mercati esteri La fine del bipolarismo e i nuovi poli regionali Le dinamiche di una transizione tra regionalismi emergenti e processo di globalizzazione Maurizio Caggiati Un fenomeno recente Il cosiddetto fenomeno della globalizzazione viene solitamente associato a un processo di progressiva unificazione del mondo: si parla di mondo “piatto e senza confini”. La nascita di un mercato globale ha permesso alle imprese di espandersi in base alla propria capacità organizzativa, alle risorse finanziarie a disposizione e al patrimonio tecnologico acquisito. Contemporaneamente, soprattutto alla fine del XX secolo, si sono innescati fenomeni di disintegrazione politica e di integrazione economica che hanno dato vita a quella che viene definita come globalizzazione. Fenomeno che è risultato maggiormente pervasivo in ambito finanziario con la creazione di un unico mercato a livello planetario. A un’analisi più attenta del fenomeno, tanto nelle sue dimensioni 60 PARMA economica Una veduta San Pietroburgo, economiche e culturali, quanto nelle sue la "Venezia del Nord" ripercussioni politiche, emergono evidenti perplessità che rendono tale interpretazione riduttiva e in alcuni casi fuorviante. La globalizzazione non si muove alla stessa velocità e con la stessa coerenza nei vari Paesi, comportando effetti disomogenei. Si assiste poi sempre più a un processo del tutto inverso: la spinta verso la regionalizzazione. L’accostamento I fenomeni di questi due processi ci restituisce quindi un mondo complesso di disintegrazione e multidimensionale: dalle dina- politica miche demografiche e migrato- e di integrazione rie agli sviluppi nel campo della economica di fine sicurezza; dall’economia alle sfi- XX secolo sono de energetiche e climatiche; per all’origine della giungere, infine, alle dinamiche contraddittorie nel campo della globalizzazione diffusione dei sistemi democrati- mercati esteri ci e dei diritti conseguenti. Con un’articolazione diversa a fronte di contesti politici, economici e culturali differenti. Va messo in luce il fatto che con il termine globalizzazione ci si riferisce non tanto a DAL G8 AL G20 La prima volta che i capi di Stato e di governo dei sei paesi più industrializzati del mondo decisero di riunirsi per dar vita al cosiddetto Gruppo dei sei (G6) era il 1975: il vertice, tenutosi nel castello di Rambouillet, alle porte di Parigi, doveva servire principalmente per coordinare una risposta comune alla crisi economica mondiale, scatenatasi a seguito dello shock petrolifero di due anni prima, e per discutere misure di stabilizzazione del sistema monetario internazionale dopo la fine del regime valutario di Bretton Woods, sancita nel 1971 dall’abbandono della convertibilità del dollaro in oro. S’inaugurava così un forum informale che una volta l’anno avrebbe convocato le più alte leadership politiche di Stati Uniti, Repubblica Federale Tedesca, Francia, Regno Unito, Giappone e Italia ( a cui nei due anni seguenti si aggiunsero il Canada e la presidenza della Commissione europea), per discutere e ricercare strategie condivise nella gestione dei più rilevanti problemi della politica e dell’economia internazionale. Trentaquattro anni dopo a Pittsburgh, in Pennsylvania, verrà presa la storica decisione di sostituire, come principale forum deputato alla discussione degli affari economici internazionali, il G7 con il G20. L’esclusivo club delle maggiori potenze economiche del mondo – che già dal 1997 aveva coinvolto sui temi politici anche la Federazione Russa, trasformandosi di fatto in G8 – apriva in sostanza le sue porte per farvi entrare tutti quegli Stati protagonisti nei due decenni passati di una crescita economica rilevante: dai quattro Paesi cosiddetti Bric (Brasile, Russia, India e Cina), ad altri otto Paesi emergenti, quali Australia, Arabia Saudita, Argentina, Corea del Sud, Indonesia, Messico, una condizione statica, quanto a un processo, rispetto al quale è possibile individuare differenti fasi o gradi. Le coordinate spazio-temporali della vita associata hanno subito un processo di forte accelerazione Turchia e Sudafrica. Anche in questa occasione la spinta ad adattare e modificare i meccanismi della governance globale era frutto dell’esigenza di trovare risposte il più efficaci e condivise possibile a una crisi economica di portata mondiale che, nata nell’autunno del 2008 nel mercato finanziario statunitense, ben presto si era diffusa nei circuiti di tutto il mondo. A un’economia integrata e globalizzata non poteva più corrispondere un foro di discussione strategica che fino ad allora aveva escluso non solo poco meno della metà della ricchezza del pianeta, ma anche quasi il 90% dei suoi abitanti. Una differenza che traccia una distanza sostanziale tra le due esperienze è rappresentata dal minor grado di omogeneità degli attori del G20 rispetto a quelli del G7. Alla forte somiglianza riscontrabile tra i membri del G7, tanto sotto il profilo dei valori condivisi, quanto sotto quello dei modelli politici ed economici di appartenenza, corrisponde un’eterogeneità più marcata non solo tra i vari profili dei nuovi membri, ma anche tra questi e i Paesi di prima industrializzazione. Una difformità che appare immediatamente se si pensa ai diversi modelli di sviluppo economico seguiti da paesi come Cina, Arabia Saudita o Russia. Tutto ciò potrebbe compromettere quel clima di condivisione e informalità che invece è stata la nota più caratteristica dei summit del G7, rischiando di trasformare un forum, nato per essere luogo di dialogo e coordinamento, in un’arena dove ciascuno dei partecipanti deciderà di giocare una sua autonoma partita, specie quando i tempi e i toni dell’emergenza saranno ormai alle spalle. PARMA economica 61 mercati esteri in conseguenza delle innovazioni tecnologiche nel campo dei trasporti e soprattutto delle comunicazioni. Sul piano economico la globalizzazione viene associata alla creazione di un vero e proprio mercato globale dei prodotti, dei capitali e dei servizi, determinato da un progressivo incremento degli scambi commerciali e finanziari su scala planetaria. Contestualmente la globalizzazione si accompagna a una progressiva e significativa modificazione dei modi di produzione, incentrati sul ruolo determinante giuocato dalle imprese multinazionali: così si assiste alla creazione di reti globali sempre più fitte e complesse, tali da rendere sempre più labile il legame tra i luoghi di produzione e i prodotti finali. Secondo un’ottica culturale e sociale la globalizzazione viene inquadrata come la creazione di una sorta di villaggio globale, nel quale la diffusione istantanea e capillare delle informazioni rende le persone fortemente integrate tra loro. Internet risulta contemporaneamente veicolo e metafora di tale trasformazione, data la possibilità che offre di comunicare a costi risibili, di attingere a masse enormi d’informazioni, d’interagire su un piano globale. A questo punto tentiamo di misurare la globalizzazione nelle sue dimensioni economiche e sociali per poi riflettere sulle conseguenze di tale fenomeno per la politica internazionale. La dimensione economica e finanziaria Se guardiamo al mondo dell’ultimo mezzo secolo possiamo constatare che il valore delle merci esportate rispetto al Pil globale registra una crescita pressoché costante, passando dal 12% del 1960 al 29% del 2008. Ciò significa che al giorno d’oggi ciascun Paese, anche se in modo non uniforme, dipende reciprocamente per quasi un terzo del valore delle merci che circolano all’interno del suo territorio. Questa progressiva espansione del volume degli scambi internazionali si manifesta parallelamente alla riduzione delle tariffe doganali che proteggono i mercati domestici. Un indice ancora più rilevante per misurare scala e intensità dei flussi globali contemporanei è dato dall’espansione dell’integrazione finanziaria mondiale, cioè della mobilità assunta dal fattore capitale. Infatti, la quota d’investimenti diretti esteri (Ide) sul Pil nell’ultimo quarantennio si è enormemente accresciuta, passando dal 62 PARMA economica 2% dell’economia mondiale nel 1970 al 33% di oggi, con una forte accelerazione nel corso degli anni Novanta. Per non parlare dei movimenti di capitale di tipo speculativo a brevissimo termine, esplosi fino al punto da perdere ogni contatto con l’economia reale: basti pensare che dei 4.000 miliardi di dollari di transazioni finanziarie giornaliere, ancor oggi, nonostante la crisi in atto, quasi la metà è composta da prodotti derivati. Limitarsi agli indicatori economici sarebbe tuttavia riduttivo. Occorre ricordare che la straordinaria riduzione nei costi di comunicazione e trasporto introdotta dalle continue innovazioni tecnologiche non ha prodotto solamente una maggiore circolazione delle merci, dei servizi e dei capitali, ma anche delle idee e delle persone. Basti prendere in considerazione la forte espansione dell’utenza internet, quadruplicata su scala globale negli ultimi 10 anni e oggi non più circoscritta ai Paesi maggiormente sviluppati. La rivoluzione comunicativa che oggi viviamo è imputabile anche alla vera e propria esplosione della telefonia mobile, che oggi collega oltre 5 miliardi di persone in tutto il globo, con tassi di penetrazione impensabili anche nei Paesi in via di sviluppo. I cambiamenti, Da non sottovalutare il sensibile climatici, la aumento del numero dei migranti diffusione di nel mondo (oltre 200 milioni di pandemie, la persone, rispetto ai 75 milioni del povertà, gli effetti 1965). Poderoso poi l’incremento della crisi globale del numero mondiale dei turisti, passato tra il 1990 e il 2008 pretendono da 450 a 930 milioni di persone. risposte e interventi Significativo il fenomeno degli sovranazionali scambi studenteschi universitari a livello europeo: il programma comunitario Socrates-Erasmus ha superato ormai la soglia del milione di studenti. Tutti questi elementi segnalano non solo la progressiva contrazione degli spazi consentita dai progressi nei trasporti, ma anche le loro ricadute economiche: rimesse dei migranti e flussi turistici appaiono ormai una rilevante fonte di reddito per molti Paesi. La dimensione politica Passiamo ora a rivolgere l’attenzione alla sfera politica del fenomeno e alle sue implicazioni. Secondo gli analisti di politica internazionale, il processo di globalizzazione produrrebbe un progressivo svuotamento della centralità dello Stato, tanto mercati esteri Assemblea dell'Organizazione delle Nazioni Unite - ONU nella politica interna, quanto nella politica internazionale. La moltiplicazione e l’accresciuta rapidità dei flussi economici, commerciali e finanziari rendono sempre più difficile il loro controllo da parte delle istituzioni statali. Specie riguardo ai flussi finanziari, per i quali non esistono strumenti di controllo efficaci. La portata di alcune sfide di necessita di interventi declinabili a livello di macroaree, che forzatamente esulano dalla portata delle singole politiche statali. I cambiamenti climatici, la diffusione di pandemie, la povertà, le minacce poste dalle nuove forme di terrorismo o gli effetti di una crisi finanziaria, proprio per la loro estensione globale pretendono risposte e interventi sovranazionali. A questo riguardo, il moltiplicarsi del numero e la crescita d’importanza delle organizzazioni internazionali segnala la necessità di adattare il livello di governo alla scala dei problemi da affrontare. Infine la globalizzazione si accompagna a un protagonismo più accentuato di attori non-statali: le multinazionali, le agenzie di rating, le organizzazioni non-governative di valenza internazionale, i nuovi media, i movimenti di opinione strutturati, le reti terroristiche, la criminalità organizzata. Rispetto al passato, la diffusione di questi soggetti, unita alla loro crescente influenza politica, ridimensionerebbe l’esclusività del ruolo degli Stati nel gestire e determinare la politica internazionale. Il superamento del paradigma statocentrico non si tradurrebbe in pura anarchia, ma in una interazione di una molteplicità di attori, in una forma di governance beyond governments, più adatta ad affrontare le sfide del mondo globalizzato. Questo processo in atto, però, non è privo di contraddizioni, sia sul piano economico, che su quello sociale e politico. Innanzitutto è stato caratterizzato da una diffusione disomogenea, producendo risultati spesso contraddittori, se non addirittura incoerenti. Facendo emergere identità cosiddette primarie. La competizione internazionale, l’esposizione a rapidi mutamenti e a influenze esterne, la percezione di uno stato sempre più diffuso d’insicurezza contribuiscono ad alimentare la richiesta da parte dei cittadini di forme di protezione come quelle offerte dai sistemi di welfare. Inoltre, in molte aree del mondo extraoccidentale lo Stato indipendente e sovrano rappresenta un riferimento organizzativo politico-sociale solido e irrinunciabile. All’indomani della decolonizzazione, in continenti come l’Africa e l’Asia si è registrata una vera e propria proliferazione di Stati: la forma statuale è rimasta come la garanzia più valida di stabilità. In altri casi, come in Somalia e Palestina, di risoluzione della crisi. Le stesse missioni di state building, cioè di costruzione di uno Stato dove questo non c’è o è collassato, dimostra la rilevanza che la comunità internazionale PARMA economica 63 mercati esteri riserva ad aree segnate da forte instabilità: dai Balcani all’Afghanistan, da Haiti a Timor Est. Volendo affidarci a un’analisi statistica comparativa, risulta eclatante questo processo proliferativo: nel 1946 esistevano nel mondo solo 74 Stati sovrani; nel 2013 il loro numero ha raggiunto 201 unità. Con un’inevitabile conseguenza: la ridotta dimensione in termini di superficie e di popolazione e conseguentemente di peso politico-economico. La gran parte di questi Stati ha una dimensione inferiore a quella della regione Emilia-Romagna; 91 Paesi presentano una popolazione inferiore ai 5 milioni di abitanti; in altri 52 la popolazione scende sotto i 2 milioni di persone; infine 30 Paesi presentano una popolazione inferiore alle 500mila persone. Se da un lato appare prematuro attendersi un rapido superamento del ruolo degli Stati nella politica internazionale, non si può trascurare di registrare la crescente rilevanza assunta dalla dimensione intergovernativa: basti pensare alle organizzazioni istituzionali internazionali e alla possibilità di riformarle per renderle più trasparenti, rappresentative e democratiche. In tal senso possono essere interpretati gli sforzi di adattare al nuovo contesto globale le organizzazioni ereditate dalla guerra fredda: dai tentativi di riforma del consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, alla redistri- buzione del potere di voto nell’ambito del Fondo monetario internazionale e della Banca mondiale, al passaggio di consegne dal G8 al G20. Diseguaglianze e nuove identità Uno degli effetti più tangibili del processo di globalizzazione è stato il poderoso contributo fornito alla riduzione della povertà e delle diseguaglianze: la percentuale di poveri (convenzionalmente quella parte di popolazione che vive con meno di 2 dollari al giorno) sulla popolazione mondiale è scesa costantemente negli ultimi 20 anni, passando dal 42% del 1990 al 21% del 2010. Contestualmente, però, si è assistito a una crescita del divario fra gli Stati più ricchi e quelli più La competizione poveri. Inoltre la differenziazione internazionale, economica fra classi si è acui- i rapidi mutamenti, ta all’interno di numerosi Paesi, lo stato d’insicurezza segnando il declino di alcune contribuiscono regioni. Soprattutto nell’ambito del cosiddetto Sud del mondo si ad alimentare registrano le maggiori divergen- la richiesta di welfare ze di performance tra le diverse regioni: se il sud-est asiatico ha saputo cogliere le opportunità offerte dall’economia globalizzata, tanto da ridurre il distacco rispetto alle economie più avanzate, lo stesso non si può dire per l’Africa sub-sahariana che ha visto peggiorare La nuova Europa. 64 PARMA economica mercati esteri la propria situazione in termini relativi. A una riduzione della disuguaglianza globale corrispondono infatti andamenti regionali profondamente diversi: nell’ambito della stessa categoria di Paesi in via di sviluppo rientra tanto la Cina, protagonista di un poderoso sviluppo economico, quanto il disastrato Zimbabwe di Robert Mugabe, unico Paese africano a crescita negativa e con un’inflazione a sei zeri, ultimo al mondo per indice di sviluppo umano. Da queste contraddizioni è scaturita la nascita recente del gruppo dei paesi Brics (Brasile, Russia, India e Cina con l’aggiunta ultima del Sudafrica): testimonianza di una delle maggiori novità della globalizzazione, ossia il tramonto di vecchie categorie contrapposte come Nord-Sud, Est-Ovest e l’emergere di un mondo variegato e complesso. Contraddittorie appaiono nell’ambito socioculturale le conseguenze dell’attuale processo di globalizzazione in atto. Secondo alcuni studiosi stiamo assistendo a una progressiva convergenza e omogeneità tra le diverse culture, sino al punto di dare vita a un’unica società globale caratterizzata dai medesimi gusti, interessi, valori. Sebbene una certa conÈ in atto vergenza nei gusti e nei consumi una progressiva appaia come un dato innegabile, convergenza rimane da capire se l’appartenena un medesimo contesto cone omogeneità tra za sumistico su scala globale porti le diverse culture inevitabilmente verso un’integrao la globalizzazione zione culturale e la conseguente, della cultura progressiva costruzione di una si traduce in vera e propria identità collettiva una progressiva che abbraccerebbe l’intera umanità. omologazione Alcuni analisti si spingono ine americanizzazione? vece ad affermare come dietro all’apparente neutralità di un tale processo di crescente interazione culturale si possa invece nascondere un fenomeno d’imposizione del modello economico e sociale occidentale, veicolato da un sistema globale dei media di stampo oligopolistico: la globalizzazione della cultura si tradurrebbe di fatto in una progressiva omologazione e americanizzazione. Proprio tale pressione alla omologazione tenderebbe a scatenare forme di reazione e resistenza culturale che si manifestano tramite una riscoperta e un’affermazione sempre più perentoria d’identità e radici culturali: dalla recrudescenza del naziona- lismo, all’esasperazione dei localismi, alle reazioni xenofobe, al ritorno dirompente del discorso religioso nella sfera pubblica. In questi ultimi anni le lotte per l’autodeterminazione dei popoli in tutto il globo trovano in alcuni mass media (Cnn, al-Jazeera) una straordinaria cassa di risonanza: in questo modo le azioni di secessione riescono ad avere una grande eco e a convincere altri gruppi in lotta che il successo è alla loro portata. Lo stesso principio di autodeterminazione dei popoli invocato dai gruppi separatisti in lotta è diventato una delle istituzioni cardine della convivenza internazionale e di fatto si traduce in un incitamento alla formazione di nuove entità statuali. Anche il moltiplicarsi su larga scala del fenomeno del fondamentalismo – spesso legato a cause separatiste – può essere interpretato come la reazione d’identità che si sentono minacciate dall’imposizione di modelli culturali (in gran parte di marca occidentale) percepiti come alieni. Regionalizzazione e globalizzazione: antitetiche o complementari? Esistono due modi d’interpretare la relazione tra regionalizzazione e globalizzazione. Il primo considera questi due fenomeni come antitetici. La seconda interpretazione sottolinea invece il carattere fisiologico che i fenomeni di regionalizzazione assumono nell’era globale: la presenza di attori e accordi su base regionale costituisce un elemento caratterizzante la globalizzazione. Se si guarda alla realtà circostante, gli accordi e gli attori regionali sono presenti in varie parti del mondo: il Mercosur in America Latina o il Nafta tra Usa, Messico e Canada. Oppure l’Asean siglato tra alcuni Paesi dell’Asia e l’Oceania. Ma certamente quello più significativo, che ha rivoluzionato il concetto stesso di attore regionale e ispirato molte delle altre organizzazioni regionali, è l’Unione Europea. Si tratta di un vero e proprio esperimento politico che non conosce finora qualcosa di analogo nella storia dell’umanità, sia in termini di potere e competenze rispetto ai propri Paesi membri che in termini di rappresentanza degli interessi comuni rispetto al resto del mondo. Va rilevato che, sebbene il commercio intra-europeo rappresenti una quota ancora significativa dell’interscambio commerciale dei Paesi del Vecchio continente (pari al PARMA economica 65 mercati esteri 67% per l’Ue a 27 nel 2010), le prospettive di crescita dei singoli Paesi membri dipendono in buona parte dalla capacità d’aumentare le loro esportazioni a livello globale, soprattutto verso i paesi emergenti. Tale consapevolezza ha fatto sì che la Germania intraprendesse un decennio di politiche orientate al rilancio della produttività del lavoro e alla moderazione salariale, che le permettono oggi di registrare tassi di crescita superiori al 3%, grazie ai significativi flussi esportativi nei confronti dei paesi dell’area ex-Comecon e della Cina Popolare. Da un punto di vista politico-istituzionale va inoltre ricordato che ormai da diversi anni l’Unione europea è un attore equiparato di fatto agli Stati in diverse istituzioni internazionali a cominciare dal Wto (l’organizzazione mondiale del commercio), nel quale i 27 paesi aderenti alla Ue parlano con una sola voce. Ciò che la realtà in Europa e nel resto del mondo sembra indicarci in modo chiaro è che la coesistenza tra regionalizzazione e globalizzazione è un dato di fatto, una caratteristica del sistema economico mondiale attuale. Il sistema internazionale contemporaneo si distingue, rispetto al passato, per un aumento del numero dei sistemi regionali, per una ridefinizione delle dinamiche interne alle regioni e per il peso che hanno acquisito le dinamiche regionali su quelle globali. Se i processi di decolonizzazione avevano già contribuito ad aumentare il numero dei complessi regionali (in Africa, in Asia e in Medio Oriente), la disgregazione dell’Unione Sovietica ha ulteriormente frammentato il sistema internazionale. Il posto prima occupato dall’”impero” sovietico si articola oggi in almeno due aree regionali – ciascuna delle quali si distingue per dinamiche interne peculiari – e una serie di sub-sistemi dai confini incerti. Le due principali regioni emerse con la dissoluzione dello spazio sovietico sono l’Asia centrale e il Caucaso meridionale: la regione che gravita intorno al mar Caspio appare fortemente connessa con le dinamiche globali, in virtù delle sue cospicue risorse energetiche; la regione caucasica si presenta come una strategica area di raccordo fra il Mar Caspio, il Mar Nero e la regione balcanica (mediterranea). A queste si aggiungono dei complessi subregionali sul versante europeo che hanno manifestato negli ultimi 20 anni un certo grado d’interdipendenza interna e autonomia verso l’esterno: l’Europa centrale (Polonia, Re- La realtà dei fatti pubblica Ceca, Slovacchia, Un- indica chiaramente gheria), da un lato schiacciata che la coesistenza fra Germania e Russia, dall’altro di regionalizzazione agganciata a nuove forme di ga- e globalizzazione ranzia occidentale, le quali passano per una stretta relazione con è un dato di fatto gli Stati Uniti; l’Europa centroorientale (Ucraina e Bielorussia), dalla stabilità politica ed economica più incerta e ancor più attratta da due poli opposti: quello russo e quello euro-atlantico; infine, la regione baltica, la quale ha manifestato diversi segnali d’integrazione regionale intorno al proprio bacino. Altre regioni, benché preesistenti, hanno acquisito un significato nuovo e ridefinito la propria stessa identità nel contesto internazionale successivo alla guerra fredda. Anzitutto, l’Europa occidentale, superata la divisione quarantennale del secondo dopoguerra grazie al crollo del muro di Berlino, è emersa come protagonista di I Brics: un club eterogeneo ma sempre più rilevante Comparazione tra i Paesi e rispetto al totale mondiale Indicatori Brasile Russia India Sup/mondo Ab/mondo Pil/mondo Pil procapite (dollari) Spese per la difesa/Pil Scuola/Pil Sanità/Pil Cellulari/1.000 ab. Utenti internet/1.000 ab. 6,5% 2,9% 2,1% 10.816 1,7% 5,2% 4,1% 1.041 406 66 PARMA economica 12,6% 2,1% 1% 10.437 4,3% 4,1% 3,5% 1.663 430 Cina Sudafrica Totali/medie 2,3% 7,2% 0,9% 17% 19,6% 0,7% 2,2% 7,4% 0,5% 1.265 4.382 7.158 3% 2% 1,5% 3,2%2,3% 5,4% 1,4%2,3% 3,4% 614 640 1.005 75 343 123 29,5% 42,3% 13,2% 6.812 2,5% 4% 2,9% 993 275 mercati esteri Il quarto summit dei paesi BRICS: Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica un percorso di ridefinizione della propria identità regionale. Per un verso, proponendo un ambizioso progetto d’integrazione sovranazionale capace di presentarsi come un modello radicalmente nuovo di organizzare le relazioni sociali entro uno spazio continentale. Per un altro verso, rielaborando, seppur con ambiguità e incertezze, la propria identità euro-atlantica e riscrivendo i propri Il fatto nuovo è che margini di autonomia nel nuovo i conflitti emergono contesto globale. dalle regioni L’altra regione, il Medio Oriente, e si riverberano è stata protagonista di una revisul sistema globale sione dei propri confini, proprio alla luce delle nuove dinamiche regionali che la percorrono. Il passaggio al Medio Oriente allargato ha dilatato il perimetro della regione, prima includendovi l’Iran, in ragione delle relazioni competitive innescate dal programma nucleare iraniano, e poi l’Asia meridionale, con la crisi afgana a chiudere a Est il lungo arco d’instabilità mediorientale, il cui confine occidentale si spinge fino al Maghreb. Va comunque sottolineato il rapporto nuovo fra le dinamiche politiche regionali e quelle globali. Oggi le principali fonti di conflittualità emergono dalle regioni e si riverberano sul sistema globale. Nel sistema attuale sono le relazioni conflittuali a livello regionale che s’impongono alla comunità internazionale. L’effetto più evidente di questo rovesciamento fra conflittualità regionale e globale è uno dei tratti distintivi, ma anche una delle maggiori ambiguità del sistema internazionale odierno: la compresenza di una pace globale – come assenza di guerra fra le superpotenze – e una conflittualità diffusa, a bassa intensità e confinata in un quadro regionale. Tendenza alla regionalizzazione che si è ulteriormente consolidata nel periodo post 1989 con una decisa affermazione delle organizzazioni regionali: tanto in ambito politico e di sicurezza quanto in ambito economico, l’estensione regionale si è attestata come la dimensione più adatta a gestire le dinamiche della globalizzazione. Concludendo, si può affermare che i processi di regionalizzazione, al pari di quelli di globalizzazione, si stanno rivelando sempre più come una chiave di lettura imprescindibile per la comprensione dell’attuale scenario internazionale. Bibliografia B. Biancheri, Globalizzazione e regionalizzazione, Atlante Geopolitico Treccani, 2012 G. Calchi Novati, Il Sud del mondo alla prova della globalizzazione, Atlante Geopolitico Treccani, 2012 P. Magri, Bric: le prime crepe, ISPI Commentary, 19 dicembre 2012 ISPI Dossier, vari numeri, 2012-2013 East – European Crossroads, Europeye, Gruppo Unicredit, vari numeri, 2012-2013 Internazionale, vari numeri, 2012-2013 Aspenia, vari numeri, 2012-2013 The International Spectator, IAI - Istituto Affari Internazionali, annate 2012-2013 La Comunità Internazionale, SIOI – Società Italiana per l’Organizzazione internazionale, annate 2012-2013 Affari Internazionali, annate 2012-2013 A. Goldstein, I Paesi BRIC alla guida dell’economia mondiale, Bologna, Il Mulino, 2011 PARMA economica 67