La fine del bipolarismo ei nuovi poli regionali

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mercati esteri
La fine del bipolarismo
e i nuovi poli regionali
Le dinamiche di una transizione tra regionalismi emergenti
e processo di globalizzazione
Maurizio Caggiati
Un fenomeno recente
Il cosiddetto fenomeno della globalizzazione viene solitamente associato a un
processo di progressiva unificazione del
mondo: si parla di mondo “piatto e senza
confini”. La nascita di un mercato globale ha permesso alle imprese di espandersi
in base alla propria capacità organizzativa,
alle risorse finanziarie a disposizione e al
patrimonio tecnologico acquisito.
Contemporaneamente, soprattutto alla
fine del XX secolo, si sono innescati fenomeni di disintegrazione politica e di integrazione economica che hanno dato vita
a quella che viene definita come globalizzazione. Fenomeno che è risultato maggiormente pervasivo in ambito finanziario
con la creazione di un unico mercato a
livello planetario. A un’analisi più attenta
del fenomeno, tanto nelle sue dimensioni
60 PARMA economica
Una veduta San Pietroburgo,
economiche e culturali, quanto nelle sue
la "Venezia del Nord"
ripercussioni politiche, emergono evidenti
perplessità che rendono tale interpretazione riduttiva e in alcuni casi fuorviante.
La globalizzazione non si muove alla stessa velocità e con la stessa coerenza nei vari
Paesi, comportando effetti disomogenei.
Si assiste poi sempre più a un processo del
tutto inverso: la spinta verso la regionalizzazione. L’accostamento
I fenomeni
di questi due processi ci restituisce quindi un mondo complesso di disintegrazione
e multidimensionale: dalle dina- politica
miche demografiche e migrato- e di integrazione
rie agli sviluppi nel campo della economica di fine
sicurezza; dall’economia alle sfi- XX secolo sono
de energetiche e climatiche; per
all’origine della
giungere, infine, alle dinamiche
contraddittorie nel campo della globalizzazione
diffusione dei sistemi democrati-
mercati esteri
ci e dei diritti conseguenti. Con un’articolazione diversa a fronte di contesti politici,
economici e culturali differenti.
Va messo in luce il fatto che con il termine
globalizzazione ci si riferisce non tanto a
DAL G8 AL G20
La prima volta che i capi di Stato e di
governo dei sei paesi più industrializzati del mondo decisero di riunirsi
per dar vita al cosiddetto Gruppo
dei sei (G6) era il 1975: il vertice,
tenutosi nel castello di Rambouillet,
alle porte di Parigi, doveva servire
principalmente per coordinare una
risposta comune alla crisi economica
mondiale, scatenatasi a seguito dello
shock petrolifero di due anni prima, e
per discutere misure di stabilizzazione del sistema monetario internazionale dopo la fine del regime valutario
di Bretton Woods, sancita nel 1971
dall’abbandono della convertibilità
del dollaro in oro.
S’inaugurava così un forum informale
che una volta l’anno avrebbe convocato le più alte leadership politiche
di Stati Uniti, Repubblica Federale Tedesca, Francia, Regno Unito,
Giappone e Italia ( a cui nei due anni
seguenti si aggiunsero il Canada e
la presidenza della Commissione
europea), per discutere e ricercare
strategie condivise nella gestione dei
più rilevanti problemi della politica e
dell’economia internazionale.
Trentaquattro anni dopo a Pittsburgh,
in Pennsylvania, verrà presa la storica
decisione di sostituire, come principale forum deputato alla discussione
degli affari economici internazionali,
il G7 con il G20. L’esclusivo club
delle maggiori potenze economiche
del mondo – che già dal 1997 aveva coinvolto sui temi politici anche la
Federazione Russa, trasformandosi
di fatto in G8 – apriva in sostanza le
sue porte per farvi entrare tutti quegli Stati protagonisti nei due decenni
passati di una crescita economica rilevante: dai quattro Paesi cosiddetti
Bric (Brasile, Russia, India e Cina),
ad altri otto Paesi emergenti, quali
Australia, Arabia Saudita, Argentina,
Corea del Sud, Indonesia, Messico,
una condizione statica, quanto a un processo, rispetto al quale è possibile individuare differenti fasi o gradi. Le coordinate
spazio-temporali della vita associata hanno
subito un processo di forte accelerazione
Turchia e Sudafrica.
Anche in questa occasione la spinta
ad adattare e modificare i meccanismi della governance globale era
frutto dell’esigenza di trovare risposte il più efficaci e condivise possibile a una crisi economica di portata
mondiale che, nata nell’autunno del
2008 nel mercato finanziario statunitense, ben presto si era diffusa nei
circuiti di tutto il mondo. A un’economia integrata e globalizzata non
poteva più corrispondere un foro di
discussione strategica che fino ad
allora aveva escluso non solo poco
meno della metà della ricchezza del
pianeta, ma anche quasi il 90% dei
suoi abitanti.
Una differenza che traccia una distanza sostanziale tra le due esperienze è rappresentata dal minor
grado di omogeneità degli attori del
G20 rispetto a quelli del G7. Alla
forte somiglianza riscontrabile tra i
membri del G7, tanto sotto il profilo dei valori condivisi, quanto sotto
quello dei modelli politici ed economici di appartenenza, corrisponde
un’eterogeneità più marcata non solo
tra i vari profili dei nuovi membri, ma
anche tra questi e i Paesi di prima industrializzazione.
Una difformità che appare immediatamente se si pensa ai diversi modelli
di sviluppo economico seguiti da
paesi come Cina, Arabia Saudita o
Russia.
Tutto ciò potrebbe compromettere
quel clima di condivisione e informalità che invece è stata la nota più
caratteristica dei summit del G7, rischiando di trasformare un forum,
nato per essere luogo di dialogo e
coordinamento, in un’arena dove
ciascuno dei partecipanti deciderà
di giocare una sua autonoma partita,
specie quando i tempi e i toni dell’emergenza saranno ormai alle spalle.
PARMA economica
61
mercati esteri
in conseguenza delle innovazioni tecnologiche nel campo dei trasporti e soprattutto
delle comunicazioni. Sul piano economico
la globalizzazione viene associata alla creazione di un vero e proprio mercato globale dei prodotti, dei capitali e dei servizi,
determinato da un progressivo incremento
degli scambi commerciali e finanziari su
scala planetaria. Contestualmente la globalizzazione si accompagna a una progressiva e significativa modificazione dei modi
di produzione, incentrati sul ruolo determinante giuocato dalle imprese multinazionali: così si assiste alla creazione di reti
globali sempre più fitte e complesse, tali
da rendere sempre più labile il legame tra
i luoghi di produzione e i prodotti finali.
Secondo un’ottica culturale e sociale la
globalizzazione viene inquadrata come la
creazione di una sorta di villaggio globale,
nel quale la diffusione istantanea e capillare delle informazioni rende le persone fortemente integrate tra loro. Internet risulta
contemporaneamente veicolo e metafora
di tale trasformazione, data la possibilità
che offre di comunicare a costi risibili, di
attingere a masse enormi d’informazioni,
d’interagire su un piano globale.
A questo punto tentiamo di misurare la
globalizzazione nelle sue dimensioni economiche e sociali per poi riflettere sulle
conseguenze di tale fenomeno per la politica internazionale.
La dimensione economica e finanziaria
Se guardiamo al mondo dell’ultimo mezzo secolo possiamo constatare che il valore
delle merci esportate rispetto al Pil globale registra una crescita pressoché costante, passando dal 12% del 1960 al 29% del
2008. Ciò significa che al giorno d’oggi
ciascun Paese, anche se in modo non uniforme, dipende reciprocamente per quasi
un terzo del valore delle merci che circolano all’interno del suo territorio. Questa
progressiva espansione del volume degli
scambi internazionali si manifesta parallelamente alla riduzione delle tariffe doganali che proteggono i mercati domestici.
Un indice ancora più rilevante per misurare scala e intensità dei flussi globali contemporanei è dato dall’espansione dell’integrazione finanziaria mondiale, cioè della
mobilità assunta dal fattore capitale. Infatti, la quota d’investimenti diretti esteri
(Ide) sul Pil nell’ultimo quarantennio si
è enormemente accresciuta, passando dal
62 PARMA economica
2% dell’economia mondiale nel 1970 al
33% di oggi, con una forte accelerazione
nel corso degli anni Novanta.
Per non parlare dei movimenti di capitale
di tipo speculativo a brevissimo termine,
esplosi fino al punto da perdere ogni contatto con l’economia reale: basti pensare
che dei 4.000 miliardi di dollari di transazioni finanziarie giornaliere, ancor oggi,
nonostante la crisi in atto, quasi la metà è
composta da prodotti derivati.
Limitarsi agli indicatori economici sarebbe tuttavia riduttivo. Occorre ricordare
che la straordinaria riduzione nei costi di
comunicazione e trasporto introdotta dalle
continue innovazioni tecnologiche non ha
prodotto solamente una maggiore circolazione delle merci, dei servizi e dei capitali,
ma anche delle idee e delle persone. Basti
prendere in considerazione la forte espansione dell’utenza internet, quadruplicata
su scala globale negli ultimi 10 anni e oggi
non più circoscritta ai Paesi maggiormente sviluppati. La rivoluzione comunicativa
che oggi viviamo è imputabile anche alla
vera e propria esplosione della telefonia
mobile, che oggi collega oltre 5 miliardi
di persone in tutto il globo, con
tassi di penetrazione impensabili
anche nei Paesi in via di sviluppo. I cambiamenti,
Da non sottovalutare il sensibile climatici, la
aumento del numero dei migranti diffusione di
nel mondo (oltre 200 milioni di pandemie, la
persone, rispetto ai 75 milioni del povertà, gli effetti
1965). Poderoso poi l’incremento della crisi globale
del numero mondiale dei turisti, passato tra il 1990 e il 2008 pretendono
da 450 a 930 milioni di persone. risposte e interventi
Significativo il fenomeno degli sovranazionali
scambi studenteschi universitari
a livello europeo: il programma comunitario Socrates-Erasmus ha superato ormai la
soglia del milione di studenti. Tutti questi
elementi segnalano non solo la progressiva
contrazione degli spazi consentita dai progressi nei trasporti, ma anche le loro ricadute economiche: rimesse dei migranti e flussi
turistici appaiono ormai una rilevante fonte
di reddito per molti Paesi.
La dimensione politica
Passiamo ora a rivolgere l’attenzione alla
sfera politica del fenomeno e alle sue implicazioni. Secondo gli analisti di politica
internazionale, il processo di globalizzazione produrrebbe un progressivo svuotamento della centralità dello Stato, tanto
mercati esteri
Assemblea
dell'Organizazione delle
Nazioni Unite - ONU
nella politica interna, quanto nella politica
internazionale.
La moltiplicazione e l’accresciuta rapidità
dei flussi economici, commerciali e finanziari rendono sempre più difficile il loro
controllo da parte delle istituzioni statali.
Specie riguardo ai flussi finanziari, per i
quali non esistono strumenti di controllo
efficaci.
La portata di alcune sfide di necessita di
interventi declinabili a livello di macroaree,
che forzatamente esulano dalla portata delle singole politiche statali. I cambiamenti
climatici, la diffusione di pandemie, la povertà, le minacce poste dalle nuove forme
di terrorismo o gli effetti di una crisi finanziaria, proprio per la loro estensione globale
pretendono risposte e interventi sovranazionali. A questo riguardo, il moltiplicarsi
del numero e la crescita d’importanza delle
organizzazioni internazionali segnala la necessità di adattare il livello di governo alla
scala dei problemi da affrontare.
Infine la globalizzazione si accompagna a
un protagonismo più accentuato di attori
non-statali: le multinazionali, le agenzie di
rating, le organizzazioni non-governative
di valenza internazionale, i nuovi media, i
movimenti di opinione strutturati, le reti
terroristiche, la criminalità organizzata.
Rispetto al passato, la diffusione di questi
soggetti, unita alla loro crescente influenza politica, ridimensionerebbe l’esclusività
del ruolo degli Stati nel gestire e determinare la politica internazionale.
Il superamento del paradigma statocentrico non si tradurrebbe in pura anarchia, ma
in una interazione di una molteplicità di
attori, in una forma di governance beyond
governments, più adatta ad affrontare le sfide del mondo globalizzato.
Questo processo in atto, però, non è privo
di contraddizioni, sia sul piano economico,
che su quello sociale e politico. Innanzitutto è stato caratterizzato da una diffusione disomogenea, producendo risultati
spesso contraddittori, se non addirittura
incoerenti. Facendo emergere identità
cosiddette primarie. La competizione internazionale, l’esposizione a rapidi mutamenti e a influenze esterne, la percezione
di uno stato sempre più diffuso d’insicurezza contribuiscono ad alimentare la richiesta da parte dei cittadini di forme di
protezione come quelle offerte dai sistemi
di welfare.
Inoltre, in molte aree del mondo extraoccidentale lo Stato indipendente e sovrano
rappresenta un riferimento organizzativo
politico-sociale solido e irrinunciabile.
All’indomani della decolonizzazione, in
continenti come l’Africa e l’Asia si è registrata una vera e propria proliferazione di
Stati: la forma statuale è rimasta come la
garanzia più valida di stabilità. In altri casi,
come in Somalia e Palestina, di risoluzione
della crisi. Le stesse missioni di state building, cioè di costruzione di uno Stato dove
questo non c’è o è collassato, dimostra la
rilevanza che la comunità internazionale
PARMA economica
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riserva ad aree segnate da forte instabilità: dai Balcani all’Afghanistan, da Haiti a
Timor Est.
Volendo affidarci a un’analisi statistica
comparativa, risulta eclatante questo processo proliferativo: nel 1946 esistevano nel
mondo solo 74 Stati sovrani; nel 2013 il
loro numero ha raggiunto 201 unità. Con
un’inevitabile conseguenza: la ridotta dimensione in termini di superficie e di popolazione e conseguentemente di peso politico-economico. La gran parte di questi
Stati ha una dimensione inferiore a quella
della regione Emilia-Romagna; 91 Paesi
presentano una popolazione inferiore ai 5
milioni di abitanti; in altri 52 la popolazione scende sotto i 2 milioni di persone;
infine 30 Paesi presentano una popolazione inferiore alle 500mila persone.
Se da un lato appare prematuro attendersi un rapido superamento del ruolo degli
Stati nella politica internazionale, non si
può trascurare di registrare la crescente rilevanza assunta dalla dimensione intergovernativa: basti pensare alle organizzazioni
istituzionali internazionali e alla possibilità di riformarle per renderle più trasparenti, rappresentative e democratiche. In tal
senso possono essere interpretati gli sforzi
di adattare al nuovo contesto globale le organizzazioni ereditate dalla guerra fredda:
dai tentativi di riforma del consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, alla redistri-
buzione del potere di voto nell’ambito del
Fondo monetario internazionale e della
Banca mondiale, al passaggio di consegne
dal G8 al G20.
Diseguaglianze e nuove identità
Uno degli effetti più tangibili del processo
di globalizzazione è stato il poderoso contributo fornito alla riduzione della povertà
e delle diseguaglianze: la percentuale di
poveri (convenzionalmente quella parte di
popolazione che vive con meno di 2 dollari al giorno) sulla popolazione mondiale è scesa costantemente negli ultimi 20
anni, passando dal 42% del 1990 al 21%
del 2010.
Contestualmente, però, si è assistito a una crescita del divario
fra gli Stati più ricchi e quelli più La competizione
poveri. Inoltre la differenziazione internazionale,
economica fra classi si è acui- i rapidi mutamenti,
ta all’interno di numerosi Paesi, lo stato d’insicurezza
segnando il declino di alcune contribuiscono
regioni. Soprattutto nell’ambito
del cosiddetto Sud del mondo si ad alimentare
registrano le maggiori divergen- la richiesta di welfare
ze di performance tra le diverse regioni: se il sud-est asiatico
ha saputo cogliere le opportunità offerte
dall’economia globalizzata, tanto da ridurre il distacco rispetto alle economie più
avanzate, lo stesso non si può dire per l’Africa sub-sahariana che ha visto peggiorare
La nuova Europa.
64 PARMA economica
mercati esteri
la propria situazione in termini relativi. A
una riduzione della disuguaglianza globale
corrispondono infatti andamenti regionali
profondamente diversi: nell’ambito della
stessa categoria di Paesi in via di sviluppo
rientra tanto la Cina, protagonista di un
poderoso sviluppo economico, quanto il
disastrato Zimbabwe di Robert Mugabe,
unico Paese africano a crescita negativa e
con un’inflazione a sei zeri, ultimo al mondo per indice di sviluppo umano.
Da queste contraddizioni è scaturita la
nascita recente del gruppo dei paesi Brics
(Brasile, Russia, India e Cina con l’aggiunta ultima del Sudafrica): testimonianza di una delle maggiori novità della globalizzazione, ossia il tramonto di vecchie
categorie contrapposte come Nord-Sud,
Est-Ovest e l’emergere di un mondo variegato e complesso.
Contraddittorie appaiono nell’ambito socioculturale le conseguenze dell’attuale
processo di globalizzazione in atto. Secondo alcuni studiosi stiamo assistendo a
una progressiva convergenza e omogeneità
tra le diverse culture, sino al punto di dare
vita a un’unica società globale caratterizzata dai medesimi gusti, interessi, valori. Sebbene una certa conÈ in atto vergenza nei gusti e nei consumi
una progressiva appaia come un dato innegabile,
convergenza rimane da capire se l’appartenena un medesimo contesto cone omogeneità tra za
sumistico su scala globale porti
le diverse culture inevitabilmente verso un’integrao la globalizzazione zione culturale e la conseguente,
della cultura progressiva costruzione di una
si traduce in vera e propria identità collettiva
una progressiva che abbraccerebbe l’intera umanità.
omologazione Alcuni analisti si spingono ine americanizzazione? vece ad affermare come dietro
all’apparente neutralità di un tale
processo di crescente interazione culturale
si possa invece nascondere un fenomeno
d’imposizione del modello economico e
sociale occidentale, veicolato da un sistema globale dei media di stampo oligopolistico: la globalizzazione della cultura
si tradurrebbe di fatto in una progressiva
omologazione e americanizzazione.
Proprio tale pressione alla omologazione
tenderebbe a scatenare forme di reazione
e resistenza culturale che si manifestano
tramite una riscoperta e un’affermazione
sempre più perentoria d’identità e radici
culturali: dalla recrudescenza del naziona-
lismo, all’esasperazione dei localismi, alle
reazioni xenofobe, al ritorno dirompente
del discorso religioso nella sfera pubblica.
In questi ultimi anni le lotte per l’autodeterminazione dei popoli in tutto il globo
trovano in alcuni mass media (Cnn, al-Jazeera) una straordinaria cassa di risonanza: in questo modo le azioni di secessione
riescono ad avere una grande eco e a convincere altri gruppi in lotta che il successo
è alla loro portata.
Lo stesso principio di autodeterminazione
dei popoli invocato dai gruppi separatisti
in lotta è diventato una delle istituzioni
cardine della convivenza internazionale e
di fatto si traduce in un incitamento alla
formazione di nuove entità statuali. Anche
il moltiplicarsi su larga scala del fenomeno del fondamentalismo – spesso legato a
cause separatiste – può essere interpretato
come la reazione d’identità che si sentono minacciate dall’imposizione di modelli
culturali (in gran parte di marca occidentale) percepiti come alieni.
Regionalizzazione e globalizzazione:
antitetiche o complementari?
Esistono due modi d’interpretare la relazione tra regionalizzazione e globalizzazione. Il primo considera questi due fenomeni come antitetici. La seconda interpretazione sottolinea invece il carattere fisiologico che i fenomeni di regionalizzazione
assumono nell’era globale: la presenza di
attori e accordi su base regionale costituisce un elemento caratterizzante la globalizzazione. Se si guarda alla realtà circostante, gli accordi e gli attori regionali sono
presenti in varie parti del mondo: il Mercosur in America Latina o il Nafta tra Usa,
Messico e Canada. Oppure l’Asean siglato
tra alcuni Paesi dell’Asia e l’Oceania. Ma
certamente quello più significativo, che ha
rivoluzionato il concetto stesso di attore
regionale e ispirato molte delle altre organizzazioni regionali, è l’Unione Europea.
Si tratta di un vero e proprio esperimento
politico che non conosce finora qualcosa
di analogo nella storia dell’umanità, sia in
termini di potere e competenze rispetto
ai propri Paesi membri che in termini di
rappresentanza degli interessi comuni rispetto al resto del mondo.
Va rilevato che, sebbene il commercio intra-europeo rappresenti una quota ancora
significativa dell’interscambio commerciale dei Paesi del Vecchio continente (pari al
PARMA economica
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mercati esteri
67% per l’Ue a 27 nel 2010), le prospettive di crescita dei singoli Paesi membri
dipendono in buona parte dalla capacità
d’aumentare le loro esportazioni a livello
globale, soprattutto verso i paesi emergenti. Tale consapevolezza ha fatto sì che la
Germania intraprendesse un decennio di
politiche orientate al rilancio della produttività del lavoro e alla moderazione salariale, che le permettono oggi di registrare
tassi di crescita superiori al 3%, grazie ai
significativi flussi esportativi nei confronti dei paesi dell’area ex-Comecon e della
Cina Popolare.
Da un punto di vista politico-istituzionale
va inoltre ricordato che ormai da diversi
anni l’Unione europea è un attore equiparato di fatto agli Stati in diverse istituzioni
internazionali a cominciare dal Wto (l’organizzazione mondiale del commercio),
nel quale i 27 paesi aderenti alla Ue parlano con una sola voce.
Ciò che la realtà in Europa e nel resto del
mondo sembra indicarci in modo chiaro
è che la coesistenza tra regionalizzazione
e globalizzazione è un dato di fatto, una
caratteristica del sistema economico mondiale attuale.
Il sistema internazionale contemporaneo
si distingue, rispetto al passato, per un aumento del numero dei sistemi regionali,
per una ridefinizione delle dinamiche interne alle regioni e per il peso che hanno
acquisito le dinamiche regionali su quelle
globali.
Se i processi di decolonizzazione avevano
già contribuito ad aumentare il numero dei
complessi regionali (in Africa, in Asia e in
Medio Oriente), la disgregazione dell’Unione Sovietica ha ulteriormente frammentato il sistema internazionale. Il posto
prima occupato dall’”impero” sovietico si
articola oggi in almeno due aree regionali
– ciascuna delle quali si distingue per dinamiche interne peculiari – e una serie di
sub-sistemi dai confini incerti.
Le due principali regioni emerse con la
dissoluzione dello spazio sovietico sono
l’Asia centrale e il Caucaso meridionale: la
regione che gravita intorno al mar Caspio
appare fortemente connessa con le dinamiche globali, in virtù delle sue cospicue
risorse energetiche; la regione caucasica si
presenta come una strategica area di raccordo fra il Mar Caspio, il Mar Nero e la
regione balcanica (mediterranea).
A queste si aggiungono dei complessi subregionali sul versante europeo che hanno
manifestato negli ultimi 20 anni un certo
grado d’interdipendenza interna e autonomia verso l’esterno:
l’Europa centrale (Polonia, Re- La realtà dei fatti
pubblica Ceca, Slovacchia, Un- indica chiaramente
gheria), da un lato schiacciata che la coesistenza
fra Germania e Russia, dall’altro di regionalizzazione
agganciata a nuove forme di ga- e globalizzazione
ranzia occidentale, le quali passano per una stretta relazione con è un dato di fatto
gli Stati Uniti; l’Europa centroorientale (Ucraina e Bielorussia), dalla
stabilità politica ed economica più incerta
e ancor più attratta da due poli opposti:
quello russo e quello euro-atlantico; infine,
la regione baltica, la quale ha manifestato
diversi segnali d’integrazione regionale intorno al proprio bacino.
Altre regioni, benché preesistenti, hanno
acquisito un significato nuovo e ridefinito
la propria stessa identità nel contesto internazionale successivo alla guerra fredda.
Anzitutto, l’Europa occidentale, superata
la divisione quarantennale del secondo
dopoguerra grazie al crollo del muro di
Berlino, è emersa come protagonista di
I Brics: un club eterogeneo ma sempre più rilevante
Comparazione tra i Paesi e rispetto al totale mondiale
Indicatori Brasile Russia India Sup/mondo Ab/mondo Pil/mondo Pil procapite (dollari)
Spese per la difesa/Pil
Scuola/Pil
Sanità/Pil
Cellulari/1.000 ab.
Utenti internet/1.000 ab.
6,5% 2,9% 2,1% 10.816
1,7%
5,2%
4,1%
1.041
406
66 PARMA economica
12,6% 2,1% 1% 10.437
4,3%
4,1%
3,5%
1.663
430
Cina Sudafrica Totali/medie
2,3% 7,2% 0,9% 17% 19,6% 0,7% 2,2% 7,4% 0,5% 1.265 4.382 7.158
3%
2%
1,5%
3,2%2,3% 5,4%
1,4%2,3% 3,4%
614
640
1.005
75
343
123
29,5%
42,3%
13,2%
6.812
2,5%
4%
2,9%
993
275
mercati esteri
Il quarto summit dei paesi
BRICS: Brasile, Russia,
India, Cina, Sudafrica
un percorso di ridefinizione della propria
identità regionale. Per un verso, proponendo un ambizioso progetto d’integrazione sovranazionale capace di presentarsi
come un modello radicalmente nuovo di
organizzare le relazioni sociali entro uno
spazio continentale. Per un altro verso,
rielaborando, seppur con ambiguità e incertezze, la propria identità euro-atlantica e riscrivendo i propri
Il fatto nuovo è che margini di autonomia nel nuovo
i conflitti emergono contesto globale.
dalle regioni L’altra regione, il Medio Oriente,
e si riverberano è stata protagonista di una revisul sistema globale sione dei propri confini, proprio
alla luce delle nuove dinamiche
regionali che la percorrono. Il
passaggio al Medio Oriente allargato ha
dilatato il perimetro della regione, prima
includendovi l’Iran, in ragione delle relazioni competitive innescate dal programma nucleare iraniano, e poi l’Asia meridionale, con la crisi afgana a chiudere a Est
il lungo arco d’instabilità mediorientale,
il cui confine occidentale si spinge fino al
Maghreb.
Va comunque sottolineato il rapporto
nuovo fra le dinamiche politiche regionali
e quelle globali.
Oggi le principali fonti di conflittualità
emergono dalle regioni e si riverberano sul
sistema globale. Nel sistema attuale sono
le relazioni conflittuali a livello regionale
che s’impongono alla comunità internazionale. L’effetto più evidente di questo
rovesciamento fra conflittualità regionale e
globale è uno dei tratti distintivi, ma anche
una delle maggiori ambiguità del sistema
internazionale odierno: la compresenza di
una pace globale – come assenza di guerra
fra le superpotenze – e una conflittualità
diffusa, a bassa intensità e confinata in un
quadro regionale.
Tendenza alla regionalizzazione che si è
ulteriormente consolidata nel periodo post
1989 con una decisa affermazione delle
organizzazioni regionali: tanto in ambito
politico e di sicurezza quanto in ambito
economico, l’estensione regionale si è attestata come la dimensione più adatta a
gestire le dinamiche della globalizzazione.
Concludendo, si può affermare che i processi di regionalizzazione, al pari di quelli di globalizzazione, si stanno rivelando
sempre più come una chiave di lettura imprescindibile per la comprensione dell’attuale scenario internazionale.
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PARMA economica
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