per significare come non sia più bastevole la mera assunzione di regole formali accolte nella Costituzione a definire la concreta, reale, vigenza della stessa, dovendosi porre lo studioso, al contempo, la problematica della concreta vigenza di tali regole e dei soggetti che di essa sono responsabili. La novità del metodo giuridico proposto dal Mortati consiste appunto in questa nuova consapevolezza teorica. Ad essa lo studioso perviene sulla scorta di uno studio approfondito che partiva dallo studio della dottrina tedesca classica (da Laband a Jellinek, a Kormann, all’intera pandettistica gius-pubblicistica). Rispetto agli approcci dottrinari dominanti all’epoca – quello normativistico di Kelsen, l’istituzionalismo, il decisionismo di Schmitt e la teoria dell’ordinamento giuridico – la teoria mortatiana, a ben vedere, non si propone un allontanamento dall’approccio normativistico. Come osserva l’Autore, infatti, “il considerare la Costituzione politica come decisione concreta non vale a differenziarla dalla norma”19, e “se poi la decisione s’inserisce, come si deve, in un ordine e si fa derivare da questo”20, non ne segue un contrasto necessario fra la “naturalezza e la spontaneità di quest’ultimo con l’astratta validità della norma”21, in quanto “la norma non è tale giuridicamente solo come forma astratta, ma come comando concretamente efficiente ... (e poiché uno Stato) non si costituisce solo per perpetuare, garantire e rafforzare un dato ordine spontaneo ma per dirigere quest’ordine verso vie nuove, tracciare un piano ... (le norme) non devono considerarsi solo la parte giuridica dell’ordine concreto, il mezzo indispensabile per esprimerlo esteriormente, ma anche il meccanismo di trasformazione di quest’ordine”22. La novità della teoria della ‘costituzione materiale’, in tale ottica, consiste meno nei tentativi di definizione teorica del concetto, sostanziandosi piuttosto nel metodo giuridico utilizzato, che si ripropone di integrare, in modo compiuto, il principio di effettività all’interno della dogmatica giuridica. Come Mortati osserva, infatti, “… non è esatto ritenere che la Costituzione formale, una volta entrata in vigore, assorba in essa totalmente quel complesso di elementi e di fattori che si sono inclusi nel concetto di Costituzione materiale, sicché essi siano da considerare irrilevanti per lo studio del diritto e da respingere nella sfera del pregiuridico. Una volta ammesso che diritto non è l’insieme delle statuizioni consacrate in un testo di legge e operanti pel solo fatto di tale consacrazione, ma quel complesso ordinato di situazioni e di rapporti che si raccoglie in un centro di autorità, e costituisce il diritto ‘vivente’, valevole come tale anche se contrastante con quello legale, allorché l’osservazione documenti l’avvenuta sua stabilizzazione, non si rende possibile escluderne l’autonomo rilievo. In altri termini, quando la categoria del giuridico si collochi sotto il segno della effettività si rende necessario alla sua comprensione l’esame del concreto modo di operare delle istituzioni sociali sottostanti alle norme”23. Non si può affermare, tuttavia, che le novità introdotte con il nuovo metodo consentano di conseguire “idee generali cristallizzate, fuori dal tempo, valide di per sé, alle quali si possa fare appello per la costruzione di una teoria generale della Costituzione o di un diritto della Costituzione materiale, in Il foro penale, 1957; S. Bartole, Costituzione materiale e ragionamento giuridico, in Scritti in onore di V. Crisafulli, Padova, 1986 e dello stesso A. Costituzione (dottrine generali e diritto costituzionale), in Dig. D.P., 1989; S. D’Albergo, Il potere democratico fra Costituzione materiale e funzione di indirizzo politico, in Democrazia e diritto, 1973, 3. 19 Cfr. C. Mortati, La Costituzione ... cit., 121. 20 Ibidem, 154. 21 Cfr. anche G. Cianferotti, op. cit., 285. 22 Cfr. C. Mortati, La Costituzione ... cit., 96. 23 Cfr. C. Mortati, Istituzioni di diritto pubblico, Padova, IX ed., 1975, 34 e bibliografia ivi citata sul principio di effettività. 5 costituzionale generale”24. Il problema della effettività era posto ma non ancora risolto. La Costituzione formale continua a prevalere e ad assorbire la costituzione materiale e, come si fa correttamente valere, “è dalla prima che s’identifica la forma di Stato, così come è da essa, oltrechè dall’ordinamento nel suo complesso, che si ricavano gli elementi per la interpretazione e l’integrazione delle norme”25. I risultati di una simile impostazione, dunque, non sono ancora tali da assicurare la ricostruzione di un percorso di ricerca costituzionale capace di fornire piena certezza nei risultati dell’indagine stessa; tuttavia, essi pongono un problema, rompendo un inquadramento dogmatico che risale alla dottrina francese e alle elaborazioni teoriche della dottrina austrotedesca. In breve, può dirsi che esse pongono le premesse di un orientamento dottrinario ispirato all’esigenza di ‘deformalizzare’ lo specialismo giuridico della dottrina giuspubblicistica classica alla ricerca di un avvicinamento alle nuove intuizioni consentite dalla metodologia giuridica (definita nei termini sopra richiamati), alla ridefinizione giuridica dei nuovi rapporti fra la realtà costituzionale e quella politica, ove ormai operano complessi interessi e ‘nuovi principi’, i partiti politici. Come potremo osservare meglio in seguito, a questi risultati – aiutato dalla nuova collocazione costituzionale delle funzioni di tali soggetti politico-comunitari – si rifarà, con la riconquistata democrazia, prima timidamente e poi con maggiore consapevolezza, la dottrina costituzionalistica a partire dagli anni ’5026. Avviando a conclusione questo primo avvicinamento al tema della cultura giuridicocostituzionale nella sua evoluzione dall’800 al ’900, unitamente agli esiti teorici realizzati da una simile ricerca critica nei confronti delle chiusure imposte dalle concezioni classiche del metodo giuridico, occorre cogliere la stessa ridefinizione del ruolo del giurista nel “superamento del divorzio fra indirizzo empirico e indirizzo sistematico, nella consapevolezza che, come l’indagine puramente empirica senza un criterio fondamentale ordinatore e senza la successiva organica coerente elaborazione dei dati non è in grado di dar luogo a risultati scientificamente rilevanti, così, correlativamente, le costruzioni concettuali staccate da un’ampia ricerca in profondità sul terreno vivo dell’esperienza giuridica sono un mero esercizio razionale a vuoto”27. La risoluzione di tale antinomia segna, per una parte della migliore dottrina, la stessa fine del modello del ‘giurista neutro’, che non è priva di un rischio di asservimento della scienza giuridica alle categorie politiche: “In pratica, per avere chiavi interpretative, se non sicure almeno accettabili, il giuspubblicista deve divenire anche politicamente orientato: è, cioé, anche operatore politico politicamente orientato; senza che, ovviamente, ciò significhi necessariamente politicamente impegnato. Viene così a cessare il giurista politicamente neutro, mero analista e teorico del dato, che aveva avuto tanto spazio nel periodo precedente”28. Il superamento del fascismo con la riconquista della democrazia consentirà alla dottrina, così, di sviluppare tutte le premesse poste da un simile orientamento metodologico e teorico. I 24 Così anche G. Zagrebelsky, Il metodo ... cit., 85-86. Così S. M. Cicconetti, op. cit., 24. 26 Per un inquadramento istituzionale e critico di tale processo, nell’ampia bibliografia, cfr. almeno P. Ridola, Partiti politici, Milano, 1989; S. Gambino, Partiti politici e forma di governo, Napoli, 1977; S. Bonfiglio, Forme di governo e partiti politici, Milano, 1993; AA.VV., Partiti politici e società civile a sessant’anni dall’entrata in vigore della Costituzione, Napoli, 2009. L’opera che segna lo spartiacque teorico e metodologico sul punto rimane tuttora la voce Governo (forme di) di L. Elia, in EdD, XVI, 1970. 27 Così M. Galizia, op. cit., p. 109. 28 Così M. S. Giannini, Diritto amministrativo, in AA.VV., Cinquant’anni di esperienza giuridica ... cit., p. 374. 25 6 risultati più felici di una simile ricerca porteranno la migliore dottrina a trarre tutte le conseguenze teorico-dogmatiche di un processo costituzionale che ha ridefinito, nella Costituzione repubblicana del ’48, le proprie fonti di legittimazione politico-giuridiche, superando la tradizionale teoria della sovranità dello Stato a favore di un approccio teorico che, nella definizione dello Stato, riunisce in unum gli elementi ascrivibili alla nozione di Stato-persona giuridica e quelli riferibili allo Stato-comunità. Con Mortati, in particolare, si avvia – per usare la stessa terminologia usata dall’Autore – una “nuova fase della scienza giuspubblicistica indirizzata alla determinazione del proprio oggetto ... (operando essa stessa) quale fattore creativo della realtà alla quale rivolge il suo studio, s’inserisce cioé in essa come forza attiva, nel senso che, mentre ne riflette le esigenze e idealità, contribuisce poi a potenziarle scoprendone le ragioni e le forze che le muovono, i nessi che le legano in unità, la regolarità delle loro manifestazioni da cui si deduce la intrinseca loro normatività”.29 Dalle concezioni dogmatiche classiche, ispirate com’erano al concetto filosofico hegeliano di Stato, assunto come trascendente rispetto alle esigenze e alle domande del corpo sociale, e considerato “come qualcosa di astratto e di mitico, come entità superindividuale, distaccata dagli uomini e trascendente, se non addirittura divina, avente finalità e interessi suoi, superiori e diversi da quelli dei cittadini”30, si passa, così, da parte della dottrina più attenta, a prendere coscienza degli elementi fondamentali della sua immanenza e della sua storicità e con esse delle esigenze teoriche di una sua ridefinizione. Tale è il significato più profondo della ripresa e dell’approfondimento di nozioni come quella espositiana di ‘nazione’31, o come quella mortatiana di ‘costituzione materiale’, attraverso le quali la dottrina costituzionale più avvertita si muove lentamente nella direzione di una ripresa di contatto, di dialogo, fra Stato-apparato e società civile, coinvolte anche dalla nozione crisafulliana di ‘indirizzo politico’32. Lo Stato si presenta ormai allo studioso sempre più come il “re nudo” della nota favola di Anderson. Lo Stato liberal-democratico del costituzionalismo moderno (sia quello rivoluzionario del costituzionalismo francese che quello consuetudinario del costituzionalismo britannico), in breve, non riesce più a giustificare “il mito dello Stato neutrale, super-arbitro delle contese fra le classi sociali”33; entra in crisi l’intera concezione classica dell’unità della “forma” statuale. Dalla rottura della previgente ‘omogenità sociale’, che, a sua volta, era conseguenza della ristrettezza del suffragio, emergono una pluralità di nuove “forze e concezioni sociali” (gruppi, formazioni e associazioni sorti a tutela di interessi differenziati e conflittuali), che si contrappongono in modo maggiore o minore allo Stato e, “pur di perseguire un proprio interesse, non esitano a ferire a morte quelle che sono condizioni essenziali per la salute e la 29 Così C. Mortati, Diritto costituzionale (nozioni e caratteri), in EdD (ora anche in C. Mortati, Raccolta di scritti, II, 256, da cui riprendiamo le citazioni), il quale sulle problematiche poste dalla funzione creativa della scienza rinvia a G. Capograssi, Il problema della scienza del diritto, Milano, 1962. 30 Cfr. E. Tosato, Sovranità del popolo e sovranità dello Stato, in RTDP, 1957, 42. 31 Nell’approfondimento che ne fa C. Esposito nelle sue opere, a partire già da Lo Stato e la nazione italiana, in ADP, 1937, II. 32 In Per una teoria giuridica dell’indirizzo politico, Urbino, 1939, 91. 33 Così L. Elia, Diritto costituzionale, in AA.VV., Cinquant’anni di esperienza giuridica ... cit. 7 vita dello Stato”34. Con la loro emersione si rompe il previgente equilibrio assicurato dalla legge generale e astratta, fondando, al contempo, un regime pluralistico di fonti normative. A fronte di un simile assetto, la dottrina non può non avvertire, come osserva Mortati, “l’esigenza di adeguare la sua metodologia alle trasformazioni verificatesi, di spostare la propria attenzione dalla legge al fatto normativo, dall’ordine legale all’ordine concreto, dalla Costituzione formale alla istituzione, dalla validità all’effettività, facendo aderire le sue costruzioni ai dati desumibili da tutti gli elementi che concorrono alla vita dell’ordinamento e respingendo ogni specie di astratto logicismo formale”35. Il processo di crisi dell’unità politica statuale, interagendo con la crisi del formalismo giuridico, accentua la “perdita di unità e di identità della forma Stato”36; con essa si compromette la stessa sua “capacità di direzione e di neutralizzazione, di conciliazione degli antagonismi nei confronti di tutte le forze particolari dipendenti”37. Si perviene così, nella dottrina come nella pratica istituzionale dei pubblici poteri, a una ‘deformalizzazione’ dello Stato e ad un viepiù crescente ‘pluralismo di poteri diffusi’. È in questo quadro di superamento dell’approccio dottrinario tradizionale che occorre collocare i tentativi della più attenta dottrina costituzionale del dopoguerra di accostarsi in modo innovativo allo studio delle forme di Stato e di quelle di governo38. Il tentativo di fare il punto sul contributo alla deformalizzazione della scienza costituzionale nello studio dello Stato e delle forme storiche della democrazia impone di far partire la ricerca dagli eventi istituzionali-costituzionali registrati nel corso del fascismo e dalle diverse rielaborazioni che tali eventi hanno prodotto nella dottrina giuspubblicistica. Nella definizione della forma di Stato contemporaneo come ‘Stato di partiti’, infatti, occupano uno spazio indubbiamente importante gli eventi costituzionali registrati durante il regime fascista, con il ruolo centrale occupato al suo interno dal partito unico (il P.N.F.), nella sua ipostatizzazione ideologica e costituzionale; da qui, appunto, aveva preso le mosse l’analisi mortatiana della ‘costituzione materiale’. Pur senza voler discutere, in questa sede, la tematica della sua giuridicità-prescrittività, non si può disconoscere come essa abbia condizionato, nella fase della riconquistata democrazia, lo sviluppo della ricerca costituzionale sui rapporti fra vitalità della forma di Stato e modalità di organizzazione al suo interno dei poteri costituzionali. A parte l’interesse in sé della questione, un profilo appare importante da sottolineare, in quanto idoneo a fare da trait d’union fra le problematiche istituzionali del fascismo con quelle, a monte, delle istituzioni statutarie e, a valle, delle vigenti istituzioni repubblicane. Tale profilo è dato dalle teorie giuridiche e statuali che hanno accompagnato le fasi di evoluzione dello Stato nel XX sec. Nell’affrontare il tema dei rapporti Stato-società, basterà solo accennare ad alcuni di essi per osservare come in tale approccio sia escluso 34 Come osservava V.E. Orlando, Lo Stato e la realtà, ora in Diritto pubblico generale. Scritti vari ordinati in sistema, Milano, 1956, 220. Analisi non dissimili, salvo a differenziarsene nelle soluzioni suggerite, sono svolte da C. Mortati in Brevi note sul rapporto tra Costituzione e politica nel pensiero di Carl Schmitt, in QF, II, 1973, 717. 35 Così C. Mortati, Diritto costituzionale ... cit., 257. 36 Così anche G. Cianferotti, op. cit., 348. 37 Ult. op. cit., 348. 38 Un esempio illuminante di questo orientamento è fornito da Elia nella voce Governo (forme di) ... cit., sulla scorta di un approccio metodologico che risaliva indietro nel tempo e al quale si erano ispirate le importati analisi di T. Martines nel suo Contributo ad una teoria giuridica delle forze politiche, Milano, 1957. 8 teoreticamente ogni rapporto fra diritto e realtà. Quando tale metodo viene da taluni superato in dottrina, esso lo è comunque in una considerazione della realtà che è comunque parziale. La conseguenza di ciò, nella considerazione della dottrina classica del diritto pubblico e di conseguenza della giurisprudenza, è di ritenere che il metodo con il quale “essi interpretavano la realtà giuridica fosse il metodo giuridico per eccellenza”39. La scienza giuridica si costruisce, così, come una pura tecnica interpretativa finendo – come si fa bene osservare – “col forzare la realtà che essa afferma di volere interpretare o descrivere in maniera del tutto neutra e coll’influire essa stessa su questa realtà”40. Il giurista non è, dunque, in questa concezione – che potremmo definire positivista – un creatore del diritto quanto piuttosto un suo mero interprete, un sistematizzatore. Nella sua attività, il giurista deve escludere cioé ogni valutazione di merito, dovendosi limitare ad una mera attività di tipo esegetico. Una simile premessa sulla scienza giuridica appariva utile per cogliere le novità metodologiche e la produttività ermeneutica delle teorie giuridiche che maggiormente hanno caratterizzato la riflessione della scienza giuridica del XX sec.; parliamo, in particolare, della teoria dell’ordinamento giuridico, della teoria dell’istituzione e soprattutto della teoria della Costituzione in senso materiale – costruzioni teorico-dogmatiche, queste ultime, che hanno in comune di costituire una riflessione critica dell’approccio giuridico classico nel senso di una nuova percezione verso l’organizzazione delle forze sociali, orientata nel senso del superamento della discrasia osservata fra realtà e costruzioni teoriche. Tali teorie, che si sviluppano coevamente agli eventi politici di trasformazione dello ‘Stato di diritto’ nel contemporaneo ‘Stato costituzionale’, registrano cioé l’esigenza di aggiornare il concetto di Stato rispetto alle analisi della dottrina ottocentesca come “vera e unica istituzione necessaria” per risolvere i problemi della vita associata. Dovuta a Santi Romano, la prima di tali concezioni rompe la sacralità delle antiche definizioni, disarticolando “l’unità e l’unicità dello Stato e del suo diritto” e proponendone una teorizzazione che, più che dissolvere, lo articola in una pluralità di ordinamenti, ciascuno dotato di un proprio sistema giuridico, di cui la teoria approfondisce le differenze e le relazioni rispetto all’ordinamento giuridico-Stato. Dopo aver tratteggiato, sia pure in modo essenziale, gli orientamenti dottrinari che si sono affermati in Italia nel primo cinquantennio di vigenza della carta costituzionale, con specifico riferimento alla questione della natura giuridica del partito e del suo processo di avvicinamento allo Stato, fino a divenirne – come taluno in dottrina si è spinto ad affermare – un suo quasi-organo, occorre ora avvicinarsi più da vicino per riprendere il contributo che alla sistematizzazione della dottrina ha offerto uno degli studiosi del quale, dopo Costantino Mortati, può dirsi che con maggiore realismo, equilibrio e continuità ha guidato il processo di rinnovamento del metodo e della stessa scienza costituzionale in Italia. Elia è, certamente, fra quegli autori che hanno mostrato maggiore sensibilità alla comprensione dei condizionamenti di natura extra-giuridica in sede di attuazione delle norme costituzionali; ciò in ossequio ad una metodologia giuridica mirata non solo alla comprensione dell’organizzazione strutturale dei poteri ma anche, e soprattutto, alla comprensione dei relativi momenti funzionali e dinamici, che risulta quanto mai produttivo di conoscenza nello studio delle forme di governo sia nell’ambito del diritto costituzionale che in 39 40 Cfr. C. Roehrssen, Governo, legge, politica, Milano, 1969. Ult. op. cit. 9 quello comparato. Come è stato osservato, l’adozione di un criterio complesso per classificare le forme di governo, in Elia, “esprimerà le diverse modalità di attribuzione e di esercizio della funzione di indirizzo politico attraverso uno schema concettuale offerto in parte dalla teoria della separazione dei poteri (per quanto riguarda gli elementi emergenti dai dati normativi) ed in parte dalla tipologia dei sistemi di partito (per quanto riguarda gli aspetti dinamici dell’equilibrio tra gli organi costituzionali)”41. Questa contaminazione del diritto costituzionale, pur rendendosi necessaria in virtù del fatto che la dogmatica aveva finito per attribuire alle tipologie di governo “un valore di forme o categorie logiche a priori, tali da condizionare le norme piuttosto che rimanere da queste condizionati”42, con un’evidente rigidità dei modelli rispetto alla complessità delle realtà contemporanee, nondimeno, ha posto rilevanti problemi soprattutto di ordine metodologico. Come si è ricordato in precedenza, l’evoluzione dottrinaria sul metodo nella scienza costituzionale che ha evidenziato, nel tempo, l’esigenza di una deformalizzazione della stessa – se si prescinde dalle analisi problematiche della prevalente dottrina a proposito della categoria mortatiana di ‘costituzione materiale’ (la critica della cui ambiguità aveva ottenuto il consenso della prevalente dottrina degli anni ’50) – non ha sempre trovato specifica attenzione da parte della dottrina, a partire dagli anni ’60 in poi. La scienza costituzionale – in modo prevalente – si concentra sulla lettura delle norme costituzionali offerte dalla Corte costituzionale, sviluppando in tal modo un approccio giurisdizionalistico del diritto costituzionale stesso, al quale, come si può osservare, talora rimane sostanzialmente esterno se non proprio secondario l’apporto della dottrina. In un quadro dottrinario di questo tipo e nello stesso contesto di una forma di governo che, come già aveva osservato il Mortati dei primi anni ’70, si era trasformato, con il passare del tempo, in ‘regime maggioritario’, le analisi di Elia sembrano chiaramente conformarsi ad una simile deformalizzazione della scienza costituzionale, mai facendo venir meno, tuttavia, le esigenze di certezza che sono proprie della prescrittività delle norme giuridico-costituzionali. Talora, questo approccio metodologico esplicita la stessa preoccupazione del rischio conformistico in cui può incorrere il costituzionalista. Nel richiamare tale censura, che era stata espressa a suo tempo dal Capograssi43, Elia sembra far propria, tuttavia, la nozione capograssiana di “esperienza”, ricorrendo alla quale egli si ripropone di sottolineare la novità formale e sostanziale della carta repubblicana, nonché il carattere progressivo del processo di adeguamento dei rapporti e degli istituti alle direttive della Costituzione, riaffermandosi in tal modo che “il diritto costituzionale, più ancora degli altri settori dell’esperienza giuridica, è realtà vivente che deve essere colta nella immediatezza delle molteplici manifestazioni nella quali si spiega”.44 “L’affermarsi di un metodo più ‘realistico’” è ciò che l’Autore, più che auspicare, sembra dare come scontato quando riflette sugli sviluppi nella metodologia accolta dai costituzionalisti a partire dagli anni ‘60 anche alla luce dei contributi offerti dalla letteratura anglosassone e dallo studio delle giurisprudenze costituzionali straniere, cui si fa sempre più frequente riferimento, un metodo – quest’ultimo – che si orienta al superamento del “divorzio tra indirizzo empirico e indirizzo sistematico”, pur cogliendo come 41 In tal senso M. Dogliani, Spunti metodologici per un’indagine sulle forme di governo, in GC, 1973, 233, che sviluppa una critica di fondo alla classificazione tradizionale delle forme di governo. 42 Cfr. C. Mortati, voce Diritto costituzionale (nozioni e caratteri), in EdD, XII, 950. 43 In Il problema di V.E. Orlando, in Opere, V, Milano, 1959, 360. 44 Così L. Elia, in Diritto costituzionale, in Cinquant’anni ... cit., 355, in cui, a conferma, si cita l’accoglimento di tale orientamento della dottrina costituzionale riunita intorno alla rivista Giurisprudenza costituzionale, colta come una “specie di C.L.N. della scienza costituzionalistica” italiana. 10 “eccessivamente ottimistico” quella convergenza auspicata dal Galizia “tra istanze sociologiche, politiche e giuridiche nella ricerca cotituzionalistica” che teneva tuttavia fermi “l’autonomia ed il carattere giuridico della stessa”45. Sull’assenza di una specifica analisi sul metodo nella scienza costituzionale, anche altri studiosi46 osservano che “il superamento del c.d. metodo giuridico è avvenuto senza una precisa ed univoca scelta di metodo”; mentre altri, in modo più netto, fanno rilevare che “quando si è rotta la vecchia e superata impalcatura, cosa che è successa alla metà degli anni ‘60, il diritto costituzionale è stato inizialmente vivificato, ma alla lunga è uscito distrutto”47. In quanto scienza e non dogma, in una simile concezione, così, si osserva che il diritto costituzionale non può cristallizzare nel tempo i propri oggetti e le proprie metodologie ma deve, pur con difficoltà, adeguarli ai bisogni di conoscenza via via emergenti. In tal senso – e limitandosi alle problematiche poste dallo studio delle forme di governo – se alle tipologie delle forme di governo non si chiede solamente una valenza prescrittiva, ma anche una valenza immediatamente descrittiva, non è chi non veda quanto vantaggiosi appaiano quegli approcci a più dimensioni che producono esiti comprensivi della realtà.48 Sotto tale specifico profilo, la mancata considerazione dei partiti politici come elementi quantomeno rilevanti per la comprensione della funzionalità delle forme di governo derivava dalla concezione esclusivamente normativistica, dalla mancata distinzione tra “assenza di norma giuridica e assenza di norma scritta”, il che ha impedito “all’attenzione dei giuristi di posarsi sul fenomeno partitico e sulle alterazioni del sistema di governo che ad esso fanno capo, relegandole nel campo della pura rilevanza politica”.49 Sui limiti del normativismo nella comparazione costituzionale si sofferma autorevole dottrina, secondo la quale “diventa problematico comprendere le ragioni del funzionamento di un sistema costituzionale senza far riferimento a quella che penso si possa chiamare formula politica istituzionalizzata che rappresenta il vero tipo (tanto più importante quanto meno necessita di verbalizzazione) della struttura costituzionale dell’uno o dell’altro sistema ... si è parlato di spirito del sistema, di norma non scritta, di realtà costituzionale, di costituzione in senso materiale, intesa ... come quel complesso di norme di relazioni che esprimono il modo di essere dei rapporti costituzionali”;50 in ogni caso, trattando di questi argomenti, il discorso tende a fuoriuscire dal campo proprio del diritto per entrare in domìni “ad esso prossimi, ma da esso distinti e diversi, come la scienza politica, la sociologia del potere”. Come si vedrà in seguito, con specifica attenzione alla concezione di Elia in tema di convenzioni, prodotte dallo stabilizzarsi del sistema dei partiti, tuttavia, anche nel caso della ‘formula politica istituzionalizzata’ utilizzata da Lombardi si pone il problema di come assicurarne l’ammissibilità “in uno studio giuridico comparato dei rapporti istituzionali”. La risposta che se ne dà porta a sottolineare che più il discorso è normativistico meno è possibile 45 Cfr. M. Galizia, Profili ... cit., 107; L. Elia, Diritto costituzionale ... cit., 358. Cfr. S. Bartole, op. cit., 11. 47 Cfr. G. Amato, Diritto costituzionale, in S. Cassese (a cura di), Guida alla Facoltà di Giurisprudenza, Bologna, 1978, 83. 48 Per Dogliani, l’applicazione rigida del metodo dogmatico al diritto costituzionale è quantomeno riduttivo poiché tale branca del diritto “non può essere ridotta in un compiuto sistema di norme scritte, né sistematizzata in rigide formulazioni che vengono presto rese inadeguate dal costante e progressivo sviluppo dell’ordinamento” (op. cit., 925). 49 Così M. Dogliani, per il quale il bisogno di superare il normativismo è dettato dalla necessità pratica di comprendere gli ordinamenti giuridici sulla base del principio dell’effettività che tenga conto non solo della norma ma anche della sua applicazione (op. cit., 995). 50 Così G. Lombardi, Premesse al corso di diritto pubblico comparato, Milano, 1986, 69. 46 11 inquadrare nel diritto il concetto di formula politica istituzionalizzata; se invece ci si muove nell’ambito dell’istituzionalismo è proprio a questo livello che “si trovano le formule politiche istituzionalizzate, che operano come elementi di integrazione del sistema ... rendendone non solo possibile il funzionamento ma offrendole al tempo stesso gli elementi fondamentali dell’identificazione. In questo specifico significato che recupera il livello di equilibrio fra elemento normativo ed elemento fattuale (che è tale, tuttavia, solo al suo punto di partenza, perché senza il sostegno di quest’elemento giuridico, la formula politica istituzionalizzata non cesserebbe di essere puro evento, senza forza di durata e quindi senza portata giuridica di stabilità) si può dire che la formula politica istituzionalizzata è quell’elemento in più che si aggiunge, nel diritto pubblico comparato, agli altri elementi comuni alla comparazione di derivazione gius-privatistica”.51 Queste brevi osservazioni consentono di poter meglio accostarsi alla logica sottesa ad una delle analisi dottrinarie più ricche di conseguenze teoriche sia dal punto di vista della sistematizzazione metodologica che da quello dei risultati ermeneutici cui perviene. Si fa riferimento al più volte richiamato studio sulle forme di governo curato da L. Elia per l’Enciclopedia del diritto, redatto nei primi anni ’70 e destinato, comunque, ad innescare un dibattito molto intenso nel quale non difettano opinioni critiche relative all’utilizzabilità della nozione stessa di forma di governo per le “insuperabili antinomie tra elementi descrittivi (di sociologia politica) e prescrittiva (di diritto costituzionale)”.52 Preliminarmente allo studio in senso stretto sulle forme di governo, Elia opera una precisa scelta metodologica che rileva sotto il peculiare profilo dell’approccio comparatistico, allorché lo studioso si prefigge – non solo per esigenze conoscitive (ad docendum) ma anche prescrittive (ad jubendum) – di accostarsi alle tipizzazioni costituzionali. In tale ricerca, l’Autore si fa guidare da un metodo “realistico” al quale, tuttavia – dopo aver osservato che comunque esso conosce il “limite non valicabile nella distinzione tra sistema politico o dei partiti politici e forma di governo, qualificato anche, ma impropriamente, come costituzione materiale”53 – egli assegna come finalità non tanto quello di cogliere il “dosaggio di elementi conoscitivi e di elementi prescrittivi, ma piuttosto il giudizio circa il quantum e il quid che dai primi trapassa nei secondi”.54 Nel richiamarsi, in tal senso, al suggerimento metodologico seguito da autorevole dottrina, Elia cerca esplicitamente di evocarne i rischi osservando come proprio quell’approccio “realistico” risulti in qualche modo inadeguato per la drastica contrapposizione in esso contenuta fra momento sociologico e momento giuridico, aspetto conoscitivo e momento normativo, quando “in realtà il nodo del tema consiste proprio nella valutazione degli elementi giuridicamente rilevanti ai fini di una tipizzazione: tenendo presente, peraltro, che la costruzione per tipi non serve ad uno scopo meramente conoscitivo (sul piano della sociologia o della scienza politica), ma tende a ‘riempire’ le formule adottate dai framers della Costituzione italiana e di altre costituzioni e a confrontare poi con questo contenuto le norme 51 52 Cfr. G. Lombardi, op. cit., 73-74. Cfr. M. Dogliani, Spunti metodologici ... cit., soprattutto 235. Nello stesso senso cfr. anche, fra gli altri, S. Bartole, Metodo giuridico ... cit. 53 54 Cfr. L. Elia, La forma di governo e il sistema politico italiano, in AA.VV., Critica dello stato sociale, Roma-Bari, 1982, 104 Cfr. L. Elia, Governo ... cit., 634. 12 scritte e non scritte (consuetudinarie e convenzionali) che vigono (o che sono proposte per la vigenza) in questo settore della pubblica organizzazione”.55 Nello sviluppo dell’analisi, la comparazione eliana fra le diverse forme di governo viene, quindi, condotta all’interno della categoria “sistema democratico costituzional-pluralistico”, nel senso che “l’individuazione delle varie forme di Stato assume un’importanza notevole perché stabilisce il limite di utilità (e, in un certo senso, anche di possibilità) della comparazione della forma di governo”.56 Tra le forme di stato e le forme di governo necessariamente vengono a stabilirsi profonde interconnessioni e, in primis, il carattere strumentale della forma di governo rispetto alla forma di stato. Da questo punto di vista, è chiara l’influenza della concezione “compatta” di Costituzione (di mortatiana memoria) la quale rende “strumentale la forma di governo al conseguimento delle finalità assunte dalle forze politiche portatrici dell’ordinamento. Questo nesso ... non è meno forte nello stato democratico contemporaneo” perché, se e vero che quest’ultimo può realizzarsi in più forme di governo analizzabili autonomamente, “lo stato democratico ... si caratterizza in primo luogo per una variabile che coinvolge forma di stato e forma di governo e cioé per il ruolo che riescono effettivamente a svolgere nella dinamica dell’ordinamento il corpo elettorale e l’intero popolo”.57 Tanto richiamato e prima di soffermarsi sulla trattazione della rilevanza del tema relativo alla forma di governo parlamentare secondo le categorie interpretative eliane, è opportuno richiamare come l’Autore intenda per forma di governo “una situazione eminentemente relazionale e cioé i rapporti che si instaurano tra due o più organi partecipanti all’indirizzo politico nessuno dei quali viene mai in considerazione al di fuori di tale contesto”.58 Come egli stesso ci ricorda, l’obsolescenza della nozione di forma di governo parlamentare era stata già bene argomentata dal Giannini59 per il quale tale formula organizzatoria dei poteri sarebbe indissolubilmente legata ad una forma statale pre-democratica di natura oligarchica (lo Stato monoclasse borghese). La provocazione del Giannini – come si ricorderà – era rivolta soprattutto alla rigidità degli schemi cristallizzati con cui la teoria classica delle forme di governo si rapportava alle esperienze devianti; occorre pertanto sottolineare come “dietro a questa assolutizzazione delle forme connesse all’esperienza dello Stato liberal-borghese stia una assolutizzazione, indiretta, dei contenuti stessi di tale Stato che emerge non solo dall’essere la strumentazione degli organi e dei poteri ispirata e funzionalmente collegata ai fini ed ai valori fondamentali dell’organizzazione statale nel suo complesso ma che talvolta si esprime anche nella trasposizione di elementi inerenti al regime politico, nella tipologia delle forme di governo”.60 55 Cfr. L. Elia, Governo ... cit., 635. Così L. Elia, op. cit., 635. Per l’Autore le forme di governo acquistano un autonomo rilievo all’interno della categoria ‘sistema democratico costituzional-pluralistico’, mentre in altri sistemi “potrebbe dirsi che la forma di Stato assorbe largamente quella di governo, riducendola a un insieme di modalità organizzative piuttosto marginali”. Riguardo alle questioni relative alla utilità ed alla stessa possibilità della macro-comparazione fra sistemi di governo nell’ambito di forme di Stato diverse, per G. De Vergottini (Diritto costituzionale comparato, Padova, 1987, 33-34) tale operazione “è scientificamente legittima, purché funzionale agli obiettivi della ricerca”; più specificatamente, “mentre nell’ambito di una stessa forma di Stato la similitudine dei presupposti rende la comparazione agevole, fra forme di Stato diverse l’uso del metodo comparativo richiede particolari cautele che tengano conto di queste radicali diversità”. 57 Così L. Elia, Appunti su Mortati e le forme di governo ... cit., 946. 58 Così L. Elia, Governo ... cit., 636. 59 Cfr. M.S. Giannini, Prefazione a G. Burdeau, Il regime parlamentare nelle costituzioni europee del dopoguerra (trad. ital. a cura di S. Cotta), Milano, 1950. 60 Cfr. M. Dogliani, op. cit., 222. 56 13 Pur riconoscendo all’approccio del Giannini il merito di avere evidenziato l’insufficienza di un criterio distintivo delle forme di governo basato sul mero rapporto tra gli organi costituzionali, soprattutto con riguardo al preteso passaggio tra l’oligarchia ottocentesca alla democrazia dell’era contemporanea, Elia osserva che “il salto tra oligarchia e democrazia vale più come indicazione di tendenza che come evento compiuto: in realtà, viviamo in una lunga situazione poliarchica”.61 Con ciò si vuole significare da parte dello studioso che, con la progressiva estensione del suffragio, al Parlamento composto dai notabili si è sostituito il Parlamento dei partiti ma non si è ancora raggiunta la perfetta corrispondenza fra la volontà dei governati e quella dei governanti poiché, ubbidendo alla legge ferrea dell’oligarchia, di michelsiana memoria, anche nelle organizzazioni di partito è venuta assumendo sempre più capacità decisionale una ristretta cerchia di oligarchi. In più, quanto detto a proposito del parlamentarismo dovrebbe valere anche per le altre forme di governo perché nessuno può negare le evoluzioni subite in questo secolo anche dalle esperienze presidenziali o direttoriali; in questo insieme di evoluzioni Elia vede soprattutto il passaggio da una democrazia ‘governata’ ad una democrazia ‘governante’.62 Ad ogni modo, come si è detto, con l’orientamento gianniniano risulta ormai sottolineata la necessità di includere nella definizione delle forme di governo (non solo quelle parlamentari, anche se queste dimostrano una maggiore sensibilità ad essere qualificate nel funzionamento dai sistemi partitici), sia in funzione conoscitiva che prescrittiva, elementi rintracciabili nel contesto partitico “sicché il criterio di classificazione”, utilizzando come punto di partenza le formule organizzatorie dei rapporti tra esecutivo e legislativo (il grado di separazione dei poteri), “dovrà qualificarle in relazione ai diversi sistemi di partito”.63 Così, l’inclusione del sistema dei partiti nell’alveo degli elementi qualificanti la forma di governo si giustifica poiché esso assume un valore di primo piano dal punto di vista della descrizione e della classificazione degli ambienti socio-politici in cui operano le strutture costituzionali perché in esso sono, per così dire, trasfusi tutti gli elementi più rilevanti di una società, che la caratterizzano dal punto di vista del livello di tensione, della compattezza della classe politica, del peso dei gruppi di pressione, del grado di consenso ottenuto dallo Stato, dell’omogeneità culturale ed etnica”.64 Il processo di democratizzazione, espresso soprattutto con il lento e graduale allargamento della partecipazione politica consentito dalla estensione del diritto di voto, ha fatto sì che “le forme di governo dello Stato democratico non possono più essere classificate né studiate, 61 Cfr. L. Elia, ult. op. cit., 637. La formula è stata coniata dal Burdeau, Traité de science politique, Paris, 1957, 7. Le due categorie – ‘democrazia governata’ e ‘democrazia governante’ – sono di estremo interesse: “la democrazia era governata quando, pur essendoci il suffragio universale, tuttavia erano i notabili che esercitavano un’influenza preponderante ... nella democrazia governata l’influenza del censo e della cultura faceva sì che vi fossero pochi leader ed un ceto dirigente ristretto”; invece “la democrazia governante è un regime che comporta un peso decisivo del popolo nella scelta non solo dei parlamentari, ma anche della formula di governo, delle alleanze, degli schieramenti di partito”. In tal senso, quando si afferma che si deve realizzare una democrazia governante significa che “l’aumento della forza deliberativa degli organi di governo e parlamentari, in un regime democratico, deve collocarsi in un quadro di accrescimento delle caratteristiche di democraticità dell’ordinamento stesso” (così L. Elia, Costituzione-processo, democrazia ‘governante’, riforme istituzionali, in AA.VV., Quattro lezioni sulla Costituzione. Attualità e riformabilità della Costituzione repubblicana, Bologna, 1989, 33. Nello stesso senso cfr. anche Da una democrazia d’investitura ad una di indirizzo, in Parlamento (supplemento a Il Popolo, n. 41, del 21.2.1988); Stabilità del governo e regime parlamentare, in AA.VV., La riforma delle istituzioni, Roma, 1995. 63 Così L. Elia, ult. op. cit., 638. 64 Cfr. M. Dogliani, op. cit, 229. 62 14 anche dal punto di vista giuridico, prescindendo dal sistema dei partiti; in effetti, questo è esplicitamente o implicitamente presupposto dalle norme costituzionali vigenti”65. Se l’influenza che il sistema dei partiti esercita sull’effettivo funzionamento del rapporto fra i poteri è pacificamente accettata, la fonte di maggiore incertezza per gli studiosi riguarda la saldatura, dal punto di vista eminentemente metodologico, di due mondi prima separati: la scienza giuridica e le scienze socio-politologiche. In diverso approccio, la condizione del pluripartitismo estremo non può essere considerata come un elemento di contorno al sistema legale perché, e nella misura in cui si stabilizza, essa “diviene una condizione di fatto di immediata rilevanza giuridica, in quanto entra nel sistema ‘presupposto’ dalle norme costituzionali”66. La circostanza che, poi, in ordine al sistema dei partiti non è pensabile una normazione specifica di dettaglio, non toglie “l’immediata rilevanza giuridica del fatto: il problema è di prendere in considerazione gli aspetti che interessano veramente chi studia diritto costituzionale”.67 Ma, come riconduce Elia i fenomeni empirici al rango di elementi giuridicamente rilevanti? Una volta accertato che taluni tratti caratteristici del sistema dei partiti sono divenuti in un certo qual modo stabili, per lo studioso, possono riscontrarsi “due fenomeni: a) sorgono e si affermano una serie di regole convenzionali attinenti all’esercizio dei poteri previsti dalla Costituzione, regole che in questo caso non potranno considerarsi implicite nella Costituzione stessa o nei suoi principi; b) in secondo luogo, queste regole non contrastano con le disposizioni della Costituzione scritta, ma si fondano su prassi corrispondenti ad ipotesi diverse (e non contrarie da quelle previste dalle norme costituzionali. Dunque, la rilevanza giuridica dei tratti caratteristici assunti dal sistema dei partiti sarà commisurata al prodursi di convenzioni, concernenti ipotesi differenziate rispetto a quelle prese in considerazione dal costituente: sicché potrebbe concludersi, a proposito del sistema dei partiti, tanto di presupposto quanto di precipitato in regole convenzionali”.68 Nell’economia argomentativa di tale analisi (di cui qui si stanno analizzando alcuni soltanto dei profili maggiormente rilevanti), senza altra pretesa che non sia quella di interrogarsi sulle opportunità offerte da un percorso metodologico ‘realistico’ ma nondimeno strettamente adesivo al rispetto del dato formale, le convenzioni vengono intese come “regole 65 Cfr. L. Elia, ult. op. cit, 638. Ibidem, 638. S. Bartole, dopo aver constatato come la scienza del diritto costituzionale utilizzi con frequenza concetti derivanti dall’osservazione della realtà empirica, osserva che “dovendo legittimare questo modo di procedere, i costituzionalisti si sono sforzati di ricondurlo nei termini tradizionali dell’approccio giuridico ed hanno ritenuto di concludere che in tanto quei concetti potevano essere utilizzati nel contesto di un’argomentazione giuridica di quanto fosse consentito di affermare che essi avevano riguardo a fenomeni dotati di rilevanza, se non di efficacia giuridica” (S. Bartole, op. cit., 24). 67 Cfr. L. Elia, ult. op. cit., 638; non che Elia non si sia posto il problema di una normativa in ordine ai partiti che anzi è una costante nei suoi scritti; infatti, l’Autore ha affrontato a più riprese il problema della connessione fra la sottoposizione dei partiti alle leggi sul metodo democratico interno e le leggi sul finanziamento pubblico dei partiti. “Si deve prendere atto che i paesi europei di maggiore dimensione (Germania e Spagna) nei quali vige una legislazione statale sui partiti provvedono anche, in varie forme ed in varia misura, il finanziamento pubblico dei partiti politici, condizionando pure entro certi limiti i contributi di origine privata. All’inverso vi sono stati che hanno una legislazione per il finanziamento pubblico dei partiti ... che non hanno una disciplina legislativa a tutela del metodo democratico intrapartitico”, così L. Elia, Per una legge sui partiti, in Diritto costituzionale ed amministrativo, 1992. Sull’influenza esercitata dalla sentenza del 19 luglio 1996 dalla Corte Costituzionale di Karlsruhe sulla successiva legislazione statale in ordine al finanziamento dei partiti si veda sempre L. Elia nella “Introduzione” ad AA.VV., Disciplina dell’ordinamento e finanziamento dei partiti nella Repubblica Federale Tedesca, Roma,1970. 68 Così L. Elia, Governo ... cit., 640. Aggiungiamo che per Dogliani, “i partiti sono ... protagonisti della lotta per il potere e quindi i rapporti di forza e la qualità delle relazioni tra di loro intercorrenti costituiscono i rapporti reali cui va commisurato il funzionamento dei meccanismi giuridici regolati dalla Costituzione formale e cioé le procedure all’interno delle quali si deve (o dovrebbe) svolgere la lotta per il potere” (op. cit., 230). 66 15 di condotta vincolanti gli operatori politici”, che si collocano “decisamente al di fuori del diritto inteso come insieme di norme poste secundum ordinem e suscettibili pertanto di considerazione dogmatica: queste regole prodotte fra accordi tra partiti (a loro volta provocati dal loro numero, dimensione e situazione) sono rilevanti per il diritto costituzionale, ma rimangono da esso del tutto distaccate”.69 Un esempio emblematico di tali regole di condotta è individuabile, nel caso del sistema parlamentare italiano, nella osservanza quasi cinquantennale della c.d. conventio ad excludendum”, che ha avuto termine solo con la riforma elettorale dei primi anni ’90 (legge Mattarella).70 Concludendo “si potrebbe dire che, di conseguenza, le norme sulla forma di governo (e particolarmente quelle relative al governo parlamentare in senso proprio) sono a fattispecie aperta (entro certi limiti) e cioé suscettibili di essere qualificate dal sistema dei partiti ed integrate dalle regole convenzionali che ad esso fanno capo”.71 A questo punto si imporrebbero una serie di considerazioni e di precisazioni che lo stesso Autore non ha mancato di fornire successivamente alla pubblicazione della studio sulla forma di governo, ma prima di procedervi è opportuno insistere ancora, per trarne qualche argomentazione conclusiva, sui criteri utilizzati da Elia per la classificazione delle forme di governo per osservarne le evoluzioni concettuali. Pur non escludendosi l’esistenza di reciproche interferenze, il principio della separazione dei poteri assume come tendenzialmente automatica la coincidenza fra le funzioni dello Stato e gli organi ad esse corrispondenti. La teoria delle forme di governo sistematizza tali rapporti a seconda dei princìpi che li regolano ed elabora “dei tipi che, mettendo in luce il modo con cui sono state definite le competenze reciproche e le influenze inter-organiche, forniscono un quadro statico, strutturale dei sistemi di governo”.72 Queste tipologie, nella misura in cui non prendono in considerazione, accanto alle istituzioni classiche (Parlamento e Governo), fattori condizionanti di natura sociologica, mostrano la loro inadeguatezza nella comprensione delle realtà costituzionali.73 Il ricorso al sistema dei partiti e alle relative modalità di intervento sugli organi costituzionali titolari della funzione di indirizzo politico consente di meglio valutare l’aspetto dinamico (e per questo modificabile per natura) e funzionale delle forme di governo. Infatti, se gli aspetti più propriamente strutturali ben emergono in base al criterio della separazione dei poteri non altrettanto potrebbe dirsi per gli aspetti funzionali; come osserva Elia, infatti, “non vi è dubbio che fra aspetti strutturali ed aspetti funzionali non possa 69 Così L. Elia, Governo ... cit., 639. Le regole di cui parla Elia non possono essere ricondotte nel diritto secundum ordinem per una serie di motivi: non fanno attualmente capo ai principi della Costituzione, non possono essere tradotte in norme scritte di diritto costituzionale, non possono essere fatte valere in sede giudiziaria. Per Bartole, (op. cit., l4-15) le convenzioni di cui parla Elia si riferiscono “a regole o uniformità di comportamento che traggono giustificazione e forza da mere scelte di indirizzo politico”; in più, per tale A. coloro i quali reputano essenziale studiare le forme di governo alla luce del sistema politico in cui quella forma va a realizzarsi corrono il “rischio di convertire tutto il reale in razionale” (op. cit., 10). 71 Così L. Elia, ult. op. cit., 640. La teoria delle “norme a fattispecie aperta”, pur se formulata con riferimento alle norme regolanti la forma di governo, per Dogliani (Interpretazione della Costituzione, Milano, 1982, 80-84) “è estensibile anche alle altre” poiché “configura la disciplina costituzionale non come un sistema chiuso ma, al contrario, suscettibile – ed anzi bisognoso – di essere integrato”, laddove per integrazione si intende “un procedimento con il quale le norme della Costituzione vengono non specificate e concretizzate da norme in esse implicite o comunque deducibili dai principi costituzionali, ma vengono invece affiancate da norme che rispondono ad ipotesi ed esigenze diverse, ma non contrarie, da quelle poste ad oggetto dalla disciplina costituzionale ... La norma costituzionale viene così ad essere qualificata da questa normazione ulteriore senza che ne risulti però sterilizzata, in quanto, anche se perde il ruolo di vincolo positivo assolutamente obbligante, conserva la capacità di vietare il proprio contrario”. 72 Cfr. M. Dogliani, Spunti ... cit., 232. 73 La distribuzione del potere politico non è immutabile ma è anzi sensibile all’intervento di fattori diversi, pertanto “l’indagine non deve più limitarsi a definire staticamente, sulla base della regolamentazione normativa, le influenze ed i rapporti reciproci tra gli organi costituzionali, ma deve, assunto come criterio fondamentale quello dell’intervento nella funzione di indirizzo politico ... determinare le posizioni e le relazioni tra quegli organi che vi intervengono e sulla base di questi elementi procedere alla qualificazione delle forme di governo” (così M. Dogliani, ult. op. cit., 232). 70 16 mancare un collegamento ma siamo di fronte ad un rapporto indicativo di una situazione liminare. E cioé l’esistenza di una separazione strutturale di tipo statunitense garantisce che esecutivo e Congresso non scendano al di sotto di un certo livello di partecipazione al potere di indirizzo politico. Invece, dove la separazione strutturale manca ... allora si ha uno schema labile, che consente le dislocazioni più estreme del potere di indirizzo”.74 La finalità che il classico criterio della separazione dei poteri si poneva – quella, ossia, di porre i princìpi cardine in base ai quali distinguere le forme di governo – risulta “troppo ambiziosa” e deve essere ridimensionata; essa “non va messo da parte, ma va ritenuto come la componente che viene in rilievo per prima (in ordine logico) di un criterio distintivo più complesso”75. Un rilievo particolare merita, infine, la distinzione tra sistema politico e forme di governo allorquando si utilizzi un metodo “realistico” nello studio di quest’ultime. Se, come si è detto, il formato, la meccanica ed il grado di polarizzazione del sistema dei partiti sono variabili indispensabili per la comprensione della dinamica e del funzionamento delle forme di governo, nondimeno, “sarebbe improprio ritenere che ogni variazione importante nell’ambito del sistema politico comporti un mutamento della forma di governo, sia pure assunta nella figura della costituzione ‘reale’, ‘materiale’, ‘vivente’”76. L’applicazione meccanica del metodo realistico renderebbe pressoché inutilizzabile la stessa Costituzione e il “‘prescrittivo’ della forma di governo contribuisce alla vita dello ordinamento in quanto è capace di comprendere, regolandole, fasi successive del sistema politico”.77 Queste precisazioni sono necessarie all’Autore anche per specificare che il potenziale venir meno di una delle convenzioni che ha maggiormente caratterizzto il sistema italiano nella fase della democrazia repubblicana, la c.d. conventio ad excludendum, non comporterebbe una modifica sostanziale della forma di governo parlamentare. In definitiva, per chi si propone di studiare le forme di governo negli stati democratici contemporanei è utile non dare per pacifica l’“importanza essenziale” per la loro comprensione e spiegazione assunta dai partiti politici odierni; “è anzi necessaria una verifica, caso per caso, del ruolo che i partiti riescono effettivamente ad esercitare”.78 Più specificamente, un cambiamento del sistema partitico potrebbe favorire il mutamento da un sottotipo di governo parlamentare ad un altro, ma resta vero “che tali esiti si lasciano inquadrare in una forma di organizzazione nella quale l’esecutivo si pone, attraverso il rapporto di fiducia, come un’emanazione permanente delle assemblee legislative”.79 In conclusione, e limitatamente ai profili cui si è brevemente accennato, sembrerebbe di poter convenire sulla considerazione secondo cui Elia, insistendo sulla relazione interorganica minimale che definisce prescrittivamente il parlamentarismo, ha di fatto recepito uno dei rilievi critici di fondo mossogli da altra autorevole dottrina, per la quale l’elaborazione di tipologie di governo più aderenti alla realtà, se ha aumentato la rappresentatività delle stesse (saldando funzione conoscitiva e funzione normativa), d’altro canto, ha fatto “assumere ai 74 Cfr. L. Elia, ult. op. cit, 641. Ibidem 76 Così L. Elia, La forma di governo ... cit. 77 Ibidem 78 Cfr. L. Elia, Appunti su Mortati ... cit., 248. 79 Cfr. L. Elia, La forma di governo ... cit., 106. 75 17 modelli un contenuto analitico ed empirico-descrittivo che era estraneo a quelle classiche: per cui, mentre queste ultime potevano essere ridotte a schematiche definizioni, cioé le singole forme di governo potevano essere definite in tutti i loro dati caratteristici essenziali con poche espressioni, le tipologie moderne hanno invece un contenuto più ampiamente descrittivo ed inscuscettibile di riassunzione sintetica”.80 Dalla “crisi permanente” con cui l’Autore vede stabilmente caratterizzarsi il diritto costituzionale contemporaneo, e nella quale molti vedrebbero compromessa (in modo più o meno radicale) la stessa prescrittività delle disposizioni costituzionali, per Elia, così, si esce “anche con il concorso di una dottrina attenta ad equilibrare esigenze garantistiche e necessità di difesa dei beni della vita (e di vita) dei singoli e della collettività ... identificandosi con più rigore i Wesengehalte delle situazioni giuridiche soggettive garantite dalla carta costituzionale”.81 Una missione – quest’ultima – che assegna al giurista e, più in generale alla dottrina costituzionale, il compito di assicurare l’equilibrio delle tutele fra i diversi beni giuridici, egualmente meritevoli di garanzia, che impone un approccio dottrinario “che comporta più matura visione storica, rinuncia ad esasperazioni illuministiche ma anche a troppo rassegnate acquiescenze pragmatiche”.82 In breve, nell’essere di questo pensiero si realizza appunto la saldatura fra realismo del metodo giuridico e certezza delle garanzie costituzionali. Al contempo, esso può validamente proporsi come il confine raggiunto dalla dottrina costituzionale del Paese nella sua ricerca di un approccio metodologico che, nel superare i limiti euristici del metodo ‘normativistico’ a favore di uno ‘realista’, proponga di conservare pienamente la coscienza dei limiti inderogabili della regola costituzionale senza, tuttavia, trascurare le problematiche della sua effettività. 2. Partiti politici, forma di Stato e forma di governo: profili metodologici e problematici. La rilevanza dei partiti politici nell’ordinamento costituzionale – data e accresciuta in ragione dello sviluppo delle relative funzioni, oltre che nell’ambito associativo, nelle funzioni a rilevanza pubblicistica degli stessi nonché della stessa capacità di incidere sull’intera impalcatura costituzionale dello Stato contemporaneo – costituisce ormai un dato pienamente condiviso dalla dottrina costituzionale italiana e, più in generale, da quella europea (a partire dagli studi del Triepel nei primi anni ’20 del secolo scorso). Tale orientamento pone termine ad una lunga e contrastata evoluzione in cui si sono confrontate due opposte correnti di pensiero, una che individuava nel partito politico la natura giuridica di associazione privata (come tale venendo disciplinata sotto il profilo civilistico dalle norme di cui agli artt. 36-39 c.c.) e l’altra che, al contrario, ne coglieva una natura a rilevanza pubblicistica, di organo o quasi-organo dello Stato. In tempi più recenti, anche in ragione dell’instabilità e della difficoltà dei governi a darsi indirizzi politici stabili e coesi e per il persistere della crisi istituzionale, la questione si ripropone anche come questione di politica costituzionale, orientata alla ricerca di soluzioni 80 Cfr. M. Dogliani, Spunti ... cit., 237. Cfr. L. Elia, Diritto costituzionale ... cit., 360. 82 Ult. op. cit., 361. 81 18 (più o meno radicali) di riforma. In tale ultimo approccio rilevano sia le questioni inerenti al partito (individuato come singolo e come sistema), al posto e ruolo occupati nel sistema costituzionale, alla questione della sua democraticità interna, sia i relativi rapporti con le istituzioni costituzionali di governo e gli stessi ripensamenti in materia della dottrina costituzionale, chiamata a riflettere a causa di ciò sullo stesso metodo giuridico-costituzionale utilizzato al fine di renderlo più adeguato alla comprensione delle complesse fenomenologie delle forme di stato e di governo contemporanee. L’orientamento dottrinario orientato a sottolineare nel sistema dei partiti, oltre all’elemento della ‘concorsualità’ nella definizione delle politiche nazionali (art. 49 Cost.), un processo (complesso, dialettico e giuridicamente incompiuto) di trasformazione dell’originario modello della democrazia rappresentativa, si afferma embrionalmente nei primi anni ’20 del secolo scorso e pienamente a partire dagli anni ’40, trovando linee di riflessione comune alla dottrina costituzionale tradizionale ed a quella che potremmo definire ‘più moderna’. È trascorso ormai più di una metà di secolo da quando, in Italia, V.E. Orlando, costituzionalista di formazione classica, si era cimentato (in uno dei suoi ultimi scritti)83 in un tentativo – rimasto incompiuto – di sistemazione metodologica dei partiti politici all’interno della scienza costituzionale, riconoscendo la necessità di avviare uno studio finalizzato ad elaborare una nuova teoria dei partiti che potesse servire per una più adeguata comprensione del mutamento profondo nella vita degli stati contemporanei.84 Nella sua analisi, egli sottolineava con lucidità – registrandone pienamente l’effetto dirompente rispetto alla organizzazione costituzionale dei poteri esistente – il ruolo significativo che andava assumendo lo sviluppo dei partiti nella profonda trasformazione della struttura dei regimi politici e della stessa forma dello Stato contemporaneo. Nella stessa direzione, Pietro Virga, qualche anno più tardi, introducendo uno studio sul ‘partito nell’ordinamento giuridico’ – destinato a divenire un classico nello studio dei rapporti fra partiti politici ed ordinamento costituzionale – affermava che “sia che i partiti siano assurti ad elementi costitutivi del sistema di governo (‘Stato di partiti’), sia che un unico partito abbia informato ai suoi princìpi lo stesso ordinamento dello Stato divenendone l’elemento motore (‘Stato-partito’), non si può negare che, parallelamente allo sviluppo ed all’organizzazione dei partiti, si sia profondamente mutata la realtà costituzionale”.85. Se, da un approccio generale, l’analisi si volge a considerare le carte costituzionali, per cogliere il grado di istituzionalizzazione e di costituzionalizzazione conseguito in esse dai partiti, si può osservare che le ragioni dell’attenzione e del ruolo attribuito ad essi nelle nuove costituzioni della fase storica che va dalla fine della prima guerra mondiale all’inizio della seconda86 deve attribuirsi – unitamente ad altri fattori storico-politici – ai loro autori, molto spesso uomini di partito, che in questo modo tendevano a legittimare la loro azione diplomatica e/o rivoluzionaria. Ma le ragioni teoriche profonde sono da individuare soprattutto nella ricerca di meccanismi di “razionalizzazione del potere”, concepiti come ricerca di strumenti per il bilanciamento fra i poteri dello Stato, che apparivano, nel tempo, significativamente sfasati a causa dell’ingresso sulla scena politico-istituzionale, in modo organizzato, del popolo, inteso sia nella sua generalità, sia – e forse soprattutto – nelle sue 83 Cfr. V.E. Orlando, Sui partiti politici. Saggio di una sistemazione scientifica e metodica, in Scritti di sociologia e politica in onore di L. Sturzo, Bologna, 1953. 84 Nell’ampia bibliografia sui rapporti fra partiti e Stato cfr., almeno, P. Ridola, Partiti politici, in EdD, XXXII; S. Bartole, “Partiti politici’ in Dig. D.P. 85 Cfr. P. Virga, Il partito nell’ordinamento giuridico, Milano, 1948, 26. 86 Cfr., in questo senso, B. Mirkine-Guetzevitch, Les nouvelles tendences du droit constitutionnel, Paris, 1936. 19 articolazioni in gruppi e classi sociali portatori di interessi fra loro confliggenti.87 Ad un esame anche sommario, infatti, i testi costituzionali di questo periodo dimostrano una notevole incertezza nei confronti dei partiti, come, più in generale, nei confronti dell’associazionismo politico e sindacale. Solo alcune costituzioni si spingono fino a riconoscere in modo esplicito i partiti e ad attribuire loro ruoli rilevanti; fra di esse, come è noto, la Legge Fondamentale di Bonn perviene al processo più spinto di attrazione del partito nell’ambito costituzionale. Ispiratore principale, in modo diretto o indiretto, di tale atteggiamento delle costituzioni europee verso i partiti, e più in generale del modello di democrazia politica che si va affermando (ispiratore egli stesso della Costituzione austriaca del 1920), è senz’altro Hans Kelsen degli studi teorico-dogmatici sul diritto e sullo Stato.88 La concezione kelseniana della democrazia – come è noto – ha fondamenti ben diversi da quelli radicali teorizzati da Rousseau, secondo cui l’individuazione della ‘sovranità’ nella ‘volontà generale’ della collettività implicava necessariamente indivisibilità e rifiuto della delega. La libertà del singolo, in questo modello, viene garantita dal suo assoggettamento alla legge. Tuttavia, la produzione di tale ‘strumento di libertà’, la legge, in una collettività dagli interessi e dai valori sostanzialmente disomogenei, non potrà essere che l’atto finale di un compromesso fra maggioranza e minoranza, in cui quest’ultima cercherà di far passare nella decisione finale la maggior parte possibile delle proprie domande ed aspettative. Con Hans Kelsen si ha, così, l’affermazione di una teoria della sovranità del popolo che si contrappone alla teoria della ‘sovranità nazionale’: una teoria che nega l’attribuzione della sovranità ad una entità astratta, come la nazione, per ripartirla – restando sempre integra – fra la totalità dei soggetti che compongono lo Stato-società. Le conseguenze di una simile teorizzazione sono ovvie: con il principio della rappresentanza del corpo elettorale, ogni deputato rappresenterà una parte della collettività. In questo modello, la rappresentanza suppone l’esistenza e l’organizzazione dei partiti politici, soprattutto per presiedere alle fasi costitutive delle liste elettorali ed alla sorveglianza delle operazioni elettorali. Nella concezione kelseniana, così, è il partito, in base al consenso numerico di cui dispone, a dover selezionare i propri deputati da mandare in Parlamento. Se ne può concludere che se nelle costituzioni del primo dopoguerra non sono state trasfuse tutte le intuizioni del Kelsen, la maggior parte di esse sono senz’altro presenti nel definire il quadro giuridico delle associazioni-partiti, che costituiscono, al contempo, le premesse teoriche per l’evoluzione ulteriore che il rapporto Stato-partiti registrerà nelle costituzioni del secondo dopo-guerra. Ma il processo di avvicinamento dei partiti allo Stato – e con esso la ridefinizione fattuale del suo fuzionamento – non è certo un processo lineare, unidirezionale e senza contraddizioni. Nella fase di transizione dallo Stato liberale (monoclasse, secondo l’appropriata definizionedescrizione del Giannini) allo Stato ‘sociale’ contemporaneo (pluriclasse) si introduce, così, uno degli elementi fondamentali nella definizione dei sistemi politico-istituzionali contemporanei. Esso è dato, in via generale, da un insieme di attività dello Stato che concretizzano un principio definibile di auto-tutela, che si esplica in modo precipuo attraverso l’espunsione dal sistema politico-istituzionale del partito o dei partiti ritenuti anti-istituzionali, dei partiti, in breve, la cui ‘lealtà’ sostanziale ai principi liberal-democratici posti a base degli ordinamenti costituzionali, alle regole di fondo della democrazia liberale non appaia garantita. Cfr. C. Mortati, Commento all’art. 1 Cost, in Commentario alla Costituzione, a cura di G. Branca, Roma, 1976. Cfr. H. Kelsen, I fondamenti della democrazia (in particolare il saggio Essenza e valore della democrazia), Bologna, 1955 (ripubblicato in edizione accresciuta nel 1970) e Teoria generale del diritto e dello Stato, Torino, 1952. 87 88 20 Questo modello, che si è riprodotto, nella sua forma più abnorme, nei regimi fascista, nazista, franchista, salazarista, consiste nella reazione violenta dello Stato contro i partiti nella loro pluralità per lasciare spazio, nella teoria e nella pratica politica, al partito-unico che diviene espressione e sintesi dell’unità della nazione – concepita essa stessa con forti contenuti eticoidealistici – e si fa al contempo organo dello Stato-persona. Tale evoluzione si rafforza mutando le forme in cui si esprime con il procedere negli anni verso la grande crisi degli anni ’30 e con il processo di delegittimazione sostanziale a cui la crisi economica sottoponeva il sistema politico nelle più diverse realtà nazionali.89 L’analisi dottrinaria relativa ai rapporti (nel diritto e nella realtà) fra partiti politici e Stato s’inscrive, soprattutto nel corso degli ultimi decenni, nel contesto di una chiara tendenza al superamento delle concezioni tradizionali del diritto, che se non comportano il superamento del rigido approccio formalistico ai problemi del diritto (e dello Stato) almeno favoriscono una più attenta riconsiderazione dei complessi rapporti esistenti tra la realtà sociale ed il complesso delle norme, in un tentativo di riconoscimento del continuum pregiuridicogiuridico che solo riesce a rendere la complessità dell’ordinamento giuridico vigente, della c.d. costituzione ‘vivente’, ‘reale’. Peraltro, tale tendenza appare ancora più rilevante all’interno della scienza costituzionale, dove forte è l’insoddisfazione da parte dello studioso per una scienza meramente esegetica, incapace di identificare i fini e i valori della società e dove viva è l’esigenza di una più adeguata comprensione degli istituti giuridici e degli stretti rapporti esistenti tra essi e le norme fondamentali dell’ordinamento costituzionale.90 Nella prospettiva di tale sforzo di rinnovamento metodologico, la novità fondamentale dello studio dei partiti (e del loro inserirsi fattualmente nell’organizzazione costituzionale dello Stato), considerati sia nel loro aspetto sociologico (partiti di massa o di quadri, partiti istituzionali o anti-istituzionali, ecc.), sia nel loro aspetto di sistema, consiste nel fatto che essi costituiscono ormai un elemento fondamentale per giungere all’identificazione della forma dello Stato e del suo modello organizzativo, la forma di governo. Sia l’una che l’altra non si definiscono più in termini astrattamente fissi quanto piuttosto, come sottolinea Elia, in funzione dinamica, “come parti del diritto costituzionale vivente”,91 non potendosi più trascurare le reciproche influenze e interferenze che vanno istaurandosi tra le due figure, fino al punto che l’instabilità dell’assetto governativo opera in termini fortemente negativi sulla stessa vitalità-sopravvivenza della forma dello Stato. Proprio in questo rinnovamento metodologico, che ha imposto alla dottrina costituzionale una verifica di forme e di contenuti, trova ampia giustificazione il tentativo di assumere il sistema dei partiti come un elemento imprescindibile nello studio dei governi parlamentari di tipo rappresentativo, come un elemento fondamentale per comprendere il funzionamento del meccanismo costituzionale complessivo. In tal senso, nell’approccio alla living Constitution, diviene obiettivo primario l’analisi della rilevanza dei partiti politici, nella loro duplice e dialettica configurazione giuridica, all’interno dei sistemi di governo degli stati contemporanei. Essi si presentano, infatti, come organi costituzionali sostanziali di indirizzo 89 Cfr. C. Schmitt, Teoria del partigiano (traduzione italiana), Milano, 1981. Nell’ampia bibliografia sul punto cfr. anche il nostro Stato sociale e stato socialista in Costantino Mortati e nella realtà di oggi, in M. Galizia (a cura di), Le forme di governo nel pensiero di Costantino Mortati, Milano, 1997. 91 Nel contributo Governo (forme di) per l’Enciclopedia del diritto (vol. XIX), che costituisce, come si è già osservato, un contributo fondamentale nella formalizzazione della svolta metodologica in materia. 90 21 politico in posizione di parità giuridica ed al contempo come associazioni di tipo privato e dunque strettamente collegate alla società. La concezione dello Stato contemporaneo come ‘Stato di partiti’, così, costituisce un apporto rilevante ad una moderna teoria dello Stato democratico-rappresentativo. Come si è ricordato, essa fu in gran parte elaborata, anche sotto il profilo dogmatico, dalla dottrina tedesca degli anni ’20 e solo successivamente fatta propria da quella italiana, passando per un approccio metodologico, quello mortatiano della ‘costituzione materiale’ che, nella realtà (almeno a livello tendenziale), risulta giustificazionista di prassi di occupazione indebita di poteri costituzionali. Con essa sembra farsi maggiore chiarezza su tutta una serie di problematiche che il costituzionalismo classico non riusciva più ormai a risolvere, fermo com’era a concezioni ancora asettiche e statiche delle forme di Stato e di governo, in cui non trovavano posto i moderni e complessi problemi imposti dalla crisi non solo del parlamentarismo ma anche dei partiti. Pur costituendo un indubbio passo in avanti nell’elaborazione dottrinaria, lo ‘Stato dei partiti’, nell’accezione che ne ha offerto la dottrina costituzionale, tuttavia, non riesce a cogliere la complessità della problematica dello Stato contemporaneo. Ed è qui che la scienza costituzionale avverte maggiormente, nella fase attuale, la necessità di recuperare la propria socialità e pertanto di ricorrere all’ausilio di altre scienze, per comprendere a fondo gli stretti rapporti d’interazione esistenti fra l’insieme delle strutture, comportamenti sociali e ambiti giuridici al fine precipuo di rispondere alle problematiche poste dall’effettività delle norme giuridico-costituzionali. In questo contesto, assume rilievo e significato l’analisi del ruolo effettivo svolto da tutte le formazioni sociali e politiche diverse dai partiti che operano sia attraverso forme dirette di pressione sul potere esecutivo sia attraverso forme di democrazia semi-diretta come il referendum, l’iniziativa popolare ma anche l’associazionismo e l’azione sindacale. In questa nuova luce appaiono nettamente, altresì, i limiti della concezione dello Stato contemporaneo come ‘Stato di partiti’, che sembra attribuire in modo riduttivo ad alcune strutture soltanto, investite da un processo evidente di istituzionalizzazione, le funzioni di rappresentanza e di mediazione della realtà sociale all’interno dello Stato-persona, laddove il sistema prefigurato dalla Costituzione nei primi tre articoli e nell’art. 49 rifiuta tale interpretazione per accogliere nel diritto di partecipazione ‘permanente’ dei cittadini alla determinazione della politica nazionale tutte le conseguenze di un simile capovolgimento di prospettiva. È quanto fà parte della dottrina costituzionale quando, sottolineando l’ambiguità di talune categorie costituzionali, affronta la mutata prospettiva di analisi in termini di ‘Stato di democrazia pluralista’ o ‘Stato di democrazia partecipativa’,92 con tale terminologia sottolineando la necessità di considerare la realtà sociale nella sua complessa e conflittuale articolazione. Come si può osservare, in breve, nel quadro dell’esigenza di rinnovamento della metodologia scientifica nel campo della scienza giuridica e soprattutto in quello del diritto costituzionale – diritto che è, per sua natura, ‘di frontiera’ – il problema fondamentale non è più quello di una mera analisi della ‘costituzionalità’ o meno del sistema dei partiti nei suoi rapporti con lo Stato, quanto piuttosto di verificare, non più in termini di modello astratto, la concreta funzionalità delle forme di governo dello Stato contemporaneo, caratterizzate e 92 Cfr. ad es. E. Spagna Musso, Diritto costituzionale. Principi generali, Padova, 1984, 76. 22 ridefinite dalla presenza dei grandi partiti di massa. Tale impostazione, che comincia a farsi strada anche nella dottrina più tradizionale, finisce però con il concentrare l’attenzione sulle relazioni tra i partiti e le istituzioni tipiche del sistema di governo parlamentare (sostanzialmente sul binomio partiti-Parlamento e partiti-Governo) mettendo in secondo piano elementi fondamentali della fenomenologia dei rapporti politici che pure avevano dato corpo alla crisi del sistema stesso. I partiti politici, come si può cogliere dalle considerazioni finora svolte, non si limitano soltanto ad incidere sulla forma di governo per organizzare il proprio concorso partecipativo, ideologicamente caratterizzato; essi incidono sulla stessa forma dello Stato, costituendone la cosiddetta ‘costituzione materiale’, il ‘regime politico’. In tale ottica, risulta ormai del tutto superata la tradizionale querelle teorico-politica che, con il termine ‘partitocrazia’, assumeva ogni tipo di critica sulla scarsa capacità rappresentativa dei partiti e sulla relativa invadenza negli ambiti propri dei soggetti titolari di sovranità. Il sistema dei partiti, dunque, sia nella sua funzione di impulso che in quella di condizionamento delle istituzioni costituzionali costituisce un dato sempre più accettato, almeno dalla dottrina prevalente. Risultano inaccettabili sotto tale profilo quegli orientamenti dottrinari i quali assumono che “solo attraverso la partecipazione alla vita di un partito il cittadino può aspirare ad esercitare pienamente i suoi diritti sovrani o, che fa lo stesso, che la sovranità popolare si realizza solo attraverso i partiti politici”.93 Così, se rientra indubbiamente nell’aggiornamento del modello costituzionale il riconoscimento ai partiti politici della funzione di organizzare il popolo secondo una data ideologia, dando voce agli interessi e alle esigenze dei paese reale, nella sua concreta articolazione di ceti, formazioni sociali e gruppi contrastanti, ciò che risulta meno convincente in tale modello esplicativo è piuttosto la concezione secondo cui la sovranità del popolo si esaurirebbe in modo esclusivo (o quasi) nei partiti, i quali, così, da strumento di rappresentanza, di mediazione fra corpo sociale e Stato finiscono per trasformarsi in uno dei poli di tale raccordo. L’allusione al partito-Stato, alla Inkorporierung (della tipizzazione) del Triepel è evidente per non avvertire l’esigenza di sottolineare i limiti di una siffatta concezione. Rispetto al problema del singolo partito si può agevolmente concludere che, se risultano valide le osservazioni finora svolte, siamo in presenza di una doppia istituzionalità (interna ed esterna) e si è in presenza altresì di una tendenza che vede il partito (e il sistema dei partiti) perdere quelle funzioni di tramite permanente, costituendosi spesso come un pericoloso diaframma, uno strumento di organizzazione – più che di rappresentanza – della società nello Stato, finendo in tal modo con il restringere più che ampliare gli spazi di libertà della moderna democrazia. Passando nuovamente a riflettere, sia pure in termini essenziali, sulla questione della natura giuridica del partito politico e sugli orientamenti dottrinari affermatisi sul punto nei tempi più recenti, si può ricordare che, soprattutto nella prima fase della riflessione dottrinaria, sviluppatasi alla fine degli anni ’50 del secolo scorso con significativi contributi, l’analisi giuridica dei partiti politici si era concentrata sull’esegesi dell’art. 49 Cost. (in alcuni autori ancora disancorata da un’interpretazione sistematica della norma costituzionale) pervenendo a una conclusione sulla natura meramente associazionistica degli stessi, per i quali veniva prevista la mera tutela giuridica accordata alle associazioni non riconosciute. Una parte della 93 Per queste posizioni, in generale, cfr. L. Basso, Il partito nell’ordinamento democratico moderno, in Indagine sul partito politico, Milano, 1966. 23 dottrina, sia pubblicistica che privatistica, aveva qualificato tale interpretazione con argomenti che l’avevano portato a sostenere che la natura privatistica per le associazioni partitiche sarebbe stata maggiormente in grado di dare efficace tutela ed adeguato rilievo alla libertà di associazione politica di concorrere alla formazione della volontà statale di quanto non potesse, invece, fare una concezione del partito intesa come organo o quasi-organo dello Stato. Tuttavia, tale considerazione rinviava a concezioni di organicismo statuale che era stato senz’altro volontà dei costituenti superare, dopo il pesante smacco per le libertà civili e politiche nel regime fascista, con la giuridicizzazione-statalizzazione della realtà sociale che esso aveva perseguito.94 Benché non aliene da riflessi antistatuali, spesso immanenti in una parte della cultura delle istituzioni (a cui si ascrivono prevalentemente tali orientamenti dottrinari, in gran parte dovuti a giuristi di orientamento cattolico), tali argomentazioni, che mirano ad accentuare l’insediamento sociale dei partiti e quindi la loro natura di ‘formazioni sociali’, come si è già osservato, non appaiono adeguate a spiegare tutta una serie di fenomeni nuovi (prassi e convenzioni), con i relativi riflessi e condizionamenti che è possibile osservare nel reale funzionamento delle istituzioni rappresentative, le quali, come è noto, si presentano come ampiamente discordanti dal modello costituzionale. Senza soffermarsi oltre a discutere la validità di un simile approccio metodologico nell’analisi dottrinaria, che si dà quindi come presupposto, così, si può osservare che, se si parte da un’interpretazione più ampia dell’art. 49 Cost., che mira a cogliere la stretta interconnessione della sua previsione normativa nell’ambito più generale del sistema di democrazia previsto dai costituenti, non si può che trovare angusta ed inadeguata la natura associazionistica di tipo privato che quest’orientamento dottrinario ha individuato per il partito politico, benché l’ordinamento positivo propenda in modo prevalente per tale indirizzo interpretativo. Benché, con notevoli differenziazioni interne, una parte della dottrina giuspubblicistica ha sostanzialmente affrontato l’analisi esegetica dell’art. 49 Cost. riconoscendo, accanto alla necessaria pluralità dei partiti e all’esigenza del ‘metodo democratico’ nel loro funzionamento interno, una natura giuridico-costituzionale di libere associazioni di cittadini “istituzionalmente dirette, in concorso dialettico con altrettali associazioni, alla determinazione della politica nazionale”95. Ma, come si è fatto bene osservare, se l’analisi si ferma a questo risultato rischiano di sfuggire tutta una serie di altri elementi che a buona ragione la fanno apparire, più che formalistica, scarsamente adeguata a comprendere il reale equilibrio fra gli organi costituzionali registrato nella realtà e quindi le vere problematiche, i nodi della forma statuale della democrazia italiana contemporanea. Per tale diverso approccio più adeguata appare una indagine ispirata alle dottrine istituzionalistiche del diritto più che a quelle normativistiche. Fra i tanti contributi, in tale prospettiva, appare quanto mai opportuno richiamare in materia una riflessione di C. Esposito circa il ruolo effettivo dei partiti nell’ordinamento costituzionale reale, per il quale “secondo considerazioni largamente diffuse solo nelle costituzioni formali o legali degli stati contemporanei con pluralità di partiti è scritto che le leggi sono fatte da deputati e senatori eletti dai cittadini e rappresentativi della nazione ... In effetti, invece, all’ombra dell’impalcatura legalistica della Costituzione, i partiti politici avrebbero nelle mani la legislazione, il governo, la giurisdizione e l’amministrazione ... Una costituzione legale 94 La sottolineatura della natura associativa del partito è sostenuta in particolare da P. Rescigno, Sindacati e partiti nel diritto privato, in Persona e comunità, Bologna, 1982, 190. Per le posizioni dei giuristi cattolici cfr. Quaderni di Justitia, 1953, n. 2; 1958, n. 10; 1959, n. 11. 95 Sulla connotazione “a prevalente gravitazione pubblicistica” del partito, in opposizione alle tesi di P. Rescigno, cfr. S. Galeotti, Note sui partiti nel diritto italiano, in Justitia, 1959, 249, 253. 24 adeguata alla realtà dovrebbe abbandonare le finzioni delle assemblee legislative composte da liberi deputati, dei governi formati dai capi di Stato ... e riconoscere che nella comunità statale il potere di direzione politica spetta ai partiti; dovrebbe inoltre precisare le forme, i presupposti e le conseguenze dell’ascesa dei partiti al potere, determinare il valore degli accordi tra i partiti (e tra i capo-partiti), indicare la via per la soluzione dei conflitti insorgenti fra essi”.96 In quest’autorevole orientamento dottrinario, come si può osservare, viene richiamata, a mò di premessa metodologica generale all’analisi dei partiti nella Costituzione, una problematizzazione di grande rilievo che ha ad oggetto la questione dell’effettività dell’ordinamento costituzionale rispetto alle discrasie cui è sottoposto per l’insorgenza di attività partitiche ultronee rispetto alle funzioni costituzionalmente definite per i partiti politici nell’art. 49 Cost. È nell’ambito di un diverso approccio – conosciuto in dottrina, ormai da gran tempo, con la mutevole terminologia – ancorché incerta e ambigua – di ‘costituzione materiale’, ‘reale’, ‘vivente’ – che va riconosciuto come l’effettivo potere di indirizzo politico e la formulazione e l’attuazione delle relative modalità concrete si sia trasferito ai partiti, in grado come sono di “avere nelle mani” la legislazione, il Governo, l’amministrazione e – per taluni (riattualizzando un approccio di Minghetti valido per il secolo scorso) – la stessa giurisdizione. Si riconosce, così, che non coglie l’effettiva realtà costituzionale chi ritenga ancora di trovarsi di fronte ad una forma di Stato democratico parlamentare, disconoscendo ciò che in via di fatto si è andato realizzando: un completo, effettuale, superamento della democrazia rappresentativa di stampo ottocentesco, fondata sulla centralità dell’organo parlamentare, nella direzione di una democrazia di massa basata sui partiti politici, al cui interno, tuttavia, permangono forme, istituti e procedure della previgente forma democratica, che riappaiono soprattutto in determinate situazioni limite (voto segreto in contrasto con le indicazioni di partito, ecc.). Salvo a ritornare su tale problema, che costituisce una questione centrale nell’approfondimento della tematica oggetto di analisi, occorre ora accennare, anche se in modo essenziale, alle principali novità metodologiche registrate nel corso degli anni ‘70 e ai più significativi risultati conseguiti nell’analisi dei partiti (considerati sia uti singuli sia nella loro pluralità, come ‘sistema pluripartitico polarizzato’, come ‘sistema tendenzialmente bipartitico’ o a ‘bipartitismo esasperato’, a seconda delle varie ipotesi interpretative) da parte della dottrina.97 In tal senso, nell’ambito della dottrina che si è occupata della questione, si deve fare riferimento, in particolare, alle analisi di due autori che più di altri studiosi della materia possono individuarsi come capofila di un’approfondita riflessione dottrinaria sui partiti, incentrata, al contempo, sia sul singolo partito (colto nella sua dinamica evolutiva, il c.d. partito ‘situé’), sia sul relativo rapporto con le istituzioni di governo; oltre a Elia,98 ci riferiamo, in tal senso, a Rescigno,99 le cui analisi sono parimenti fondamentali nel fondare la 96 Cfr. C. Esposito, I partiti nella Costituzione italiana, nella sua La Costituzione italiana, Padova, 1954, 215. Per un approccio in questo senso sia consentito rinviare anche ai nostri Partiti politici e forma di governo, Napoli, 1977 e Crisi istituzionale e riforma della Costituzione, Pisa, 1983. 98 Di questo autore, oltre alla già citata opera, nota per le sue novità metodologiche nello studio delle forme di governo (Governo (forme di) in EdD, XVI, 1970.), si devono ricordare altri contributi dedicati specificamente all’analisi dei partiti e della loro evoluzione, fra cui: Realtà e funzione del partito politico: orientamenti ideali, interessi di categoria e rappresentanza politica, in Partiti e democrazia, Roma, 1964; L’attuazione della Costituzione in materia di rapporti fra partiti e istituzioni, in Il ruolo dei partiti nella democrazia italiana, Cadenabbia, 1965; Introduzione a Disciplina dell’ordinamento e finanziamento dei partiti nella R.F.T. e I progetti di legge sull’ordinamento e finanziamento dei partiti nella R.F.T., Roma, 1965. 99 Di G.U. Rescigno, oltre al noto Manuale (Corso di diritto pubblico, Bologna, 1995), si possono ricordare tutta una serie di contributi, alcuni dei quali con preminente attenzione ai riflessi del dato politico-ideologico sulla diversa caratterizzazione dell’azione dei partiti al proprio interno e nei rapporti con le istituzioni statali: Costituzione italiana e stata borghese, Roma, 1975; Partiti politici, articolazioni 97 25 svolta metodologica nello studio dei partiti politici come espressione e strumento della trasformazione della democrazia contemporanea. Alle loro analisi, in particolare ed alle innovazioni nella stessa metodologica seguita – pur partendo da premesse metodologiche diverse – si possono far risalire le evoluzioni dottrinarie più significative in materia di partiti politici e lo stesso riconoscimento dell’esigenza di approfondire l’analisi di tale materia ponendo nell’obiettivo della ricerca giuspubblicistica gli stessi aspetti della vita interna dei partiti e della conseguente dinamica d’interazione con le istituzioni pubbliche. Secondo quest’orientamento, che parte da premesse diverse ma raggiunge lo stesso risultato, i partiti non possono considerarsi alla stregua di mere associazioni di diritto privato, come ritiene parte della dottrina. Essi costituiscono un elemento fondamentale (come per altro avevano significativamente riconosciuto ricerche sui partiti, negli anni ‘40, dovute al Ferri e al Virga, per citare una parte soltanto della dottrina che se ne è occupato con maggiore sistematicità)100 per giungere alla corretta identificazione della forma di Stato e del suo modello organizzativo, la forma di governo, rendendo obsolete ed inefficaci, a tale scopo, le stesse classiche metodologie adottate per lo studio comparato delle forme statuali moderne e contemporanee e della loro evoluzione nel tempo.101 Tuttavia, se di tipo prevalentemente metodologiche sono le conclusioni sul punto cui perviene Elia, le argomentazioni del Rescigno sembrano spingere oltre l’indagine, richiamandosi ad una metodologia e ad una riflessione di vecchia data nell’ambito della dottrina più critica,102 che individua per il partito politico la natura di ente complesso, che integra, al contempo ed in modo necessariamente correlate, la natura giuridica delle associazioni private e quella degli organi (o quasi organi) dello Stato soggetto. La carenza di uno dei due elementi, in un quadro in cui essi si assumono, come si è detto, necessariamente complementari, per le funzioni cui assolvono nello Stato di democrazia pluralista (rappresentanza e mediazione-integrazione), farebbe venir meno l’intera funzionalità del sistema di democrazia rappresentativa.103 All’interno delle forme di governo degli Stati contemporanei a struttura liberal-democratica ed in quelli a preminente caratterizzazione ‘sociale’, come quello delineato dalla Costituzione italiana del ’48, così, i partiti, in ragione delle funzioni assolte nella rappresentanza politica e nella collaborazione allo svolgimento di funzioni a rilevanza pubblicistica, costituiscono organi di effettivo rilievo costituzionale che risultano titolari, in via fattuale, della formulazione e dell’attuazione dell’indirizzo politico. Ma essi sono, al contempo, associazioni di tipo privato e quindi strettamente insediati nella società, difficile apparendo così la ricomposizione strutturale e funzionale in una lineare definizione della loro natura giuridica. Questa osservazione, peraltro, giustifica ampiamente il pessimismo sulle capacità risolutive della crisi in atto ad opera delle riforme istituzionalicostituzionali fin qui discusse nella prospettiva de jure condendo, le quali, nel loro limitarsi a discutere proposizioni di riforma più o meno radicali dell’attuale forma di governo verso soluzioni di neo-parlamantarismo razionalizzato o perfino di semipresidenzialismo, interne dei partiti politici, diritto dello stato, in GC, 1964 , ma anche La responsabilità politica e Le convenzioni costituzionali, nonché Alcune considerazioni sul rapporto partiti-stato-cittadini, in Scritti in onore di C. Mortati. 100 Cfr. G.D. Ferri, Studi sui partiti politici, Roma, 1950; P. Virga, Il partito nello ordinamento giuridico, Milano, 1948. Sulla tesi del partito come “ente ausiliario del governo e/o dello stato” cfr. Santi Romano, Principi di diritto costituzionale, Milano, 1947, 177; ma anche A. Predieri, I partiti politici, in Commentario sistematico alla costituzione italiana, Firenze 1950, che configura come istituzioni non tanto i singoli partiti quanto l’insieme degli stessi. 101 Cfr. L. Elia, voce Governo ... cit., passim. 102 Per una rassegna critica di questa dottrina cfr. A. Negri, Alcune riflessioni sullo ‘Stato dei partiti’, ora anche in La forma stato, Milano, 1977, 116. 103 Questa è anche la ragione che porta tale Autore a ritenere sostanzialmente vano e perfino ‘autoritario’ ogni forma d’intervento legislativo sui partiti (cfr. G.U. Rescigno, Alcune riflessioni ... cit., 955). 26 escludono, tuttavia, – in modo discutibile per le ragioni argomentate in precedenza – di affrontare le ragioni di crisi dovute appunto alle interferenze sugli organi costituzionali di governo da parte dei partiti politici, i quali, peraltro, non sempre sono retti da normative statutarie nelle quali sia assicurato il rispetto della democrazia interna.104 Si può, dunque, osservare come indicazione conclusiva di queste osservazioni generali sulla natura giuridica del partito politico e sulle letture che ne ha dato la dottrina costituzionale che il ritardo registrato da una parte significativa della dottrina nel considerare il partito sotto il suo aspetto funzionale di “elemento costitutivo del sistema di governo” costituisce anche una ragione della più generale difficoltà a comprendere la sua configurazione “a prevalente gravitazione pubblicistica”105 e dunque la sua natura di parte integrante fondamentale del modello di democrazia e della forma di Stato vigente, la quale – come si è ricordato – viene appunto definita ‘Stato dei (di) partiti’ in quanto concretizzata ed incentrata sul funzionamento del modello previsto dalla carta costituzionale ad opera di un sistema di partiti dai tratti giuridici dalla natura privatistico-associativo ed al contempo organicistica, mentre dai tratti sociologico-politologici, caratterizzato dall’esistenza di una pluralità di partiti, ma dei quali alcuni soltanto hanno potuto accedere alle maggioranze di governo (clausola ed excludendum ed inesistenza della regola dell’alternanza fino ai primi anni ‘90 come regola convenzionale che ha guidato la formazione dei governi per mezzo secolo).106 104 Per una sottolineatura di questa problematica cfr. anche, S. Gambino (a cura di), Elezioni primarie e rappresentanza politica, Soveria Mannelli, 1995. 105 Cfr. S. Galeotti, Note sui partiti ... cit., 257. 106 Sulle origini e sul significato della c.d. conventio ad excludendum nella costituzione reale del paese cfr. L. Elia, Perché l’Italia si è tenuta e si tiene questo sistema di governo?, in F.L. Cavazza, S.R. Graubard (a cura di), Il caso italiano, Milano, 1974, I, 224. 27