Pedagogia e lavoro sociale in Europa

Prof.Dr. Günter J.Friesenhahn
Fachhochschule Koblenz/University of Applied Sciences
European Community Education Studies
Finkenherd 4
D-56075 Koblenz
Tel 0261 9528-232
Email [email protected]
Corso: Pedagogia sociale/Lavoro sociale europea/o
Universitá degli Studi San Marino
Dipartimento della Formazione
Master per operatori nel campo
della prevenzione e della riduzione
del disagio del scolastico ed extrascolastico
2001
1
Indice
A.Prima parte
Pedagogia e lovoro sociale in Europa
1. Introduzione:Di cosa si tratta?
2. Sguardo retrospettivo. Cosa c’è stato prima?
3. Definizioni e confronto: un terreno internazionale oscuro.
4. Nove tendenze sul mercato editoriale:libri e riviste
5. La complessità della pedagogia sociale
6. Considerazioni conclusive
7. Bibliografia
B.Seconda parte
Lavoro con bambini e giovani in Europa
1.Indroduzione
2.Bambini e preadolescenti(kids), giovani e giovani adulti
3.Atteggiamento die giovani nel contesto europeo
4.Concetti e metodi delle attività a favore die giovani
5. Competenze per gli operatori sociali
6.Considerazioni conclusive
7.Bibliografia
2
A.Prima parte
Pedagogia e lovoro sociale in Europa
1.Introduzione:Di cosa si tratta?
Si tratta di rappresentare qui di seguito la pedagogia sociale/il lovoro sociale
come scienza e professione, come teoria e prassi in alcuni tratti caratteristici
fondamentali. In questo contesto ci occuperemo di tendenze sociali attuali, di
nuovi sviluppi all’interno della scienza sociale.
Appare chiaro che una chiara determinazione della posizione della pedagogia
sociale è difficilmente possibile a causa della sua complessità all’interno di una
società pluralista.
Tale complessità, che sussiste in ogni società moderna, aumenta quando entra
in gioco l’internazionalità. E’ comunque sensato fare chiarezza sulla
condizione e sullo sviluppo della pedagogia sociale e discutere sul suo attuale
campo d’azione, sulle sue attuali sfide e possibilità; in breve: fare affermazioni
plausibili sulle sue capacità e i suoi doveri, considerando il presente e il futuro.
In ciò rientra anche la risposta alla domanda se la pedagogia sociale, in
considerazione
dei
processi
di
socializzazione
(con
riferimento
alla
pluralizzazione, individualizzazione, globalizzazione) non debba mutarsi nella
direzione della crescente internazionalizzazione e interculturalità.
Se le cose stanno così, la pedagogia sociale dovrà cambiare globalmente.
Internazionalità e interculturalità sono state considerate fino ad ora piuttosto
come aspetti marginali della pedagogia sociale. Si tende tuttavia a riconosce
che i problemi e le sfide, alle quali la pedagogia sociale reagisce, hanno
“infranto” da tempo il contesto nazionale.
I movimenti migratori e l’intrecciarsi di rapporti aziendali e commerciali
internazionali e di conseguenze sociali, in particolar modo il processo di
integrazione europea, non passano accanto alla prassi della pedagogia sociale
senza lasciare traccia. Inoltre si deve tener conto anche del fatto che il processo
di integrazione europea conduce i paesi verso l’adozione di radicali forme di
risparmio. Strumenti di analisi di questi processi e di nuovi modelli di
comportamento internazionali devono in ogni caso essere sviluppati su un
piano formale ed informale, Si tratta infatti di una questione faticosa e al
contempo non trascurabile in virtù del fatto che problemi e compiti irrisolti
“fanno capolino sull’uscio di casa”.
Poco aiuta l’affermazione che la dimensione internazionale della pedagogia
sociale sia stata considerata un elemento costitutivo della professione sin dalle
sue origini. Esiste l’ipotesi che questa unione internazionale abbia avuto
ripercussioni fino ad oggi.
Il collega americano Hokenstad (1992) focalizza la sua analisi dell’assistenza
sociale nel contesto internazionale su tre punti:
le comunanze (compiti, metodi, atteggiamenti etici fondamentali)
le differenze (sistemi di formazione e immagine professionale)
le sfide (il formarsi della giustizia sociale)
Si può aggiungere un altro punto:
il discorso academico
Esaminando tutto questo in un contesto più ampio, dobbiamo considerare
anche gli aspetti e le forze che agiscono sulla pedagogia sociale. Accanto a
tutte le peculiarità nazionali e regionali, sembra esserci anche una comunanza
trasnazionale. Walter Lopez dell’Università di Cork in Irlanda riassume in
occasione di una conferenza internazionale ad Anversa / Belgio (1999): “tutte
le professioni nell’ambito del lavoro sociale sono influenzate dai cambiamenti
della politica sociale, non sono e non possono in alcun modo essere in nessuno
dei loro campi iniziative private, che hanno solo a che fare con transazioni
private tra persone…Da un lato lo stato è universalmente preoccupato di
ridurre le spese destinate a questioni sociali, una tendenza politica che è
normalmente attribuita agli effetti della globalizzazione dell’economia e alla
necessità di mantenere competitive le prospettive d’impiego. Dall’altro lato la
4
politica sociale resta per lo stato una fonte preziosa di legittimità politica. Lo
stato necessità di essere visto come uno stato che si preoccupa".
Con questa osservazione Lorenz coglie l’attuale definizione della posizione
della pedagogia sociale/il lavoro sociale. Adrian Adams, Gran Bretagna,
constata un paradosso della moderna assistenza sociale: “il paradosso del
modern lavoro sociale è il seguente: la sua funzione è quella di assicurare che
tutti gli individui siano integrati all’interno della società, ma in seguito allo
sviluppo dell’economia globale, è chiaramente sempre meno capace di
raggiungere questo scopo. Progressivamente i politici non presuppongono più
che la totale inclusione degli individui all’interno della società sia possibile;
ritengono invece che siano gli stessi cittadini, piuttosto che lo stato, a diventare
responsabili del raggiungimento dell’integrazione sociale.” (2000, p.1)
Successivamente faremo luce in maniera più approfondita sul rapporto tra
diversi piani (trasnazionale, nazionale, regionale e comunale) della politica e
dei servizi sociali.
Il compito e lo scopo della pedagogia sociale/il lavoro sociale è sempre più
difficile da definire, molteplici sono i concetti e i gruppi d’indirizzo.
La pedagogia sociale/il lavoro sociale si occupa di analisi sociali in tutti i
paesi, sviluppa concetti, si interroga sulle possibilità individuali, su quali sono i
limite socio culturali e culturali della collaborazione o dei processi
d’apprendimento. In breve, si interroga sull’uguaglianza, sulla disuguaglianza,
sulla differenza.
Pone domande su norme e regole, modelli culturali interpretativi, sanzioni;
vuole sapere chi e perché entra nel godimento di diritti e privilegi e chi invece
ne è escluso.
Lo scopo di questa analisi é quello di creare una maggiore giustizia sociale e
una compensazione alle ingiustizie esistenti.
Essa si preoccupa anche di raffigurare processi di sviluppo e di apprendimento.
Tutto ciò riguarda quello che in Germania si intende tradizionalmente con il
termine “ pedagogia sociale”.
5
Complessivamente la pedagogia sociale/lavoro sociale vuole cambiare. “In
tutti i paesi gli educatori specializzati vedono se stessi come agenti di
cambiamenti sociali e di riforme istituzionali" (Hokenstad 1992, p.182)
Secondo Lyons(1999, p.6) il lavoro sociale ha le funzione : Care , social
change and control.
Per capire la situazione attuale e il carattere molteplice della pedagogia sociale
in Europa, bisogna considerare la politica sociale, le strutture istituzionali e i
modelli organizzativi del lavoro sociale come elementi complementari. Ciò
chiarisce anche l’attuale varietà dell’orientamento professionale e dei campi
d’azione dello specialista nel campo dell’assistenza sociale. “…..nonostante
rimangano significanti differenze tra i sistemi di assistenza sociale in Europa,
tali diversità esistenti scaturiscono da risposte diverse a problemi di carattere
sociale in paesi diversi." (Adams, Erath, Shardlow 2000, prefazione)
Nonostante questa concordanza che viene postulata, si deve tuttavia porre
attenzione al fatto che uno sviluppo nazionale, con diversa velocità e
orientamento del contenuto, si é fatto comunque strada.
E’ dunque grande il tentativo di creare e definire termini di paragone; anche se
ciò non conduce molto avanti e si arriva inevitabilmente ad una valutazione di
concetti e di modelli pratici.
Nonostante ciò, io propongo di tenere in considerazione nelle argomentazioni
che seguiranno le quattro categorie proposte dal pedagogista tedesco Thomas
Rauschenbach (1991) per descrivere lo sviluppo della professione di operatori
sociali. Rauschenbach parla in riferimento alla Germania, tuttavia credo che
ciò possa essere esteso ad altri paesi in virtù di una continuità di tendenza.
Dal volontariato al professione
Specializzazione
Accademizzazione
Profesionalizzazione
6
Per “Dal volotariato al profesione ” egli intende l’aumento di operatori nel
settore della lavoro sociale che ricevono compensi per le loro prestazioni.
Il termine “specializzazione” si riferisce all’aumento della percentuale di
persone, con una formazione di stampo socio pedagogico, che lavora in questo
campo.
“Accademizzazione” significa che il personale che lavora nel campo della
lavoro sociale ha una formazione che segue gli standard scientifici
dell’istruzione terziaria.
“Profesionalizzazione” infine riguarda il processo secondo il quale gli
operatori sociale sono ritenuti in grado di fornire prestazioni professionali
(come lo sono i giuristi, i medici, i sociologhi e gli spicologi).
Si tratta di un campo professionale ben delimitato (e ciò diventa sempre più
difficile, vedi Lorenz 1999) e di scopi politico governativi.
In altre parole, la domanda è: che cosa sanno, possono e debbano fare gli
operatori sociali per far fronte ad una prassi pedagogica che si sviluppa in un
mondo indipendente e in continua evoluzione?
2. Sguardo retrospettivo. Cosa c’è stato prima?
“Il mondo è divenuto piccolo. Le conquiste della tecnica sono progredite. Le
persone e i beni sono diventati flessibili, problemi di carattere internazionale
sono sorti, problemi che prima erano sconosciuti al nostro modo di procedere
in un ristretto spazio vitale.” (A. Salomon). Questa è una citazione del 1930
che
sottolinea
l’inizio
di
preoccupazioni
internazionali
nell’ambito
dell’assistenza sociale. Già nel 1853 si tenne a Brüssel un congresso
internazionale sul tema dell’assistenza ai poveri e della beneficenza, poi
continuò a Londra (1863), Parigi (1889), Chicago (1893), Genf (1896), Parigi,
Milano e Kopenhagen (1910) (vedi Friesenhahn1992)
7
Walter Lorenz scrive in un articolo dal titolo “lavoro sociale internazionale”:
“l’lavoro sociale è nata nell’ultimo secolo con lo sviluppo dell’epoca moderna,
che è stata caratterizzata da nuovi fondamentali presupposti politici e sociali
per la legittimazione e la consolidalizzazione di stati di orientamento
democratico. Il compito dell’assistenza sociale, sia sul piano statale che
attraverso organizzazioni di solidarietà, era quello di assicurare l’integrazione
sociale fino ai più bassi gradi della scala sociale.”
Questo orientamento patriota, che divenne portante negli ultimi decenni del
XIX sec., era in rapporti di tensione con contatti e collaborazioni
internazionali, sebbene presso le organizzazioni di stampo borghese (ad es. il
movimento femminista borghese) era possibile delineare originariamente un
chiaro intreccio internazionale per tre motivi fondamentali.
In primo luogo questi movimenti fecero apertamente riferimento ad istituzioni
che si erano costituite nell’epoca premoderna in tutti i paesi, come la chiesa ed
i movimenti umanistici. Inoltre l’orientamento di secolarizzazione della chiesa
nel XIX sec. fu promotore di molteplici iniziative sociali che poterono essere
facilmente emulate nei diversi paesi attraverso la divulgazione dei principali
fondamenti delle iniziative missionarie; oppure tali iniziative sociali furono
direttamente esportate attraverso l’attività degli ordini religiosi nelle colonie e
nei paesi europei (ad es. furono fondati ordini religiosi in Francia e Belgio che
condussero alla creazione di scuole, ospizi, missioni in Irlanda o Spagna, ).
In secondo luogo l’industrializzazione e la diffusione delle condizioni
capitalistiche di mercato portarono problemi sociali che rispecchiavano
direttamente tali evoluzioni della società.
Infine gli stessi nuovi movimenti sociali del XIX sec. avevano tuttavia una
dinamica internazionale che era in rapporto di conflittualità con le loro stesse
concretizzazioni (o trasformazioni) di orientamento nazionale.
Il movimento femminista, il movimento dei lavoratori, il movimento pacifista
e più tardi quello giovanile, che fece propri i temi del Romanticismo, avevano
soprattutto un orientamento internazionale.
8
Questi movimenti, in tutta la loro contraddittorietà, furono direttamente ed
indirettamente importanti per lo sviluppo dell’assistenza sociale. L’emergenza
sociale e le sue origini non si lasciarono racchiudere entro i confini nazionali,
anche se le lotte da parte della borghesia furono essenzialmente dirette a
provvedimenti nazionali in difesa dell’Internazionale Socialista e miravano al
riconoscimento dell’utilità della legittimazione politica e dell’integrazione dei
servizi sociali.
La seconda metà del XIX sec. iniziò all’insegna di numerosi congressi
internazionali sul tema della beneficenza, igiene, riforme sociali e spesso
fecero seguito a esposizioni mondiali.
Lo scambio di esperienze e la raccolta di studi empirici erano ormai centrali,
una comprensione scientifica dei problemi sociali si sviluppò senza giungere
ad un modello unitario d’intervento .
All’interno di questo sviluppo lavoro sociale dovette da un lato darsi un
significato nazionale, dall’altro lato invece cercò di appropriarsi delle
caratteristiche
fondamentali
dell’autonomia
professionale,
che
furono
individuate nella creazione dei fondamenti scientifici, di un sapere
scientificamente oggettivo e di un sistema d’azione autoresponsabilizzato.
La crisi della prima guerra mondiale portò il pericolo di una ricaduta verso
orientamenti rigidi e nazionalistici che potevano essere in parte contrastati
dall’assistenza sociale grazie al suo legame con movimenti internazionali, in
particolare con il movimenti pacifista e femminista. Per questo motivo si
sviluppò negli anni venti un’intensa ricerca non di modelli di lavoro sociale,
che potevano essere facilmente emulati ed esportati, bensì di metodi
scientificamente fondati che potessero liberare la professione dal ruolo di
“esecutrice degli ordini” dettati dagli interessi sociopolitici e di stampo
nazional-ideologico dello stato nazionale”.
Fu Alice Salomon a rendersi benemerita di questa ricerca. L’accusa
internazionale che trovò il progetto metodologico di Mary Richmond sulla
diagnosi sociale, biasimò non solo questo interesse, ma anche la rapida
9
diffusione di riferimenti psicoanalalitici, per lo meno nell’ambito della
psichiatria infantile e dei metodi d’insegnamento nelle scuole per educatori
specializzati. Il paradigma pedagogico predominante in Germania non aveva
alcuna adeguata risonanza sull’assistenza sociale sia perché venne frainteso,
sia perché venne sentito come troppo culturalmente specifico. Una pietra
miliare fu poi la prima conferenza internazionale sul tema “assistenza sociale”
che si tenne a Parigi nel 1928. In quell’occasione ci si focalizzò su domande
riguardanti la formazione e A, Salomon constatò che la formazione fino ad
allora si era orientata a dati di fatto di natura mediocre, e che necessitava
invece anche dell’istituzione di un luogo di formazione internazionale: “le
scuole per i servizi sociali portano impresso in ogni paese il carattere
nazionale, sono influenzate dal sistema scolastico vigente, oltre che dai tipi di
assistenza sociale risultanti dalle peculiari condizioni economiche e sociali
esistenti nelle diverse nazioni.” (Salomon 1928, citata da Friesenhahn 1992).
Un anno più tardi
venne fondata appunto la ASSU (Associazione
Internazionale di Scuole per Eucatori Specializzati | International Association
of Schools of Social Work - IASSW), tuttavia i contatti internazionali fra
scienziati si arrestarono presto a seguito della seconda guerra mondiale
Subito dopo il secondo conflitto mondiale giunse una lieve brezza
internazionale in Germania, e in seguito in Europa, attraverso il programma di
ri-educazione e ri-importazione dei cosìddetti metodi classici. Negli anni
sessanta vennero recepiti in modo rafforzato i concetti americani (action
research, labelling approach) che non erano solo strumenti pratici, ma
trasportarono anche contenuti culturali.
“La diffusione internazionale dei principi riguardanti lavoro sociale (case
work), anche sul piano del lavoro collettivo e di gruppo, fu un elemento
integrante e fisso, non solo del programma di “denazificazione” degli alleati
nell’epoca postbellica, caratterizzata dall’incomunicabilità; bensì anche dei
tentativi di democratizzazione perseguiti dagli USA e dalle Nazioni Unite nei
confronti degli stati e nazioni che si trovavano in una fase di rinascita, in
10
conseguenza del crollo o del ritiro di strutture di dominio politico quali
dittature o domini coloniali.. Gli aiuti economici ed i programmi statunitensi e
delle Nazioni Unite resero possibile al potenziale personale docente e al
personale operante nell’ambito dell’assistenza sociale di tali paesi di assistere
alla prassi e allo studio degli interventi in ambito sociale negli Usa per un certo
periodo e di acquisire una qualifica sul posto. Ciò ebbe come conseguenza la
diffusione della letteratura utilizzata nelle scuole superiori americane; fino agli
anni settanta circolava nel mondo non comunista, fatta eccezione per i paesi
francofoni e per le loro colonie una grande quantità di manuali riguardanti i
suddetti corsi di studio. I modelli di studio delle scuole americane si
affermarono in quei paesi dove il personale docente possedeva per la maggior
parte diplomi rilasciati negli USA (paesi scandinavi, Grecia, Irlanda, Turchia,
Australia, Nuova Zelanda, i principali paesi del terzo mondo asiatico ed
africano).” (Lorenz 2001)
Interventi come: la riforma psichiatrica in Italia, i tema delle droghe in Olanda,
la “community education" e "anti-oppresiv social work” in Gran Bretagna ecc.,
mostrano pertanto che il lavoro sociale si è costantemente confrontata con
forme organizzate e concetti d’azione provenienti dall’estero; si è lasciata
stimolare
e si è aperta a scambi. Fino ad oggi tuttavia manca una
rielaborazione sistematica delle relazioni che apporti un potenziale innovativo
e riguardi nuove problematiche.
Al tempo, parallelamente a questo sviluppo, avvenne un incessante ondata di
migrazione in tutti i paesi industrializzati, che condusse a scontrarsi con
processi di iterazione tra persone provenienti da contesti culturali diversi.
Non va dimenticato che l’Unione Europeo cercò, con l’ausilio di diversi
programmi, di promuovere la cooperazione internazionale, di facilitare la
mobilità dei cittadini e infine di destare una coscienza europea attraverso
scambi e riflessioni.
11
In Gran Bretagna H. Barr (1990) scrisse in riferimento a questa situazione: “gli operatori
sociali saranno tra i primi ad essere testimoni degli effetti che ciò avrà sugli individui, sulle
famiglie e sulle comunità; essi ricopriranno una posizione che permetterà loro di estrapolare
le implicazioni che si avranno sulla politica sociale".
In un manoscritto svizzero si trova delineato uno scopo programmatico: “sono i
cambiamenti, che caratterizzano la società contemporanea, a necessitare un approccio
interculturale.” (Roland-Ricci,1998, p.26).
In una rivista italiana si dice : “l’interculturalità, allora, è una prospettiva obbligata
all’interno dei paesi occidentali, ma anche per tutti gli altri.” (Mangano,1993, p.59)
(vedi Friesenhahn 1992)
Le citazioni potrebbero continuare, gli esempi riportati mostrano che il bisogno di una
cooperazione internazionale è ampiamente riconosciuto e che la prospettiva interculturale
costituisce il caposaldo a cui si aspira.
Va dato rilievo inoltre in questo contesto alla “rete tematica” – profesioni sociali per
un’Europa sociale.
(vedi: Seibel, Friedrich, W./Lorenz, Walter (Hrsg) (1998)
Soziale Professionen für ein Soziales Europa.
Frankfurt: Iko-Verlag, ISBN3-88939-443-4
Chytil,Oldrich/Seibel, Friedrich.W.(Hrsg) (1999)
Europäische
Dimensionen
in
Ausbildung
und
Praxis
der
Sozialen
Professionen.Boskovice:Albert, ISBN 80-85834-62-6
3.Definizioni e confronto: un terreno internazionale oscuro.
N. Belardi conclude in una raccolta di recensioni che l’assistenza sociale
internazionale è sempre ancora la figliastra dell’assistenza sociale. Proprio per
questo appare necessario occuparsi nuovamente e in modo più esaustivo della
prospettiva internazionale. Di cosa si tratta esattamente? Secondo Belardi
l’internazionalità “si mostra attraverso confronti e scambi sul superamento di
situazioni problematiche e su nuove impostazione di problemi (ad esempio
migrazioni, minoranze, unione europea).”
Nel libro di Hockenstad, uscito negli USA nel 1992, si legge : “il concetto di
“profili internazionali del lavoro sociale” fu usato per la prima volta da George
12
Warre nel 1943 per descrivere l’attività professionale dell’assistenza sociale
all’interno di agenzie impegnate in attività internazionali.” (1992, p.4)
Questa definizione può essere completata attraverso un’altra che include la
dimensione strutturale dell’attività sociopedagogica; ossia l’assistenza sociale
internazionale fu definita come il campo d’azione degli assistenti pedagogici in
forme organizzate che si occupano di attività internazionali (es. la Croce Rossa
Internazionale).
Pfaffenberger / Trenk / Hinterberger (1988) definirono lavoro sociale
internazionale come segue: “con questo termine generale, ci si riferisce ad
attività sociopedagogiche, sociali e sociopolitiche, ad interventi ed operazioni
le cui realizzazioni internazionali, attuate attraverso organizzazioni e
responsabili, vanno oltre i confini nazionali, ossia valicano la consueta cornice
nazionale del lavoro sociale/pedagogia sociale.”
L’aggettivo “internazionale” viene spesso utilizzato quando si parla di
confronto tra società stabilmente organizzate. In questo contesto Pfaffenberger
fece una distinzione tra confronto diacronico (nello stesso paese, ma in epoche
differenti) e confronto sincronico (nella stessa epoca, ma in paesi diversi).
Il confronto ha un valore pragmatico; attraverso i confronti si riconoscono
forme alternative della prassi sociopedagogica che possono apportare impulsi
innovativi e spronare a riflessioni. Lo scopo fondamentale di questa sistema di
comparazione è quello di stabilire rapporti tra almeno due fattori e di creare
categorie che rendano possibile un accordo su uguaglianze, differenze e
compatibilità. Certamente è difficile individuare una forma puramente
descrittiva, e se anche lo fosse, questa risulterebbe comunque incerta.
La scienza dell’educazione che si basa su questo metodo comparativo si dette
negli anni sessanta e settanta scopi normativi: “le comparazioni tra sistemi
formativi…..dovrebbero servire a trovare accordi tra i popoli e dovrebbero
favorire una coesistenza pacifica,” (Glowka, citato da F.W. Busch)
Tale metodo comparativo, incentrandosi su valutazioni riguardanti il confronto
tra il mondo capitalista occidentale e quello comunista orientale, forniva spesso
13
delimitazioni
piuttosto
che
avvicinamenti,
confronto
piuttosto
che
cooperazione.
Pfaffenberger
(1982,
p.132)
precisò
riguardo
alla
comparistica
sociopedagogica: “nel momento in cui il lovoro sociale di un paese e il sistema
formativo ad essa legato si concentrano sulla rappresentazione di confronti tra
paesi diversi e di conseguenza su propositi critico-costruttivi, non hanno più la
capacità di occuparsi di singoli fenomeni e singoli fatti…”
Serve una cornice di riferimento più ampia che permetta dunque di capire il
significato di organizzazioni ed istituzioni sociali, ma anche di singoli
provvedimenti ed azioni pedagogiche.
Il sistema comparativo fino ad ora elaborato invece è privo di una simile
cornice di riferimento e deve perciò essere costantemente sviluppato e
rivisitato.
John Pitts parla nell’opera “Social work in Europe” (1/1994) di un’analisi
franco-britannica e di tentativi compiuti per comparare sistemi differenti. Il
primo passo fu la ricerca di un’equivalenza all’interno della prassi
professionale. Il secondo tentativo fu un’analisi strutturale e funzionale dei
sistemi, della profesionalizzazione e dello sviluppo di organizzazioni
missionarie. Il terzo passo fu infine quello di concentrarsi sul “final vocabulary
which articulates the ultimate rational for action” ossia un vocabolario che si
occupa di concetti.
Hockenstad /1992, p.5) parla di un’analisi sorta in nuovi paesi che ha per
oggetto il ruolo dell’assistenza sociale negli interventi inerenti alla terza età. In
tutti i paesi gli educatori specializzati vengono considerati come coloro che si
occupano della “disciplina del servizio umano” (human service discipline);
tuttavia il loro ruolo professionale presenta delle differenze: “questi ruoli
professionali sono influenzati non solo dalla politica governativa
e da
prerogative organizzate, ma anche dalla definizione di peculiari priorità
professionali e di preferenze di prassi. I diversi livelli e tipi di formazione di
14
educatori specializzati sono un altro fattore che determina lo status
professionale e definisce i ruoli.”
In breve la letteratura specialistica e le modalità di ricerca mostrano totale
accordo sul fatto che quando si parla di comparazione internazionale, vadano
sempre considerati i seguenti elementi:
− la storia dello sviluppo dell’assistenza sociale
− la struttura del sistema sociale
− il ruolo della politica sociale
− strutture tradizionali e nuove che si occupano di fornire servizi agli
individui
− lo sviluppo della profesionalizzazione e dei curricoli della pedagogia
sociale
− considerazioni giuridiche generali
− ruolo sociale della pedagogia sociale
− identità professionale ed etica professionale della pedagogia sociale
− problemi e sfide che i “professionisti” devono affrontare
− metodi nuovi
− concetti scientifici a cui la pedagogia sociale fa riferimento
− legittimazione per l’intervento pedagogico
− il luogo, lo spazio riservato agli assistenti pedagogici nei diversi paesi
− il mercato del lavoro
− il formarsi della clientela
− riteri da seguire affinché il lavoro abbia successo
Da qui in poi si dovrebbe parlare del ruolo delle organizzazioni internazionali e
quindi dei congressi specialistici, dei confronti sui diversi provvedimenti
adottati, della pubblicistica internazionale.
15
L’intero panorama serve da un lato a delineare le nuove esigenze del lavoro
sociale in contesti internazionali; dall’altro lato offre al lavoro sociale
nazionale la possibilità di riflettere e acquisire sicurezza sulla peculiarità del
proprio contesto d’origine e di abbracciare nuove alternative. Il raggio d’azione
non si limita all’Europa, ma si estende oltre. Tutto ciò può facilmente
incontrare ostacoli a livello organizzativo, perché si tratta di studi comparativi
internazionali che non provengono da un paese, ma appartengono a discipline
scientifiche diverse; nonostante ciò sono studi che vanno necessariamente
proseguiti.
4.Nuove tendenze sul mercato editoriale:libri e riviste
Concludiamo affermando che il numero della pubblicazioni riguardanti il tema
della pedagogia sociale/lavoro sociale europea ed internazionale è in continuo
aumento. Inoltre va aggiunto che il termine inglese “social work” domina non
solo a livello linguistico, ma influenza ampiamente anche i campi d’azione di
cui si è precedentemente discusso. L’espressione anglosassone “social
workers” riferita agli operatori del settore domina in maniera incontrastata e
solo raramente si trovano le corrispondenti espressioni in lingua tedesca,
francese o italiana.
In ambito tedesco si possono citare una serie di libri che trattano del tema dell’assistenza
sociale internazionale ed interculturale, pubblicati da Franz Hamburger (edizione:Schäuble
Verlag
Rheinfelden)e
un'altra
serie
di
scritti
pubblicati
dall'Istituto
Pedagogico
dell’Università Johannes Gutenberg di Mainz e dall’ECCE (European Centre for Comunity
Education) di Coblenza
ECCE, Finkenherd 4, D-56075 Koblenz email [email protected])
Per esempio
Guerra, L./
Sander, G.(Hg.) (1993)
Sozialarbeit in Italien.Rheinfelden:Schäuble
Hamburger, F.(Hg.) (1994) Innovation und Grenzüberschreitung. Rheinfelden:Schäuble
16
Treptow, R.(Hg.) (1996)
Internationaler Vergleich und Soziale Arbeit.
Rheinfelden:Schäuble
Jung,R./Schäfer, H./
Seibel, F. (Hg.) (1997)
Econonmie Sociale. Fakten und Standpunkte zu
einem solidarwirtschaftlichen Konzept.Frankfurt:IKO-Verlag
Seibel, F./
Lorenz, W.(Hg.) (1997)
Soziale Professionen für ein soziales Europa.
Frankfurt.IKO-Verlag
Vanno inoltre menzionate nel panorama internazionale le seguenti pubblicazioni.
Hokenstadt, M.C. (Ed) (1992)Profiles in internationale Social Work.
Washington:NASW Press
Lorenz W. (1994)
Social Work in a Changing Europe:
London and New York:Routledge
Lyons,K (1999)
International Social Work:Themes
and Perspectives.Hants:Ashgate
Adams, A./Erath,P./
Shardlow,St.(Ed.) (2000)
Fundamentals of Social Work in Selected European
Countries. Dorset:Russell House Publishing
Adams,A./Erath,P/
Shardlow, St.(Ed) (2001)
Key thmes in European social Work.
Dorset:Russell Publishing
Marcon, P.( a cura di) (1989) Educatori nell Europa
Guerra, L./Hamburger, F./
Robertson,A.(a cura di)(1996) Educazione Communitaria in Europa.
Bergamo:edizione junior
Bolognari, V./
Kühne, K.(a cura di) (1997) Povertà, Migrazione,Rassismo. Il lavoro sociale ed educativo
in Europa. Bergamo:edizione junior
Per concludere va indicata anche la nuova rivista “European Journal of Social Work”
(www.oup.co.uk/eurswk
)che
ha
affiancato
“Social
Work
in
Europe”,
(www.brunel.ac.uk/depts/social</europe/swine.html) altra rivista affermata.
17
Nel contesto internazionale, la conoscenza delle lingue straniere è
fondamentale. La lettura di testi in lingua straniera risulta generalmente
difficile e richiede tempo perché il doversi scontrare con strutture e peculiarità
dell’assistenza sociale in altre paesi può facilmente scoraggiare il lettore.
E’ utile in questo ambito citare il libro di
Ria Puhl e Udo Maas (Hg.) (1997) Soziale Arbeit in Europa.Weinheim:Juventa
Se si confrontano le pubblicazioni inerenti al lavoro sociale in paesi diversi
(Italia, Austria, Francia, Spagna, Svezia, Olanda, Gran Bretagna, Finlandia e
Svizzera) si nota che ogni capitolo porta la seguente struttura organizzativa:
− sviluppo sociale
− tratti fondamentali delle caratteristiche sociopolitiche
− strutture delle organizzazioni
− importanti campi di intervento e fondamenti giuridici
− metodi e impostazioni di lavoro
− posizione professionale degli specialisti
− problemi attuali
- ormazione
Questa articolazione rende possibile una lettura sia sistematica che diagonale. I
testi spiegano che tutte le società moderne sono contrassegnate dal fatto che
tutte gli interventi non sono mai spontanei e volontari, bensì sempre
organizzati. Questa organizzazione poi avviene in modo diverso da paese a
paese. Le strutture di pensiero e di azione nel campo dell’assistenza sociale
non si trasmettono facilmente tra i paesi. Ciò significa che non ci si può
aspettare che i partner stranieri con cui si collabora o i clienti che provengono
18
da altri paesi abbiano le stesse idee sui processi di organizzazione ed
amministrazione nell’ambito dell’assistenza sociale.
Alcune citazioni possono chiarire che cosa è necessario sapere per sormontare
ostacoli e differenze fino ad ora incontrati.
“Fino dopo la seconda guerra mondiale non esisteva in Italia la professione di
educatore specializzato.”
“In Austria non c’era un sistema di leggi unitario che regolasse l’assistenza
sociale ; ogni regione appartenete alla confederazione aveva leggi proprie in
materia e c’erano dunque differenze sostanziali sia nelle linee di intervento in
ambito sociale, sia nella tipologia e nella dimensione dei servizi.”
“Le strutture e le organizzazioni nell’ambito dell’assistenza sociale sono
diverse negli altri paesi rispetto alla Germania; i francesi danno un significati
diverso al termine “assistenza sociale” (travail social). In particolar modo è
notevole lo scarso ruolo ricoperto dalla chiesa.”
“In Finlandia l’assistenza sociale è vista come un dovere pubblico. La maggior
parte degli addetti ai lavori, circa il 90%, è impegnata in servizi sociali
pubblici.”
Vediamo in confronto il libro:
Karen Lyons (1999)
International Social Work.Hants:Ashgate Publishing Ltd.
Allegato 1
Riassumendo:
L’osservazione attraverso una prospettiva internazionale ha conseguenze sulle
diverse percezioni di aspetti fondamentali del lavoro sociale nei diversi paesi,
ad esempio:
− sviluppo storico
− differenze e comunanze tra la pedagogia sociale e il lavoro sociale
19
− concetti fondamentali
− semplicità e profilo delle competenze
− campi d’azione e contesti d’intervento
− teoria e sviluppo dei concetti
Concludo affermando che la pedagogia sociale/il lavoro sociale sarà in futuro
più internazionale e interculturale; ciò dipende anche dagli interessi degli
operatori nel settore e dei clienti
Con la spiegazione di questa determinazione programmatica non ci si può
esprimere su problemi ed argomenti che gli assistenti pedagogici devono
ancora affrontare.
La pedagogia sociale/lavoro sociale è tanto complessa quanto lo è il contesto
sociale a cui si riferisce e il contesto europeo è quello della flessibilità e
dunque di ciò che internazionale e interculturale.
Seconda parte
5.La complessità della pedagogia sociale
La pedagogia sociale è un fenomeno difficile da afferrare per molteplici
aspetti.
Da quando esiste la pedagogia sociale/il lavoro sociale come scienza e
professione? Qual è l’oggetto a cui si indirizza e con quale scopo? Quali sono i
suoi metodi e che idea ha di se stessa? Le risposte a tali quesiti verranno fornite
con la seguente discussione.
La nascita
La domanda “da quando esiste la pedagogia sociale” trova una risposta
differente in ogni paese.
In Germania ci furono delle basi già con i precetti di carità nel XII e XIII sec. I
poveri della società vennero sostenuti dai ricchi per motivi religiosi. Lo scopo
20
non era tanto quello di risollevare veramente i poveri dalla loro condizione,
quanto invece quello di guadagnarsi una buona posizione per la “vita eterna”
una volta abbandonata l’esistenza terrena. Si trattava infatti di un accordo fatto
per necessità e non di un vero cambiamento delle condizioni di vita degli
interessati.
Dopo alcune forme di transizione sorse circa a metà del secolo scorso una
nuova situazione in Europa. L’unità d’Italia (1861), la nascita dell’Impero
Tedesco (1871) sono date importanti in questo contesto, in quanto il formarsi
di stati nazionali condusse alla nascita di una nuova prospettiva riguardo alla
situazione sociale della popolazione. Lo stato e la società si videro costretti a
consolidare l’unità nazionale ormai raggiunta attraverso la creazione di
un’egemonia culturale e di proteggerla dall’esterno. In questo progetto
rientrava anche la creazione dell’unità culturale ed economica della società. Gli
individui ai margini della società dovevano quindi essere appoggiati e il bene
comune doveva essere promosso. La funzione sociale dei provvedimenti
sociopolitici non era quella di migliorare la miserabile situazione in cui la
maggioranza degli individui viveva grazie alle condizioni di produzione
capitaliste, bensì la funzione dello stato consisteva soprattutto nel creare lealtà
attraverso la politica sociale.
“L’assistenza non poteva rimanere una questione privata tra coloro che
prestavano aiuto e coloro che avevano bisogno di essere aiutati, i valori primari
mediati attraverso questa transazione avevano un significato sociale e
politico.” (Lorenz 2000, P.66)
Perciò lo stato non lasciò tali provvedimenti a lungo esclusivamente in mano
alle >Opere Pie<.
Le strategie e la rapidità con cui gli stati intrapresero questi compiti furono
diversi e lo saranno fino ai giorni nostri.
“A differenza della Gran Bretagna e della Germania, in Italia il processo di
industrializzazione ebbe inizio più tardi. Grandi centri industriali nacquero
negli anni Venti e Trenta soprattutto al nord, tuttavia la produzione industriale
21
vera e propria si è sviluppata dopo la seconda guerra mondiale; solo allora ha
avuto un vero impatto sul sistema economico e sociale. A pari passo procedette
anche lo sviluppo di sistemi di assistenza e sussidio che nacquero
prevalentemente nel dopoguerra, mentre precedentemente i pilastri principali
che prestavano sussidio e assistenza di ogni genere erano le famiglie e la
Caritas cattolica” (Riege 1996, P.49)
Indicazioni sui tre diversi sistemi di assistenza:
Lorenz (1994) Social Work in a Changing Europe, P.15 e seguenti
Lyons (1999) International Social Work, P. 55 e seguenti
L’esempio italiano
“Gli enti assistenziali nell’Italia della prima metà del XIX sec. erano in mano
alla chiesa e a benefattori privati. Dopo l’unità d’Italia (1861) lo stato si
assicurò il controllo e l’intervento nel campo della previdenza ed introdusse
assicurazioni contro gli infortuni, la vecchiaia e l’invalidità per i lavoratori e
una assicurazione contro la malattia legalmente riconosciuta nel 1943.
L’ambito dell’assistenza sociale rimase comunque affidato al settore privato,
mentre ci furono solo vaghi accenni alla responsabilità statale” (Polmoni 1993,
P.27)
Nella metà del secolo scorso sorsero associazioni dei lavoratori in aiuto alla
società di mutuo soccorso. Dopo l’unità d’Italia fu promossa una serie di leggi
con lo scopo di regolamentare l’assistenza secondo prerogative statali.
Le Opere Pie furono regolamentate e in seguito secolarizzate con la legge
Crispi del 1890. Il monopolio della chiesa nell’ambito dell’assistenza ai poveri
ebbe fine e fu sostituita dalle IPAB (Istituzioni Pubbliche di Assistenza e
Beneficenza), le quali furono subordinate al controllo e alla sorveglianza delle
province. Con la costituzione del 1948 l’Italia si proclamò stato sociale e
l’introduzione della solidarietà sociale divenne un compito obbligatorio dello
stato, ossia doveva essere prestato aiuto a tutti coloro che lo necessitano, tutti
avevano diritto al mantenimento. Ulteriori riforme (decentralizzazione e
22
rafforzamento
dell’autonomia
delle
regioni)
condussero
a
notevoli
cambiamenti. Con la legge 382 del 1975 e il decreto presidenziale N°616
vennero sciolte le IPAB e le loro competenze nell’ambito dell’assistenza,
sanità e strutture ospedaliere furono affidate alle province e ai comuni.
Con il suddetto decreto viene espresso per la prima volta il concetto di “servizi
sociali” che racchiude in se l’ambito sociale e della sanità (cfr. Polmoni 1973,
Filtzinger 1993, Riege 1996). L’unità di base dei servizi sociali era “l’unità
sanitaria locale” (USL) ed in alcune regioni “l’unità Socio-sanitaria locale”
(USSL). Questo sviluppo che ancora non si è concluso, ha avuto ripercussioni
anche in altri paesi. In questo contesto si possono ricordare: la chiusura degli
istituti psichiatrici, l’introduzione di centri di assistenza e di consultori per
tossicodipendenti e il rilievo dato a campagne di prevenzione,
“A queste novità di contenuti e alla nuova organizzazione decentralizzata della
sanità e dei servizi sociali non corrisposero però cambiamenti per quanto
riguardava la formazione e lo status di coloro che operavano nel settore . I
giovani erano sempre più attivi, seppure in maniera discontinua, nel campo
della sanità e dei servizi sociali. ma erano attivi principalmente per propria
iniziativa; si trattava di un intenso lavoro di gruppo. La loro attività riscuoteva
spesso successo, per cui qualifiche e riconoscimenti formali passavano in
secondo piano. Le qualità personali erano considerate fondamentali per
lavorare con successo nel campo dei servizi sociali e sanitari in Italia in questa
fase, tutto ciò non fu invece così marcato in Gran Bretagna o nella Repubblica
Democratica Tedesca” (Riege 1996, P.50)
La formazione era per lo più eterogenea e solo alla fine degli anni Ottanta che
venne unificata integrata nell’ambito dell’istruzione universitaria. La maggior
parte degli operatori sociali lavorava nelle USL, altri presso le istituzioni
pubbliche (trattavano con i detenuti, lavoravano nell’ambito dell’assistenza ai
condannati durante la sospensione condizionale della pena e nell’ambito dei
servizi sociali rivolti ai minorenni e a coloro che avevano problemi di droga).
23
Al contrario in Gran Bretagna e Germania molti erano attivi anche all’interno
di cooperative.
“Le istituzioni ecclesiastiche ebbero un ruolo fondamentale nel favorire un
lavoro sociale professionale.” (Riege 1996, P.59)
E’ chiaro che l’unico gruppo professionale che opera nel settore sociale non è
quello degli assistenti sociali. In Italia con la denominazione “operatori sociali”
si comprende assistenti sociali, educatori specializzati, educatori professionali,
animatori, assistenti domiciliari e delle strutture tutelari. A volte l’espressione
“operatore sociale” è anche usata per riferirsi a psicologi, sociologi che
operano nel campo dei servizi sociali e sanitari.
“Si tratta quindi di un ampio spettro di specialisti che si occupano dei servizi
sociali, dell’educazione in collegio, dell’educazione di gruppo, di consulenze e
del lavoro con bambini e ragazzi e che sono assunti prevalentemente presso
istituzioni pubbliche, ma che non hanno tutti una formazione specifica ed
adeguata al settore in cui lavorano.” (Filtzinger 1993, p.140)
In
Germania
prevale
una
forte
tendenza
nell’ambito
della
professionalizzazione della pedagogia sociale ad accettare solo specialisti con
una formazione specifica. Più avanti ritornerò su questo punto.
In Italia la denominazione “educatore professionale” fu proposta in un
resoconto della commissione di studi del Ministero degli Interni nel 1984 (DM
10-02-1984) e ottenne così carattere ufficiale. Una formazione per questa
professione esiste dal 1970 (Scuola per la Formazione di Educatori di
Comunità, Università La Sapienza, Roma).
Però ancora prima di questa regolamentazione esistevano organizzazioni di
operatori pedagogici.
“L’Educatore Professionale è presente nel nostro Paese fin dagli anni’50 ed è
stato inizialmente impiegato nel lavoro con ragazzi in difficoltà o portatori di
handicap di solito ricoverati in istituti. Negli anni ’60 l’ambito d’impegno del
personale educativo spezzialisato si estende alle attività del tempo libero e
dell’educazione degli adulti e negli anni ’70 si afferma la necessistà di disporee
24
di personale educativo per la gestione die servizi territoriali alternativi
all’istituzionalizzazione”(Barboloni 1995,p.11).
Accanto alle scuola diretta a fini speciali a Roma gli educatori ricevono una
formazione presso le scuole regionali o presso i centri delle USL che rilasciano
attestati di formazione come “educatore professionale” generalmente dopo 3
anni di frequenza. L’abilitazione professionale non è obbligatoria. Si usa
invece distinguere tra >diploma< e >professional qualification< in Gran
Bretagna e tra >diploma< e >riconoscimento dallo stato< in Germania, dove
non si ottiene di regola la qualificazione professionale esclusivamente con
l’attestato rilasciato dalle scuole superiori, ma è anche necessario un
riconoscimento del ministero responsabile.
In Italia c’è stata la conversione del corso di laurea in pedagogia in corso di
laurea in scienze dell’educazione che offre la possibilità di ricorrere a
pedagogisti laureati da inserire in questo settore: educatori professionali
extrascolastici in alternativa a insegnanti negli istituti secondari ed esperti nei
processi di formazione. Il master “operatori nel campo della prevenzione e
della riduzione del disagio scolastico nell’età preadolescenziale” mostra con
chiarezza che la differenziazione dell’ambito professionale, dell’offerta
formativa e della denominazione professionale si sta facendo strada.
Questo sviluppo che caratterizza tutta l’Europa implica che non si arriverà mai
ad una omogeneizzazione o unificazione del lavoro sociopedagogico. I governi
europei cercano di unificare strutturalmente i percorsi formativi, ma il rovescio
della medaglia di queste tendenze europee volte alla globalizzazione è la
nascita di nuove professioni che sfidano quindi tale tendenza all’unificazione
(>social care< in Gran Bretagna, >Management sociale< in Germania); coloro
che offrono servizi sociali, siano questi statali, appartenenti ad associazioni
umanitarie, a cooperative o ad organizzazioni con scopo di lucro, devono
necessariamente rispondere ai seguenti interrogativi: chi fa cosa e per chi?
Perché? Con quali competenze? Con quali costi? Che opinioni hanno i
25
clienti/fruitori dei servizi? E’ necessaria un’idea professionale di se stessi
chiara e trasparente.
Fino a qui quest’ambito professionale è contraddistinto da 2 gruppi
caratteristici: “Nella maggior parte die paesi dell’Unione Europea la
formazione alle due principaöi professioni che si dedicano al lavoro sociale, gli
educatori sociali/specializzati/professionali/lavoratori per la communità e la
gioventú
e
gli
assistenti
sociali
è
attività...In
generale
l’educatore
sociale/professionale è un educatore che non svolge la propria attività solo nei
confronti di persone in difficoltà (come educatore specializzato), ma per tutta
la populazione con finalità di prevenzione sociale e generale con la prospettiva
di
contribuire
al
meglioramento
della
qualità
della
vita”
(Macon
1998,p.341/342).
Filtziger scrive che il terreno in cui l’educatore opera comprende il lavoro
sociale e preventivo nell’ambito della cosiddetta normalità: lavoro in istituti,
luoghi di abitazione in comune, centri di accoglienza per minorenni, ospizi per
anziani, servizi psichiatrici territoriali. In uno scritto del comitato europeo di
istituzioni di formazione per educatori sociali si legge: “con l’espressione
“educatore specializzato” si intende uno specialista che dopo una specifica
formazione incoraggia la trasformazione di metodi e tecniche sociali, lo
sviluppo personale, la maturazione sociale e l’autonomia dei giovani e degli
adulti che si trovano in situazioni difficili, dei portatori di handicap, dei
disadattati e di coloro che sono in pericolo. Lo specialista condivide con questi
soggetti le diverse situazioni di vita quotidiana, siano queste spontanee o
organizzate, lo fa all’interno di strutture o di servizi, oppure in naturali
condizioni di vita; è un’attività che si indirizza all’individuo e all’ambiente
circostante. (citazione di Filtzinger 1993, P.143)
Questa definizione sottolinea gli aspetti pedagogici dell’attività, si riferisce
all’esigenza di sviluppo, di riabilitazione dei disadattati. Gli educatori sono
dunque responsabili dell’osservanza delle leggi e dell’integrazione sociale.
26
Questa discussione è affrontata in Italia da Rino Fasol nel volume: Adams/Erath/Shardlow
(Ed. 2000) Foundamentals in social Work in Selected European Countries, P.65-82.
Allegato 2, testo in italiano
L’esempio tedesco
Nella metà del XIX sec. Avvennero in Germania significanti cambiamenti
sociali. La popolazione crebbe velocemente (aumentando di 40 milioni dal
1800 al 1871), l’agricoltura non era più sufficiente come mezzo di
sostentamento. La gente si diresse verso i centri industriali che proliferavano
rapidamente e perdette perciò i contatti con i sistema di assistenza informali e
privati. Il bisogno e la povertà si acutizzarono nelle città cosicché i comuni si
videro costretti a reagire a questa nuova situazione. Lo stato non intraprese
provvedimenti sociopolitici e ci furono iniziative private che tentarono di
arrestare il problema attraverso l’adozione di misure (istituzione di consorzi di
consumo e produzione, associazioni di soccorso, fino ad arrivare alla
fondazione dei sindacati).
La situazione di povertà e bisogno caratterizzava una molteplicità di individui
e non era solo un problema sociale individuale, la questione sociale divenne
dunque un punto focale dello sviluppo sociale. Inoltre divenne chiaro che i
problemi non avevano solo una dimensione sociale, ma toccavano anche la
dimensione politica. del problema dell’assistenza ai poveri si occuparono le
organizzazioni di beneficenza ecclesiastiche e private che possono essere
comparate alle Opere Pie italiane. I comuni inoltre svilupparono un sistema di
assistenza ai poveri su basi onorarie, il più conosciuto è certamente quello della
città di Elberfeld, che venne istituito nel 1853. La città venne divisa in 140
quartieri circa e ogni quartiere aveva i propri assistente onorari (volontariato)
che abitavano nei quartieri stessi ed erano 3-4 persone o famiglie competenti.
“In questo modo era facile soccorrere i bisognosi di aiuto, ognuno si occupava
di un certo numero di individui.” (Herig/Münchmeier 2000, P.30)
27
Gli operatori sociali che si occupavano dei poveri potevano concedere aiuti
economici in accordo con i comuni. Con questo sistema, che fu adottato in
molte città, si delineò una struttura di intervento sociale che è sopravvissuta
fino ad oggi e che viene denominata “duplice mandato”, perché si tratta di
aiuto/assistenza e controllo.
In quest’epoca, caratterizzata dal passaggio da una società stabile ad una
società di classe, emerse per la prima volta il concetto di pedagogia sociale.
Karl Mager (1844) e Adolf Diesterweg (1850) descrissero la nuova situazione
in Germania in modi diversi. Diesterweg con il termine “ pedagogia sociale” si
riferì a tutti i tentativi di compensare e ridurre la povertà e i problemi ad essa
legati attraverso aiuti materiali, provvedimenti politici, educazione sociale e
speciali misure educative. I cambiamenti sociali
svelarono che il contesto
familiare non era più sicuro e che la parrocchie non erano in grado di fornire
abbastanza appoggio e ricoprire una funzione socioeducativa. La mancata
educazione intesa come disintegrazione, disadattamento e negligenza venne
concepita come un pericolo per l’esistenza comune. Il fatto che le pretese
eccessive delle famiglie potessero condurre alla negligenza non era qualcosa di
nuovo, ma nuova era la concezione che tutto ciò dovesse essere risolto dal
punto di vista pedagogico come problema sociale e non più individuale.
Lo stato dovette agire e assicurare contributi necessari ad accogliere la forza
lavoro e a canalizzare la pressione politica dei lavoratori. Fu così che negli
anni in cui Bismarck fu cancelliere, dal 1881 al 1889, sorsero le prime
assicurazioni sociali: contro le malattie, gli infortuni e la vecchiaia; nel 1927 si
aggiunse anche l’assicurazione contro la disoccupazione. Importante è
sottolineare che proprio con l’introduzione di garanzie relative ai rischi dei
lavoratori, cambiò il carattere dell’assistenza ai poveri.
Una volta che i bisogni materiali erano assicurati, emersero altre necessità di
carattere interiore, ossia problemi individuali che dovevano essere eliminati
con provvedimenti pedagogici e psicologici.
28
I provvedimenti psicologici acquisirono sempre maggior importanza.
Interventi di questo tipo non potevano più essere affidati ad assistenti onorari,
serviva personale con una precisa formazione. Fu in questa fase in fatti che il
lavoro sociale iniziò a configurarsi come professione. Il movimento
femminista borghese ha contribuito notevolmente a questo sviluppo. Sorsero
centri di formazione e sotto la guida di Alice Salomon venne inaugurato il
primo istituto professionale femminile di assistenza sociale che rilasciava un
attestato/diploma di formazione dopo 2 anni. Da un lato, così come in altri
paesi, la formazione non universitaria nel settore del lavoro sociale era
riservata alle donne: dall’altro lato divenne chiaro che gli interventi dovevano
essere differenti a seconda del contesto in cui si operava e ogni sistema si
costituiva su standard e programmi peculiari.
“Questa programmazione degli interventi aveva come vantaggio il fatto che le
esigenze reali di aiuto non erano più concepite come richieste illegittime
dipendenti dalla grazia e dalla pietà di un’assistenza comunale ai poveri
obbligatoria e repressiva o della carità cristiana motivata. Ora si trattava di
esigenze di aiuto che potevano dimostrare la loro legittimità e che si
ampliavano in base alla tipologia e alla dimensione degli interventi di
assistenza.
Di pari passo con la formalizzazione e legalizzazione degli aiuti, procedette la
loro >depersonalizzazione<.
Indipendentemente dalle riforme sociali il movimento femminista borghese si
era
riproposto
di
rafforzare
l’attività
degli
aiuti
sociali.
Il
>sentimento/atteggiamento maternità< (Mütterlichkeit) era concepita come
peculiarità dell’essere donna, e proprio perché gli uomini non erano
biologicamente predisposti a questo, risultavano anche poco idonei al lavoro
sociale inteso come aiuti personali. Il >sentimento/atteggiamento maternità<
era dunque vista come una dote innata nelle donne di educare, guarire,
proteggere e prendersi cura, in quanto espressione di calore, emotività densa di
sentimento. Questa idea del >sentimento/atteggiamento maternità< si pose
29
criticamente contro la società contemporanea. “Contro le conseguenze
distruttivi e disgregatrici dell’industrializzazione, contro le generalizzazioni
della
razionalità
oggettiva
e
tecnica
il
principio
femminile
del
>sentimento/atteggiamento maternità< poteva creare un argine di protezione
con il suo calore, la sua emotività e poteva dare vita ad un’interezza sociale. Il
>sentimento/atteggiamento
materno<
fu
quindi
concepita
come
contrapposizione ai principi capitalisti di concorrenza, interesse personale,
specializzazione. burocratizzazione tipicamente maschili.” (Sachsse 1986,
p.114)
Non c’è dunque da stupirsi se il lavoro sociale fu concepito come sinonimo di
>sentimento/atteggiamento maternità< e considerato quasi naturalmente un
ambito di lavoro femminile.
Alice Salomon motivò come segue le sue aspirazioni professionali: “…accanto
alle caratteristiche che uomo e donna in egual modo possiedono, accanto alla
fedeltà per il proprio dovere, allo zelo, alla costanza e all’affidabilità, la donna
porta con se in questo tipo di lavoro la sua peculiare vita sentimentale, la sua
dolcezza nel comprendere, la sua indulgenza….la sua cura e la sua
coscienziosità nell’assolvere anche doveri di scarsa importanza…..infine il
>sentimento/atteggiamento materno<, la capacità e l’amore materno può essere
trasferito dall’ambito domestico alla comunità, al mondo che necessita
urgentemente di queste forze.” (citata da Gildemeister 198, p.32 e seguenti)
Secondo Sachsse (1986) il lavoro sociale moderno e professionale nacque
grazie al connubio tra le riforme sociali borghesi (che necessitavano di
personale specializzato per la loro realizzazione) e il movimento femminista
borghese, che “attraverso il simbolo della maternità spirituale sviluppò un
ambito di lavoro e un profilo di qualificazione che assicurarono alla donna
borghese una sfera di attività sociale utile e riconosciuta al di fuori della
famiglia e fondò nuove basi professionali e sistematiche del lavoro
sociale."”(Olk/Otto 1987,p.9)
30
La pedagogia sociale come disciplina scientifica si sviluppò a livello
universitario soprattutto negli anni successivi al primo conflitto mondiale (cfr.
Hermann Nohl), ma ebbe un ruolo subordinato nel contesto del lavoro sociale
pratico. Le scuole per operatori sociali avevano uno standard notevole ed erano
in continuo contatto con luoghi di formazione di altri paesi. A questo periodo
risale anche la definizione di pedagogia sociale di Gertrud Bäumer che
evidenziò in Germania la tipica distinzione tra pedagogia sociale e lavoro
sociale. La pedagogia sociale fu definita come educazione al di fuori della
famiglia e della scuola e che per questo reclamava un terreno sociale d’azione.
Per quanto riguardava il lavoro con i giovani, soprattutto giovani in pericolo,
era necessario ottenere ascolto e avere appoggio. I processi di attività sociale
che erano pericolosi dovevano essere corretti attraverso provvedimenti
pedagogici mirati ad aiutare i giovani e non animati da preoccupazioni rivolte
alla società.
Ora andiamo avanti negli anni. Il dominio nazionalsocialista dal 1933 al 1945
arrestò progressivamente questo sviluppo. Dopo la seconda guerra mondiale si
dovette ricorrere a modelli do formazione risalenti agli anni Venti (della durata
di 2 anni). Solo nel 1960/61 gli istituti di formazione furono al livello di scuole
superiori professionali e di accademie; fu dato rilievo alla componente teorica
e la durata della formazione raggiunse i 3 anni (cfr. Friesenhahn/Seibel 1994).
Un importante risultato di questa rivalutazione e professionalizzazione fu
l’incremento dell’importanza dello status di esperto.
Nel 1969 vennero introdotti a livello universitario nuovi corsi di laurea:
scienze dell’educazione con indirizzo “pedagogia sociale”.
Nel 1971 le Accademie
trasformate
professionale
in
e
e le Scuole Superiori Professionali vennero
>Fachhochschule/istituto
integrati
nel
sistema
superiori
di
specializzazione
terziario
di
formazione.
Il
>Fachhochschule< nel frattempo viene designate a livello internazionale come
31
“Università delle scienze applicate”. La loro prassi accademica venne descritta
con la formula „practice-related on a scientific foundation“.
I corsi offerti si chiamano Lavoro Sociale o Pedagogia Sociale e hanno una
durata che va dai tre ai quattro anni e si concludono con un diploma
(universitario).
Per i corsi di durata triennale esiste un anno cosiddetto di riconoscimento, a
conclusione del quale il ministero responsabile rilascia la qualificazione
professionale. Nel caso dei corsi di durata quadriennale l’anno di
riconoscimento è integrato nel corso di studi come periodo di tirocinio e la
qualificazione professionale viene rilasciata insieme alla diploma/laurea in
accordo con il ministero responsabile della >Fachhochschule>
In totale la parte di pratica in questo tipo di istituto accademico copre il 40%
delle ore. Nelle università la parte dedicata alla pratica è radicalmente più
ridotta.
Al momento stiamo sviluppando un nuovo corso di studio con i corsi lavoro
sociale e pedagogia sociale: il nuovo indirizzo di studi
che li verrà a
comprendere verrà chiamato >Soziale Arbeit< (servizi sociali)
Il lavoro con i giovani fino a questo momento poteva essere scelto in ogni
corso di studi come indirizzo di specializzazione.
Una peculiarità essenziale dell’educazione universitaria tedesca resterà
comunque intatta: la formazione di operatori sociali è orientata in senso
generalizzato. Le specializzazioni verranno lasciate ai corsi post laurea.
Eppure esistono differenze tradizionali nell’autopercezione dei due indirizzi di
studio e dei due gruppi professionali, che hanno a che fare con le loro radici
storiche.
Per prima cosa la cura dei poveri da parte delle autorità con il suo carattere di
controllo, o meglio repressivo e poi la pedagogia influenzata dai principi
dell’Illuminismo con il suo programma dell’educazione totale e del rispetto
della personalità del bambino. Formazione, educazione e apprendimento sono
in primo piano.
32
Sul piano della prassi, dell’esercizio della professione questa differenza storica
gioca ancora a malapena il proprio ruolo.
La relazione tra pedagogia sociale e lavoro sociale in Germania è oggetto
adesso come prima di dibatti scientifici e teorico-professionali. Adesso si parla
sul >Soziale Arbeit<.
Negli “Raccomandazioni per l’istituzione nel corso di diploma universitario in
servizio sociale” della Provincia Autonoma di Balzano si trova una proposta
per >Soziale Arbeit<:Servizio Sociale.
“Nell’area di Servizio Sociale si collocano le conoscenze teorico –scientifiche
del lavoro sociale professionale (dell’assistente sociale – dell’educatore/ice
sociale) e la metodologia di applicazione delle medesime nei vari campi di
intervento”
Si discute la necessità e la possibilità di una “scienza del lavoro sociale” indipendente, che
senza pedagogia risulti una disciplina leader.
Per una valutazione delle differenze e delle similarità vedi anche:
Lorenz (1994).Social Work in a Changing Europe, p.87 e seguenti
Erath,P./Klug,W.Sing,H. (2000). Social Policy, Social Security and Social Work in
Germany.In:Adams, A./Erath,P./Shardlow.St (2000) Fundamentals of Social Work in
Selected European Countries,p.49 e seguenti
Teorie e concetti: la prospettiva internazionale
Nella storia centenaria dei lavori sociali sono stati sviluppati numerosi concetti
e teorie. Alcuni di questi modelli vengono discussi solo nel loro ambito
nazionale, altri travalicano i confini nazionali e trovano una loro collocazione
anche in dibattiti internazionali.
Con tutte le differenze evidenziabili nei modelli teorici e nei concetti elaborati
è comunque evidente che l pedagogia sociale mira innanzitutto ad aiutare gli
uomini e a sostenerli positivamente nel loro sviluppo – solo il “per cosa” e il
33
“con cosa” ha continuato ad essere scambiato nel corso della storia. Ciò
diventa chiaro analizzando teorie e concetti.
Walter Lorenz (1994, S. 81 seg.) identifica tre grandi scuole teoriche:
il paradigma scientifico-sociale
il paradigma psicologico
il paradigma pedagogico
Vedi pure Erath/Hämäläinen (2001) Social Work Theories
Non esistono in forma così distinta, ma possono servire da orientamento.
La domanda di base viene sempre posta da un punto di vista scientifico: qual è
l’ambito della scienza, qual è l’oggetto della scienza? Staub-Bernasconi (1996)
ha sviluppato una comparazione storico-strutturale, orientata in senso
internazionale, che va interpretata in modo differenziato per ogni stato.
Da questa visuale il lavoro sociale si costituisce come una tipologia speciale di
rapporto con uomini, cose e idee e come professione del diritto dell’uomo.
Il lavoro sociale è una risposta ai problemi sociali con lo scopo di aiutare gli
uomini in modo integrale (v. Staub-Bernasconi 1986).Staub-Bernasconi ha
sviluppato un approccio integrale
per comprendere e per descrivere i problemi sociali (conoscienza dell’oggetto),
per spiegare i problemi sociali, (conoscienza delle spigazioni)
per valutare i problemi sociali servendosi di criteri e per cambiare in tal modo
gli obiettivi (conoscienza dei valori e criteri),
per mutare i problemi sociali (cocnoscienza dei processi) e per controllare se il
fine nascosto è stato raggiunto.
Si tratta di una peculiare definizione funzionale del lavoro sociale,
indipendente dalla società e da altri saperi: “anziché ratificare le discipline
basilari come la psicologia, la psicologia sociale, la sociologia e l’economia,
inoltre la filosofia, l’etica e il diritto ecc.. all’inizio di ogni riflessione e poi
34
sezionarle per trovare se e cosa derivi dal sapere comune per il lavoro sociale ..
propongo di comportarsi come segue: l’oggetto, cioè i problemi sociali che
riguardano il lavoro sociale, raffigura il punto in cui sfociano gli interrogativi
delle discipline summenzionate…” Staub-Bernasconi 1985 P.261). Il lavoro
sociale deve assimilarsi ai diritti dell‘uomo, “uscire dai compiti specifici e con
fondamento scientifico” (Staub-Bernasconi 1995, P.67). Si tratta di una nuova
consapevolezza professionale, che non mira alla società ideale, ma “più
modestamente ad una società un po’ ingiusta” (p. 80).
Con il titolo "Il lavoro sociale alla ricerca di paradigmi autonomi" a Koblenz
nel 1996 in occasione di una conferenza internazionale ha tenuto una discorso,
da cui traggo, abbreviandoli, i passi più significativi
Silvia Staub.Bernasconi:
Soziale Arbeit auf der Suche nach autonomen Paradigmen
cfr. Seibel, F.W/Lorenz, W.(Hrsg) (1998) Soziale Professionen für ein soziales Europa,
Frankfurt:IKO-Verlag, p.61-100
La versione inglese è pubblicata su:
The History of the Object Base of Social Work Theory. Comparisons between German,
Anglosaxon and International Theoretical Approaches.
cfr.Marynowicz-Hetka, E./Wagner, A./Piekarski, J.(Ed) (1999)
European Dimensions in Training and Practice of the Social Professions. Katowice: Slask,
p.57-78
ISBN 83-7164-184-2
La concettualizzazione dell’oggetto del lavoro sociale ha un significato
basilare, dato che senza oggetto non ci sono né una teoria né una scienza del
lavoro sociale.
Si tratta di chiarire la domanda seguente: cos’era e cos’è ora come prima il
motivo immediato per la formazione di una funzione e di una professione
35
dell’operatore – e il motivo è rappresentato nella formulazione più rapida
innanzitutto dagli uomini, che non sono in grado di aiutare se stessi in una
società industriale che si forma e si fonda sul capitale privato, quando si
trovano in una situazione di necessità, uomini a cui per la loro sopravvivenza il
sapere guadagnato fino a quel momento, la conoscenza e altre risorse socioeconomiche non bastavano e/o che trasgredivano norme emanate e doveri
codificati.
A differenza di uomini più agiati, non erano in grado di appoggiarsi alla
solidarietà dei parenti, dei vicini, in breve della comunità e allo stesso modo si
ripiegavano su una solidarietà astratta, garantita dal punto di vista del diritto
sociale, una solidarietà che garantisce l’esistenza dal punto di vista
sociostatale.
La storia dell’oggetto del lavoro sociale in senso stretto significa innanzitutto
vicinanza
e fedeltà ai problemi e ai contesti sociali e culturali dei suoi
destinatari per rappresentare la storia delle immagini e dei concetti.
Si tratta della domanda:
− Come è stata trasferita la realtà dei problemi dei destinatari del lavoro
sociale “sul concetto”?
− Si possono distinguere diverse fasi?
− Quali tratti caratteristici ha l’individuo oggetto dell’osservazione bisognoso
di aiuto e di apprendimento?
− Di quale (parte di) sistema sociale è membro questo individuo e quale
posizione sociale occupa?
− Quali (parti di) sistemi sociali vengono compresi implicitamente o
esplicitamente nella determinazione dell’oggetto? Quanto stretto o quanto
ampio è l’angolo di visuale sul mondo sociale dei destinatari del lavoro
sociale in una società mondiale in via di formazione?
36
Ciò permette di formulare
la seguente domanda “dietro le quinte” : quali
sistemi (parziali) vengono caricati di problemi come conseguenza della
definizione dell’oggetto scelta, quali vengono invece implicitamente o
esplicitamente liberati da problemi come conseguenza della stessa?
Inizia così una fase di costituzione della teoria più facile da dischiudere che da
concludere anche se una nuova definizione dell’oggetto si immedesima spesso
nella critica e nell’abbandono di quella valida fino a quel momento.
La maggior parte delle definizioni dell’oggetto hanno avuto infatti fino ad oggi
un peso diverso ed una rilevanza diversa sulle rivendicazioni di scientificità.
Comprendo nelle mie osservazioni anche l’area anglofona, contributi
internazionali
e documenti dell’ONU. É noto infatti che comparazioni
interculturali rendono possibile una comprensione migliore della situazione
locale.
Prima fase a partire circa dal 1890
Individuo: gli uomini e i loro bisogni non soddisfatti – la fame, malattie causate dagli stessi
esseri umani (rifiuti industriali tossici; condizioni abitative miserrime, rimozione dei rifiuti
deficitaria ecc..); processi di apprendimento e di formazione impediti, analfabetismo; lavoro
squallido, pericoloso, monotono, povertà/disoccupazione; l’essere incolti, mancanza di
“nutrimento spirituale”, fantasie sterili di onnipotenza o di impotenza, criminalità, violenza.
Sociosistemi parziali: possibilità di accesso mancanti; regole strutturali che impediscono la
distribuzione del potere; criteri puramente economico-industriali nel rapporto con i poveri;
istituzioni non professionali e apparati della struttura sociale
Società: struttura sociale e cultura capitalistica distruttiva e limitante e le forme di
adattamento individuale a queste strutture che ne derivano (“domanda sociale”). Mancanza
di democrazia e morale ambigua – normalità concepita in termini sociodarwiniani –
individualismo,
consumismo,
nazionalismo,
eroismo
maschile
come
ideale
educativo,
guerra e violenza.
In questa fase ci troviamo davanti ad una critica e ad uno smantellamento di concetti
moralizzanti e devalorizzanti ( pigri, ubriaconi, truffatori, ragazze abbandonate, moralmente
37
cadute in basso, psicopatici, ecc.). tali concetti furono sostituiti dall’idea che la povertà così
come il comportamento giudicato dalla società antieconomico e distorto fossero da
ricondurre in prima linea alla soddisfazione strutturalmente impedita dei bisogni, a modelli
di povertà e di disoccupazione culturalmente inadatti, in definitiva individualistici e ai
processi psichici e sociali che ne derivano di adattamento a condizioni di indigenza. A ciò
si aggiunse la problematizzazione della possibilità deficitaria di apprendere e formarsi.
I problemi furono localizzati su tutti i livelli sociali, cioè Individuo, Famiglia, Piccolo
gruppo e Vicinato, Quartiere e Città, Organizzazione, Nazione e Società mondiale e
attaccati con le risorse disponibili.
Eminenti teorici tedeschi dell’epoca (Scherpner e Klunker) si limitano nel determinare
l’oggetto all’individuo come colui che riceve l’assistenza. Scherpner come storico
dell’assistenza giovanile (1966) codifica la “assenza di custodia” come seconda categoria
diagnostica centrale. Essa sta per diniego morale come contraltare rispetto all’ordine morale
della comunità legittimamente costituito. Scherpner si limita con la sua concezione
dell’oggetto esplicitamente a concettualizzazioni politiche e sociopolitiche del Lavoro
sociale (1962:131s, 157s), che egli non vuole veder mescolate con l’assistenza.
Seconda fase a partire da circa il 1920
Individuo: problemi psicosociali e problemi di atteggiamneto.Uomoni vengono riguardati
come “mazzo di sintomi clinici”. La domanda più importante è. I problemi individuali sono
causato intra- psichico o sono il resultato da processi di apprendimento non adatti/non
adequati
Dal 1950 viene riformulata questa tradizione dell'oggetto tramite forti prestiti dalla
psicologia umanistica in direzione di una autorealizzazione deficitaria. In riferimento al
livello dell'intervento per questa fase e per questa tradizione teorica è caratteristica una
chiara propensione per l'individuo e in parte anche per la famiglia. Il lavoro di gruppo viene
vieppiù considerato un tipo di passatempo o come un tipo di semplice lavoro di animazione
e deve quindi lottare per essere riconosciuto alla stregua di lavoro sociale/terapia sociale
riconosciuti.
In Germania dopo il 1945 si assiste ad una nuova ripresa del lavoro sociale, grazie al
sostegno delle forze alleate, sia sotto forma di viaggi di studio, di bibliografia specialistica
estera, di conferenze, seminari e di corsi di specializzazione con esperti inglesi, americani,
olandesi. Si parla di lavoro sul grande deficit di modernizzazione e di democrazia della
Germania.
38
Terza fase a partire da circa il 1960
Individuo: stress, mancanza di adattamento psichico e esaurimenti nervosi.
Famiglia - gruppo - associazioni/organizzazioni:
Discostamenti
dall'equilibrio
dinamico,
differenziazione
e
integrazione
di
situazioni
problematiche di matrice sociostrutturale in riferimento all'individuo come membro della
famiglia, di un gruppo , di una comunità, di organizzazioni ("the client in and as a system")
Società: possibilità e struttura di potere dell'intera società; diversità di possibilità tra bianchi
e neri come problema dei diritti costituzionali volontariamente introdotti: altri problemi di
minoranza.
Si distingue innanzitutto la ricerca di Gordon Hearns di una cornice interdisciplinare di
riferimento per l'integrazione dei tre canali/metodi professionali di accesso alla realtà dei
problemi sociali, cioè Case-, Group- e Communitywork.
La sua tesi è che i tre lavorino con tutti i sistemi sociali e psichici.
Il comportamento umano viene inteso come risultato dell'interazione tra organismi, sistemi
sociali e psichici.
Anche la povertà e la diversità, possibilità deficitarie di partecipare a diritti civili garantiti
diventano un tema di dibattito - soprattutto negli USA.
Particolarità in Europa
Nascita dei corsi di formazione nelle università.
All'inizio degli anni 60 si individua una fase di forte focalizzazione sui problemi individuali
e psico-sociali, tra l'altro ampliata attraverso una rieducazione democratica all'interno di una
dinamica di gruppo e di lavoro di gruppo.
Quarta fase a partire da circa il 1970
Ulteriore sviluppo delle determinazioni dell'oggetto dal 1960 e tentativi di sistematizzazione
della base scientifica del lavoro sociale.
Individuo:
transazioni tra individui e stress da adattamento connesso (Life Model di Germain &
Giterman)
Sistemi sociali parziali/organizzazioni:
39
rinnovate posizioni teoretico-sistemistiche, riferite ai problemi della costruzione del sistema
sociale, comunicazione e relazioni (emozionali).
Il modo di pensare teoretico-(systemtheoretisch) in questa fase prosegue concettualizzando
la diagnosi e i processi ausiliari come interazione tra membri dei sistemi parziali più
differenti tra loro, ma anche nel pareggiare il trattamento delle famiglie con un tipo di lavoro
sociale concepito in modo teorico-sistematico.
Vengono tematizzati i problemi e le necessità di uomini in tre ambiti di situazioni vitali, cioè
le fasi di sviluppo, i cambiamenti di status sociale e di ruolo e
le crisi, potenzialmente
possibili, ad essi connesse, i conflitti in gruppi grandi e piccoli così come nel loro ambiente
sociale e psichico (Germain & Gitterman). L'oggetto del lavoro sociale si limita sempre più
a processi di scambio; i segnali degli individui che interagiscono tra loro si collocano sullo
sfondo. Si parla di problemi di comunicazione (paradossi) nei loro aspetti psicosociali e
semantici.
Definizioni dell'oggetto europee e le loro particolarità:
Individuo:
rischi del posto di lavoro, estraniamento, identità danneggiata
Famiglia:
problemi di comunicazione e (di ricezione) del sistema
Organizzazioni:
i professionisti e le loro direzioni organizzative come problema principale, processi di
etichettamento e di stigmatizzazione
Società:
capitalismo, dicotomia tra sistema e mondo vitale / quotidianità
Nel campo del lavoro sociale le definizioni di tipo comunicativo teoretico-sistematiche
dell'oggetto conoscono una forte fase di espansione in Europa.
Vengono coperte da una critica del capitalismo che si annuncia in modo fortissimo: il
problema principale è l'ordine sociale capitalistico e, problemi che ne derivano, la
disponibilità del capitale, lo sfruttamento della forza di lavoro umana, i lavoratori come
massa di manovra del capitale e i processi di declassamento correlati diventano un tema
centrale delle definizione dell'oggetto di stampo sociolavorativo. Le organizzazioni della
40
cosa sociale e i professionisti sono presenti - a differenza della comprensione della teoria
negli USA -, non sono dei meri correttivi di questa situazione, ma agiscono al servizio degli
interessi capitalistici. In corrispondenza di ciò le analisi dell'oggetto consistono nello studio
delle prospettive teoriche funzionali critico sistematiche in riferimento ad ogni compito solo
pensabile del lavoro sociale, per commisurarlo all'idea di emancipazione pluralisticamente
collettiva, compresa in termini specifici di classe e di "società emancipata" (Thiersch).
Anche i processi di declassamento vengono però problematizzati. Lo sguardo si dirige su
trasgressioni della norma legate al comportamento
e si volge contro le istanze sanzionanti
che tendono ad applicare etichette e a controllare, a colonizzare nel pubblico e contro i
professionisti nelle scuole, negli enti, nelle cliniche, nei centri di terapia, nelle stazioni di
polizia come esecuzione della pena (come "istituzioni totali").
Due tipi di logiche, cioè prima di tutto quei sistemi sociali estranianti, tecnologicorazionalistici
e
in
secondo
(Lebenswelt:Orientamento
luogo
all’ambiente
contrapposte, cosa che porta
la
logica
di
vita)o
estranea
del
all'uomo
mondo
della
della
quotidianità
vita
vengono
ad un critica sistematica della specializzazione e dell'essere
esperti di stampo scientifico. L'essere esperti equivale quasi a colonizzazione e diviene cosi
un problema vero del lavoro sociale. La professionalizzazione non è da comprendere più
come una risposta ad una competenza deficitaria di risoluzione sociale dei problemi, ma
come una espropriazione .Illich diviene un esempio principe di questo intervento e le
iniziative civiche che ne derivano e i movimenti di auto-aiuto con la loro critiche a forme di
aiuto
interdicenti
(Basaglia)
portano
ad
introdurre
dibattiti
teorici
intorno
alla
deprofessionalizzazione.
Quinta fase fine degli anni 70, anni 80
Individuo:
L'uomo nel suo ambiente ecologico e sociale; adattamento alla vita come compito rischioso,
gravato da una dose di mancanza di conoscenza; rottura della famiglia normale
Società:
Società del rischio; distruzione della normalità e detradizionalizzazione; stato sociale, stato
del welfare e scienza come problema.Rapporti tra i sessi: società multiculturale e razzismo
41
L'oggetto del lavoro sociale può essere definito qui come malessere individuale verso la
struttura sociale e verso la cultura, in breve come problemi sociali e individuali cumulativi
In parallelo la tesi dell'individualizzazione delle condizioni di vita e della pluralizzazione
degli stili di vita viene largamente recepita nel lavoro sociale/nella pedagogia sociale in
riferimento
alla
"società
del
rischio"
(Risikogesellschaft)di
Beck.
Si
descrivono
la
distruzione della biografia normale, della famiglia normale, delle condizioni di lavoro
normali, la forza di integrazione del luogo di provenienza tradizionale e del luogo dei valori
tradizionali così come l'aumento contemporaneo di decisioni non normativizzate e quindi
affette dal rischio, se anche decisioni dipendenti dal sapere e affette dalla non conoscenza,
cmpiti rischiosi.
La critica della struttura diviene tendenzialmente una critica della cultura,
che ha una lunga tradizione in territorio tedescofono.
A differenza degli anni 70 la critica al lavoro sociale comporta una svolta: sullo sfondo di
una critica della scienza esercitata sui grandi rischi del dominio degli uomini e della natura,
reso possibile dalla scienza, non c'è più la sua scientificizzazione mancata, ma , a livello di
dibattito,
la
sua
credenza
ingenua
nell'anelito
razionalistico
della
scienza
e,
in
corrispondenza di ciò, in una tecnologia sociale fondabile scientificamente.
Diviene centrale come concetto delle condizioni di vita (Lebenslage): "le appartenenze a
strati convenzionali e a classi convenzionali sono entrate sullo sfondo. Parliamo oggi quindi
di condizioni di vita socioeconomiche come ambientazioni di risorse condizionate in senso
socioeconomico e garantite in senso sociostatale e di spazi culturali di gioco dinamico, che
regolano le possibilità di dispiegamento di stili di vita e la partecipazione o l'essere legati ad
ambienti "(Böhnisch)
Particolarità in ambito angloamericano:
Putting Gender, Race and Peace on the Agenda!
Commisurati al peso e alla risonanza delle discussioni di cui sopra, gli apporti teorici
americani e anglosassoni riguardo al sessismo, al classismo e al razzismo come problemi
della clientela così come dell'organizzazione del lavoro sociale e anche gli apporti di ricerca
sulla femminizzazione della povertà giocano un ruolo molto modesto, se non quasi non
considerato.
Vale la pena di tenere in considerazione che proprio il "concetto di classe" come concetto
problematico
ha
mantenuto
il
suo
ovvio
posto
nella
bibliografia
specializzata
angloamericana, mentre in territorio tedescofono è divenuto un concetto tabù - come è da
42
comprendere e convalidare a livello informale) - per motivi ideologici, politici e accademici
(cioè legati alla carriera).
Sesta fase a partire dal 1990
Individuo e famiglia:
individualismo e critica dei consumi, violenza endofamigliare e maltrattamento;
Comunità:
accordo comunitaristico di doveri nei confronti della società come accomodamento delle
esigenze individuali e sociali e diritti nei confronti dello stato
Stato sociale/organizzazioni della società:
crisi dello stato sociale, sfruttamento dello stato sociale
a causa dell'inflazione delle
esigenze e dei bisogni; complicità della clientela; irrigidimento burocratico, inefficienza e
diseconomizzazione delle prestazioni assistenziali.
La critica in certi circoli specialistici mossa da lungo tempo, ma anche la critica di destra e
di sinistra allo stato del welfare e la specializzazione vedono in questa fase i loro risultati
teorici e pratici: bisogna constatare un rivolgimento più o meno radicale della critica della
struttura conosciuta finora e della definizione del problema.
Non sono più gli uomini gli essere a cui si chiede troppo e a venire sfruttati strutturalmente,
bensì lo stato sociale - come partecipante erroneo dell'evoluzione sociale -, che attraverso
esigenze esagerate viene eccessivamente caricato e sfruttato. Il percorso autonomo
dell'approccio sociale ai problemi e gli innumerevoli aiuti rafforzano questi problemi.Inoltre
esso è collegato ad innumerevoli rischi (e non più gli individui o coloro che dipendono da
uno stipendio).
Alla stregua di un concetto globale universalmente utilizzabile il concetto delle condizioni
di vita (Lebenslage) giunge al centro dell'indagine: secondo Geissler va definito "la
particolarità della Germania occidentale" in quanto differenzia, pluralizza, individualizza e
dinamicizza appartenenze convenzionali a strati e a classi sociali.
Anziché ergersi e accanirsi contro disuguaglianze della struttura sociale, ci si compiace
sempre più delle sfaccettature colorate e dinamiche delle condizioni di vita e delle forme di
vita: " la ricerca critica della disuguaglianza si trasforma davanti ai nostri occhi in una
ricerca più o meno inscindibile delle sfaccettature da un punto di vista sociopolitico ... "
43
In questi vuoti teorici in qualche modo strappati tra stato, individualizzazione/condizione di
vita, mercato e comunità entra solo il concetto del lavoro sociale come "prestazione di
servizi focalizzata sulla persona".(Personenbezogene Dienstleistung)
Supponendo che il sapere professionale e quindi rivolto al destinatario attraverso l'influsso
di segni distintivi di forme organizzative di aiuto perda rilevanza, vengono discussi vantaggi
e svantaggi delle esigenze legislative, di solidarietà e contratto reciproci.
Questo è valido fino all'affermazione "il cliente è il re"
Le ragioni implicite o spesso dichiarate per il distacco da idee deficitarie si sono
grandemente modificate. Mentre Mollenhauer neglie anni ’60 critica una pedagogia
deficitaria, che esce dalla svalorizzazione in rapporto alla diversità dei poveri non ci
possono più essere problemi in relazione al nuovo paradigma di un lavoro sociale orientato
verso il mercato, verso il prodotto e verso il cliente.
Di seguito potete trovare un testo chiaro in tal senso: " se le istituzioni del lavoro giovanile
definiscono i loro clienti come deficitari, assillati da problemi, socialmente deboli, cioè dei
"perdenti" di un certo tipo, si costruiscono allo stesso tempo un marketing fallato... quale
cliente infatti si compra un prodotto che ha già sentore di problematicità? (Pfeiffer 1996:2).
È interessante che i testi corrispondenti operino quasi esclusivamente con esempi tratti dal
lavoro con gli anziani, i giovani, il tempo libero o la cultura, dalla salute e dalla cura di essa,
cioè con clienti per lo più "normali" e/o con potere d'acquisto.
Riassumendo, si tratta di una fase teorica nelle quale sia lo stato sociale sia l’assistenza
all’interno della società sono
considerati un problema fondamentale. Conseguentemente ci
si orienta al livello teorico verso la parte più dinamica che caratterizza non solo le società
nazionali, ma anche
le società mondiali: il commercio. In un orientamento che prende in
considerazione le condizioni di mercato e di vita a livello mondiale, il problema acquista un
carattere privato e riguarda dunque gli individui che, nonostante la crisi del mondo del
lavoro e dello stato sociale, sono riusciti comunque a soddisfare le proprie esigenze
rivolgendosi ad un mercato in cui vengono prestati servizi; essi hanno dovuto cercare la via
per accedere a collettività create artificialmente e prestare spontaneamente aiuti rivolti a se
stessi sia a livello individuale che collettivo.
Particolarità della “Scientific and professional Community” nel mondo e negli Stati Uniti:
violazione della soddisfazione dei bisogni umani e dei diritti umani e sociali
44
Si tratta di bisogni insoddisfatti legati a temi come: classe, genere, etnia, tossicodipendenza,
violenza, guerra, emigrazione, impotenza; alla luce della globalizzazione commerciale e dei
diritti e doveri umani e sociali. Povertà, disoccupazione, disturbi psichici, discriminazione di
persone e categorie di persone sono argomenti che devono essere affrontati con successo.
I problemi che riguardano i singoli individui, le famiglie, le comunità territoriali e le
organizzazioni sono importanti nel contesto di una comprensione sistematica, teorica ed
internazionale del lavoro sociale, tuttavia i libri di testo, anche di recente pubblicazione, non
ne parlano.
Esistono le collettività?
Seppure esistano chiaramente diversità a livello locale e nazionale per quanto riguarda i
punti chiave riguardanti tale argomento, c’è comunque un insieme di concetti che può essere
considerato come minimo comune denominatore e che viene pattuito su un piano più alto
dalle associazioni
in cui sono riuniti i centri di formazione (International Association of
Schools of Social Work) e dalle organizzazioni degli enti sociali (Council on Social
Welfare).
“L’influenza che la professione del lavoro sociale ha sulle necessità fondamentali degli
uomini, determina anche la loro convinzione che l’universalità di queste necessità e la loro
soddisfazione non sia una questione di scelte o preferenze soggettive, bensì un imperativo di
giustizia sociale. Conformemente il lavoro sociale concepisce i diritti umani e sociali come
secondo principio organizzativo, teoretico-normativo della prassi professionale, che integra
il primo principio organizzativo orientato verso le necessità…..Le operatrici sociali prestano
servizio in sistemi politici differenti…..per lo più come dipendenti di organizzazioni. La
loro posizione come delegate dello stato o dipendenti di potenti organizzazioni ha condotto
molte di loro in situazioni difficili. La loro professione è vincolata ai datori di lavoro e alla
clientela. Alla base del codice e degli scopi formativi delle scuole superiori per il lavoro
sociale risiede principalmente il servizio nei confronti degli individui e non la lealtà nei
confronti dell’organizzazione” (1945:5) Il manuale parla però anche del fatto che ai diritti
devono corrispondere doveri.
Staub Bernasconi conclude che ci si riferisce all’evoluzione, di cui si è trattato,
a volte con il termine pedagogia sociale, altre volte con il termine assistenza
sociale ed altre volte ancora si utilizzano ulteriori denominazioni che si
riferiscono allo stesso settore. Questa distinzione non ha molto significato
oggi, in quanto la discussione non può essere ridotta alla distinzione secondo
45
la quale il lavoro sociale si occupa di assistenza e amministrazione, mentre la
pedagogia sociale ha a che fare con i processi educativi e di apprendimento.
Una teoria del lavoro sociale deve oggi accogliere un differente teoria di
pensiero; il lavoro sociale deve essere concepito su piani differenti, se vuole
essere all’altezza dell’argomento di cui si occupa e dei compiti che deve
assolvere. Il lavoro sociale per potersi sviluppare come teoria e scienza,
necessita di un quadro di riferimento che sia vasto, flessibile, interdisciplinare,
ma non dipendente dalle mode. La dipendenza dalle dominanti teorie in voga,
grand theorie (come i dibattiti che non durano più di un paio d’anni attorno alla
professionalizzazione,, deprofessionalizzazione, concetti d’azione, differenza
tra disciplina e professione, orientamento alla vita ecc.) non conduce il lavoro
sociale come disciplina a compiere grandi progressi, sia che si tratti di
assistenza sociale che di pedagogia sociale.
Per il futuro è importante uno stile di pensiero sistemico che prenda in
considerazione i destinatari del lavoro sociale sempre in riferimento al contesto
storico e attuale. Sebbene esista un insieme di teorie diverse sul lavoro sociale
(teoria della verità, teoria della conoscenza, teoria della realtà) e diverse
definizioni dell’oggetto di cui il lavoro sociale si occupa, si è tuttavia
d’accordo sul fatto che l’argomento su cui si incentra il lavoro sociale sia
complesso e tocchi più dimensioni. Tutti riconoscono la necessità di un quadro
di riferimento trans-disciplinare, metascientifico e metafilosofico, se si vuol
descrivere, spiegare e cambiare il lavoro sociale. Sullo sfondo di questa
esigenza la scienza dell'educazione non può essere la disciplina preposta al
lavoro sociale e alla pedagogia sociale. Il quadro di riferimento sistematicoteorico che è stato proposto potrebbe diventare invece, a particolari condizioni,
un fragile ponte d’unione tra le più svariate tradizioni teoriche (tra tradizioni
teoriche che comprendono: quella degli aiuti, dell’utilizzazione delle risorse,
dell’autorizzazione, del cambiamento sociale e tradizioni teoriche come quelle
che riguardano l’educazione, la formazione e l’emancipazione). Aspetti come
quello delle necessità, dell’insegnamento, delle risorse, dell’organizzazione
46
sociale e politica non possono più essere trattati separatamente l’uno dall’altro.
(Staub-Bernasconi 1995:133-134)
Infine tutti questi movimenti di intesa e integrazione fanno emergere un
ulteriore problema: in che senso coloro che partecipano a questo dibattito
hanno l’intenzione di mettere in discussione non solo i confini nazionali ed
etico-culturali, ma anche i confini teorici ormai superati e di oltrepassare i
blocchi di ricezione? Mi auguro che in una società sempre più ricca di intrecci
e contatti questo diventi possibile e che in un’Europa sempre più unita e in una
società mondiale che sta prendendo gradualmente forma e in cui i problemi
sociali aumentano e diventano sempre più complessi, si aprano le migliori
possibilità di soddisfare i bisogni e le migliori opportunità di apprendimento.
Per giungere ad una sintesi della definizione del lavoro sociale/pedagogia
sociale, mi riferisco alle interpretazioni di altre autori.Non prendo in
considerazione le presunte reali differenze e propongo come basi la seguente
definizione di lavoro sociale:
Il lavoro sociale/la pedagogia sociale si occupa dei processi che riguardano
l’esistenza degli uomini, la quale in virtù delle condizioni di vita delle moderne
società presenta spesso necessità molto elevate per aiutare i giovani nel corso
della loro vita e nell’integrazione sociale.Questo oggi non avviene solo ai
>margini della società<, come sostenne Mollenhauer negli anni ’60, ma anche
nei contesti centrali della società. A causa di ciò la pedagogia sociale perde il
carattere di pedagogia marginale e diventa colei che fornisce le regole.
Riassumendo:
Il lavoro sociale fin dalle sue origini ha reagito ai cambiamenti che hanno
caratterizzato la società moderna ed ha cercato di prendere spunto dalle
problematiche e dalle sfide sociali sorte nell’epoca moderna e causate dalla
stessa società e dagli individui.
47
− Il lavoro sociale tenta di ridurre le differenze e i pregiudizi tra (e dei)
membri della società, cerca di tendere a possibilità di uguaglianza, di
collaborare alla costruzione di una società equa, di favorire il benessere di
tutti gli individui. Tutto ciò lo fa collaborando attivamente attraverso
interventi politici, interventi diretti ed indiretti e fornendo consigli,
appoggio, aiuti educativi e d’intervento sociale, offerte formative e
prestazioni d’aiuto psicosociali e finanziarie.
− Il lavoro sociale si occupa sia dei problemi di carattere sociale, sia dei
processi che caratterizzano il ciclo della vita e conseguentemente delle
crescenti difficoltà a ciò connesse, a cui gli uomini devono far fronte in
virtù della complessità delle condizioni di vita.
− Il lavoro sociale cerca di rendere gli uomini capaci di agire ed instaurare
rapporti nella moderna società e per questo elabora offerte che riguardano le
seguenti dimensioni problematiche:
Problemi riguardanti gli strumenti necessari a soddisfare i bisogni che
affiorano nel corso dell’esistenza
Rapporti di scambio e interazione (uguaglianza)
Problemi che sorgono nei rapporti di tipo verticale (potere)
Problemi di orientamento e significato
− Il lavoro sociale si occupa sia dell’analisi degli sviluppi sociali e delle
strutture politiche su piani diversi (locale, nazionale ed internazionale) per
svelare l’esistenza di repressioni e meccanismi di esclusione; sia su un
piano più tradizionale dal punto di vista sociopedagogico, delle possibilità
di facilitare lo sviluppo, l’apprendimento e la formazione.
− Il lavoro sociale si interessa delle possibilità individuali, dei confini
socioculturali e culturali dei processi d’apprendimento. In breve, si interessa
dell’uguaglianza e della diversità esistenti tra individui e gruppi e delle
regole che li governano; si interessa dei modelli interpretativi culturali e
delle regole riconosciute come valide, ossia di chi entra nel godimento di
48
diritti e per quale motivo e di chi rientra nei doveri sociali e per quale
ragione.
− Il lavoro sociale vuole cambiare. La valutazione va oltre i confini nazionali
“in all countries social workers see themselves as agents of social changes
and institutional reform" (Hockenstad 1992, P.182)
− Il lavoro sociale, il suo sviluppo, la sua struttura, le sue categorie
fondamentali, le sue prospettive, i suoi punti di vista sui problemi, le sue
garanzie economiche, le sue basi giuridiche, i suoi sistemi formativi e i suoi
contenuti privilegiati sono stati fino ad oggi fortemente orientati alla società
contemporanea e sono stati profondamente influenzati da quest’ultima. La
struttura di base del lavoro sociale ha un carattere nazionale e ciò non deve
meravigliare, anzi è del tutto comprensibile.
Questa “imago di se stesso” nazionale viene confrontata sempre più con la
crescente internazionalità degli sviluppi politici, sociali ed economici.
Approfondimento
Lorenz, W.(1994)
Social Work in a Changig Europe, capitolo 4: Social Work and Academic Discourses è
capitolo 5: Social Work and Social Movements, p.81-127
Adams, A./Erath,P.Shardlow Ed) (2000)
Fundamentals of Social Work in Selected European Countries
Capitolo 1: Indroduction:The Challange of Globalisation, p.1-9
E capitolo 10: Towards European Perpectives on Social Work, p.139-143
Allegato 3
Immagine di se stesso
L'immagine, che la pedagogia sociale/il lavoro sociale ha di se stessa/o è
mutata nel tempo. Ci sono autovalutazioni e valutazioni fatte da altri persone e
organisazioni che sono di validità generale e che si sovrappongono.
Semplificando si potrebbe tracciare una linea che collega i seguenti aggettivi
49
utilizzati per valutare la pedagogia sociale/lavoro sociale: previdente,
avvocatoria ,emancipativa, orientata al mercato.
Conformemente, i destinatari, a cui il lavoro sociale è rivolto, figurano come:
oggetti d’assistenza, fruitori, destinatari a cui rivolgersi, bisognosi d’aiuto e
recentemente clienti.
La svizzera Silvia Staub Bernasconi (1995) ha definito il lavoro sociale come
“professione dei diritti dell’uomo” in chiusura della “Campagna per i diritti
dell’uomo”, che fu promossa dall’ONU e poi accolta dalle organizzazioni
internazionali
delle
associazioni
di
categoria
degli
operatori
sociali
(International Association of Schools of Social Workers).(vedi allegato 4)
La questione dei diritti umani non fu considerata semplicemente uno dei tanti
aspetti del lavoro sociale, bensì il lavoro sociale fu definito “Human Rights
Profession”, in virtù del contenuto dei suoi scopi e contributi.
“Il lavoro sociale deve diventare una professione e deve adoperarsi sul piano
locale, nazionale ed internazionale in favore del benessere individuale, dei
diritti sociali, della giustizia sociale che conduca al progressivo sviluppo degli
uomini; deve contribuire in questo modo al mutamento sociale. Il suo impegno
internazionale tutela le condizioni locali, i punti cruciali a livello sociale e la
vulnerabilità degli uomini da eventuali choc socioeconomici e culturali.” (p.74)
Campi d’attività
La pedagogia sociale/il lavoro sociale è difficilmente confinabile all’interno di
un campo d’attività facilmente definibile. Gli ambiti in cui la prassi della
pedagogia sociale/lavoro sociale si riferisce, accompagnano l’uomo nell’arco
della sua esistenza, dalla nascita alla morte. Si tratta di una prestazione di
servizi, sia di tipo materiale che rivolta ad individui, che in Germania riguarda
il vasto campo degli
assistenza sociali (sussidi economici, consulenze, riabilitazione) e interventi in
campo sanitario e a sostegno degli anziani (consulenze, educazione,
assistenza). Al di là della semplice presenza degli aiuti ed interventi sociali,
50
esistono specifiche attività di pianificazione, ad esempio nell’ambito del
management sociale, della pianificazione degli aiuti forniti ai giovani e delle
proposte di mezzi d’intervento.
In tutti questi settori in Germania sono attivi operatori sociali che hanno un
diploma rilasciato da una Fachhochschule (University of Applied Sciences) o
una laurea in pedagogia. In complesso c’è una differenziazione tra campi di
attività sia in Germania che in altri paesi.
In Gran Bretagna esiste un’ampia gamma di settori in cui sono attivi gli
operatori sociali, tali settori differiscono l’un l’altro per le nozioni
fondamentali, lo status e le impostazioni delle attività svolte.
“La molteplicità delle connotazioni professionali mostra chiaramente la
tendenza alla specializzazione nell’ambito del lavoro sociale. Ciò potrebbe
essere visto come un’indicazione della scomparsa del lavoro sociale come
gruppo professionale specifico” (Lyons 1997, p.148)
W. Lorenz ritiene che non sia possibile individuare tendenze unitarie del
lavoro sociale in Europa. I criteri generali della professionalizzazione non sono
chiari, inoltre gli sviluppi politici e sociali dei paesi europei sono troppo
eterogenei. La concorrenza, principio strategico dell’Unione Europea,
interviene anche nella dimensione sociale.
“Gli operatori sociali vennero innalzati ad una posizione fondamentale con la
legge “Community Care” che entrò in vigore nel 1993, in quanto ad essi fu
affidato il compito di valutare i bisogni dei clienti e allo stesso tempo di
decidere chi fra i nuovi fornitori privati offrisse gli strumenti essenziali per
adempiere alle necessità ad un prezzo più vantaggioso. Dovevano quindi
intraprendere rapporti con i fornitori scelti e controllare che tutto procedesse
per il meglio” (Lorenz 1996, p.55)
Come “care managers” devono conciliare gli interessi dei clienti con i ristretti
mezzi pubblici a disposizione.
51
“Social Care” si raffigura come una categoria professionale che acquista
sempre maggior importanza nell’ambito del lavoro sociale e che è in parte
strategicamente introdotta dai datori di lavoro.” (Lorenz 2000, p.63)
I confini con altri gruppi professionali si spostano ed è difficile stabilire a quale
tradizione di competenze professionali specifiche vadano associati gli articolati
compiti pubblici sul piano sociale (ad esempio i programmi di riabilitazione
per disoccupati). Tali compiti vanno intesi come parte del percorso di
specializzazione degli operatori sociali o si tratta piuttosto di nuove professioni
che si stanno evolvendo all’interno dell’ambito tradizionale del lavoro sociale?
Ne risulta che non solo è presente una concorrenza tra lavoro
sociale/pedagogia sociale e nuovi gruppi professionali, ma si sta delineando
una nuova concezione del rapporto esistente tra coloro che partecipano
attivamente al dibattito sulla società civile in virtù della loro formazione
professionale nel settore sociale e coloro che prendono parte al suddetto
dibattito spontaneamente.
"In Italia le leggi 141 e 241 del 1990 sui servizi sociali non statali ha messo a
disposizione delle organizzazioni non statali un vasto spazio d’azione. Gli
operatori sociali possono e devono decidere quale sia il servizio sociale più
idoneo a cui far riferimento in determinati casi problematici . Essi devono
conciliare le loro responsabilità professionali con le limitazioni dei mezzi che
hanno a disposizione; in altre parole “devono farsi carico delle decisioni
sociopolitiche” (Lorenz 1996, p.60)
Concetti centrali
Anche la ricerca di concetti centrali non conduce a molto. Certamente parlando
di aiuti, emergono concetti come: emancipazione, normalità, devianza,
solidarietà, partecipazione, autorizzazione ad agire, intervento, tuttavia questi
concetti derivano spesso da latri ambiti di riferimento di natura socioscientifica
52
e devono essere adattati al campo sociopedagogico e subire quindi una
deformazione.
Inoltre il significato di un concetto varia a seconda dei differenti contesti
storici e/o culturali.
L’uso di categorie sociopedagogiche fondamentali come aiuti o necessità di
aiuto rifiuta il ricorso a modelli comuni di definizione. Ad esempio quando una
persona definita bisognosa d’aiuto, che non si trova nella situazione di poter
soddisfare con le proprie forze una condizione che concerne se stessa o
l’ambiente circostante e che è considerata da questa persona auspicabile e
preziosa, allora essa chiede aiuto ad altri per essere guidata verso il
raggiungimento dello scopo. Ciò presuppone la tutela culturale dell’individuo e
l’attribuzione di legittimità alle sue esigenze d’aiuto, la tutela varia
considerevolmente a seconda del contesto culturale; allo stesso modo variano i
tipi di atteggiamento che possono essere assunti.
Nell’articolo “Modi di assitenza in condizioni sociali che mutano”, apparso nel
1973, Luhmann, in riferimento agli standard del lavoro sociale, sostiene che gli
aiuti rappresentino categorie di relazioni condizionate storicamente e che
costituiscono una determinata tipologia di interazione tra chi necessita aiuto e
chi presta aiuto. Questa tipologia si presenta in modo differente a seconda della
formazione a cui appartiene.
Luhmann sottolinea che gli aiuti vengono definiti e condotti in base alle
mutevoli aspettative dei destinatari; gli aiuti si realizzano se e solo se ci si
aspetta di riceverli.” (cfr 1973, P.21) “Per questo motivo è necessaria
l’esistenza di parametri culturali e accordi preliminari in base ai quali gli
interessati possono comunicare apertamente e anche scontrarsi” (ibid.)
In altre parole gli aiuti sono caratterizzati da particolari regole di reciprocità,
regole che sono assoggettate al cambiamento sociale. Per dare una definizione,
Luhmann distingue 3 tipi di società che si sono succeduti nell’arco dello
sviluppo sociale:
53
A)Società arcaica
B)Società altamente acculturata
C)Società moderna
Tipico di A) è la scarsa complessità, la divisione del lavoro si basa sui ruoli
sessuali e sull’età.
Il tipo B) presenta già differenze di tipo funzionale, soprattutto un sistema
particolare di ruoli per la religione e per la sfera politica.
La società moderna si differenzia ampiamente dai due precedenti tipi per
quanto riguarda l’ambito della politica, della scienza, della ricerca e
“dell’intimità familiare”.
“Essa sviluppa una molteplicità di possibilità dell’esperienza e dell’agire che
non sono più traducibili o controllabili centralmente; genera una dinamica
peculiare che anticipa il cambiamento sociale oltre ogni misura storicamente
conosciuta” (a.a.O., P.24)
Per quanto riguarda il modo d’agire, gli aiuti significano questo: “Ora come
allora è possibile e sensato aiutare concretamente, quasi prendere un anziano
tra le braccia e condurlo lungo la strada trafficata. Non c’è più il pathos
dell’aiutare, lo si può fare o non fare in base agli scopi che si perseguono.”
(a.a.O., P.37)
I tipi di società di Luhmann sono descritti in maniera riduttiva. Innanzitutto
con la denominazione società moderne si parte dal 1500 circa ed è necessario
introdurre notevoli differenziazioni; inoltre ogni suddivisione in fasi diventa
riduttiva nel momento in cui si cerca di etichettare i processi sociali di epoche
decisive in maniera troppo statica. Per finire, un simile modo di procedere può
essere talvolta sensato se si fonda su basi euristiche.
Riguardo al contesto degli aiuti e del modo di intendere gli aiuti, vale la pena
di considerare lo sviluppo sociale del lavoro sociale/pedagogia sociale, in
quanto il modo di comprendere gli aiuti varia a seconda della funzione sociale
54
e della concezione che il lavoro sociale ha di se stesso. In Italia e Germania il
modo in cui lo sviluppo del lavoro sociale si è attuato lo dimostra chiaramente.
Il contesto storico e sociale influenza chiaramente la nascita, l’organizzazione
e le aspettative delle prestazioni d’aiuto; si formano così delle culture degli
aiuti.
ESEMPIO 1
Bauer (1998) ha condotto delle ricerche sui rapporti degli immigrati in Francia, Inghilterra,
Germania e Olanda. Riassumendo, egli giunge alla conclusione che in Europa si sono
costituite a partire dal Medioevo diverse tradizioni di aiuti:
A) Tradizione cristiana confessionale
cattolica
protestante
B) Tradizione illuministica laica
3) Inghilterra: liberale
Francia: laica-borghese-statale
Germania (Prussia): assolutista illuminista
C) Tradizioni all’interno del contesto del movimento sociale
movimento dei lavoratori: socialista
movimento giovanile: alternativo, di riforme pedagogiche
movimento delle donne: femminista
movimento nazional-fascista: razzista
Queste tradizioni di aiuti sono differenti ed hanno influenzato fino ad oggi la concezione che
gli specialisti hanno della struttura dei servizi sociali e delle funzioni del lavoro sociale.
Bauer distingue 4 diversi direzioni fondamentali. Sia che gli aiuti siano rivolti al singolo a a
gruppi, essi mirano all’inclusione o all’esclusione dalla società di coloro che usufruiscono
degli stessi aiuti.
55
L’esempio del lavoro sociale con gli immigrati in Germania, Francia ed Inghilterra mostra
come le tradizioni degli aiuti si siano susseguite fino ad oggi. I rapporti con gli immigrati
provano che nei suddetti paesi si può fondamentalmente distinguere tra relazioni che mirano
o all’esclusione o all’inclusione di questi ultimi e tra offerte d’aiuto individuali o collettive.
“La cultura tedesca degli aiuti unisce nei principi del lavoro sociale rivolto agli immigrati
l’impostazione individualizzata e lo scopo dell’esclusione.” (P.11) In questo concezione,
che deriva dall’asssolutismo illuminato, racchiude concetti come quello di paternalismo: gli
stranieri vengono classificati come oggetti d’assistenza in quanto bisognosi d’aiuto e
minorenni. Gli immigrati vengono presi per mano. In Francia al contrario, come spiega
Bauer, i portavoce delle comunità etniche compaiono di fronte allo stato, in quanto
riconosciuti
come
rappresentanti
organizzazioni degli immigrati
dei
loro
connazionali
e
correligionari;
ossia
le
hanno un peso politico e una funzione pubblica attraverso i
loro rappresentanti.
Le moderne società si contraddistinguono per il fatto che le prestazioni d’aiuto non sono
spontanee, ma organizzate e chi presta aiuto, chi stabilisce che una data circostanza è
problematica e dunque necessita una risoluzione e infine chi organizza gli aiuti varia da
paese a paese. Le diverse associazioni che si occupano di prestazioni di aiuti e di sistemi di
sicurezza ed intervento sociale, se vogliono portare avanti con successo collaborazioni,
progetti e programmi internazionali, devono essere conosciute.
ESEMPIO 2
“Nella dichiarazione n°23 in appendice al trattato di Maastricht si fa riferimento al peculiare
significato delle organizzazioni di assistenza. La conferenza sottolinea che per raggiungere
determinati scopi è assolutamente necessaria una collaborazione della Comunità Europea e
delle associazioni e fondazioni che si occupano di assistenza, in quanto promotrici di
provvedimenti e servizi.” (Si veda Art. n°117 del trattato riguardante la creazione della
Comunità Europea)
Seibel scrive a proposito di ciò: “se si comparano le versioni in francese e in inglese della
dichiarazione contenuta nell’articolo n°117 del trattato, si notano le seguenti differenze:
mentre in Germania si considerano quasi esclusivamente le principali associazioni di
assistenza, in Gran Bretagna con il termine charitable associations (organizzazione a scopi
benefici) si intendono al contrario 442 organizzazioni diverse e attive in 18 differenti settori,
che sono riunite all’interno di un’associazione dirigente (National Council of Voluntary
Organisations/NCVO). In Francia circa 9500 associazioni appartengono alla cosiddetta
Association de Solidarieté (associazioni di mutuo impegno e senso comune), le quali sono
56
attive in campo sociale e riunite in associazioni dirigenti; ogni associazione dirigente conta
22 associazioni regionali.” (Seibel 1998, p.141 e seguenti)
E’ palese che una simile situazione conduca alla nascita di problemi, incomprensioni e false
interpretazioni.
6.Considerazioni conclusive
Il processo di nascita e sviluppo della pedagogia sociale/il lavoro sociale deve
sempre essere considerato in un contesto più ampio che comprende lo sviluppo
sociale, interdisciplinare e socioscientifico. Sembra si possano distinguere fasi
di
sviluppo(es.
Rauschenbach
1991:Dal
volotariato
dal
professione,
specializzazione, accademizzazione, professionalizzazione. Si veda quanto
detto precedentemente). Questi aspetti sono tuttavia chiaramente diversi a
seconda dei paesi e degli ambiti di lavoro.
Il lavoro con i giovani ad esempio è dominato principalmente da personale che
non ha ricevuto una formazione pertinente. L’orientamento verso modelli di
professionalizzazione sembra essere più una faccenda che riguarda scienziati
che un tema di interesse degli esperti del settore.
Tutto ciò introduce un ulteriore problema, ossia per poter misurare il terreno
sociopedagogico è importante distinguere tra professione e disciplina. (Cfr.
Scherr 1996) "Le discipline possono essere definite come un sapere scientifico
che viene trasmesso con l’insegnamento; le professioni invece sono un sistema
di argomenti basato sulla scienza.” E’ la struttura delle esigenze del mercato
del lavoro che definisce le professioni e non un ordinamento disciplinare del
sapere scientifico. Mentre per alcuni gruppi professionali (es. gli insegnanti) è
chiaro cosa possono e debbano sapere, per i pedagoghi sociali ciò è invece
confuso e discusso.
Nella determinazione della posizione della pedagogia sociale/il lavoro
sociale/assistenza sociale che è stata fino ad ora presentata, si deve constatare
che si tratta fondamentalmente di euforiche autoaffermazioni del lavoro
sociale. Esse derivano da un discorso socioscientifico che tenta di dare forma
57
scientifica alla pedagogia sociale/il lavoro sociale per assicurarle un posto nella
compagine delle scienze; la politica e la prassi però prendono spesso distanza
da questo atteggiamento e vanno per la loro strada.
In occasione del ventesimo anniversario della fondazione della rivista
specialistica Neue Praxis, è apparso un volume particolare che contiene un
contributo di W. Hinte e W. Springer (1992) dal titolo Sulla mancanza di
conseguenze della scienza critica del lavoro sociale, dove si legge:
“considerando le situazioni problematiche che vanno acutizzandosi e la
crescente burocratizzazione nelle istituzioni, non è solo uno sguardo analitico
che aiuta i professionisti, bensì capacità, coraggio, stabilità, facoltà strategiche
e capacità di stabilire contatti. Tutto ciò si apprende leggendo un buon libro
solo parzialmente e nemmeno un’ulteriore formazione riguardante un certo
tipo di terapia è una valida alternativa.” (p.114) Questa affermazione non va
considerata, almeno così ritengo, come un’arringa a favore di una pedagogia
sociale
spensierata; bensì come un invito ad accertarsi del reale raggio
d’azione della prassi sociopedagogica, cosa che è solo possibile attraverso la
riflessione. La perfetta rinuncia alla critica, alle controprogettazioni, alle utopie
priverebbe la pedagogia sociale del suo carattere sociale e orientato allo
sviluppo dell’umanità e il suo ruolo diventerebbe riduttivamente quello di
contribuire all’attuazione di una politica sociale sempre più repressiva. Questa
è una tendenza che si ripropone attraverso l’Europa.
Critica non è, come disse M. Horkheimer, una cosa da criticoni; bensì un
confronto tra la società e le sue migliori possibilità. In scala internazionale ciò
significa rielaborare una definizione reale del contesto della pedagogia sociale
che esamini sue funzioni nella società industriale in continuo progresso. Si
tratta di mettere spazi e servizi sociali a disposizione di bambini, giovani,
adulti e anziani e della loro esistenza all’interno di grandi sistemi di istituzioni
(famiglia, scuola, mondo del lavoro retribuito, spazi socioecologoci); tali spazi
e servizi devono loro permettere di condurre una vita normale e garantire loro
l’integrazione, intesa come inclusione nel sistema delle istituzioni e del mondo
58
sociale. Con questi interessi volti alla normalità (es all’integrazione)
contrastano e si fondono interessi della società e degli individui.
Lo scopo dell’integrazione non è compatibile con il discorso programmatico,
derivante dal dibattito scientifico riguardante l’autorizzazione ad agire e la
partecipazione:
cosa
hanno
mostrato
la
teoria
e
la
pratica
dell’educazione/pedagogia interculturale? Dove e a che cosa deve essere
integrato? Chi definisce l’integrazione? Chi contribuisce a questo processo di
integrazione? Chi invece lo ostacola? Qui riemergono le domande sul potere di
cui S. Staub Bernasconi ha parlato.
La pedagogia sociale /il lavoro sociale come supporto della realizzazione della
vita e istanza dell’analisi di problemi sociali è legata in maniera molteplice ai
processi internazionali di socializzazione che sono in continuo divenire. Infatti
il lavoro sociale è un’istanza che ha molto a che fare con coloro che sono
sconfitti dai processi di modernizzazione. Il settore sociale (Filtzinger 1995
P.108) deve diventare consapevole che in virtù dei processi di trasformazione
(migrazioni,
europeizzazione,
internazionalizzazione)
sarà
sempre
più
caratterizzato da un intreccio di cambiamenti interdipendenti e che questi
processi
di
cambiamento
influiranno
sull’ambito
della
formazione,
dell’educazione, del lavoro, della produzione e del mercato. L’apertura
intercultirale diverrà un postulato inevitabile di tutte le istituzioni sociali di
rilievo.
Ciononostante si deve considerare che il sociale come elemento di un processo
di socializzazione internazionale in continuo sviluppo è ancora poco tangibile.
Da un lato sperimentiamo l’individualizzazione, dall’altro lato so insinua la
globalizzazione delle relazioni…..”fino ad oggi non esiste una concezione
unitaria di come debba apparire la dimensione sociale dell’Europa…” (Becker
1996, p.10)
In altri contesti spicca il carattere particolare della politica sociale
europea…..”con il concetto di politica sociale dell’Unione Europea si intende
principalmente la politica dei lavoratori; ossia al di fuori di ciò che ha a che
59
vedere con l’attività professionale, l’Unione è piuttosto limitatamente
competente” (p.11) Ma la pedagogia sociale /il lavoro sociale non può
arrestarsi. “La nuova Europa è fino ad oggi soprattutto un’unione dei
rappresentanti del sistema di produzione e scambio tra organizzazioni ed è
caratterizzata da funzioni di impresa senza consultazione e partecipazione dei
rappresentanti delle stesse imprese che collaborano…..in questo caso ciò che
emerge è l’umanizzazione del capitale piuttosto che il capitale umano.” (Staub
Bernasconi 1990 p: 141/48)
Gli esempi mostrano che il sociale non viene come valore decisivo del futuro
processo di socializzazione in Europa da parte di coloro che hanno facoltà e
potere di prendere decisioni. Se ne parla poco nella dichiarazione e di
conseguenza non viene reputato importante, un po’ come avviene con le leggi
dei mass media, cioè non viene trasmesso ciò che non è importante. Tuttavia
dobbiamo indagare sulla tradizione della pedagogia sociale in Europa e
svilupparla ulteriormente. Belardi sottolinea che la pedagogia sociale è sempre
più orientata internazionalmente, basta pensare alla pedagogia scolastica: “il
rapporto internazionale è iniziato subito dopo il passaggio da un secolo
all’altro attraverso il trasferimento dei metodi del casework e supervision. Più
tardi si aggiunsero anche le teorie socioscientifiche. L’internazionalità si
manifesta attraverso il confronto su risoluzioni di situazioni problematiche (es.
immigrati, minoranze, unione Europea) e l’introduzione di nuove competenze”
(p.146)
Ancora prima Sander stabilisce che il confronto e la cooperazione
internazionale non sono fenomeni nuovi, bensì nati quasi in contemporanea
con lo stesso lavoro sociale moderno: “non è un caso che con la nascita,
avvenuta circa 150 anni fa, delle condizioni di dominio, lavoro e vita tipiche
del capitalismo siano sia sorti in concomitanza anche nuovi problemi sociali di
carattere internazionale negli stati industrializzati; l’analisi e la risoluzione di
tali problemi ha evidenziato l’esistenza di un contesto internazionale.” (P.96)
60
Si può giungere alla seguente conclusione: l’internazionalità ha una tradizione
nella pedagogia sociale che non è però consolidata. I confronti risultano
difficili a causa della molteplicità di forme attraverso cui il lavoro sociale si
manifesta e non danno grossi contributi ai lavori degli esperti. Gli “addetti ai
lavori” sono comunque coscienti che l’attuale necessità di questa dimensione
dimenticata/trascurata del lavoro sociale/ pedagogia sociale sia ancora troppo
esigua, sebbene l’interculturalità, intesa come punto di incontro e dibattito su
progetti che riguardano la vita e la realizzazione di tali progetti, contribuisca a
delineare il profilo del lavoro sociale all’interno della società.
Non è necessario costruire la pedagogia sociale internazionale, si deve
piuttosto esaminare attentamente l’interculturalità che è stata sempre un
elemento centrale della pedagogia sociale e adeguarla a nuove esigenze
61
7.Bibliographia
AdamsA./Erath P./
Shardlow, St.(Ed.) (2000)
Adams, A./Erath, P./
Shardlow, St.(Ed)(2001)
Barboloni,
Barwig, K./
Hinz-Rommel, W. (Hg.)(1995)
Bauer, R. (1998)
Becker, A. (1996)
Belardi, N.(1995)
Bernhard, A.(Hg.) (1996)
Bernhard, A.(1999)
Böhnisch, L.(1992)
Bolognari,V./
Kühne,K.(a cura di) (1997)
Bridge, G.(2000)
Busch, F.W.(1991)
Chytil, O./
Seibel, F.W.(Hg.)(1999)
Engelke, E.(1992)
Erath,P./Hämäläin,J.
(2001)
Fundamentals of social work in selected European
Countries Dorset: Russell House Publishing
Key Themes in European SocialWork .
Theory practice perspectives.
Dorset: Russel House Publishing
Interkulturelle Öffnung sozialer Dienste:
Freiburg Lambertus
Sozialarbeit und Migration. Von der
Unterschiedlichkeit der Hilfekulturen und
des Stellenwertes der intermediären
Dienste in Europa. In: Migration und Soziale Arbeit
1/1998, p.16-23
Europabezogene Weiterbildung in den
Sozialwissenschaften. Mainz: Schriftenreihe des
Pädagogischen Instituts der Universität Mainz
Internationalität der Sozialen Arbeit.
In: Archiv für Wissenschaft und Praxis der
Sozialen Arbeit, 2/1995, p.146-157
Interkulturelle Aspekte sozialpädagogischen
Handelns. Überlegungen zu Ausbildungsinhalten und
Praxiskompetenzen. Mainz: Schriftenreihe des
Pädagogischen Instituts der Universität Mainz
Netzwerke der Sozialpädagogik/Sozialarbeit im Prozeß
der Europäisierung.In: Neue Praxis 4/1999, p. 341-353
Sozialpädagogik des Kindes- und Jugendalters.
Weinheim: Juventa
Povertà, Migrazione,Rassismo. Il lavoro
sociale ed educativo In Europa.
Bergamo: edizione junior
Reflections on the Process of Developing
Social Work in Eastern Europe.
In:Social Work in Europe I/2000,p.31-39
Vergleichende Bildungsforschung vor neuen
Aufgaben.
In: Bildung und Erziehung 1/1991, p. 5-25
Europäische Dimensionen in der Ausbildung
und Praxis der SozialenProfessionen.
Boskovice: Albert
Soziale Arbeit als Wissenschaft.
Eine Orientierung.Freiburg: Lambertus
Social work Theories. In.
Adams/Erath/Shardlow (Ed)Key themes in European
Social work, capitolo 3
62
Fasol, R.(2000)
Filtzinger, O (1993)
Filtzinger, O. (1995)
Filtzinger, O./Salvatori, F.(1997)
Friesenhahn, G.J.(1990)
Friesenhahn, G.J.(1992)
Friesenhahn, G.J.(1993)
Friesenhahn,G.J./
Seibel, F.W.(1994)
Friesenhahn, G.J/
Seibel F.W. (1994)
Friesenhahn, G.J.(1995)
Friesenhahn, G.J.(1997)
Friesenhahn, G.J (1997)
Social Work in Italy.
In Adams/Erath/Shordlow (Ed.), p-65-82
Berufsprofile und Ausbildung sozialer
Fachkräfte in Italien.
In: Guerra,L./Sander, G.(Hg.) a.a.O.,
S.135-158
Gesellschaftliche Entwicklungstendenze und
interkulturelle Öffnung. In:
Barwig/Hinz-Rommel (Hg.), a.a.O.p.103-122
Soziale Arbeit in Italien. In:Puhl, R/
Maas,U.(Hg.) a.a.O .,p 23-39
Wie praxisorientiert soll die Ausbildung sein?
Studium der Sozialpädagogik -von allem ein bißchen
und das nicht richtig? In.Westdeutsche Schulzeitung 78/1990, p.169-170
Aspekte internationaler und interkultureller Sozialer
Arbeit.
In:Schäfer/Seibel (Hg.), a.a.O. p.13-37
Europa non è lontana. Studiare in/per l'Europa.
In:Albero e Elica 3-4 1993
A European Dimension in the Initial Training of Youth
and Community Workers. In: Seibel, F.W.(Ed.)
European Dimensions in the Initial Training of Youth
and Community Workers, (insieme con O.Filtzinger,
Luigi Guerra u.a.), Koblenz .ECCE-Eigenverlag 1994
Youth Work Training in Germany. In Seibel, F.W. (Ed)
a.a.O. p.23 35
(Wieder-)Belebung der internationalen Dimension
Sozialer Arbeit.
In:Jugendhilfe 4/1995, p.195-203
Sviluppo del curriculum: come passare da un’agenda
nazionale ad una interculturale. In Bolognari/Kühne (a
cura di) Povertà, Migrazione, Razzismo.
Bergamo:edizione junior, p.229-235
Stereotipi, meccanisme di difesa e interventi educativi.
In :Negrini, A.(a cura di):Migrazioni in Europa e
formazione
interculturale.
Bologna:Editrice
Missionaria Italiana,p.45-55
Friesenhahn,G.J.(1996)
Kompetent handeln in interkulturellen Arbeitsfeldern
der sozialen Arbeit.
In: Bernhard (Hg.), a.a.O., p. 117-136
Friesenhahn, G.J.(Red) (1998)
Lernen und Soziales Engagement für Europa.
Interkulturelle
Arbeitshilfen.
Herausgegeben
vom
Deutschen Roten Kreuz (DRK) und INTEREST.Bonn:
DRK-Eigenverlag (1998a)
63
Friesenhahn, G.J./
Kniephoff, A.(1998)
Friesenhahn, G.J.(1999)
Friesenhahn,G.J./
Kniephoff, A./
Seibel, F.W. (2000)
Gildemeister, R.(1983)
Göppner,H.J./
Oxenknecht-Witzsch, R.(Hg.)
(1998)
Guerra, L./
Sander,G.(Hg.) (1993)
Guerra, L./Hamburger,F./
Robertson, A.
(a cura di) (1996)
Hamburger, F.(Hg.) (1994)
Herrmann, P./
Kusche,Chr. (1997)
Hering, S./Münchmeier, R.(2000)
Hokenstead, M.C. (1992)
Hinte, W./Springer,W.
Hume, S./Benvenuti, P./
Gristina, D./Riege, M.( 1998)
Jakubeit, G./
Schattenhofer, K.(1996)
Jung, R./Schäfer,H.M./
Seibel, F.W. (Hg.) (1997)
Kornbeck, J.(1998)
Kersting, H.J./
Riege, M.(Hrsg) (2001)
Interkulturelle
Kompetenz
als
Schlüsselbegriff.
Plädoyer für die Internationalisierung des Studiums.
In Sozialmagazin 10/1998 (1998b)
Management des Interkulturellen.
In: Psychosozial IV/1999, p.117-128
Die internationale Dimension im Studium Sozialer
Arbeit und Erziehung.In: Der Pädagogische Blick
2/2000, p. 87-96
Als Helfer überleben. Neuwied: Luchterhand
Soziale Arbeit und Sozialarbeitswissenschaft in einem
sich wandelndenEuropa. Freiburg:Lambertus
Sozialarbeit in Italien. Rheinfelden.Schäuble
Educazione Communitaria in Europa.
Bergamo:edizione junior
Innovation durch Grenzüberschreitung.
Rheinfelden: Schäuble
Sozialarbeit in der EU. Rheinfelden: Schäuble
Geschichte der Sozialen Arbeit. Weinheim: Juventa
Social Work Today and tommorrow: An International
Perspective In:Hokenstad, M.C.(Ed.): Profiles in
International Social Work.Washington:NASW Presss,
p. 181-192
Über
die
Folgenlosigkeit
kritischer
Sozialarbeitswissenschaft.
In:Otto/Hirschhauer/Thiersch (Hg.), a.a.O., p. 111-119
Paradox in professional practice. A tri-national study in
England, Germany and Italy.
In European Journal of Social Work 1/1998, p.55-70
Fremdheitskompetenz. Ein Weg zum aktiven Nebenund Miteinander von Deutschen und Fremden.
In: Neue Praxis 5/1996, p.389-409
Economie Sociale. Frankfurt.IKO Verlag
Researching Social Work Professionalisation in the
Context of European Integration.
In:Social Work in Europe III/1998, p.37-46
Internationale Sozialarbeit.
Mönchengladbach: Kersting Verlag
64
Kreidenweis,H./
Treptow, R. (1990)
Klüsche W.(Hg.) (1994)
Lorenz, W. (1992)
Lorenz, W.(1994)
Lorenz, W.(1996)
Lorenz, W.(1999)
Lorenz,W.(2000)
Lorenz, W. (2001)
Luhmann, .N (1973)
Lyons, K.(1999)
Marcon, P.(a cura di) (1989)
Macon, P. (1998)
Mollenhauer, K. (1973)
Mollenhauer, K. (1987)
Müller, B. (1993)
Müller, C.W.(1988)
Müller, H.(1996)
Münchmeier,R. (1981)
Olk,Th./Otto, H.-U.(1987)
Internationalität.-Fragen an die vergleichende
Sozialarbeit/Sozialpädagogik.
In: Neue Praxis 1/1990, p.3649
Professionelle
Identitäten
in
der
Sozialarbeit/SozialpädagogikMönchengladbach: Kersting Verlag
Einheit und Vielheit. Gedanken zur Lage der Sozialen
Arbeit in Europa.
In Schäfer,H.M./Seibel, F.W. a.a.O., p.39-52
Social Work in an Changing Europe
London: Routlegde
Sozialarbeit in Europa.
In: Treptow (Hg.), a.a.O. p.51-63
The role of training in preparing socio-educational care
workers to meet the challenges of social change.
Unveröffentlichtes Manuskript, Antwerpen 1999
Möglichkeiten einer europäischen Sozialen Arbeit.
In: Müller, S.u.a.(Hg.)Soziale Arbeit. Gesellschaftliche
Bedingungen
und
professionelle
Perspektiven.
Neuwied: Lucherhand, p.61-78
Internationale Soziale Arbeit
In:Otto,H.U./Thiersch,H.(Hg). Handbuch
Sozialarbeit/Sozialpädagogik. Neuwied: Luchterhand
Formens des Helfens im Wandel gesellschaftlicher
Bedingungen.In.
Otto,H.U./Schneider,
S.(Hg.)
Gesellschaftliche Pespektiven der
Sozialarbeit,
1.Band. Neuwied:Luchterhand, p.21-43
International Social Work: Themes and Perspectives.
Hants:Ashgate
Educatori nell 'Europa del 1992. IIES/AIEJI
L'unione Europea e noi. Lavoratori die servizi sociali.
In:I problemi della pedagogia 4-6/1998, p.341-355
Erziehung und Emanzipation.
Weinheim: Beltz 6.Aufl.1973
Die
Ursprünge
der
Sozialpädagogik
in
der
industriellen.Gesellschaft.Weinheim: Beltz
Das Soziale und die Fremden.
In. Neue Praxis 1-2/1993, p.1-11
Wie Helfen zum Beruf wurde, Bd.1 und 2.
Weinheim: Beltz
Interkulturelle
Pädagogik
und
Sozialpädagogik.
Anmerkungen zueinem unbestimmten Verhältnis. In:
Bernhard, A, (Hg.), a.a.O., p.15-45
Zugänge zur Geschichte der Sozialarbeit.
München:Juventa
Institutionalisierungsprozesse
sozialer
Hilfen
Kontinuitäten und Umbrüche. In: Olk, Th./Otto, H.U.
(Hg.) Soziale Dienste im Wandel 1:
Neuwied: Luchterhand, p.1-25
65
Polmoni, M.L.(1993)
Thiersch, H.(Hg.) (1992)
Pfaffenberger, H. (1982)
Pfaffenberger,H./
Trenk-Hintenberger,P(1988)
Pitts,J.(1994)
Puhl,R./
Maas, U.(Hg.)(1997)
Rauschenbach, Th.
(1991)
Riege, M.(1996)
Sachsse, Chr.(1986)
Sander, G. (Hg.) (1994)
Sander, G. (1996)
Schäfer, H.M./
Seibel, F.W.(Hg.) (1992)
Scherr, A. (1996)
Seibel, F.W.(Ed) 1994)
Seibel, F.W (1998)
Segatori, R./Benvenuti, P.(2001)
Geschichte der Fürsorge und der sozialen Dienste.
In: Guerra, L./Sander ,G. (Hg.) Sozialarbeit in Italien.
Rheinfelden:Schäuble, p.27-40
Zeitzeichen sozialer Arbeit. Neuwied: Luchterhand
Grundfragen
und
Basisthesen
einer
sozialpädagogischen
Komparatistik.In:
Keil.
S.
u.a.(Hg.) Studienreform und Handlungskompetenz im
außerschulischen Erziehungs- und Sozialwesen.
Neuwied: Luchterhand, p.131-135
Internationale Sozialarbeit/Sozialpädagogik.
W./Mielenz, I.(Hg.) Wörterbuch Soziale Arbeit.
Weinheim:Beltz-Verlag, 3.Auflage,p.287-288
What can we learn in Europe?.
In.Social Work in Europe 1/1994, p.48-53
In:Kreft,
Soziale Arbeit in Europa. Weinheim: Juventa
Sozialpädagogik - eine wissenschaftliche Disziplin
ohne Vorbild?In: Neue Praxis 1/1991, p.1-11
Frauen in der Sozialen Arbeit. Deutsche, englische und
italienische
Sozialarbeiterinnen
im
Vergleich.
Mönchengladbach: Eigenverlag der Fachhochschule
Mönchengladbach
Mütterlichkeit als Beruf. Frankfurt:Suhrkamp
Die europäische Integration und ihre sozialpolitischen
Perspektiven.Mainz: Schriftenreihe des Pädagogischen
Instituts der Universität Mainz
Internationale
Vergleichende
und
Interkulturelle
Studien im Diplomstudiengang Erziehungswissenschaft
und im ERASMUS-Progamm. In. Berhard, A.(Hg.)
Interkulturelle Aspekte sozialpädagogischen Handelns,
a.a.O., p.95-116
Vielfalt leben. Beiträge zu einer interkulturellen und
internationalen Sozialen Arbeit, Koblenz: ECCE
Eigenverlag
Was können und sollen Sozialpädagogen?
In:Der pädagogische Blick 1/1996, p.14-25
European dimensions in theInitial training of youth and
community workers. Koblenz:ECCE-Eigenverlag
Seibel, F.W./Lorenz, W (Hg.) (1997)
Soziale Professionen für ein soziales Europa.
Frankfurt: IKO-Verlag
Wohlfahrtsverbände. In Friesenhahn g.J.(Red) Lernen
und soziales Engagement für Europa, p-139-145
The History of Social Work in Italy and Social Work in
Italy
today.In:Kersting/Riege
(Hg.)
Internationale
Sozialarbeit, p.89-95
66
Staub-Bernasconi, S.(1990)
Staub-Bernasconi, S.(1994)
Staub-Bernasconi, S. (1994)
Staub-Bernasconi, S.(1995)
Staub-Bernasconi, S.(1998)
Staub-Bernasconi, S.(1999)
Thiersch, H. (1986)
Tillmann, J. (1994)
Treptow,R.(Hg.) (1996)
Wendt, W.R. (1985)
Wendt, W.R.(Hg.) (1994)
Das Selbstverständnis sozialer Arbeit in Europa: Frei
von Zukunft - voll von Sorgen.In: Mühlfeld,
C.u.a.(Hg.) Sozialarbeit in Europa,
Neuwied: Luchterhand, p.35-51
Soziale Probleme -Soziale Berufe - Soziale Praxis. In:
Heiner, M.u.a.(Hg.) :Methodisches Handeln in der
Sozialen Arbeit.Freiburg:Lambertus, p.12-101
Soziale Arbeit als Gegenstand von Theorie und
Wissenschaft. In:Wendt (Hg.), a.a.O., p.75-104
Das fachliche Selbstverständnis Sozialer Arbeit - Wege
aus der Bescheidenheit. Soziale Arbeit als "Human
Rights Profession. In:Wendt, W.R. (Hg.) Soziale Arbeit
im Wandel ihres Selbstverständnisses, p
Soziale Arbeit auf der Suche nach autonomen
Paradigmen. InSeibel, F.W./Lorenz, W.(Hg.) Soziale
Professionen für ein soziales Europa.Frankfurt: IKO
Verlag, p. 61-101
The History of the Object Base of Social Work Theory.
Comparisons between German, Anglosaxon and
International Theoretical Approaches.In:MarynowiczHetka, E. et al.(Ed.) European Dimensions in Training
and
Practice
of
the
Social
Professions.Kattowice:"Slask", p.57-78
Die Erfahrung der Wirklichkeit, München 1986
Sozialarbeitswissenschaft
im
Werden
.In:
Schattenburg,
U.
(Hg.):Aushandeln,
Entscheiden,
Gestalten
Soziale
Arbeit,
die
Wissen
schafft.Hannover:Verlag
Sozialwissenschaftliche
Studiengesellschaft, p.17-50
Internationaler
Vergleich
und
Soziale
Arbeit.
Rheinfelden: Schäuble
Geschichte der sozialen Arbeit.
Stuttgart: Enke 2. Aufl.
Sozial und wissenschaftlich arbeiten. Status und
Position
der
Sozialarbeitswissenschaft.
Freiburg:Lambertus
67