Modelli atomici

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Corsi speciali per l’abilitazione all’insegnamento per le scuole secondarie
Legge 143 del 2004
CORSO DI FONDAMENTI DI FISICA MODERNA
Modelli atomici
Ivana Scafati
matr. S54000031
Classe di concorso A049
Indice
Introduzione ....................................................................................... 3
Le origini dell’atomismo ........................................................................ 4
Teoria atomica di Dalton ....................................................................... 5
Modello atomico di Thomson ................................................................. 5
Modello atomico di Rutherford ............................................................... 6
Modello atomico di Bohr ....................................................................... 8
La teoria moderna ............................................................................... 9
Bibliografia ........................................................................................11
Sitografia ...........................................................................................11
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Introduzione
Alla fine del 1800 molte proprietà dell’Universo sembravano ormai delineate
grazie ai risultati ottenuti in fisica classica: la teoria di Newton descriveva i
fenomeni gravitazionali, la termodinamica permetteva la costruzione di
macchine sempre più efficaci ed efficienti, la teoria elettromagnetica di
Maxwell spiegava tutti i fenomeni elettrici e magnetici e chiariva la vera
natura della luce. Nessuno immaginava che in pochi anni la fisica avrebbe
subìto una vera e propria rivoluzione con la teoria della relatività e con lo
sviluppo della fisica quantistica.
Fino ad allora si credeva che gli atomi fossero le parti più piccole e quindi
indivisibili della materia. Successivamente, invece, in evidente contrasto con
l’etimologia della parola, si è scoperto che gli atomi sono a loro volta
costituiti da particelle ancora più elementari, gli elettroni, a loro volta formati
dai quark. Se numerose evidenze sperimentali avevano permesso di trovare
l’esistenza delle particelle subatomiche, le loro dimensioni infinitamente
piccole
non
permettevano
di
visualizzarne
la
disposizione
all’interno
dell’atomo. Gli scienziati, pertanto, di fronte all’impossibilità di interpretare
in modo semplice dei fenomeni complessi, hanno sentito l’esigenza di ideare
dei modelli. Inizialmente un modello si basa su un numero limitato di
fenomeni, ma quando ulteriori fenomeni non trovano in esso un riscontro
valido, è necessario perfezionarlo o sostituirlo con un altro che risulti più
aderente alla realtà.
Ad una brevissima ricostruzione storica del concetto di atomismo nella
filosofia classica e delle prime teorie atomiche, segue una descrizione dei
modelli atomici di Thomson, di Rutherford e di Bohr, in cui vengono
evidenziate le caratteristiche principali e le ragioni dei loro successi e
insuccessi.
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Le origini dell’atomismo
Fin dall’antichità i filosofi e i naturalisti erano convinti della presenza della
materia anche lì dove sembrava esserci il vuoto, ma si dividevano in due
scuole di pensiero: una affermava che la materia era continua e divisibile in
parti sempre più piccole fino all’infinito mentre l’altra riteneva che la materia
fosse discontinua e costituita da particelle piccolissime e indivisibili.
Chiaramente
queste
erano
speculazioni
filosofiche
basate
solo
sull’osservazione dei fenomeni naturali e non certo su approfondite indagini
scientifiche.
Il primo filosofo atomista fu Democrito (V sec. a.C.) che, sviluppando le
teorie del suo maestro Leucippo da Mileto, affermava che la materia non era
divisibile all’infinito ma poteva essere divisa in particelle piccolissime e
invisibili solo fino alle dimensioni di un atomo e non oltre. Secondo
Democrito queste particelle erano infinite e di forma geometrica diversa, si
muovevano in tutte le direzioni spinte da una forza naturale interna ad esse,
si urtavano e rimbalzavano nel vuoto, si aggregavano in maniera sempre
diversa per formare nuove sostanze. I corpi materiali, dunque, venivano
generati dal moto degli atomi.
Questa teoria non fu accettata da Aristotele (384-322 a.C.) che, al contrario
di Democrito, riteneva che il mondo terrestre fosse corruttibile ed alterabile,
immaginandolo come un miscuglio di vari elementi che si trovavano nelle
sfere concentriche della Terra, dell’Acqua, dell’Aria e del Fuoco.
Epicuro da Samo (341-270 a.C.), invece, riprese l’atomismo e in un certo
senso lo perfezionò riuscendo anche a dare una giustificazione al moto degli
atomi. Epicuro affermava che gli atomi avevano un ‘peso’ e che nel loro
moto di caduta libera, quindi parallela, subivano una deviazione casuale
detta clinamen che provocava gli urti e dunque le aggregazioni che
originavano i corpi.
La Chiesa riteneva pericolose le teorie atomistiche e quindi materialistiche di
Democrito ed Epicuro e giudicava eretico chiunque le professasse. L’ipotesi
atomica fu bandita a tal punto che gli scienziati cominciarono a prenderla di
nuovo in considerazione solamente intorno al 1600.
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Teoria atomica di Dalton
Uno dei primi studiosi a proporre una teoria atomica basata sull’indagine
scientifica piuttosto che sulla speculazione filosofica fu John Dalton (17661844). Il chimico inglese riprese l’idea della struttura atomica della materia
riuscendo a costruire una teoria scientifica che spiegava i risultati dei
numerosi esperimenti sulle trasformazioni delle sostanze. Attraverso i suoi
studi sulle sostanze gassose e grazie alle leggi fondamentali della chimica
note a quel tempo, arrivò alla conclusione che la materia era discontinua,
era formata cioè da particelle che non potevano essere ulteriormente
divisibili né trasformabili. Dalton propose una teoria seconda la quale gli
atomi di ogni elemento erano tutti uguali, avevano massa e proprietà uguali
e nelle trasformazioni chimiche, pur conservando la propria identità, si
univano o si separavano secondo rapporti ben definiti, generando i composti.
Pubblicò, inoltre, un primo elenco di elementi chimici conosciuti e alcune
leggi sulla combinazione dei gas e degli elementi e, dopo di lui, vennero
misurate in modo indiretto alcune proprietà atomiche come il peso.
Modello atomico di Thomson
Il primo modello fisico dell’atomo si deve a Joseph John Thomson intorno al
1908. Lo studioso sosteneva che l’atomo non fosse la sferetta compatta e
solida descritta da Dalton, ma un aggregato di particelle più semplici.
Secondo Thomson, l’atomo era costituito da una sferetta omogenea di
materia caricata positivamente, di dimensioni dell’ordine di 108 cm, in cui
erano immerse particelle con carica negativa, distribuite in maniera uniforme
e senza una disposizione spaziale particolare, disseminate come “l’uvetta nel
panettone”. Le cariche positive non avevano nessun peso a differenza di
quelle negative che invece determinavano il peso di tutto l’atomo. Gli
elettroni rimanevano in uno stato di equilibrio all’interno dell’atomo, in
quanto erano soggetti ad un sistema di forze attrattive verso il centro;
quando la materia acquistava molta energia, gli atomi venivano eccitati e gli
elettroni cominciavano a vibrare, oscillando intorno alle posizioni d’equilibrio
ed emettendo una radiazione che ionizzava l’atomo, che creava, cioè, una
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disparità tra cariche positive e cariche negative. Questo comportamento
dell’elettrone riusciva in qualche modo a spiegare l’esistenza delle righe
spettrali tipiche dei vari elementi chimici. La radiazione, causata dalle
cariche in movimento, infatti, ha una certa frequenza che determina la
lunghezza d’onda e quindi produce delle particolari linee spettrali.
Thomson non riuscì a dimostrare in maniera esauriente perché i vari
elementi chimici avessero tendenze differenti a ionizzarsi ma, ipotizzando
che gli elettroni si distribuissero uniformemente su strati successivi, riuscì in
qualche modo a spiegare la periodicità delle proprietà chimiche degli
elementi legandola proprio al comportamento degli elettroni più esterni.
Modello atomico di Rutherford
Nel 1911 il fisico neozelandese Ernest Rutherford portò a termine una serie
di esperimenti per confermare la validità del modello di Thomson ma ottenne
un risultato del tutto inaspettato che lo portò a formulare una nuova ipotesi
di modello atomico.
Con l’aiuto dei suoi collaboratori Geiger e Marsden, Rutherford lanciò un
fascio di particelle alfa (atomi di elio completamente ionizzati cioè privi di
elettroni) contro una sottilissima lamina di oro intorno alla quale furono
posizionati degli schermi fluorescenti. Le particelle alfa avevano una massa
quasi 10000 volte più grande di un elettrone e una velocità uguale a circa
1/10 della velocità della luce e quindi quasi tutte attraversavano la lamina
come se questa fosse trasparente e rimbalzavano sugli schermi, producendo
un piccolo lampo di luce visibile al microscopio che permetteva di stabilirne
la traiettoria dopo il passaggio attraverso la lamina. Misurando gli angoli di
deflessione delle particelle alfa, cioè, era possibile ricavare informazioni sulla
struttura degli atomi d’oro. Se il modello di Thomson fosse stato valido e
quindi l’atomo avesse avuto veramente una struttura omogenea, le particelle
alfa si sarebbero comportate tutte nello stesso modo dal momento che ogni
punto della lamina aveva le stesse caratteristiche e sarebbero state deviate
solo leggermente dalla forza elettrica esistente tra le cariche dell’atomo,
distribuite su un volume grande, e la carica positiva della particella alfa che
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gli si avvicinava o lo attraversava. Rutherford, invece, notò che le particelle
si comportavano in maniera diversa: la maggior parte di esse passavano
senza subire nessuna deviazione, ma altre venivano deviate secondo vari
angoli e alcune venivano addirittura respinte, riflesse dalla lamina. Questo
comportamento spinse Rutherford a pensare ad un atomo sostanzialmente
vuoto in cui quasi tutta la massa era concentrata nel centro e con una forma
simile al sistema planetario nel quale gli elettroni ruotavano su orbite
circolari intorno al nucleo, come fanno i pianeti intorno al Sole. Gli elettroni
si mantenevano sulle loro orbite grazie alla forza elettrica, proprio come i
pianeti rimanevano nelle loro grazie alla gravità.
Modello atomico planetario
l’atomo è costituito da un nucleo positivo estremamente piccolo (con raggio
dell’ordine di 10 14 m) posto al centro di una sfera molto più grande (con
raggio dell’ordine di 10 10 m) dove la carica degli elettroni è più o meno
uniformemente distribuita.
Nell’esperimento, quindi, le particelle alfa che si avvicinavano al nucleo
tornavano indietro perché subivano la sua forza repulsiva mentre tutte le
altre venivano leggermente deflesse perché passavano lontano dal nucleo
dove la forza repulsiva era minore ed era anche attenuata da quella
attrattiva degli elettroni.
Secondo la teoria di Rutherford l’elettrone non poteva mai uscire dall’atomo
in quanto possedeva energia orbitale negativa (l’energia cinetica risultava
minore di quella potenziale) e nello stesso tempo poteva percorrere qualsiasi
orbita attorno al nucleo dal momento che i valori assunti dall’energia
dipendevano solo dalla sua distanza dal nucleo.
Se il modello di Thomson era fallito perché non riusciva a spiegare la
deflessione
delle
fortemente
in
particelle
crisi
dalle
alfa,
quello
di
Rutherford
leggi
dell’elettromagnetismo.
veniva
messo
Soggetto
ad
un’accelerazione centripeta dovuta alla forza attrattiva esercitata dal nucleo
positivo e muovendosi su una qualunque orbita, l’elettrone avrebbe dovuto
emettere onde elettromagnetiche, come fanno tutte le particelle cariche in
moto accelerato. Negli elettroni in orbita attorno al loro nucleo, invece, non
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si osserva nulla di ciò e, inoltre, se questo avvenisse, l'elettrone dovrebbe
perdere rapidamente energia, diminuire la sua energia cinetica e quindi la
sua velocità ed alla fine cadere sul nucleo. L’elettrone, inoltre, può trovarsi
su un’orbita qualsiasi e quindi può emettere tutte le frequenze mentre
sperimentalmente si osserva che ogni elemento chimico è caratterizzato solo
da
alcune
righe
spettrali.
Il
modello
di
Rutherford,
in
conclusione,
contraddiceva l’evidenza sperimentale della stabilità degli atomi e delle righe
spettrali e non forniva una ‘lunghezza caratteristica’ per gli atomi.
Modello atomico di Bohr
Nel 1913 il fisico danese Niels Bohr propose una modifica concettuale al
modello di Rutherford basandosi sul concetto di quantizzazione introdotto
pochi anni prima da Planck, riuscendo così a spiegare alcune proprietà
dell’atomo di idrogeno. Secondo Bohr non era corretto estendere le leggi
classiche, valide per il mondo macroscopico, al mondo sub-atomico, di
dimensioni eccezionalmente più piccole. In particolare, Bohr pensò che la
causa del disaccordo tra teoria e realtà consistesse nell'aver attribuito agli
elettroni una libertà infinita nel loro moto orbitale, così che essi potessero
percorrere qualsiasi orbita intorno al nucleo. Egli stabilì nuove leggi e
propose
un
nuovo
modello
atomico
che
si
basava
su
tre
ipotesi
fondamentali:
- Nell’atomo gli elettroni ruotano intorno al nucleo su orbite circolari come
nel modello planetario di Rutherford ma queste orbite hanno un raggio
determinato che può variare all’interno di un insieme di valori
‘permessi’.
- Il momento angolare degli elettroni è quantizzato, può assumere cioè
solo alcuni valori ben definiti ma non quelli intermedi.
- Quando l’elettrone percorre un’orbita, a cui corrisponde una certa
energia
totale,
non
irraggia.
Ciò
vuol
dire
che
l’emissione
o
l’assorbimento di energia sotto forma di onde elettromagnetiche
avviene solo se l’elettrone ‘salta’ da un’orbita all’altra.
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Non solo le cariche elettriche, dunque, ma anche le orbite degli elettroni in
un atomo sono quantizzate: il raggio dell’orbita, la velocità dell’elettrone e la
sua energia totale possono assumere solo un insieme di valori ben definiti.
Secondo le leggi della fisica classica l’elettrone è soggetto alla forza di
attrazione del nucleo che provoca il suo moto di rotazione e quindi
costituisce la sua forza centripeta. Su ogni orbita l’elettrone possiede una
certa quantità di energia sia cinetica (dovuta al moto) sia potenziale (per
l’attrazione elettrostatica tra elettrone e nucleo). Per passare da un’orbita
all’altra l’elettrone cede o assorbe energia, sotto forma di radiazioni
elettromagnetiche, in quantità corrispondente alla differenza di energia tra le
due orbite. Se un elettrone cade su un livello di energia inferiore viene
emesso un fotone; per il principio di conservazione dell’energia, l’energia del
fotone è uguale a quella persa dall’elettrone cioè alla differenza di energia
tra i due livelli. Sapendo che l’energia del fotone è data dalla sua frequenza
moltiplicata per la costane di Planck h , la relazione matematica che lega i
valori dell’energia sull’orbita di partenza E1 e su quella di arrivo E2 e la
frequenza delle radiazioni emesse o assorbite v è E1  E2  hv .
L’ipotesi di Bohr spiegava, quindi, perché gli spettri di emissione degli atomi
erano discontinui a righe: ogni riga corrispondeva a un ben determinato
valore di energia che, a sua volta, corrispondeva alla differenza di energia
tra due orbite.
La teoria moderna
Con il modello atomico di Bohr si riusciva a spiegare molto bene l’atomo di
idrogeno ma non quelli più complessi. Sebbene avesse introdotto l’ipotesi di
quantizzazione, Bohr aveva continuato a considerare l’elettrone come una
particella classica che si muoveva su orbite ben definite, il cui raggio poteva
essere calcolato considerando le forze in gioco. Con lo sviluppo della
meccanica quantistica, invece, si è arrivati ad un modello atomico in cui al
centro vi è un nucleo composto da protoni (cariche positive) e da neutroni
attorno al quale ruotano gli elettroni (cariche negative) e il concetto di orbita
è stato sostituito da quello di orbitale. Il termine orbitale non indica una
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traiettoria bensì una certa regione dello spazio attorno al nucleo nella quale
esso si può trovare con una certa probabilità. Essi hanno varie forme e sono
più o meno lontani dal nucleo in relazione a particolari parametri detti
numeri quantici. Nel corso degli ultimi anni, infine, si è scoperto che le
particelle che formano gli atomi sono a loro volta costituite da componenti
ancora più semplici chiamate quark. Solo le ricerche future ci potranno dire
se queste rappresentano effettivamente l’ultimo livello della materia.
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Bibliografia
Amaldi, U., Fisica: idee ed esperimenti, dal pendolo ai quark, Zanichelli
Violino, P., Robutti, O., La fisica e i suoi modelli, Zanichelli
Sitografia
www.calion.com/cultu/atomo/modelli.htm
www.arrigoamadori.com/lezioni/Sintesi/TeoriaAtomica.htm
www.fisicachimica.it/atomo.htm
www.itchiavari.org/chimica/materiali/atomo.html
it.encarta.msn.com/encyclopedia_761567432_2/Atomo.html
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