Prof.Dr. Günter J.Friesenhahn Fachhochschule Koblenz/University of Applied Sciences European Community Education Studies Finkenherd 4 D-56075 Koblenz Tel 0261 9528-232 Email [email protected] Corso: Pedagogia sociale/Lavoro sociale europea/o Universitá degli Studi San Marino Dipartimento della Formazione Master per operatori nel campo della prevenzione e della riduzione del disagio del scolastico ed extrascolastico 2001 1 Indice A.Prima parte Pedagogia e lovoro sociale in Europa 1. Introduzione:Di cosa si tratta? 2. Sguardo retrospettivo. Cosa c’è stato prima? 3. Definizioni e confronto: un terreno internazionale oscuro. 4. Nove tendenze sul mercato editoriale:libri e riviste 5. La complessità della pedagogia sociale 6. Considerazioni conclusive 7. Bibliografia B.Seconda parte Lavoro con bambini e giovani in Europa 1.Indroduzione 2.Bambini e preadolescenti(kids), giovani e giovani adulti 3.Atteggiamento die giovani nel contesto europeo 4.Concetti e metodi delle attività a favore die giovani 5. Competenze per gli operatori sociali 6.Considerazioni conclusive 7.Bibliografia 2 A.Prima parte Pedagogia e lovoro sociale in Europa 1.Introduzione:Di cosa si tratta? Si tratta di rappresentare qui di seguito la pedagogia sociale/il lovoro sociale come scienza e professione, come teoria e prassi in alcuni tratti caratteristici fondamentali. In questo contesto ci occuperemo di tendenze sociali attuali, di nuovi sviluppi all’interno della scienza sociale. Appare chiaro che una chiara determinazione della posizione della pedagogia sociale è difficilmente possibile a causa della sua complessità all’interno di una società pluralista. Tale complessità, che sussiste in ogni società moderna, aumenta quando entra in gioco l’internazionalità. E’ comunque sensato fare chiarezza sulla condizione e sullo sviluppo della pedagogia sociale e discutere sul suo attuale campo d’azione, sulle sue attuali sfide e possibilità; in breve: fare affermazioni plausibili sulle sue capacità e i suoi doveri, considerando il presente e il futuro. In ciò rientra anche la risposta alla domanda se la pedagogia sociale, in considerazione dei processi di socializzazione (con riferimento alla pluralizzazione, individualizzazione, globalizzazione) non debba mutarsi nella direzione della crescente internazionalizzazione e interculturalità. Se le cose stanno così, la pedagogia sociale dovrà cambiare globalmente. Internazionalità e interculturalità sono state considerate fino ad ora piuttosto come aspetti marginali della pedagogia sociale. Si tende tuttavia a riconosce che i problemi e le sfide, alle quali la pedagogia sociale reagisce, hanno “infranto” da tempo il contesto nazionale. I movimenti migratori e l’intrecciarsi di rapporti aziendali e commerciali internazionali e di conseguenze sociali, in particolar modo il processo di integrazione europea, non passano accanto alla prassi della pedagogia sociale senza lasciare traccia. Inoltre si deve tener conto anche del fatto che il processo di integrazione europea conduce i paesi verso l’adozione di radicali forme di risparmio. Strumenti di analisi di questi processi e di nuovi modelli di comportamento internazionali devono in ogni caso essere sviluppati su un piano formale ed informale, Si tratta infatti di una questione faticosa e al contempo non trascurabile in virtù del fatto che problemi e compiti irrisolti “fanno capolino sull’uscio di casa”. Poco aiuta l’affermazione che la dimensione internazionale della pedagogia sociale sia stata considerata un elemento costitutivo della professione sin dalle sue origini. Esiste l’ipotesi che questa unione internazionale abbia avuto ripercussioni fino ad oggi. Il collega americano Hokenstad (1992) focalizza la sua analisi dell’assistenza sociale nel contesto internazionale su tre punti: le comunanze (compiti, metodi, atteggiamenti etici fondamentali) le differenze (sistemi di formazione e immagine professionale) le sfide (il formarsi della giustizia sociale) Si può aggiungere un altro punto: il discorso academico Esaminando tutto questo in un contesto più ampio, dobbiamo considerare anche gli aspetti e le forze che agiscono sulla pedagogia sociale. Accanto a tutte le peculiarità nazionali e regionali, sembra esserci anche una comunanza trasnazionale. Walter Lopez dell’Università di Cork in Irlanda riassume in occasione di una conferenza internazionale ad Anversa / Belgio (1999): “tutte le professioni nell’ambito del lavoro sociale sono influenzate dai cambiamenti della politica sociale, non sono e non possono in alcun modo essere in nessuno dei loro campi iniziative private, che hanno solo a che fare con transazioni private tra persone…Da un lato lo stato è universalmente preoccupato di ridurre le spese destinate a questioni sociali, una tendenza politica che è normalmente attribuita agli effetti della globalizzazione dell’economia e alla necessità di mantenere competitive le prospettive d’impiego. Dall’altro lato la 4 politica sociale resta per lo stato una fonte preziosa di legittimità politica. Lo stato necessità di essere visto come uno stato che si preoccupa". Con questa osservazione Lorenz coglie l’attuale definizione della posizione della pedagogia sociale/il lavoro sociale. Adrian Adams, Gran Bretagna, constata un paradosso della moderna assistenza sociale: “il paradosso del modern lavoro sociale è il seguente: la sua funzione è quella di assicurare che tutti gli individui siano integrati all’interno della società, ma in seguito allo sviluppo dell’economia globale, è chiaramente sempre meno capace di raggiungere questo scopo. Progressivamente i politici non presuppongono più che la totale inclusione degli individui all’interno della società sia possibile; ritengono invece che siano gli stessi cittadini, piuttosto che lo stato, a diventare responsabili del raggiungimento dell’integrazione sociale.” (2000, p.1) Successivamente faremo luce in maniera più approfondita sul rapporto tra diversi piani (trasnazionale, nazionale, regionale e comunale) della politica e dei servizi sociali. Il compito e lo scopo della pedagogia sociale/il lavoro sociale è sempre più difficile da definire, molteplici sono i concetti e i gruppi d’indirizzo. La pedagogia sociale/il lavoro sociale si occupa di analisi sociali in tutti i paesi, sviluppa concetti, si interroga sulle possibilità individuali, su quali sono i limite socio culturali e culturali della collaborazione o dei processi d’apprendimento. In breve, si interroga sull’uguaglianza, sulla disuguaglianza, sulla differenza. Pone domande su norme e regole, modelli culturali interpretativi, sanzioni; vuole sapere chi e perché entra nel godimento di diritti e privilegi e chi invece ne è escluso. Lo scopo di questa analisi é quello di creare una maggiore giustizia sociale e una compensazione alle ingiustizie esistenti. Essa si preoccupa anche di raffigurare processi di sviluppo e di apprendimento. Tutto ciò riguarda quello che in Germania si intende tradizionalmente con il termine “ pedagogia sociale”. 5 Complessivamente la pedagogia sociale/lavoro sociale vuole cambiare. “In tutti i paesi gli educatori specializzati vedono se stessi come agenti di cambiamenti sociali e di riforme istituzionali" (Hokenstad 1992, p.182) Secondo Lyons(1999, p.6) il lavoro sociale ha le funzione : Care , social change and control. Per capire la situazione attuale e il carattere molteplice della pedagogia sociale in Europa, bisogna considerare la politica sociale, le strutture istituzionali e i modelli organizzativi del lavoro sociale come elementi complementari. Ciò chiarisce anche l’attuale varietà dell’orientamento professionale e dei campi d’azione dello specialista nel campo dell’assistenza sociale. “…..nonostante rimangano significanti differenze tra i sistemi di assistenza sociale in Europa, tali diversità esistenti scaturiscono da risposte diverse a problemi di carattere sociale in paesi diversi." (Adams, Erath, Shardlow 2000, prefazione) Nonostante questa concordanza che viene postulata, si deve tuttavia porre attenzione al fatto che uno sviluppo nazionale, con diversa velocità e orientamento del contenuto, si é fatto comunque strada. E’ dunque grande il tentativo di creare e definire termini di paragone; anche se ciò non conduce molto avanti e si arriva inevitabilmente ad una valutazione di concetti e di modelli pratici. Nonostante ciò, io propongo di tenere in considerazione nelle argomentazioni che seguiranno le quattro categorie proposte dal pedagogista tedesco Thomas Rauschenbach (1991) per descrivere lo sviluppo della professione di operatori sociali. Rauschenbach parla in riferimento alla Germania, tuttavia credo che ciò possa essere esteso ad altri paesi in virtù di una continuità di tendenza. Dal volontariato al professione Specializzazione Accademizzazione Profesionalizzazione 6 Per “Dal volotariato al profesione ” egli intende l’aumento di operatori nel settore della lavoro sociale che ricevono compensi per le loro prestazioni. Il termine “specializzazione” si riferisce all’aumento della percentuale di persone, con una formazione di stampo socio pedagogico, che lavora in questo campo. “Accademizzazione” significa che il personale che lavora nel campo della lavoro sociale ha una formazione che segue gli standard scientifici dell’istruzione terziaria. “Profesionalizzazione” infine riguarda il processo secondo il quale gli operatori sociale sono ritenuti in grado di fornire prestazioni professionali (come lo sono i giuristi, i medici, i sociologhi e gli spicologi). Si tratta di un campo professionale ben delimitato (e ciò diventa sempre più difficile, vedi Lorenz 1999) e di scopi politico governativi. In altre parole, la domanda è: che cosa sanno, possono e debbano fare gli operatori sociali per far fronte ad una prassi pedagogica che si sviluppa in un mondo indipendente e in continua evoluzione? 2. Sguardo retrospettivo. Cosa c’è stato prima? “Il mondo è divenuto piccolo. Le conquiste della tecnica sono progredite. Le persone e i beni sono diventati flessibili, problemi di carattere internazionale sono sorti, problemi che prima erano sconosciuti al nostro modo di procedere in un ristretto spazio vitale.” (A. Salomon). Questa è una citazione del 1930 che sottolinea l’inizio di preoccupazioni internazionali nell’ambito dell’assistenza sociale. Già nel 1853 si tenne a Brüssel un congresso internazionale sul tema dell’assistenza ai poveri e della beneficenza, poi continuò a Londra (1863), Parigi (1889), Chicago (1893), Genf (1896), Parigi, Milano e Kopenhagen (1910) (vedi Friesenhahn1992) 7 Walter Lorenz scrive in un articolo dal titolo “lavoro sociale internazionale”: “l’lavoro sociale è nata nell’ultimo secolo con lo sviluppo dell’epoca moderna, che è stata caratterizzata da nuovi fondamentali presupposti politici e sociali per la legittimazione e la consolidalizzazione di stati di orientamento democratico. Il compito dell’assistenza sociale, sia sul piano statale che attraverso organizzazioni di solidarietà, era quello di assicurare l’integrazione sociale fino ai più bassi gradi della scala sociale.” Questo orientamento patriota, che divenne portante negli ultimi decenni del XIX sec., era in rapporti di tensione con contatti e collaborazioni internazionali, sebbene presso le organizzazioni di stampo borghese (ad es. il movimento femminista borghese) era possibile delineare originariamente un chiaro intreccio internazionale per tre motivi fondamentali. In primo luogo questi movimenti fecero apertamente riferimento ad istituzioni che si erano costituite nell’epoca premoderna in tutti i paesi, come la chiesa ed i movimenti umanistici. Inoltre l’orientamento di secolarizzazione della chiesa nel XIX sec. fu promotore di molteplici iniziative sociali che poterono essere facilmente emulate nei diversi paesi attraverso la divulgazione dei principali fondamenti delle iniziative missionarie; oppure tali iniziative sociali furono direttamente esportate attraverso l’attività degli ordini religiosi nelle colonie e nei paesi europei (ad es. furono fondati ordini religiosi in Francia e Belgio che condussero alla creazione di scuole, ospizi, missioni in Irlanda o Spagna, ). In secondo luogo l’industrializzazione e la diffusione delle condizioni capitalistiche di mercato portarono problemi sociali che rispecchiavano direttamente tali evoluzioni della società. Infine gli stessi nuovi movimenti sociali del XIX sec. avevano tuttavia una dinamica internazionale che era in rapporto di conflittualità con le loro stesse concretizzazioni (o trasformazioni) di orientamento nazionale. Il movimento femminista, il movimento dei lavoratori, il movimento pacifista e più tardi quello giovanile, che fece propri i temi del Romanticismo, avevano soprattutto un orientamento internazionale. 8 Questi movimenti, in tutta la loro contraddittorietà, furono direttamente ed indirettamente importanti per lo sviluppo dell’assistenza sociale. L’emergenza sociale e le sue origini non si lasciarono racchiudere entro i confini nazionali, anche se le lotte da parte della borghesia furono essenzialmente dirette a provvedimenti nazionali in difesa dell’Internazionale Socialista e miravano al riconoscimento dell’utilità della legittimazione politica e dell’integrazione dei servizi sociali. La seconda metà del XIX sec. iniziò all’insegna di numerosi congressi internazionali sul tema della beneficenza, igiene, riforme sociali e spesso fecero seguito a esposizioni mondiali. Lo scambio di esperienze e la raccolta di studi empirici erano ormai centrali, una comprensione scientifica dei problemi sociali si sviluppò senza giungere ad un modello unitario d’intervento . All’interno di questo sviluppo lavoro sociale dovette da un lato darsi un significato nazionale, dall’altro lato invece cercò di appropriarsi delle caratteristiche fondamentali dell’autonomia professionale, che furono individuate nella creazione dei fondamenti scientifici, di un sapere scientificamente oggettivo e di un sistema d’azione autoresponsabilizzato. La crisi della prima guerra mondiale portò il pericolo di una ricaduta verso orientamenti rigidi e nazionalistici che potevano essere in parte contrastati dall’assistenza sociale grazie al suo legame con movimenti internazionali, in particolare con il movimenti pacifista e femminista. Per questo motivo si sviluppò negli anni venti un’intensa ricerca non di modelli di lavoro sociale, che potevano essere facilmente emulati ed esportati, bensì di metodi scientificamente fondati che potessero liberare la professione dal ruolo di “esecutrice degli ordini” dettati dagli interessi sociopolitici e di stampo nazional-ideologico dello stato nazionale”. Fu Alice Salomon a rendersi benemerita di questa ricerca. L’accusa internazionale che trovò il progetto metodologico di Mary Richmond sulla diagnosi sociale, biasimò non solo questo interesse, ma anche la rapida 9 diffusione di riferimenti psicoanalalitici, per lo meno nell’ambito della psichiatria infantile e dei metodi d’insegnamento nelle scuole per educatori specializzati. Il paradigma pedagogico predominante in Germania non aveva alcuna adeguata risonanza sull’assistenza sociale sia perché venne frainteso, sia perché venne sentito come troppo culturalmente specifico. Una pietra miliare fu poi la prima conferenza internazionale sul tema “assistenza sociale” che si tenne a Parigi nel 1928. In quell’occasione ci si focalizzò su domande riguardanti la formazione e A, Salomon constatò che la formazione fino ad allora si era orientata a dati di fatto di natura mediocre, e che necessitava invece anche dell’istituzione di un luogo di formazione internazionale: “le scuole per i servizi sociali portano impresso in ogni paese il carattere nazionale, sono influenzate dal sistema scolastico vigente, oltre che dai tipi di assistenza sociale risultanti dalle peculiari condizioni economiche e sociali esistenti nelle diverse nazioni.” (Salomon 1928, citata da Friesenhahn 1992). Un anno più tardi venne fondata appunto la ASSU (Associazione Internazionale di Scuole per Eucatori Specializzati | International Association of Schools of Social Work - IASSW), tuttavia i contatti internazionali fra scienziati si arrestarono presto a seguito della seconda guerra mondiale Subito dopo il secondo conflitto mondiale giunse una lieve brezza internazionale in Germania, e in seguito in Europa, attraverso il programma di ri-educazione e ri-importazione dei cosìddetti metodi classici. Negli anni sessanta vennero recepiti in modo rafforzato i concetti americani (action research, labelling approach) che non erano solo strumenti pratici, ma trasportarono anche contenuti culturali. “La diffusione internazionale dei principi riguardanti lavoro sociale (case work), anche sul piano del lavoro collettivo e di gruppo, fu un elemento integrante e fisso, non solo del programma di “denazificazione” degli alleati nell’epoca postbellica, caratterizzata dall’incomunicabilità; bensì anche dei tentativi di democratizzazione perseguiti dagli USA e dalle Nazioni Unite nei confronti degli stati e nazioni che si trovavano in una fase di rinascita, in 10 conseguenza del crollo o del ritiro di strutture di dominio politico quali dittature o domini coloniali.. Gli aiuti economici ed i programmi statunitensi e delle Nazioni Unite resero possibile al potenziale personale docente e al personale operante nell’ambito dell’assistenza sociale di tali paesi di assistere alla prassi e allo studio degli interventi in ambito sociale negli Usa per un certo periodo e di acquisire una qualifica sul posto. Ciò ebbe come conseguenza la diffusione della letteratura utilizzata nelle scuole superiori americane; fino agli anni settanta circolava nel mondo non comunista, fatta eccezione per i paesi francofoni e per le loro colonie una grande quantità di manuali riguardanti i suddetti corsi di studio. I modelli di studio delle scuole americane si affermarono in quei paesi dove il personale docente possedeva per la maggior parte diplomi rilasciati negli USA (paesi scandinavi, Grecia, Irlanda, Turchia, Australia, Nuova Zelanda, i principali paesi del terzo mondo asiatico ed africano).” (Lorenz 2001) Interventi come: la riforma psichiatrica in Italia, i tema delle droghe in Olanda, la “community education" e "anti-oppresiv social work” in Gran Bretagna ecc., mostrano pertanto che il lavoro sociale si è costantemente confrontata con forme organizzate e concetti d’azione provenienti dall’estero; si è lasciata stimolare e si è aperta a scambi. Fino ad oggi tuttavia manca una rielaborazione sistematica delle relazioni che apporti un potenziale innovativo e riguardi nuove problematiche. Al tempo, parallelamente a questo sviluppo, avvenne un incessante ondata di migrazione in tutti i paesi industrializzati, che condusse a scontrarsi con processi di iterazione tra persone provenienti da contesti culturali diversi. Non va dimenticato che l’Unione Europeo cercò, con l’ausilio di diversi programmi, di promuovere la cooperazione internazionale, di facilitare la mobilità dei cittadini e infine di destare una coscienza europea attraverso scambi e riflessioni. 11 In Gran Bretagna H. Barr (1990) scrisse in riferimento a questa situazione: “gli operatori sociali saranno tra i primi ad essere testimoni degli effetti che ciò avrà sugli individui, sulle famiglie e sulle comunità; essi ricopriranno una posizione che permetterà loro di estrapolare le implicazioni che si avranno sulla politica sociale". In un manoscritto svizzero si trova delineato uno scopo programmatico: “sono i cambiamenti, che caratterizzano la società contemporanea, a necessitare un approccio interculturale.” (Roland-Ricci,1998, p.26). In una rivista italiana si dice : “l’interculturalità, allora, è una prospettiva obbligata all’interno dei paesi occidentali, ma anche per tutti gli altri.” (Mangano,1993, p.59) (vedi Friesenhahn 1992) Le citazioni potrebbero continuare, gli esempi riportati mostrano che il bisogno di una cooperazione internazionale è ampiamente riconosciuto e che la prospettiva interculturale costituisce il caposaldo a cui si aspira. Va dato rilievo inoltre in questo contesto alla “rete tematica” – profesioni sociali per un’Europa sociale. (vedi: Seibel, Friedrich, W./Lorenz, Walter (Hrsg) (1998) Soziale Professionen für ein Soziales Europa. Frankfurt: Iko-Verlag, ISBN3-88939-443-4 Chytil,Oldrich/Seibel, Friedrich.W.(Hrsg) (1999) Europäische Dimensionen in Ausbildung und Praxis der Sozialen Professionen.Boskovice:Albert, ISBN 80-85834-62-6 3.Definizioni e confronto: un terreno internazionale oscuro. N. Belardi conclude in una raccolta di recensioni che l’assistenza sociale internazionale è sempre ancora la figliastra dell’assistenza sociale. Proprio per questo appare necessario occuparsi nuovamente e in modo più esaustivo della prospettiva internazionale. Di cosa si tratta esattamente? Secondo Belardi l’internazionalità “si mostra attraverso confronti e scambi sul superamento di situazioni problematiche e su nuove impostazione di problemi (ad esempio migrazioni, minoranze, unione europea).” Nel libro di Hockenstad, uscito negli USA nel 1992, si legge : “il concetto di “profili internazionali del lavoro sociale” fu usato per la prima volta da George 12 Warre nel 1943 per descrivere l’attività professionale dell’assistenza sociale all’interno di agenzie impegnate in attività internazionali.” (1992, p.4) Questa definizione può essere completata attraverso un’altra che include la dimensione strutturale dell’attività sociopedagogica; ossia l’assistenza sociale internazionale fu definita come il campo d’azione degli assistenti pedagogici in forme organizzate che si occupano di attività internazionali (es. la Croce Rossa Internazionale). Pfaffenberger / Trenk / Hinterberger (1988) definirono lavoro sociale internazionale come segue: “con questo termine generale, ci si riferisce ad attività sociopedagogiche, sociali e sociopolitiche, ad interventi ed operazioni le cui realizzazioni internazionali, attuate attraverso organizzazioni e responsabili, vanno oltre i confini nazionali, ossia valicano la consueta cornice nazionale del lavoro sociale/pedagogia sociale.” L’aggettivo “internazionale” viene spesso utilizzato quando si parla di confronto tra società stabilmente organizzate. In questo contesto Pfaffenberger fece una distinzione tra confronto diacronico (nello stesso paese, ma in epoche differenti) e confronto sincronico (nella stessa epoca, ma in paesi diversi). Il confronto ha un valore pragmatico; attraverso i confronti si riconoscono forme alternative della prassi sociopedagogica che possono apportare impulsi innovativi e spronare a riflessioni. Lo scopo fondamentale di questa sistema di comparazione è quello di stabilire rapporti tra almeno due fattori e di creare categorie che rendano possibile un accordo su uguaglianze, differenze e compatibilità. Certamente è difficile individuare una forma puramente descrittiva, e se anche lo fosse, questa risulterebbe comunque incerta. La scienza dell’educazione che si basa su questo metodo comparativo si dette negli anni sessanta e settanta scopi normativi: “le comparazioni tra sistemi formativi…..dovrebbero servire a trovare accordi tra i popoli e dovrebbero favorire una coesistenza pacifica,” (Glowka, citato da F.W. Busch) Tale metodo comparativo, incentrandosi su valutazioni riguardanti il confronto tra il mondo capitalista occidentale e quello comunista orientale, forniva spesso 13 delimitazioni piuttosto che avvicinamenti, confronto piuttosto che cooperazione. Pfaffenberger (1982, p.132) precisò riguardo alla comparistica sociopedagogica: “nel momento in cui il lovoro sociale di un paese e il sistema formativo ad essa legato si concentrano sulla rappresentazione di confronti tra paesi diversi e di conseguenza su propositi critico-costruttivi, non hanno più la capacità di occuparsi di singoli fenomeni e singoli fatti…” Serve una cornice di riferimento più ampia che permetta dunque di capire il significato di organizzazioni ed istituzioni sociali, ma anche di singoli provvedimenti ed azioni pedagogiche. Il sistema comparativo fino ad ora elaborato invece è privo di una simile cornice di riferimento e deve perciò essere costantemente sviluppato e rivisitato. John Pitts parla nell’opera “Social work in Europe” (1/1994) di un’analisi franco-britannica e di tentativi compiuti per comparare sistemi differenti. Il primo passo fu la ricerca di un’equivalenza all’interno della prassi professionale. Il secondo tentativo fu un’analisi strutturale e funzionale dei sistemi, della profesionalizzazione e dello sviluppo di organizzazioni missionarie. Il terzo passo fu infine quello di concentrarsi sul “final vocabulary which articulates the ultimate rational for action” ossia un vocabolario che si occupa di concetti. Hockenstad /1992, p.5) parla di un’analisi sorta in nuovi paesi che ha per oggetto il ruolo dell’assistenza sociale negli interventi inerenti alla terza età. In tutti i paesi gli educatori specializzati vengono considerati come coloro che si occupano della “disciplina del servizio umano” (human service discipline); tuttavia il loro ruolo professionale presenta delle differenze: “questi ruoli professionali sono influenzati non solo dalla politica governativa e da prerogative organizzate, ma anche dalla definizione di peculiari priorità professionali e di preferenze di prassi. I diversi livelli e tipi di formazione di 14 educatori specializzati sono un altro fattore che determina lo status professionale e definisce i ruoli.” In breve la letteratura specialistica e le modalità di ricerca mostrano totale accordo sul fatto che quando si parla di comparazione internazionale, vadano sempre considerati i seguenti elementi: − la storia dello sviluppo dell’assistenza sociale − la struttura del sistema sociale − il ruolo della politica sociale − strutture tradizionali e nuove che si occupano di fornire servizi agli individui − lo sviluppo della profesionalizzazione e dei curricoli della pedagogia sociale − considerazioni giuridiche generali − ruolo sociale della pedagogia sociale − identità professionale ed etica professionale della pedagogia sociale − problemi e sfide che i “professionisti” devono affrontare − metodi nuovi − concetti scientifici a cui la pedagogia sociale fa riferimento − legittimazione per l’intervento pedagogico − il luogo, lo spazio riservato agli assistenti pedagogici nei diversi paesi − il mercato del lavoro − il formarsi della clientela − riteri da seguire affinché il lavoro abbia successo Da qui in poi si dovrebbe parlare del ruolo delle organizzazioni internazionali e quindi dei congressi specialistici, dei confronti sui diversi provvedimenti adottati, della pubblicistica internazionale. 15 L’intero panorama serve da un lato a delineare le nuove esigenze del lavoro sociale in contesti internazionali; dall’altro lato offre al lavoro sociale nazionale la possibilità di riflettere e acquisire sicurezza sulla peculiarità del proprio contesto d’origine e di abbracciare nuove alternative. Il raggio d’azione non si limita all’Europa, ma si estende oltre. Tutto ciò può facilmente incontrare ostacoli a livello organizzativo, perché si tratta di studi comparativi internazionali che non provengono da un paese, ma appartengono a discipline scientifiche diverse; nonostante ciò sono studi che vanno necessariamente proseguiti. 4.Nuove tendenze sul mercato editoriale:libri e riviste Concludiamo affermando che il numero della pubblicazioni riguardanti il tema della pedagogia sociale/lavoro sociale europea ed internazionale è in continuo aumento. Inoltre va aggiunto che il termine inglese “social work” domina non solo a livello linguistico, ma influenza ampiamente anche i campi d’azione di cui si è precedentemente discusso. L’espressione anglosassone “social workers” riferita agli operatori del settore domina in maniera incontrastata e solo raramente si trovano le corrispondenti espressioni in lingua tedesca, francese o italiana. In ambito tedesco si possono citare una serie di libri che trattano del tema dell’assistenza sociale internazionale ed interculturale, pubblicati da Franz Hamburger (edizione:Schäuble Verlag Rheinfelden)e un'altra serie di scritti pubblicati dall'Istituto Pedagogico dell’Università Johannes Gutenberg di Mainz e dall’ECCE (European Centre for Comunity Education) di Coblenza ECCE, Finkenherd 4, D-56075 Koblenz email [email protected]) Per esempio Guerra, L./ Sander, G.(Hg.) (1993) Sozialarbeit in Italien.Rheinfelden:Schäuble Hamburger, F.(Hg.) (1994) Innovation und Grenzüberschreitung. Rheinfelden:Schäuble 16 Treptow, R.(Hg.) (1996) Internationaler Vergleich und Soziale Arbeit. Rheinfelden:Schäuble Jung,R./Schäfer, H./ Seibel, F. (Hg.) (1997) Econonmie Sociale. Fakten und Standpunkte zu einem solidarwirtschaftlichen Konzept.Frankfurt:IKO-Verlag Seibel, F./ Lorenz, W.(Hg.) (1997) Soziale Professionen für ein soziales Europa. Frankfurt.IKO-Verlag Vanno inoltre menzionate nel panorama internazionale le seguenti pubblicazioni. Hokenstadt, M.C. (Ed) (1992)Profiles in internationale Social Work. Washington:NASW Press Lorenz W. (1994) Social Work in a Changing Europe: London and New York:Routledge Lyons,K (1999) International Social Work:Themes and Perspectives.Hants:Ashgate Adams, A./Erath,P./ Shardlow,St.(Ed.) (2000) Fundamentals of Social Work in Selected European Countries. Dorset:Russell House Publishing Adams,A./Erath,P/ Shardlow, St.(Ed) (2001) Key thmes in European social Work. Dorset:Russell Publishing Marcon, P.( a cura di) (1989) Educatori nell Europa Guerra, L./Hamburger, F./ Robertson,A.(a cura di)(1996) Educazione Communitaria in Europa. Bergamo:edizione junior Bolognari, V./ Kühne, K.(a cura di) (1997) Povertà, Migrazione,Rassismo. Il lavoro sociale ed educativo in Europa. Bergamo:edizione junior Per concludere va indicata anche la nuova rivista “European Journal of Social Work” (www.oup.co.uk/eurswk )che ha affiancato “Social Work in Europe”, (www.brunel.ac.uk/depts/social</europe/swine.html) altra rivista affermata. 17 Nel contesto internazionale, la conoscenza delle lingue straniere è fondamentale. La lettura di testi in lingua straniera risulta generalmente difficile e richiede tempo perché il doversi scontrare con strutture e peculiarità dell’assistenza sociale in altre paesi può facilmente scoraggiare il lettore. E’ utile in questo ambito citare il libro di Ria Puhl e Udo Maas (Hg.) (1997) Soziale Arbeit in Europa.Weinheim:Juventa Se si confrontano le pubblicazioni inerenti al lavoro sociale in paesi diversi (Italia, Austria, Francia, Spagna, Svezia, Olanda, Gran Bretagna, Finlandia e Svizzera) si nota che ogni capitolo porta la seguente struttura organizzativa: − sviluppo sociale − tratti fondamentali delle caratteristiche sociopolitiche − strutture delle organizzazioni − importanti campi di intervento e fondamenti giuridici − metodi e impostazioni di lavoro − posizione professionale degli specialisti − problemi attuali - ormazione Questa articolazione rende possibile una lettura sia sistematica che diagonale. I testi spiegano che tutte le società moderne sono contrassegnate dal fatto che tutte gli interventi non sono mai spontanei e volontari, bensì sempre organizzati. Questa organizzazione poi avviene in modo diverso da paese a paese. Le strutture di pensiero e di azione nel campo dell’assistenza sociale non si trasmettono facilmente tra i paesi. Ciò significa che non ci si può aspettare che i partner stranieri con cui si collabora o i clienti che provengono 18 da altri paesi abbiano le stesse idee sui processi di organizzazione ed amministrazione nell’ambito dell’assistenza sociale. Alcune citazioni possono chiarire che cosa è necessario sapere per sormontare ostacoli e differenze fino ad ora incontrati. “Fino dopo la seconda guerra mondiale non esisteva in Italia la professione di educatore specializzato.” “In Austria non c’era un sistema di leggi unitario che regolasse l’assistenza sociale ; ogni regione appartenete alla confederazione aveva leggi proprie in materia e c’erano dunque differenze sostanziali sia nelle linee di intervento in ambito sociale, sia nella tipologia e nella dimensione dei servizi.” “Le strutture e le organizzazioni nell’ambito dell’assistenza sociale sono diverse negli altri paesi rispetto alla Germania; i francesi danno un significati diverso al termine “assistenza sociale” (travail social). In particolar modo è notevole lo scarso ruolo ricoperto dalla chiesa.” “In Finlandia l’assistenza sociale è vista come un dovere pubblico. La maggior parte degli addetti ai lavori, circa il 90%, è impegnata in servizi sociali pubblici.” Vediamo in confronto il libro: Karen Lyons (1999) International Social Work.Hants:Ashgate Publishing Ltd. Allegato 1 Riassumendo: L’osservazione attraverso una prospettiva internazionale ha conseguenze sulle diverse percezioni di aspetti fondamentali del lavoro sociale nei diversi paesi, ad esempio: − sviluppo storico − differenze e comunanze tra la pedagogia sociale e il lavoro sociale 19 − concetti fondamentali − semplicità e profilo delle competenze − campi d’azione e contesti d’intervento − teoria e sviluppo dei concetti Concludo affermando che la pedagogia sociale/il lavoro sociale sarà in futuro più internazionale e interculturale; ciò dipende anche dagli interessi degli operatori nel settore e dei clienti Con la spiegazione di questa determinazione programmatica non ci si può esprimere su problemi ed argomenti che gli assistenti pedagogici devono ancora affrontare. La pedagogia sociale/lavoro sociale è tanto complessa quanto lo è il contesto sociale a cui si riferisce e il contesto europeo è quello della flessibilità e dunque di ciò che internazionale e interculturale. Seconda parte 5.La complessità della pedagogia sociale La pedagogia sociale è un fenomeno difficile da afferrare per molteplici aspetti. Da quando esiste la pedagogia sociale/il lavoro sociale come scienza e professione? Qual è l’oggetto a cui si indirizza e con quale scopo? Quali sono i suoi metodi e che idea ha di se stessa? Le risposte a tali quesiti verranno fornite con la seguente discussione. La nascita La domanda “da quando esiste la pedagogia sociale” trova una risposta differente in ogni paese. In Germania ci furono delle basi già con i precetti di carità nel XII e XIII sec. I poveri della società vennero sostenuti dai ricchi per motivi religiosi. Lo scopo 20 non era tanto quello di risollevare veramente i poveri dalla loro condizione, quanto invece quello di guadagnarsi una buona posizione per la “vita eterna” una volta abbandonata l’esistenza terrena. Si trattava infatti di un accordo fatto per necessità e non di un vero cambiamento delle condizioni di vita degli interessati. Dopo alcune forme di transizione sorse circa a metà del secolo scorso una nuova situazione in Europa. L’unità d’Italia (1861), la nascita dell’Impero Tedesco (1871) sono date importanti in questo contesto, in quanto il formarsi di stati nazionali condusse alla nascita di una nuova prospettiva riguardo alla situazione sociale della popolazione. Lo stato e la società si videro costretti a consolidare l’unità nazionale ormai raggiunta attraverso la creazione di un’egemonia culturale e di proteggerla dall’esterno. In questo progetto rientrava anche la creazione dell’unità culturale ed economica della società. Gli individui ai margini della società dovevano quindi essere appoggiati e il bene comune doveva essere promosso. La funzione sociale dei provvedimenti sociopolitici non era quella di migliorare la miserabile situazione in cui la maggioranza degli individui viveva grazie alle condizioni di produzione capitaliste, bensì la funzione dello stato consisteva soprattutto nel creare lealtà attraverso la politica sociale. “L’assistenza non poteva rimanere una questione privata tra coloro che prestavano aiuto e coloro che avevano bisogno di essere aiutati, i valori primari mediati attraverso questa transazione avevano un significato sociale e politico.” (Lorenz 2000, P.66) Perciò lo stato non lasciò tali provvedimenti a lungo esclusivamente in mano alle >Opere Pie<. Le strategie e la rapidità con cui gli stati intrapresero questi compiti furono diversi e lo saranno fino ai giorni nostri. “A differenza della Gran Bretagna e della Germania, in Italia il processo di industrializzazione ebbe inizio più tardi. Grandi centri industriali nacquero negli anni Venti e Trenta soprattutto al nord, tuttavia la produzione industriale 21 vera e propria si è sviluppata dopo la seconda guerra mondiale; solo allora ha avuto un vero impatto sul sistema economico e sociale. A pari passo procedette anche lo sviluppo di sistemi di assistenza e sussidio che nacquero prevalentemente nel dopoguerra, mentre precedentemente i pilastri principali che prestavano sussidio e assistenza di ogni genere erano le famiglie e la Caritas cattolica” (Riege 1996, P.49) Indicazioni sui tre diversi sistemi di assistenza: Lorenz (1994) Social Work in a Changing Europe, P.15 e seguenti Lyons (1999) International Social Work, P. 55 e seguenti L’esempio italiano “Gli enti assistenziali nell’Italia della prima metà del XIX sec. erano in mano alla chiesa e a benefattori privati. Dopo l’unità d’Italia (1861) lo stato si assicurò il controllo e l’intervento nel campo della previdenza ed introdusse assicurazioni contro gli infortuni, la vecchiaia e l’invalidità per i lavoratori e una assicurazione contro la malattia legalmente riconosciuta nel 1943. L’ambito dell’assistenza sociale rimase comunque affidato al settore privato, mentre ci furono solo vaghi accenni alla responsabilità statale” (Polmoni 1993, P.27) Nella metà del secolo scorso sorsero associazioni dei lavoratori in aiuto alla società di mutuo soccorso. Dopo l’unità d’Italia fu promossa una serie di leggi con lo scopo di regolamentare l’assistenza secondo prerogative statali. Le Opere Pie furono regolamentate e in seguito secolarizzate con la legge Crispi del 1890. Il monopolio della chiesa nell’ambito dell’assistenza ai poveri ebbe fine e fu sostituita dalle IPAB (Istituzioni Pubbliche di Assistenza e Beneficenza), le quali furono subordinate al controllo e alla sorveglianza delle province. Con la costituzione del 1948 l’Italia si proclamò stato sociale e l’introduzione della solidarietà sociale divenne un compito obbligatorio dello stato, ossia doveva essere prestato aiuto a tutti coloro che lo necessitano, tutti avevano diritto al mantenimento. Ulteriori riforme (decentralizzazione e 22 rafforzamento dell’autonomia delle regioni) condussero a notevoli cambiamenti. Con la legge 382 del 1975 e il decreto presidenziale N°616 vennero sciolte le IPAB e le loro competenze nell’ambito dell’assistenza, sanità e strutture ospedaliere furono affidate alle province e ai comuni. Con il suddetto decreto viene espresso per la prima volta il concetto di “servizi sociali” che racchiude in se l’ambito sociale e della sanità (cfr. Polmoni 1973, Filtzinger 1993, Riege 1996). L’unità di base dei servizi sociali era “l’unità sanitaria locale” (USL) ed in alcune regioni “l’unità Socio-sanitaria locale” (USSL). Questo sviluppo che ancora non si è concluso, ha avuto ripercussioni anche in altri paesi. In questo contesto si possono ricordare: la chiusura degli istituti psichiatrici, l’introduzione di centri di assistenza e di consultori per tossicodipendenti e il rilievo dato a campagne di prevenzione, “A queste novità di contenuti e alla nuova organizzazione decentralizzata della sanità e dei servizi sociali non corrisposero però cambiamenti per quanto riguardava la formazione e lo status di coloro che operavano nel settore . I giovani erano sempre più attivi, seppure in maniera discontinua, nel campo della sanità e dei servizi sociali. ma erano attivi principalmente per propria iniziativa; si trattava di un intenso lavoro di gruppo. La loro attività riscuoteva spesso successo, per cui qualifiche e riconoscimenti formali passavano in secondo piano. Le qualità personali erano considerate fondamentali per lavorare con successo nel campo dei servizi sociali e sanitari in Italia in questa fase, tutto ciò non fu invece così marcato in Gran Bretagna o nella Repubblica Democratica Tedesca” (Riege 1996, P.50) La formazione era per lo più eterogenea e solo alla fine degli anni Ottanta che venne unificata integrata nell’ambito dell’istruzione universitaria. La maggior parte degli operatori sociali lavorava nelle USL, altri presso le istituzioni pubbliche (trattavano con i detenuti, lavoravano nell’ambito dell’assistenza ai condannati durante la sospensione condizionale della pena e nell’ambito dei servizi sociali rivolti ai minorenni e a coloro che avevano problemi di droga). 23 Al contrario in Gran Bretagna e Germania molti erano attivi anche all’interno di cooperative. “Le istituzioni ecclesiastiche ebbero un ruolo fondamentale nel favorire un lavoro sociale professionale.” (Riege 1996, P.59) E’ chiaro che l’unico gruppo professionale che opera nel settore sociale non è quello degli assistenti sociali. In Italia con la denominazione “operatori sociali” si comprende assistenti sociali, educatori specializzati, educatori professionali, animatori, assistenti domiciliari e delle strutture tutelari. A volte l’espressione “operatore sociale” è anche usata per riferirsi a psicologi, sociologi che operano nel campo dei servizi sociali e sanitari. “Si tratta quindi di un ampio spettro di specialisti che si occupano dei servizi sociali, dell’educazione in collegio, dell’educazione di gruppo, di consulenze e del lavoro con bambini e ragazzi e che sono assunti prevalentemente presso istituzioni pubbliche, ma che non hanno tutti una formazione specifica ed adeguata al settore in cui lavorano.” (Filtzinger 1993, p.140) In Germania prevale una forte tendenza nell’ambito della professionalizzazione della pedagogia sociale ad accettare solo specialisti con una formazione specifica. Più avanti ritornerò su questo punto. In Italia la denominazione “educatore professionale” fu proposta in un resoconto della commissione di studi del Ministero degli Interni nel 1984 (DM 10-02-1984) e ottenne così carattere ufficiale. Una formazione per questa professione esiste dal 1970 (Scuola per la Formazione di Educatori di Comunità, Università La Sapienza, Roma). Però ancora prima di questa regolamentazione esistevano organizzazioni di operatori pedagogici. “L’Educatore Professionale è presente nel nostro Paese fin dagli anni’50 ed è stato inizialmente impiegato nel lavoro con ragazzi in difficoltà o portatori di handicap di solito ricoverati in istituti. Negli anni ’60 l’ambito d’impegno del personale educativo spezzialisato si estende alle attività del tempo libero e dell’educazione degli adulti e negli anni ’70 si afferma la necessistà di disporee 24 di personale educativo per la gestione die servizi territoriali alternativi all’istituzionalizzazione”(Barboloni 1995,p.11). Accanto alle scuola diretta a fini speciali a Roma gli educatori ricevono una formazione presso le scuole regionali o presso i centri delle USL che rilasciano attestati di formazione come “educatore professionale” generalmente dopo 3 anni di frequenza. L’abilitazione professionale non è obbligatoria. Si usa invece distinguere tra >diploma< e >professional qualification< in Gran Bretagna e tra >diploma< e >riconoscimento dallo stato< in Germania, dove non si ottiene di regola la qualificazione professionale esclusivamente con l’attestato rilasciato dalle scuole superiori, ma è anche necessario un riconoscimento del ministero responsabile. In Italia c’è stata la conversione del corso di laurea in pedagogia in corso di laurea in scienze dell’educazione che offre la possibilità di ricorrere a pedagogisti laureati da inserire in questo settore: educatori professionali extrascolastici in alternativa a insegnanti negli istituti secondari ed esperti nei processi di formazione. Il master “operatori nel campo della prevenzione e della riduzione del disagio scolastico nell’età preadolescenziale” mostra con chiarezza che la differenziazione dell’ambito professionale, dell’offerta formativa e della denominazione professionale si sta facendo strada. Questo sviluppo che caratterizza tutta l’Europa implica che non si arriverà mai ad una omogeneizzazione o unificazione del lavoro sociopedagogico. I governi europei cercano di unificare strutturalmente i percorsi formativi, ma il rovescio della medaglia di queste tendenze europee volte alla globalizzazione è la nascita di nuove professioni che sfidano quindi tale tendenza all’unificazione (>social care< in Gran Bretagna, >Management sociale< in Germania); coloro che offrono servizi sociali, siano questi statali, appartenenti ad associazioni umanitarie, a cooperative o ad organizzazioni con scopo di lucro, devono necessariamente rispondere ai seguenti interrogativi: chi fa cosa e per chi? Perché? Con quali competenze? Con quali costi? Che opinioni hanno i 25 clienti/fruitori dei servizi? E’ necessaria un’idea professionale di se stessi chiara e trasparente. Fino a qui quest’ambito professionale è contraddistinto da 2 gruppi caratteristici: “Nella maggior parte die paesi dell’Unione Europea la formazione alle due principaöi professioni che si dedicano al lavoro sociale, gli educatori sociali/specializzati/professionali/lavoratori per la communità e la gioventú e gli assistenti sociali è attività...In generale l’educatore sociale/professionale è un educatore che non svolge la propria attività solo nei confronti di persone in difficoltà (come educatore specializzato), ma per tutta la populazione con finalità di prevenzione sociale e generale con la prospettiva di contribuire al meglioramento della qualità della vita” (Macon 1998,p.341/342). Filtziger scrive che il terreno in cui l’educatore opera comprende il lavoro sociale e preventivo nell’ambito della cosiddetta normalità: lavoro in istituti, luoghi di abitazione in comune, centri di accoglienza per minorenni, ospizi per anziani, servizi psichiatrici territoriali. In uno scritto del comitato europeo di istituzioni di formazione per educatori sociali si legge: “con l’espressione “educatore specializzato” si intende uno specialista che dopo una specifica formazione incoraggia la trasformazione di metodi e tecniche sociali, lo sviluppo personale, la maturazione sociale e l’autonomia dei giovani e degli adulti che si trovano in situazioni difficili, dei portatori di handicap, dei disadattati e di coloro che sono in pericolo. Lo specialista condivide con questi soggetti le diverse situazioni di vita quotidiana, siano queste spontanee o organizzate, lo fa all’interno di strutture o di servizi, oppure in naturali condizioni di vita; è un’attività che si indirizza all’individuo e all’ambiente circostante. (citazione di Filtzinger 1993, P.143) Questa definizione sottolinea gli aspetti pedagogici dell’attività, si riferisce all’esigenza di sviluppo, di riabilitazione dei disadattati. Gli educatori sono dunque responsabili dell’osservanza delle leggi e dell’integrazione sociale. 26 Questa discussione è affrontata in Italia da Rino Fasol nel volume: Adams/Erath/Shardlow (Ed. 2000) Foundamentals in social Work in Selected European Countries, P.65-82. Allegato 2, testo in italiano L’esempio tedesco Nella metà del XIX sec. Avvennero in Germania significanti cambiamenti sociali. La popolazione crebbe velocemente (aumentando di 40 milioni dal 1800 al 1871), l’agricoltura non era più sufficiente come mezzo di sostentamento. La gente si diresse verso i centri industriali che proliferavano rapidamente e perdette perciò i contatti con i sistema di assistenza informali e privati. Il bisogno e la povertà si acutizzarono nelle città cosicché i comuni si videro costretti a reagire a questa nuova situazione. Lo stato non intraprese provvedimenti sociopolitici e ci furono iniziative private che tentarono di arrestare il problema attraverso l’adozione di misure (istituzione di consorzi di consumo e produzione, associazioni di soccorso, fino ad arrivare alla fondazione dei sindacati). La situazione di povertà e bisogno caratterizzava una molteplicità di individui e non era solo un problema sociale individuale, la questione sociale divenne dunque un punto focale dello sviluppo sociale. Inoltre divenne chiaro che i problemi non avevano solo una dimensione sociale, ma toccavano anche la dimensione politica. del problema dell’assistenza ai poveri si occuparono le organizzazioni di beneficenza ecclesiastiche e private che possono essere comparate alle Opere Pie italiane. I comuni inoltre svilupparono un sistema di assistenza ai poveri su basi onorarie, il più conosciuto è certamente quello della città di Elberfeld, che venne istituito nel 1853. La città venne divisa in 140 quartieri circa e ogni quartiere aveva i propri assistente onorari (volontariato) che abitavano nei quartieri stessi ed erano 3-4 persone o famiglie competenti. “In questo modo era facile soccorrere i bisognosi di aiuto, ognuno si occupava di un certo numero di individui.” (Herig/Münchmeier 2000, P.30) 27 Gli operatori sociali che si occupavano dei poveri potevano concedere aiuti economici in accordo con i comuni. Con questo sistema, che fu adottato in molte città, si delineò una struttura di intervento sociale che è sopravvissuta fino ad oggi e che viene denominata “duplice mandato”, perché si tratta di aiuto/assistenza e controllo. In quest’epoca, caratterizzata dal passaggio da una società stabile ad una società di classe, emerse per la prima volta il concetto di pedagogia sociale. Karl Mager (1844) e Adolf Diesterweg (1850) descrissero la nuova situazione in Germania in modi diversi. Diesterweg con il termine “ pedagogia sociale” si riferì a tutti i tentativi di compensare e ridurre la povertà e i problemi ad essa legati attraverso aiuti materiali, provvedimenti politici, educazione sociale e speciali misure educative. I cambiamenti sociali svelarono che il contesto familiare non era più sicuro e che la parrocchie non erano in grado di fornire abbastanza appoggio e ricoprire una funzione socioeducativa. La mancata educazione intesa come disintegrazione, disadattamento e negligenza venne concepita come un pericolo per l’esistenza comune. Il fatto che le pretese eccessive delle famiglie potessero condurre alla negligenza non era qualcosa di nuovo, ma nuova era la concezione che tutto ciò dovesse essere risolto dal punto di vista pedagogico come problema sociale e non più individuale. Lo stato dovette agire e assicurare contributi necessari ad accogliere la forza lavoro e a canalizzare la pressione politica dei lavoratori. Fu così che negli anni in cui Bismarck fu cancelliere, dal 1881 al 1889, sorsero le prime assicurazioni sociali: contro le malattie, gli infortuni e la vecchiaia; nel 1927 si aggiunse anche l’assicurazione contro la disoccupazione. Importante è sottolineare che proprio con l’introduzione di garanzie relative ai rischi dei lavoratori, cambiò il carattere dell’assistenza ai poveri. Una volta che i bisogni materiali erano assicurati, emersero altre necessità di carattere interiore, ossia problemi individuali che dovevano essere eliminati con provvedimenti pedagogici e psicologici. 28 I provvedimenti psicologici acquisirono sempre maggior importanza. Interventi di questo tipo non potevano più essere affidati ad assistenti onorari, serviva personale con una precisa formazione. Fu in questa fase in fatti che il lavoro sociale iniziò a configurarsi come professione. Il movimento femminista borghese ha contribuito notevolmente a questo sviluppo. Sorsero centri di formazione e sotto la guida di Alice Salomon venne inaugurato il primo istituto professionale femminile di assistenza sociale che rilasciava un attestato/diploma di formazione dopo 2 anni. Da un lato, così come in altri paesi, la formazione non universitaria nel settore del lavoro sociale era riservata alle donne: dall’altro lato divenne chiaro che gli interventi dovevano essere differenti a seconda del contesto in cui si operava e ogni sistema si costituiva su standard e programmi peculiari. “Questa programmazione degli interventi aveva come vantaggio il fatto che le esigenze reali di aiuto non erano più concepite come richieste illegittime dipendenti dalla grazia e dalla pietà di un’assistenza comunale ai poveri obbligatoria e repressiva o della carità cristiana motivata. Ora si trattava di esigenze di aiuto che potevano dimostrare la loro legittimità e che si ampliavano in base alla tipologia e alla dimensione degli interventi di assistenza. Di pari passo con la formalizzazione e legalizzazione degli aiuti, procedette la loro >depersonalizzazione<. Indipendentemente dalle riforme sociali il movimento femminista borghese si era riproposto di rafforzare l’attività degli aiuti sociali. Il >sentimento/atteggiamento maternità< (Mütterlichkeit) era concepita come peculiarità dell’essere donna, e proprio perché gli uomini non erano biologicamente predisposti a questo, risultavano anche poco idonei al lavoro sociale inteso come aiuti personali. Il >sentimento/atteggiamento maternità< era dunque vista come una dote innata nelle donne di educare, guarire, proteggere e prendersi cura, in quanto espressione di calore, emotività densa di sentimento. Questa idea del >sentimento/atteggiamento maternità< si pose 29 criticamente contro la società contemporanea. “Contro le conseguenze distruttivi e disgregatrici dell’industrializzazione, contro le generalizzazioni della razionalità oggettiva e tecnica il principio femminile del >sentimento/atteggiamento maternità< poteva creare un argine di protezione con il suo calore, la sua emotività e poteva dare vita ad un’interezza sociale. Il >sentimento/atteggiamento materno< fu quindi concepita come contrapposizione ai principi capitalisti di concorrenza, interesse personale, specializzazione. burocratizzazione tipicamente maschili.” (Sachsse 1986, p.114) Non c’è dunque da stupirsi se il lavoro sociale fu concepito come sinonimo di >sentimento/atteggiamento maternità< e considerato quasi naturalmente un ambito di lavoro femminile. Alice Salomon motivò come segue le sue aspirazioni professionali: “…accanto alle caratteristiche che uomo e donna in egual modo possiedono, accanto alla fedeltà per il proprio dovere, allo zelo, alla costanza e all’affidabilità, la donna porta con se in questo tipo di lavoro la sua peculiare vita sentimentale, la sua dolcezza nel comprendere, la sua indulgenza….la sua cura e la sua coscienziosità nell’assolvere anche doveri di scarsa importanza…..infine il >sentimento/atteggiamento materno<, la capacità e l’amore materno può essere trasferito dall’ambito domestico alla comunità, al mondo che necessita urgentemente di queste forze.” (citata da Gildemeister 198, p.32 e seguenti) Secondo Sachsse (1986) il lavoro sociale moderno e professionale nacque grazie al connubio tra le riforme sociali borghesi (che necessitavano di personale specializzato per la loro realizzazione) e il movimento femminista borghese, che “attraverso il simbolo della maternità spirituale sviluppò un ambito di lavoro e un profilo di qualificazione che assicurarono alla donna borghese una sfera di attività sociale utile e riconosciuta al di fuori della famiglia e fondò nuove basi professionali e sistematiche del lavoro sociale."”(Olk/Otto 1987,p.9) 30 La pedagogia sociale come disciplina scientifica si sviluppò a livello universitario soprattutto negli anni successivi al primo conflitto mondiale (cfr. Hermann Nohl), ma ebbe un ruolo subordinato nel contesto del lavoro sociale pratico. Le scuole per operatori sociali avevano uno standard notevole ed erano in continuo contatto con luoghi di formazione di altri paesi. A questo periodo risale anche la definizione di pedagogia sociale di Gertrud Bäumer che evidenziò in Germania la tipica distinzione tra pedagogia sociale e lavoro sociale. La pedagogia sociale fu definita come educazione al di fuori della famiglia e della scuola e che per questo reclamava un terreno sociale d’azione. Per quanto riguardava il lavoro con i giovani, soprattutto giovani in pericolo, era necessario ottenere ascolto e avere appoggio. I processi di attività sociale che erano pericolosi dovevano essere corretti attraverso provvedimenti pedagogici mirati ad aiutare i giovani e non animati da preoccupazioni rivolte alla società. Ora andiamo avanti negli anni. Il dominio nazionalsocialista dal 1933 al 1945 arrestò progressivamente questo sviluppo. Dopo la seconda guerra mondiale si dovette ricorrere a modelli do formazione risalenti agli anni Venti (della durata di 2 anni). Solo nel 1960/61 gli istituti di formazione furono al livello di scuole superiori professionali e di accademie; fu dato rilievo alla componente teorica e la durata della formazione raggiunse i 3 anni (cfr. Friesenhahn/Seibel 1994). Un importante risultato di questa rivalutazione e professionalizzazione fu l’incremento dell’importanza dello status di esperto. Nel 1969 vennero introdotti a livello universitario nuovi corsi di laurea: scienze dell’educazione con indirizzo “pedagogia sociale”. Nel 1971 le Accademie trasformate professionale in e e le Scuole Superiori Professionali vennero >Fachhochschule/istituto integrati nel sistema superiori di specializzazione terziario di formazione. Il >Fachhochschule< nel frattempo viene designate a livello internazionale come 31 “Università delle scienze applicate”. La loro prassi accademica venne descritta con la formula „practice-related on a scientific foundation“. I corsi offerti si chiamano Lavoro Sociale o Pedagogia Sociale e hanno una durata che va dai tre ai quattro anni e si concludono con un diploma (universitario). Per i corsi di durata triennale esiste un anno cosiddetto di riconoscimento, a conclusione del quale il ministero responsabile rilascia la qualificazione professionale. Nel caso dei corsi di durata quadriennale l’anno di riconoscimento è integrato nel corso di studi come periodo di tirocinio e la qualificazione professionale viene rilasciata insieme alla diploma/laurea in accordo con il ministero responsabile della >Fachhochschule> In totale la parte di pratica in questo tipo di istituto accademico copre il 40% delle ore. Nelle università la parte dedicata alla pratica è radicalmente più ridotta. Al momento stiamo sviluppando un nuovo corso di studio con i corsi lavoro sociale e pedagogia sociale: il nuovo indirizzo di studi che li verrà a comprendere verrà chiamato >Soziale Arbeit< (servizi sociali) Il lavoro con i giovani fino a questo momento poteva essere scelto in ogni corso di studi come indirizzo di specializzazione. Una peculiarità essenziale dell’educazione universitaria tedesca resterà comunque intatta: la formazione di operatori sociali è orientata in senso generalizzato. Le specializzazioni verranno lasciate ai corsi post laurea. Eppure esistono differenze tradizionali nell’autopercezione dei due indirizzi di studio e dei due gruppi professionali, che hanno a che fare con le loro radici storiche. Per prima cosa la cura dei poveri da parte delle autorità con il suo carattere di controllo, o meglio repressivo e poi la pedagogia influenzata dai principi dell’Illuminismo con il suo programma dell’educazione totale e del rispetto della personalità del bambino. Formazione, educazione e apprendimento sono in primo piano. 32 Sul piano della prassi, dell’esercizio della professione questa differenza storica gioca ancora a malapena il proprio ruolo. La relazione tra pedagogia sociale e lavoro sociale in Germania è oggetto adesso come prima di dibatti scientifici e teorico-professionali. Adesso si parla sul >Soziale Arbeit<. Negli “Raccomandazioni per l’istituzione nel corso di diploma universitario in servizio sociale” della Provincia Autonoma di Balzano si trova una proposta per >Soziale Arbeit<:Servizio Sociale. “Nell’area di Servizio Sociale si collocano le conoscenze teorico –scientifiche del lavoro sociale professionale (dell’assistente sociale – dell’educatore/ice sociale) e la metodologia di applicazione delle medesime nei vari campi di intervento” Si discute la necessità e la possibilità di una “scienza del lavoro sociale” indipendente, che senza pedagogia risulti una disciplina leader. Per una valutazione delle differenze e delle similarità vedi anche: Lorenz (1994).Social Work in a Changing Europe, p.87 e seguenti Erath,P./Klug,W.Sing,H. (2000). Social Policy, Social Security and Social Work in Germany.In:Adams, A./Erath,P./Shardlow.St (2000) Fundamentals of Social Work in Selected European Countries,p.49 e seguenti Teorie e concetti: la prospettiva internazionale Nella storia centenaria dei lavori sociali sono stati sviluppati numerosi concetti e teorie. Alcuni di questi modelli vengono discussi solo nel loro ambito nazionale, altri travalicano i confini nazionali e trovano una loro collocazione anche in dibattiti internazionali. Con tutte le differenze evidenziabili nei modelli teorici e nei concetti elaborati è comunque evidente che l pedagogia sociale mira innanzitutto ad aiutare gli uomini e a sostenerli positivamente nel loro sviluppo – solo il “per cosa” e il 33 “con cosa” ha continuato ad essere scambiato nel corso della storia. Ciò diventa chiaro analizzando teorie e concetti. Walter Lorenz (1994, S. 81 seg.) identifica tre grandi scuole teoriche: il paradigma scientifico-sociale il paradigma psicologico il paradigma pedagogico Vedi pure Erath/Hämäläinen (2001) Social Work Theories Non esistono in forma così distinta, ma possono servire da orientamento. La domanda di base viene sempre posta da un punto di vista scientifico: qual è l’ambito della scienza, qual è l’oggetto della scienza? Staub-Bernasconi (1996) ha sviluppato una comparazione storico-strutturale, orientata in senso internazionale, che va interpretata in modo differenziato per ogni stato. Da questa visuale il lavoro sociale si costituisce come una tipologia speciale di rapporto con uomini, cose e idee e come professione del diritto dell’uomo. Il lavoro sociale è una risposta ai problemi sociali con lo scopo di aiutare gli uomini in modo integrale (v. Staub-Bernasconi 1986).Staub-Bernasconi ha sviluppato un approccio integrale per comprendere e per descrivere i problemi sociali (conoscienza dell’oggetto), per spiegare i problemi sociali, (conoscienza delle spigazioni) per valutare i problemi sociali servendosi di criteri e per cambiare in tal modo gli obiettivi (conoscienza dei valori e criteri), per mutare i problemi sociali (cocnoscienza dei processi) e per controllare se il fine nascosto è stato raggiunto. Si tratta di una peculiare definizione funzionale del lavoro sociale, indipendente dalla società e da altri saperi: “anziché ratificare le discipline basilari come la psicologia, la psicologia sociale, la sociologia e l’economia, inoltre la filosofia, l’etica e il diritto ecc.. all’inizio di ogni riflessione e poi 34 sezionarle per trovare se e cosa derivi dal sapere comune per il lavoro sociale .. propongo di comportarsi come segue: l’oggetto, cioè i problemi sociali che riguardano il lavoro sociale, raffigura il punto in cui sfociano gli interrogativi delle discipline summenzionate…” Staub-Bernasconi 1985 P.261). Il lavoro sociale deve assimilarsi ai diritti dell‘uomo, “uscire dai compiti specifici e con fondamento scientifico” (Staub-Bernasconi 1995, P.67). Si tratta di una nuova consapevolezza professionale, che non mira alla società ideale, ma “più modestamente ad una società un po’ ingiusta” (p. 80). Con il titolo "Il lavoro sociale alla ricerca di paradigmi autonomi" a Koblenz nel 1996 in occasione di una conferenza internazionale ha tenuto una discorso, da cui traggo, abbreviandoli, i passi più significativi Silvia Staub.Bernasconi: Soziale Arbeit auf der Suche nach autonomen Paradigmen cfr. Seibel, F.W/Lorenz, W.(Hrsg) (1998) Soziale Professionen für ein soziales Europa, Frankfurt:IKO-Verlag, p.61-100 La versione inglese è pubblicata su: The History of the Object Base of Social Work Theory. Comparisons between German, Anglosaxon and International Theoretical Approaches. cfr.Marynowicz-Hetka, E./Wagner, A./Piekarski, J.(Ed) (1999) European Dimensions in Training and Practice of the Social Professions. Katowice: Slask, p.57-78 ISBN 83-7164-184-2 La concettualizzazione dell’oggetto del lavoro sociale ha un significato basilare, dato che senza oggetto non ci sono né una teoria né una scienza del lavoro sociale. Si tratta di chiarire la domanda seguente: cos’era e cos’è ora come prima il motivo immediato per la formazione di una funzione e di una professione 35 dell’operatore – e il motivo è rappresentato nella formulazione più rapida innanzitutto dagli uomini, che non sono in grado di aiutare se stessi in una società industriale che si forma e si fonda sul capitale privato, quando si trovano in una situazione di necessità, uomini a cui per la loro sopravvivenza il sapere guadagnato fino a quel momento, la conoscenza e altre risorse socioeconomiche non bastavano e/o che trasgredivano norme emanate e doveri codificati. A differenza di uomini più agiati, non erano in grado di appoggiarsi alla solidarietà dei parenti, dei vicini, in breve della comunità e allo stesso modo si ripiegavano su una solidarietà astratta, garantita dal punto di vista del diritto sociale, una solidarietà che garantisce l’esistenza dal punto di vista sociostatale. La storia dell’oggetto del lavoro sociale in senso stretto significa innanzitutto vicinanza e fedeltà ai problemi e ai contesti sociali e culturali dei suoi destinatari per rappresentare la storia delle immagini e dei concetti. Si tratta della domanda: − Come è stata trasferita la realtà dei problemi dei destinatari del lavoro sociale “sul concetto”? − Si possono distinguere diverse fasi? − Quali tratti caratteristici ha l’individuo oggetto dell’osservazione bisognoso di aiuto e di apprendimento? − Di quale (parte di) sistema sociale è membro questo individuo e quale posizione sociale occupa? − Quali (parti di) sistemi sociali vengono compresi implicitamente o esplicitamente nella determinazione dell’oggetto? Quanto stretto o quanto ampio è l’angolo di visuale sul mondo sociale dei destinatari del lavoro sociale in una società mondiale in via di formazione? 36 Ciò permette di formulare la seguente domanda “dietro le quinte” : quali sistemi (parziali) vengono caricati di problemi come conseguenza della definizione dell’oggetto scelta, quali vengono invece implicitamente o esplicitamente liberati da problemi come conseguenza della stessa? Inizia così una fase di costituzione della teoria più facile da dischiudere che da concludere anche se una nuova definizione dell’oggetto si immedesima spesso nella critica e nell’abbandono di quella valida fino a quel momento. La maggior parte delle definizioni dell’oggetto hanno avuto infatti fino ad oggi un peso diverso ed una rilevanza diversa sulle rivendicazioni di scientificità. Comprendo nelle mie osservazioni anche l’area anglofona, contributi internazionali e documenti dell’ONU. É noto infatti che comparazioni interculturali rendono possibile una comprensione migliore della situazione locale. Prima fase a partire circa dal 1890 Individuo: gli uomini e i loro bisogni non soddisfatti – la fame, malattie causate dagli stessi esseri umani (rifiuti industriali tossici; condizioni abitative miserrime, rimozione dei rifiuti deficitaria ecc..); processi di apprendimento e di formazione impediti, analfabetismo; lavoro squallido, pericoloso, monotono, povertà/disoccupazione; l’essere incolti, mancanza di “nutrimento spirituale”, fantasie sterili di onnipotenza o di impotenza, criminalità, violenza. Sociosistemi parziali: possibilità di accesso mancanti; regole strutturali che impediscono la distribuzione del potere; criteri puramente economico-industriali nel rapporto con i poveri; istituzioni non professionali e apparati della struttura sociale Società: struttura sociale e cultura capitalistica distruttiva e limitante e le forme di adattamento individuale a queste strutture che ne derivano (“domanda sociale”). Mancanza di democrazia e morale ambigua – normalità concepita in termini sociodarwiniani – individualismo, consumismo, nazionalismo, eroismo maschile come ideale educativo, guerra e violenza. In questa fase ci troviamo davanti ad una critica e ad uno smantellamento di concetti moralizzanti e devalorizzanti ( pigri, ubriaconi, truffatori, ragazze abbandonate, moralmente 37 cadute in basso, psicopatici, ecc.). tali concetti furono sostituiti dall’idea che la povertà così come il comportamento giudicato dalla società antieconomico e distorto fossero da ricondurre in prima linea alla soddisfazione strutturalmente impedita dei bisogni, a modelli di povertà e di disoccupazione culturalmente inadatti, in definitiva individualistici e ai processi psichici e sociali che ne derivano di adattamento a condizioni di indigenza. A ciò si aggiunse la problematizzazione della possibilità deficitaria di apprendere e formarsi. I problemi furono localizzati su tutti i livelli sociali, cioè Individuo, Famiglia, Piccolo gruppo e Vicinato, Quartiere e Città, Organizzazione, Nazione e Società mondiale e attaccati con le risorse disponibili. Eminenti teorici tedeschi dell’epoca (Scherpner e Klunker) si limitano nel determinare l’oggetto all’individuo come colui che riceve l’assistenza. Scherpner come storico dell’assistenza giovanile (1966) codifica la “assenza di custodia” come seconda categoria diagnostica centrale. Essa sta per diniego morale come contraltare rispetto all’ordine morale della comunità legittimamente costituito. Scherpner si limita con la sua concezione dell’oggetto esplicitamente a concettualizzazioni politiche e sociopolitiche del Lavoro sociale (1962:131s, 157s), che egli non vuole veder mescolate con l’assistenza. Seconda fase a partire da circa il 1920 Individuo: problemi psicosociali e problemi di atteggiamneto.Uomoni vengono riguardati come “mazzo di sintomi clinici”. La domanda più importante è. I problemi individuali sono causato intra- psichico o sono il resultato da processi di apprendimento non adatti/non adequati Dal 1950 viene riformulata questa tradizione dell'oggetto tramite forti prestiti dalla psicologia umanistica in direzione di una autorealizzazione deficitaria. In riferimento al livello dell'intervento per questa fase e per questa tradizione teorica è caratteristica una chiara propensione per l'individuo e in parte anche per la famiglia. Il lavoro di gruppo viene vieppiù considerato un tipo di passatempo o come un tipo di semplice lavoro di animazione e deve quindi lottare per essere riconosciuto alla stregua di lavoro sociale/terapia sociale riconosciuti. In Germania dopo il 1945 si assiste ad una nuova ripresa del lavoro sociale, grazie al sostegno delle forze alleate, sia sotto forma di viaggi di studio, di bibliografia specialistica estera, di conferenze, seminari e di corsi di specializzazione con esperti inglesi, americani, olandesi. Si parla di lavoro sul grande deficit di modernizzazione e di democrazia della Germania. 38 Terza fase a partire da circa il 1960 Individuo: stress, mancanza di adattamento psichico e esaurimenti nervosi. Famiglia - gruppo - associazioni/organizzazioni: Discostamenti dall'equilibrio dinamico, differenziazione e integrazione di situazioni problematiche di matrice sociostrutturale in riferimento all'individuo come membro della famiglia, di un gruppo , di una comunità, di organizzazioni ("the client in and as a system") Società: possibilità e struttura di potere dell'intera società; diversità di possibilità tra bianchi e neri come problema dei diritti costituzionali volontariamente introdotti: altri problemi di minoranza. Si distingue innanzitutto la ricerca di Gordon Hearns di una cornice interdisciplinare di riferimento per l'integrazione dei tre canali/metodi professionali di accesso alla realtà dei problemi sociali, cioè Case-, Group- e Communitywork. La sua tesi è che i tre lavorino con tutti i sistemi sociali e psichici. Il comportamento umano viene inteso come risultato dell'interazione tra organismi, sistemi sociali e psichici. Anche la povertà e la diversità, possibilità deficitarie di partecipare a diritti civili garantiti diventano un tema di dibattito - soprattutto negli USA. Particolarità in Europa Nascita dei corsi di formazione nelle università. All'inizio degli anni 60 si individua una fase di forte focalizzazione sui problemi individuali e psico-sociali, tra l'altro ampliata attraverso una rieducazione democratica all'interno di una dinamica di gruppo e di lavoro di gruppo. Quarta fase a partire da circa il 1970 Ulteriore sviluppo delle determinazioni dell'oggetto dal 1960 e tentativi di sistematizzazione della base scientifica del lavoro sociale. Individuo: transazioni tra individui e stress da adattamento connesso (Life Model di Germain & Giterman) Sistemi sociali parziali/organizzazioni: 39 rinnovate posizioni teoretico-sistemistiche, riferite ai problemi della costruzione del sistema sociale, comunicazione e relazioni (emozionali). Il modo di pensare teoretico-(systemtheoretisch) in questa fase prosegue concettualizzando la diagnosi e i processi ausiliari come interazione tra membri dei sistemi parziali più differenti tra loro, ma anche nel pareggiare il trattamento delle famiglie con un tipo di lavoro sociale concepito in modo teorico-sistematico. Vengono tematizzati i problemi e le necessità di uomini in tre ambiti di situazioni vitali, cioè le fasi di sviluppo, i cambiamenti di status sociale e di ruolo e le crisi, potenzialmente possibili, ad essi connesse, i conflitti in gruppi grandi e piccoli così come nel loro ambiente sociale e psichico (Germain & Gitterman). L'oggetto del lavoro sociale si limita sempre più a processi di scambio; i segnali degli individui che interagiscono tra loro si collocano sullo sfondo. Si parla di problemi di comunicazione (paradossi) nei loro aspetti psicosociali e semantici. Definizioni dell'oggetto europee e le loro particolarità: Individuo: rischi del posto di lavoro, estraniamento, identità danneggiata Famiglia: problemi di comunicazione e (di ricezione) del sistema Organizzazioni: i professionisti e le loro direzioni organizzative come problema principale, processi di etichettamento e di stigmatizzazione Società: capitalismo, dicotomia tra sistema e mondo vitale / quotidianità Nel campo del lavoro sociale le definizioni di tipo comunicativo teoretico-sistematiche dell'oggetto conoscono una forte fase di espansione in Europa. Vengono coperte da una critica del capitalismo che si annuncia in modo fortissimo: il problema principale è l'ordine sociale capitalistico e, problemi che ne derivano, la disponibilità del capitale, lo sfruttamento della forza di lavoro umana, i lavoratori come massa di manovra del capitale e i processi di declassamento correlati diventano un tema centrale delle definizione dell'oggetto di stampo sociolavorativo. Le organizzazioni della 40 cosa sociale e i professionisti sono presenti - a differenza della comprensione della teoria negli USA -, non sono dei meri correttivi di questa situazione, ma agiscono al servizio degli interessi capitalistici. In corrispondenza di ciò le analisi dell'oggetto consistono nello studio delle prospettive teoriche funzionali critico sistematiche in riferimento ad ogni compito solo pensabile del lavoro sociale, per commisurarlo all'idea di emancipazione pluralisticamente collettiva, compresa in termini specifici di classe e di "società emancipata" (Thiersch). Anche i processi di declassamento vengono però problematizzati. Lo sguardo si dirige su trasgressioni della norma legate al comportamento e si volge contro le istanze sanzionanti che tendono ad applicare etichette e a controllare, a colonizzare nel pubblico e contro i professionisti nelle scuole, negli enti, nelle cliniche, nei centri di terapia, nelle stazioni di polizia come esecuzione della pena (come "istituzioni totali"). Due tipi di logiche, cioè prima di tutto quei sistemi sociali estranianti, tecnologicorazionalistici e in secondo (Lebenswelt:Orientamento luogo all’ambiente contrapposte, cosa che porta la logica di vita)o estranea del all'uomo mondo della della quotidianità vita vengono ad un critica sistematica della specializzazione e dell'essere esperti di stampo scientifico. L'essere esperti equivale quasi a colonizzazione e diviene cosi un problema vero del lavoro sociale. La professionalizzazione non è da comprendere più come una risposta ad una competenza deficitaria di risoluzione sociale dei problemi, ma come una espropriazione .Illich diviene un esempio principe di questo intervento e le iniziative civiche che ne derivano e i movimenti di auto-aiuto con la loro critiche a forme di aiuto interdicenti (Basaglia) portano ad introdurre dibattiti teorici intorno alla deprofessionalizzazione. Quinta fase fine degli anni 70, anni 80 Individuo: L'uomo nel suo ambiente ecologico e sociale; adattamento alla vita come compito rischioso, gravato da una dose di mancanza di conoscenza; rottura della famiglia normale Società: Società del rischio; distruzione della normalità e detradizionalizzazione; stato sociale, stato del welfare e scienza come problema.Rapporti tra i sessi: società multiculturale e razzismo 41 L'oggetto del lavoro sociale può essere definito qui come malessere individuale verso la struttura sociale e verso la cultura, in breve come problemi sociali e individuali cumulativi In parallelo la tesi dell'individualizzazione delle condizioni di vita e della pluralizzazione degli stili di vita viene largamente recepita nel lavoro sociale/nella pedagogia sociale in riferimento alla "società del rischio" (Risikogesellschaft)di Beck. Si descrivono la distruzione della biografia normale, della famiglia normale, delle condizioni di lavoro normali, la forza di integrazione del luogo di provenienza tradizionale e del luogo dei valori tradizionali così come l'aumento contemporaneo di decisioni non normativizzate e quindi affette dal rischio, se anche decisioni dipendenti dal sapere e affette dalla non conoscenza, cmpiti rischiosi. La critica della struttura diviene tendenzialmente una critica della cultura, che ha una lunga tradizione in territorio tedescofono. A differenza degli anni 70 la critica al lavoro sociale comporta una svolta: sullo sfondo di una critica della scienza esercitata sui grandi rischi del dominio degli uomini e della natura, reso possibile dalla scienza, non c'è più la sua scientificizzazione mancata, ma , a livello di dibattito, la sua credenza ingenua nell'anelito razionalistico della scienza e, in corrispondenza di ciò, in una tecnologia sociale fondabile scientificamente. Diviene centrale come concetto delle condizioni di vita (Lebenslage): "le appartenenze a strati convenzionali e a classi convenzionali sono entrate sullo sfondo. Parliamo oggi quindi di condizioni di vita socioeconomiche come ambientazioni di risorse condizionate in senso socioeconomico e garantite in senso sociostatale e di spazi culturali di gioco dinamico, che regolano le possibilità di dispiegamento di stili di vita e la partecipazione o l'essere legati ad ambienti "(Böhnisch) Particolarità in ambito angloamericano: Putting Gender, Race and Peace on the Agenda! Commisurati al peso e alla risonanza delle discussioni di cui sopra, gli apporti teorici americani e anglosassoni riguardo al sessismo, al classismo e al razzismo come problemi della clientela così come dell'organizzazione del lavoro sociale e anche gli apporti di ricerca sulla femminizzazione della povertà giocano un ruolo molto modesto, se non quasi non considerato. Vale la pena di tenere in considerazione che proprio il "concetto di classe" come concetto problematico ha mantenuto il suo ovvio posto nella bibliografia specializzata angloamericana, mentre in territorio tedescofono è divenuto un concetto tabù - come è da 42 comprendere e convalidare a livello informale) - per motivi ideologici, politici e accademici (cioè legati alla carriera). Sesta fase a partire dal 1990 Individuo e famiglia: individualismo e critica dei consumi, violenza endofamigliare e maltrattamento; Comunità: accordo comunitaristico di doveri nei confronti della società come accomodamento delle esigenze individuali e sociali e diritti nei confronti dello stato Stato sociale/organizzazioni della società: crisi dello stato sociale, sfruttamento dello stato sociale a causa dell'inflazione delle esigenze e dei bisogni; complicità della clientela; irrigidimento burocratico, inefficienza e diseconomizzazione delle prestazioni assistenziali. La critica in certi circoli specialistici mossa da lungo tempo, ma anche la critica di destra e di sinistra allo stato del welfare e la specializzazione vedono in questa fase i loro risultati teorici e pratici: bisogna constatare un rivolgimento più o meno radicale della critica della struttura conosciuta finora e della definizione del problema. Non sono più gli uomini gli essere a cui si chiede troppo e a venire sfruttati strutturalmente, bensì lo stato sociale - come partecipante erroneo dell'evoluzione sociale -, che attraverso esigenze esagerate viene eccessivamente caricato e sfruttato. Il percorso autonomo dell'approccio sociale ai problemi e gli innumerevoli aiuti rafforzano questi problemi.Inoltre esso è collegato ad innumerevoli rischi (e non più gli individui o coloro che dipendono da uno stipendio). Alla stregua di un concetto globale universalmente utilizzabile il concetto delle condizioni di vita (Lebenslage) giunge al centro dell'indagine: secondo Geissler va definito "la particolarità della Germania occidentale" in quanto differenzia, pluralizza, individualizza e dinamicizza appartenenze convenzionali a strati e a classi sociali. Anziché ergersi e accanirsi contro disuguaglianze della struttura sociale, ci si compiace sempre più delle sfaccettature colorate e dinamiche delle condizioni di vita e delle forme di vita: " la ricerca critica della disuguaglianza si trasforma davanti ai nostri occhi in una ricerca più o meno inscindibile delle sfaccettature da un punto di vista sociopolitico ... " 43 In questi vuoti teorici in qualche modo strappati tra stato, individualizzazione/condizione di vita, mercato e comunità entra solo il concetto del lavoro sociale come "prestazione di servizi focalizzata sulla persona".(Personenbezogene Dienstleistung) Supponendo che il sapere professionale e quindi rivolto al destinatario attraverso l'influsso di segni distintivi di forme organizzative di aiuto perda rilevanza, vengono discussi vantaggi e svantaggi delle esigenze legislative, di solidarietà e contratto reciproci. Questo è valido fino all'affermazione "il cliente è il re" Le ragioni implicite o spesso dichiarate per il distacco da idee deficitarie si sono grandemente modificate. Mentre Mollenhauer neglie anni ’60 critica una pedagogia deficitaria, che esce dalla svalorizzazione in rapporto alla diversità dei poveri non ci possono più essere problemi in relazione al nuovo paradigma di un lavoro sociale orientato verso il mercato, verso il prodotto e verso il cliente. Di seguito potete trovare un testo chiaro in tal senso: " se le istituzioni del lavoro giovanile definiscono i loro clienti come deficitari, assillati da problemi, socialmente deboli, cioè dei "perdenti" di un certo tipo, si costruiscono allo stesso tempo un marketing fallato... quale cliente infatti si compra un prodotto che ha già sentore di problematicità? (Pfeiffer 1996:2). È interessante che i testi corrispondenti operino quasi esclusivamente con esempi tratti dal lavoro con gli anziani, i giovani, il tempo libero o la cultura, dalla salute e dalla cura di essa, cioè con clienti per lo più "normali" e/o con potere d'acquisto. Riassumendo, si tratta di una fase teorica nelle quale sia lo stato sociale sia l’assistenza all’interno della società sono considerati un problema fondamentale. Conseguentemente ci si orienta al livello teorico verso la parte più dinamica che caratterizza non solo le società nazionali, ma anche le società mondiali: il commercio. In un orientamento che prende in considerazione le condizioni di mercato e di vita a livello mondiale, il problema acquista un carattere privato e riguarda dunque gli individui che, nonostante la crisi del mondo del lavoro e dello stato sociale, sono riusciti comunque a soddisfare le proprie esigenze rivolgendosi ad un mercato in cui vengono prestati servizi; essi hanno dovuto cercare la via per accedere a collettività create artificialmente e prestare spontaneamente aiuti rivolti a se stessi sia a livello individuale che collettivo. Particolarità della “Scientific and professional Community” nel mondo e negli Stati Uniti: violazione della soddisfazione dei bisogni umani e dei diritti umani e sociali 44 Si tratta di bisogni insoddisfatti legati a temi come: classe, genere, etnia, tossicodipendenza, violenza, guerra, emigrazione, impotenza; alla luce della globalizzazione commerciale e dei diritti e doveri umani e sociali. Povertà, disoccupazione, disturbi psichici, discriminazione di persone e categorie di persone sono argomenti che devono essere affrontati con successo. I problemi che riguardano i singoli individui, le famiglie, le comunità territoriali e le organizzazioni sono importanti nel contesto di una comprensione sistematica, teorica ed internazionale del lavoro sociale, tuttavia i libri di testo, anche di recente pubblicazione, non ne parlano. Esistono le collettività? Seppure esistano chiaramente diversità a livello locale e nazionale per quanto riguarda i punti chiave riguardanti tale argomento, c’è comunque un insieme di concetti che può essere considerato come minimo comune denominatore e che viene pattuito su un piano più alto dalle associazioni in cui sono riuniti i centri di formazione (International Association of Schools of Social Work) e dalle organizzazioni degli enti sociali (Council on Social Welfare). “L’influenza che la professione del lavoro sociale ha sulle necessità fondamentali degli uomini, determina anche la loro convinzione che l’universalità di queste necessità e la loro soddisfazione non sia una questione di scelte o preferenze soggettive, bensì un imperativo di giustizia sociale. Conformemente il lavoro sociale concepisce i diritti umani e sociali come secondo principio organizzativo, teoretico-normativo della prassi professionale, che integra il primo principio organizzativo orientato verso le necessità…..Le operatrici sociali prestano servizio in sistemi politici differenti…..per lo più come dipendenti di organizzazioni. La loro posizione come delegate dello stato o dipendenti di potenti organizzazioni ha condotto molte di loro in situazioni difficili. La loro professione è vincolata ai datori di lavoro e alla clientela. Alla base del codice e degli scopi formativi delle scuole superiori per il lavoro sociale risiede principalmente il servizio nei confronti degli individui e non la lealtà nei confronti dell’organizzazione” (1945:5) Il manuale parla però anche del fatto che ai diritti devono corrispondere doveri. Staub Bernasconi conclude che ci si riferisce all’evoluzione, di cui si è trattato, a volte con il termine pedagogia sociale, altre volte con il termine assistenza sociale ed altre volte ancora si utilizzano ulteriori denominazioni che si riferiscono allo stesso settore. Questa distinzione non ha molto significato oggi, in quanto la discussione non può essere ridotta alla distinzione secondo 45 la quale il lavoro sociale si occupa di assistenza e amministrazione, mentre la pedagogia sociale ha a che fare con i processi educativi e di apprendimento. Una teoria del lavoro sociale deve oggi accogliere un differente teoria di pensiero; il lavoro sociale deve essere concepito su piani differenti, se vuole essere all’altezza dell’argomento di cui si occupa e dei compiti che deve assolvere. Il lavoro sociale per potersi sviluppare come teoria e scienza, necessita di un quadro di riferimento che sia vasto, flessibile, interdisciplinare, ma non dipendente dalle mode. La dipendenza dalle dominanti teorie in voga, grand theorie (come i dibattiti che non durano più di un paio d’anni attorno alla professionalizzazione,, deprofessionalizzazione, concetti d’azione, differenza tra disciplina e professione, orientamento alla vita ecc.) non conduce il lavoro sociale come disciplina a compiere grandi progressi, sia che si tratti di assistenza sociale che di pedagogia sociale. Per il futuro è importante uno stile di pensiero sistemico che prenda in considerazione i destinatari del lavoro sociale sempre in riferimento al contesto storico e attuale. Sebbene esista un insieme di teorie diverse sul lavoro sociale (teoria della verità, teoria della conoscenza, teoria della realtà) e diverse definizioni dell’oggetto di cui il lavoro sociale si occupa, si è tuttavia d’accordo sul fatto che l’argomento su cui si incentra il lavoro sociale sia complesso e tocchi più dimensioni. Tutti riconoscono la necessità di un quadro di riferimento trans-disciplinare, metascientifico e metafilosofico, se si vuol descrivere, spiegare e cambiare il lavoro sociale. Sullo sfondo di questa esigenza la scienza dell'educazione non può essere la disciplina preposta al lavoro sociale e alla pedagogia sociale. Il quadro di riferimento sistematicoteorico che è stato proposto potrebbe diventare invece, a particolari condizioni, un fragile ponte d’unione tra le più svariate tradizioni teoriche (tra tradizioni teoriche che comprendono: quella degli aiuti, dell’utilizzazione delle risorse, dell’autorizzazione, del cambiamento sociale e tradizioni teoriche come quelle che riguardano l’educazione, la formazione e l’emancipazione). Aspetti come quello delle necessità, dell’insegnamento, delle risorse, dell’organizzazione 46 sociale e politica non possono più essere trattati separatamente l’uno dall’altro. (Staub-Bernasconi 1995:133-134) Infine tutti questi movimenti di intesa e integrazione fanno emergere un ulteriore problema: in che senso coloro che partecipano a questo dibattito hanno l’intenzione di mettere in discussione non solo i confini nazionali ed etico-culturali, ma anche i confini teorici ormai superati e di oltrepassare i blocchi di ricezione? Mi auguro che in una società sempre più ricca di intrecci e contatti questo diventi possibile e che in un’Europa sempre più unita e in una società mondiale che sta prendendo gradualmente forma e in cui i problemi sociali aumentano e diventano sempre più complessi, si aprano le migliori possibilità di soddisfare i bisogni e le migliori opportunità di apprendimento. Per giungere ad una sintesi della definizione del lavoro sociale/pedagogia sociale, mi riferisco alle interpretazioni di altre autori.Non prendo in considerazione le presunte reali differenze e propongo come basi la seguente definizione di lavoro sociale: Il lavoro sociale/la pedagogia sociale si occupa dei processi che riguardano l’esistenza degli uomini, la quale in virtù delle condizioni di vita delle moderne società presenta spesso necessità molto elevate per aiutare i giovani nel corso della loro vita e nell’integrazione sociale.Questo oggi non avviene solo ai >margini della società<, come sostenne Mollenhauer negli anni ’60, ma anche nei contesti centrali della società. A causa di ciò la pedagogia sociale perde il carattere di pedagogia marginale e diventa colei che fornisce le regole. Riassumendo: Il lavoro sociale fin dalle sue origini ha reagito ai cambiamenti che hanno caratterizzato la società moderna ed ha cercato di prendere spunto dalle problematiche e dalle sfide sociali sorte nell’epoca moderna e causate dalla stessa società e dagli individui. 47 − Il lavoro sociale tenta di ridurre le differenze e i pregiudizi tra (e dei) membri della società, cerca di tendere a possibilità di uguaglianza, di collaborare alla costruzione di una società equa, di favorire il benessere di tutti gli individui. Tutto ciò lo fa collaborando attivamente attraverso interventi politici, interventi diretti ed indiretti e fornendo consigli, appoggio, aiuti educativi e d’intervento sociale, offerte formative e prestazioni d’aiuto psicosociali e finanziarie. − Il lavoro sociale si occupa sia dei problemi di carattere sociale, sia dei processi che caratterizzano il ciclo della vita e conseguentemente delle crescenti difficoltà a ciò connesse, a cui gli uomini devono far fronte in virtù della complessità delle condizioni di vita. − Il lavoro sociale cerca di rendere gli uomini capaci di agire ed instaurare rapporti nella moderna società e per questo elabora offerte che riguardano le seguenti dimensioni problematiche: Problemi riguardanti gli strumenti necessari a soddisfare i bisogni che affiorano nel corso dell’esistenza Rapporti di scambio e interazione (uguaglianza) Problemi che sorgono nei rapporti di tipo verticale (potere) Problemi di orientamento e significato − Il lavoro sociale si occupa sia dell’analisi degli sviluppi sociali e delle strutture politiche su piani diversi (locale, nazionale ed internazionale) per svelare l’esistenza di repressioni e meccanismi di esclusione; sia su un piano più tradizionale dal punto di vista sociopedagogico, delle possibilità di facilitare lo sviluppo, l’apprendimento e la formazione. − Il lavoro sociale si interessa delle possibilità individuali, dei confini socioculturali e culturali dei processi d’apprendimento. In breve, si interessa dell’uguaglianza e della diversità esistenti tra individui e gruppi e delle regole che li governano; si interessa dei modelli interpretativi culturali e delle regole riconosciute come valide, ossia di chi entra nel godimento di 48 diritti e per quale motivo e di chi rientra nei doveri sociali e per quale ragione. − Il lavoro sociale vuole cambiare. La valutazione va oltre i confini nazionali “in all countries social workers see themselves as agents of social changes and institutional reform" (Hockenstad 1992, P.182) − Il lavoro sociale, il suo sviluppo, la sua struttura, le sue categorie fondamentali, le sue prospettive, i suoi punti di vista sui problemi, le sue garanzie economiche, le sue basi giuridiche, i suoi sistemi formativi e i suoi contenuti privilegiati sono stati fino ad oggi fortemente orientati alla società contemporanea e sono stati profondamente influenzati da quest’ultima. La struttura di base del lavoro sociale ha un carattere nazionale e ciò non deve meravigliare, anzi è del tutto comprensibile. Questa “imago di se stesso” nazionale viene confrontata sempre più con la crescente internazionalità degli sviluppi politici, sociali ed economici. Approfondimento Lorenz, W.(1994) Social Work in a Changig Europe, capitolo 4: Social Work and Academic Discourses è capitolo 5: Social Work and Social Movements, p.81-127 Adams, A./Erath,P.Shardlow Ed) (2000) Fundamentals of Social Work in Selected European Countries Capitolo 1: Indroduction:The Challange of Globalisation, p.1-9 E capitolo 10: Towards European Perpectives on Social Work, p.139-143 Allegato 3 Immagine di se stesso L'immagine, che la pedagogia sociale/il lavoro sociale ha di se stessa/o è mutata nel tempo. Ci sono autovalutazioni e valutazioni fatte da altri persone e organisazioni che sono di validità generale e che si sovrappongono. Semplificando si potrebbe tracciare una linea che collega i seguenti aggettivi 49 utilizzati per valutare la pedagogia sociale/lavoro sociale: previdente, avvocatoria ,emancipativa, orientata al mercato. Conformemente, i destinatari, a cui il lavoro sociale è rivolto, figurano come: oggetti d’assistenza, fruitori, destinatari a cui rivolgersi, bisognosi d’aiuto e recentemente clienti. La svizzera Silvia Staub Bernasconi (1995) ha definito il lavoro sociale come “professione dei diritti dell’uomo” in chiusura della “Campagna per i diritti dell’uomo”, che fu promossa dall’ONU e poi accolta dalle organizzazioni internazionali delle associazioni di categoria degli operatori sociali (International Association of Schools of Social Workers).(vedi allegato 4) La questione dei diritti umani non fu considerata semplicemente uno dei tanti aspetti del lavoro sociale, bensì il lavoro sociale fu definito “Human Rights Profession”, in virtù del contenuto dei suoi scopi e contributi. “Il lavoro sociale deve diventare una professione e deve adoperarsi sul piano locale, nazionale ed internazionale in favore del benessere individuale, dei diritti sociali, della giustizia sociale che conduca al progressivo sviluppo degli uomini; deve contribuire in questo modo al mutamento sociale. Il suo impegno internazionale tutela le condizioni locali, i punti cruciali a livello sociale e la vulnerabilità degli uomini da eventuali choc socioeconomici e culturali.” (p.74) Campi d’attività La pedagogia sociale/il lavoro sociale è difficilmente confinabile all’interno di un campo d’attività facilmente definibile. Gli ambiti in cui la prassi della pedagogia sociale/lavoro sociale si riferisce, accompagnano l’uomo nell’arco della sua esistenza, dalla nascita alla morte. Si tratta di una prestazione di servizi, sia di tipo materiale che rivolta ad individui, che in Germania riguarda il vasto campo degli assistenza sociali (sussidi economici, consulenze, riabilitazione) e interventi in campo sanitario e a sostegno degli anziani (consulenze, educazione, assistenza). Al di là della semplice presenza degli aiuti ed interventi sociali, 50 esistono specifiche attività di pianificazione, ad esempio nell’ambito del management sociale, della pianificazione degli aiuti forniti ai giovani e delle proposte di mezzi d’intervento. In tutti questi settori in Germania sono attivi operatori sociali che hanno un diploma rilasciato da una Fachhochschule (University of Applied Sciences) o una laurea in pedagogia. In complesso c’è una differenziazione tra campi di attività sia in Germania che in altri paesi. In Gran Bretagna esiste un’ampia gamma di settori in cui sono attivi gli operatori sociali, tali settori differiscono l’un l’altro per le nozioni fondamentali, lo status e le impostazioni delle attività svolte. “La molteplicità delle connotazioni professionali mostra chiaramente la tendenza alla specializzazione nell’ambito del lavoro sociale. Ciò potrebbe essere visto come un’indicazione della scomparsa del lavoro sociale come gruppo professionale specifico” (Lyons 1997, p.148) W. Lorenz ritiene che non sia possibile individuare tendenze unitarie del lavoro sociale in Europa. I criteri generali della professionalizzazione non sono chiari, inoltre gli sviluppi politici e sociali dei paesi europei sono troppo eterogenei. La concorrenza, principio strategico dell’Unione Europea, interviene anche nella dimensione sociale. “Gli operatori sociali vennero innalzati ad una posizione fondamentale con la legge “Community Care” che entrò in vigore nel 1993, in quanto ad essi fu affidato il compito di valutare i bisogni dei clienti e allo stesso tempo di decidere chi fra i nuovi fornitori privati offrisse gli strumenti essenziali per adempiere alle necessità ad un prezzo più vantaggioso. Dovevano quindi intraprendere rapporti con i fornitori scelti e controllare che tutto procedesse per il meglio” (Lorenz 1996, p.55) Come “care managers” devono conciliare gli interessi dei clienti con i ristretti mezzi pubblici a disposizione. 51 “Social Care” si raffigura come una categoria professionale che acquista sempre maggior importanza nell’ambito del lavoro sociale e che è in parte strategicamente introdotta dai datori di lavoro.” (Lorenz 2000, p.63) I confini con altri gruppi professionali si spostano ed è difficile stabilire a quale tradizione di competenze professionali specifiche vadano associati gli articolati compiti pubblici sul piano sociale (ad esempio i programmi di riabilitazione per disoccupati). Tali compiti vanno intesi come parte del percorso di specializzazione degli operatori sociali o si tratta piuttosto di nuove professioni che si stanno evolvendo all’interno dell’ambito tradizionale del lavoro sociale? Ne risulta che non solo è presente una concorrenza tra lavoro sociale/pedagogia sociale e nuovi gruppi professionali, ma si sta delineando una nuova concezione del rapporto esistente tra coloro che partecipano attivamente al dibattito sulla società civile in virtù della loro formazione professionale nel settore sociale e coloro che prendono parte al suddetto dibattito spontaneamente. "In Italia le leggi 141 e 241 del 1990 sui servizi sociali non statali ha messo a disposizione delle organizzazioni non statali un vasto spazio d’azione. Gli operatori sociali possono e devono decidere quale sia il servizio sociale più idoneo a cui far riferimento in determinati casi problematici . Essi devono conciliare le loro responsabilità professionali con le limitazioni dei mezzi che hanno a disposizione; in altre parole “devono farsi carico delle decisioni sociopolitiche” (Lorenz 1996, p.60) Concetti centrali Anche la ricerca di concetti centrali non conduce a molto. Certamente parlando di aiuti, emergono concetti come: emancipazione, normalità, devianza, solidarietà, partecipazione, autorizzazione ad agire, intervento, tuttavia questi concetti derivano spesso da latri ambiti di riferimento di natura socioscientifica 52 e devono essere adattati al campo sociopedagogico e subire quindi una deformazione. Inoltre il significato di un concetto varia a seconda dei differenti contesti storici e/o culturali. L’uso di categorie sociopedagogiche fondamentali come aiuti o necessità di aiuto rifiuta il ricorso a modelli comuni di definizione. Ad esempio quando una persona definita bisognosa d’aiuto, che non si trova nella situazione di poter soddisfare con le proprie forze una condizione che concerne se stessa o l’ambiente circostante e che è considerata da questa persona auspicabile e preziosa, allora essa chiede aiuto ad altri per essere guidata verso il raggiungimento dello scopo. Ciò presuppone la tutela culturale dell’individuo e l’attribuzione di legittimità alle sue esigenze d’aiuto, la tutela varia considerevolmente a seconda del contesto culturale; allo stesso modo variano i tipi di atteggiamento che possono essere assunti. Nell’articolo “Modi di assitenza in condizioni sociali che mutano”, apparso nel 1973, Luhmann, in riferimento agli standard del lavoro sociale, sostiene che gli aiuti rappresentino categorie di relazioni condizionate storicamente e che costituiscono una determinata tipologia di interazione tra chi necessita aiuto e chi presta aiuto. Questa tipologia si presenta in modo differente a seconda della formazione a cui appartiene. Luhmann sottolinea che gli aiuti vengono definiti e condotti in base alle mutevoli aspettative dei destinatari; gli aiuti si realizzano se e solo se ci si aspetta di riceverli.” (cfr 1973, P.21) “Per questo motivo è necessaria l’esistenza di parametri culturali e accordi preliminari in base ai quali gli interessati possono comunicare apertamente e anche scontrarsi” (ibid.) In altre parole gli aiuti sono caratterizzati da particolari regole di reciprocità, regole che sono assoggettate al cambiamento sociale. Per dare una definizione, Luhmann distingue 3 tipi di società che si sono succeduti nell’arco dello sviluppo sociale: 53 A)Società arcaica B)Società altamente acculturata C)Società moderna Tipico di A) è la scarsa complessità, la divisione del lavoro si basa sui ruoli sessuali e sull’età. Il tipo B) presenta già differenze di tipo funzionale, soprattutto un sistema particolare di ruoli per la religione e per la sfera politica. La società moderna si differenzia ampiamente dai due precedenti tipi per quanto riguarda l’ambito della politica, della scienza, della ricerca e “dell’intimità familiare”. “Essa sviluppa una molteplicità di possibilità dell’esperienza e dell’agire che non sono più traducibili o controllabili centralmente; genera una dinamica peculiare che anticipa il cambiamento sociale oltre ogni misura storicamente conosciuta” (a.a.O., P.24) Per quanto riguarda il modo d’agire, gli aiuti significano questo: “Ora come allora è possibile e sensato aiutare concretamente, quasi prendere un anziano tra le braccia e condurlo lungo la strada trafficata. Non c’è più il pathos dell’aiutare, lo si può fare o non fare in base agli scopi che si perseguono.” (a.a.O., P.37) I tipi di società di Luhmann sono descritti in maniera riduttiva. Innanzitutto con la denominazione società moderne si parte dal 1500 circa ed è necessario introdurre notevoli differenziazioni; inoltre ogni suddivisione in fasi diventa riduttiva nel momento in cui si cerca di etichettare i processi sociali di epoche decisive in maniera troppo statica. Per finire, un simile modo di procedere può essere talvolta sensato se si fonda su basi euristiche. Riguardo al contesto degli aiuti e del modo di intendere gli aiuti, vale la pena di considerare lo sviluppo sociale del lavoro sociale/pedagogia sociale, in quanto il modo di comprendere gli aiuti varia a seconda della funzione sociale 54 e della concezione che il lavoro sociale ha di se stesso. In Italia e Germania il modo in cui lo sviluppo del lavoro sociale si è attuato lo dimostra chiaramente. Il contesto storico e sociale influenza chiaramente la nascita, l’organizzazione e le aspettative delle prestazioni d’aiuto; si formano così delle culture degli aiuti. ESEMPIO 1 Bauer (1998) ha condotto delle ricerche sui rapporti degli immigrati in Francia, Inghilterra, Germania e Olanda. Riassumendo, egli giunge alla conclusione che in Europa si sono costituite a partire dal Medioevo diverse tradizioni di aiuti: A) Tradizione cristiana confessionale cattolica protestante B) Tradizione illuministica laica 3) Inghilterra: liberale Francia: laica-borghese-statale Germania (Prussia): assolutista illuminista C) Tradizioni all’interno del contesto del movimento sociale movimento dei lavoratori: socialista movimento giovanile: alternativo, di riforme pedagogiche movimento delle donne: femminista movimento nazional-fascista: razzista Queste tradizioni di aiuti sono differenti ed hanno influenzato fino ad oggi la concezione che gli specialisti hanno della struttura dei servizi sociali e delle funzioni del lavoro sociale. Bauer distingue 4 diversi direzioni fondamentali. Sia che gli aiuti siano rivolti al singolo a a gruppi, essi mirano all’inclusione o all’esclusione dalla società di coloro che usufruiscono degli stessi aiuti. 55 L’esempio del lavoro sociale con gli immigrati in Germania, Francia ed Inghilterra mostra come le tradizioni degli aiuti si siano susseguite fino ad oggi. I rapporti con gli immigrati provano che nei suddetti paesi si può fondamentalmente distinguere tra relazioni che mirano o all’esclusione o all’inclusione di questi ultimi e tra offerte d’aiuto individuali o collettive. “La cultura tedesca degli aiuti unisce nei principi del lavoro sociale rivolto agli immigrati l’impostazione individualizzata e lo scopo dell’esclusione.” (P.11) In questo concezione, che deriva dall’asssolutismo illuminato, racchiude concetti come quello di paternalismo: gli stranieri vengono classificati come oggetti d’assistenza in quanto bisognosi d’aiuto e minorenni. Gli immigrati vengono presi per mano. In Francia al contrario, come spiega Bauer, i portavoce delle comunità etniche compaiono di fronte allo stato, in quanto riconosciuti come rappresentanti organizzazioni degli immigrati dei loro connazionali e correligionari; ossia le hanno un peso politico e una funzione pubblica attraverso i loro rappresentanti. Le moderne società si contraddistinguono per il fatto che le prestazioni d’aiuto non sono spontanee, ma organizzate e chi presta aiuto, chi stabilisce che una data circostanza è problematica e dunque necessita una risoluzione e infine chi organizza gli aiuti varia da paese a paese. Le diverse associazioni che si occupano di prestazioni di aiuti e di sistemi di sicurezza ed intervento sociale, se vogliono portare avanti con successo collaborazioni, progetti e programmi internazionali, devono essere conosciute. ESEMPIO 2 “Nella dichiarazione n°23 in appendice al trattato di Maastricht si fa riferimento al peculiare significato delle organizzazioni di assistenza. La conferenza sottolinea che per raggiungere determinati scopi è assolutamente necessaria una collaborazione della Comunità Europea e delle associazioni e fondazioni che si occupano di assistenza, in quanto promotrici di provvedimenti e servizi.” (Si veda Art. n°117 del trattato riguardante la creazione della Comunità Europea) Seibel scrive a proposito di ciò: “se si comparano le versioni in francese e in inglese della dichiarazione contenuta nell’articolo n°117 del trattato, si notano le seguenti differenze: mentre in Germania si considerano quasi esclusivamente le principali associazioni di assistenza, in Gran Bretagna con il termine charitable associations (organizzazione a scopi benefici) si intendono al contrario 442 organizzazioni diverse e attive in 18 differenti settori, che sono riunite all’interno di un’associazione dirigente (National Council of Voluntary Organisations/NCVO). In Francia circa 9500 associazioni appartengono alla cosiddetta Association de Solidarieté (associazioni di mutuo impegno e senso comune), le quali sono 56 attive in campo sociale e riunite in associazioni dirigenti; ogni associazione dirigente conta 22 associazioni regionali.” (Seibel 1998, p.141 e seguenti) E’ palese che una simile situazione conduca alla nascita di problemi, incomprensioni e false interpretazioni. 6.Considerazioni conclusive Il processo di nascita e sviluppo della pedagogia sociale/il lavoro sociale deve sempre essere considerato in un contesto più ampio che comprende lo sviluppo sociale, interdisciplinare e socioscientifico. Sembra si possano distinguere fasi di sviluppo(es. Rauschenbach 1991:Dal volotariato dal professione, specializzazione, accademizzazione, professionalizzazione. Si veda quanto detto precedentemente). Questi aspetti sono tuttavia chiaramente diversi a seconda dei paesi e degli ambiti di lavoro. Il lavoro con i giovani ad esempio è dominato principalmente da personale che non ha ricevuto una formazione pertinente. L’orientamento verso modelli di professionalizzazione sembra essere più una faccenda che riguarda scienziati che un tema di interesse degli esperti del settore. Tutto ciò introduce un ulteriore problema, ossia per poter misurare il terreno sociopedagogico è importante distinguere tra professione e disciplina. (Cfr. Scherr 1996) "Le discipline possono essere definite come un sapere scientifico che viene trasmesso con l’insegnamento; le professioni invece sono un sistema di argomenti basato sulla scienza.” E’ la struttura delle esigenze del mercato del lavoro che definisce le professioni e non un ordinamento disciplinare del sapere scientifico. Mentre per alcuni gruppi professionali (es. gli insegnanti) è chiaro cosa possono e debbano sapere, per i pedagoghi sociali ciò è invece confuso e discusso. Nella determinazione della posizione della pedagogia sociale/il lavoro sociale/assistenza sociale che è stata fino ad ora presentata, si deve constatare che si tratta fondamentalmente di euforiche autoaffermazioni del lavoro sociale. Esse derivano da un discorso socioscientifico che tenta di dare forma 57 scientifica alla pedagogia sociale/il lavoro sociale per assicurarle un posto nella compagine delle scienze; la politica e la prassi però prendono spesso distanza da questo atteggiamento e vanno per la loro strada. In occasione del ventesimo anniversario della fondazione della rivista specialistica Neue Praxis, è apparso un volume particolare che contiene un contributo di W. Hinte e W. Springer (1992) dal titolo Sulla mancanza di conseguenze della scienza critica del lavoro sociale, dove si legge: “considerando le situazioni problematiche che vanno acutizzandosi e la crescente burocratizzazione nelle istituzioni, non è solo uno sguardo analitico che aiuta i professionisti, bensì capacità, coraggio, stabilità, facoltà strategiche e capacità di stabilire contatti. Tutto ciò si apprende leggendo un buon libro solo parzialmente e nemmeno un’ulteriore formazione riguardante un certo tipo di terapia è una valida alternativa.” (p.114) Questa affermazione non va considerata, almeno così ritengo, come un’arringa a favore di una pedagogia sociale spensierata; bensì come un invito ad accertarsi del reale raggio d’azione della prassi sociopedagogica, cosa che è solo possibile attraverso la riflessione. La perfetta rinuncia alla critica, alle controprogettazioni, alle utopie priverebbe la pedagogia sociale del suo carattere sociale e orientato allo sviluppo dell’umanità e il suo ruolo diventerebbe riduttivamente quello di contribuire all’attuazione di una politica sociale sempre più repressiva. Questa è una tendenza che si ripropone attraverso l’Europa. Critica non è, come disse M. Horkheimer, una cosa da criticoni; bensì un confronto tra la società e le sue migliori possibilità. In scala internazionale ciò significa rielaborare una definizione reale del contesto della pedagogia sociale che esamini sue funzioni nella società industriale in continuo progresso. Si tratta di mettere spazi e servizi sociali a disposizione di bambini, giovani, adulti e anziani e della loro esistenza all’interno di grandi sistemi di istituzioni (famiglia, scuola, mondo del lavoro retribuito, spazi socioecologoci); tali spazi e servizi devono loro permettere di condurre una vita normale e garantire loro l’integrazione, intesa come inclusione nel sistema delle istituzioni e del mondo 58 sociale. Con questi interessi volti alla normalità (es all’integrazione) contrastano e si fondono interessi della società e degli individui. Lo scopo dell’integrazione non è compatibile con il discorso programmatico, derivante dal dibattito scientifico riguardante l’autorizzazione ad agire e la partecipazione: cosa hanno mostrato la teoria e la pratica dell’educazione/pedagogia interculturale? Dove e a che cosa deve essere integrato? Chi definisce l’integrazione? Chi contribuisce a questo processo di integrazione? Chi invece lo ostacola? Qui riemergono le domande sul potere di cui S. Staub Bernasconi ha parlato. La pedagogia sociale /il lavoro sociale come supporto della realizzazione della vita e istanza dell’analisi di problemi sociali è legata in maniera molteplice ai processi internazionali di socializzazione che sono in continuo divenire. Infatti il lavoro sociale è un’istanza che ha molto a che fare con coloro che sono sconfitti dai processi di modernizzazione. Il settore sociale (Filtzinger 1995 P.108) deve diventare consapevole che in virtù dei processi di trasformazione (migrazioni, europeizzazione, internazionalizzazione) sarà sempre più caratterizzato da un intreccio di cambiamenti interdipendenti e che questi processi di cambiamento influiranno sull’ambito della formazione, dell’educazione, del lavoro, della produzione e del mercato. L’apertura intercultirale diverrà un postulato inevitabile di tutte le istituzioni sociali di rilievo. Ciononostante si deve considerare che il sociale come elemento di un processo di socializzazione internazionale in continuo sviluppo è ancora poco tangibile. Da un lato sperimentiamo l’individualizzazione, dall’altro lato so insinua la globalizzazione delle relazioni…..”fino ad oggi non esiste una concezione unitaria di come debba apparire la dimensione sociale dell’Europa…” (Becker 1996, p.10) In altri contesti spicca il carattere particolare della politica sociale europea…..”con il concetto di politica sociale dell’Unione Europea si intende principalmente la politica dei lavoratori; ossia al di fuori di ciò che ha a che 59 vedere con l’attività professionale, l’Unione è piuttosto limitatamente competente” (p.11) Ma la pedagogia sociale /il lavoro sociale non può arrestarsi. “La nuova Europa è fino ad oggi soprattutto un’unione dei rappresentanti del sistema di produzione e scambio tra organizzazioni ed è caratterizzata da funzioni di impresa senza consultazione e partecipazione dei rappresentanti delle stesse imprese che collaborano…..in questo caso ciò che emerge è l’umanizzazione del capitale piuttosto che il capitale umano.” (Staub Bernasconi 1990 p: 141/48) Gli esempi mostrano che il sociale non viene come valore decisivo del futuro processo di socializzazione in Europa da parte di coloro che hanno facoltà e potere di prendere decisioni. Se ne parla poco nella dichiarazione e di conseguenza non viene reputato importante, un po’ come avviene con le leggi dei mass media, cioè non viene trasmesso ciò che non è importante. Tuttavia dobbiamo indagare sulla tradizione della pedagogia sociale in Europa e svilupparla ulteriormente. Belardi sottolinea che la pedagogia sociale è sempre più orientata internazionalmente, basta pensare alla pedagogia scolastica: “il rapporto internazionale è iniziato subito dopo il passaggio da un secolo all’altro attraverso il trasferimento dei metodi del casework e supervision. Più tardi si aggiunsero anche le teorie socioscientifiche. L’internazionalità si manifesta attraverso il confronto su risoluzioni di situazioni problematiche (es. immigrati, minoranze, unione Europea) e l’introduzione di nuove competenze” (p.146) Ancora prima Sander stabilisce che il confronto e la cooperazione internazionale non sono fenomeni nuovi, bensì nati quasi in contemporanea con lo stesso lavoro sociale moderno: “non è un caso che con la nascita, avvenuta circa 150 anni fa, delle condizioni di dominio, lavoro e vita tipiche del capitalismo siano sia sorti in concomitanza anche nuovi problemi sociali di carattere internazionale negli stati industrializzati; l’analisi e la risoluzione di tali problemi ha evidenziato l’esistenza di un contesto internazionale.” (P.96) 60 Si può giungere alla seguente conclusione: l’internazionalità ha una tradizione nella pedagogia sociale che non è però consolidata. I confronti risultano difficili a causa della molteplicità di forme attraverso cui il lavoro sociale si manifesta e non danno grossi contributi ai lavori degli esperti. Gli “addetti ai lavori” sono comunque coscienti che l’attuale necessità di questa dimensione dimenticata/trascurata del lavoro sociale/ pedagogia sociale sia ancora troppo esigua, sebbene l’interculturalità, intesa come punto di incontro e dibattito su progetti che riguardano la vita e la realizzazione di tali progetti, contribuisca a delineare il profilo del lavoro sociale all’interno della società. Non è necessario costruire la pedagogia sociale internazionale, si deve piuttosto esaminare attentamente l’interculturalità che è stata sempre un elemento centrale della pedagogia sociale e adeguarla a nuove esigenze 61 7.Bibliographia AdamsA./Erath P./ Shardlow, St.(Ed.) (2000) Adams, A./Erath, P./ Shardlow, St.(Ed)(2001) Barboloni, Barwig, K./ Hinz-Rommel, W. (Hg.)(1995) Bauer, R. (1998) Becker, A. 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