atti congressuali
INDICE
SESSIONE PLENARIA
Claudio Belotti
La Compliance: una sfida da vincere insieme al
cliente
Brien Holden
Lenti a contatto e segmento anteriore dell’occhio:
solo uno degli aspetti del processo di formazione
continua in optometria
Maurizio Rolando
Riconoscere le disfunzioni lacrimali. Qual è la
differenza tra “occhio secco” e “sensazione di
secchezza”?
Kathy Dumbleton
Migliorare i sintomi di occhio secco marginale con
materiali per lenti a contatto di nuova tecnologia
Jennifer Craig
Soluzioni, lacrime artificiali e occhio secco
marginale: fanno la differenza per il comfort del
paziente?
Alessandro Fossetti
Correggere la presbiopia con lenti a contatto: una
sfida da vincere
Roberto Pregliasco
Motivazioni ed aspettative del portatore di lenti a
contatto
Gary Gerber
Come distinguersi nella propria professione
Josè Manuel Gonzalez Meijome
L’importanza clinica dello staining corneale in
contattologia
Francesco Loperfido
La gestione delle infezioni e delle infiammazioni in
contattologia
Luigi Lupelli
Le scale di gradazione: sono veramente utili?
Kathy Dumbleton
Cosa fanno i nostri clienti con le loro lenti a
contatto?
Dennis Reid
Implementare strategie efficaci di vendita e di
orientamento al servizio in optometria
Brien Holden
Lenti in silicone hydrogel e il futuro della
contattologia
Claudio Belotti
Adesso tocca a noi!
Stefano Lorè
4
Fabrizio Zeri
5
CORSI DI APPROFONDIMENTO
Applicazione post chirurgia lasik
Carlo Tronti
Piggyback
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Endotelio e lenti a contatto
Carlo Raffaelli
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Da collaboratori a squadra unita
7
8
10
Claudio Belotti
la
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L’endotelio corneale: aspetti fisiopatologici e
diagnostica strumentale
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La comunicazione
compliance
persuasiva
per
avere
Umberto Benelli
Guido De Martin
L’accompagnamento del presbite durante tutte le
fasi applicative della lente a contatto
Kathy Dumbleton
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Tecniche di valutazione dell’occhio secco
Jennifer Craig
Ottimizzazione del film lacrimale e valutazione della
superficie oculare
POSTER 1
Uso protesico di una lac morbida sclerale su un
occhio sfigurato con deviazione elevata
POSTER 2
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POSTER 3
20
POSTER 4
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Il fenomeno drop out visto dai formatori italiani di
lenti a contatto
Ortocheratologia notturna e cross-linking nel
cheratocono
Spessore dell’epitelio corneale e spessore della
cornea umana misurato in vivo con l’OCT Fourier
Domain
POSTER 5
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39
41
ABSTRACT POSTER
15
L’atteggiamento verso le lac: genitori e figli a
confronto
46
47
48
49
51
POSTER 6
24
poster fotografico
No Rub Generation ? ... No thank
POSTER 7
25
SESSIONE CASE HISTORIES
Dino Marcuglia
30
OrtoK
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Valutazione delle alterazioni endoteliali, eventi
avversi e variazioni della sensibilità al contrasto
indotte dall’utilizzo di tre lenti in silicone idrogel a
porto giornaliero
POSTER 8
Considerazioni sul Tear Ferning Test, review con
riferimenti sperimentali sulle potenzialità e i limiti
del TFT
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SESSIONE PLENARIA
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SESSIONE PLENARIA
DOMENICA 9 NOVEMBRE
Claudio
Belotti
Esperto di comunicazione interpersonale è uno dei pionieri della PNL (programmazione neuro- linguistica) in Italia. Si
è inoltre specializzato in linguistica direttamente con John Grinder (co-creatore della PNL) ed in coaching e leadership
con Robert Dilts. Svolge da numerosi anni l’attività di executive coach per alcuni dei più importanti gruppi aziendali.
La Compliance: una sfida da vincere insieme al cliente
Tra gli elementi che caratterizzano la società moderna sicuramente troviamo: la quantità di informazioni e
stimoli a fare/comprare/decidere e la velocità di esecuzione. Purtroppo a questa evoluzione non c’è stato un
uguale aggiornamento di mezzi e metodi per migliorare la nostra capacità di essere sempre più incisivi,
efficaci e abili.
A questo si aggiunge l’ingannevole idea che la comunicazione consista nel trasferire informazioni invece di
sapere che comunicare significa aiutare a decidere,
con-vincere (cioè vincere insieme) creando quell’alleanza che porta il cliente, il collaboratore, il collega a
fare ciò che è meglio, si tratti di: usare le lenti, proporle
o usarle noi stessi.
La relazione orbita attorno a una parola difficile da
pronunciare, scrivere e soprattutto mettere in pratica:
“Compliance”. Una parola che negli ultimi anni ha preso sempre più spazio. È la sfida di oggi come possiamo avere clienti più “complianti”?
Ogni giorno i clienti entrano nel nostro punto vendita;
quanti prima di uscire prendono la decisione di seguire
i nostri suggerimenti? Quanti porteranno avanti la decisione con l’azione?
Clienti diversi che si comportano in modo diverso. Esigenze, gusti, problemi, paure, convinzioni sono solo
alcune delle cose che entrano in gioco… e allora che
fare? E come?
Claudio Belotti ci aiuterà a riflettere sul ruolo fondamentale dell’ottico e su come utilizzare gli strumenti di
comunicazione che abbiamo (e quelli che impareremo)
per avere clienti sempre più complianti e soddisfatti.
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DOMENICA 9 NOVEMBRE
SESSIONE PLENARIA
Brien
Holden
Ricercatore e relatore di fama mondiale. Scientia professor alla School of Optometry and Vision Science
dell’Università New South Wales in Australia. Fondatore e direttore del Cooperative Research Centre for Eye
Research Technology, è Chair Global di “Optometry Giving Sight”.
Lenti a contatto e segmento anteriore dell’occhio: solo uno degli aspetti del processo di
formazione continua in optometria
Le origini e lo sviluppo della professione dell’optometrista sono davvero affascinanti. In molte parti del mondo i primi “optometristi” del XIX secolo erano in realtà
degli “ottici che misuravano la vista”, gioiellieri, orefici
e venditori ambulanti. Coloro che misuravano la vista
si trovavano spesso nelle botteghe dei gioiellieri perché qui erano più facilmente reperibili quei materiali
e quelle capacità artigianali che erano necessari per
produrre e riparare occhiali e simili strumenti.
La professione dell’optometrista molto probabilmente
trae origine dall’enorme aumento della richiesta di una
visione da vicino (per leggere) ottimale. Tale aumento
era associato all’invenzione della luce elettrica, intorno
al 1880. La necessità di leggere spinse molte persone
a pensare alla propria capacità visiva e le eventuali
difficoltà di lettura indussero molti a rivolgersi a un “misuratore della vista”.
All’inizio del ventesimo secolo, gli ottici cominciarono
a raggrupparsi e a formare delle società professionali. Con la formazione di queste organizzazioni emerse
anche un’identità professionale. Gli enti professionali
si impegnarono per definire dei codici di comportamento e degli standard minimi di istruzione per coloro
che si definivano ottici.
Nella fase iniziale l’obiettivo principale degli optometristi era quello di ottenere, attraverso la registrazione,
una forma di riconoscimento da parte dei governi del
loro status professionale. Per conseguire tale obiettivo
erano fondamentali istruzione e formazione e per questo motivo furono istituiti in molti paesi dei corsi che
insegnavano i fondamenti dell’ottica e della preparazione di dispositivi ottici. Col passare degli anni questi
corsi si dedicarono alla formazione di optometristi, incentrandosi sempre di più sulla biologia e non esclusivamente sulle scienze fisiche. Seguendo gli esempi
dei colleghi statunitensi gli ottici di diversi paesi cominciarono a chiamarsi optometristi.
La professione continuò a progredire fino a diventare
in molti paesi del mondo il principale interlocutore a
cui rivolgersi per l’assistenza nel campo della visione.
Di conseguenza furono gli optometristi a occuparsi di
test ed esami per determinare la capacità di mettere
a fuoco e coordinare l’occhio, giudicare la percezione di profondità e vedere i colori accuratamente. Gli
optometristi, grazie alla loro approfondita formazio-
ne, possono effettuare visite, diagnosticare e gestire
disturbi e malattie del sistema responsabile della visione, dell’occhio e delle strutture associate, oltre che
diagnosticare eventuali condizioni di natura sistemica
generale che riguardano l’organismo.
In alcuni paesi gli optometristi possono sempre più
prescrivere trattamenti farmacologici per la terapia di
patologie dell’occhio e anche eseguire alcune procedure chirurgiche. Il campo d’azione dell’optometria richiede una conoscenza approfondita di metodologie
ottiche, terapeutiche, psicologiche e di riabilitazione
allo scopo di risolvere i problemi della visione dall’infanzia fino alla vecchiaia.
Come accade in medicina, anche in optometria esistono diversi ambiti di specializzazione. Un optometrista
che desideri concentrarsi su un settore che vada oltre
la pratica generalista può scegliere tra varie specializzazioni, tra cui: lenti a contatto, terapia della visione e
ortottica, pediatria, ipovisione, disabilità dell’apprendimento e infine visione nell’ambiente di lavoro. Gli optometristi possono concentrarsi su una o due aree di
specializzazione e questo è ciò che spesso accade.
Per raggiungere un alto livello di specializzazione l’optometrista deve seguire un percorso di formazione e
apprendimento specifici ben oltre il livello di competenza tecnica iniziale.
Il campo delle lenti a contatto è una parte fondamentale dell’optometria e molti dei progressi registrati nei
decenni sono stati raggiunti grazie alla ricerca e all’insegnamento in ambito optometrico. I contattologi negli
scorsi 80 anni hanno dovuto imparare i fondamenti di
geometria, fisica, materiali, fisiologia, fabbisogno di
ossigeno, sistemi di difesa oculari, tossicologia farmacologia, risposte dell’organismo e dell’occhio, bagnabilità, lubrificabilità e molte altre nozioni di natura
scientifica e medica.
La messa a punto di materiali e geometrie nuovi e
particolarmente interessanti obbligheranno gli studenti
che in tutto il mondo si iscrivono ai corsi di optometria
a rimanere aggiornati rispetto alla continua evoluzione
delle modalità per la correzione della visione. Le tecniche e lo stile utilizzati per formare e specializzare gli
optometristi si svilupperanno rapidamente in seguito
al sempre crescente approfondimento della tecnologia
del XXI secolo.
La pratica dell’optometria è un’esperienza di apprendimento che si estende lungo tutto l’arco della vita e
solo attraverso un tale processo gli optometristi pos-
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SESSIONE PLENARIA
sono garantire il massimo a tutela della salute oculare
e del benessere generale dei loro pazienti. I progressi
dell’optometria fanno sì che dobbiamo concentrarci su
ciò che abbiamo dovuto imparare, ciò che abbiamo effettivamente appreso e ciò che dobbiamo imparare in
DOMENICA 9 NOVEMBRE
futuro. Deve essere compiuto uno sforzo notevole per
far progredire i sistemi di formazione in tutto il mondo
per permettere che gli optometristi continuino l’apprendimento durante il loro intero percorso professionale.
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DOMENICA 9 NOVEMBRE
SESSIONE PLENARIA
Maurizio
Rolando
Professore associato di Oftalmologia presso la Clinica Oculistica, Dipartimento di Neuroscienze, Oftalmologia e
genetica dell’Università di Genova. Autore di libri e di numerose pubblicazioni nel campo dell’oftalmologia su temi
quali la fisiopatologia del film lacrimale e la ricostruzione della superficie oculare.
Relatore a congressi nazionali ed internazionali.
Riconoscere le disfunzioni lacrimali. Qual è
la differenza tra “occhio secco” e “sensazione di secchezza”?
La superficie oculare è costituita da film lacrimale, epiteli della cornea, del limbus e della congiuntiva, palpebre, ghiandole lacrimali e le vie del deflusso lacrimale;
essa rappresenta un sistema caratterizzato dalla interazione simultanea di tutte le differenti componenti,
capace di veloci adattamenti alle nuove condizioni indotte da modificazioni ambientali quali la applicazione
di una lente a contatto o da eventi avversi.
L’esame delle condizioni delle diverse componenti
della superficie oculare consente di riconoscere la capacità del possibile portatore di mettere in atto questi
processi di adattamento e di individuare precocemente nel portatore eventuali elementi di criticità che, una
volta corretti, consentiranno una utilizzazione più sicura e confortevole della lente.
In particolare sarà utile essere in grado di definire le
differenze tra la presenza di discomfort transitorio legato alla condizione del momento, di modesta rilevanza clinica e facilmente recuperabile e la presenza di
una vera sindrome da secchezza oculare, con le tipiche modificazioni anatomiche a carico della superficie
oculare, che necessita di un approccio terapeutico più
complesso e per la quale le possibilità di completa guarigione sono molto più scarse. Il rapido riconoscimento
e la correzione della condizione più lieve di disfunzione lacrimale impedisce infatti che si sviluppi una forma
cronica e più difficilmente rimediabile di secchezza.
Verrà esposta e discussa una serie di osservazioni cliniche, reperti anamnestici e test mirati che consentono
di definire con buona affidabilità lo stato della superficie oculare e separare le forme con coinvolgimento
tissutale da quelle di semplice, temporanea inadeguatezza dei processi di adattamento.
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SESSIONE PLENARIA
DOMENICA 9 NOVEMBRE
Kathy
Dumbleton
Senior Researcher di facoltà al Centre for Conctact Lens Research dell’Università canadese di Waterloo. Le sue
ricerche in particolare riguardano le risposte oculari alle lenti a contatto, i materiali in silicone hydrogel e il discomfort.
È Fellow della British Contact Lens Association (BCLA) e della American Academy of Optometry (FAAO).
Migliorare i sintomi di occhio secco marginale con materiali per lenti a contatto di nuova tecnologia
Nonostante i progressi registrati nell’ultimo decennio
nel campo dei materiali per le lenti a contatto, il problema più frequentemente segnalato con il porto di lenti
a contatto morbide continua ad essere la riduzione del
comfort, per lo più in associazione a sintomi di secchezza che si manifestano con l’avanzare della giornata. Sono molti i fattori che contribuiscono alla secchezza correlata all’uso di lenti a contatto. Sebbene tali
sintomi non possano essere eliminati completamente,
possono però essere ridotti al minimo scegliendo i
materiali più appropriati, la corretta frequenza di sostituzione, la modalità di porto e un’adeguata manutenzione. Possono essere di aiuto anche il controllo dei
fattori ambientali e l’utilizzo di gocce umettanti. Questa presentazione descriverà alcuni dei nuovi materiali
per lenti a contatto morbide che sono oggi disponibili e
possono alleviare i sintomi da occhio secco, e fornirà
delle indicazioni per la prevenzione e la riduzione della
secchezza nei portatori di lenti a contatto.
SOMMARIO
1. Introduzione
- Dal 20% al 50% di portatori di lenti a contatto
morbide riferiscono sintomi da occhio secco
- Circa il 35% dei pazienti abbandona per sempre
le lenti a contatto a causa di riduzione del comfort e
secchezza
2. Fattori legati al paziente che influenzano i sintomi legati alla secchezza oculare nei portatori
di lenti a contatto
- Problemi del film lacrimale (ridotta produzione,
evaporazione eccessiva)
- Instabilità del film lacrimale (carenza di mucina o
lipidi, disfunzione delle ghiandole di Meibomio ecc.)
- Ambiente (temperatura, umidità, qualità dell’aria)
3. Fra le possibili cause di sintomi da occhio
secco in portatori di lenti a contatto vanno annoverate
- Evaporazione
- Riduzione del tempo di assottigliamento del film
lacrimale
- Disidratazione
- Qualità insufficiente della superficie della lente
che dà origine ad attrito, idrofobicità e formazione di
depositi
- Interazione con i sistemi di manutenzione
4. Gestione dei sintomi da occhio secco: materiale della lente
- Resistenza alla disidratazione con materiali
convenzionali (contenuto di acqua, ionicità)
- Materiali resistenti alla disidratazione (per esempio
hioxifilcon A, hioxifilcon D, omafilcon A)
- Materiali in silicone hydrogel
- Trattamento della superficie e bagnabilità
- Aggiunta di agenti umettanti al materiale della lente
(PVA, PVP, acido ialuronico)
- Rilascio di agenti umettanti da parte del materiale
della lente (PVA)
- Frequenza di sostituzione della lente, lenti giornaliere
5. Gestione dei sintomi da occhio secco: sistemi
di manutenzione
- Conservanti
- Interazione coi materiali della lente
- Incorporazione di agenti umettanti o viscosi
6. Gestione dei sintomi da occhio secco: agenti
umettanti
- Inclusione di agenti umettanti, surfattanti, lenitivi,
emulsionanti ecc.
- Nuove tecnologie per i conservanti al fine di
prevenire le tossicità
- Assicurare lubrificazione e idratazione; consentire
una uniforme diffusione delle lacrime sulle lenti
- Aumentare la ritenzione e la stabilità del film
lacrimale?
- Ridurre la deposizione di lisozimi?
- Utilizzo di agenti umettanti prima dell’applicazione
della lente
7. Gestione dei sintomi da occhio secco: effetti
dell’ambiente
- Ambienti che causano maggiore stress, per esempio
uffici, aerei ecc.
- Temperatura
- Umidità
- Flusso dell’aria
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DOMENICA 9 NOVEMBRE
8. La lente a contatto perfetta per ridurre i sintomi associati a secchezza oculare?
- Superficie biocompatibile
- Imita l’epitelio corneale
- Non ha effetti su produzione o stabilità del film
lacrimale!
SESSIONE PLENARIA
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SESSIONE PLENARIA
DOMENICA 9 NOVEMBRE
Jennifer
Craig
Di recente ha fatto ritorno in Nuova Zelanda in qualità di Senior Lecturer in Optometry and Vision Science presso
l’Università di Auckland, conservando il proprio incarico di Honorary Senior Lecturer in Ophthalmology. Ha conseguito
un PhD in Fisiologia lacrimale nell’occhio normale e nell’occhio secco presso la Glasgow Caledonian University.
Soluzioni, lacrime artificiali e occhio secco
marginale: fanno la differenza per il comfort
del paziente?
L’occhio secco continua ad essere la causa principale dell’abbandono o della riduzione del tempo di porto
delle lenti a contatto. Circa il 50% dei pazienti con lenti
a contatto riferisce una sintomatologia da occhio secco rispetto al 15% di non portatori di lenti a contatto.
Il tipo di occhio secco di cui sono affetti i portatori di
lenti a contatto è di natura principalmente evaporativa, piuttosto che associato ad una ridotta produzione
lacrimale, innescato dal sovvertimento dello strato lipidico causato dalla presenza di una lente a contatto
all’interno del film lacrimale preoculare. Craig e Tomlison nel 1997 hanno dimostrato che in pazienti senza
uno strato lipidico visibile o in soggetti con un’anomalia della colorazione all’estremità dello strato, l’evaporazione del film lacrimale aumenta di quattro volte
rispetto ai soggetti con strato lipidico continuo lungo
tutta la superficie, indipendentemente dallo spessore.
Le anomalie della colorazione all’estremità dello strato
si riscontrano molto frequentemente nell’occhio secco
con disfunzione delle ghiandole di Meibomio, mentre
l’assenza dello strato lipidico si riscontra comunemente nei portatori di lenti a contatto. La riduzione dello
strato lipidico consente l’evaporazione del film lacrimale pre-lente il che sfocia in secchezza della lente a
contatto e successivamente pervaporazione del fluido
dalla cornea. Secondo lo schema di gradazione dello strato lipidico proposto da Guillon, lo strato lipidico
preoculare è ridotto in media di due gradi nei portatori di lenti a contatto morbide. Un paziente con uno
strato lipidico preoculare di spessore da medio ad alto
riesce in genere a conservare uno strato lipidico sulla
superficie del film lacrimale pre-lente, ma nei pazienti
con strato lipidico naturalmente sottile, non si osserva
di solito alcuno strato lipidico sulla superficie del film
lacrimale pre-lente. Ciò rappresenta oltre il 50% dei
portatori di lenti a contatto ed è la causa principale di
occhio secco indotto da lenti a contatto.
Spesso vengono prescritte delle gocce umettanti per
contribuire ad alleviare i sintomi associati al porto di
lenti a contatto, ma la maggioranza degli agenti disponibili in commercio, allo scopo di reidratare la lente a
contatto, servono solo a potenziare la componente acquosa del film lacrimale. Purtroppo, senza uno strato
lipidico adeguato che sovrasti la componente acquosa, l’evaporazione del liquido continuerà a velocità
ancora maggiore. Ne consegue che il sintomo viene
alleviato solo per un breve periodo di tempo. Devono
pertanto essere intraprese misure alternative, o per lo
meno complementari, per assicurare una riduzione dei
sintomi per il paziente con occhio secco marginale.
La realizzazione di una serie di test attentamente selezionati per valutare il film lacrimale e la superficie
oculare consente di determinare l’eziologia e la gravità
dell’occhio secco, e ciò di conseguenza permette di
individuare la strategia di gestione ottimale. Lo scopo
della gestione è quello di migliorare il comfort oculare e la qualità della vita e, se possibile, di agevolare il ritorno allo stato di normalità del film lacrimale e
della superficie oculare. Esiste una vasta gamma di
trattamenti per l’occhio secco. La gestione può essere molto semplice e limitarsi a istruire il paziente su
quei cambiamenti ambientali che potrebbero migliorare il comfort oculare; o invece essere estremamente
complessa, come nel caso di trapianto delle ghiandole
salivari per conservare la visione. Questa presentazione illustrerà una serie di strategie oggi disponibili
per la gestione dell’occhio secco nella pratica clinica
e, sulla base di evidenze derivate dalla letteratura e
di esperienze personali di ricerca, si soffermerà sulla
potenziale capacità delle diverse strategie di apportare benefici ai pazienti, sia in termini oggettivi sia, cosa
altrettanto importante, in termini di comfort riferito dal
paziente.
Suggerimenti sull’ambiente
L’occhio secco borderline spesso diventa conclamato in seguito a esposizione a stimoli esterni fra cui le
condizioni ambientali avverse. L’aria condizionata e il
riscaldamento centralizzato dei luoghi di lavoro riducono l’umidità relativa dell’ambiente facendo aumentare
l’evaporazione lacrimale e dando avvio alla condizione
denominata “occhio secco da ufficio”. Analogamente,
l’esposizione a condizioni particolarmente ventose
all’esterno può alterare lo strato lipidico lacrimale superficiale portando, anche in questo caso, all’evaporazione del film lacrimale e a sintomi di occhio secco. Alcuni farmaci sistemici, le esalazioni tossiche del fumo
di tabacco o gli effetti disidratanti dell’alcool possono
esacerbare i sintomi. Risulta quindi evidente quanto
sia essenziale un’accurata anamnesi di ogni paziente
per individuare i possibili fattori scatenanti ed essere in
grado di fornire dei consigli su come minimizzare gli effetti di tali stimoli. Si è dimostrato che migliorare l’umidità relativa della zona vicino all’occhio contribuisce ad
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SESSIONE PLENARIA
DOMENICA 9 NOVEMBRE
alleviare i sintomi e a migliorare lo strato lipidico del
film lacrimale. Questo risultato può essere raggiunto
con l’utilizzo di occhiali parabolici oppure occhiali con
protezioni laterali o addirittura con occhiali protettivi di
tipo subacqueo.
Strategie associate alla manutenzione delle
lenti e all’utilizzo di soluzioni
Il materiale e il disegno della lente, l’applicazione e il sistema di manutenzione sono tutti aspetti che influiscono
sul comfort dei pazienti nel porto delle lenti a contatto,
non solo in termini di secchezza oculare. I prodotti per la
manutenzione delle lenti dovrebbero essere studiati per
valutarne la biocompatibilità e favorire la compliance. I
sintomi associati a riduzione del comfort nelle prime ore
del mattino possono essere dovuti a tossicità della soluzione, mentre i sintomi che insorgono nel tardo pomeriggio sono più spesso correlati all’occhio secco. Una lente
che mal si adatta all’occhio può portare a secchezza
del margine della lente stessa e, in ultima analisi, a sintomi derivati dalla riduzione del comfort. Clinicamente
è importante valutare la lente sull’occhio. Lenti ad alto
Dk migliorano l’ossigenazione della cornea, ma ciò può
andare a scapito del modulo della lente con il rischio di
provocare una congiuntivite papillare enorme.
Lacrime artificiali
La gamma di prodotti artificiali disponibili in commercio
per integrare il film lacrimale e lubrificare la superficie
oculare è molto ampia, eppure gli specialisti spesso
spingono il paziente a individuare da solo il prodotto
preferito attraverso un processo di prova ed errore.
In tutto ciò ha un ruolo importante l’eziologia variabile
dell’occhio secco; pertanto una valutazione approfondita del film lacrimale e della superficie oculare in ogni
paziente è di importanza fondamentale per poter selezionare la più corretta strategia di gestione fino a comprendere la tipologia più appropriata di integratore. In
genere i pazienti con problemi alla superficie trarranno
vantaggio da un integratore contenente un composto
mucomimetico, mentre i pazienti con ipolacrimia necessitano di un’integrazione di volume che può prevedere l’uso di un componente come lo ialuronato che
migliora la ritenzione e allunga il periodo di comfort
che segue l’applicazione. D’altro canto, i pazienti con
occhio secco evaporativo possono vedere alleviati i
sintomi con nebulizzazioni o gocce lipomimetiche grazie al loro contributo allo strato lipidico superficiale e
all’inibizione dell’evaporazione lacrimale. Se il prodotto contiene agenti che garantiscono un certo livello di
viscosità si migliora il tempo di ritenzione della lacrima
artificiale sulla superficie dell’occhio, ma deve essere
raggiunto un equilibrio tra il miglioramento della ritenzione derivato da gocce viscose e la visione più sfocata che si ha in seguito all’applicazione.
Gestione delle patologie palpebrali
Una delle patologie palpebrali che si osserva più frequentemente nella pratica clinica è la disfunzione delle
ghiandole di Meibomio. L’olio prodotto dalle ghiandole
di Meibomio umane contiene dei lipidi con un basso
punto di fusione (19 - 32 °C) e ciò permette alle secrezioni normali delle ghiandole di rimanere allo stato fluido a temperatura corporea. Il prodotto della secrezione è una complessa miscela di lipidi polari e non polari
che contengono approssimativamente: 77% cera ed
esteri di sterolo, 8% fosfolipidi e 9% digliceridi e trigliceridi e idrocarburi. Nella disfunzione delle ghiandole
di Meibomio il punto di fusione dei lipidi può essere più
elevato e di conseguenza l’applicazione di compresse
calde può fornire un sollievo sintomatico e migliorare la superficie oculare. L’applicazione previa di scrub
palpebrali può contribuire a un esito ancora migliore,
soprattutto in presenza di blefarite. Su un principio simile, riscaldare le secrezioni delle ghiandole di Meibomio, si basa l’uso di occhiali protettivi a calore latente
e di dispositivi ad aria umida riscaldata, che hanno appunto lo scopo di facilitare l’efflusso. E’ stato dimostrato che entrambi questi due metodi migliorano il quadro
sintomatologico riferito dal paziente e riducono i segni
di occhio secco.
Supporto nutrizionale
Si è dimostrato già 20 anni fa il beneficio per i pazienti
con sindrome di Sjögren derivante da una maggiore
assunzione di acidi grassi essenziali tramite l’alimentazione. Ricerche recenti hanno mostrato che il rapporto omega 6 - omega 3 è importante per la salute
dell’occhio. Un valore elevato del rapporto omega 6
su omega 3, tipico delle diete occidentali, è associato
a un rischio significativamente superiore di sindrome
dell’occhio secco. Un maggiore apporto di omega 3,
ottenuto con un aumentato consumo di pesci dei mari
freddi (per esempio il tonno), è stato associato a una
riduzione del rischio di occhio secco.
Occlusione dei punti lacrimali
La ritenzione di lacrime artificiali e naturali attraverso
l’occlusione di punti lacrimali o canalicoli può causare
un aumento del volume di fluidi sulla superficie oculare. Tuttavia, nei portatori di lenti a contatto va sempre
prestata particolare attenzione, a causa del maggior
rischio di infezione associato al ridotto ricambio lacrimale. Analogamente, una patologia palpebrale attiva
è considerata una controindicazione all’uso di tappi
lacrimali.
Conclusioni
In sintesi, esistono molte opzioni disponibili per la gestione dell’occhio secco marginale indotto da lenti a
contatto. Grazie a valutazione dettagliata, attenta formazione del paziente e attuazione delle strategie di
gestione appropriate è possibile assicurare un utilizzo
confortevole e perfettamente riuscito delle lenti a contatto.
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SESSIONE PLENARIA
DOMENICA 9 NOVEMBRE
Alessandro
Fossetti
Professore a contratto al Corso di Laurea in Ottica ed Optometria presso l’Università degli Studi di Padova. Svolge
attività professionale in studio privato e di consulenza per aziende ed associazioni. Autore di numerosi articoli e
pubblicazioni.
Correggere la presbiopia con lenti a contatto: una sfida da vincere
L’allungamento della vita media della popolazione nel
mondo occidentale fa sì che la presbiopia si consolidi
sempre più come la condizione visiva più diffusa nella
popolazione. Si calcola ad esempio che negli US i presbiti supereranno il 40% della popolazione nel 2020,
in Giappone il 60%. In Italia si può prevedere per quella data un 50% della popolazione presbite. Inoltre, la
parte di popolazione che diventa presbite è quella che
ha la maggiore capacità di spesa media e che influenza di più le spese familiari. Tutto ciò deve far riflettere
sull’importanza che l’uso delle lenti a contatto per la
correzione della presbiopia possa avere nell’attività
degli ottici optometristi.
Nonostante ciò l’uso delle lenti a contatto per la correzione della presbiopia non ha finora trovato grande
successo tra gli applicatori, e non soltanto tra quelli
italiani. Tra gli ostacoli alla mancata diffusione delle
lenti a contatto per presbiopia possono essere indicate l’idea che l’occhiale con lenti progressive costituisca
una fonte maggiore di reddito, la resistenza ad utilizzare tecniche applicative semplici come la monovisione,
la scarsa propensione all’innovazione da parte degli
ottici optometristi italiani, la scarsa conoscenza delle
caratteristiche e delle modalità applicative dei mezzi
correttivi (lenti a contatto) a disposizione, l’idea che
l’applicazione dei mezzi correttivi più complessi (leggi
lenti a contatto bifocali o multifocali a visione simultanea) siano di difficile adattabilità e portino raramente
ad una applicazione di successo.
Ora, sebbene si debba riconoscere che la correzione
della presbiopia con lenti a contatto possa rivestire una
certa complessità e che il risultato visivo finale possa
essere in molti casi solo parzialmente soddisfacente,
si deve sottolineare che vi sono metodologie e procedure applicative che possono aiutare ad aumentare
i risultati positivi e allargare la diffusione della lenti a
contatto tra i propri clienti, potendo in tal modo avere
altri benefici grazie al passaparola.
Vengono dunque presentate le varie soluzioni possibili
per la correzione della presbiopia mediante lenti a contatto, con i pregi e i difetti, i vantaggi e le limitazioni di
ognuna. Tra queste la monovisione risulta essere una
tecnica con un’alta possibilità di successo che viene
troppo spesso trascurata per l’idea che la visione binoculare venga seriamente compromessa. Questa idea
verrà discussa nella presentazione. Le lenti morbide
bifocali o multifocali a visione simultanea sono un’altra
possibilità correttiva che viene presentata in molteplici
modalità; anche di questa tipologia di lenti si parlerà
diffusamente esaminandone le caratteristiche ottiche
e correttive.
Verranno anche presentati alcuni test visivi e alcuni
accorgimenti tecnici e metodologici che possono facilitare sia la selezione dei soggetti che la corretta conduzione della procedura clinica e il raggiungimento del
successo nell’applicazione delle lenti a contatto morbide bifocali e multifocali.
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DOMENICA 9 NOVEMBRE
SESSIONE PLENARIA
Roberto
Pregliasco
Svolge attività professionale privata a Genova, è stato (dal 2002 al 2005) tutor presso il Corso di Laurea in Ottica e
Optometria dell’Università degli Studi di Milano Bicocca. Relatore ai maggiori convegni nazionali di contattologia e
optometria, autore di pubblicazioni di settore.
Motivazioni ed aspettative del portatore di
lenti a contatto
Attualmente quasi la metà della popolazione mondiale
presenta ametropie visive, che possono essere compensate con lenti oftalmiche e/o con lenti a contatto.
Negli ultimi anni l’approccio professionale alla contattologia è stato significativamente migliorato grazie ad
alcuni raffinati strumenti. I sistemi computerizzati digitali di acquisizione dell’immagine hanno consentito
l’archiviazione dei dati e il confronto della situazione
oculare nel tempo. Il topografo corneale ha consentito
una conoscenza più dettagliata della superficie della
cornea, la progettazione di lenti a contatto con geometrie personalizzate e il monitoraggio della morfologia
corneale nel tempo. Il microscopio confocale ha permesso di esaminare le singole cellule epiteliali, i nervi
stromali, i nuclei dei cheratociti stromali e le cellule endoteliali. La pachimetria ha permesso di quantificare lo
spessore corneale in ogni suo punto.
Il contattologo, utilizzando un protocollo metodologico,
giunge a una scelta applicativa supportata dai dati e
dalle osservazioni indispensabili nella presa di decisioni cliniche e nella selezione della tipologia della lente a contatto, individuando materiali ad alta affidabilità
e tollerabilità che non alterano il metabolismo corneale
e che rispettano l’integrità dei tessuti del segmento anteriore dell’occhio.
Grazie alla costante ricerca, alle nuove strumentazioni, a una gestione intelligente del portatore, nel prossimo futuro l’utilizzo della lente a contatto potrà ulteriormente diffondersi grazie alla positiva intermediazione
dei professionisti che, attraverso la loro competenza,
permetteranno la piena soddisfazione delle richieste
dei portatori di lenti a contatto. Saper codificare i fattori
analizzati amplia e rafforza la fedeltà del portatore.
Lo sviluppo delle qualità relazionali del professionista cresce se egli sa mettere il portatore al centro
dell’attenzione: ascolto attivo, flessibilità, creatività e
disponibilità sono i pilastri sui quali costruire buone relazioni, affinare la professionalità clinica dello studio,
accrescere la qualità percepita da parte del portatore
per il raggiungimento e la totale soddisfazione delle
aspettative del portatore di lenti a contatto. Le aspettative del portatore sono pienamente soddisfatte quando
il professionista riesce ad interpretare le motivazioni
che portano il soggetto ad avvicinarsi al mondo della
contattologia e rassicura le sue perplessità e i suoi timori.
La gestione del portatore segue tappe precise che il
professionista ridefinisce e migliora ciclicamente. Indagando le motivazioni personali, riconoscendo le personali esigenze e valutando lo stile di vita dell’ametrope,
il professionista conduce così il portatore a un utilizzo
gratificante e sicuro delle lenti a contatto, soddisfacendo le sue aspettative e permettendo il raggiungimento
di una qualità visiva ottimale.
I recenti progressi di costruzione delle lenti a contatto
permettono al professionista di soddisfare le differenti
problematiche visive (alte ametropie sferiche, elevati
astigmatismi, presbiopia) applicando lenti a contatto
che consentono una buona visione ad ogni distanza,
in ogni condizione di illuminazione e con un elevato
comfort per tutta la giornata. A tale scopo il professionista, verificati gli aspetti puramente applicativi, esegue
un’analisi visiva dettagliata arrivando a una prescrizione finale sicura ed efficace; l’Analisi Visiva Integrata
(AVI) di Scheiman e Wick è il metodo di valutazione
delle abilità visive oggi più completo, che permette di
esplorare con precisione tutti gli aspetti coinvolti nel
processo visivo.
Oggi le lenti a contatto, grazie al progresso scientifico e tecnologico che ha consentito l’avvento di nuovi
materiali ed il miglioramento delle geometrie costruttive, sono un’ottima soluzione per compensare tutte
le ametropie e soddisfare pienamente le aspettative
visive del portatore. Il contattologo identifica le risposte avverse e le gestisce in maniera appropriata per
trattare incisivamente la causa dei problemi (la lente
a contatto, il sistema di manutenzione, la mancata osservazione delle istruzioni) controllando nel tempo che
le condizioni di partenza siano mantenute e, quando è
possibile, cercando di migliorarle con le nuove tipologie di lenti a contatto introdotte sul mercato.
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SESSIONE PLENARIA
DOMENICA 9 NOVEMBRE
Gary
Gerber
Optometrista, è considerato uno dei maggiori esperti statunitensi di practice building in optometria, fondatore e
presidente di una società di consulenza la cui missione è far diventare la professione più redditizia ed efficiente.
Relatore di oltre 500 presentazioni in tutto il mondo. Personalità carismatica ed eclettica, è anche esperto di magia
applicata alla formazione.
Come distinguersi nella propria professione
IV. Perdere un’abitudine è difficile, per cui tanto
vale acquisirne di nuove.
a. Biografia del Dr. Gerber - Specialista in optometria, consulente - E’ sopravvissuto perché ha deciso di
cambiare e si è adattato.
I. CHARLES DARWIN: Non è il più forte della specie a
sopravvivere, né il più intelligente, ma colui che meglio
reagisce al cambiamento.
II. L’esperienza da optometrista
III. L’esperienza da consulente
a. Se fate quello che fanno gli altri, diventerete come
gli altri.
I. Introduzione
b. Quando possiamo dire che un esame optometrico è
riuscito? Risposta: quando il cellulare del paziente non
si mette a suonare.
c. I vostri pazienti sono circondati dalla tecnologia. Se
anche voi non siete aggiornati tecnologicamente, il paziente avverte una distanza.
d. La tecnologia non deve essere associata necessariamente alle lenti a contatto. Può essere uno schermo
a cristalli liquidi in sala d’attesa o la possibilità per i
pazienti di un collegamento Wi-Fi.
II. Il mio centro negli Stati Uniti e i nostri pazienti
sono simili ai vostri e se non ci credete dovete
almeno credere che i nostri pazienti sono simili
soprattutto da un punto di vista emotivo
a. Anche i portatori di lenti a contatto hanno un cervello
rettile. E se dicono sì alle lenti a contatto, lo fanno per
questioni di libertà, sicurezza di sé e così via. Non state proponendo un materiale plastico con un dk/T alto.
State invece cambiando la vita di qualcuno.
b. Curve a campana
I. Onorario
II. Tecnologia
III. Mix di prodotti
IV. Personale
c. Citazione da Jack Welch - “Una piccola azienda non
è una grande azienda in piccolo.” Quindi si cade in
errore e non succede nulla. Storia della Coca Cola e
della Coca Cola Classic
V. Il marketing delle nuove tecnologie.
a. In primo luogo coinvolgere il personale.
I. Mission statement
II. Performance management
b. Necessità di nuovi media per le nuove tecnologie.
c. L’obiettivo può essere nuovi portatori di lenti a contatto dato che la maggioranza comincia a usare lenti a
contatto a un’età sempre più giovane.
d. Scadenze, piano, budget.
e. Evitare il fai da te.
VI. Passi da intraprendere
a. Scrivete
1.
b. Esempi di vendita al cervello rettile di un portatore
di lenti a contatto.
2.
III. Abitudini
3.
a. Prescrivere sempre le stesse lenti è un’abitudine,
non è una valutazione clinica.
b. 1 - ha un qualche senso ciò che avete sentito finora? In caso affermativo, scrivete un cambiamento che
introdurrete nella vostra attività a partire da martedì
prossimo
b. Anche NON prescrivere mai le lenti a contatto è
un’abitudine.
I. Pazienti da occhiali rispetto a pazienti da lenti a
contatto.
c. Il valore monetario di un paziente utilizzatore di lenti
a contatto nel tempo può essere tre volte superiore.
c. 2 - “E’ l’inizio che blocca molte persone” - e quindi,
cosa farete a proposito del #1?
d. 3 - scadenza
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LUNEDÌ 10 NOVEMBRE
SESSIONE PLENARIA
José Manuel
González Meijome
Professore di optometria presso il Dipartimento di Fisica dell’Università di Minho (Braga, Portogallo). Membro della
Association for Research in Vision and Ophthalmology (ARVO) e dello Spanish College of Optometrist. Autore e
coautore di articoli e pubblicazioni per riviste internazionali di settore.
L’importanza clinica dello staining corneale
in contattologia
L’espressione “staining corneale” non può essere definita di per sé un’entità clinica dal momento che è l’unico segno di svariate condizioni corneali con diversa
rilevanza clinica. Inoltre, la comparsa del segno dello
staining corneale non implica necessariamente l’esistenza di un difetto epiteliale oppure può essere associata a difetti epiteliali di aspetto e gravità diversi.
In questa presentazione verrà utilizzata l’espressione
staining corneale puntato superficiale (SPCS - superficial punctate corneal staining).
Il Manuale Illustrato di Oftalmologia del Massachussetts Eye and Ear Infirmary descrive la cheratite puntata superficiale (SPK), probabilmente la condizione
clinica più simile a ciò che chiamiamo SPCS o staining
corneale in contattologia, nella maniera seguente: difetti epiteliali, non specifici; a capocchia di spillo; staining puntato con fluoresceina; associata a blefarite,
qualunque causa di occhio secco, trauma, corpo estraneo, trichiasi, ustione chimica o da ultravioletti, correlata al porto di lenti a contatto e congiuntivite (Kaiser
et al. 2004). In questa definizione è implicita l’eziologia
ignota dell’affezione. A proposito del difetto epiteliale,
che è dato per scontato nella maggiore parte delle circostanze, neppure al giorno d’oggi possiamo dire che
tale difetto non sia limitato al solo sfaldamento di alcune cellule dalla cornea o rappresenti una debolezza
della struttura epiteliale, il che non pare corrispondere
al vero nelle forme in cui esso per lo più si presenta.
Questo fenomeno è stato descritto anche in non portatori di lenti a contatto, asintomatici con valori di prevalenza che spaziano dal 17% al 100%, a seconda dello
studio preso in considerazione (Ward 2008). A parte
differenze di natura climatica, geografica ed etnica, la
disparità dei risultati può essere spiegata dalle diverse
metodologie utilizzate o durante il processo di staining
o durante l’osservazione. Due ricerche sono relativamente uniformi in termini di metodologia impiegata
(applicazione di fluoresceina con striscia e uso di filtro
barriera giallo) e hanno documentato su un campione
di non portatori di lenti a contatto una prevalenza di
SPCS del 78% e 70% rispettivamente (Schwallie et al.
1997; Dundas et al. 2001).
Nonostante si riscontri un’alta incidenza di SPCS nella
popolazione che non fa uso di lenti a contatto, l’im-
portanza dello staining corneale è andata man mano
crescendo poiché rappresenta una potenziale conseguenza dell’interazione con lenti a contatto e soluzioni
detergenti.
Per spiegare la natura del fenomeno sono state prese in considerazione diverse ipotesi, fra cui aumentata permeabilità delle membrane epiteliali, danno alle
giunzioni cellulari e perdita epiteliale. Tuttavia studi più
recenti non hanno confermato l’ipotesi di una compromissione della giunzione epiteliale associata a episodi
di SPCS indotti da uso di soluzioni (Ward 2008).
Lo staining corneale puntato superficiale può presentarsi in forma diffusa o localizzata, ognuna con
le proprie implicazioni, ed esistono svariati criteri per
classificare le forme di SPCS. Per il clinico, tuttavia,
è importante classificare l’evento da un punto di vista
morfologico, dei fattori eziologici e della significatività
clinica, perché è proprio l’insieme di questi aspetti che
contribuisce (quando possibile) a gettar luce sulla causa e a definire la più corretta strategia di trattamento
o profilassi.
La gradazione clinica dello staining corneale è comunemente definita secondo una scala a quattro livelli. I
sistemi usati più frequentemente sono il Cornea and
Contact Lens Research Unit Grading System (CCLRU, Sydney, Australia) (Terry et al. 1993) e l’Efron
Grading System (Efron et al. 2001). Secondo l’autore, sebbene sia più complesso, il sistema CCLRU
garantisce una maggiore precisione dal momento che
permette di classificare lo staining corneale in termini di tipo, estensione e profondità. Nel loro complesso questi tre aspetti forniscono preziose informazioni
atte a classificare e valutare la significatività clinica del
quadro osservato e ad adottare adeguate strategie di
trattamento.
Nonostante la presenza significativa nella popolazione di non portatori di lenti a contatto, l’uso di lenti a
contatto in genere aumenta l’incidenza di SPCS e
sono vari i fattori o le modalità di interazione tra lente
a contatto e superficie oculare che possono contribuire all’insorgere di SPCS. Nell’ipotesi che lo SPCS sia
un’entità multifattoriale, verranno elencate di seguito
le linee guida per identificare e, se possibile, differenziare i fattori di rischio che ci possono orientare nel
piano di trattamento.
Il lettore potrà trovare in letteratura ulteriori informazio-
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SESSIONE PLENARIA
ni a proposito del potenziale coinvolgimento e dell’interazione tra i vari fattori che causano SPCS in portatori di lenti a contatto morbide. Lo studio di Nichols et
al. merita un’attenzione particolare dal momento che
comprende un campione significativo di 500 portatori
di lenti a contatto in hydrogel che non avevano problemi. Gli autori hanno riscontrato un qualche grado
di staining corneale in almeno un occhio nel 55,7%
dei portatori, in due o più quadranti nel 24% della
popolazione e staining medio-grave nell’8% dei partecipanti (Nichols et al. 2002). Tra i fattori non significativamente associati a staining corneale venivano
inclusi: età del paziente, sesso del paziente, farmaci
sistemici compresi i contraccettivi orali, tipo di porto
(esteso, flessibile, giornaliero), tempo medio di porto,
tempo di porto al momento della visita, tipo di lente
(sferica o torica), contenuto di acqua delle lenti (alto o
basso), tipo di sistema di manutenzione, uso di enzimi
e infine il togliere le lenti pizzicando direttamente sulla
cornea. Al contrario, la non compliance nel sistema di
manutenzione o nel programma di sostituzione convenzionale e la potenza della lente sono risultati significativamente associati al fenomeno di uno staining
corneale positivo.
Solo raramente si registra un impatto significativo dello
staining corneale sulla performance visiva, e si tratta di
una condizione solitamente asintomatica. Tuttavia, ciò
che preoccupa i contattologi sono le potenziali implicazioni di un’eventuale progressione verso quadri più gravi.
A proposito delle potenziali implicazioni di SPCS in
caso di complicanze più gravi, i pazienti con una storia di precedente sensibilità alle soluzioni di manutenzione, espressa in termini di staining corneale diffuso,
avevano 3,08 probabilità in più di soffrire di un evento
corneale infiltrativo (CIE, corneal infiltrative event). Il
rischio relativo di tossicità della soluzione si modificava a seconda della tipologia di presentazione di CIE:
5,47 per CIE asintomatico e 0,63 per CIE sintomatico.
Prendendo in considerazione la forma di presentazione dello staining, gli occhi con uno staining diffuso
avevano un rischio 3,65 volte superiore di soffrire di
CIE, rispetto a 1,58 volte per gli occhi con staining periferico (Carnt et al. 2007a).
Oltre alla terapia farmacologica per episodi attivi significativi di SPCS, è possibile suggerire delle raccomandazioni per ridurre l’incidenza di SPCS in portatori di
lenti a contatto.
Fitting: un fitting non ottimale è da lungo tempo associato a crescenti livelli di riduzione del comfort e disturbo dell’integrità della superficie oculare. Sebbene non
tutti gli studi associno questo problema all’aumento di
SPCS, Nichols et al. hanno comunque riscontrato livelli maggiori di staining medio-grave nelle lenti con un
fitting insufficiente (Nichols et al. 2002).
Anche l’uso di lenti gas permeabili di conformazione
piatta a livello di cornea centrale può far accrescere le
possibilità di individuare lo staining puntato superficiale. Il fenomeno è stato osservato esaminando i pazienti sottoposti da poco ad ortocheratologia, soprattutto
LUNEDÌ 10 NOVEMBRE
quando la visita veniva effettuata al mattino (Walline
et al. 2004), ma tendeva a ridursi fortemente dopo un
periodo di adattamento. Un altro gruppo di pazienti
particolarmente sensibile allo staining corneale è rappresentato da coloro che sono affetti da cheratocono.
In tale caso, e particolarmente in presenza di lente
piatta, si rileva staining corneale in un grande numero
di pazienti (Edrington et al. 2004)
Materiale della lente: se si ritiene che alla radice dello
staining corneale associato a porto di lenti a contatto
vi sia una data combinazione di lente/soluzione multipurpose (MPS), una opzione potrebbe essere quella
di cambiare il materiale o la MPS o la combinazione
di materiale/MPS (Papas et al. 2007). Qualora la secchezza sia dovuta a evaporazione del contenuto d’acqua della lente a causa di una notevole idratazione o di
un design molto sottile, è giunto il momento di pensare
a sostituire il materiale della lente o il suo design.
Modalità di porto e di sostituzione: se le soluzioni sono
un fattore causale dello SPCS, una potenziale strategia risolutiva potrebbe essere rappresentata dalla prescrizione di lenti monouso giornaliere. Altre strategie
comportano la prescrizione di un porto esteso o continuo per ridurre al minimo il contatto con le soluzioni di
manutenzione. Non è stato dimostrato che l’uso esteso sia correlato a livelli più alti di SPCS rispetto all’uso
giornaliero (Jalbert et al. 1999). Per quanto concerne
le tempistiche di sostituzione, lo studio di Nichols et
al. ha dimostrato una correlazione positiva tra sostituzione convenzionale (annuale) e SPCS (Nichols et
al. 2002).
Sistema di manutenzione: una strategia ritenuta efficace in caso di staining corneale potenzialmente associato a soluzioni multipurpose è il ricorso a perossido di idrogeno (Papas et al. 2007; Carnt et al. 2007b).
Lubrificazione / umettatura: è stato dimostrato che
gocce lubrificanti di carbossimetilcellulosa prima
dell’applicazione riducono significativamente l’incidenza di staining corneale in portatori di lenti a contatto
morbide in hydrogel convenzionale (Coles et al. 2004)
e in silicone hydrogel (Paugh et al. 2007).
In conclusione, sulla base di un esame della letteratura e dell’esperienza personale, possono essere proposti al contattologo i suggerimenti seguenti che consentiranno di ridurre al minimo l’incidenza di staining
corneale puntato superficiale:
- E’ caldamente raccomandato l’uso di fluoresceina
sodica in contattologia, ma è necessario seguire un
protocollo standardizzato relativo a procedure di staining, condizioni degli strumenti, sistema di gradazione
e raccolta dei dati.
- Anche nei non portatori di lenti a contatto possono
riscontrarsi frequentemente fenomeni di SPCS, che
pertanto va considerato un segno da interpretare nel
contesto di altre informazioni e non necessariamente
una patologia.
- Un fenomeno di SPCS positivo in portatori di lenti a contatto deve essere interpretato con cautela nel
contesto della sua rilevanza clinica e della eventua-
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LUNEDÌ 10 NOVEMBRE
le necessità di trattamento. I gradi I e II di SPCS in
genere non richiedono alcun intervento, ma in questi
casi è raccomandato un follow-up ravvicinato in modo
da tenere sotto controllo il potenziale progredire del
fenomeno. I casi di SPCS sono stati correlati a eventi
infiammatori (in genere asintomatici) ma non di natura
infettiva.
- Sebbene siano stati individuati diversi fattori di rischio, sia nei portatori sia nei non portatori di lenti a
contatto, non è ancora stata scoperta la base cellulare
di un SPCS positivo, e il suo ruolo di causa dell’indebolimento della barriera fisica epiteliale non è ancora
stato confermato.
- Le ricerche attuali non ci permettono di stabilire con
certezza un legame diretto tra SPCS e mancanza di
biocompatibilità con le soluzioni, o SPCS ed eziologia
tossica o anche SPCS e riduzione del comfort e percentuali più alte di drop-out.
- Alcune modalità di porto delle lenti a contatto, quali
l’ortocheratologia notturna, possono determinare un
aumento di casi di SPCS, soprattutto nelle sedute iniziali, e quando devono essere corretti gradi di miopia
più alti.
- E’ essenziale essere a conoscenza dei fattori di rischio per SPCS al fine di impedire che tale fenomeno
raggiunga un livello clinicamente significativo nei portatori di lenti a contatto.
SESSIONE PLENARIA
- Lenti ad alta potenza negativa, non compliance rispetto ai sistemi di manutenzione, diabete, farmaci sistemici (contraccettivi orali, antipertensivi), fitting non
corretto, programma di sostituzione convenzionale
(ogni anno), fumo di sigaro e, in alcuni portatori, sistemi di manutenzione associati a certi tipi di materiali
per lenti sono stati tutti correlati con un’accresciuta incidenza di SPCS.
- Nel caso particolare della combinazione materiale/
soluzione, argomento tra i più controversi nell’ambito
della contattologia, non è possibile determinare delle
linee guida sulle combinazioni accettabili o meno, probabilmente perché a favorire la comparsa di un certo
tipo di risposta è l’insieme di materiale della lente a
contatto, ingredienti attivi nella soluzione, suscettibilità
del paziente e forse altri fattori che si possono combinare tutti in maniera casuale.
- Evitare i potenziali fattori di rischio, applicare gocce
lubrificanti prima dell’applicazione delle lenti, strofinare
e risciacquare le lenti dopo ogni utilizzo e prima della
disinfezione, usare perossido di idrogeno, ottimizzare
il fitting, e ricorrere a lenti monouso: sono tutti elementi
che possono contribuire a evitare o risolvere i casi di
SPCS nell’utilizzo delle lenti a contatto.
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SESSIONE PLENARIA
LUNEDÌ 10 NOVEMBRE
Francesco
Loperfido
Responsabile del Servizio di Oftalmologia Generale e di Fluoroangiografia retinica presso l’Unità Operativa di
Oftalmologia e Scienze della Visione dell’Ospedale San Raffaele di Milano. Autore di numerose pubblicazioni e articoli
scientifici.
La gestione delle infezioni e delle infiammazioni in contattologia
L’incremento delle infezioni, delle infiammazioni e delle intolleranze alle lenti corneali richiede una valutazione e una visione poliedriche sia al momento della
scelta del tipo di lente corneale e sia nelle successive
valutazioni contattologiche e oftalmologiche.
Non ci sono dubbi che sia le abitudini di vita che quelle
lavorative e di svago, nonché l’uso cronico di farmaci,
possono indurre dei cambiamenti di dinamica e composizione del film lacrimale che sono spesso le cause
predisponenti di disturbi oculari e visivi, a volte ricorrenti e sottovalutati ma che improvvisamente sfociano
in patologie più serie.
Anche la scarsa o inadeguata manutenzione delle lenti, in contenitori poco adatti o non sempre sterili, innalza la soglia di rischio di infezioni ed abbassa la soglia
di attenzione che va posta nella quotidiana gestione
delle lenti.
Ritengo che vada posta molta attenzione ai sintomi, ai
segni, e ad un insieme di fastidi a volte subdoli e ricorrenti a cui frequentemente diamo delle giustificazioni
che consolidano la voglia di non passare anche per
qualche giorno all’occhiale.
Con le lenti corneali idrofile anche gli ascessi corneali,
se non in campo pupillare (in tal caso scema il visus)
possono non dare dolore e quindi progredire sino a
quando l’aggressività della patologia non ha determinato danni più seri.
Quindi il dolore o il calo del visus non sono definibili
sempre “campanello d’allarme” soprattutto nell’esordio della patologia nel portatore di lenti idrofile, mentre
nelle gaspermeabili o rigide il tempo intercorso tra sintomi ed esordio spesso coincidono.
Appare scontato il tema ricorrente tra idratazione della lente corneale e film lacrimale ma la diretta conseguenza di ciò comporta:
- minori difese dell’occhio perché cala anche la percentuale di lisozima (batteriostatico presente nel film
lacrimale)
- la disidratazione della lente idrofila e di conseguenza
la modifica dei suoi parametri
- diminuito apporto di ossigeno sulla superficie corneale
- perdita di continuità della superficie corneale che può
essere causa di una possibile breccia per gli agenti
patogeni di infiltrarsi nella struttura corneale.
Subdole appaiono alcune patologie della cornea in
portatori di lenti a contatto gas permeabili o ancora di
più di lenti a contatto rigide perché a un occhio apparentemente indenne corrisponde una tale marcata
distorsione delle mire corneali da falsare un cheratocono. Questo quadro prende il nome di warpage corneale. In tal caso il paziente non riesce assolutamente
a sopportare una correzione con occhiali, privilegiando le lenti a contatto che per un effetto “corpetto” rimodellano la superficie corneale determinando una
condizione visiva accettabile. Ciò però va a discapito
dell’integrità e del metabolismo corneale. In questo
caso, per interrompere il circolo vizioso, bisogna sospendere l’uso delle lenti, eseguire una mappa corneale che dimostrerà il mutamento dei parametri corneali
dopo un paio di mesi dalla sospensione delle lenti.
L’iperemia della congiuntiva bulbare, che nel gergo
comune definiamo congiuntivite, è per i più un problema sottovalutato, ma bisogna precisare che quella
parola è spesso accompagnata da altri termini che ne
definiscono sia l’eziologia (allergica, batterica, virale,
funginea) che la gravità (acuta, subacuta cronica).
La sintomatologia all’inizio appare abbastanza comune a tutte le congiuntiviti bulbari: probabile calo del visus percepito come intermittente, bruciori, aumentata
sensibilità alla luce, iperemia della congiuntiva o ad
anello attorno alla cornea (pericheratica) o a settore
(esterno - interno - superiore - inferiore), e solo successivamente si associa secrezione acquosa o più
densa, di aspetto giallastro.
E’ questo secondo momento, più tardivo, che solitamente causa preoccupazione nel paziente/utente e lo
porta a rivolgersi all’oftalmologo per un consulto; questi
però, trovandosi di fronte a patologia già in fase acuta,
si trova a non avere armi terapeutiche locali sufficienti
per la risoluzione della stessa.
La cornea, che rammento non ha vasi ma è ricca di
terminazioni nervose, è costituita dal 98% d’acqua, è
protetta esternamente dalla continuità e dalla impenetrabilità, in condizioni normali, dall’epitelio corneale e all’interno dall’endotelio corneale confinante con
l’umore acqueo.
Le cheratiti, gli infiltrati corneali, le ulcere corneali negli
stadi iniziali esordiscono molte volte con una sintomatologia comune alle semplici congiuntiviti. Di conseguenza, per il portatore di lenti a contatto l’approccio
con il problema è configurato in una banale congiuntivite; in realtà, giunto in pronto soccorso o a un consulto
oculistico, gli si prospetta persino il ricovero per le cure
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LUNEDÌ 10 NOVEMBRE
del caso. Il buon senso dovrebbe indurre a togliersi le
lenti a contatto che rammento non vanno buttate ma
conservate nel loro contenitore, perché attraverso un
brodo di cultura e un antibiogramma possono aiutare
tantissimo il medico a scoprire l’evento eziologico della
patologia. Anche il ph lacrimale subisce delle notevoli
variazioni diventando acido per le congiuntiviti di tipo
batterico, basico per quelle di tipo virale. La variazione
del ph comporta un problema di osmolarità e quindi
una instabilità del film lacrimale che per effetto domino
si ripercuote per lungo tempo nella cosiddetta “intolleranza da lenti a contatto”.
Recentemente in Canada è stata diagnosticata una
grave infezione da protozoi, come l’acanthamoeba, in
un soggetto che faceva uso di lenti a contatto per la
terapia overnight, ovvero terapia notturna con lenti a
geometria inversa per ridurre la miopia.
E’ chiaro che il veicolo poteva essere riconducibile a
una inadeguatezza del protocollo di pulizia e disinfezione delle lenti raccomandate nelle istruzioni in allegato. Attualmente la sanità canadese ha chiesto esplicitamente di denunciare ogni caso simile legato alla
terapia “Ok Overnight”. Generalmente questa infezione è veicolata da acqua inquinata e determina spesso
un irrimediabile danno dello stroma corneale.
Una delle più gravi cheratiti batteriche è determinata
dallo pseudomonas aeruginoso che è estremamente
invasivo in quanto provoca una erosione delle strutture oculari del segmento anteriore.
Anche le infezioni funginee possono avere conseguenze estremamente gravi come quella da fusarium
che non molto tempo fa è stata all’attenzione dei media sia per la gravità del caso che per il numero delle persone coinvolte, tutti portatori di lenti a contatto.
I primi sintomi di cheratiti da fusarium sono rossore,
lacrimazione e dolore agli occhi, calo visivo; i segni
più specifici sono rappresentati da infiltrati corneali e
SESSIONE PLENARIA
lesioni ulcerose della cornea. La cheratite da fusarium
è difficilmente trattabile e spesso si arriva al trapianto corneale. Naturalmente, come nelle altre patologie
oculari, una diagnosi precoce aumenta le possibilità di
guarigione.
Molto più lunghe da curare sono le cheratiti virali sia
con una terapia locale che a volte sistemica. La cheratite nummulare lascia molte volte numerose nubecole
corneali quasi di aspetto morbilliforme che riducono
l’acuità visiva. Queste ultime regrediscono molto lentamente e dopo terapia cortisonica di superficie (da non
dare assolutamente nella fase acuta della cheratite,
ma solo nella fase silente e /o cicatriziale). Le cheratiti
da herpes zoster seguono l’andamento delle terminazioni trigeminali e possono coinvolgere direttamente
la cornea con la presenza di vescicole ad andamento
dendritico decisamente dolorose con lenta possibilità
di recupero che, qualora avvenga, lascia un incremento di sensibilità alla luce e una fragilità dell’epitelio corneale. Spesso ne sono coinvolti soggetti che hanno
un abbassamento delle difese immunitarie e ricorrenti
vescicole erpetiche a livello labiale; le vescicole, infatti, sono veicolo attivo di virus.
Vale la pena concludere dando alcuni suggerimenti utili
che dovrebbero rientrare in linee guida e decaloghi da
far firmare all’utente/ paziente affinché ne capisca e ne
condivida la responsabilità in termini di manutenzione
e gestione delle lenti a contatto. Un esempio in tal senso è l’uso di lenti a contatto giornaliere durante il periodo di vacanze in località marine, in quanto la lente con
l’acqua salata tende a disidratarsi e a formare cristalli
di sale che possono anche deteriorarne la struttura;
così come la frequenza delle piscine può ingiallire le
lenti a causa della presenza di cloro nell’acqua oltre a
essere veicolo di forme fungine.
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SESSIONE PLENARIA
LUNEDÌ 10 NOVEMBRE
Luigi
Lupelli
Docente di ruolo in Contattologia ed Optometria all’Istituto Superiore di Stato “E. De Amicis” di Roma. Titolare
dell’insegnamento di ottica della Contattologia all’Università degli Studi “Roma Tre”. Presidente dell’Accademia
Italiana Lenti a Contatto (AILAC).
Le scale di gradazione: sono veramente utili?
Le reazioni oculari indotte dall’uso di lenti a contatto
sono usualmente analizzate tramite l’ispezione visiva,
con l’aiuto di illuminazione ed ingrandimento adeguati,
e descritte in maniera quali-quantitativa.
Con l’obiettivo di meglio quantificare gli elementi caratteristici della condizione oculare osservata, e quindi di
rendere meglio interpretabile e più facilmente comparabile nel tempo la registrazione dell’esame biomicroscopico, si sono sviluppate, in particolare nell’ultimo
decennio, delle scale di gradazione contattologiche.
Tali scale, che utilizzano descrizioni, o più frequentemente immagini, dovrebbero essere caratterizzate da:
1. attendibilità, 2. assenza di ambiguità semantica, 3.
sistematicità della registrazione.
Tra le numerose scale per immagini proposte in campo contattologico, hanno meritato una notevole distribuzione le CCLRU Grading Scales (immagini fotografiche in 4 livelli di gravità) e la “Efron Grading Scales”
(immagini dipinte in quattro livelli di gravità in comparazione con la condizione di normalità). Entrambe
sono facilmente reperibili, per essere distribuite anche
da aziende che producono lenti a contatto, e sono sia
in forma di poster che in forma di foglio A4 plastificato.
In particolare quest’ultima versione appare piuttosto
pratica per la possibilità di essere usata comodamente
mentre si esegue l’esame biomicroscopico.
Sia le Efon Grading Scales che le CCLRU Grading
Scales si sono dimostrate affidabili e quindi rappresentano un utile sussidio nell’attività contattologica, in
special modo quando è necessario fare, come spesso
accade, delle comparazioni temporali. Comunque il
loro uso, in Italia, nella pratica contattologica quotidiana è spesso marginale. Ciò è stato rilevato da un sondaggio eseguito tra ottici durante corsi ECM a tema
contattologico.
In conclusione le scale di gradazione contattologiche
sono un valido strumento per quantificare le reazioni
oculari indotte dall’uso di lenti a contatto. Esse paiono
essere frequentemente utilizzate nella ricerca contattologica clinica ma in maniera marginale nella pratica. Ciò accade nonostante le scale CCLRU ed Efron
siano notevolmente diffuse, di semplice reperibilità ed
utilizzazione. Considerando che le scale di gradazione sono state validate e che la precisione della registrazione aumenta con l’esperienza che si acquisisce
con il loro uso, si auspica che aumenti la coscienza
dell’utilità delle scale di gradazione per registrare e
comparare nel tempo le reazioni oculari indotte da lenti a contatto.
21
LUNEDÌ 10 NOVEMBRE
SESSIONE PLENARIA
Kathy
Dumbleton
Senior Researcher di facoltà al Centre for Contact Lens Research dell’Università canadese di Waterloo. Le sue
ricerche in particolare riguardano le risposte oculari alle lenti a contatto, i materiali in silicone hydrogel e il discomfort.
È Fellow della British Contact Lens Association (BCLA) e della American Academy of Optometry (FAAO).
Cosa fanno i nostri clienti con le loro lenti a
contatto?
Quando si parla di lenti a contatto a volte è difficile
credere a ciò che i nostri pazienti arrivano a fare con
le loro lenti. Questa presentazione illustrerà una serie
di esempi tratti dalla sezione « Domande e Risposte »
di un sito internet per lenti a contatto. Gli esempi verranno discussi dal punto di vista della compliance nei
programmi di sostituzione e manutenzione delle lenti
a contatto. Dall’introduzione degli attuali sistemi di manutenzione, sono stati condotti diversi studi sulla non
compliance nell’uso e nella manutenzione delle lenti a
contatto. Verranno esaminati i risultati di queste ricerche nel contesto del rischio relativo e verranno riportati
degli esempi dei problemi che possono insorgere se
non si rispettano le pratiche corrette.
SOMMARIO
1. Esempi comuni di non-compliance nel porto e
nella manutenzione delle lenti a contatto:
- Cambiare marca di lenti senza consultare il
contattologo
- Non sostituire le lenti con la frequenza raccomandata
- Non lavarsi le mani (accuratamente) prima di
maneggiare le lenti
- Non usare un adeguato sistema di disinfezione
- Utilizzare soluzioni scadute per le lenti a contatto
- Non chiudere correttamente i flaconi delle soluzioni
- Non seguire le istruzioni nello strofinare e
risciacquare le lenti quando ciò è necessario
- Non usare soluzione fresca dopo ogni periodo di
porto
- Manutenzione scorretta dell’astuccio delle lenti a
contatto
- Non pulire l’astuccio delle lenti a contatto
- Non sostituire l’astuccio delle lenti a contatto
- Dormire con le lenti a contatto prescritte per uso
diurno
- Appisolarsi con lenti a contatto prescritte per uso
diurno
- Continuare a portare lenti a contatto anche dopo che
si sono avuti dei problemi
- Condividere con altri le lenti a contatto!
2. Ricerche recenti sulla non-compliance: Morgan 2007
- 1402 portatori in Europa
- Solo lo 0,3% di portatori di lenti a contatto diurne
presenta una piena compliance
- 33% non si lava sempre le mani accuratamente
prima di maneggiare le lenti
- Solo l’11% di portatori di lenti per uso diurno usa un
sistema “strofina e risciacqua” per le lenti
- Un terzo dei portatori di lenti per uso diurno riferisce
di dormire con le lenti
3. Ricerche recenti sulla non-compliance: Dumbleton et al 2007
- 100 soggetti hanno risposto a domande sulla
manutenzione abituale delle lenti a contatto all’inizio
dello studio
- 78% usava soluzioni multipurpose (MPS), 22%
usava perossido di idrogeno (H2O2)
- 46% degli utilizzatori di MPS non aveva mai seguito
una procedura di “strofina e risciacqua” per le proprie
lenti
- 100% degli utilizzatori di H2O2 seguiva
correttamente le istruzioni
- Non compliance più frequente nei giovani (23 anni o
meno)
- 38% del gruppo MPS e 0% del gruppo H2O2 usava
acqua del rubinetto per l’astuccio
- Solo il 5% dei soggetti rispettava appieno la
manutenzione dell’astuccio
4. Conseguenze della non-compliance:
- Cheratite microbica (MK)
- Cheratite da Acanthamoeba (AK) - casistica 2007
- Cheratite da Fusarium (FK) - casistica 2006
5. Rischio relativo e non-compliance:
- Soluzione sbagliata e MK - 2X
- Dormire con le lenti e MK - 4X
- Non sostituire la soluzione e FK/MK - > 3X
- Non lavarsi le mani e FK/MK - 4.5X
- Non detergere o cambiare l’astuccio e MK - 4X
- Studi recenti
22
SESSIONE PLENARIA
6. Gruppi a più alto rischio di non-compliance e
complicanze:
- Genere (maschi > femmine?)
- Età (maggiore nei giovani e negli anziani?)
- Grado di miopia, ipermetropia (maggiore Rx?)
7. Consigli per il successo:
- Istruzioni scritte e orali
- Ordinare ai pazienti di lavarsi sempre le mani prima
di maneggiare le lenti a contatto
- Ordinare ai pazienti di non usare mai acqua del
rubinetto per lenti o astucci
LUNEDÌ 10 NOVEMBRE
- Ordinare ai pazienti di usare solo il sistema di
manutenzione che avete suggerito voi
- Ordinare ai pazienti di usare sempre soluzione
nuova (mai aggiungere soluzione fresca a quella già
usata)
- Ordinare ai pazienti di usare una procedura “strofina
e risciacqua”
- Fornire istruzioni per una corretta manutenzione e
sostituzione dell’astuccio per le lenti
- Assicurarsi che i pazienti comprendano l’importanza
della sostituzione programmata delle lenti
- Parlare coi pazienti dei pericoli della non-compliance
- Ribadire i punti relativi alla manutenzione alle visite
successive alla prima
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SESSIONE PLENARIA
LUNEDÌ 10 NOVEMBRE
Dennis
Reid
Presidente di una società di consulenza inglese di retail performance e ideatore di un modello misurabile di best
practice per le vendite al dettaglio, le attività commerciali e l’assistenza post- vendita. Con un passato sportivo a
livello internazionale anche come allenatore olimpico, Dennis Reid ha una filosofia di vita molto semplice: giocare per
vincere.
Implementare strategie efficaci di vendita e
di orientamento al servizio in optometria
Questa relazione pratica ed interattiva è rivolta ai proprietari e ai direttori di attività di optometria. L’obiettivo
è condividere coi partecipanti i comportamenti, le competenze e i processi “Best in Class” che sono in grado
di migliorare le vendite e le performance di assistenza
post-vendita in ambito optometrico. La presentazione
fornirà ai partecipanti gli strumenti e, cosa ancora più
importante, il know-how per costruire un’attività al dettaglio redditizia e di grande successo.
Obiettivi
E’ stato dimostrato che il modello “Retail Performance
Spciealists” (RPS), ideato da Dennis Reid, è in grado
di assicurare ai punti vendita del settore optometrico
in tutto il mondo aumenti di fatturato superiori al 10%
mediante:
- Condivisione di idee e concetti che hanno contribuito
a costruire nel campo dell’optometria attività al dettaglio di livello mondiale
- Illustrazione delle modalità con cui applicare idee e concetti relativi alla performance per ottenere dei risultati che
garantiscano la trasformazione dell’attività
Contenuti
- Creazione di una propria visione del punto vendita e
di un’esperienza vincente per il cliente
- I Key Performance Indicators (KPI - Indicatori chiave
di performance) che sono cruciali per il successo della
vostra attività
- Le 5 regole fondamentali per accrescere la fidelizzazione del cliente
- Mantenere il miglioramento della performance nel
lungo periodo attraverso una efficace gestione della
performance
- Formazione finalizzata a una performance incentrata
sui risultati
- Sviluppo di una forma mentis che conduca alla creazione di un’attività optometrica di livello mondiale
- Il ruolo dei giochi e dei concorsi per creare un ambiente divertente
Obiettivi di apprendimento
Al termine della relazione i partecipanti saranno in grado di:
- Capire quale sia l’approccio necessario per creare
un’attività al dettaglio ‘Best in Class’ e una cultura
dell’assistenza al cliente
- Conoscere i processi per individuare e far progredire
i Key Performance Indicators (KPI) fondamentali per
l’attività
- Sapere come elaborare dei piani di miglioramento della
performance per migliorare le vendite e l’assistenza
- Comprendere le 5 regole fondamentali per fidelizzare
il cliente
- Sapere come mantenere nel lungo periodo il miglioramento della performance mediante un’efficace gestione della performance
- Individuare i 6 passi per costruire un’esperienza per il
cliente che sia di assoluto livello mondiale
- Sapere come motivare il personale affinché sia in linea con gli standard operativi relativi a vendite e assistenza
- Conoscere quell’atteggiamento mentale che è necessario per creare delle attività al dettaglio di livello
mondiale
- Creare un ambiente di lavoro divertente che il personale apprezzerà particolarmente
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SESSIONE PLENARIA
LUNEDÌ 10 NOVEMBRE
Brien
Holden
Ricercatore e relatore di fama mondiale. Scientia Professor alla School of Optometry and Vision Science
dell’Università New South Wales in Australia. Fondatore e direttore del Cooperative Research Centre for Eye
Research Technology, è Chair Global di “Optometry Giving Sight”.
Lenti in silicone hydrogel e il futuro della
contattologia
Dall’epoca del primo utilizzo di una lente a contatto
in vetro circa 120 anni fa, si è registrato un desiderio
costante di migliorare sia i materiali di cui sono fabbricate sia di garantire un buon adattamento alla forma
dell’occhio. Un passo avanti significativo è stato compiuto nei primi anni 60 del secolo scorso, quando Otto
Wichterle e Drahoslav Lim hanno elaborato il primo
materiale in hydrogel che potesse essere impiegato
per una lente a contatto.
Un fattore chiave che stimola lo sviluppo di lenti a contatto è la ricerca di materiali che consentano il flusso
libero di ossigeno dalla superficie anteriore della lente
alla superficie posteriore che poggia sulla cornea. Le
ricerche di Ed Goodlaw negli anni 40 hanno dimostrato
che per garantire delle prestazioni ottimali era essenziale superare il problema della mancata trasmissione
di ossigeno attraverso la lente a contatto, fenomeno
che determina l’ipossia corneale.
L’introduzione sul mercato nel 1999 di lenti in silicone
hydrogel (SiHy) da parte di Ciba Vision e Bausch &
Lomb (B&L) ha comportato una vera e propria rivoluzione nel settore delle lenti a contatto. La prima generazione di lenti SiHy furono le Focus Night and Day di
CIBA Vision e le PureVision di Bausch & Lomb.
I nuovi materiali combinavano fluorosilicone e una
struttura in silicone hydrogel. Fin da subito, al confronto con i materiali in hydrogel esistenti, i portatori di lenti
a contatto sono stati in grado di ricevere un apporto
notevolmente superiore di ossigeno al segmento anteriore dell’occhio, in primis all’epitelio corneale.
Dal 1999 sono state immesse in commercio diverse
lenti SiHy di seconda e terza generazione. Tra i produttori di queste lenti vanno annoverati: Johnson &
Johnson Vision Care, Ciba Vision e CooperVision. Tali
prodotti rappresentano dei passi avanti rispetto a materiali e geometrie della prima generazione e pertanto
hanno ampliato significativamente le opzioni disponibili ai contattologi e ai portatori di lenti a contatto.
Le lenti in silicone hydrogel ad alto Dk vantano gli stessi comfort, movimento e bagnabilità delle lenti a contatto morbide e hanno il vantaggio di eliminare gli effetti dell’ipossia. Stiamo ora assistendo a una crescita
esponenziale nell’uso di queste lenti in tutto il mondo,
grazie alla scomparsa di molte complicanze - quali microcisti, edema corneale e iperemia limbare - associate all’ipossia indotta da lenti a contatto.
Per un numero crescente di contattologi le lenti in silicone hydrogel rappresentano la prima scelta da proporre ai pazienti indipendentemente dalla tipologia di
porto, dal momento che tali lenti assicurano una maggiore salute metabolica.
Tuttavia, l’alta permeabilità all’ossigeno non è l’unico
requisito della lente perfetta. Persistono infatti i problemi di riduzione del comfort e di secchezza che sono
le ragioni principali per cui i pazienti abbandonano le
lenti a contatto. Devono inoltre essere prevenute le
reazioni avverse. Ricerche sulle reazioni avverse che
si hanno con queste lenti rispetto a quelle con basso
Dk hanno dimostrato che c’è un livello simile di eventi
infiammatori quali ulcere periferiche indotte da lenti a
contatto, iperemia oculare acuta indotta da lenti a contatto e cheratite infiltrativa.
La tossicità delle soluzioni associate all’utilizzo di lenti
a contatto dipende dalla combinazione di materiali e
sistemi di manutenzione. Un certo numero di studi ha
valutato la risposta dell’occhio a diverse combinazioni
soluzioni/lente a contatto. Sono evidenti le differenze
in termini di staining tossico fra alcune di queste combinazioni. Si tratta di un’informazione utile per i contattologi e l’associazione tra staining e riduzione del
comfort nel porto di lenti a contatto illustra quanto sia
importante gestire correttamente lo staining tossico.
Le prestazioni delle lenti in silicone hydrogel contemporanee stanno a indicare la necessità di ulteriori sviluppi
nel campo della vera biocompatibilità con l’occhio in
modo da poter mettere a punto la lente a contatto perfetta. Per promuovere un ulteriore passo avanti sarà
necessario che le future generazioni di questi prodotti
affrontino il tema di superfici antibatteriche e che siano messe a punto delle lenti per tutte le prescrizioni e
tutte le fasce d’età.
L’attività di ricerca attualmente in corso per migliorare
le prestazioni delle lenti in silicone hydrogel ci garantisce un futuro brillante per tecnologia, geometria e performance clinica delle lenti a contatto.
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SESSIONE PLENARIA
LUNEDÌ 10 NOVEMBRE
Claudio
Belotti
Esperto di comunicazione interpersonale è uno dei pionieri della PNL (programmazione neuro- linguistica) in Italia. Si
è inoltre specializzato in linguistica direttamente con John Grinder (co-creatore della PNL) ed in coaching e leadership
con Robert Dilts. Svolge da numerosi anni l’attività di executive coach per alcuni dei più importanti gruppi aziendali.
Adesso tocca a noi!
La Leadership considerata anche “la capacità di creare un mondo al quale altri vogliono appartenere” si è
sviluppata e evoluta negli anni. In un primo tempo era
considerata, a differenza del management, l’abilità di
guidare invece che gestire. Nella leadership moderna
si è tornati al significato originale della parola che nella
sua radice anglosassone significa: “colui che va per
primo”.
Essere Leader significa quindi andare per primi. Essere, fare e avere modi e metodi che siano di esempio
per tutti. Diventare colui o colei che definisce lo standard attraverso l’esempio e la congruenza. Guardare
all’orizzonte della vision con il proprio ruolo (mission)
ben chiaro e definito, guardare avanti mantenendo
i piedi per terra e sapere che il raggiungimento di
quell’orizzonte è possibile solo con l’azione costante
e congruente.
La Leadership moderna è basata su quattro abilità:
Abilità Personali
- essere allineati nelle azioni alla visione comune
- essere coerenti con il messaggio che si presenta
- essere consapevoli delle proprie mappe mentali
Abilità Relazionali
- avere abilità di comprensione e comunicazione
efficace
- avere la capacità di gestire le comunicazioni altrui
- avere la capacità di capire e farsi capire
Abilità di Pensiero Sistemico
- massimizzare le procedure e le operazioni
- saper analizzare il sistema e gli elementi di rilievo
- saper effettuare un analisi della situazione attuale
Abilità di Pensiero Strategico
- saper definire lo stato attuale e lo stato desiderato
(obiettivi e visione)
- sviluppare un piano d’azione efficace e efficiente
- conoscere le conseguenze delle azioni considerando
il sistema allargato
SESSIONE CASE HISTORIES
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SESSIONE CASE HISTORIES
Dino Marcuglia
Ottico optometrista, laureando al Corso di Ottica e Optometria presso la facoltà di Scienze Matematiche Fisiche e
Naturali dell’Università degli Studi di Firenze. Docente presso il corso di scienze optometriche presso EIDON-IRSOOFondazione Banca degli Occhi del Veneto. Docente nell’ambito del Master in Posturologia Clinica. Svolge attività
professionale privata a Spinea (Ve).
Applicazione post chirurgia lasik
La casistica di pazienti con esiti da chirurgia refrattiva
ha portato un approccio nuovo in contattologia.
Tecnicamente un’applicazione in soggetti con queste
problematiche, comporta un protocollo più particolareggiato, visto che le cornee in questi casi hanno subito profondi cambiamenti di forma.
La tecnologia, con l’ausilio di topografi corneali computerizzati, unita a metodi di tornitura raffinati e polimeri
super gas-permeabili, permette di affrontare casistiche
molto complesse, con margini di successo molto alti.
Non bisogna però trascurare altri aspetti molto importanti che rientrano negli ambiti psicologici e comportamentali dei pazienti che hanno subito questi danni.
Una riflessione che tutti gli addetti ai lavori dovrebbero
mettere in primo piano e quella di relazionarsi con questi soggetti con un approccio adeguato, rassicurante e
positivo, prendendo in considerazione le motivazioni
per cui alcune informazioni non sono state date, chi
doveva darle e come. Infatti molto spesso queste persone si rivolgono all’ optometrista anche dopo anni di
consulenze di vario ordine e grado.
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SESSIONE CASE HISTORIES
Carlo Tronti
Ottico optometrista, nell’anno accademico 2005/2006 è stato Professore a Contratto di Contattologia presso il Corso
di Laurea in Ottica e Optometria dell’Università del Molise facoltà di SSMMFF. Partecipa in qualità di relatore a
congressi e corsi di specializzazione accreditati E.C.M.
Piggyback
Le lenti a contatto RGP sono tuttora le lenti di elezione
nei casi di cheratocono e di cheratoplastica.
Adattare una lente a contatto in questi casi è impegnativo, anche perchè un’applicazione non del tutto
corretta può essere causa di problemi non trascurabili
per il portatore.
Quindi, il lavoro dell’optometrista deve essere orientato ad ottenere sia il massimo vantaggio in termini
visivi, che anche (e forse primariamente) il rispetto di
una superficie corneale che è già “provata” di suo.
A volte, nonostante l’impegno profuso per risolvere positivamente un caso complicato, non si riesce ad ottenere un risultato ottimale.
Problemi di centraggio della lente o disepitelizzazioni
indotte da fattori meccanici, possono essere difficilmente risolvibili.
Il “piggyback” (l’applicazione di una lente RGP sovrapposta ad una lente morbida applicata direttamente
sulla cornea) può essere, in queste circostanze, un
valido aiuto per risolvere una situazione che altrimenti
costringerebbe a interrompere l’uso della lente o a limitarne il tempo di porto.
La tecnica è in uso da diversi anni, e l’utilizzo del piggyback può essere previsto per tempi lunghi o anche
temporaneamente per alcuni giorni o per alcune ore
nella giornata e non necessariamente solo in soggetti
con cheratocono o sottoposti a cheratoplastica.
La scelta della lente morbida è uno dei fattori critici.
Le lenti a sostituzione giornaliera, ed il silicone hydrogel, con le sue alte prestazioni in termini di trasmissibilità all’ ossigeno, offrono le armi migliori al contattologo
che si cimenta in questa utile tecnica.
Anche il potere della lente morbida, non inteso nel suo
autentico significato, ma come fattore che condiziona
la geometria della superficie esterna della lente stessa, può avere la sua importanza.
Inoltre la lente rigida (tipicamente ad alto Dk) è la stessa lente che può essere applicata direttamente sulla
cornea oppure una lente appositamente progettata
per essere sovrapposta alla morbida.
Il piggyback è una tecnica relativamente semplice, ma
estremamente efficace per migliorare l’utilizzo delle
lenti a contatto, e quindi la qualità di vita di persone
che spesso dipendono totalmente dalle lenti per le loro
attività quotidiana.
Vedremo quindi alcuni esempi di casi trattati con tale
metodica, compreso un esempio della più recente tecnica del”reverse piggyback”.
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SESSIONE CASE HISTORIES
Stefano Lore’
Ottico optometrista, svolge attività professionale privata a Roma. E’consulente di Contattologia presso l’ospedale
San Carlo (Roma) e autore di numerose pubblicazioni scientifiche su riviste nazionali e internazionali e di relazioni a
congressi di settore.
OrtoK
Un sempre maggior numero di ametropi manifesta il
desiderio di ottenere la piena autonomia visiva senza indossare mezzi correttivi compensatori (occhiali o
lenti a contatto applicate secondo i criteri tradizionali).
Emmetropizzare e rendere “liberi” gli ametropi quanto
più possibile è ormai la scommessa del prossimo futuro. Scommessa già vinta nell’ambito della chirurgia
refrattiva che con trattamenti sempre più sicuri, veloci
e personalizzati ha già donato la libertà da tutti i mezzi
di compensazione a milioni di ametropi nel mondo.
E’ certo che altrettanti ametropi per varie cause anatomo-fisiologiche o per scelta (timore nell’affrontare un
trattamento invasivo) indossano con serenità occhiali
sempre più tecnologici e di design e/o lenti a contatto
con geometrie costruttive decisamente all’avanguardia
e materiali sempre più biocompatibili da poter essere
indossate anche ad uso prolungato soddisfacendo
pienamente le aspettative funzionali e di comfort del
portatore.
In tutto questo panorama si inserisce una valida alternativa, almeno per i miopi medio-lievi: l’ortocheratologia.
Conosciuta da tutti gli operatori del settore, ma applicata e proposta ancora da pochi professionisti, l’ortocheratologia, denominata anche “orto-k”, “ortofuoco” o
“trattamento cheratoformativo di precisione” si propone, da più di 30 anni, come una tecnica che, attraverso
l’utilizzo programmato di speciali lenti rigide nel passato, ed oggi di rigide gas-permeabili a geometria inversa, persegue lo scopo di ridurre o eliminare la miopia
in modo transitorio “rimodellando” la cornea.
Praticamente con l’adattamento di lenti per orto-k si
può raggiungere lo stesso obiettivo che si ottiene con
la fotocheratecomia refrattiva. in maniera decisamente
meno invasiva.
La moderna ortocheratologia viene definita “accelerata” perché il “rimodellamento” corneale lo si ottiene
attraverso l’uso notturno, cioè l’utente inserirà le sue
lenti a contatto solo durante il sonno.
Le nuove geometrie associate a biomateriali con elevata permeabilità all’ossigeno modificano in maniera
prevedibile la parte anteriore della cornea diminuendone l’altezza saggittale e accorciando la lunghezza
assiale dell’occhio, in questo modo si riduce il potere
generale della cornea e di conseguenza la miopia.
Questo rapido cambiamento della forma della parte
anteriore della cornea si ottiene in risposta alla pressione positiva o negativa esercitata dalla speciale geometria inversa della lente orto-k.
Il cambiamento della morfologia corneale deriva quindi dalle forze esercitate sul film lacrimale tra la lente e
la cornea che causano una graduale e stabile ridistribuzione dei fluidi e delle cellule epiteliali sotto la lente
dal centro verso la periferia.
Specificatamente l’epitelio corneale centrale si assottiglia a causa della pressione positiva esercitata dalla curva centrale piatta della lente, mentre la media
periferia diventa più spessa a causa della pressione
negativa del serbatoio anulare del film lacrimale creato
sotto la seconda curva più stretta della lente; la centratura della lente è ovviamente un fattore critico.
Il livello di risposta della cornea dipende dalla capacità di comprimersi dell’epitelio corneale e dall’elasticità
del tessuto stromale medio-periferico, e varia da paziente a paziente.
A tale scopo verranno discussi alcuni casi clinici che
evidenzieranno, in modo più dettagliato, il metodo e le
procedure da intraprendere.
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SESSIONE CASE HISTORIES
Fabrizio Zeri
Optometrista, Laureato in Psicologia Sperimentale presso L’università La Sapienza di Roma, ha effettuato un
dottorato di ricerca in Neuroscienze cognitive presso lo stesso ateneo. E’ Professore a Contratto di Ottica Visuale
e Ottica delle LAC presso il CdL in Ottica e Optometria dell’Università Roma TRE. E’ Fellow della International
Association of Contact Lens Educators (FIACLE), del British Contact Lens Association (FBCLA) e dell’Accademia
Italiana di Lenti a Contatto (FAILAC).
Endotelio e lenti a contatto
L’endotelio corneale non viene toccato direttamente
dalle lenti a contatto eppure sono molte le reazioni che
esse possono scatenare su questo tessuto. Le tipologie principali di alterazioni che le lenti a contatto possono causare sono principalmente due: transitorie e
durature.
Le prime sono risposte edematose che si manifestano in riflessione speculare come piccole macchie nel
mosaico endoteliale (blebs). Le seconde sono risposte
“morfologiche”: le variazioni che si verificano in genere
in tempi medio lunghi di uso di lenti a contatto inte-
ressano l’area e la forma delle cellule (polimegatismo
e polimorfismo). La ricerca scientifica ha chiaramente
individuato che la responsabilità di entrambi i tipi di reazione, seppure con tempi diversi, è dell’acidificazione
stromale indotta dall’ipossia che alcune lenti a contatto
possono causare.
Va segnalata comunque la notevolissima variabilità individuale di queste reazioni. Nell’intervento, attraverso
casi clinici diversi, si analizzano le principali alterazioni
endoteliali potenzialmente indotte dall’uso delle lenti a
contatto.
CORSI DI APPROFONDIMENTO
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CORSI DI APPROFONDIMENTO
CORSO 1
Carlo
Raffaelli
Esperto di programmazione neuro-linguistica, si è formato con i più importanti trainer internazionali. Collabora per
il miglioramento della comunicazione medico-paziente con la Direzione della ASL di Pisa, con l’Ordine dei Tecnici
Radiologi e con gli igienisti dentali di Pisa e Livorno.
Da collaboratori a squadra unita
Uno dei modelli più utili della PNL per la gestione di
una squadra è quello dei livelli logici, i livelli di apprendimento e di cambiamento negli individui e nelle organizzazioni.
Secondo il modello PNL dei livelli logici (livelli di pensiero), è possibile descrivere e comprendere un sistema in funzione di numerosi livelli diversi:
- ambiente
- comportamento
- capacità
- valori e convinzioni
- identità
- spiritualità
A livello più basilare, ci si deve rivolgere all’ambiente
in cui un sistema e le sue componenti agiscono e interagiscono; ad esempio, dove e quando si verificano le
operazioni e le relazioni nell’ambito di un sistema o di
un’organizzazione.
Ad un livello diverso, possiamo esaminare le azioni ed
i comportamenti specifici di un gruppo o di un individuo; ad esempio, che cosa faccia la persona o l’organizzazione in quel determinato ambiente. Quali sono,
in particolare, gli schemi di lavoro, di interazione e di
comunicazione?
Un ulteriore livello del processo è quello delle strategie, delle abilità e delle mansioni con cui un’organizzazione o un individuo seleziona e intraprende le azioni
all’interno dell’ambiente nel quale si trova ad opera-
re; ci riferiamo al come dare origine e guidare i propri
comportamenti all’interno di un determinato contesto.
I valori e le convinzioni forniscono la motivazione e le
linee guida che stanno dietro alle strategie ed alle capacità utilizzate per raggiungere dei risultati in termini
di comportamento all’interno dell’ambiente; in pratica,
perché le persone fanno le cose che fanno, in luoghi e
momenti precisi.
I nostri valori e le nostre convinzioni forniscono il rinforzo (la motivazione e il consenso) che supporta o
inibisce determinate capacità e comportamenti. I valori
e le convinzioni determinano il modo in cui si attribuisce un significato agli eventi e costituiscono il cuore
dell’attività giudicante e culturale degli uomini.
I valori e le convinzioni fanno da supporto al senso di
identità degli individui e delle organizzazioni; in altre
parole, sostengono il chi che sta dietro al perché, al
come, al cosa, al dove e al quando.
I processi al livello dell’identità riguardano il modo in
cui le persone sentono il proprio ruolo e la propria mission rispetto alla loro vision e ai più vasti sistemi di cui
fanno parte.
Rimane ancora un livello, quello che possiamo definire “spirituale”. Questo livello ha a che vedere con la
percezione delle persone dei sistemi più complessi a
cui appartengono e dei quali partecipano. Questa percezione si riferisce al senso del per chi o per che cosa
si agisce, e conferisce un significato e uno scopo alle
proprie azioni, capacità, alle proprie convinzioni, alla
propria identità e al ruolo che ad essa è connesso.
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CORSO 2
CORSI DI APPROFONDIMENTO
Claudio
Belotti
Esperto di comunicazione interpersonale è uno dei pionieri della PNL (programmazione neuro- linguistica) in Italia.
Si è inoltre specializzato in linguistica direttamente con John Grinder (cp- creatore della PNL) ed in coaching e
leadership con Robert Dilts. Svolge da numerosi anni l’attività di executive coach per alcuni dei più importanti gruppi
aziendali.
La comunicazione persuasiva per avere la
compliance
Per comunicare efficacemente in ogni situazione, è
necessario stabilire un’atmosfera di reciproco rispetto,
fiducia e confidenza in modo da guadagnarsi la collaborazione dell’interlocutore. Questa empatia è ciò che
viene definito “rapport”. Si può anche dire che stabilire
il rapport significhi “entrare in sintonia” con l’altra persona. È un fatto naturale che noi esseri umani tendiamo ad apprezzare chi è simile a noi. Rendendoci il più
possibile “simili” alla persona che abbiamo di fronte
creeremo un rapporto di simpatia e rilassamento.
Come si crea il rapport? Si può creare il rapport ricalcando e rispecchiando un’altra persona. Possiamo ricalcare o rispecchiare il linguaggio del corpo dell’altra
persona, la sua postura, i gesti, l’espressione facciale,
i movimenti, al telefono possiamo ricalcare la voce, le
sue parole, la velocità in cui parla ecc. Notate tutti questi particolari e ricalcateli durante la conversazione. In
questo modo “dimostrerete comprensione”, ascolto e
costruirete un ponte tra voi stessi e il suo modello del
mondo, creando così una relazione tra voi.
Il processo di rispecchiamento continuo è chiamato
“Pacing”, che in italiano significa letteralmente “andare
allo stesso passo” dell’altra persona. Questo accade
quando la persona si muove e anche noi ci muoviamo
ricalcando la sequenza dei suoi movimenti.
Naturalmente è importante continuare ad ascoltare
l’interlocutore durante tutte le fasi del ricalco: potrete
così notare i cambiamenti e altri segnali che vi permettono di capire in che stato si trova. In altre parole,
dovete calibrare la persona e, quando vedrete trasparire in lei un senso di rilassamento e fiducia saprete di
essere in rapport.
Quando due persone sono in rapport, entrambe si
sentono a loro agio, come se fossero in casa propria.
Spesso le persone esprimono verbalmente questo
stato con frasi come “Mi sembra di conoscerti da una
vita” o “È così facile parlare con te”.
36
CORSI DI APPROFONDIMENTO
CORSO 3
Umberto
Benelli
Professore a contratto di “Topografia, aberrometria, vizi della refrazione” nell’ambito della Scuola di Specializzazione
in Oftalmologia dell’Università degli Studi di Pisa. Svolge attività di ricerca presso il Dipartimento di Neuroscienza della
stessa università. È autore di numerose pubblicazioni su riviste nazionali ed internazionali.
L’endotelio corneale: aspetti fisiopatologici
e diagnostica strumentale
La cornea è la porzione anteriore e trasparente della
tunica fibrosa dell’occhio della quale, con la presenza
del film lacrimale, rappresenta il primo sistema diottrico. La sua struttura, pur articolandosi nella sovrapposizione di cinque distinti tessuti (epitelio, membrana di
Bowman, stroma, membrana di Descemet, endotelio),
è chiaramente riconducibile alla grande famiglia dei
connettivi, di cui condivide due caratteri fisici fondamentali: la solidità e la resistenza.
La perfetta trasparenza della cornea è la conseguenza della sua avascolarità e del perfetto funzionamento
del sistema epitelio-endotelio nel mantenere costante
l’idratazione corneale stessa.
E’ importante sottolineare la sostanziale riparabilità
dello strato più superficiale (epitelio) e, all’opposto,
la grande vulnerabilità dello strato più profondo (endotelio), la cui eventuale discontinuità si risolve in un
immediato aumento del tasso idrico corneale: infatti
l’umore acqueo che bagna la faccia posteriore della
cornea ma non può entrare nel suo stroma perché
incapace di attraversare, in condizioni normali, la superficie endoteliale sana, può invadere lo stroma nei
casi di malfunzionamento dell’endotelio. L’ingresso di
umore acqueo nella cornea è infatti una delle cause
della sua perdita di trasparenza.
L’endotelio corneale è composto da circa mezzo milione di cellule di forma esagonale molto appiattite, fortemente aderenti fra loro e disposte in un unico strato;
nel corso della vita, il numero delle cellule tende a diminuire, con parallela dilatazione delle superfici cellulari
quale fattore di compenso. In particolare alla nascita
sono presenti circa 4000 cellule endoteliali/mm2 che
col passare degli anni diminuiscono e cambiano forma.
In persone di 50-60 anni il numero di cellule endoteliali
è in media compreso fra 2000 e 2500/mm2. La funzione principale dell’endotelio corneale è quella detta di
“pompa”: in pratica le cellule endoteliali regolano, con
un meccanismo principalmente “attivo” il passaggio di
Sodio, Potassio e Calcio all’interno del tessuto corneale, contribuendo quindi a regolare la quantità di liquido
presente nello stroma. In caso di malfunzionamento
dell’endotelio si accumula di conseguenza del liquido
nello spessore corneale (edema corneale) venendo
meno quindi la trasparenze fisiologica della cornea.
In varie situazioni patologiche il numero di cellule en-
doteliali si riduce più velocemente del normale. A parte
alcune patologie corneali come la sindrome di Fuchs
è importante tenere in considerazione il fatto che le
lenti a contatto rappresentano ancora oggi una delle
principali cause di sofferenza endoteliale.
Le lenti a contatto comportano infatti una serie di modifiche (transitorie e non) sugli strati della cornea che
possono influenzare il successo dell’applicazione, in
particolare a lungo termine. Fin dai primi anni in cui si
è diffuso l’impiego delle lenti a contatto per compensare i difetti refrattivi non sono mancati i problemi legati
soprattutto alla riduzione di ossigenazione dei tessuti
causata dalle lenti. E’ noto infatti come il tessuto corneale abbia un’elevata attività metabolica che richiede
un grande apporto di ossigeno: fino alla fine degli anni
settanta si riteneva che i problemi di ossigenazione
potessero influenzare solo lo strato esterno (epitelio)
ed intermedio (stroma) della cornea, successivamente
ci si accorse invece che la riduzione di ossigeno aveva
influenza soprattutto sull’endotelio.
In particolare la risposta classica dell’endotelio corneale consiste, in fase acuta, nella comparsa di “blebs”
(modifiche transitorie) che si manifesta quando l’endotelio è messo sotto stress ipossico sia fisiologico
(attraverso la chiusura palpebrale) sia meccanico
(applicando una lente a contatto). Nel lungo termine
invece, in caso di impiego di materiali non idonei o di
cattivo utilizzo delle lenti a contatto, si assiste ad un
progressivo e più veloce calo, rispetto alle condizioni fisiologiche, del numero delle cellule endoteliali. Le
cellule cambiano quindi di forma e dimensioni ed in
alcuni casi si può arrivare ad un vero e proprio scompenso corneale.
Per evidenziare le alterazioni dell’endotelio corneale
abbiamo da alcuni anni degli strumenti molto sofisticati. Si è passati infatti dalla possibilità di una valutazione
grossolana dello stato dell’endotelio corneale utilizzando il biomicroscopio ad elevato ingrandimento (spesso
con l’ausilio anche di una digitalizzazione delle immagini), all’introduzione sul mercato dei microscopi endoteliali a contatto e non a contatto e successivamente
del microscopio confocale.
In linea di massima un microscopio endoteliale effettua le seguenti valutazioni:
- Analisi contact o non-contact completamente
automatica dell’endotelio
- Valutazione di dimensione, forma e densità delle
cellule endoteliali
37
CORSI DI APPROFONDIMENTO
- Studio dei dati relativi a polimegatismo, pleomorfismo
e pachimetria
- Confronto tra esami
Il microscopio endoteliale non a contatto consente,
senza alcun contatto col paziente, di acquisire automaticamente l’immagine dell’endotelio e di visualizzare alcuni parametri clinicamente utili relativi alle cellule, tra cui: numero e densità delle cellule, forma e
superficie, area minima ed area massima, percentuale
di cellule di varia forma, istogramma della distribuzione
di dimensione delle aree, pachimetria. La procedura di
acquisizione è gestita e realizzata via software, garantendo così una maggiore affidabilità ed una maggiore
flessibilità di utilizzo. La camera digitale CCD utilizzata
consente di ottenere immagini ben contrastate e di ottima qualità.
I pazienti, gli esami e le immagini acquisite vengono
archiviati all’interno di un database relazionale, consentendo la gestione dei dati acquisiti anche successivamente all’esame, e contemporaneamente ad altri
strumenti.
Durante il corso verranno illustrati gli aspetti fisiopatologici correlati all’endotelio corneale e le tecniche diagnostiche utilizzate.
38
CORSI DI APPROFONDIMENTO
CORSO 4
Guido
De Martin
Ottico optometrista a Trento dove è responsabile di un centro di contattologia. Svolge studi e ricerche cliniche sullo
sviluppo di nuove lenti a contatto come consulente per alcune aziende del settore. Relatore a congressi nazionali e
corsi di formazione E.C.M.
L’accompagnamento del presbite durante
tutte le fasi applicative della lente a contatto
La gestione del portatore presbite richiede una particolare cura da parte del professionista, sia per la maggiore attenzione applicativa richiesta da una lente a
contatto multifocale, sia per la problematica che si può
venire a creare durante le prime fasi d’uso delle lenti.
Durante il corso si aprirà un filo scorrevole che attraverserà tutte le principali fasi applicative su un paziente presbite, dalla selezione alla compliance, cercando
di mettere a fuoco i principali scogli che in genere trovano i portatori e che se non ben gestiti dall’applicatore, possono dare origine a fenomeni di sfiducia verso il
prodotto e ad un probabile insuccesso applicativo.
I presbiti degli anni 2000 hanno bisogno di professionisti con approcci proattivi verso la contattologia multifocale, che conoscano, capiscano e non sottovalutino la
loro psicologia data dai nuovi stili di vita e che appare
ben diversa da quella della precedente generazione.
All’inizio del corso avremo una fotografia dei nuovi
presbiti e analizzeremo i nostri possibili atteggiamenti
attivi o passivi, verso questa loro necessità o richiesta
di strade alternative all’occhiale tradizionale.
Si continuerà poi con la fase di selezione del paziente valutando aspettative, stili di vita e predisposizioni
all’uso di un simile ausilio visivo, non trascurando tutti i
feed-back positivi e negativi che ci arriveranno dall’indagine sia in fase di anamnesi generale, che in quella
specifica dell’ambiente oculare così spesso alterato e
mutevole in soggetti di questa fascia d’età.
L’ascolto del paziente, l’esame refrattivo e l’indagine
oggettiva del segmento esterno oculare saranno la
nostra guida verso la scelta del tipo di lente ideale sia
nella geometria che nella componente polimerica del
materiale.
Di vitale importanza in tutte queste fasi è il mantenimento del dialogo professionista-paziente cercando
di fornire al futuro portatore delle informazioni molto
dettagliate di tutto il lavoro che stiamo facendo e della
complessa tipologia di lente che stiamo per applicare.
Questo renderlo partecipe attivo alle varie fasi di definizione della lente a contatto multifocale ideale ci
permetterà di averlo come complice prezioso nel caso
dovessimo effettuare variazioni applicative in fase di
adattamento.
Vedremo quali metodi e trucchi usare per riuscire ad
avere direttamente dalla voce del paziente stesso la
soluzione che appare per lui più reale e vicina alle sue
aspettative.
Seguiremo questo percorso fino ad arrivare al problem
solving nelle principali difficoltà che possono comparire in fase di scelta e definizione della lente ideale.
Sarà di supporto, durante il corso, l’uso di case report
con i quali potersi confrontare in un interattivo scambio
di valutazioni e possibili soluzioni di casi realmente apparsi nella pratica quotidiana.
Anche in questi casi un occhio di riguardo va posto
sul fattore compliance che spesso e volentieri dovrà
venire riadattata e modificata in base alle difficoltà e
perplessità che arriveranno dal feed-back del portatore sia durante la fase di consegna sia durante i controlli di routine programmati.
In questi soggetti spesso e volentieri anche dei piccoli
intoppi possono creare ansie e scoraggiamenti, basti
pensare all’insicurezza di un paziente ipermetrope
presbite che deve manipolare le nuove lenti ad una
distanza dove per lui c’è solo nebbia fitta.
Di enorme importanza in questa fase è per il paziente avere rassicurazione e la possibilità di comunicare
con facilità con le persone di riferimento del centro di
contattologia che potranno esser sia il contattologo
stesso che una collaboratrice addetta alla consegna
delle lenti.
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CORSO 5
CORSI DI APPROFONDIMENTO
Kathy
Dumbleton
Senior Researcher di facoltà al Centre for Conctact Lens Research dell’Università canadese di Waterloo. Le sue
ricerche in particolare riguardano le risposte oculari alle lenti a contatto, i materiali in silicone hydrogel e il discomfort.
È Fellow della British Contact Lens Association (BCLA) e della American Academy of Optometry (FAAO).
Tecniche di valutazione dell’occhio secco
La patologia e la sintomatologia dell’occhio secco
sono tra le problematiche più comuni che l’oftalmologo
si trova ad affrontare. Molto spesso i sintomi associati
all’occhio secco non corrispondono ai segni clinici osservabili. Sono disponibili diverse tecniche per valutare
l’occhio secco. Questo seminario prenderà in esame
alcune delle metodologie disponibili per la valutazione
dell’occhio secco (compresi questionari standardizzati), illustrando come questi test devono essere impiegati nella pratica clinica.
SOMMARIO
1.Definizioni e classificazione dell’occhio
secco (Rapporto del Workshop 2007 sull’occhio secco
“L’occhio secco è una patologia multifattoriale con alterazione della lacrima e della superficie oculare che
sfocia in una sintomatologia caratterizzata disturbi visivi, fastidio e instabilità del film lacrimale, con un danno potenziale alla superficie oculare. E’ associata a un
aumento dell’osmolarità del film lacrimale e a infiammazione della superficie oculare.’
Classificazione secondo l’eziologia
- Patologia dell’occhio secco (occhio secco con
insufficiente componente acquosa e occhio secco
evaporativo)
- Patologia non riconducibile all’occhio secco
(patologia associata alle palpebre e altre malattie della
superficie oculare)
Classificazione secondo i meccanismi
- Iperosmolarità del film lacrimale
- Instabilità del film lacrimale
- Alimentazione (basso tenore di acidi grassi
essenziali omega 3, alto rapporto omega 6 - omega 3,
carenza di vitamina A)
- Patologia sistemica, cancro, trapianto di midollo osseo
- Alcuni farmaci
- Ambienti a bassa umidità, uso del computer
- Uso di lenti a contatto
- Chirurgia refrattiva
3. Anamnesi, sintomi e questionari standardizzati:
Valutazione soggettiva del sintomo di secchezza (SESoD)
- Una domanda su livello di fastidio e frequenza dei
sintomi
- Frequenza dello score di secchezza
McMonnies Dry Eye History Questionnaire
- Questionario di screening
- 15 domande, per lo più sì/no, e frequenza con score
ponderato
Canadian Dry Eye Epidemiology Study (CANDEES)
- Usato negli studi epidemiologici di prevalenza dei
sintomi di occhio secco in Canada
- 13 domande, associazione di frequenza e intensità
dei sintomi
Ocular Surface Disease Index (OSDI)
- Finalizzato a misurare la gravità della patologia da
occhio secco (score 0 - 100)
- 12 item (funzionalità visiva, sintomi oculari e fattori
scatenanti ambientali)
Classificazione secondo la gravità
Dry Eye Questionnaire (DEQ)
2. Fattori di rischio per lo sviluppo di occhio
secco
Questionari sulla qualità della vita
- Valutabile nella pratica clinica
- Lieve, moderata, grave e frequente o costante senza
stress, grave e/o disabilitante e costante
- Definita secondo sintomi, segni e test clinici
- Sesso femminile, età avanzata, terapia estrogenica
post-menopausa
- Usato in ricerche epidemiologiche e cliniche
- 21 item su prevalenza, frequenza, gravità durante il
giorno e invasività dei sintomi
- Versione del DEQ per lenti a contatto con 13
domande
- Questionario National Eye Institute Visual Function
(NEI_VFQ25)
- Questionario Impact of Dry Eye on Everyday Life
(IDEEL)
40
CORSI DI APPROFONDIMENTO
Domande chiave per la pratica clinica
4. Valutazione della funzionalità visiva:
- Acuità visiva in LogMAR
- Fluttuazione dell’acuità visiva
- Sensibilità al contrasto
5. Esame del segmento anteriore:
- Caratteristiche dell’ammiccamento
- Patologie palpebrali
- Blefarite anteriore
- Disfunzione delle ghiandole di Meibomio
6. Test lacrimali e procedure di attuazione:
Tempo di rottura del film lacrimale non invasivo
(NITBUT)
- Lacrimoscopio
- Disco di Placido / topografo corneale
Tempo di rottura del film lacrimale (TBUT)
- Fluoresceina sodica (NaFl)
Tempo di rottura sintomatica del film lacrimale
(SBUT)
7. Test di stabilità lacrimale e procedure di
attuazione:
Flusso lacrimale
- Schirmer 1
- Shirmer 2 (con anestetico)
- Fluorofotometria
Volume lacrimale
- Test con filo rosso fenolo
Menisco lacrimale / prisma
- Valutazione con lampada a fessura
- Tomografia a coerenza ottica (OCT)
8.Valutazione del danno sulla superficie
oculare:
- Colorazione - tecniche di gradazione per cornea e
congiuntiva
- Colorazione con fluoresceina - con filtro barriera
giallo
- Colorazione con rosa bengala
- Colorazione con verde di lissamina
9. Test lacrimali avanzati ed esami di laboratorio:
Test per la composizione del film lacrimale
- Metodi di raccolta
- Marker infiammatori, osmolarità, test di felcizzazione
Valutazione della superficie oculare
- Citologia a impressione
- Microscopia confocale
Esami sierologici
- Sindrome di Sjögren
- Artrite reumatoide
10. Uso dei test per valutare le strategie terapeutiche nella pratica clinica:
Intervalli temporali adeguati
- Questionari
- Valutazione della funzionalità visiva
- Valutazione della superficie oculare
41
CORSO 6
CORSI DI APPROFONDIMENTO
Jennifer
Craig
Di recente ha fatto ritorno in Nuova Zelanda in qualità di Senior Lecturer in Optometry and Vision Science presso
l’Università di Auckland, conservando il proprio incarico di Honorary Senior Lecturer in Ophthalmology. Ha conseguito
un PhD in Fisiologia lacrimale nell’occhio normale e nell’occhio secco presso la Glasgow Caledonian University.
Ottimizzazione del film lacrimale e valutazione della superficie oculare
Un film lacrimale in perfetta salute nutre, lubrifica e
protegge la superficie oculare. Qualsiasi disfunzione
delle ghiandole lacrimali principali o accessorie, delle ghiandole di Meibomio, oppure di palpebre, cornea, congiuntiva, o ancora degli archi neurali riflessi
(i componenti che nella loro interezza formano l’unità
funzionale lacrimale) è alla radice di instabilità del film
lacrimale, sensazione di sabbia e irritazione, infiammazione della superficie oculare e, a lungo andare, segni
di danno della superficie oculare e compromissione
della visione. La prevalenza dell’occhio secco aumenta con l’età e, data la tendenza all’invecchiamento della popolazione, è molto probabile che aumenti negli
anni a venire l’impatto dell’occhio secco sui servizi per
la gestione dei problemi oculari.
L’occhio secco è una patologia multifattoriale che può
essere suddivisa in due principali gruppi eziologici: occhio secco con ipolacrimia e occhio secco evaporativo. Il primo tipo comprende sia la sindrome di Sjögren
sia le cause di disfunzione delle ghiandole lacrimali
non associate a questa sindrome. L’occhio secco evaporativo può presentare cause intrinseche ed estrinseche. Tra le prime si annoverano la disfunzione delle
ghiandole di Meibomio e le anomalie palpebrali, mentre quelle estrinseche comprendono l’uso di lenti a
contatto e affezioni della superficie oculare, come ad
esempio le allergie. I due tipi di occhio secco possono
coesistere, ma è importante determinare la causa più
probabile attraverso una dettagliata valutazione soggettiva e oggettiva del paziente con occhio secco in
modo da poter gestire la patologia nella maniera più
appropriata.
Valutazione soggettiva
La frequente incongruenza tra sintomi e segni dell’occhio secco rende molto impegnativa la valutazione
soggettiva. Ogni questionario dovrebbe essere finalizzato a determinare rapidamente non solo il tipo e la
frequenza dei sintomi, ma anche la storia personale
di porto di lenti a contatto, precedenti trattamenti per
occhio secco, sensibilità agli stimoli provocanti, uso
di farmaci sistemici e patologie concomitanti. Anche
la possibilità di assegnare uno score alle risposte del
questionario è di aiuto nel tenere sotto controllo la progressione e la gestione della malattia e per massimizzare la coerenza inter-osservatore.
Valutazione oggettiva
La valutazione clinica del film lacrimale è estremamente complicata perché il film, nel suo stato naturale
o basale, è un fluido trasparente, incolore di circa 7µl
di volume e 7µm di spessore, ed è suscettibile di variazioni della composizione se vengono stimolate lacrime di tipo riflesso. Nessun test clinico è di per sé
sufficientemente sensibile o specifico per diagnosticare l’occhio secco. Una valutazione oggettiva completa dell’occhio secco dovrebbe comprendere l’esame
dello strato lipidico, di quantità e qualità delle lacrime
e della qualità della superficie oculare. I test dovrebbero essere il meno invasivi possibile per consentire
di valutare film lacrimale e superficie oculare in uno
stato quanto più possibile vicino a quello “fisiologico”,
e dovrebbero essere eseguiti ogni volta nello stesso
ordine, dal meno invasivo al più invasivo.
Palpebre, ciglia e strato lipidico
L’occhio secco evaporativo può essere diagnosticato indirettamente mediante la valutazione clinica dello strato
lipidico utilizzando una fonte di luce fredda ad ampio
raggio insieme a un biomicroscopio senza illuminazione. I pattern interferometrici possono generare una stima dello spessore e della qualità dello strato lipidico.
Indipendentemente dallo spessore, gli strati lipidici che
coprono uniformemente la superficie del film lacrimale
inibiscono l’evaporazione del film. Tuttavia, nell’area in
cui si interrompe lo strato lipidico, l’evaporazione aumenta di 4 volte. I pazienti con uno strato lipidico sottile
tendono a presentare un ammiccamento più di frequente proprio per mantenere intatto lo strato stesso.
La valutazione delle ghiandole di Meibomio rappresenta un’altra modalità indiretta per identificare un paziente probabilmente affetto da occhio secco evaporativo.
I pazienti con patologie a carico delle palpebre, quali
la disfunzione delle ghiandole di Meibomio, mostrano
spesso delle palpebre ispessite, fessurate e/o arrossate e gli orifizi delle ghiandole presentano essi stessi ispessimento o protrusione. In un occhio sano, la
pressione digitale delle ghiandole dovrebbe provocare
l’espressione di un liquido oleoso trasparente che può
assumere, nei casi di disfunzione delle ghiandole di
Meibomio, un aspetto torpido, ispessito e addirittura
simile alla cera. Nelle valutazioni di routine si osserva frequentemente la blefarite, e questa può essere
identificata mediante palpebre arrossate e con secrezioni oleose / desquamanti (blefarite seborroica) o la
presenza di piccoli colletti intorno alla base delle ciglia
42
CORSI DI APPROFONDIMENTO
(blefarite stafilococcica). Una forfora cilindrica intorno
alle ciglia è fortemente indicativa di infestazione da
Demodex.
Quantità del film lacrimale
Convenzionalmente si utilizza il test di Schirmer per
valutare la quantità lacrimale, ma la sua invasività ne
preclude l’impiego nei casi di occhio secco più lievi,
a causa della stimolazione di lacrime di tipo riflesso.
Non è consigliata l’anestesia topica dal momento che
la lacrimazione riflessa continua a influenzare il test, in
maniera ridotta ma variabile. Il test con il filo di cotone è un’alternativa meno invasiva per ottenere un’indicazione della quantità lacrimale. Quando viene agganciato sopra il terzo laterale della palpebra inferiore,
analogamente alla striscia di Schirmer, il filo di cotone
impregnato di rosso fenolo assorbe il fluido lacrimale
leggermente alcalino e cambia colore da rosso a giallo.
Un valore di meno di 10mm in 15 secondi sta a indicare
un deficit della componente acquosa.
Alcune delle informazioni più utili sulla quantità lacrimale possono essere ottenute in maniera non invasiva
con un esame accurato con lampada a fessura per valutare altezza e regolarità del menisco lacrimale inferiore e superiore. Altezze sotto il valore di 0,2 mm (che
possono essere misurate usando il regolatore calibrato
di altezza del fascio disponibile sulla lampada a fessura) indicano una quantità ridotta del fluido lacrimale.
Spesso nell’occhio secco le porzioni lacrimali marginali
presentano una riduzione dell’altezza e anche una conformazione diversa.
Qualità del film lacrimale
La misurazione della stabilità del film lacrimale ci fornisce utili informazioni sulla qualità in generale del film. I
test non a contatto sono ritenuti i migliori dal momento
che l’instillazione di fluoresceina destabilizza il film lacrimale. In un test non invasivo le mire, come ad esempio quelle di un cheratometro o di un topografo, vengono riflesse dal film lacrimale. Il tempo che trascorre da
un ammiccamento e il primo segno di distorsione delle
mire, mentre il paziente si astiene dall’ammiccare, rappresenta il tempo di assottigliamento del film lacrimale.
Dovrebbe sempre essere registrata la media di almeno
tre valori. I valori non invasivi di stabilità sono generalmente più lunghi di quelli che si ottengono con la fluoresceina, in genere oltre i 20 secondi in un occhio normale rispetto agli oltre 10 secondi del tempo di rottura del
film lacrimale che si ricavano con il tradizionale test alla
fluorosceina. Ricerche all’Università di Auckland hanno
dimostrato che è comunque possibile ottenere risultati
validi con la fluoresceina, ma la quantità instillata deve
essere minima, al massimo circa 1 µl. L’impiego di un
filtro barriera giallo oltre che un filtro eccitatore blu cobalto potenzia la visualizzazione della fluorescenza.
Superfici oculari
É necessario effettuare una valutazione e una gradazione rispetto a una scala riconosciuta dell’iperemia
congiuntivale palpebrale e bulbare. Se possibile ne va
anche ottenuta un’immagine digitale. Condizioni di luce
costanti e coerenza nella scala di gradazione sono fattori importanti che permettono di effettuare delle comparazioni in occasioni delle visite successive.
Nell’occhio secco possono essere osservate delle
pliche congiuntivali parallele a livello palpebrale che
costeggiano il bordo posteriore della palpebra nella
direzione primaria dello sguardo. Pliche multiple sono
associate a un aumento del rischio di occhio secco.
In pazienti asintomatici, in assenza di reperti clinici di
routine, può essere osservata l’epiteliopatia dell’area
di sfregamento palpebrale. All’eversione della palpebra
superiore, si ha una buona visualizzazione dell’area di
sfregamento con staining rosa bengala e successivamente fluoresceina
Agenti di staining agevolano anche la visualizzazione
del danno cellulare corneale e della congiuntiva bulbare. Essendo esami invasivi, dovrebbero essere eseguiti al termine della valutazione. La fluoresceina sodica
evidenzia la perdita cellulare epiteliale, mentre il rosa
bengala o il verde di lissamina evidenziano in primis
cellule morte o devitalizzate. L’applicazione del verde
di lissamina produce meno irritazioni del rosa bengala,
ma può richiedere diversi minuti prima di raggiungere
l’effetto massimo. Anche in questo caso, per ottimizzare la riproducibilità, lo staining dovrebbe essere valutato rispetto a una scala di gradazione riconosciuta.
Conclusioni
Non c’è alcun dubbio sul fatto che l’occhio secco è una
patologia complessa che continuerà a rappresentare
nel futuro una sfida per i professionisti. Tuttavia, un’attenta valutazione clinica, che idealmente dovrebbe
comprendere almeno un test da ognuna delle quattro
sezioni sopra descritte, possa contribuire a determinare la causa più probabile dell’occhio secco e a selezionare la strategia di gestione più appropriata.
ABSTRACT POSTER
46
ABSTRACT POSTER
POSTER 1
Uso protesico di una lac morbida sclerale su un occhio sfigurato con deviazione elevata
Fabrizio Zeri
Ottica e Optometria - Dipartimento di Fisica, Facoltà di Matematica, Fisica e Scienze Naturali - Università Roma Tre;
Dipartimento di Psicologia “La Sapienza” Università di Roma;
Pratica Privata, Roma.
Introduzione
Le lenti a contatto (lac) possono essere utilizzate per
ripristinare normali condizioni estetiche oculari che
molte affezioni acquisite o congenite sono in grado
di alterare. Le lac impiegate per questo uso vengono chiamate protesiche, differenziandole dalle lac cosmetiche, usate per modificare il colore degli occhi. La
diffusione delle lac protesiche, a scapito delle protesi
oculari, sembra destinata ad aumentare per la tendenza della moderna chirurgia oculare a risparmiare, laddove possibile, l’enucleazione nei casi di traumi oculari (Lazarus, 2007). Il beneficio estetico, con chiare
ricadute positive psicologiche che queste lac possono
fornire a pazienti con condizioni oculari come leucomi,
aniridie, strabismi elevati, può essere notevole. Nel
caso clinico riportato, una condizione di alterazione
estetica monoculare unita ad una forte exotropia viene
affrontata con una lac protesica morbida sclerale.
Descrizione del caso clinico
AA è un operaio di 34 anni che a 3 anni, in seguito a
un trauma perforante sull’os, viene sottoposto ad una
serie di interventi chirurgici che evitano una possibile
enucleazione, ma non la perdita della funzionalità visiva e una severa compromissione estetica. Il quadro
presente sull’os è il seguente: leggero esoftalmo e buftalmo, forte disorganizzazione della struttura irido-pupillare (lacerazioni, sinechie corneali), afachia, opacità
corneale ad andamento verticale, esito cicatriziale della lesione, ed exotropia di oltre 60Δ. L’epitelio cornea-
le si presenta irregolare, con piccole aree ectasiche e
di depressione ma assenza di disepitelizzazione.
Il caso viene affrontato usando una lac morbida ad
ampio diametro con decentramento del pattern iridopupillare dipinto a mano con sistema a “sandwich” e
un sistema di stabilizzazione a troncatura per compensare l’angolo di strabismo (Phillips, 1989). La lente
“definitiva” presenta un BOZR di 9,50 mm, un TD di
18,50mm e una troncatura superiore.
Risultati
L’applicazione di una lac protesica morbida sclerale
ha prodotto sul caso clinico in questione risultati estetici soddisfacenti, assicurati dalla sua buona stabilità
che mantiene il pattern irido-pupillare artificiale nella
posizione ricercata per compensare l’angolo di exotropia. La risposta oculare e il comfort sono risultati
ottimali anche dopo un porto diurno di 12 ore.
Discussione e Conclusione
L’uso delle lac protesiche è una straordinaria risorsa
per il ripristino di normali condizioni estetiche oculari con forti benefici psicologici (Lazarus, 2007; Zeri e
Lupelli, 1997). La “soluzione” di una condizione come
quella presentata, che poteva richiedere l’impiego di
lac sclerali rigide la cui applicazione richiama a competenze più specialistiche, viene trovata con una lac
morbida, certamente complessa, ma il cui terreno applicativo può risultare più familiare al contattologo.
47
ABSTRACT POSTER
POSTER 2
Il fenomeno drop out visto dai formatori italiani di lenti a contatto
Fabrizio Zeri
Ottica e Optometria - Dipartimento di Fisica, Facoltà di Matematica, Fisica e Scienze Naturali - Università Roma Tre;
Dipartimento di Psicologia “La Sapienza” Università di Roma;
Pratica Privata, Roma.
Introduzione
L’abbandono dell’uso delle lenti a contatto da parte
dei portatori, fenomeno conosciuto come drop-out,
rappresenta una “emorragia” nel mercato della contattologia di dimensioni rilevanti. La consapevolezza del
fenomeno è cresciuta solo negli ultimi anni (Pritchard
e coll, 1999; Morgan, 2001) anche perché il flusso in
uscita viene nascosto dalle nuove applicazioni che
mantengono pressoché fermo il numero totale di portatori. Comprendere le cause e i fattori d’influenza alla
base del drop-out è una sfida che impegna clinici e
ricercatori nel tentativo di arginare il fenomeno. Il presente lavoro rappresenta un’indagine sui fattori d’influenza del drop-out in Italia svolta in maniera indiretta,
consultando cioè l’opinione di esperti italiani di contattologia.
Metodo
Un questionario costruito al fine d’indagare il peso di
diversi fattori sul fenomeno del drop-out è stato sottoposto a formatori italiani del settore contattologico. Nel
questionario veniva richiesto d’indicare in base alla
propria esperienza il peso “locale”, cioè relativo all’Italia, di 18 diversi fattori sul drop-out. Il giudizio veniva
richiesto su una scala da 1 a 10 dove 1 rappresentava
nessuna influenza e 10 la massima influenza sull’aumento del drop-out.
Risultati
Sono stati compilati 43 questionari. I fattori studiati
sono stati divisi in 5 aree principali: fattori ambientali, fattori legati ai pazienti, fattori legati agli specialisti,
fattori economici e altri fattori. L’area più importante
ai fini del drop-out si è rivelata quella degli “Specialisti” (7,3±1,3) seguita dall’area “Pazienti” (6,5±1,5).
Le altre aree sono risultate significativamente più basse nei confronti a coppia con le prime due (p<0,01)
e non diverse tra loro. Nella categoria “specialista” i
fattori più importanti sono risultati la mancanza di controlli (8,4±1,1), le scelte del contattologo (8,0±1,5) e
la scarsa educazione del “paziente” (7,6±1,8). Nella
categoria “paziente” il fattore con punteggio più alto
è risultato il fai da te (7,8±1,6) seguito dalla non compliance (6,5±2,2) e dai fattori culturali (5,1±2,0) tutti tra
loro significativamente diversi (p<0,01).
Conclusioni
La lettura che i formatori italiani di contattologia danno
del fenomeno drop-out in Italia indica che è proprio tra
gli “attori” principali del settore (contattologi e pazienti)
che possono nascondersi importanti fattori in grado di
concorrere all’aumento del drop-out. E’ lavorando al
miglioramento di conoscenze e competenze ma anche delle capacità comunicative (Chalmers e Bebley,
2005) che il contattologo può arginare molti di questi fattori incidendo positivamente sulla riduzione del
drop-out.
48
ABSTRACT POSTER
POSTER 3
Ortocheratologia notturna e cross-linking nel cheratocono
Antonio Calossi
Docente Corso di Laurea in Ottica e Optometria, Facoltà di Scienze MFN, Università degli Studi di Torino Ferdinando
Romano, Giuseppe Ferraioli, Vito Romano;
Ospedale Civile di Caserta.
Scopi
Abbiamo condotto uno studio prospettico per verificare se fosse possibile migliorare la qualità della visione
dei pazienti affetti da cheratocono mediante l’ortocheratologia notturna e se fosse possibile stabilizzare
gli effetti del rimodellamento della cornea attraverso il
cross-linking del collagene corneale.
Metodo
Per il modellamento corneale abbiamo sviluppato una
lente a contatto esacurva a geometria inversa progettata in modo specifico per essere adattata su un cheratocono. Il materiale era un fluoro-silossano-acrilato
altamente permeabile all’ossigeno (Boston XO, hexafocon-A, Dk 100). Abbiamo selezionato un gruppo di
5 occhi di 4 pazienti (3 femmine, 1 maschio), di età
compresa fra 22 e 43 anni, a cui era stato diagnosticato un cheratocono sulla base della topografia corneale
e di altri segni clinici, affetti da sintomatologia visiva e
intolleranti alle lenti a contatto convenzionali, con una
pachimetria >400 micron. I pazienti hanno seguito un
programma di ortocheratologia notturna per tre mesi,
quindi sono stati sottoposti ad un intervento di crosslinking del collagene corneale con riboflavina + UVA
seguendo il protocollo del gruppo di Siena. Dopo avere atteso un mese per il processo di guarigione dopo
il cross-linking, è stata ripresa l’ortocheratologia notturna, all’inizio per tre settimane mediante piggy-back
(le stesse lenti RGP più una lente in silicone idrogel di
bendaggio), poi solamente con la lente RGP per altri
due mesi, dopodiché l’uso di qualsiasi tipo di lente a
contatto è stato interrotto. I dati sono stati raccolti a
livello di base prima di iniziare il trattamento ortocheratologico, dopo tre mesi di ortocheratologia notturna, quattro mesi dopo il cross-linking (un mese dopo
l’interruzione dell’ortocheratologia) e un anno dopo il
cross-linking.
Risultati
In tutti i casi la topografia corneale ha mostrato un miglioramento del profilo della cornea con una riduzione
delle aberrazioni corneali. Un mese dopo l’interruzione dell’ortocheratologia, la topografia e le aberrazioni corneali sono tornate come prima e sono rimaste
allo stesso modo un anno dopo il cross-linking. Sia
l’acuità visiva naturale sia l’acuità visiva corretta sono
migliorate in modo significativo durante i tre mesi di
ortocheratologia, questo miglioramento si è ridotto un
mese dopo l’interruzione dell’ortocheratologia notturna
(quattro mesi dopo il cross-linking), ma non è ritornato
al livello di base. Non sono state osservate reazioni
avverse durante i tre mesi di ortocheratologia notturna. Dopo il trattamento di cross-linking un occhio ha
mostrato un difetto epiteliale con una irite asintomatica. Questa complicanza si è risolta dopo un mese di
terapia steroidea ed il trattamento ortocheratologico è
continuato. Dopo quattro mesi e ad un anno dal crosslinking non sono stati osservati segni significativi.
Conclusioni
L’ortocheratologia notturna può rimodellare la cornea
affetta da cheratocono senza reazioni avverse significative. Il cross-linking del collagene corneale con
riboflavina e UVA è abbastanza sicuro, ma non è in
grado di stabilizzare il modellamento corneale. Tuttavia, l’acuità visiva è rimasta migliore di prima del trattamento. Allo stato attuale non siamo in grado si spiegare questa discrepanza.
49
ABSTRACT POSTER
POSTER 4
Spessore dell’epitelio corneale e spessore della cornea umana misurato in vivo con
l’OCT Fourier Domain
Mauro Frisani
Optometrista, CdL di Ottica e Optometria, Università degli Studi di Torino;
Antonio Calossi Optometrista, FAILAC, FBCLA, Docente CdL di Ottica e Optometria, Università degli Studi di Torino.
Introduzione
La tomografia a coerenza ottica (Optical Coherence
Tomography, OCT) è una metodologia di analisi non
invasiva e non a contatto con cui è possibile ottenere
immagini ad alta risoluzione in scala micrometrica della retina e della cornea. È utilizzata prevalentemente
in oftalmologia per lo studio della retina e, talvolta, del
segmento anteriore. In campo contattologico, l’OCT è
stato impiegato soprattutto in lavori di ricerca per la
misura dello spessore del film lacrimale pre-corneale e pre- e post-lente a contatto, nello studio del rigonfiamento corneale dovuto all’ipossia, nello studio
topografico delle variazioni di spessore dell’epitelio
e dell’intera cornea dopo l’utilizzo di vari tipi di lenti
a contatto e nel modellamento corneale con lenti da
ortocheratologia. I recenti progressi nella diagnostica
per immagini applicando l’OCT Fourier Domain hanno
permesso di ottenere un miglioramento nella velocità
di esecuzione e nella risoluzione avvicinando l’OCT
all’obiettivo di valutare le strutture oculari in vivo con lo
stesso livello microscopico delle tecniche di istologia.
Scopi
Per valutare l’intervallo di normalità dello spessore
epiteliale e stromale della cornea centrale, abbiamo
impiegato un apparecchio OCT Fourier Domain RTVue 100 Cam (Optovue, Inc, Northport Loop, Fremont,
CA, USA). Un nostro lavoro precedente ha mostrato
che la risoluzione di questo strumento permette di visualizzare in vivo l’epitelio corneale, la membrana di
Bowman e lo stroma, con un livello di precisione di 1.8
micron (errore relativo 3.4%) per la misura dello spessore dell’epitelio corneale.
Materiali e metodi
Sono state acquisite una serie di immagini tomografiche della cornea di 68 occhi di 34 soggetti adulti (14
maschi, 20 femmine) di età compresa fra 19 e 65 anni
(media 37 anni), non precedentemente sottoposti ad
alcun tipo di chirurgia oculare, senza alterazioni manifeste della cornea e della superficie, non portatori
abituali di lenti a contatto. I soggetti esaminati sono
stati sottoposti a scansioni mediante una lente accessoria per l’analisi corneale in dotazione allo strumento.
Si è prestata particolare attenzione all’allineamento
dell’occhio esaminato rispetto al piano perpendicolare dell’obiettivo d’esame, alla riduzione degli artefatti
causati dalla diversa riflettanza del film lacrimale rispetto alla riflettività dei tessuti corneali e si è cerca-
to di distribuire il segnale di riflettanza sulla superficie
corneale in modo uniforme e costante. Le acquisizioni
sono state valutate per qualità grafica utilizzando un
indice di qualità dell’immagine fornito dallo strumento
stesso (SSI, image quality signal strenght index). Tutte
le scansioni sono state eseguite al centro della cornea, lungo il meridiano orizzontale, mentre il soggetto
esaminato guardava una mira di fissazione centrale
per controllare l’allineamento. Durante ogni sessione
d’esame sono state acquisite dieci scansioni per ogni
singolo occhio, ognuna delle quali è stata impostata
come media di sedici immagini ogni scansione. Per
l’analisi dei dati sono state scelte per ogni occhio le
tre scansioni con valore di SSI più alto. Per evitare
l’interferenza statistica, i dati di tendenza e di distribuzione sono stati analizzati solo per l’occhio destro di
ogni singolo soggetto, mentre i dati dell’occhio sinistro
sono stati utilizzati per un’analisi di correlazione fra i
due occhi.
Risultati
Lo spessore epiteliale centrale è risultato in media 54
micron (σ ±4,5 μm), con un intervallo compreso fra 46
e 68 μm; lo spessore dello stroma centrale 489 micron
(σ ±38 μm), con un intervallo compreso fra 368 e 540
μm; lo spessore complessivo della cornea centrale
543 micron (σ ± 40μm), con un intervallo compreso
fra 425 e 595 micron. Lo spessore epiteliale medio
dell’occhio destro non è risultato significativamente diverso da quello dell’occhio sinistro (t-test di Student: p
> 0,05), con una discreta correlazione fra i due occhi
(coefficiente di correlazione di Pearson (R) = 0,59, p
<0.001); anche lo spessore medio dello stroma centrale dei due occhi, non è risultato significativamente
diverso (p > 0,05), con un livello di correlazione molto
alto fra i due occhi (R=0,96, p <0,0001). Ugualmente, lo spessore complessivo della cornea centrale ha
mostrato lo stesso livello di correlazione fra i due occhi. Non abbiamo rilevato una correlazione significativa fra lo spessore dell’epitelio e quello dello stroma
(R=0,22, p > 0,05). Allo stesso modo non abbiamo
riscontrato una correlazione significativa fra lo spessore dell’epitelio e quello dell’intera cornea centrale
(R=0,33, p >0,05). Abbiamo invece osservato un alto
livello di correlazione fra lo spessore dell’intera cornea
e quello dello stroma (R=0,99, p <0,0001). Non abbiamo osservato una correlazione significativa fra spessore epiteliale ed età (R= -0,9, p >0,05), così come per
50
ABSTRACT POSTER
lo spessore dello stroma (R=0,15, p >0,05), e quello
dell’intera cornea centrale (R=0,14, p >0,05).
Conclusioni
L’OCT Fourier Domain si è rivelato una strumento
efficace nella misura dello spessore corneale e nella
differenziazione fra la componente stromale e quella
epiteliale. La risoluzione di questo strumento è tale da
rendere visibile anche la membrana di Bowman. La
mancanza di correlazione fra lo spessore epiteliale e
quello dello stroma fa capire che non è possibile stimare lo spessore dell’epitelio a partire da una misura
dell’intera cornea che non sia in grado di separare le
due componenti. La tomografia a coerenza ottica è
uno strumento utile per lo studio morfometrico dell’epitelio e dello stroma della cornea umana in vivo e può
rilevarsi particolarmente utile per misurare gli effetti
delle lenti a contatto su queste strutture corneali.
51
ABSTRACT POSTER
POSTER 5
L’atteggiamento verso le lac: genitori e figli a confronto
Fabrizio Zeri
Ottica e Optometria - Dipartimento di Fisica, Facoltà di Matematica, Fisica e Scienze Naturali - Università Roma Tre;
Dipartimento di Psicologia “La Sapienza”, Università di Roma.
Maurizio Maltese
Consultorio Giovani di Genzano della A.S.L. RM H.
Istituto di Formazione e Ricerca per Educatori e Psicoterapeuti di Roma
Introduzione
Sconsigliare l’uso della lac prima dei 18 anni era una
prassi comune tra gli specialisti, che sta velocemente scomparendo (Lupelli, 2003). L’effetto è che sempre più teenagers richiedono un’applicazione di lac.
Questa fascia d’età rappresenta peraltro un bacino
estremamente ampio di possibili portatori: negli Stati
Uniti circa 1 ragazzo su 3 tra i 12 e i 18 anni usa una
correzione (Kemper e coll, 2004). L’applicazione delle lac a quest’età, deve però essere necessariamente “condivisa” con i genitori. In questo processo, reso
complesso dalle particolari dinamiche adolescenziali,
entrano pregiudizi e convinzioni di giovani e genitori
che lo studio esplorativo qui presentata ha cercato di
mettere a fuoco.
Metodo
E’ stato utilizzato un questionario al fine d’indagare gli
atteggiamenti verso le lac di giovani adolescenti, tra i
13 e i 19 anni, e di genitori con figli di quest’età. In particolare, si è cercato d’individuare la loro opinione su:
-quanto le lac soddisfano delle necessità estetiche,
visive e pratiche;
-quanto questo ausilio è valido in termini di efficacia,
sicurezza e comodità.
In entrambi i casi è stato richiesto un giudizio in generale e uno nello specifico nell’età adolescenziale.
Risultati
Sono stati intervistati 52 genitori (età media 46±5,7) e
75 giovani (età media 15,5±2,0).
Solo due confronti between genitori-giovani per le variabili considerate sono risultati significativi (p<0,05): i
genitori credono più dei giovani che le lac in età adolescenziale soddisfano una necessità estetica e allo
stesso tempo le considerano di più di loro uno strumento, che senza riferimenti all’età, è efficace.
I confronti within relativi alle opinioni sulle lac in funzione di un età generale e un’età adolescenziale indicano che i genitori modificano le opinioni sulle lac in
funzione di questo fattore mentre gli adolescenti non
lo fanno, ad eccezion fatta per la necessità estetica
delle lac che, anche loro al pari dei genitori, credono
sia maggiore per i giovani (p<0,05).
Conclusioni
Lo studio condotto mostra che molte opinioni riguardo
alle lac sono diverse tra genitori e figli. In particolare mentre i genitori cambiano la loro idea su diversi
aspetti delle lac se queste sono applicate sugli adolescenti, i figli non lo fanno. Questo può rimandare ad
una dinamica adolescenziale di sentirsi o volersi sentire a tutti gli effetti degli adulti.
Conoscere opinioni e atteggiamenti che genitori e figli
hanno verso le lac è molto importante per il contattologo al fine di gestire una dinamica applicativa caratterizzata dalla presenza di più attori.
52
ABSTRACT POSTER
POSTER 6
poster fotografico
No Rub Generation ? ... No thank
Cristina Mazzoni - Gudo De Martin
Visione offuscata?
Aloni alle luci?
Lenti scomode?
Prima di cambiare le lenti controlla il regime di manutenzione
I depositi lipidici lacrimali ed esterni, trucco, vengono
eliminati solo con l’azione meccanica.
L’80% dei microrganismi viene eliminato con il semplice strofinio della lente
53
ABSTRACT POSTER
POSTER 7
Valutazione delle alterazioni endoteliali, eventi avversi e variazioni della sensibilità al
contrasto indotte dall’utilizzo di tre lenti in silicone idrogel a porto giornaliero
Oliana Patrizia
La diffusione delle lenti a contatto ha registrato un rapido aumento dagli anni ’70 ad oggi. Ciò è dovuto alla
nascita nel 1968 delle prime lenti a contatto (lac) morbide che per il loro maggior comfort e la maggior velocità di adattamento sono state adottate da un numero
sempre crescente di portatori che è stimato ad oggi in
110 milioni di persone.
Le lac morbide, chiamate anche idrogel, hanno risolto
alcune delle complicanze corneali legate alle lenti rigide gas permeabili (RGP) le uniche disponibili fino alla
scoperta delle lac in materiale morbido.
Anche se questo materiale ha portato enormi vantaggi, non è esente da modifiche fisiologiche della cornea. La bassa trasmissibilità all’ossigeno del materiale
idrogel ha spostato l’attenzione sulle complicanze da
ipossia.
Inoltre la richiesta da parte di portatori di indossare le
lenti per molte ore al giorno e la necessità di alcune
categorie di lavoratori di poter utilizzare le lac durante
la notte ha portato i ricercatori a studiare nuovi materiali che possano aumentare la trasmissibilità all’ossigeno e creare così condizioni migliori di porto.
Uno dei maggiori ostacoli nello sviluppo dell’uso esteso delle lac è l’adeguata permeabilità all’ossigeno per
l’uso notturno. Nel 1980 Holden e Mertz stabilirono
che l’incidenza dell’edema corneale notturno senza
lente era del 4%. Holden e Mertz indicarono inoltre
che il Dk/t minimo della lente per l’uso esteso notturno,
doveva essere di 125x 10-9 unità di Fatt.
Nel 1999 furono approvate da FDA le prime lenti in
silicone idrogel per porto continuo di 30 notti. Il mercato di queste lenti è cresciuto rapidamente tanto che a
metà del 2003 esistevano già un milione di portatori di
silicone idrogel nel mondo.
In ogni modo l’uso di lac in silicone idrogel non è scevro da complicanze. Alcune di queste, come nel caso
di quelle meccaniche, sono legate alla rigidità del materiale e sono rappresentate dalle sferule di mucina
(SM), dalla lesione epiteliale arcuata superiore (SEAL),
e dalla congiuntivite papillare gigante (CLPC), ecc… Il
loro studio è stato oggetto di altri lavori svolti presso i
laboratori di Optometria e Contattologia dell’Università
di Milano Bicocca. Inoltre si sono valutate le alterazioni
endoteliali e le variazioni della sensibilità al contrasto
indotte dall’uso diario di tre tipi di lenti in silicone idrogel.
Grazie al microscopio endoteliale, uno strumento in
grado di fotografare lo strato più interno del tessuto
corneale, si possono osservare cambiamenti delle cel-
lule endoteliali legati all’utilizzo delle lac.
Le principali alterazioni endoteliali sono:
-diminuzione del numero di cellule fino a livelli di densità di 1000-2000 cell/mm2;
-aumento di cellule con superficie di diversa grandezza (polimegatismo);
-cambio nella forma delle cellule (polimorfismo );
-alterazioni endoteliali transitorie, le blebs.
L’eziologia del polimegatismo e dell’insorgenza delle
blebs è la medesima. Le blebs sono associate ad edema endoteliale che è provocato da una variazione del
pH nell’intero strato corneale causato da cambi fisiologici in atto nei vari sistemi costituenti il tratto anteriore dell’occhio, come la lacrima.
Un pH acido causa o induce nell’endotelio la formazione di blebs. L’acidosi endoteliale protratta nel tempo si
traduce in polimegatismo e polimorfismo delle cellule
dell’endotelio.
Per quanto riguarda la densità cellulare, essa è legata all’età del soggetto. Diminuisce all’aumentare degli
anni. Nei portatori di lac non si ha una vera e propria
diminuzione nella densità cellulare ma una ridistribuzione delle cellule dalla zona centrale alla zona periferica dell’endotelio.
Durante lo studio condotto in questo tirocinio, si è utilizzato il test della sensibilità al contrasto con mire a
contrasto e frequenza spaziale variabile per osservare
perdite di sensibilità al contrasto in presenza di edemi, anomalie corneali ed eventuali opacità da depositi
della lente.
Le lenti sono state valutate su 10 portatori di lenti morbide tradizionali, 1 portatore di RGP e 3 non portatori
di lenti. I soggetti partecipanti allo studio hanno indossato i 3 tipi di lenti in silicone idrogel per 15 giorni l’una
durante le ore diurne, conservate in una soluzione unica polifunzionale per lenti morbide.
I dati rilevati per il polimegatismo e le blebs sono stati
classificati in base alla scala di Efron da 0 al 4° grado,
dove 0 corrisponde alla condizione normale e il 4° grado alla condizione severa.
I risultati dello studio hanno effettivamente dimostrato
alcune differenze significative tra le diverse lenti impiegate, sia per quello che concerne l’aspetto fisiologico corneale che per quello che riguarda la funzione
della sensibilità al contrasto che, pur rappresentando
un aspetto squisitamente visivo, svolge un ruolo fondamentale nel criterio di valutazione dell’efficacia della
scelta correttiva attraverso l’utilizzo di lenti a contatto.
54
ABSTRACT POSTER
POSTER 8
Considerazioni sul Tear Ferning Test, review con riferimenti sperimentali sulle potenzialità e i limiti del TFT
Andrea Daniele - Mirko Chinellato
Studenti in optometria all’università di Padova
Introduzione
Al di fuori dei parametri refrattivi, morfologici ed adattativi di un soggetto, l’analisi scrupolosa del film lacrimale è un fulcro cardinale per la buona riuscita di
un’applicazione. Il Tear Ferning test (TFT) o test della
felcizzazione sfrutta la capacità del liquido lacrimale di
organizzarsi in una struttura a felce se sottoposto ad
essiccazione, fornendo informazioni per lo più qualitative sulle componenti dello stesso. La standardizzazione dei metodi e dei risultati segue la classificazione
di Rolando (1984) a 4 tipi, e la letteratura a riguardo
attribuisce al TFT alti valori di sensibilità e specificità
nell’ambito della valutazione dello stato del film lacrimale. In questa review si sono cercati di approfondire
i meccanismi causali della felcizzazione (non ancora esplicati e confermati scientificamente), e si sono
analizzate le possibili variabili metodiche di esecuzione, correlandole ai diversi risultati ottenuti. Sono stati
inoltre presentati i risultati di alcuni studi precedenti a
riguardo.
Metodi
Dopo un’analisi della lettura scientifica disponibile si è
cercato di “scomporre” il TFT con un semplice esame
di laboratorio (soluzione di NaCl + Albumina a varie
concentrazioni), ipotizzandone i meccanismi di funzionamento. Sono state poi presentate le possibili influenze di una metodologia di prelievo ed analisi non
corretta, supportate da alcuni risultati sperimentali.
Risultati
I risultati dell’interazione elettrolita-proteina hanno dimostrato differenti risultati per differenti concentrazioni, suggerendo che la formazione delle felci ha origine
dalla cristallizzazione tipica dei sali in interazione con il
sedimento proteico. Altri studi hanno confermato questa condizione. Le metodiche di prelievo e di analisi
si sono dimostrate molto delicate e ricche di bias, a
partire dal sistema di prelievo fino alle condizioni di
essiccamento ed osservazione.
Conclusioni
Il TFT ha delle buone attendibilità confermate dagli
studi passati, sulla valutazione dei pattern qualitativi
lacrimali, utili nella predizione della tolleranza alle lac
e del comfort oculare, nella pratica clinica il TFT deve
però seguire un iter di esecuzione molto accurato. Risulta quindi un potente test nell’analisi del film lacrimale, che deve però assolutamente essere integrato in
una scrupolosa batteria di test
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