Luigi Capuozzo Gruppo di Storia della Fisica dell’Università di Napoli, [email protected] STORIA DEI CONCETTI DI EFFICIENZA ENERGETICA E DI RENDIMENTO DEL SECONDO ORDINE. Sunto: Il lavoro analizza lo sviluppo storico dei concetti di efficienza energetica e di rendimento del secondo ordine indicando i motivi per cui quest’ultimo è stato per lungo tempo ignorato da fisici ed ingegneri. L’efficienza energetica, che è il modo consueto con cui si definisce il rendimento termodinamico, è il rapporto tra il lavoro ottenuto da una specifica macchina ed il calore disponibile; cioè il rapporto tra l’energia che esce dalla macchina e l’energia che è entrata; essa deriva quindi da un bilancio di energia e dunque dal primo principio della termodinamica. Il rendimento del secondo ordine, invece, è un confronto tra l’efficienza di una specifica macchina e quella di una macchina ideale che opera nelle stesse condizioni; questo rendimento è definito dal rapporto tra la minima energia che può eseguire un certo compito e l’effettiva energia utilizzata. Il rendimento del secondo ordine tiene conto quindi dello spreco in termini di entropia della macchina e cioè del secondo principio della termodinamica. Di esso si traccia la storia, dalle origini ai giorni nostri. Il rendimento del secondo ordine è nato in maniera implicita già nelle considerazioni strategiche e meccaniche di L. Carnot e poi in quelle svolte da S. Carnot sull’efficienza della macchine termiche; fu introdotto infine in modo formale dal fisico francese Gouy (1889) ed utilizzato dall’ingegnere Stodola (1898); esso però è stato utilizzato con continuità solo a partire dagli anni settanta del XX secolo. 1) L’efficienza energetica In tutti i libri di termodinamica si insegna il concetto di rendimento di una macchina come il rapporto tra il lavoro compiuto ed il calore utilizzato: η= L Q (1) La relazione (1) fa riferimento al primo principio della termodinamica e rappresenta un confronto tra l’energia che si ottiene in uscita dalla macchina con quella in ingresso: Calore Q macchina Lavoro L Il rendimento η rappresenta quindi un calcolo eseguito su una macchina data; esso ne fa una valutazione a “scatola nera”, cioè non si interessa con quali meccanismi interni funzioni questa scatola; invece guarda solamente quanto entra e quanto esce. Per di più vede quanto entra sotto forma di solo calore e quanto esce sotto forma di solo lavoro, mentre in ingresso 1 ed uscita ci potrebbe essere anche l’altra forma di energia. Perciò il rendimento η può essere anche uguale o maggiore di 1, come è nel caso dei frigoriferi per i quali il lavoro di un compressore è utilizzato per sottrarre calore ad una cella frigorifera a temperatura più bassa: η= Qs L (2) in cui Qs è il calore sottratto dalla cella frigorifera (poi ceduto all’ambiente che si trova a temperatura più elevata) ed L è il lavoro elettrico e poi meccanico del compressore. Qui in ingresso c’è lavoro e calore assieme, ma η non considera ciò. Analoga difficoltà si riscontra quando si producono contemporaneamente lavoro e calore (ad esempio negli impianti di cogenerazione); allora risulta difficile definire il rendimento in base alla relazione (1) perché in uscita non c’è solo lavoro. Per questo motivo il rendimento η dovrebbe essere più propriamente indicato come coefficiente di prestazione. In altri termini, il rendimento η è frutto del pregiudizio erroneo che il calore e il lavoro siano forme di energia perfettamente intercambiabili, contrariamente al secondo principio; infatti se in ingresso Q potesse rappresentare anche lavoro ed L in uscita potesse rappresentare anche calore, allora η sarebbe un vero rendimento. Il pregiudizio è quello di ragionare secondo il concetto di energia, che non permette di distinguere la degradazione dell’energia stessa: tutto allora è diventato quantitativo, senza più considerazioni qualitative sul tipo di energia, modalità di trasformazione e ambiente. A causa di ciò la pretesa globalità del concetto di energia si rivela inadeguata a rappresentare il fenomeno considerato. L’idea che η sia un buon strumento di studio ha la radice nell’iniziare la termodinamica col primo principio; senza però tenere conto che l’attuale primo principio (non enunciato da S. Carnot) schiaccia in uguaglianza completa quella relazione tra Q e L che invece ha un limite intrinseco (tanto è vero che sappiamo che non tutto Q si trasforma in L e che le variazioni di entropia ∆S si esprimono con disuguaglianze, non con uguaglianze). Occorrerebbe invece trovare la maniera di rappresentare la trasformazione nel suo complesso; cioè sia la intera macchina che la realizza, sia il suo rapporto con l’ambiente esterno. 2 2) Il rendimento di secondo ordine. Il rendimento del secondo ordine valuta invece l’efficienza di una macchina in relazione alla macchina ora globalmente intesa; e in più secondo considerazioni qualitative che riguardano sia la modalità di funzionamento della macchina sia il suo rapporto con l’ambiente. Perciò questo nuovo rendimento si riferisce alla macchina ideale, cioè alla macchina che utilizza l’energia fornita con la massima efficienza possibile sia all’interno che con l’esterno. In altri termini, il rendimento del secondo ordine tiene conto del secondo principio della termodinamica; allora non interessa più quanto lavoro la macchina produce in relazione al calore ad essa fornito, ma piuttosto interessa come quella macchina compie la trasformazione suddetta; e cioè: se sfrutti al meglio l’energia che le è fornita, se si avvicina alla macchina ideale, se fa attenzione alla qualità dell’energia, se aumenta l’entropia. Il rendimento del secondo ordine è perciò dato da: ε= E min E (3) cioè dal rapporto tra la minima energia disponibile che potrebbe eseguire un certo compito e l’energia disponibile effettivamente utilizzata per eseguirlo. A priori, stabilire questo minimo su due globalità (macchina e ambiente) sembra un compito impossibile; ma la potenza intellettuale della trattazione di Carnot è proprio quella di aver ridotto il tutto alle temperature dei termostati che schematizzano l’ambiente. 3) La relazione tra i due rendimenti. In alcuni casi possiamo esprimere il rendimento del secondo ordine ε in termini di coefficiente di prestazione η della macchina. Consideriamo come esempio il riscaldamento di un ambiente effettuato mediante una macchina termica. Indichiamo con: 3 T0 la temperatura iniziale a cui si trova l’ambiente T2 la temperatura che si vuole realizzare nell’ambiente T1 la temperatura del fluido intermedio utilizzato per riscaldare l’ambiente ( T1 > T2 ). La minima energia termica utilizzabile è allora data da: E min = Q2 ⋅ (1 − T0 ) T2 (4) in cui Q2 è il calore che deve essere fornito all’ambiente quando si utilizza un fluido a temperatura uguale a quella che si vuole realizzare nell’ambiente (lo scambio di calore avviene così con il gradiente di temperatura minimo, in coerenza con il criterio generale di massimo rendimento dato da Carnot, che afferma doversi rendere nulli tutti i salti termici che non siano utilizzati per ottenere la finalità operativa della macchina). L’energia termica effettivamente utilizzata è data da: E = Q1 ⋅ (1 − T0 ) T1 (5) in cui Q1 è il calore che occorre per riscaldare l’ambiente utilizzando un fluido a temperatura T1 , superiore a quella che si vuole realizzare nell’ambiente, T2 . Dalla relazioni (3), (4) e (5) si ottiene allora: T0 T1 ε =η T 1− 0 T2 1− in cui η = (6) Q2 è il rendimento di primo ordine della macchina termica. Q1 Il risultato ottenuto è valido per questo tipo di macchina termica e anche per altri, ma non per tutti; proprio perché η è un semplice coefficiente di prestazione e per completarlo ad una valutazione veramente globale della trasformazione realizzata bisogna integrarlo, opportunamente a seconda dei casi, con considerazioni sulle modalità di interazione della macchina con l’ambiente. 4 La seguente tabella1 pone a confronto il coefficiente di prestazione con il rendimento del secondo ordine per alcune apparecchiature e macchine termiche secondo le temperature usuali tra le quali ognuna di esse opera. IMPIANTO RENDIMENTO RENDIMENTO I ORDINE II ORDINE Scaldabagno elettrico 0,90 0,05 Scaldabagno a gas 0,60 0,10 Caldaia a combustibile liquido 0,60 0,05 Radiatore elettrico 0,90 0,02 2 0,03 Frigorifero 0,90 0,03 Vapore di processo 0,85 0,30 0,30 - 0,40 0,30 - 0,40 Condizionatore d’aria Produzione energia meccanica L’esame dei rendimenti del secondo ordine corregge o contraddice il valore del rendimento del primo ordine riportato nella colonna precedente. Sebbene un’alta frazione dell’energia immessa nello scaldabagno o nel radiatore elettrico sia trasformata in calore (molto più che in uno scaldabagno od in una stufa a gas), in essi la trasformazione di energia avviene con una più alta degradazione dell’energia, cioè con un maggiore spreco di entropia e quindi con un pessimo rapporto con l’ambiente. Per valutare correttamente l’efficienza dei processi termodinamici utilizzati si deve tener conto, quindi, più che del rendimento del primo ordine, di quello del secondo ordine. 4) Il passaggio dal concetto di efficienza energetica a quello del rendimento del secondo ordine in Lazare Carnot. Ma il concetto di macchina e tutto ciò che è globale è assente nella meccanica newtoniana e con essa sono assenti i concetti successivi, di L. e S. Carnot, di: ciclo, processo, 5 rendimento…. Si pone il problema di quale sia l’origine teorica di quest’ultimo concetto. L’approccio globale è derivato da Lazare Carnot (1753 – 1823). La sua rifondazione della meccanica dà una teoria di tutte le macchine meccaniche, come già indica il titolo del suo primo libro sull’argomento2. Qui Lazare Carnot introduce, sia pure a parole, implicitamente, il rendimento del secondo ordine3, quando affronta il problema delle macchine in generale ed in particolare quando si interroga sul modo migliore di utilizzare le forze disponibili per ottenere da una macchina il massimo effetto. Per L. Carnot è "macchina" tutto ciò che comunica movimento; ma ci troviamo davanti alla realtà di fatto che una macchina non comunica in uscita tutto il movimento in ingresso; per cui si deve tenere conto che, anche quantitativamente, c’è “movimento perduto”, una grandezza che lui considera in tutte le sue due equazioni fondamentali del moto4. Occorre trovare il massimo della comunicazione e quindi capire come va perso il movimento e dove va perso. Perciò qui si entra in considerazioni qualitative. Lazare Carnot indica con Q il momento di attività (cioè il lavoro delle forze sollecitanti la macchina in movimento in un tempo t ) e con q quello delle forze resistenti, nello stesso tempo; egli indica q come l’effetto prodotto dal momento di attività Q . L. Carnot dimostra che vale l’uguaglianza: Q=q (7) Dunque egli conclude che una macchina realizza il più grande effetto utile possibile q se: a) la quantità Q è la più grande possibile (p. 78 del testo citato3) b) tutto il momento Q è impiegato per produrre l’effetto progettato (p. 78). Perché si realizzi la condizione a), cioè Q sia massimo, si deve considerare che esso dipende da quattro fattori (p. 79): 1. dall’intensità delle forze agenti 2. dalla loro velocità 3. dalla loro direzione 4. dal tempo di azione 6 Per quanto riguarda il terzo punto, il massimo di Q si realizza quando le forze e le corrispondenti velocità delle parti della macchina in movimento hanno le stesse direzioni e gli stessi versi. Per il primo, il secondo ed il quarto punto, Lazare Carnot introduce invece criteri aventi una natura essenzialmente qualitativa. Afferma infatti Carnot che l’intensità delle forze, le loro velocità ed i tempi di azione “ non si devono affatto determinarli in maniera assoluta, ma solo metterli nei rapporti che l’esperienza avrà fatto conoscere come i più vantaggiosi” (pagina 79, paragrafo LVIII del testo citato3) e questo perché i tre fattori indicati non sono indipendenti tra di loro ed il massimo di Q non è dato affatto dal massimo di ciascun fattore; dice ancora Carnot: “nelle macchine in movimento si perde sempre in tempo o in velocità ciò che si guadagna in forza” (p. 77). Anche la condizione b) è qualitativa; se si vuole ottenere che tutto il momento di attività Q sia impiegato per produrre l’effetto desiderato, si deve evitare “ogni urto o qualsiasi cambiamento brusco” nel movimento della macchina; cioè essa deve modificare il suo movimento solo “per gradi insensibili” (p. 80). Ma questa condizione è solo ideale. Lazare Carnot porta l’esempio di un mulino ad acqua: se si vuole ottenere il massimo valore di Q , occorre che la corrente d’acqua urti nel modo più violento le pale della ruota; in questo modo però una parte di Q non sarà utilizzata per l’effetto progettato (cioè la rotazione delle pale), ma perduta a causa dell'urto violento; risulterà cioè Q > q . Viceversa se si opera in modo che gli urti o le percussioni siano ridotti al minimo, realizzando così variazioni, del movimento della macchina e dell’acqua, che avvengono per gradi insensibili, si otterrà allora Q ≅ q (l’uguaglianza perfetta non è infatti possibile, perché richiede che la velocità dell’acqua, dopo che essa è urtata sulle pale, si riduca a zero); ma Q sarà inferiore al massimo valore che si poteva pensare fornisse la spinta dell’acqua con la sua maggiore velocità. 5) Il rendimento del 2° ordine nella strategia di L. Carnot 7 In effetti Lazare Carnot applica la sua visione globale del rendimento del secondo ordine anche alla strategia di guerra. Egli elabora la sua teoria strategica, di tipo solo difensivo, come una teoria scientifica; segue il metodo che ha già adottato in meccanica, in geometria ed in analisi, quello di organizzare una teoria su un problema; il metodo di risoluzione è fondato su una logica non classica, nella quale la doppia negazione di una proposizione non equivale alla proposizione: ~ ~ A ≠ A essendo la disuguaglianza dovuta al carattere idealistico, non operativo, della proposizione A5. Qual è il problema da cui parte Carnot per elaborare la sua teoria strategica? In passato le piazzeforti sembravano imprendibili. Ma all’inizio del 1700 Vauban (in onore del quale Carnot scrisse il discorso: «Éloge de M. Le Maréchal de Vauban», 1784) elaborò una strategia che puntava tutto non sullo scontro, ma sulla modalità dell’attacco. Vauban adottò una strategia passo – passo; per cui le truppe assalitrici avanzano poco a poco, scavando trincee e gallerie fino a portarsi a ridosso della piazzaforte e poi sferrare l’attacco finale alla guarnigione, sfiancata dall’inutile difesa. Con questa strategia si dimostrò che qualsiasi piazzaforte, per quanto difesa, era destinata a cadere. Per opporsi a questa strategia di Vauban, Lazare Carnot affronta il problema in modo globale. L. Carnot infatti considera il problema della difesa valutando le risorse disponibili non solo in termini quantitativi, ma qualitativi, quindi ragionando non in termini di rapporto η , di rapporti di forza, ma piuttosto con un criterio del secondo ordine. L. Carnot infatti elabora la sua strategia con l’intento di diminuire al massimo il numero di soldati morti (aspirazione che non avrebbe potuto perseguire in una prospettiva di rendimento del primo ordine). In più porta in conto tra le risorse disponibili la valorosità dei soldati e l’industriosità di militari e civili, che certamente non possono considerarsi elementi di un bilancio materiale. Soprattutto la strategia proposta da Carnot usa sortite di manipoli di soldati, mirate a distruggere le opere di avanzamento del nemico; in effetti è la strategia passo – passo di Vauban, ma ora applicata alla difesa. In questo modo, con poche perdite, la piazzaforte, può essere difesa; e, se ben dotata di mezzi ed uomini, illimitatamente. In effetti Carnot giunge perfino a definire, sia pure solo concettualmente, il rendimento del secondo ordine, quando introduce il grado di utilizzazione per il confronto tra la strategia di 8 difesa attuata con un esercito mobile e quella ideale rappresentata da piazzeforti (in grado di assicurare una difesa con il minimo impiego di risorse)6: “Non c’è persona che non convenga che impiegando centomila uomini per la loro difesa e altri centomila per difenderne i paraggi, noi dobbiamo essere al riparo da ogni timore, e molto più sicuri che avendo trecentomila uomini, perché i trecentomila uomini possono essere sconfitti più volte di seguito...”7. 6) Il rendimento del secondo ordine in Sadi Carnot La pubblicazione dell’opera di Sadi Carnot (1796 – 1836)8, avvenuta a Parigi nel 1824, è l’evento che segna la nascita della termodinamica. Il lavoro di Carnot è scritto con uno stile informale, poco usuale nelle opere scientifiche precedenti; infatti non espone il risultato di ricerche originate in ambito accademico ed interne al discorso scientifico dominante basato sull’analisi infinitesimale e sul meccanicismo di f = ma ; non è neppure un testo destinato a studiosi e studenti ma ad artigiani ed ingegneri. L’opera vuole infatti inserirsi nella società complessiva, che in quegli anni subiva grandi rivolgimenti politici (fine della rivoluzione francese e restaurazione) e tecnologici (indicati con il nome di prima rivoluzione industriale) e militari (popolo chiamato alla difesa della democrazia). Il cannone e la macchina a vapore erano le conquiste tecniche principali di questa rivoluzione. Il problema su cui si sviluppa il lavoro di Carnot era l’esigenza di inquadrare tali macchine in una teoria organica che consentisse di dare risposte teoriche precise alle richieste di miglioramento delle prestazioni e di affidabilità che provenivano da militari, imprenditori e tecnici; problema che da lui viene trattato prima di tutto sulla tecnologia civile, quella non distruttiva dell’ambiente, e poi “in generale”, cioè universalmente per tutte le macchine termiche confrontando le macchine tra loro. Carnot dunque svolge la sua analisi scientifica partendo dalla concretezza, fisica e sociale, delle trasformazioni compiute dalle macchine termiche allora esistenti; e si pone il problema di come migliorare la loro efficienza e di quali fossero i limiti teorici per il loro miglioramento. Quindi lo stesso approccio di tipo ingegneristico, ma universalista e globale del padre, conduce S. Carnot ad introdurre nel 1824, implicitamente, il rendimento del secondo ordine 9 quando per la prima volta introduce il concetto di reversibilità delle macchine termiche (ripreso in effetti dal concetto di invertibilità e di spostamenti per gradi insensibili del padre Lazare). Anche S. Carnot, d’altra parte, utilizza una logica non classica come indicano le numerose frasi doppiamente negate ed i ragionamenti per assurdo presenti nelle Réflexions 9. Sadi Carnot si pone il problema del massimo rendimento di una macchina termica. domandandosi (p. 14 della sua opera8): “la potenza motrice è immutabile in quantità, o varia con l’agente impiegato per realizzarla, cioè con la sostanza intermedia, scelta come mezzo dell’azione del calore?”. S. Carnot (ragionando con un ciclo in tre tempi) schematizza l’ambiente esterno con due termostati, uno caldo e uno freddo, e giunge alla conclusione che il massimo lavoro ottenibile è indipendente dal fluido. S. Carnot scrive ancora che, piuttosto, la miglior modalità di funzionamento dipende dalla reversibilità: “la condizione necessaria per il massimo è allora, che nei corpi impiegati per realizzare la potenza motrice del calore non avvenga alcun cambiamento di temperatura che non sia dovuto ad una variazione di volume” (p. 23). L’efficienza di una macchina termica reale, dunque, deve essere valutata confrontandola con la macchina ideale (reversibile), che opera tra le stesse temperature, nella quale l’energia è completamente utilizzata per produrre l’effetto progettato: così come aveva già indicato L. Carnot per le macchine in movimento e per le piazzeforti. 7) La definizione matematica di Gouy e di Stodola. Poi il rendimento del secondo ordine è stato definito matematicamente dal fisico francese Gouy (1854 – 1926)10, circa 50 anni dopo S. Carnot. Non ci si meravigli di questo ritardo; in effetti la storia della termodinamica ne presenta parecchi. Ad esempio l’importanza del secondo principio della termodinamica è affermata da Planck solo nel 1890; i processi irreversibili sono studiati in modo sistematico da Onsager e da Prigogine nel 1930; il riconoscimento della termodinamica come scienza delle simmetrie avviene nel 197411 ed infine solo nel 1975 si ha l’utilizzo del rendimento del 2° ordine nella progettazione di macchine e processi. 10 La lentezza di questo sviluppo non è priva di significato. Infatti lo sviluppo del secondo principio della termodinamica (ed in particolare l’introduzione del rendimento del secondo ordine) costituisce l’affermarsi di una modalità di intendere la scienza che, come abbiamo visto, è nata con Lazare e portata a compimento da Sadi Carnot secondo un ideale di scienza alternativa a quella newtoniana; globale, attenta alla relazione tra sistema-ambiente, fondata su una logica intuizionista12. Nell’articolo suddetto Gouy fa riferimento ad altri due suoi lavori13, nei quali egli affronta il problema di determinare in modo generale l’efficienza dei processi termodinamici; perciò introduce una “nouvelle fonction”, come egli stesso la chiama, cioè l’energia utilizzabile. Per giungere alla definizione dell’energia utilizzabile, Gouy distingue innanzitutto le forze esterne agenti sul sistema in forze che ammettono un potenziale (come la forza peso, le forze generate dalla pressione atmosferica……) e in forze che non necessariamente lo ammettono; Gouy indica queste forze come dovute ad un operatore esterno. Anche Gouy utilizza doppie negazioni e quindi una logica non classica; ad esempio nell’articolo pubblicato nei Comptes rendus del 18 febbraio 188914 si trovano le seguenti frasi decisive per definire i risultati, tutte con doppie negazioni: “les conditions instables s’opposent à l’action de l’opérateur, pour de petites transformations” (p. 342) ; “cette inégalité montre immédiatement que les effets instables produits par ces actions s’y opposent, et que leurs effets stables les favorisent” (p. 342) ; “leurs effets instables diminuent la capacité électrique et que leur effets stables l’augmentent…” (p. 342); “la capacité calorifique du système est plus petite dans des conditions instables que dans des conditions stables” (p. 343). Gouy prosegue quindi nella direzione indicata da Lazare e soprattutto da Sadi Carnot.9 Gouy dimostra, applicando il principio di Carnot, che il lavoro totale dell’operatore (nel quale Gouy comprende anche il lavoro termico che l’operatore compie per trasferire, mediante cicli di Carnot, calore sul sistema) non dipende, nelle trasformazioni reversibili, dal particolare processo considerato. Gouy associa dunque a questo lavoro totale una funzione di stato: l’energia utilizzabile, la cui variazione, in una trasformazione reversibile del sistema tra due stati A e B del sistema, cambiata di segno, rappresenta il lavoro massimo ottenibile per quella trasformazione. In una trasformazione reale tra gli stessi stati del sistema, il lavoro 11 ottenibile è certamente inferiore; per ottenere lo stesso lavoro della trasformazione reversibile, di solito si usa una quantità di energia in maniera anche irreversibile E che è superiore; da cui la formula (3) per il rendimento ε del secondo ordine. Quindi al lavoro massimo corrisponde l’energia minima E min della formula (3). Il rendimento del secondo ordine fu utilizzato dallo scienziato ed ingegnere cecoslovacco Aurel Boleslaw Stodola (1859 – 1942). Stodola15 studiò a Praga e qui svolse anche un periodo di praticantato in ambito industriale; soggiornò poi a Berlino, a Parigi ed a Zurigo dove divenne professore nel Politecnico Federale, dedicandosi allo studio dei problemi di regolazione di turbine a vapore ed a gas ad alta pressione16. Stodola, a Zurigo, fu stimato collega di Einstein con il quale tenne una prolungata corrispondenza; da essa egli trasse un libro che apparve poi con il titolo “L’immagine del mondo di un ingegnere”17. 8) La storia recente del rendimento del secondo ordine. Si afferma così una diversa modalità di progettazione che, oltre a massimizzare il rendimento del primo ordine dei processi termodinamici realizzati, cura che gli sprechi entropici di tali processi siano i più bassi possibili; cioè, che i rendimenti del 2° ordine siano i più alti possibili. Nella pratica progettuale viene introdotta la funzione energia, Ex , che rappresenta la parte di energia disponibile nel sistema che può essere trasformata in lavoro ( Wrev ) mediante processi reversibili, cioè l’energia utilizzabile di Gouy. La reversibilità dei processi termodinamici è però ideale; nei processi reali il lavoro W prodotto è certamente inferiore. La differenza tra i due lavori è il lavoro perduto W perduto a causa dell’irreversibilità del processo; esso rappresenta l’exergia perduta Ex perduta ovvero l’anergia A prodotta nella trasformazione, cioè la quota di energia che non può essere convertita in lavoro a causa della degradazione dell’energia, cioè della produzione di entropia della trasformazione reale. La seguente equazione, nota come equazione di Gouy – Stodola, consente di calcolare l’exergia perduta in un processo termodinamico; cioè il lavoro perduto (e quindi il 12 rendimento del secondo ordine), in relazione al grado di irreversibilità del processo, ovvero dello spreco di entropia che esso determina: Ex perduta = To S generata = T0 ( S eqtot − S tot ) (8) in cui T0 è la temperatura dell’ambiente, S eq è l’entropia finale del sistema totale (nell’ipotesi che il processo termodinamico sistema - ambiente sia reversibile cioè che durante la trasformazione il sistema sia in equilibrio con l’ambiente), S è l’entropia finale del sistema totale (nell’ipotesi che il processo termodinamico sia irreversibile). La diffusione del rendimento del secondo ordine è avvenuta con ritardo e molto lentamente ed il suo uso si afferma pienamente solo negli ultimi decenni del XX secolo, a 150 anni dal lavoro di S. Carnot, quando diviene pratica comune per la valutazione dell’efficienza del secondo ordine nella progettazione di processi e macchine. In questi anni, infatti, matura la consapevolezza che l’energia non è un bene pressoché gratuito e disponibile in modo illimitato; l’allarme provocato dalla drastica riduzione dei rifornimenti di petrolio, il timore che questa fonte energetica sia destinata ad esaurirsi nel giro di pochi decenni, lo spettro di una grave crisi energetica mondiale, inducono molti enti e ricercatori a studiare seriamente il problema con conseguenze sorprendenti. Negli anni settanta, Amory Lovins18, fisico, educato a Harvard e Oxford, sostiene, applicando il criterio di efficienza del secondo ordine, l’idea che l’energia nucleare è antieconomica, in quanto essa produce energia ad alta temperatura e la utilizza a temperatura bassa; per questo Lovins sostiene la necessità che le utenze domestiche e quelle industriali di processo debbano produrre in proprio (con pannelli solari, biogas, legna) l’energia elettrica di cui hanno bisogno. Sempre negli anni settanta fu istituito un gruppo di lavoro apposito della Società Americana di Fisica la cui attività, con quella di Lovins, conduce alla riscoperta del rendimento del secondo ordine. Questa “novità” è comunicata a tutti i fisici con un lungo articolo sulla rivista ufficiale della Società, con tutta una serie di esempi di consumo, del relativo rendimento del secondo ordine e della maniera scientificamente intelligente di progettare i consumi energetici19. 13 Possiamo ora chiederci quali siano i motivi che hanno determinato il notevole ritardo con cui si è storicamente affermato l’uso del rendimento del secondo ordine, concettualmente disponibile già nel 1824 con la formulazione della termodinamica da parte di Sadi Carnot. Il coefficiente di prestazione η esprime la misurazione di quanto era di interesse per chi utilizzava le macchine termiche del 1700: quanto combustibile impiegare per ottenere un dato lavoro finale (estrarre l’acqua dal fondo delle miniere, muovere carri e battelli ecc.); esso andava bene all’inizio dello sviluppo delle macchine termiche quando i rendimenti delle macchine erano dell’ordine di qualche per cento e un incremento del lavoro ottenuto dalla macchina, a parità di consumo del combustibile, poteva essere ottenuto con il miglioramento delle singole fasi di funzionamento delle macchine. La successiva propensione degli scienziati a favore del primo principio della termodinamica, e quindi del rendimento del primo ordine, anche quando la diffusione delle macchine termiche provocava ormai notevoli impatti ambientali, economici e sociali, può essere spiegata, forse, con la tendenza di raccordare la termodinamica alle teorie precedenti, cosa resa certamente complicata dal 2° principio che è espresso mediante una disequazione sull’entropia e che introduce le trasformazioni irreversibili. Ringraziamento Ringrazio A. Drago per avermi suggerito l’idea e per i miglioramenti apportati al mio scritto. 1 A. Baracca: « Carnot e gli sprechi energetici »; SE Scienza Esperienza, Luglio–Agosto 1983. 2 L. Carnot: Saggio sulle macchine in generale (a cura di A. Drago e S. D. Manno); Collana Tessere, Cuen, Napoli, 1994 3 L. Carnot: Saggio sulle macchine in generale (a cura di A. Drago e S. D. Manno); Collana Tessere, Cuen Napoli, 1994, paragrafi LII – LXI 4 L. Carnot: Saggio sulle macchine in generale (a cura di A. Drago e S. D. Manno); Collana Tessere, Cuen Napoli, 1994, paragrafo XXV, pag. 40 5 E. Angelillo – A. Drago « Un nuovo metodo di interpretazione delle strategie. La strategia difensiva in L. Carnot » in La difesa e la costruzione della pace con mezzi civili; a cura di A. Drago, Edizioni Qualevita, 1997, pagg. 207–214 14 6 A. Drago: « Mécanique et défense dans la pensée de Lazare Carnot » in J.-P. Charnay (ed.): Lazare Carnot, ou le savant - citoyen; P. Univ. Sorbonne, Paris, 1991, pagg. 557–576 7 L. Carnot : « De la défense des places fortes » in J.-P. Charnay: Lazare Carnot. Révolution et Mathématique; La Herne, Paris, 1985, Volume I, pag. 416, nota 8 S. Carnot: Réflexions sur la puissance motrice du feu sur le machines propres a développer cette puissance; a cura di R. Fox, Vrin, Paris, 1978 (trad. it. Riflessioni sulla potenza motrice del fuoco, a cura di B. Jannamorelli; Collana Tessere, Cuen Napoli, 1996). 9 A. Drago e R. Pisano « Interpretazione e ricostruzione delle Réflexions di Sadi Carnot mediante la logica non classica »; Giornale di Fisica, Vol. XLI, N. 4, Ottobre – Dicembre 2000, pagg. 195 – 217. 10 L.G. Gouy: « Sur l’énergie utilisable »; Journal de Physique, 8, 1889, pagg. 502 - 518. 11 H. Callen: « Thermodynamics a science of symmetries »; Found. Phys. , 1974, pagg. 423 - 443 12 Nella seduta dell’Accademia delle Scienze di Parigi del primo febbraio 1926, M. Emile Picard tenne un discorso di commemorazione per la morte di Gouy, socio esterno dell’Accademia dal 1913. Picard descrive con molta precisione la produzione scientifica di Gouy in molti campi della fisica. Nel suo discorso commemorativo non vi è alcun cenno alla scoperta dell’energia utilizzabile, probabilmente perché la scoperta era ritenuta poco importante. L’intervento di M. Picard è riportato nei Comptes rendus des séances de l’Académie des Sciences, Paris, tomo 182, quaderno n° 5, 1 febbraio 1926, pagg. 293 - 295 13 L.G. Gouy: « Sur une loi générale relative aux effets des transformations réversibles »; Comptes rendus des séances de l’Académie des Sciences, Paris, tomo 108, quaderno n° 7, 18 febbraio 1889 e « Sur les transformations et l’équilibre en Thermodynamique »; Comptes rendus des séances de l’Académie des Sciences, Paris, tomo 108, quaderno n° 10, 11 marzo 1889. Questi articoli sono disponibili in rete, presso il sito della Biblioteca Nazionale Francese Gallica: http://gallica.bnf.fr/ 14 L.G. Gouy: « Sur une loi générale relative aux effets des transformations réversibles »; Comptes rendus des séances de l’Académie des Sciences, Paris, tomo 108, quaderno n° 7, 18 febbraio 1889, pagg. 341 –344 15 Queste notizie biografiche relative all’ing. Stodola sono state tratte dai seguenti siti Internet: http://control.ee.ethz.ch/hurwitz/hurwitz.msql http://www.control.lth.se/~fuhist/lectures/Lecture2.pdf 16 Il lavoro di Stodola sulle turbine ad alta pressione costituisce la base del libro di M. Tolle: Die Regelung der Kraftmaschinen; Springer, Berlino, 1905 che per circa due decenni rimane il testo di riferimento per la Teoria dei controlli. Stodola stesso raccoglie i principali risultati delle sue ricerche e delle sue esperienze in due testi: Die Kreisprozesse der Gasmachine; Zeitschr.des VDI, 32 (1898), pagg. 1086-1091 e Die Dampfturbinen; 4th ed. Berlin. 324 s. del 1905 contenuta in German, English ed. Loewenstein, L.C. Steam and Gas Turbines (1910), voll. 2, McGraw – Hill New York, 1945. 17 Notizia riportata in G. Holton: Einstein e la cultura scientifica del XX secolo; Il Mulino, Bologna, 1991, pag. 41. 18 Negli anni ottanta Lovins ha fondato, con altri, a Old Snowmass in Colorado, la Rocky Mountain Institute, una istituzione non profit, nella quale Lovins è ancora oggi impegnato, che ha per obiettivo la definizione di procedure di utilizzo delle risorse umane e naturali, in grado di assicurare uno sviluppo tecnologico 15 biocompatibile. Queste notizie ed altre ancora sull’attività svolta da Lovins, si trovano nei seguenti siti Internet: http://www.rmi.org/sitepages/pid166.php http://www.meta-library.net/bio/lovins-body.html http://www.businessweek.com/bw50/content/mar2001/bf20010323_307.htm 19 APS Study Group on Energy « Efficient Use of Energy »; Physics Today, August 1975, pagg. 23-33 16