atti congressuali INDICE SESSIONE PLENARIA Claudio Belotti La Compliance: una sfida da vincere insieme al cliente Brien Holden Lenti a contatto e segmento anteriore dell’occhio: solo uno degli aspetti del processo di formazione continua in optometria Maurizio Rolando Riconoscere le disfunzioni lacrimali. Qual è la differenza tra “occhio secco” e “sensazione di secchezza”? Kathy Dumbleton Migliorare i sintomi di occhio secco marginale con materiali per lenti a contatto di nuova tecnologia Jennifer Craig Soluzioni, lacrime artificiali e occhio secco marginale: fanno la differenza per il comfort del paziente? Alessandro Fossetti Correggere la presbiopia con lenti a contatto: una sfida da vincere Roberto Pregliasco Motivazioni ed aspettative del portatore di lenti a contatto Gary Gerber Come distinguersi nella propria professione Josè Manuel Gonzalez Meijome L’importanza clinica dello staining corneale in contattologia Francesco Loperfido La gestione delle infezioni e delle infiammazioni in contattologia Luigi Lupelli Le scale di gradazione: sono veramente utili? Kathy Dumbleton Cosa fanno i nostri clienti con le loro lenti a contatto? Dennis Reid Implementare strategie efficaci di vendita e di orientamento al servizio in optometria Brien Holden Lenti in silicone hydrogel e il futuro della contattologia Claudio Belotti Adesso tocca a noi! Stefano Lorè 4 Fabrizio Zeri 5 CORSI DI APPROFONDIMENTO Applicazione post chirurgia lasik Carlo Tronti Piggyback 31 Endotelio e lenti a contatto Carlo Raffaelli 34 Da collaboratori a squadra unita 7 8 10 Claudio Belotti la 35 L’endotelio corneale: aspetti fisiopatologici e diagnostica strumentale 36 La comunicazione compliance persuasiva per avere Umberto Benelli Guido De Martin L’accompagnamento del presbite durante tutte le fasi applicative della lente a contatto Kathy Dumbleton 12 13 14 Tecniche di valutazione dell’occhio secco Jennifer Craig Ottimizzazione del film lacrimale e valutazione della superficie oculare POSTER 1 Uso protesico di una lac morbida sclerale su un occhio sfigurato con deviazione elevata POSTER 2 18 POSTER 3 20 POSTER 4 21 Il fenomeno drop out visto dai formatori italiani di lenti a contatto Ortocheratologia notturna e cross-linking nel cheratocono Spessore dell’epitelio corneale e spessore della cornea umana misurato in vivo con l’OCT Fourier Domain POSTER 5 23 38 39 41 ABSTRACT POSTER 15 L’atteggiamento verso le lac: genitori e figli a confronto 46 47 48 49 51 POSTER 6 24 poster fotografico No Rub Generation ? ... No thank POSTER 7 25 SESSIONE CASE HISTORIES Dino Marcuglia 30 OrtoK 28 29 Valutazione delle alterazioni endoteliali, eventi avversi e variazioni della sensibilità al contrasto indotte dall’utilizzo di tre lenti in silicone idrogel a porto giornaliero POSTER 8 Considerazioni sul Tear Ferning Test, review con riferimenti sperimentali sulle potenzialità e i limiti del TFT 52 53 54 SESSIONE PLENARIA 4 SESSIONE PLENARIA DOMENICA 9 NOVEMBRE Claudio Belotti Esperto di comunicazione interpersonale è uno dei pionieri della PNL (programmazione neuro- linguistica) in Italia. Si è inoltre specializzato in linguistica direttamente con John Grinder (co-creatore della PNL) ed in coaching e leadership con Robert Dilts. Svolge da numerosi anni l’attività di executive coach per alcuni dei più importanti gruppi aziendali. La Compliance: una sfida da vincere insieme al cliente Tra gli elementi che caratterizzano la società moderna sicuramente troviamo: la quantità di informazioni e stimoli a fare/comprare/decidere e la velocità di esecuzione. Purtroppo a questa evoluzione non c’è stato un uguale aggiornamento di mezzi e metodi per migliorare la nostra capacità di essere sempre più incisivi, efficaci e abili. A questo si aggiunge l’ingannevole idea che la comunicazione consista nel trasferire informazioni invece di sapere che comunicare significa aiutare a decidere, con-vincere (cioè vincere insieme) creando quell’alleanza che porta il cliente, il collaboratore, il collega a fare ciò che è meglio, si tratti di: usare le lenti, proporle o usarle noi stessi. La relazione orbita attorno a una parola difficile da pronunciare, scrivere e soprattutto mettere in pratica: “Compliance”. Una parola che negli ultimi anni ha preso sempre più spazio. È la sfida di oggi come possiamo avere clienti più “complianti”? Ogni giorno i clienti entrano nel nostro punto vendita; quanti prima di uscire prendono la decisione di seguire i nostri suggerimenti? Quanti porteranno avanti la decisione con l’azione? Clienti diversi che si comportano in modo diverso. Esigenze, gusti, problemi, paure, convinzioni sono solo alcune delle cose che entrano in gioco… e allora che fare? E come? Claudio Belotti ci aiuterà a riflettere sul ruolo fondamentale dell’ottico e su come utilizzare gli strumenti di comunicazione che abbiamo (e quelli che impareremo) per avere clienti sempre più complianti e soddisfatti. 5 DOMENICA 9 NOVEMBRE SESSIONE PLENARIA Brien Holden Ricercatore e relatore di fama mondiale. Scientia professor alla School of Optometry and Vision Science dell’Università New South Wales in Australia. Fondatore e direttore del Cooperative Research Centre for Eye Research Technology, è Chair Global di “Optometry Giving Sight”. Lenti a contatto e segmento anteriore dell’occhio: solo uno degli aspetti del processo di formazione continua in optometria Le origini e lo sviluppo della professione dell’optometrista sono davvero affascinanti. In molte parti del mondo i primi “optometristi” del XIX secolo erano in realtà degli “ottici che misuravano la vista”, gioiellieri, orefici e venditori ambulanti. Coloro che misuravano la vista si trovavano spesso nelle botteghe dei gioiellieri perché qui erano più facilmente reperibili quei materiali e quelle capacità artigianali che erano necessari per produrre e riparare occhiali e simili strumenti. La professione dell’optometrista molto probabilmente trae origine dall’enorme aumento della richiesta di una visione da vicino (per leggere) ottimale. Tale aumento era associato all’invenzione della luce elettrica, intorno al 1880. La necessità di leggere spinse molte persone a pensare alla propria capacità visiva e le eventuali difficoltà di lettura indussero molti a rivolgersi a un “misuratore della vista”. All’inizio del ventesimo secolo, gli ottici cominciarono a raggrupparsi e a formare delle società professionali. Con la formazione di queste organizzazioni emerse anche un’identità professionale. Gli enti professionali si impegnarono per definire dei codici di comportamento e degli standard minimi di istruzione per coloro che si definivano ottici. Nella fase iniziale l’obiettivo principale degli optometristi era quello di ottenere, attraverso la registrazione, una forma di riconoscimento da parte dei governi del loro status professionale. Per conseguire tale obiettivo erano fondamentali istruzione e formazione e per questo motivo furono istituiti in molti paesi dei corsi che insegnavano i fondamenti dell’ottica e della preparazione di dispositivi ottici. Col passare degli anni questi corsi si dedicarono alla formazione di optometristi, incentrandosi sempre di più sulla biologia e non esclusivamente sulle scienze fisiche. Seguendo gli esempi dei colleghi statunitensi gli ottici di diversi paesi cominciarono a chiamarsi optometristi. La professione continuò a progredire fino a diventare in molti paesi del mondo il principale interlocutore a cui rivolgersi per l’assistenza nel campo della visione. Di conseguenza furono gli optometristi a occuparsi di test ed esami per determinare la capacità di mettere a fuoco e coordinare l’occhio, giudicare la percezione di profondità e vedere i colori accuratamente. Gli optometristi, grazie alla loro approfondita formazio- ne, possono effettuare visite, diagnosticare e gestire disturbi e malattie del sistema responsabile della visione, dell’occhio e delle strutture associate, oltre che diagnosticare eventuali condizioni di natura sistemica generale che riguardano l’organismo. In alcuni paesi gli optometristi possono sempre più prescrivere trattamenti farmacologici per la terapia di patologie dell’occhio e anche eseguire alcune procedure chirurgiche. Il campo d’azione dell’optometria richiede una conoscenza approfondita di metodologie ottiche, terapeutiche, psicologiche e di riabilitazione allo scopo di risolvere i problemi della visione dall’infanzia fino alla vecchiaia. Come accade in medicina, anche in optometria esistono diversi ambiti di specializzazione. Un optometrista che desideri concentrarsi su un settore che vada oltre la pratica generalista può scegliere tra varie specializzazioni, tra cui: lenti a contatto, terapia della visione e ortottica, pediatria, ipovisione, disabilità dell’apprendimento e infine visione nell’ambiente di lavoro. Gli optometristi possono concentrarsi su una o due aree di specializzazione e questo è ciò che spesso accade. Per raggiungere un alto livello di specializzazione l’optometrista deve seguire un percorso di formazione e apprendimento specifici ben oltre il livello di competenza tecnica iniziale. Il campo delle lenti a contatto è una parte fondamentale dell’optometria e molti dei progressi registrati nei decenni sono stati raggiunti grazie alla ricerca e all’insegnamento in ambito optometrico. I contattologi negli scorsi 80 anni hanno dovuto imparare i fondamenti di geometria, fisica, materiali, fisiologia, fabbisogno di ossigeno, sistemi di difesa oculari, tossicologia farmacologia, risposte dell’organismo e dell’occhio, bagnabilità, lubrificabilità e molte altre nozioni di natura scientifica e medica. La messa a punto di materiali e geometrie nuovi e particolarmente interessanti obbligheranno gli studenti che in tutto il mondo si iscrivono ai corsi di optometria a rimanere aggiornati rispetto alla continua evoluzione delle modalità per la correzione della visione. Le tecniche e lo stile utilizzati per formare e specializzare gli optometristi si svilupperanno rapidamente in seguito al sempre crescente approfondimento della tecnologia del XXI secolo. La pratica dell’optometria è un’esperienza di apprendimento che si estende lungo tutto l’arco della vita e solo attraverso un tale processo gli optometristi pos- 6 SESSIONE PLENARIA sono garantire il massimo a tutela della salute oculare e del benessere generale dei loro pazienti. I progressi dell’optometria fanno sì che dobbiamo concentrarci su ciò che abbiamo dovuto imparare, ciò che abbiamo effettivamente appreso e ciò che dobbiamo imparare in DOMENICA 9 NOVEMBRE futuro. Deve essere compiuto uno sforzo notevole per far progredire i sistemi di formazione in tutto il mondo per permettere che gli optometristi continuino l’apprendimento durante il loro intero percorso professionale. 7 DOMENICA 9 NOVEMBRE SESSIONE PLENARIA Maurizio Rolando Professore associato di Oftalmologia presso la Clinica Oculistica, Dipartimento di Neuroscienze, Oftalmologia e genetica dell’Università di Genova. Autore di libri e di numerose pubblicazioni nel campo dell’oftalmologia su temi quali la fisiopatologia del film lacrimale e la ricostruzione della superficie oculare. Relatore a congressi nazionali ed internazionali. Riconoscere le disfunzioni lacrimali. Qual è la differenza tra “occhio secco” e “sensazione di secchezza”? La superficie oculare è costituita da film lacrimale, epiteli della cornea, del limbus e della congiuntiva, palpebre, ghiandole lacrimali e le vie del deflusso lacrimale; essa rappresenta un sistema caratterizzato dalla interazione simultanea di tutte le differenti componenti, capace di veloci adattamenti alle nuove condizioni indotte da modificazioni ambientali quali la applicazione di una lente a contatto o da eventi avversi. L’esame delle condizioni delle diverse componenti della superficie oculare consente di riconoscere la capacità del possibile portatore di mettere in atto questi processi di adattamento e di individuare precocemente nel portatore eventuali elementi di criticità che, una volta corretti, consentiranno una utilizzazione più sicura e confortevole della lente. In particolare sarà utile essere in grado di definire le differenze tra la presenza di discomfort transitorio legato alla condizione del momento, di modesta rilevanza clinica e facilmente recuperabile e la presenza di una vera sindrome da secchezza oculare, con le tipiche modificazioni anatomiche a carico della superficie oculare, che necessita di un approccio terapeutico più complesso e per la quale le possibilità di completa guarigione sono molto più scarse. Il rapido riconoscimento e la correzione della condizione più lieve di disfunzione lacrimale impedisce infatti che si sviluppi una forma cronica e più difficilmente rimediabile di secchezza. Verrà esposta e discussa una serie di osservazioni cliniche, reperti anamnestici e test mirati che consentono di definire con buona affidabilità lo stato della superficie oculare e separare le forme con coinvolgimento tissutale da quelle di semplice, temporanea inadeguatezza dei processi di adattamento. 8 SESSIONE PLENARIA DOMENICA 9 NOVEMBRE Kathy Dumbleton Senior Researcher di facoltà al Centre for Conctact Lens Research dell’Università canadese di Waterloo. Le sue ricerche in particolare riguardano le risposte oculari alle lenti a contatto, i materiali in silicone hydrogel e il discomfort. È Fellow della British Contact Lens Association (BCLA) e della American Academy of Optometry (FAAO). Migliorare i sintomi di occhio secco marginale con materiali per lenti a contatto di nuova tecnologia Nonostante i progressi registrati nell’ultimo decennio nel campo dei materiali per le lenti a contatto, il problema più frequentemente segnalato con il porto di lenti a contatto morbide continua ad essere la riduzione del comfort, per lo più in associazione a sintomi di secchezza che si manifestano con l’avanzare della giornata. Sono molti i fattori che contribuiscono alla secchezza correlata all’uso di lenti a contatto. Sebbene tali sintomi non possano essere eliminati completamente, possono però essere ridotti al minimo scegliendo i materiali più appropriati, la corretta frequenza di sostituzione, la modalità di porto e un’adeguata manutenzione. Possono essere di aiuto anche il controllo dei fattori ambientali e l’utilizzo di gocce umettanti. Questa presentazione descriverà alcuni dei nuovi materiali per lenti a contatto morbide che sono oggi disponibili e possono alleviare i sintomi da occhio secco, e fornirà delle indicazioni per la prevenzione e la riduzione della secchezza nei portatori di lenti a contatto. SOMMARIO 1. Introduzione - Dal 20% al 50% di portatori di lenti a contatto morbide riferiscono sintomi da occhio secco - Circa il 35% dei pazienti abbandona per sempre le lenti a contatto a causa di riduzione del comfort e secchezza 2. Fattori legati al paziente che influenzano i sintomi legati alla secchezza oculare nei portatori di lenti a contatto - Problemi del film lacrimale (ridotta produzione, evaporazione eccessiva) - Instabilità del film lacrimale (carenza di mucina o lipidi, disfunzione delle ghiandole di Meibomio ecc.) - Ambiente (temperatura, umidità, qualità dell’aria) 3. Fra le possibili cause di sintomi da occhio secco in portatori di lenti a contatto vanno annoverate - Evaporazione - Riduzione del tempo di assottigliamento del film lacrimale - Disidratazione - Qualità insufficiente della superficie della lente che dà origine ad attrito, idrofobicità e formazione di depositi - Interazione con i sistemi di manutenzione 4. Gestione dei sintomi da occhio secco: materiale della lente - Resistenza alla disidratazione con materiali convenzionali (contenuto di acqua, ionicità) - Materiali resistenti alla disidratazione (per esempio hioxifilcon A, hioxifilcon D, omafilcon A) - Materiali in silicone hydrogel - Trattamento della superficie e bagnabilità - Aggiunta di agenti umettanti al materiale della lente (PVA, PVP, acido ialuronico) - Rilascio di agenti umettanti da parte del materiale della lente (PVA) - Frequenza di sostituzione della lente, lenti giornaliere 5. Gestione dei sintomi da occhio secco: sistemi di manutenzione - Conservanti - Interazione coi materiali della lente - Incorporazione di agenti umettanti o viscosi 6. Gestione dei sintomi da occhio secco: agenti umettanti - Inclusione di agenti umettanti, surfattanti, lenitivi, emulsionanti ecc. - Nuove tecnologie per i conservanti al fine di prevenire le tossicità - Assicurare lubrificazione e idratazione; consentire una uniforme diffusione delle lacrime sulle lenti - Aumentare la ritenzione e la stabilità del film lacrimale? - Ridurre la deposizione di lisozimi? - Utilizzo di agenti umettanti prima dell’applicazione della lente 7. Gestione dei sintomi da occhio secco: effetti dell’ambiente - Ambienti che causano maggiore stress, per esempio uffici, aerei ecc. - Temperatura - Umidità - Flusso dell’aria 9 DOMENICA 9 NOVEMBRE 8. La lente a contatto perfetta per ridurre i sintomi associati a secchezza oculare? - Superficie biocompatibile - Imita l’epitelio corneale - Non ha effetti su produzione o stabilità del film lacrimale! SESSIONE PLENARIA 10 SESSIONE PLENARIA DOMENICA 9 NOVEMBRE Jennifer Craig Di recente ha fatto ritorno in Nuova Zelanda in qualità di Senior Lecturer in Optometry and Vision Science presso l’Università di Auckland, conservando il proprio incarico di Honorary Senior Lecturer in Ophthalmology. Ha conseguito un PhD in Fisiologia lacrimale nell’occhio normale e nell’occhio secco presso la Glasgow Caledonian University. Soluzioni, lacrime artificiali e occhio secco marginale: fanno la differenza per il comfort del paziente? L’occhio secco continua ad essere la causa principale dell’abbandono o della riduzione del tempo di porto delle lenti a contatto. Circa il 50% dei pazienti con lenti a contatto riferisce una sintomatologia da occhio secco rispetto al 15% di non portatori di lenti a contatto. Il tipo di occhio secco di cui sono affetti i portatori di lenti a contatto è di natura principalmente evaporativa, piuttosto che associato ad una ridotta produzione lacrimale, innescato dal sovvertimento dello strato lipidico causato dalla presenza di una lente a contatto all’interno del film lacrimale preoculare. Craig e Tomlison nel 1997 hanno dimostrato che in pazienti senza uno strato lipidico visibile o in soggetti con un’anomalia della colorazione all’estremità dello strato, l’evaporazione del film lacrimale aumenta di quattro volte rispetto ai soggetti con strato lipidico continuo lungo tutta la superficie, indipendentemente dallo spessore. Le anomalie della colorazione all’estremità dello strato si riscontrano molto frequentemente nell’occhio secco con disfunzione delle ghiandole di Meibomio, mentre l’assenza dello strato lipidico si riscontra comunemente nei portatori di lenti a contatto. La riduzione dello strato lipidico consente l’evaporazione del film lacrimale pre-lente il che sfocia in secchezza della lente a contatto e successivamente pervaporazione del fluido dalla cornea. Secondo lo schema di gradazione dello strato lipidico proposto da Guillon, lo strato lipidico preoculare è ridotto in media di due gradi nei portatori di lenti a contatto morbide. Un paziente con uno strato lipidico preoculare di spessore da medio ad alto riesce in genere a conservare uno strato lipidico sulla superficie del film lacrimale pre-lente, ma nei pazienti con strato lipidico naturalmente sottile, non si osserva di solito alcuno strato lipidico sulla superficie del film lacrimale pre-lente. Ciò rappresenta oltre il 50% dei portatori di lenti a contatto ed è la causa principale di occhio secco indotto da lenti a contatto. Spesso vengono prescritte delle gocce umettanti per contribuire ad alleviare i sintomi associati al porto di lenti a contatto, ma la maggioranza degli agenti disponibili in commercio, allo scopo di reidratare la lente a contatto, servono solo a potenziare la componente acquosa del film lacrimale. Purtroppo, senza uno strato lipidico adeguato che sovrasti la componente acquosa, l’evaporazione del liquido continuerà a velocità ancora maggiore. Ne consegue che il sintomo viene alleviato solo per un breve periodo di tempo. Devono pertanto essere intraprese misure alternative, o per lo meno complementari, per assicurare una riduzione dei sintomi per il paziente con occhio secco marginale. La realizzazione di una serie di test attentamente selezionati per valutare il film lacrimale e la superficie oculare consente di determinare l’eziologia e la gravità dell’occhio secco, e ciò di conseguenza permette di individuare la strategia di gestione ottimale. Lo scopo della gestione è quello di migliorare il comfort oculare e la qualità della vita e, se possibile, di agevolare il ritorno allo stato di normalità del film lacrimale e della superficie oculare. Esiste una vasta gamma di trattamenti per l’occhio secco. La gestione può essere molto semplice e limitarsi a istruire il paziente su quei cambiamenti ambientali che potrebbero migliorare il comfort oculare; o invece essere estremamente complessa, come nel caso di trapianto delle ghiandole salivari per conservare la visione. Questa presentazione illustrerà una serie di strategie oggi disponibili per la gestione dell’occhio secco nella pratica clinica e, sulla base di evidenze derivate dalla letteratura e di esperienze personali di ricerca, si soffermerà sulla potenziale capacità delle diverse strategie di apportare benefici ai pazienti, sia in termini oggettivi sia, cosa altrettanto importante, in termini di comfort riferito dal paziente. Suggerimenti sull’ambiente L’occhio secco borderline spesso diventa conclamato in seguito a esposizione a stimoli esterni fra cui le condizioni ambientali avverse. L’aria condizionata e il riscaldamento centralizzato dei luoghi di lavoro riducono l’umidità relativa dell’ambiente facendo aumentare l’evaporazione lacrimale e dando avvio alla condizione denominata “occhio secco da ufficio”. Analogamente, l’esposizione a condizioni particolarmente ventose all’esterno può alterare lo strato lipidico lacrimale superficiale portando, anche in questo caso, all’evaporazione del film lacrimale e a sintomi di occhio secco. Alcuni farmaci sistemici, le esalazioni tossiche del fumo di tabacco o gli effetti disidratanti dell’alcool possono esacerbare i sintomi. Risulta quindi evidente quanto sia essenziale un’accurata anamnesi di ogni paziente per individuare i possibili fattori scatenanti ed essere in grado di fornire dei consigli su come minimizzare gli effetti di tali stimoli. Si è dimostrato che migliorare l’umidità relativa della zona vicino all’occhio contribuisce ad 11 SESSIONE PLENARIA DOMENICA 9 NOVEMBRE alleviare i sintomi e a migliorare lo strato lipidico del film lacrimale. Questo risultato può essere raggiunto con l’utilizzo di occhiali parabolici oppure occhiali con protezioni laterali o addirittura con occhiali protettivi di tipo subacqueo. Strategie associate alla manutenzione delle lenti e all’utilizzo di soluzioni Il materiale e il disegno della lente, l’applicazione e il sistema di manutenzione sono tutti aspetti che influiscono sul comfort dei pazienti nel porto delle lenti a contatto, non solo in termini di secchezza oculare. I prodotti per la manutenzione delle lenti dovrebbero essere studiati per valutarne la biocompatibilità e favorire la compliance. I sintomi associati a riduzione del comfort nelle prime ore del mattino possono essere dovuti a tossicità della soluzione, mentre i sintomi che insorgono nel tardo pomeriggio sono più spesso correlati all’occhio secco. Una lente che mal si adatta all’occhio può portare a secchezza del margine della lente stessa e, in ultima analisi, a sintomi derivati dalla riduzione del comfort. Clinicamente è importante valutare la lente sull’occhio. Lenti ad alto Dk migliorano l’ossigenazione della cornea, ma ciò può andare a scapito del modulo della lente con il rischio di provocare una congiuntivite papillare enorme. Lacrime artificiali La gamma di prodotti artificiali disponibili in commercio per integrare il film lacrimale e lubrificare la superficie oculare è molto ampia, eppure gli specialisti spesso spingono il paziente a individuare da solo il prodotto preferito attraverso un processo di prova ed errore. In tutto ciò ha un ruolo importante l’eziologia variabile dell’occhio secco; pertanto una valutazione approfondita del film lacrimale e della superficie oculare in ogni paziente è di importanza fondamentale per poter selezionare la più corretta strategia di gestione fino a comprendere la tipologia più appropriata di integratore. In genere i pazienti con problemi alla superficie trarranno vantaggio da un integratore contenente un composto mucomimetico, mentre i pazienti con ipolacrimia necessitano di un’integrazione di volume che può prevedere l’uso di un componente come lo ialuronato che migliora la ritenzione e allunga il periodo di comfort che segue l’applicazione. D’altro canto, i pazienti con occhio secco evaporativo possono vedere alleviati i sintomi con nebulizzazioni o gocce lipomimetiche grazie al loro contributo allo strato lipidico superficiale e all’inibizione dell’evaporazione lacrimale. Se il prodotto contiene agenti che garantiscono un certo livello di viscosità si migliora il tempo di ritenzione della lacrima artificiale sulla superficie dell’occhio, ma deve essere raggiunto un equilibrio tra il miglioramento della ritenzione derivato da gocce viscose e la visione più sfocata che si ha in seguito all’applicazione. Gestione delle patologie palpebrali Una delle patologie palpebrali che si osserva più frequentemente nella pratica clinica è la disfunzione delle ghiandole di Meibomio. L’olio prodotto dalle ghiandole di Meibomio umane contiene dei lipidi con un basso punto di fusione (19 - 32 °C) e ciò permette alle secrezioni normali delle ghiandole di rimanere allo stato fluido a temperatura corporea. Il prodotto della secrezione è una complessa miscela di lipidi polari e non polari che contengono approssimativamente: 77% cera ed esteri di sterolo, 8% fosfolipidi e 9% digliceridi e trigliceridi e idrocarburi. Nella disfunzione delle ghiandole di Meibomio il punto di fusione dei lipidi può essere più elevato e di conseguenza l’applicazione di compresse calde può fornire un sollievo sintomatico e migliorare la superficie oculare. L’applicazione previa di scrub palpebrali può contribuire a un esito ancora migliore, soprattutto in presenza di blefarite. Su un principio simile, riscaldare le secrezioni delle ghiandole di Meibomio, si basa l’uso di occhiali protettivi a calore latente e di dispositivi ad aria umida riscaldata, che hanno appunto lo scopo di facilitare l’efflusso. E’ stato dimostrato che entrambi questi due metodi migliorano il quadro sintomatologico riferito dal paziente e riducono i segni di occhio secco. Supporto nutrizionale Si è dimostrato già 20 anni fa il beneficio per i pazienti con sindrome di Sjögren derivante da una maggiore assunzione di acidi grassi essenziali tramite l’alimentazione. Ricerche recenti hanno mostrato che il rapporto omega 6 - omega 3 è importante per la salute dell’occhio. Un valore elevato del rapporto omega 6 su omega 3, tipico delle diete occidentali, è associato a un rischio significativamente superiore di sindrome dell’occhio secco. Un maggiore apporto di omega 3, ottenuto con un aumentato consumo di pesci dei mari freddi (per esempio il tonno), è stato associato a una riduzione del rischio di occhio secco. Occlusione dei punti lacrimali La ritenzione di lacrime artificiali e naturali attraverso l’occlusione di punti lacrimali o canalicoli può causare un aumento del volume di fluidi sulla superficie oculare. Tuttavia, nei portatori di lenti a contatto va sempre prestata particolare attenzione, a causa del maggior rischio di infezione associato al ridotto ricambio lacrimale. Analogamente, una patologia palpebrale attiva è considerata una controindicazione all’uso di tappi lacrimali. Conclusioni In sintesi, esistono molte opzioni disponibili per la gestione dell’occhio secco marginale indotto da lenti a contatto. Grazie a valutazione dettagliata, attenta formazione del paziente e attuazione delle strategie di gestione appropriate è possibile assicurare un utilizzo confortevole e perfettamente riuscito delle lenti a contatto. 12 SESSIONE PLENARIA DOMENICA 9 NOVEMBRE Alessandro Fossetti Professore a contratto al Corso di Laurea in Ottica ed Optometria presso l’Università degli Studi di Padova. Svolge attività professionale in studio privato e di consulenza per aziende ed associazioni. Autore di numerosi articoli e pubblicazioni. Correggere la presbiopia con lenti a contatto: una sfida da vincere L’allungamento della vita media della popolazione nel mondo occidentale fa sì che la presbiopia si consolidi sempre più come la condizione visiva più diffusa nella popolazione. Si calcola ad esempio che negli US i presbiti supereranno il 40% della popolazione nel 2020, in Giappone il 60%. In Italia si può prevedere per quella data un 50% della popolazione presbite. Inoltre, la parte di popolazione che diventa presbite è quella che ha la maggiore capacità di spesa media e che influenza di più le spese familiari. Tutto ciò deve far riflettere sull’importanza che l’uso delle lenti a contatto per la correzione della presbiopia possa avere nell’attività degli ottici optometristi. Nonostante ciò l’uso delle lenti a contatto per la correzione della presbiopia non ha finora trovato grande successo tra gli applicatori, e non soltanto tra quelli italiani. Tra gli ostacoli alla mancata diffusione delle lenti a contatto per presbiopia possono essere indicate l’idea che l’occhiale con lenti progressive costituisca una fonte maggiore di reddito, la resistenza ad utilizzare tecniche applicative semplici come la monovisione, la scarsa propensione all’innovazione da parte degli ottici optometristi italiani, la scarsa conoscenza delle caratteristiche e delle modalità applicative dei mezzi correttivi (lenti a contatto) a disposizione, l’idea che l’applicazione dei mezzi correttivi più complessi (leggi lenti a contatto bifocali o multifocali a visione simultanea) siano di difficile adattabilità e portino raramente ad una applicazione di successo. Ora, sebbene si debba riconoscere che la correzione della presbiopia con lenti a contatto possa rivestire una certa complessità e che il risultato visivo finale possa essere in molti casi solo parzialmente soddisfacente, si deve sottolineare che vi sono metodologie e procedure applicative che possono aiutare ad aumentare i risultati positivi e allargare la diffusione della lenti a contatto tra i propri clienti, potendo in tal modo avere altri benefici grazie al passaparola. Vengono dunque presentate le varie soluzioni possibili per la correzione della presbiopia mediante lenti a contatto, con i pregi e i difetti, i vantaggi e le limitazioni di ognuna. Tra queste la monovisione risulta essere una tecnica con un’alta possibilità di successo che viene troppo spesso trascurata per l’idea che la visione binoculare venga seriamente compromessa. Questa idea verrà discussa nella presentazione. Le lenti morbide bifocali o multifocali a visione simultanea sono un’altra possibilità correttiva che viene presentata in molteplici modalità; anche di questa tipologia di lenti si parlerà diffusamente esaminandone le caratteristiche ottiche e correttive. Verranno anche presentati alcuni test visivi e alcuni accorgimenti tecnici e metodologici che possono facilitare sia la selezione dei soggetti che la corretta conduzione della procedura clinica e il raggiungimento del successo nell’applicazione delle lenti a contatto morbide bifocali e multifocali. 13 DOMENICA 9 NOVEMBRE SESSIONE PLENARIA Roberto Pregliasco Svolge attività professionale privata a Genova, è stato (dal 2002 al 2005) tutor presso il Corso di Laurea in Ottica e Optometria dell’Università degli Studi di Milano Bicocca. Relatore ai maggiori convegni nazionali di contattologia e optometria, autore di pubblicazioni di settore. Motivazioni ed aspettative del portatore di lenti a contatto Attualmente quasi la metà della popolazione mondiale presenta ametropie visive, che possono essere compensate con lenti oftalmiche e/o con lenti a contatto. Negli ultimi anni l’approccio professionale alla contattologia è stato significativamente migliorato grazie ad alcuni raffinati strumenti. I sistemi computerizzati digitali di acquisizione dell’immagine hanno consentito l’archiviazione dei dati e il confronto della situazione oculare nel tempo. Il topografo corneale ha consentito una conoscenza più dettagliata della superficie della cornea, la progettazione di lenti a contatto con geometrie personalizzate e il monitoraggio della morfologia corneale nel tempo. Il microscopio confocale ha permesso di esaminare le singole cellule epiteliali, i nervi stromali, i nuclei dei cheratociti stromali e le cellule endoteliali. La pachimetria ha permesso di quantificare lo spessore corneale in ogni suo punto. Il contattologo, utilizzando un protocollo metodologico, giunge a una scelta applicativa supportata dai dati e dalle osservazioni indispensabili nella presa di decisioni cliniche e nella selezione della tipologia della lente a contatto, individuando materiali ad alta affidabilità e tollerabilità che non alterano il metabolismo corneale e che rispettano l’integrità dei tessuti del segmento anteriore dell’occhio. Grazie alla costante ricerca, alle nuove strumentazioni, a una gestione intelligente del portatore, nel prossimo futuro l’utilizzo della lente a contatto potrà ulteriormente diffondersi grazie alla positiva intermediazione dei professionisti che, attraverso la loro competenza, permetteranno la piena soddisfazione delle richieste dei portatori di lenti a contatto. Saper codificare i fattori analizzati amplia e rafforza la fedeltà del portatore. Lo sviluppo delle qualità relazionali del professionista cresce se egli sa mettere il portatore al centro dell’attenzione: ascolto attivo, flessibilità, creatività e disponibilità sono i pilastri sui quali costruire buone relazioni, affinare la professionalità clinica dello studio, accrescere la qualità percepita da parte del portatore per il raggiungimento e la totale soddisfazione delle aspettative del portatore di lenti a contatto. Le aspettative del portatore sono pienamente soddisfatte quando il professionista riesce ad interpretare le motivazioni che portano il soggetto ad avvicinarsi al mondo della contattologia e rassicura le sue perplessità e i suoi timori. La gestione del portatore segue tappe precise che il professionista ridefinisce e migliora ciclicamente. Indagando le motivazioni personali, riconoscendo le personali esigenze e valutando lo stile di vita dell’ametrope, il professionista conduce così il portatore a un utilizzo gratificante e sicuro delle lenti a contatto, soddisfacendo le sue aspettative e permettendo il raggiungimento di una qualità visiva ottimale. I recenti progressi di costruzione delle lenti a contatto permettono al professionista di soddisfare le differenti problematiche visive (alte ametropie sferiche, elevati astigmatismi, presbiopia) applicando lenti a contatto che consentono una buona visione ad ogni distanza, in ogni condizione di illuminazione e con un elevato comfort per tutta la giornata. A tale scopo il professionista, verificati gli aspetti puramente applicativi, esegue un’analisi visiva dettagliata arrivando a una prescrizione finale sicura ed efficace; l’Analisi Visiva Integrata (AVI) di Scheiman e Wick è il metodo di valutazione delle abilità visive oggi più completo, che permette di esplorare con precisione tutti gli aspetti coinvolti nel processo visivo. Oggi le lenti a contatto, grazie al progresso scientifico e tecnologico che ha consentito l’avvento di nuovi materiali ed il miglioramento delle geometrie costruttive, sono un’ottima soluzione per compensare tutte le ametropie e soddisfare pienamente le aspettative visive del portatore. Il contattologo identifica le risposte avverse e le gestisce in maniera appropriata per trattare incisivamente la causa dei problemi (la lente a contatto, il sistema di manutenzione, la mancata osservazione delle istruzioni) controllando nel tempo che le condizioni di partenza siano mantenute e, quando è possibile, cercando di migliorarle con le nuove tipologie di lenti a contatto introdotte sul mercato. 14 SESSIONE PLENARIA DOMENICA 9 NOVEMBRE Gary Gerber Optometrista, è considerato uno dei maggiori esperti statunitensi di practice building in optometria, fondatore e presidente di una società di consulenza la cui missione è far diventare la professione più redditizia ed efficiente. Relatore di oltre 500 presentazioni in tutto il mondo. Personalità carismatica ed eclettica, è anche esperto di magia applicata alla formazione. Come distinguersi nella propria professione IV. Perdere un’abitudine è difficile, per cui tanto vale acquisirne di nuove. a. Biografia del Dr. Gerber - Specialista in optometria, consulente - E’ sopravvissuto perché ha deciso di cambiare e si è adattato. I. CHARLES DARWIN: Non è il più forte della specie a sopravvivere, né il più intelligente, ma colui che meglio reagisce al cambiamento. II. L’esperienza da optometrista III. L’esperienza da consulente a. Se fate quello che fanno gli altri, diventerete come gli altri. I. Introduzione b. Quando possiamo dire che un esame optometrico è riuscito? Risposta: quando il cellulare del paziente non si mette a suonare. c. I vostri pazienti sono circondati dalla tecnologia. Se anche voi non siete aggiornati tecnologicamente, il paziente avverte una distanza. d. La tecnologia non deve essere associata necessariamente alle lenti a contatto. Può essere uno schermo a cristalli liquidi in sala d’attesa o la possibilità per i pazienti di un collegamento Wi-Fi. II. Il mio centro negli Stati Uniti e i nostri pazienti sono simili ai vostri e se non ci credete dovete almeno credere che i nostri pazienti sono simili soprattutto da un punto di vista emotivo a. Anche i portatori di lenti a contatto hanno un cervello rettile. E se dicono sì alle lenti a contatto, lo fanno per questioni di libertà, sicurezza di sé e così via. Non state proponendo un materiale plastico con un dk/T alto. State invece cambiando la vita di qualcuno. b. Curve a campana I. Onorario II. Tecnologia III. Mix di prodotti IV. Personale c. Citazione da Jack Welch - “Una piccola azienda non è una grande azienda in piccolo.” Quindi si cade in errore e non succede nulla. Storia della Coca Cola e della Coca Cola Classic V. Il marketing delle nuove tecnologie. a. In primo luogo coinvolgere il personale. I. Mission statement II. Performance management b. Necessità di nuovi media per le nuove tecnologie. c. L’obiettivo può essere nuovi portatori di lenti a contatto dato che la maggioranza comincia a usare lenti a contatto a un’età sempre più giovane. d. Scadenze, piano, budget. e. Evitare il fai da te. VI. Passi da intraprendere a. Scrivete 1. b. Esempi di vendita al cervello rettile di un portatore di lenti a contatto. 2. III. Abitudini 3. a. Prescrivere sempre le stesse lenti è un’abitudine, non è una valutazione clinica. b. 1 - ha un qualche senso ciò che avete sentito finora? In caso affermativo, scrivete un cambiamento che introdurrete nella vostra attività a partire da martedì prossimo b. Anche NON prescrivere mai le lenti a contatto è un’abitudine. I. Pazienti da occhiali rispetto a pazienti da lenti a contatto. c. Il valore monetario di un paziente utilizzatore di lenti a contatto nel tempo può essere tre volte superiore. c. 2 - “E’ l’inizio che blocca molte persone” - e quindi, cosa farete a proposito del #1? d. 3 - scadenza 15 LUNEDÌ 10 NOVEMBRE SESSIONE PLENARIA José Manuel González Meijome Professore di optometria presso il Dipartimento di Fisica dell’Università di Minho (Braga, Portogallo). Membro della Association for Research in Vision and Ophthalmology (ARVO) e dello Spanish College of Optometrist. Autore e coautore di articoli e pubblicazioni per riviste internazionali di settore. L’importanza clinica dello staining corneale in contattologia L’espressione “staining corneale” non può essere definita di per sé un’entità clinica dal momento che è l’unico segno di svariate condizioni corneali con diversa rilevanza clinica. Inoltre, la comparsa del segno dello staining corneale non implica necessariamente l’esistenza di un difetto epiteliale oppure può essere associata a difetti epiteliali di aspetto e gravità diversi. In questa presentazione verrà utilizzata l’espressione staining corneale puntato superficiale (SPCS - superficial punctate corneal staining). Il Manuale Illustrato di Oftalmologia del Massachussetts Eye and Ear Infirmary descrive la cheratite puntata superficiale (SPK), probabilmente la condizione clinica più simile a ciò che chiamiamo SPCS o staining corneale in contattologia, nella maniera seguente: difetti epiteliali, non specifici; a capocchia di spillo; staining puntato con fluoresceina; associata a blefarite, qualunque causa di occhio secco, trauma, corpo estraneo, trichiasi, ustione chimica o da ultravioletti, correlata al porto di lenti a contatto e congiuntivite (Kaiser et al. 2004). In questa definizione è implicita l’eziologia ignota dell’affezione. A proposito del difetto epiteliale, che è dato per scontato nella maggiore parte delle circostanze, neppure al giorno d’oggi possiamo dire che tale difetto non sia limitato al solo sfaldamento di alcune cellule dalla cornea o rappresenti una debolezza della struttura epiteliale, il che non pare corrispondere al vero nelle forme in cui esso per lo più si presenta. Questo fenomeno è stato descritto anche in non portatori di lenti a contatto, asintomatici con valori di prevalenza che spaziano dal 17% al 100%, a seconda dello studio preso in considerazione (Ward 2008). A parte differenze di natura climatica, geografica ed etnica, la disparità dei risultati può essere spiegata dalle diverse metodologie utilizzate o durante il processo di staining o durante l’osservazione. Due ricerche sono relativamente uniformi in termini di metodologia impiegata (applicazione di fluoresceina con striscia e uso di filtro barriera giallo) e hanno documentato su un campione di non portatori di lenti a contatto una prevalenza di SPCS del 78% e 70% rispettivamente (Schwallie et al. 1997; Dundas et al. 2001). Nonostante si riscontri un’alta incidenza di SPCS nella popolazione che non fa uso di lenti a contatto, l’im- portanza dello staining corneale è andata man mano crescendo poiché rappresenta una potenziale conseguenza dell’interazione con lenti a contatto e soluzioni detergenti. Per spiegare la natura del fenomeno sono state prese in considerazione diverse ipotesi, fra cui aumentata permeabilità delle membrane epiteliali, danno alle giunzioni cellulari e perdita epiteliale. Tuttavia studi più recenti non hanno confermato l’ipotesi di una compromissione della giunzione epiteliale associata a episodi di SPCS indotti da uso di soluzioni (Ward 2008). Lo staining corneale puntato superficiale può presentarsi in forma diffusa o localizzata, ognuna con le proprie implicazioni, ed esistono svariati criteri per classificare le forme di SPCS. Per il clinico, tuttavia, è importante classificare l’evento da un punto di vista morfologico, dei fattori eziologici e della significatività clinica, perché è proprio l’insieme di questi aspetti che contribuisce (quando possibile) a gettar luce sulla causa e a definire la più corretta strategia di trattamento o profilassi. La gradazione clinica dello staining corneale è comunemente definita secondo una scala a quattro livelli. I sistemi usati più frequentemente sono il Cornea and Contact Lens Research Unit Grading System (CCLRU, Sydney, Australia) (Terry et al. 1993) e l’Efron Grading System (Efron et al. 2001). Secondo l’autore, sebbene sia più complesso, il sistema CCLRU garantisce una maggiore precisione dal momento che permette di classificare lo staining corneale in termini di tipo, estensione e profondità. Nel loro complesso questi tre aspetti forniscono preziose informazioni atte a classificare e valutare la significatività clinica del quadro osservato e ad adottare adeguate strategie di trattamento. Nonostante la presenza significativa nella popolazione di non portatori di lenti a contatto, l’uso di lenti a contatto in genere aumenta l’incidenza di SPCS e sono vari i fattori o le modalità di interazione tra lente a contatto e superficie oculare che possono contribuire all’insorgere di SPCS. Nell’ipotesi che lo SPCS sia un’entità multifattoriale, verranno elencate di seguito le linee guida per identificare e, se possibile, differenziare i fattori di rischio che ci possono orientare nel piano di trattamento. Il lettore potrà trovare in letteratura ulteriori informazio- 16 SESSIONE PLENARIA ni a proposito del potenziale coinvolgimento e dell’interazione tra i vari fattori che causano SPCS in portatori di lenti a contatto morbide. Lo studio di Nichols et al. merita un’attenzione particolare dal momento che comprende un campione significativo di 500 portatori di lenti a contatto in hydrogel che non avevano problemi. Gli autori hanno riscontrato un qualche grado di staining corneale in almeno un occhio nel 55,7% dei portatori, in due o più quadranti nel 24% della popolazione e staining medio-grave nell’8% dei partecipanti (Nichols et al. 2002). Tra i fattori non significativamente associati a staining corneale venivano inclusi: età del paziente, sesso del paziente, farmaci sistemici compresi i contraccettivi orali, tipo di porto (esteso, flessibile, giornaliero), tempo medio di porto, tempo di porto al momento della visita, tipo di lente (sferica o torica), contenuto di acqua delle lenti (alto o basso), tipo di sistema di manutenzione, uso di enzimi e infine il togliere le lenti pizzicando direttamente sulla cornea. Al contrario, la non compliance nel sistema di manutenzione o nel programma di sostituzione convenzionale e la potenza della lente sono risultati significativamente associati al fenomeno di uno staining corneale positivo. Solo raramente si registra un impatto significativo dello staining corneale sulla performance visiva, e si tratta di una condizione solitamente asintomatica. Tuttavia, ciò che preoccupa i contattologi sono le potenziali implicazioni di un’eventuale progressione verso quadri più gravi. A proposito delle potenziali implicazioni di SPCS in caso di complicanze più gravi, i pazienti con una storia di precedente sensibilità alle soluzioni di manutenzione, espressa in termini di staining corneale diffuso, avevano 3,08 probabilità in più di soffrire di un evento corneale infiltrativo (CIE, corneal infiltrative event). Il rischio relativo di tossicità della soluzione si modificava a seconda della tipologia di presentazione di CIE: 5,47 per CIE asintomatico e 0,63 per CIE sintomatico. Prendendo in considerazione la forma di presentazione dello staining, gli occhi con uno staining diffuso avevano un rischio 3,65 volte superiore di soffrire di CIE, rispetto a 1,58 volte per gli occhi con staining periferico (Carnt et al. 2007a). Oltre alla terapia farmacologica per episodi attivi significativi di SPCS, è possibile suggerire delle raccomandazioni per ridurre l’incidenza di SPCS in portatori di lenti a contatto. Fitting: un fitting non ottimale è da lungo tempo associato a crescenti livelli di riduzione del comfort e disturbo dell’integrità della superficie oculare. Sebbene non tutti gli studi associno questo problema all’aumento di SPCS, Nichols et al. hanno comunque riscontrato livelli maggiori di staining medio-grave nelle lenti con un fitting insufficiente (Nichols et al. 2002). Anche l’uso di lenti gas permeabili di conformazione piatta a livello di cornea centrale può far accrescere le possibilità di individuare lo staining puntato superficiale. Il fenomeno è stato osservato esaminando i pazienti sottoposti da poco ad ortocheratologia, soprattutto LUNEDÌ 10 NOVEMBRE quando la visita veniva effettuata al mattino (Walline et al. 2004), ma tendeva a ridursi fortemente dopo un periodo di adattamento. Un altro gruppo di pazienti particolarmente sensibile allo staining corneale è rappresentato da coloro che sono affetti da cheratocono. In tale caso, e particolarmente in presenza di lente piatta, si rileva staining corneale in un grande numero di pazienti (Edrington et al. 2004) Materiale della lente: se si ritiene che alla radice dello staining corneale associato a porto di lenti a contatto vi sia una data combinazione di lente/soluzione multipurpose (MPS), una opzione potrebbe essere quella di cambiare il materiale o la MPS o la combinazione di materiale/MPS (Papas et al. 2007). Qualora la secchezza sia dovuta a evaporazione del contenuto d’acqua della lente a causa di una notevole idratazione o di un design molto sottile, è giunto il momento di pensare a sostituire il materiale della lente o il suo design. Modalità di porto e di sostituzione: se le soluzioni sono un fattore causale dello SPCS, una potenziale strategia risolutiva potrebbe essere rappresentata dalla prescrizione di lenti monouso giornaliere. Altre strategie comportano la prescrizione di un porto esteso o continuo per ridurre al minimo il contatto con le soluzioni di manutenzione. Non è stato dimostrato che l’uso esteso sia correlato a livelli più alti di SPCS rispetto all’uso giornaliero (Jalbert et al. 1999). Per quanto concerne le tempistiche di sostituzione, lo studio di Nichols et al. ha dimostrato una correlazione positiva tra sostituzione convenzionale (annuale) e SPCS (Nichols et al. 2002). Sistema di manutenzione: una strategia ritenuta efficace in caso di staining corneale potenzialmente associato a soluzioni multipurpose è il ricorso a perossido di idrogeno (Papas et al. 2007; Carnt et al. 2007b). Lubrificazione / umettatura: è stato dimostrato che gocce lubrificanti di carbossimetilcellulosa prima dell’applicazione riducono significativamente l’incidenza di staining corneale in portatori di lenti a contatto morbide in hydrogel convenzionale (Coles et al. 2004) e in silicone hydrogel (Paugh et al. 2007). In conclusione, sulla base di un esame della letteratura e dell’esperienza personale, possono essere proposti al contattologo i suggerimenti seguenti che consentiranno di ridurre al minimo l’incidenza di staining corneale puntato superficiale: - E’ caldamente raccomandato l’uso di fluoresceina sodica in contattologia, ma è necessario seguire un protocollo standardizzato relativo a procedure di staining, condizioni degli strumenti, sistema di gradazione e raccolta dei dati. - Anche nei non portatori di lenti a contatto possono riscontrarsi frequentemente fenomeni di SPCS, che pertanto va considerato un segno da interpretare nel contesto di altre informazioni e non necessariamente una patologia. - Un fenomeno di SPCS positivo in portatori di lenti a contatto deve essere interpretato con cautela nel contesto della sua rilevanza clinica e della eventua- 17 LUNEDÌ 10 NOVEMBRE le necessità di trattamento. I gradi I e II di SPCS in genere non richiedono alcun intervento, ma in questi casi è raccomandato un follow-up ravvicinato in modo da tenere sotto controllo il potenziale progredire del fenomeno. I casi di SPCS sono stati correlati a eventi infiammatori (in genere asintomatici) ma non di natura infettiva. - Sebbene siano stati individuati diversi fattori di rischio, sia nei portatori sia nei non portatori di lenti a contatto, non è ancora stata scoperta la base cellulare di un SPCS positivo, e il suo ruolo di causa dell’indebolimento della barriera fisica epiteliale non è ancora stato confermato. - Le ricerche attuali non ci permettono di stabilire con certezza un legame diretto tra SPCS e mancanza di biocompatibilità con le soluzioni, o SPCS ed eziologia tossica o anche SPCS e riduzione del comfort e percentuali più alte di drop-out. - Alcune modalità di porto delle lenti a contatto, quali l’ortocheratologia notturna, possono determinare un aumento di casi di SPCS, soprattutto nelle sedute iniziali, e quando devono essere corretti gradi di miopia più alti. - E’ essenziale essere a conoscenza dei fattori di rischio per SPCS al fine di impedire che tale fenomeno raggiunga un livello clinicamente significativo nei portatori di lenti a contatto. SESSIONE PLENARIA - Lenti ad alta potenza negativa, non compliance rispetto ai sistemi di manutenzione, diabete, farmaci sistemici (contraccettivi orali, antipertensivi), fitting non corretto, programma di sostituzione convenzionale (ogni anno), fumo di sigaro e, in alcuni portatori, sistemi di manutenzione associati a certi tipi di materiali per lenti sono stati tutti correlati con un’accresciuta incidenza di SPCS. - Nel caso particolare della combinazione materiale/ soluzione, argomento tra i più controversi nell’ambito della contattologia, non è possibile determinare delle linee guida sulle combinazioni accettabili o meno, probabilmente perché a favorire la comparsa di un certo tipo di risposta è l’insieme di materiale della lente a contatto, ingredienti attivi nella soluzione, suscettibilità del paziente e forse altri fattori che si possono combinare tutti in maniera casuale. - Evitare i potenziali fattori di rischio, applicare gocce lubrificanti prima dell’applicazione delle lenti, strofinare e risciacquare le lenti dopo ogni utilizzo e prima della disinfezione, usare perossido di idrogeno, ottimizzare il fitting, e ricorrere a lenti monouso: sono tutti elementi che possono contribuire a evitare o risolvere i casi di SPCS nell’utilizzo delle lenti a contatto. 18 SESSIONE PLENARIA LUNEDÌ 10 NOVEMBRE Francesco Loperfido Responsabile del Servizio di Oftalmologia Generale e di Fluoroangiografia retinica presso l’Unità Operativa di Oftalmologia e Scienze della Visione dell’Ospedale San Raffaele di Milano. Autore di numerose pubblicazioni e articoli scientifici. La gestione delle infezioni e delle infiammazioni in contattologia L’incremento delle infezioni, delle infiammazioni e delle intolleranze alle lenti corneali richiede una valutazione e una visione poliedriche sia al momento della scelta del tipo di lente corneale e sia nelle successive valutazioni contattologiche e oftalmologiche. Non ci sono dubbi che sia le abitudini di vita che quelle lavorative e di svago, nonché l’uso cronico di farmaci, possono indurre dei cambiamenti di dinamica e composizione del film lacrimale che sono spesso le cause predisponenti di disturbi oculari e visivi, a volte ricorrenti e sottovalutati ma che improvvisamente sfociano in patologie più serie. Anche la scarsa o inadeguata manutenzione delle lenti, in contenitori poco adatti o non sempre sterili, innalza la soglia di rischio di infezioni ed abbassa la soglia di attenzione che va posta nella quotidiana gestione delle lenti. Ritengo che vada posta molta attenzione ai sintomi, ai segni, e ad un insieme di fastidi a volte subdoli e ricorrenti a cui frequentemente diamo delle giustificazioni che consolidano la voglia di non passare anche per qualche giorno all’occhiale. Con le lenti corneali idrofile anche gli ascessi corneali, se non in campo pupillare (in tal caso scema il visus) possono non dare dolore e quindi progredire sino a quando l’aggressività della patologia non ha determinato danni più seri. Quindi il dolore o il calo del visus non sono definibili sempre “campanello d’allarme” soprattutto nell’esordio della patologia nel portatore di lenti idrofile, mentre nelle gaspermeabili o rigide il tempo intercorso tra sintomi ed esordio spesso coincidono. Appare scontato il tema ricorrente tra idratazione della lente corneale e film lacrimale ma la diretta conseguenza di ciò comporta: - minori difese dell’occhio perché cala anche la percentuale di lisozima (batteriostatico presente nel film lacrimale) - la disidratazione della lente idrofila e di conseguenza la modifica dei suoi parametri - diminuito apporto di ossigeno sulla superficie corneale - perdita di continuità della superficie corneale che può essere causa di una possibile breccia per gli agenti patogeni di infiltrarsi nella struttura corneale. Subdole appaiono alcune patologie della cornea in portatori di lenti a contatto gas permeabili o ancora di più di lenti a contatto rigide perché a un occhio apparentemente indenne corrisponde una tale marcata distorsione delle mire corneali da falsare un cheratocono. Questo quadro prende il nome di warpage corneale. In tal caso il paziente non riesce assolutamente a sopportare una correzione con occhiali, privilegiando le lenti a contatto che per un effetto “corpetto” rimodellano la superficie corneale determinando una condizione visiva accettabile. Ciò però va a discapito dell’integrità e del metabolismo corneale. In questo caso, per interrompere il circolo vizioso, bisogna sospendere l’uso delle lenti, eseguire una mappa corneale che dimostrerà il mutamento dei parametri corneali dopo un paio di mesi dalla sospensione delle lenti. L’iperemia della congiuntiva bulbare, che nel gergo comune definiamo congiuntivite, è per i più un problema sottovalutato, ma bisogna precisare che quella parola è spesso accompagnata da altri termini che ne definiscono sia l’eziologia (allergica, batterica, virale, funginea) che la gravità (acuta, subacuta cronica). La sintomatologia all’inizio appare abbastanza comune a tutte le congiuntiviti bulbari: probabile calo del visus percepito come intermittente, bruciori, aumentata sensibilità alla luce, iperemia della congiuntiva o ad anello attorno alla cornea (pericheratica) o a settore (esterno - interno - superiore - inferiore), e solo successivamente si associa secrezione acquosa o più densa, di aspetto giallastro. E’ questo secondo momento, più tardivo, che solitamente causa preoccupazione nel paziente/utente e lo porta a rivolgersi all’oftalmologo per un consulto; questi però, trovandosi di fronte a patologia già in fase acuta, si trova a non avere armi terapeutiche locali sufficienti per la risoluzione della stessa. La cornea, che rammento non ha vasi ma è ricca di terminazioni nervose, è costituita dal 98% d’acqua, è protetta esternamente dalla continuità e dalla impenetrabilità, in condizioni normali, dall’epitelio corneale e all’interno dall’endotelio corneale confinante con l’umore acqueo. Le cheratiti, gli infiltrati corneali, le ulcere corneali negli stadi iniziali esordiscono molte volte con una sintomatologia comune alle semplici congiuntiviti. Di conseguenza, per il portatore di lenti a contatto l’approccio con il problema è configurato in una banale congiuntivite; in realtà, giunto in pronto soccorso o a un consulto oculistico, gli si prospetta persino il ricovero per le cure 19 LUNEDÌ 10 NOVEMBRE del caso. Il buon senso dovrebbe indurre a togliersi le lenti a contatto che rammento non vanno buttate ma conservate nel loro contenitore, perché attraverso un brodo di cultura e un antibiogramma possono aiutare tantissimo il medico a scoprire l’evento eziologico della patologia. Anche il ph lacrimale subisce delle notevoli variazioni diventando acido per le congiuntiviti di tipo batterico, basico per quelle di tipo virale. La variazione del ph comporta un problema di osmolarità e quindi una instabilità del film lacrimale che per effetto domino si ripercuote per lungo tempo nella cosiddetta “intolleranza da lenti a contatto”. Recentemente in Canada è stata diagnosticata una grave infezione da protozoi, come l’acanthamoeba, in un soggetto che faceva uso di lenti a contatto per la terapia overnight, ovvero terapia notturna con lenti a geometria inversa per ridurre la miopia. E’ chiaro che il veicolo poteva essere riconducibile a una inadeguatezza del protocollo di pulizia e disinfezione delle lenti raccomandate nelle istruzioni in allegato. Attualmente la sanità canadese ha chiesto esplicitamente di denunciare ogni caso simile legato alla terapia “Ok Overnight”. Generalmente questa infezione è veicolata da acqua inquinata e determina spesso un irrimediabile danno dello stroma corneale. Una delle più gravi cheratiti batteriche è determinata dallo pseudomonas aeruginoso che è estremamente invasivo in quanto provoca una erosione delle strutture oculari del segmento anteriore. Anche le infezioni funginee possono avere conseguenze estremamente gravi come quella da fusarium che non molto tempo fa è stata all’attenzione dei media sia per la gravità del caso che per il numero delle persone coinvolte, tutti portatori di lenti a contatto. I primi sintomi di cheratiti da fusarium sono rossore, lacrimazione e dolore agli occhi, calo visivo; i segni più specifici sono rappresentati da infiltrati corneali e SESSIONE PLENARIA lesioni ulcerose della cornea. La cheratite da fusarium è difficilmente trattabile e spesso si arriva al trapianto corneale. Naturalmente, come nelle altre patologie oculari, una diagnosi precoce aumenta le possibilità di guarigione. Molto più lunghe da curare sono le cheratiti virali sia con una terapia locale che a volte sistemica. La cheratite nummulare lascia molte volte numerose nubecole corneali quasi di aspetto morbilliforme che riducono l’acuità visiva. Queste ultime regrediscono molto lentamente e dopo terapia cortisonica di superficie (da non dare assolutamente nella fase acuta della cheratite, ma solo nella fase silente e /o cicatriziale). Le cheratiti da herpes zoster seguono l’andamento delle terminazioni trigeminali e possono coinvolgere direttamente la cornea con la presenza di vescicole ad andamento dendritico decisamente dolorose con lenta possibilità di recupero che, qualora avvenga, lascia un incremento di sensibilità alla luce e una fragilità dell’epitelio corneale. Spesso ne sono coinvolti soggetti che hanno un abbassamento delle difese immunitarie e ricorrenti vescicole erpetiche a livello labiale; le vescicole, infatti, sono veicolo attivo di virus. Vale la pena concludere dando alcuni suggerimenti utili che dovrebbero rientrare in linee guida e decaloghi da far firmare all’utente/ paziente affinché ne capisca e ne condivida la responsabilità in termini di manutenzione e gestione delle lenti a contatto. Un esempio in tal senso è l’uso di lenti a contatto giornaliere durante il periodo di vacanze in località marine, in quanto la lente con l’acqua salata tende a disidratarsi e a formare cristalli di sale che possono anche deteriorarne la struttura; così come la frequenza delle piscine può ingiallire le lenti a causa della presenza di cloro nell’acqua oltre a essere veicolo di forme fungine. 20 SESSIONE PLENARIA LUNEDÌ 10 NOVEMBRE Luigi Lupelli Docente di ruolo in Contattologia ed Optometria all’Istituto Superiore di Stato “E. De Amicis” di Roma. Titolare dell’insegnamento di ottica della Contattologia all’Università degli Studi “Roma Tre”. Presidente dell’Accademia Italiana Lenti a Contatto (AILAC). Le scale di gradazione: sono veramente utili? Le reazioni oculari indotte dall’uso di lenti a contatto sono usualmente analizzate tramite l’ispezione visiva, con l’aiuto di illuminazione ed ingrandimento adeguati, e descritte in maniera quali-quantitativa. Con l’obiettivo di meglio quantificare gli elementi caratteristici della condizione oculare osservata, e quindi di rendere meglio interpretabile e più facilmente comparabile nel tempo la registrazione dell’esame biomicroscopico, si sono sviluppate, in particolare nell’ultimo decennio, delle scale di gradazione contattologiche. Tali scale, che utilizzano descrizioni, o più frequentemente immagini, dovrebbero essere caratterizzate da: 1. attendibilità, 2. assenza di ambiguità semantica, 3. sistematicità della registrazione. Tra le numerose scale per immagini proposte in campo contattologico, hanno meritato una notevole distribuzione le CCLRU Grading Scales (immagini fotografiche in 4 livelli di gravità) e la “Efron Grading Scales” (immagini dipinte in quattro livelli di gravità in comparazione con la condizione di normalità). Entrambe sono facilmente reperibili, per essere distribuite anche da aziende che producono lenti a contatto, e sono sia in forma di poster che in forma di foglio A4 plastificato. In particolare quest’ultima versione appare piuttosto pratica per la possibilità di essere usata comodamente mentre si esegue l’esame biomicroscopico. Sia le Efon Grading Scales che le CCLRU Grading Scales si sono dimostrate affidabili e quindi rappresentano un utile sussidio nell’attività contattologica, in special modo quando è necessario fare, come spesso accade, delle comparazioni temporali. Comunque il loro uso, in Italia, nella pratica contattologica quotidiana è spesso marginale. Ciò è stato rilevato da un sondaggio eseguito tra ottici durante corsi ECM a tema contattologico. In conclusione le scale di gradazione contattologiche sono un valido strumento per quantificare le reazioni oculari indotte dall’uso di lenti a contatto. Esse paiono essere frequentemente utilizzate nella ricerca contattologica clinica ma in maniera marginale nella pratica. Ciò accade nonostante le scale CCLRU ed Efron siano notevolmente diffuse, di semplice reperibilità ed utilizzazione. Considerando che le scale di gradazione sono state validate e che la precisione della registrazione aumenta con l’esperienza che si acquisisce con il loro uso, si auspica che aumenti la coscienza dell’utilità delle scale di gradazione per registrare e comparare nel tempo le reazioni oculari indotte da lenti a contatto. 21 LUNEDÌ 10 NOVEMBRE SESSIONE PLENARIA Kathy Dumbleton Senior Researcher di facoltà al Centre for Contact Lens Research dell’Università canadese di Waterloo. Le sue ricerche in particolare riguardano le risposte oculari alle lenti a contatto, i materiali in silicone hydrogel e il discomfort. È Fellow della British Contact Lens Association (BCLA) e della American Academy of Optometry (FAAO). Cosa fanno i nostri clienti con le loro lenti a contatto? Quando si parla di lenti a contatto a volte è difficile credere a ciò che i nostri pazienti arrivano a fare con le loro lenti. Questa presentazione illustrerà una serie di esempi tratti dalla sezione « Domande e Risposte » di un sito internet per lenti a contatto. Gli esempi verranno discussi dal punto di vista della compliance nei programmi di sostituzione e manutenzione delle lenti a contatto. Dall’introduzione degli attuali sistemi di manutenzione, sono stati condotti diversi studi sulla non compliance nell’uso e nella manutenzione delle lenti a contatto. Verranno esaminati i risultati di queste ricerche nel contesto del rischio relativo e verranno riportati degli esempi dei problemi che possono insorgere se non si rispettano le pratiche corrette. SOMMARIO 1. Esempi comuni di non-compliance nel porto e nella manutenzione delle lenti a contatto: - Cambiare marca di lenti senza consultare il contattologo - Non sostituire le lenti con la frequenza raccomandata - Non lavarsi le mani (accuratamente) prima di maneggiare le lenti - Non usare un adeguato sistema di disinfezione - Utilizzare soluzioni scadute per le lenti a contatto - Non chiudere correttamente i flaconi delle soluzioni - Non seguire le istruzioni nello strofinare e risciacquare le lenti quando ciò è necessario - Non usare soluzione fresca dopo ogni periodo di porto - Manutenzione scorretta dell’astuccio delle lenti a contatto - Non pulire l’astuccio delle lenti a contatto - Non sostituire l’astuccio delle lenti a contatto - Dormire con le lenti a contatto prescritte per uso diurno - Appisolarsi con lenti a contatto prescritte per uso diurno - Continuare a portare lenti a contatto anche dopo che si sono avuti dei problemi - Condividere con altri le lenti a contatto! 2. Ricerche recenti sulla non-compliance: Morgan 2007 - 1402 portatori in Europa - Solo lo 0,3% di portatori di lenti a contatto diurne presenta una piena compliance - 33% non si lava sempre le mani accuratamente prima di maneggiare le lenti - Solo l’11% di portatori di lenti per uso diurno usa un sistema “strofina e risciacqua” per le lenti - Un terzo dei portatori di lenti per uso diurno riferisce di dormire con le lenti 3. Ricerche recenti sulla non-compliance: Dumbleton et al 2007 - 100 soggetti hanno risposto a domande sulla manutenzione abituale delle lenti a contatto all’inizio dello studio - 78% usava soluzioni multipurpose (MPS), 22% usava perossido di idrogeno (H2O2) - 46% degli utilizzatori di MPS non aveva mai seguito una procedura di “strofina e risciacqua” per le proprie lenti - 100% degli utilizzatori di H2O2 seguiva correttamente le istruzioni - Non compliance più frequente nei giovani (23 anni o meno) - 38% del gruppo MPS e 0% del gruppo H2O2 usava acqua del rubinetto per l’astuccio - Solo il 5% dei soggetti rispettava appieno la manutenzione dell’astuccio 4. Conseguenze della non-compliance: - Cheratite microbica (MK) - Cheratite da Acanthamoeba (AK) - casistica 2007 - Cheratite da Fusarium (FK) - casistica 2006 5. Rischio relativo e non-compliance: - Soluzione sbagliata e MK - 2X - Dormire con le lenti e MK - 4X - Non sostituire la soluzione e FK/MK - > 3X - Non lavarsi le mani e FK/MK - 4.5X - Non detergere o cambiare l’astuccio e MK - 4X - Studi recenti 22 SESSIONE PLENARIA 6. Gruppi a più alto rischio di non-compliance e complicanze: - Genere (maschi > femmine?) - Età (maggiore nei giovani e negli anziani?) - Grado di miopia, ipermetropia (maggiore Rx?) 7. Consigli per il successo: - Istruzioni scritte e orali - Ordinare ai pazienti di lavarsi sempre le mani prima di maneggiare le lenti a contatto - Ordinare ai pazienti di non usare mai acqua del rubinetto per lenti o astucci LUNEDÌ 10 NOVEMBRE - Ordinare ai pazienti di usare solo il sistema di manutenzione che avete suggerito voi - Ordinare ai pazienti di usare sempre soluzione nuova (mai aggiungere soluzione fresca a quella già usata) - Ordinare ai pazienti di usare una procedura “strofina e risciacqua” - Fornire istruzioni per una corretta manutenzione e sostituzione dell’astuccio per le lenti - Assicurarsi che i pazienti comprendano l’importanza della sostituzione programmata delle lenti - Parlare coi pazienti dei pericoli della non-compliance - Ribadire i punti relativi alla manutenzione alle visite successive alla prima 23 SESSIONE PLENARIA LUNEDÌ 10 NOVEMBRE Dennis Reid Presidente di una società di consulenza inglese di retail performance e ideatore di un modello misurabile di best practice per le vendite al dettaglio, le attività commerciali e l’assistenza post- vendita. Con un passato sportivo a livello internazionale anche come allenatore olimpico, Dennis Reid ha una filosofia di vita molto semplice: giocare per vincere. Implementare strategie efficaci di vendita e di orientamento al servizio in optometria Questa relazione pratica ed interattiva è rivolta ai proprietari e ai direttori di attività di optometria. L’obiettivo è condividere coi partecipanti i comportamenti, le competenze e i processi “Best in Class” che sono in grado di migliorare le vendite e le performance di assistenza post-vendita in ambito optometrico. La presentazione fornirà ai partecipanti gli strumenti e, cosa ancora più importante, il know-how per costruire un’attività al dettaglio redditizia e di grande successo. Obiettivi E’ stato dimostrato che il modello “Retail Performance Spciealists” (RPS), ideato da Dennis Reid, è in grado di assicurare ai punti vendita del settore optometrico in tutto il mondo aumenti di fatturato superiori al 10% mediante: - Condivisione di idee e concetti che hanno contribuito a costruire nel campo dell’optometria attività al dettaglio di livello mondiale - Illustrazione delle modalità con cui applicare idee e concetti relativi alla performance per ottenere dei risultati che garantiscano la trasformazione dell’attività Contenuti - Creazione di una propria visione del punto vendita e di un’esperienza vincente per il cliente - I Key Performance Indicators (KPI - Indicatori chiave di performance) che sono cruciali per il successo della vostra attività - Le 5 regole fondamentali per accrescere la fidelizzazione del cliente - Mantenere il miglioramento della performance nel lungo periodo attraverso una efficace gestione della performance - Formazione finalizzata a una performance incentrata sui risultati - Sviluppo di una forma mentis che conduca alla creazione di un’attività optometrica di livello mondiale - Il ruolo dei giochi e dei concorsi per creare un ambiente divertente Obiettivi di apprendimento Al termine della relazione i partecipanti saranno in grado di: - Capire quale sia l’approccio necessario per creare un’attività al dettaglio ‘Best in Class’ e una cultura dell’assistenza al cliente - Conoscere i processi per individuare e far progredire i Key Performance Indicators (KPI) fondamentali per l’attività - Sapere come elaborare dei piani di miglioramento della performance per migliorare le vendite e l’assistenza - Comprendere le 5 regole fondamentali per fidelizzare il cliente - Sapere come mantenere nel lungo periodo il miglioramento della performance mediante un’efficace gestione della performance - Individuare i 6 passi per costruire un’esperienza per il cliente che sia di assoluto livello mondiale - Sapere come motivare il personale affinché sia in linea con gli standard operativi relativi a vendite e assistenza - Conoscere quell’atteggiamento mentale che è necessario per creare delle attività al dettaglio di livello mondiale - Creare un ambiente di lavoro divertente che il personale apprezzerà particolarmente 24 SESSIONE PLENARIA LUNEDÌ 10 NOVEMBRE Brien Holden Ricercatore e relatore di fama mondiale. Scientia Professor alla School of Optometry and Vision Science dell’Università New South Wales in Australia. Fondatore e direttore del Cooperative Research Centre for Eye Research Technology, è Chair Global di “Optometry Giving Sight”. Lenti in silicone hydrogel e il futuro della contattologia Dall’epoca del primo utilizzo di una lente a contatto in vetro circa 120 anni fa, si è registrato un desiderio costante di migliorare sia i materiali di cui sono fabbricate sia di garantire un buon adattamento alla forma dell’occhio. Un passo avanti significativo è stato compiuto nei primi anni 60 del secolo scorso, quando Otto Wichterle e Drahoslav Lim hanno elaborato il primo materiale in hydrogel che potesse essere impiegato per una lente a contatto. Un fattore chiave che stimola lo sviluppo di lenti a contatto è la ricerca di materiali che consentano il flusso libero di ossigeno dalla superficie anteriore della lente alla superficie posteriore che poggia sulla cornea. Le ricerche di Ed Goodlaw negli anni 40 hanno dimostrato che per garantire delle prestazioni ottimali era essenziale superare il problema della mancata trasmissione di ossigeno attraverso la lente a contatto, fenomeno che determina l’ipossia corneale. L’introduzione sul mercato nel 1999 di lenti in silicone hydrogel (SiHy) da parte di Ciba Vision e Bausch & Lomb (B&L) ha comportato una vera e propria rivoluzione nel settore delle lenti a contatto. La prima generazione di lenti SiHy furono le Focus Night and Day di CIBA Vision e le PureVision di Bausch & Lomb. I nuovi materiali combinavano fluorosilicone e una struttura in silicone hydrogel. Fin da subito, al confronto con i materiali in hydrogel esistenti, i portatori di lenti a contatto sono stati in grado di ricevere un apporto notevolmente superiore di ossigeno al segmento anteriore dell’occhio, in primis all’epitelio corneale. Dal 1999 sono state immesse in commercio diverse lenti SiHy di seconda e terza generazione. Tra i produttori di queste lenti vanno annoverati: Johnson & Johnson Vision Care, Ciba Vision e CooperVision. Tali prodotti rappresentano dei passi avanti rispetto a materiali e geometrie della prima generazione e pertanto hanno ampliato significativamente le opzioni disponibili ai contattologi e ai portatori di lenti a contatto. Le lenti in silicone hydrogel ad alto Dk vantano gli stessi comfort, movimento e bagnabilità delle lenti a contatto morbide e hanno il vantaggio di eliminare gli effetti dell’ipossia. Stiamo ora assistendo a una crescita esponenziale nell’uso di queste lenti in tutto il mondo, grazie alla scomparsa di molte complicanze - quali microcisti, edema corneale e iperemia limbare - associate all’ipossia indotta da lenti a contatto. Per un numero crescente di contattologi le lenti in silicone hydrogel rappresentano la prima scelta da proporre ai pazienti indipendentemente dalla tipologia di porto, dal momento che tali lenti assicurano una maggiore salute metabolica. Tuttavia, l’alta permeabilità all’ossigeno non è l’unico requisito della lente perfetta. Persistono infatti i problemi di riduzione del comfort e di secchezza che sono le ragioni principali per cui i pazienti abbandonano le lenti a contatto. Devono inoltre essere prevenute le reazioni avverse. Ricerche sulle reazioni avverse che si hanno con queste lenti rispetto a quelle con basso Dk hanno dimostrato che c’è un livello simile di eventi infiammatori quali ulcere periferiche indotte da lenti a contatto, iperemia oculare acuta indotta da lenti a contatto e cheratite infiltrativa. La tossicità delle soluzioni associate all’utilizzo di lenti a contatto dipende dalla combinazione di materiali e sistemi di manutenzione. Un certo numero di studi ha valutato la risposta dell’occhio a diverse combinazioni soluzioni/lente a contatto. Sono evidenti le differenze in termini di staining tossico fra alcune di queste combinazioni. Si tratta di un’informazione utile per i contattologi e l’associazione tra staining e riduzione del comfort nel porto di lenti a contatto illustra quanto sia importante gestire correttamente lo staining tossico. Le prestazioni delle lenti in silicone hydrogel contemporanee stanno a indicare la necessità di ulteriori sviluppi nel campo della vera biocompatibilità con l’occhio in modo da poter mettere a punto la lente a contatto perfetta. Per promuovere un ulteriore passo avanti sarà necessario che le future generazioni di questi prodotti affrontino il tema di superfici antibatteriche e che siano messe a punto delle lenti per tutte le prescrizioni e tutte le fasce d’età. L’attività di ricerca attualmente in corso per migliorare le prestazioni delle lenti in silicone hydrogel ci garantisce un futuro brillante per tecnologia, geometria e performance clinica delle lenti a contatto. 25 SESSIONE PLENARIA LUNEDÌ 10 NOVEMBRE Claudio Belotti Esperto di comunicazione interpersonale è uno dei pionieri della PNL (programmazione neuro- linguistica) in Italia. Si è inoltre specializzato in linguistica direttamente con John Grinder (co-creatore della PNL) ed in coaching e leadership con Robert Dilts. Svolge da numerosi anni l’attività di executive coach per alcuni dei più importanti gruppi aziendali. Adesso tocca a noi! La Leadership considerata anche “la capacità di creare un mondo al quale altri vogliono appartenere” si è sviluppata e evoluta negli anni. In un primo tempo era considerata, a differenza del management, l’abilità di guidare invece che gestire. Nella leadership moderna si è tornati al significato originale della parola che nella sua radice anglosassone significa: “colui che va per primo”. Essere Leader significa quindi andare per primi. Essere, fare e avere modi e metodi che siano di esempio per tutti. Diventare colui o colei che definisce lo standard attraverso l’esempio e la congruenza. Guardare all’orizzonte della vision con il proprio ruolo (mission) ben chiaro e definito, guardare avanti mantenendo i piedi per terra e sapere che il raggiungimento di quell’orizzonte è possibile solo con l’azione costante e congruente. La Leadership moderna è basata su quattro abilità: Abilità Personali - essere allineati nelle azioni alla visione comune - essere coerenti con il messaggio che si presenta - essere consapevoli delle proprie mappe mentali Abilità Relazionali - avere abilità di comprensione e comunicazione efficace - avere la capacità di gestire le comunicazioni altrui - avere la capacità di capire e farsi capire Abilità di Pensiero Sistemico - massimizzare le procedure e le operazioni - saper analizzare il sistema e gli elementi di rilievo - saper effettuare un analisi della situazione attuale Abilità di Pensiero Strategico - saper definire lo stato attuale e lo stato desiderato (obiettivi e visione) - sviluppare un piano d’azione efficace e efficiente - conoscere le conseguenze delle azioni considerando il sistema allargato SESSIONE CASE HISTORIES 28 SESSIONE CASE HISTORIES Dino Marcuglia Ottico optometrista, laureando al Corso di Ottica e Optometria presso la facoltà di Scienze Matematiche Fisiche e Naturali dell’Università degli Studi di Firenze. Docente presso il corso di scienze optometriche presso EIDON-IRSOOFondazione Banca degli Occhi del Veneto. Docente nell’ambito del Master in Posturologia Clinica. Svolge attività professionale privata a Spinea (Ve). Applicazione post chirurgia lasik La casistica di pazienti con esiti da chirurgia refrattiva ha portato un approccio nuovo in contattologia. Tecnicamente un’applicazione in soggetti con queste problematiche, comporta un protocollo più particolareggiato, visto che le cornee in questi casi hanno subito profondi cambiamenti di forma. La tecnologia, con l’ausilio di topografi corneali computerizzati, unita a metodi di tornitura raffinati e polimeri super gas-permeabili, permette di affrontare casistiche molto complesse, con margini di successo molto alti. Non bisogna però trascurare altri aspetti molto importanti che rientrano negli ambiti psicologici e comportamentali dei pazienti che hanno subito questi danni. Una riflessione che tutti gli addetti ai lavori dovrebbero mettere in primo piano e quella di relazionarsi con questi soggetti con un approccio adeguato, rassicurante e positivo, prendendo in considerazione le motivazioni per cui alcune informazioni non sono state date, chi doveva darle e come. Infatti molto spesso queste persone si rivolgono all’ optometrista anche dopo anni di consulenze di vario ordine e grado. 29 SESSIONE CASE HISTORIES Carlo Tronti Ottico optometrista, nell’anno accademico 2005/2006 è stato Professore a Contratto di Contattologia presso il Corso di Laurea in Ottica e Optometria dell’Università del Molise facoltà di SSMMFF. Partecipa in qualità di relatore a congressi e corsi di specializzazione accreditati E.C.M. Piggyback Le lenti a contatto RGP sono tuttora le lenti di elezione nei casi di cheratocono e di cheratoplastica. Adattare una lente a contatto in questi casi è impegnativo, anche perchè un’applicazione non del tutto corretta può essere causa di problemi non trascurabili per il portatore. Quindi, il lavoro dell’optometrista deve essere orientato ad ottenere sia il massimo vantaggio in termini visivi, che anche (e forse primariamente) il rispetto di una superficie corneale che è già “provata” di suo. A volte, nonostante l’impegno profuso per risolvere positivamente un caso complicato, non si riesce ad ottenere un risultato ottimale. Problemi di centraggio della lente o disepitelizzazioni indotte da fattori meccanici, possono essere difficilmente risolvibili. Il “piggyback” (l’applicazione di una lente RGP sovrapposta ad una lente morbida applicata direttamente sulla cornea) può essere, in queste circostanze, un valido aiuto per risolvere una situazione che altrimenti costringerebbe a interrompere l’uso della lente o a limitarne il tempo di porto. La tecnica è in uso da diversi anni, e l’utilizzo del piggyback può essere previsto per tempi lunghi o anche temporaneamente per alcuni giorni o per alcune ore nella giornata e non necessariamente solo in soggetti con cheratocono o sottoposti a cheratoplastica. La scelta della lente morbida è uno dei fattori critici. Le lenti a sostituzione giornaliera, ed il silicone hydrogel, con le sue alte prestazioni in termini di trasmissibilità all’ ossigeno, offrono le armi migliori al contattologo che si cimenta in questa utile tecnica. Anche il potere della lente morbida, non inteso nel suo autentico significato, ma come fattore che condiziona la geometria della superficie esterna della lente stessa, può avere la sua importanza. Inoltre la lente rigida (tipicamente ad alto Dk) è la stessa lente che può essere applicata direttamente sulla cornea oppure una lente appositamente progettata per essere sovrapposta alla morbida. Il piggyback è una tecnica relativamente semplice, ma estremamente efficace per migliorare l’utilizzo delle lenti a contatto, e quindi la qualità di vita di persone che spesso dipendono totalmente dalle lenti per le loro attività quotidiana. Vedremo quindi alcuni esempi di casi trattati con tale metodica, compreso un esempio della più recente tecnica del”reverse piggyback”. 30 SESSIONE CASE HISTORIES Stefano Lore’ Ottico optometrista, svolge attività professionale privata a Roma. E’consulente di Contattologia presso l’ospedale San Carlo (Roma) e autore di numerose pubblicazioni scientifiche su riviste nazionali e internazionali e di relazioni a congressi di settore. OrtoK Un sempre maggior numero di ametropi manifesta il desiderio di ottenere la piena autonomia visiva senza indossare mezzi correttivi compensatori (occhiali o lenti a contatto applicate secondo i criteri tradizionali). Emmetropizzare e rendere “liberi” gli ametropi quanto più possibile è ormai la scommessa del prossimo futuro. Scommessa già vinta nell’ambito della chirurgia refrattiva che con trattamenti sempre più sicuri, veloci e personalizzati ha già donato la libertà da tutti i mezzi di compensazione a milioni di ametropi nel mondo. E’ certo che altrettanti ametropi per varie cause anatomo-fisiologiche o per scelta (timore nell’affrontare un trattamento invasivo) indossano con serenità occhiali sempre più tecnologici e di design e/o lenti a contatto con geometrie costruttive decisamente all’avanguardia e materiali sempre più biocompatibili da poter essere indossate anche ad uso prolungato soddisfacendo pienamente le aspettative funzionali e di comfort del portatore. In tutto questo panorama si inserisce una valida alternativa, almeno per i miopi medio-lievi: l’ortocheratologia. Conosciuta da tutti gli operatori del settore, ma applicata e proposta ancora da pochi professionisti, l’ortocheratologia, denominata anche “orto-k”, “ortofuoco” o “trattamento cheratoformativo di precisione” si propone, da più di 30 anni, come una tecnica che, attraverso l’utilizzo programmato di speciali lenti rigide nel passato, ed oggi di rigide gas-permeabili a geometria inversa, persegue lo scopo di ridurre o eliminare la miopia in modo transitorio “rimodellando” la cornea. Praticamente con l’adattamento di lenti per orto-k si può raggiungere lo stesso obiettivo che si ottiene con la fotocheratecomia refrattiva. in maniera decisamente meno invasiva. La moderna ortocheratologia viene definita “accelerata” perché il “rimodellamento” corneale lo si ottiene attraverso l’uso notturno, cioè l’utente inserirà le sue lenti a contatto solo durante il sonno. Le nuove geometrie associate a biomateriali con elevata permeabilità all’ossigeno modificano in maniera prevedibile la parte anteriore della cornea diminuendone l’altezza saggittale e accorciando la lunghezza assiale dell’occhio, in questo modo si riduce il potere generale della cornea e di conseguenza la miopia. Questo rapido cambiamento della forma della parte anteriore della cornea si ottiene in risposta alla pressione positiva o negativa esercitata dalla speciale geometria inversa della lente orto-k. Il cambiamento della morfologia corneale deriva quindi dalle forze esercitate sul film lacrimale tra la lente e la cornea che causano una graduale e stabile ridistribuzione dei fluidi e delle cellule epiteliali sotto la lente dal centro verso la periferia. Specificatamente l’epitelio corneale centrale si assottiglia a causa della pressione positiva esercitata dalla curva centrale piatta della lente, mentre la media periferia diventa più spessa a causa della pressione negativa del serbatoio anulare del film lacrimale creato sotto la seconda curva più stretta della lente; la centratura della lente è ovviamente un fattore critico. Il livello di risposta della cornea dipende dalla capacità di comprimersi dell’epitelio corneale e dall’elasticità del tessuto stromale medio-periferico, e varia da paziente a paziente. A tale scopo verranno discussi alcuni casi clinici che evidenzieranno, in modo più dettagliato, il metodo e le procedure da intraprendere. 31 SESSIONE CASE HISTORIES Fabrizio Zeri Optometrista, Laureato in Psicologia Sperimentale presso L’università La Sapienza di Roma, ha effettuato un dottorato di ricerca in Neuroscienze cognitive presso lo stesso ateneo. E’ Professore a Contratto di Ottica Visuale e Ottica delle LAC presso il CdL in Ottica e Optometria dell’Università Roma TRE. E’ Fellow della International Association of Contact Lens Educators (FIACLE), del British Contact Lens Association (FBCLA) e dell’Accademia Italiana di Lenti a Contatto (FAILAC). Endotelio e lenti a contatto L’endotelio corneale non viene toccato direttamente dalle lenti a contatto eppure sono molte le reazioni che esse possono scatenare su questo tessuto. Le tipologie principali di alterazioni che le lenti a contatto possono causare sono principalmente due: transitorie e durature. Le prime sono risposte edematose che si manifestano in riflessione speculare come piccole macchie nel mosaico endoteliale (blebs). Le seconde sono risposte “morfologiche”: le variazioni che si verificano in genere in tempi medio lunghi di uso di lenti a contatto inte- ressano l’area e la forma delle cellule (polimegatismo e polimorfismo). La ricerca scientifica ha chiaramente individuato che la responsabilità di entrambi i tipi di reazione, seppure con tempi diversi, è dell’acidificazione stromale indotta dall’ipossia che alcune lenti a contatto possono causare. Va segnalata comunque la notevolissima variabilità individuale di queste reazioni. Nell’intervento, attraverso casi clinici diversi, si analizzano le principali alterazioni endoteliali potenzialmente indotte dall’uso delle lenti a contatto. CORSI DI APPROFONDIMENTO 34 CORSI DI APPROFONDIMENTO CORSO 1 Carlo Raffaelli Esperto di programmazione neuro-linguistica, si è formato con i più importanti trainer internazionali. Collabora per il miglioramento della comunicazione medico-paziente con la Direzione della ASL di Pisa, con l’Ordine dei Tecnici Radiologi e con gli igienisti dentali di Pisa e Livorno. Da collaboratori a squadra unita Uno dei modelli più utili della PNL per la gestione di una squadra è quello dei livelli logici, i livelli di apprendimento e di cambiamento negli individui e nelle organizzazioni. Secondo il modello PNL dei livelli logici (livelli di pensiero), è possibile descrivere e comprendere un sistema in funzione di numerosi livelli diversi: - ambiente - comportamento - capacità - valori e convinzioni - identità - spiritualità A livello più basilare, ci si deve rivolgere all’ambiente in cui un sistema e le sue componenti agiscono e interagiscono; ad esempio, dove e quando si verificano le operazioni e le relazioni nell’ambito di un sistema o di un’organizzazione. Ad un livello diverso, possiamo esaminare le azioni ed i comportamenti specifici di un gruppo o di un individuo; ad esempio, che cosa faccia la persona o l’organizzazione in quel determinato ambiente. Quali sono, in particolare, gli schemi di lavoro, di interazione e di comunicazione? Un ulteriore livello del processo è quello delle strategie, delle abilità e delle mansioni con cui un’organizzazione o un individuo seleziona e intraprende le azioni all’interno dell’ambiente nel quale si trova ad opera- re; ci riferiamo al come dare origine e guidare i propri comportamenti all’interno di un determinato contesto. I valori e le convinzioni forniscono la motivazione e le linee guida che stanno dietro alle strategie ed alle capacità utilizzate per raggiungere dei risultati in termini di comportamento all’interno dell’ambiente; in pratica, perché le persone fanno le cose che fanno, in luoghi e momenti precisi. I nostri valori e le nostre convinzioni forniscono il rinforzo (la motivazione e il consenso) che supporta o inibisce determinate capacità e comportamenti. I valori e le convinzioni determinano il modo in cui si attribuisce un significato agli eventi e costituiscono il cuore dell’attività giudicante e culturale degli uomini. I valori e le convinzioni fanno da supporto al senso di identità degli individui e delle organizzazioni; in altre parole, sostengono il chi che sta dietro al perché, al come, al cosa, al dove e al quando. I processi al livello dell’identità riguardano il modo in cui le persone sentono il proprio ruolo e la propria mission rispetto alla loro vision e ai più vasti sistemi di cui fanno parte. Rimane ancora un livello, quello che possiamo definire “spirituale”. Questo livello ha a che vedere con la percezione delle persone dei sistemi più complessi a cui appartengono e dei quali partecipano. Questa percezione si riferisce al senso del per chi o per che cosa si agisce, e conferisce un significato e uno scopo alle proprie azioni, capacità, alle proprie convinzioni, alla propria identità e al ruolo che ad essa è connesso. 35 CORSO 2 CORSI DI APPROFONDIMENTO Claudio Belotti Esperto di comunicazione interpersonale è uno dei pionieri della PNL (programmazione neuro- linguistica) in Italia. Si è inoltre specializzato in linguistica direttamente con John Grinder (cp- creatore della PNL) ed in coaching e leadership con Robert Dilts. Svolge da numerosi anni l’attività di executive coach per alcuni dei più importanti gruppi aziendali. La comunicazione persuasiva per avere la compliance Per comunicare efficacemente in ogni situazione, è necessario stabilire un’atmosfera di reciproco rispetto, fiducia e confidenza in modo da guadagnarsi la collaborazione dell’interlocutore. Questa empatia è ciò che viene definito “rapport”. Si può anche dire che stabilire il rapport significhi “entrare in sintonia” con l’altra persona. È un fatto naturale che noi esseri umani tendiamo ad apprezzare chi è simile a noi. Rendendoci il più possibile “simili” alla persona che abbiamo di fronte creeremo un rapporto di simpatia e rilassamento. Come si crea il rapport? Si può creare il rapport ricalcando e rispecchiando un’altra persona. Possiamo ricalcare o rispecchiare il linguaggio del corpo dell’altra persona, la sua postura, i gesti, l’espressione facciale, i movimenti, al telefono possiamo ricalcare la voce, le sue parole, la velocità in cui parla ecc. Notate tutti questi particolari e ricalcateli durante la conversazione. In questo modo “dimostrerete comprensione”, ascolto e costruirete un ponte tra voi stessi e il suo modello del mondo, creando così una relazione tra voi. Il processo di rispecchiamento continuo è chiamato “Pacing”, che in italiano significa letteralmente “andare allo stesso passo” dell’altra persona. Questo accade quando la persona si muove e anche noi ci muoviamo ricalcando la sequenza dei suoi movimenti. Naturalmente è importante continuare ad ascoltare l’interlocutore durante tutte le fasi del ricalco: potrete così notare i cambiamenti e altri segnali che vi permettono di capire in che stato si trova. In altre parole, dovete calibrare la persona e, quando vedrete trasparire in lei un senso di rilassamento e fiducia saprete di essere in rapport. Quando due persone sono in rapport, entrambe si sentono a loro agio, come se fossero in casa propria. Spesso le persone esprimono verbalmente questo stato con frasi come “Mi sembra di conoscerti da una vita” o “È così facile parlare con te”. 36 CORSI DI APPROFONDIMENTO CORSO 3 Umberto Benelli Professore a contratto di “Topografia, aberrometria, vizi della refrazione” nell’ambito della Scuola di Specializzazione in Oftalmologia dell’Università degli Studi di Pisa. Svolge attività di ricerca presso il Dipartimento di Neuroscienza della stessa università. È autore di numerose pubblicazioni su riviste nazionali ed internazionali. L’endotelio corneale: aspetti fisiopatologici e diagnostica strumentale La cornea è la porzione anteriore e trasparente della tunica fibrosa dell’occhio della quale, con la presenza del film lacrimale, rappresenta il primo sistema diottrico. La sua struttura, pur articolandosi nella sovrapposizione di cinque distinti tessuti (epitelio, membrana di Bowman, stroma, membrana di Descemet, endotelio), è chiaramente riconducibile alla grande famiglia dei connettivi, di cui condivide due caratteri fisici fondamentali: la solidità e la resistenza. La perfetta trasparenza della cornea è la conseguenza della sua avascolarità e del perfetto funzionamento del sistema epitelio-endotelio nel mantenere costante l’idratazione corneale stessa. E’ importante sottolineare la sostanziale riparabilità dello strato più superficiale (epitelio) e, all’opposto, la grande vulnerabilità dello strato più profondo (endotelio), la cui eventuale discontinuità si risolve in un immediato aumento del tasso idrico corneale: infatti l’umore acqueo che bagna la faccia posteriore della cornea ma non può entrare nel suo stroma perché incapace di attraversare, in condizioni normali, la superficie endoteliale sana, può invadere lo stroma nei casi di malfunzionamento dell’endotelio. L’ingresso di umore acqueo nella cornea è infatti una delle cause della sua perdita di trasparenza. L’endotelio corneale è composto da circa mezzo milione di cellule di forma esagonale molto appiattite, fortemente aderenti fra loro e disposte in un unico strato; nel corso della vita, il numero delle cellule tende a diminuire, con parallela dilatazione delle superfici cellulari quale fattore di compenso. In particolare alla nascita sono presenti circa 4000 cellule endoteliali/mm2 che col passare degli anni diminuiscono e cambiano forma. In persone di 50-60 anni il numero di cellule endoteliali è in media compreso fra 2000 e 2500/mm2. La funzione principale dell’endotelio corneale è quella detta di “pompa”: in pratica le cellule endoteliali regolano, con un meccanismo principalmente “attivo” il passaggio di Sodio, Potassio e Calcio all’interno del tessuto corneale, contribuendo quindi a regolare la quantità di liquido presente nello stroma. In caso di malfunzionamento dell’endotelio si accumula di conseguenza del liquido nello spessore corneale (edema corneale) venendo meno quindi la trasparenze fisiologica della cornea. In varie situazioni patologiche il numero di cellule en- doteliali si riduce più velocemente del normale. A parte alcune patologie corneali come la sindrome di Fuchs è importante tenere in considerazione il fatto che le lenti a contatto rappresentano ancora oggi una delle principali cause di sofferenza endoteliale. Le lenti a contatto comportano infatti una serie di modifiche (transitorie e non) sugli strati della cornea che possono influenzare il successo dell’applicazione, in particolare a lungo termine. Fin dai primi anni in cui si è diffuso l’impiego delle lenti a contatto per compensare i difetti refrattivi non sono mancati i problemi legati soprattutto alla riduzione di ossigenazione dei tessuti causata dalle lenti. E’ noto infatti come il tessuto corneale abbia un’elevata attività metabolica che richiede un grande apporto di ossigeno: fino alla fine degli anni settanta si riteneva che i problemi di ossigenazione potessero influenzare solo lo strato esterno (epitelio) ed intermedio (stroma) della cornea, successivamente ci si accorse invece che la riduzione di ossigeno aveva influenza soprattutto sull’endotelio. In particolare la risposta classica dell’endotelio corneale consiste, in fase acuta, nella comparsa di “blebs” (modifiche transitorie) che si manifesta quando l’endotelio è messo sotto stress ipossico sia fisiologico (attraverso la chiusura palpebrale) sia meccanico (applicando una lente a contatto). Nel lungo termine invece, in caso di impiego di materiali non idonei o di cattivo utilizzo delle lenti a contatto, si assiste ad un progressivo e più veloce calo, rispetto alle condizioni fisiologiche, del numero delle cellule endoteliali. Le cellule cambiano quindi di forma e dimensioni ed in alcuni casi si può arrivare ad un vero e proprio scompenso corneale. Per evidenziare le alterazioni dell’endotelio corneale abbiamo da alcuni anni degli strumenti molto sofisticati. Si è passati infatti dalla possibilità di una valutazione grossolana dello stato dell’endotelio corneale utilizzando il biomicroscopio ad elevato ingrandimento (spesso con l’ausilio anche di una digitalizzazione delle immagini), all’introduzione sul mercato dei microscopi endoteliali a contatto e non a contatto e successivamente del microscopio confocale. In linea di massima un microscopio endoteliale effettua le seguenti valutazioni: - Analisi contact o non-contact completamente automatica dell’endotelio - Valutazione di dimensione, forma e densità delle cellule endoteliali 37 CORSI DI APPROFONDIMENTO - Studio dei dati relativi a polimegatismo, pleomorfismo e pachimetria - Confronto tra esami Il microscopio endoteliale non a contatto consente, senza alcun contatto col paziente, di acquisire automaticamente l’immagine dell’endotelio e di visualizzare alcuni parametri clinicamente utili relativi alle cellule, tra cui: numero e densità delle cellule, forma e superficie, area minima ed area massima, percentuale di cellule di varia forma, istogramma della distribuzione di dimensione delle aree, pachimetria. La procedura di acquisizione è gestita e realizzata via software, garantendo così una maggiore affidabilità ed una maggiore flessibilità di utilizzo. La camera digitale CCD utilizzata consente di ottenere immagini ben contrastate e di ottima qualità. I pazienti, gli esami e le immagini acquisite vengono archiviati all’interno di un database relazionale, consentendo la gestione dei dati acquisiti anche successivamente all’esame, e contemporaneamente ad altri strumenti. Durante il corso verranno illustrati gli aspetti fisiopatologici correlati all’endotelio corneale e le tecniche diagnostiche utilizzate. 38 CORSI DI APPROFONDIMENTO CORSO 4 Guido De Martin Ottico optometrista a Trento dove è responsabile di un centro di contattologia. Svolge studi e ricerche cliniche sullo sviluppo di nuove lenti a contatto come consulente per alcune aziende del settore. Relatore a congressi nazionali e corsi di formazione E.C.M. L’accompagnamento del presbite durante tutte le fasi applicative della lente a contatto La gestione del portatore presbite richiede una particolare cura da parte del professionista, sia per la maggiore attenzione applicativa richiesta da una lente a contatto multifocale, sia per la problematica che si può venire a creare durante le prime fasi d’uso delle lenti. Durante il corso si aprirà un filo scorrevole che attraverserà tutte le principali fasi applicative su un paziente presbite, dalla selezione alla compliance, cercando di mettere a fuoco i principali scogli che in genere trovano i portatori e che se non ben gestiti dall’applicatore, possono dare origine a fenomeni di sfiducia verso il prodotto e ad un probabile insuccesso applicativo. I presbiti degli anni 2000 hanno bisogno di professionisti con approcci proattivi verso la contattologia multifocale, che conoscano, capiscano e non sottovalutino la loro psicologia data dai nuovi stili di vita e che appare ben diversa da quella della precedente generazione. All’inizio del corso avremo una fotografia dei nuovi presbiti e analizzeremo i nostri possibili atteggiamenti attivi o passivi, verso questa loro necessità o richiesta di strade alternative all’occhiale tradizionale. Si continuerà poi con la fase di selezione del paziente valutando aspettative, stili di vita e predisposizioni all’uso di un simile ausilio visivo, non trascurando tutti i feed-back positivi e negativi che ci arriveranno dall’indagine sia in fase di anamnesi generale, che in quella specifica dell’ambiente oculare così spesso alterato e mutevole in soggetti di questa fascia d’età. L’ascolto del paziente, l’esame refrattivo e l’indagine oggettiva del segmento esterno oculare saranno la nostra guida verso la scelta del tipo di lente ideale sia nella geometria che nella componente polimerica del materiale. Di vitale importanza in tutte queste fasi è il mantenimento del dialogo professionista-paziente cercando di fornire al futuro portatore delle informazioni molto dettagliate di tutto il lavoro che stiamo facendo e della complessa tipologia di lente che stiamo per applicare. Questo renderlo partecipe attivo alle varie fasi di definizione della lente a contatto multifocale ideale ci permetterà di averlo come complice prezioso nel caso dovessimo effettuare variazioni applicative in fase di adattamento. Vedremo quali metodi e trucchi usare per riuscire ad avere direttamente dalla voce del paziente stesso la soluzione che appare per lui più reale e vicina alle sue aspettative. Seguiremo questo percorso fino ad arrivare al problem solving nelle principali difficoltà che possono comparire in fase di scelta e definizione della lente ideale. Sarà di supporto, durante il corso, l’uso di case report con i quali potersi confrontare in un interattivo scambio di valutazioni e possibili soluzioni di casi realmente apparsi nella pratica quotidiana. Anche in questi casi un occhio di riguardo va posto sul fattore compliance che spesso e volentieri dovrà venire riadattata e modificata in base alle difficoltà e perplessità che arriveranno dal feed-back del portatore sia durante la fase di consegna sia durante i controlli di routine programmati. In questi soggetti spesso e volentieri anche dei piccoli intoppi possono creare ansie e scoraggiamenti, basti pensare all’insicurezza di un paziente ipermetrope presbite che deve manipolare le nuove lenti ad una distanza dove per lui c’è solo nebbia fitta. Di enorme importanza in questa fase è per il paziente avere rassicurazione e la possibilità di comunicare con facilità con le persone di riferimento del centro di contattologia che potranno esser sia il contattologo stesso che una collaboratrice addetta alla consegna delle lenti. 39 CORSO 5 CORSI DI APPROFONDIMENTO Kathy Dumbleton Senior Researcher di facoltà al Centre for Conctact Lens Research dell’Università canadese di Waterloo. Le sue ricerche in particolare riguardano le risposte oculari alle lenti a contatto, i materiali in silicone hydrogel e il discomfort. È Fellow della British Contact Lens Association (BCLA) e della American Academy of Optometry (FAAO). Tecniche di valutazione dell’occhio secco La patologia e la sintomatologia dell’occhio secco sono tra le problematiche più comuni che l’oftalmologo si trova ad affrontare. Molto spesso i sintomi associati all’occhio secco non corrispondono ai segni clinici osservabili. Sono disponibili diverse tecniche per valutare l’occhio secco. Questo seminario prenderà in esame alcune delle metodologie disponibili per la valutazione dell’occhio secco (compresi questionari standardizzati), illustrando come questi test devono essere impiegati nella pratica clinica. SOMMARIO 1.Definizioni e classificazione dell’occhio secco (Rapporto del Workshop 2007 sull’occhio secco “L’occhio secco è una patologia multifattoriale con alterazione della lacrima e della superficie oculare che sfocia in una sintomatologia caratterizzata disturbi visivi, fastidio e instabilità del film lacrimale, con un danno potenziale alla superficie oculare. E’ associata a un aumento dell’osmolarità del film lacrimale e a infiammazione della superficie oculare.’ Classificazione secondo l’eziologia - Patologia dell’occhio secco (occhio secco con insufficiente componente acquosa e occhio secco evaporativo) - Patologia non riconducibile all’occhio secco (patologia associata alle palpebre e altre malattie della superficie oculare) Classificazione secondo i meccanismi - Iperosmolarità del film lacrimale - Instabilità del film lacrimale - Alimentazione (basso tenore di acidi grassi essenziali omega 3, alto rapporto omega 6 - omega 3, carenza di vitamina A) - Patologia sistemica, cancro, trapianto di midollo osseo - Alcuni farmaci - Ambienti a bassa umidità, uso del computer - Uso di lenti a contatto - Chirurgia refrattiva 3. Anamnesi, sintomi e questionari standardizzati: Valutazione soggettiva del sintomo di secchezza (SESoD) - Una domanda su livello di fastidio e frequenza dei sintomi - Frequenza dello score di secchezza McMonnies Dry Eye History Questionnaire - Questionario di screening - 15 domande, per lo più sì/no, e frequenza con score ponderato Canadian Dry Eye Epidemiology Study (CANDEES) - Usato negli studi epidemiologici di prevalenza dei sintomi di occhio secco in Canada - 13 domande, associazione di frequenza e intensità dei sintomi Ocular Surface Disease Index (OSDI) - Finalizzato a misurare la gravità della patologia da occhio secco (score 0 - 100) - 12 item (funzionalità visiva, sintomi oculari e fattori scatenanti ambientali) Classificazione secondo la gravità Dry Eye Questionnaire (DEQ) 2. Fattori di rischio per lo sviluppo di occhio secco Questionari sulla qualità della vita - Valutabile nella pratica clinica - Lieve, moderata, grave e frequente o costante senza stress, grave e/o disabilitante e costante - Definita secondo sintomi, segni e test clinici - Sesso femminile, età avanzata, terapia estrogenica post-menopausa - Usato in ricerche epidemiologiche e cliniche - 21 item su prevalenza, frequenza, gravità durante il giorno e invasività dei sintomi - Versione del DEQ per lenti a contatto con 13 domande - Questionario National Eye Institute Visual Function (NEI_VFQ25) - Questionario Impact of Dry Eye on Everyday Life (IDEEL) 40 CORSI DI APPROFONDIMENTO Domande chiave per la pratica clinica 4. Valutazione della funzionalità visiva: - Acuità visiva in LogMAR - Fluttuazione dell’acuità visiva - Sensibilità al contrasto 5. Esame del segmento anteriore: - Caratteristiche dell’ammiccamento - Patologie palpebrali - Blefarite anteriore - Disfunzione delle ghiandole di Meibomio 6. Test lacrimali e procedure di attuazione: Tempo di rottura del film lacrimale non invasivo (NITBUT) - Lacrimoscopio - Disco di Placido / topografo corneale Tempo di rottura del film lacrimale (TBUT) - Fluoresceina sodica (NaFl) Tempo di rottura sintomatica del film lacrimale (SBUT) 7. Test di stabilità lacrimale e procedure di attuazione: Flusso lacrimale - Schirmer 1 - Shirmer 2 (con anestetico) - Fluorofotometria Volume lacrimale - Test con filo rosso fenolo Menisco lacrimale / prisma - Valutazione con lampada a fessura - Tomografia a coerenza ottica (OCT) 8.Valutazione del danno sulla superficie oculare: - Colorazione - tecniche di gradazione per cornea e congiuntiva - Colorazione con fluoresceina - con filtro barriera giallo - Colorazione con rosa bengala - Colorazione con verde di lissamina 9. Test lacrimali avanzati ed esami di laboratorio: Test per la composizione del film lacrimale - Metodi di raccolta - Marker infiammatori, osmolarità, test di felcizzazione Valutazione della superficie oculare - Citologia a impressione - Microscopia confocale Esami sierologici - Sindrome di Sjögren - Artrite reumatoide 10. Uso dei test per valutare le strategie terapeutiche nella pratica clinica: Intervalli temporali adeguati - Questionari - Valutazione della funzionalità visiva - Valutazione della superficie oculare 41 CORSO 6 CORSI DI APPROFONDIMENTO Jennifer Craig Di recente ha fatto ritorno in Nuova Zelanda in qualità di Senior Lecturer in Optometry and Vision Science presso l’Università di Auckland, conservando il proprio incarico di Honorary Senior Lecturer in Ophthalmology. Ha conseguito un PhD in Fisiologia lacrimale nell’occhio normale e nell’occhio secco presso la Glasgow Caledonian University. Ottimizzazione del film lacrimale e valutazione della superficie oculare Un film lacrimale in perfetta salute nutre, lubrifica e protegge la superficie oculare. Qualsiasi disfunzione delle ghiandole lacrimali principali o accessorie, delle ghiandole di Meibomio, oppure di palpebre, cornea, congiuntiva, o ancora degli archi neurali riflessi (i componenti che nella loro interezza formano l’unità funzionale lacrimale) è alla radice di instabilità del film lacrimale, sensazione di sabbia e irritazione, infiammazione della superficie oculare e, a lungo andare, segni di danno della superficie oculare e compromissione della visione. La prevalenza dell’occhio secco aumenta con l’età e, data la tendenza all’invecchiamento della popolazione, è molto probabile che aumenti negli anni a venire l’impatto dell’occhio secco sui servizi per la gestione dei problemi oculari. L’occhio secco è una patologia multifattoriale che può essere suddivisa in due principali gruppi eziologici: occhio secco con ipolacrimia e occhio secco evaporativo. Il primo tipo comprende sia la sindrome di Sjögren sia le cause di disfunzione delle ghiandole lacrimali non associate a questa sindrome. L’occhio secco evaporativo può presentare cause intrinseche ed estrinseche. Tra le prime si annoverano la disfunzione delle ghiandole di Meibomio e le anomalie palpebrali, mentre quelle estrinseche comprendono l’uso di lenti a contatto e affezioni della superficie oculare, come ad esempio le allergie. I due tipi di occhio secco possono coesistere, ma è importante determinare la causa più probabile attraverso una dettagliata valutazione soggettiva e oggettiva del paziente con occhio secco in modo da poter gestire la patologia nella maniera più appropriata. Valutazione soggettiva La frequente incongruenza tra sintomi e segni dell’occhio secco rende molto impegnativa la valutazione soggettiva. Ogni questionario dovrebbe essere finalizzato a determinare rapidamente non solo il tipo e la frequenza dei sintomi, ma anche la storia personale di porto di lenti a contatto, precedenti trattamenti per occhio secco, sensibilità agli stimoli provocanti, uso di farmaci sistemici e patologie concomitanti. Anche la possibilità di assegnare uno score alle risposte del questionario è di aiuto nel tenere sotto controllo la progressione e la gestione della malattia e per massimizzare la coerenza inter-osservatore. Valutazione oggettiva La valutazione clinica del film lacrimale è estremamente complicata perché il film, nel suo stato naturale o basale, è un fluido trasparente, incolore di circa 7µl di volume e 7µm di spessore, ed è suscettibile di variazioni della composizione se vengono stimolate lacrime di tipo riflesso. Nessun test clinico è di per sé sufficientemente sensibile o specifico per diagnosticare l’occhio secco. Una valutazione oggettiva completa dell’occhio secco dovrebbe comprendere l’esame dello strato lipidico, di quantità e qualità delle lacrime e della qualità della superficie oculare. I test dovrebbero essere il meno invasivi possibile per consentire di valutare film lacrimale e superficie oculare in uno stato quanto più possibile vicino a quello “fisiologico”, e dovrebbero essere eseguiti ogni volta nello stesso ordine, dal meno invasivo al più invasivo. Palpebre, ciglia e strato lipidico L’occhio secco evaporativo può essere diagnosticato indirettamente mediante la valutazione clinica dello strato lipidico utilizzando una fonte di luce fredda ad ampio raggio insieme a un biomicroscopio senza illuminazione. I pattern interferometrici possono generare una stima dello spessore e della qualità dello strato lipidico. Indipendentemente dallo spessore, gli strati lipidici che coprono uniformemente la superficie del film lacrimale inibiscono l’evaporazione del film. Tuttavia, nell’area in cui si interrompe lo strato lipidico, l’evaporazione aumenta di 4 volte. I pazienti con uno strato lipidico sottile tendono a presentare un ammiccamento più di frequente proprio per mantenere intatto lo strato stesso. La valutazione delle ghiandole di Meibomio rappresenta un’altra modalità indiretta per identificare un paziente probabilmente affetto da occhio secco evaporativo. I pazienti con patologie a carico delle palpebre, quali la disfunzione delle ghiandole di Meibomio, mostrano spesso delle palpebre ispessite, fessurate e/o arrossate e gli orifizi delle ghiandole presentano essi stessi ispessimento o protrusione. In un occhio sano, la pressione digitale delle ghiandole dovrebbe provocare l’espressione di un liquido oleoso trasparente che può assumere, nei casi di disfunzione delle ghiandole di Meibomio, un aspetto torpido, ispessito e addirittura simile alla cera. Nelle valutazioni di routine si osserva frequentemente la blefarite, e questa può essere identificata mediante palpebre arrossate e con secrezioni oleose / desquamanti (blefarite seborroica) o la presenza di piccoli colletti intorno alla base delle ciglia 42 CORSI DI APPROFONDIMENTO (blefarite stafilococcica). Una forfora cilindrica intorno alle ciglia è fortemente indicativa di infestazione da Demodex. Quantità del film lacrimale Convenzionalmente si utilizza il test di Schirmer per valutare la quantità lacrimale, ma la sua invasività ne preclude l’impiego nei casi di occhio secco più lievi, a causa della stimolazione di lacrime di tipo riflesso. Non è consigliata l’anestesia topica dal momento che la lacrimazione riflessa continua a influenzare il test, in maniera ridotta ma variabile. Il test con il filo di cotone è un’alternativa meno invasiva per ottenere un’indicazione della quantità lacrimale. Quando viene agganciato sopra il terzo laterale della palpebra inferiore, analogamente alla striscia di Schirmer, il filo di cotone impregnato di rosso fenolo assorbe il fluido lacrimale leggermente alcalino e cambia colore da rosso a giallo. Un valore di meno di 10mm in 15 secondi sta a indicare un deficit della componente acquosa. Alcune delle informazioni più utili sulla quantità lacrimale possono essere ottenute in maniera non invasiva con un esame accurato con lampada a fessura per valutare altezza e regolarità del menisco lacrimale inferiore e superiore. Altezze sotto il valore di 0,2 mm (che possono essere misurate usando il regolatore calibrato di altezza del fascio disponibile sulla lampada a fessura) indicano una quantità ridotta del fluido lacrimale. Spesso nell’occhio secco le porzioni lacrimali marginali presentano una riduzione dell’altezza e anche una conformazione diversa. Qualità del film lacrimale La misurazione della stabilità del film lacrimale ci fornisce utili informazioni sulla qualità in generale del film. I test non a contatto sono ritenuti i migliori dal momento che l’instillazione di fluoresceina destabilizza il film lacrimale. In un test non invasivo le mire, come ad esempio quelle di un cheratometro o di un topografo, vengono riflesse dal film lacrimale. Il tempo che trascorre da un ammiccamento e il primo segno di distorsione delle mire, mentre il paziente si astiene dall’ammiccare, rappresenta il tempo di assottigliamento del film lacrimale. Dovrebbe sempre essere registrata la media di almeno tre valori. I valori non invasivi di stabilità sono generalmente più lunghi di quelli che si ottengono con la fluoresceina, in genere oltre i 20 secondi in un occhio normale rispetto agli oltre 10 secondi del tempo di rottura del film lacrimale che si ricavano con il tradizionale test alla fluorosceina. Ricerche all’Università di Auckland hanno dimostrato che è comunque possibile ottenere risultati validi con la fluoresceina, ma la quantità instillata deve essere minima, al massimo circa 1 µl. L’impiego di un filtro barriera giallo oltre che un filtro eccitatore blu cobalto potenzia la visualizzazione della fluorescenza. Superfici oculari É necessario effettuare una valutazione e una gradazione rispetto a una scala riconosciuta dell’iperemia congiuntivale palpebrale e bulbare. Se possibile ne va anche ottenuta un’immagine digitale. Condizioni di luce costanti e coerenza nella scala di gradazione sono fattori importanti che permettono di effettuare delle comparazioni in occasioni delle visite successive. Nell’occhio secco possono essere osservate delle pliche congiuntivali parallele a livello palpebrale che costeggiano il bordo posteriore della palpebra nella direzione primaria dello sguardo. Pliche multiple sono associate a un aumento del rischio di occhio secco. In pazienti asintomatici, in assenza di reperti clinici di routine, può essere osservata l’epiteliopatia dell’area di sfregamento palpebrale. All’eversione della palpebra superiore, si ha una buona visualizzazione dell’area di sfregamento con staining rosa bengala e successivamente fluoresceina Agenti di staining agevolano anche la visualizzazione del danno cellulare corneale e della congiuntiva bulbare. Essendo esami invasivi, dovrebbero essere eseguiti al termine della valutazione. La fluoresceina sodica evidenzia la perdita cellulare epiteliale, mentre il rosa bengala o il verde di lissamina evidenziano in primis cellule morte o devitalizzate. L’applicazione del verde di lissamina produce meno irritazioni del rosa bengala, ma può richiedere diversi minuti prima di raggiungere l’effetto massimo. Anche in questo caso, per ottimizzare la riproducibilità, lo staining dovrebbe essere valutato rispetto a una scala di gradazione riconosciuta. Conclusioni Non c’è alcun dubbio sul fatto che l’occhio secco è una patologia complessa che continuerà a rappresentare nel futuro una sfida per i professionisti. Tuttavia, un’attenta valutazione clinica, che idealmente dovrebbe comprendere almeno un test da ognuna delle quattro sezioni sopra descritte, possa contribuire a determinare la causa più probabile dell’occhio secco e a selezionare la strategia di gestione più appropriata. ABSTRACT POSTER 46 ABSTRACT POSTER POSTER 1 Uso protesico di una lac morbida sclerale su un occhio sfigurato con deviazione elevata Fabrizio Zeri Ottica e Optometria - Dipartimento di Fisica, Facoltà di Matematica, Fisica e Scienze Naturali - Università Roma Tre; Dipartimento di Psicologia “La Sapienza” Università di Roma; Pratica Privata, Roma. Introduzione Le lenti a contatto (lac) possono essere utilizzate per ripristinare normali condizioni estetiche oculari che molte affezioni acquisite o congenite sono in grado di alterare. Le lac impiegate per questo uso vengono chiamate protesiche, differenziandole dalle lac cosmetiche, usate per modificare il colore degli occhi. La diffusione delle lac protesiche, a scapito delle protesi oculari, sembra destinata ad aumentare per la tendenza della moderna chirurgia oculare a risparmiare, laddove possibile, l’enucleazione nei casi di traumi oculari (Lazarus, 2007). Il beneficio estetico, con chiare ricadute positive psicologiche che queste lac possono fornire a pazienti con condizioni oculari come leucomi, aniridie, strabismi elevati, può essere notevole. Nel caso clinico riportato, una condizione di alterazione estetica monoculare unita ad una forte exotropia viene affrontata con una lac protesica morbida sclerale. Descrizione del caso clinico AA è un operaio di 34 anni che a 3 anni, in seguito a un trauma perforante sull’os, viene sottoposto ad una serie di interventi chirurgici che evitano una possibile enucleazione, ma non la perdita della funzionalità visiva e una severa compromissione estetica. Il quadro presente sull’os è il seguente: leggero esoftalmo e buftalmo, forte disorganizzazione della struttura irido-pupillare (lacerazioni, sinechie corneali), afachia, opacità corneale ad andamento verticale, esito cicatriziale della lesione, ed exotropia di oltre 60Δ. L’epitelio cornea- le si presenta irregolare, con piccole aree ectasiche e di depressione ma assenza di disepitelizzazione. Il caso viene affrontato usando una lac morbida ad ampio diametro con decentramento del pattern iridopupillare dipinto a mano con sistema a “sandwich” e un sistema di stabilizzazione a troncatura per compensare l’angolo di strabismo (Phillips, 1989). La lente “definitiva” presenta un BOZR di 9,50 mm, un TD di 18,50mm e una troncatura superiore. Risultati L’applicazione di una lac protesica morbida sclerale ha prodotto sul caso clinico in questione risultati estetici soddisfacenti, assicurati dalla sua buona stabilità che mantiene il pattern irido-pupillare artificiale nella posizione ricercata per compensare l’angolo di exotropia. La risposta oculare e il comfort sono risultati ottimali anche dopo un porto diurno di 12 ore. Discussione e Conclusione L’uso delle lac protesiche è una straordinaria risorsa per il ripristino di normali condizioni estetiche oculari con forti benefici psicologici (Lazarus, 2007; Zeri e Lupelli, 1997). La “soluzione” di una condizione come quella presentata, che poteva richiedere l’impiego di lac sclerali rigide la cui applicazione richiama a competenze più specialistiche, viene trovata con una lac morbida, certamente complessa, ma il cui terreno applicativo può risultare più familiare al contattologo. 47 ABSTRACT POSTER POSTER 2 Il fenomeno drop out visto dai formatori italiani di lenti a contatto Fabrizio Zeri Ottica e Optometria - Dipartimento di Fisica, Facoltà di Matematica, Fisica e Scienze Naturali - Università Roma Tre; Dipartimento di Psicologia “La Sapienza” Università di Roma; Pratica Privata, Roma. Introduzione L’abbandono dell’uso delle lenti a contatto da parte dei portatori, fenomeno conosciuto come drop-out, rappresenta una “emorragia” nel mercato della contattologia di dimensioni rilevanti. La consapevolezza del fenomeno è cresciuta solo negli ultimi anni (Pritchard e coll, 1999; Morgan, 2001) anche perché il flusso in uscita viene nascosto dalle nuove applicazioni che mantengono pressoché fermo il numero totale di portatori. Comprendere le cause e i fattori d’influenza alla base del drop-out è una sfida che impegna clinici e ricercatori nel tentativo di arginare il fenomeno. Il presente lavoro rappresenta un’indagine sui fattori d’influenza del drop-out in Italia svolta in maniera indiretta, consultando cioè l’opinione di esperti italiani di contattologia. Metodo Un questionario costruito al fine d’indagare il peso di diversi fattori sul fenomeno del drop-out è stato sottoposto a formatori italiani del settore contattologico. Nel questionario veniva richiesto d’indicare in base alla propria esperienza il peso “locale”, cioè relativo all’Italia, di 18 diversi fattori sul drop-out. Il giudizio veniva richiesto su una scala da 1 a 10 dove 1 rappresentava nessuna influenza e 10 la massima influenza sull’aumento del drop-out. Risultati Sono stati compilati 43 questionari. I fattori studiati sono stati divisi in 5 aree principali: fattori ambientali, fattori legati ai pazienti, fattori legati agli specialisti, fattori economici e altri fattori. L’area più importante ai fini del drop-out si è rivelata quella degli “Specialisti” (7,3±1,3) seguita dall’area “Pazienti” (6,5±1,5). Le altre aree sono risultate significativamente più basse nei confronti a coppia con le prime due (p<0,01) e non diverse tra loro. Nella categoria “specialista” i fattori più importanti sono risultati la mancanza di controlli (8,4±1,1), le scelte del contattologo (8,0±1,5) e la scarsa educazione del “paziente” (7,6±1,8). Nella categoria “paziente” il fattore con punteggio più alto è risultato il fai da te (7,8±1,6) seguito dalla non compliance (6,5±2,2) e dai fattori culturali (5,1±2,0) tutti tra loro significativamente diversi (p<0,01). Conclusioni La lettura che i formatori italiani di contattologia danno del fenomeno drop-out in Italia indica che è proprio tra gli “attori” principali del settore (contattologi e pazienti) che possono nascondersi importanti fattori in grado di concorrere all’aumento del drop-out. E’ lavorando al miglioramento di conoscenze e competenze ma anche delle capacità comunicative (Chalmers e Bebley, 2005) che il contattologo può arginare molti di questi fattori incidendo positivamente sulla riduzione del drop-out. 48 ABSTRACT POSTER POSTER 3 Ortocheratologia notturna e cross-linking nel cheratocono Antonio Calossi Docente Corso di Laurea in Ottica e Optometria, Facoltà di Scienze MFN, Università degli Studi di Torino Ferdinando Romano, Giuseppe Ferraioli, Vito Romano; Ospedale Civile di Caserta. Scopi Abbiamo condotto uno studio prospettico per verificare se fosse possibile migliorare la qualità della visione dei pazienti affetti da cheratocono mediante l’ortocheratologia notturna e se fosse possibile stabilizzare gli effetti del rimodellamento della cornea attraverso il cross-linking del collagene corneale. Metodo Per il modellamento corneale abbiamo sviluppato una lente a contatto esacurva a geometria inversa progettata in modo specifico per essere adattata su un cheratocono. Il materiale era un fluoro-silossano-acrilato altamente permeabile all’ossigeno (Boston XO, hexafocon-A, Dk 100). Abbiamo selezionato un gruppo di 5 occhi di 4 pazienti (3 femmine, 1 maschio), di età compresa fra 22 e 43 anni, a cui era stato diagnosticato un cheratocono sulla base della topografia corneale e di altri segni clinici, affetti da sintomatologia visiva e intolleranti alle lenti a contatto convenzionali, con una pachimetria >400 micron. I pazienti hanno seguito un programma di ortocheratologia notturna per tre mesi, quindi sono stati sottoposti ad un intervento di crosslinking del collagene corneale con riboflavina + UVA seguendo il protocollo del gruppo di Siena. Dopo avere atteso un mese per il processo di guarigione dopo il cross-linking, è stata ripresa l’ortocheratologia notturna, all’inizio per tre settimane mediante piggy-back (le stesse lenti RGP più una lente in silicone idrogel di bendaggio), poi solamente con la lente RGP per altri due mesi, dopodiché l’uso di qualsiasi tipo di lente a contatto è stato interrotto. I dati sono stati raccolti a livello di base prima di iniziare il trattamento ortocheratologico, dopo tre mesi di ortocheratologia notturna, quattro mesi dopo il cross-linking (un mese dopo l’interruzione dell’ortocheratologia) e un anno dopo il cross-linking. Risultati In tutti i casi la topografia corneale ha mostrato un miglioramento del profilo della cornea con una riduzione delle aberrazioni corneali. Un mese dopo l’interruzione dell’ortocheratologia, la topografia e le aberrazioni corneali sono tornate come prima e sono rimaste allo stesso modo un anno dopo il cross-linking. Sia l’acuità visiva naturale sia l’acuità visiva corretta sono migliorate in modo significativo durante i tre mesi di ortocheratologia, questo miglioramento si è ridotto un mese dopo l’interruzione dell’ortocheratologia notturna (quattro mesi dopo il cross-linking), ma non è ritornato al livello di base. Non sono state osservate reazioni avverse durante i tre mesi di ortocheratologia notturna. Dopo il trattamento di cross-linking un occhio ha mostrato un difetto epiteliale con una irite asintomatica. Questa complicanza si è risolta dopo un mese di terapia steroidea ed il trattamento ortocheratologico è continuato. Dopo quattro mesi e ad un anno dal crosslinking non sono stati osservati segni significativi. Conclusioni L’ortocheratologia notturna può rimodellare la cornea affetta da cheratocono senza reazioni avverse significative. Il cross-linking del collagene corneale con riboflavina e UVA è abbastanza sicuro, ma non è in grado di stabilizzare il modellamento corneale. Tuttavia, l’acuità visiva è rimasta migliore di prima del trattamento. Allo stato attuale non siamo in grado si spiegare questa discrepanza. 49 ABSTRACT POSTER POSTER 4 Spessore dell’epitelio corneale e spessore della cornea umana misurato in vivo con l’OCT Fourier Domain Mauro Frisani Optometrista, CdL di Ottica e Optometria, Università degli Studi di Torino; Antonio Calossi Optometrista, FAILAC, FBCLA, Docente CdL di Ottica e Optometria, Università degli Studi di Torino. Introduzione La tomografia a coerenza ottica (Optical Coherence Tomography, OCT) è una metodologia di analisi non invasiva e non a contatto con cui è possibile ottenere immagini ad alta risoluzione in scala micrometrica della retina e della cornea. È utilizzata prevalentemente in oftalmologia per lo studio della retina e, talvolta, del segmento anteriore. In campo contattologico, l’OCT è stato impiegato soprattutto in lavori di ricerca per la misura dello spessore del film lacrimale pre-corneale e pre- e post-lente a contatto, nello studio del rigonfiamento corneale dovuto all’ipossia, nello studio topografico delle variazioni di spessore dell’epitelio e dell’intera cornea dopo l’utilizzo di vari tipi di lenti a contatto e nel modellamento corneale con lenti da ortocheratologia. I recenti progressi nella diagnostica per immagini applicando l’OCT Fourier Domain hanno permesso di ottenere un miglioramento nella velocità di esecuzione e nella risoluzione avvicinando l’OCT all’obiettivo di valutare le strutture oculari in vivo con lo stesso livello microscopico delle tecniche di istologia. Scopi Per valutare l’intervallo di normalità dello spessore epiteliale e stromale della cornea centrale, abbiamo impiegato un apparecchio OCT Fourier Domain RTVue 100 Cam (Optovue, Inc, Northport Loop, Fremont, CA, USA). Un nostro lavoro precedente ha mostrato che la risoluzione di questo strumento permette di visualizzare in vivo l’epitelio corneale, la membrana di Bowman e lo stroma, con un livello di precisione di 1.8 micron (errore relativo 3.4%) per la misura dello spessore dell’epitelio corneale. Materiali e metodi Sono state acquisite una serie di immagini tomografiche della cornea di 68 occhi di 34 soggetti adulti (14 maschi, 20 femmine) di età compresa fra 19 e 65 anni (media 37 anni), non precedentemente sottoposti ad alcun tipo di chirurgia oculare, senza alterazioni manifeste della cornea e della superficie, non portatori abituali di lenti a contatto. I soggetti esaminati sono stati sottoposti a scansioni mediante una lente accessoria per l’analisi corneale in dotazione allo strumento. Si è prestata particolare attenzione all’allineamento dell’occhio esaminato rispetto al piano perpendicolare dell’obiettivo d’esame, alla riduzione degli artefatti causati dalla diversa riflettanza del film lacrimale rispetto alla riflettività dei tessuti corneali e si è cerca- to di distribuire il segnale di riflettanza sulla superficie corneale in modo uniforme e costante. Le acquisizioni sono state valutate per qualità grafica utilizzando un indice di qualità dell’immagine fornito dallo strumento stesso (SSI, image quality signal strenght index). Tutte le scansioni sono state eseguite al centro della cornea, lungo il meridiano orizzontale, mentre il soggetto esaminato guardava una mira di fissazione centrale per controllare l’allineamento. Durante ogni sessione d’esame sono state acquisite dieci scansioni per ogni singolo occhio, ognuna delle quali è stata impostata come media di sedici immagini ogni scansione. Per l’analisi dei dati sono state scelte per ogni occhio le tre scansioni con valore di SSI più alto. Per evitare l’interferenza statistica, i dati di tendenza e di distribuzione sono stati analizzati solo per l’occhio destro di ogni singolo soggetto, mentre i dati dell’occhio sinistro sono stati utilizzati per un’analisi di correlazione fra i due occhi. Risultati Lo spessore epiteliale centrale è risultato in media 54 micron (σ ±4,5 μm), con un intervallo compreso fra 46 e 68 μm; lo spessore dello stroma centrale 489 micron (σ ±38 μm), con un intervallo compreso fra 368 e 540 μm; lo spessore complessivo della cornea centrale 543 micron (σ ± 40μm), con un intervallo compreso fra 425 e 595 micron. Lo spessore epiteliale medio dell’occhio destro non è risultato significativamente diverso da quello dell’occhio sinistro (t-test di Student: p > 0,05), con una discreta correlazione fra i due occhi (coefficiente di correlazione di Pearson (R) = 0,59, p <0.001); anche lo spessore medio dello stroma centrale dei due occhi, non è risultato significativamente diverso (p > 0,05), con un livello di correlazione molto alto fra i due occhi (R=0,96, p <0,0001). Ugualmente, lo spessore complessivo della cornea centrale ha mostrato lo stesso livello di correlazione fra i due occhi. Non abbiamo rilevato una correlazione significativa fra lo spessore dell’epitelio e quello dello stroma (R=0,22, p > 0,05). Allo stesso modo non abbiamo riscontrato una correlazione significativa fra lo spessore dell’epitelio e quello dell’intera cornea centrale (R=0,33, p >0,05). Abbiamo invece osservato un alto livello di correlazione fra lo spessore dell’intera cornea e quello dello stroma (R=0,99, p <0,0001). Non abbiamo osservato una correlazione significativa fra spessore epiteliale ed età (R= -0,9, p >0,05), così come per 50 ABSTRACT POSTER lo spessore dello stroma (R=0,15, p >0,05), e quello dell’intera cornea centrale (R=0,14, p >0,05). Conclusioni L’OCT Fourier Domain si è rivelato una strumento efficace nella misura dello spessore corneale e nella differenziazione fra la componente stromale e quella epiteliale. La risoluzione di questo strumento è tale da rendere visibile anche la membrana di Bowman. La mancanza di correlazione fra lo spessore epiteliale e quello dello stroma fa capire che non è possibile stimare lo spessore dell’epitelio a partire da una misura dell’intera cornea che non sia in grado di separare le due componenti. La tomografia a coerenza ottica è uno strumento utile per lo studio morfometrico dell’epitelio e dello stroma della cornea umana in vivo e può rilevarsi particolarmente utile per misurare gli effetti delle lenti a contatto su queste strutture corneali. 51 ABSTRACT POSTER POSTER 5 L’atteggiamento verso le lac: genitori e figli a confronto Fabrizio Zeri Ottica e Optometria - Dipartimento di Fisica, Facoltà di Matematica, Fisica e Scienze Naturali - Università Roma Tre; Dipartimento di Psicologia “La Sapienza”, Università di Roma. Maurizio Maltese Consultorio Giovani di Genzano della A.S.L. RM H. Istituto di Formazione e Ricerca per Educatori e Psicoterapeuti di Roma Introduzione Sconsigliare l’uso della lac prima dei 18 anni era una prassi comune tra gli specialisti, che sta velocemente scomparendo (Lupelli, 2003). L’effetto è che sempre più teenagers richiedono un’applicazione di lac. Questa fascia d’età rappresenta peraltro un bacino estremamente ampio di possibili portatori: negli Stati Uniti circa 1 ragazzo su 3 tra i 12 e i 18 anni usa una correzione (Kemper e coll, 2004). L’applicazione delle lac a quest’età, deve però essere necessariamente “condivisa” con i genitori. In questo processo, reso complesso dalle particolari dinamiche adolescenziali, entrano pregiudizi e convinzioni di giovani e genitori che lo studio esplorativo qui presentata ha cercato di mettere a fuoco. Metodo E’ stato utilizzato un questionario al fine d’indagare gli atteggiamenti verso le lac di giovani adolescenti, tra i 13 e i 19 anni, e di genitori con figli di quest’età. In particolare, si è cercato d’individuare la loro opinione su: -quanto le lac soddisfano delle necessità estetiche, visive e pratiche; -quanto questo ausilio è valido in termini di efficacia, sicurezza e comodità. In entrambi i casi è stato richiesto un giudizio in generale e uno nello specifico nell’età adolescenziale. Risultati Sono stati intervistati 52 genitori (età media 46±5,7) e 75 giovani (età media 15,5±2,0). Solo due confronti between genitori-giovani per le variabili considerate sono risultati significativi (p<0,05): i genitori credono più dei giovani che le lac in età adolescenziale soddisfano una necessità estetica e allo stesso tempo le considerano di più di loro uno strumento, che senza riferimenti all’età, è efficace. I confronti within relativi alle opinioni sulle lac in funzione di un età generale e un’età adolescenziale indicano che i genitori modificano le opinioni sulle lac in funzione di questo fattore mentre gli adolescenti non lo fanno, ad eccezion fatta per la necessità estetica delle lac che, anche loro al pari dei genitori, credono sia maggiore per i giovani (p<0,05). Conclusioni Lo studio condotto mostra che molte opinioni riguardo alle lac sono diverse tra genitori e figli. In particolare mentre i genitori cambiano la loro idea su diversi aspetti delle lac se queste sono applicate sugli adolescenti, i figli non lo fanno. Questo può rimandare ad una dinamica adolescenziale di sentirsi o volersi sentire a tutti gli effetti degli adulti. Conoscere opinioni e atteggiamenti che genitori e figli hanno verso le lac è molto importante per il contattologo al fine di gestire una dinamica applicativa caratterizzata dalla presenza di più attori. 52 ABSTRACT POSTER POSTER 6 poster fotografico No Rub Generation ? ... No thank Cristina Mazzoni - Gudo De Martin Visione offuscata? Aloni alle luci? Lenti scomode? Prima di cambiare le lenti controlla il regime di manutenzione I depositi lipidici lacrimali ed esterni, trucco, vengono eliminati solo con l’azione meccanica. L’80% dei microrganismi viene eliminato con il semplice strofinio della lente 53 ABSTRACT POSTER POSTER 7 Valutazione delle alterazioni endoteliali, eventi avversi e variazioni della sensibilità al contrasto indotte dall’utilizzo di tre lenti in silicone idrogel a porto giornaliero Oliana Patrizia La diffusione delle lenti a contatto ha registrato un rapido aumento dagli anni ’70 ad oggi. Ciò è dovuto alla nascita nel 1968 delle prime lenti a contatto (lac) morbide che per il loro maggior comfort e la maggior velocità di adattamento sono state adottate da un numero sempre crescente di portatori che è stimato ad oggi in 110 milioni di persone. Le lac morbide, chiamate anche idrogel, hanno risolto alcune delle complicanze corneali legate alle lenti rigide gas permeabili (RGP) le uniche disponibili fino alla scoperta delle lac in materiale morbido. Anche se questo materiale ha portato enormi vantaggi, non è esente da modifiche fisiologiche della cornea. La bassa trasmissibilità all’ossigeno del materiale idrogel ha spostato l’attenzione sulle complicanze da ipossia. Inoltre la richiesta da parte di portatori di indossare le lenti per molte ore al giorno e la necessità di alcune categorie di lavoratori di poter utilizzare le lac durante la notte ha portato i ricercatori a studiare nuovi materiali che possano aumentare la trasmissibilità all’ossigeno e creare così condizioni migliori di porto. Uno dei maggiori ostacoli nello sviluppo dell’uso esteso delle lac è l’adeguata permeabilità all’ossigeno per l’uso notturno. Nel 1980 Holden e Mertz stabilirono che l’incidenza dell’edema corneale notturno senza lente era del 4%. Holden e Mertz indicarono inoltre che il Dk/t minimo della lente per l’uso esteso notturno, doveva essere di 125x 10-9 unità di Fatt. Nel 1999 furono approvate da FDA le prime lenti in silicone idrogel per porto continuo di 30 notti. Il mercato di queste lenti è cresciuto rapidamente tanto che a metà del 2003 esistevano già un milione di portatori di silicone idrogel nel mondo. In ogni modo l’uso di lac in silicone idrogel non è scevro da complicanze. Alcune di queste, come nel caso di quelle meccaniche, sono legate alla rigidità del materiale e sono rappresentate dalle sferule di mucina (SM), dalla lesione epiteliale arcuata superiore (SEAL), e dalla congiuntivite papillare gigante (CLPC), ecc… Il loro studio è stato oggetto di altri lavori svolti presso i laboratori di Optometria e Contattologia dell’Università di Milano Bicocca. Inoltre si sono valutate le alterazioni endoteliali e le variazioni della sensibilità al contrasto indotte dall’uso diario di tre tipi di lenti in silicone idrogel. Grazie al microscopio endoteliale, uno strumento in grado di fotografare lo strato più interno del tessuto corneale, si possono osservare cambiamenti delle cel- lule endoteliali legati all’utilizzo delle lac. Le principali alterazioni endoteliali sono: -diminuzione del numero di cellule fino a livelli di densità di 1000-2000 cell/mm2; -aumento di cellule con superficie di diversa grandezza (polimegatismo); -cambio nella forma delle cellule (polimorfismo ); -alterazioni endoteliali transitorie, le blebs. L’eziologia del polimegatismo e dell’insorgenza delle blebs è la medesima. Le blebs sono associate ad edema endoteliale che è provocato da una variazione del pH nell’intero strato corneale causato da cambi fisiologici in atto nei vari sistemi costituenti il tratto anteriore dell’occhio, come la lacrima. Un pH acido causa o induce nell’endotelio la formazione di blebs. L’acidosi endoteliale protratta nel tempo si traduce in polimegatismo e polimorfismo delle cellule dell’endotelio. Per quanto riguarda la densità cellulare, essa è legata all’età del soggetto. Diminuisce all’aumentare degli anni. Nei portatori di lac non si ha una vera e propria diminuzione nella densità cellulare ma una ridistribuzione delle cellule dalla zona centrale alla zona periferica dell’endotelio. Durante lo studio condotto in questo tirocinio, si è utilizzato il test della sensibilità al contrasto con mire a contrasto e frequenza spaziale variabile per osservare perdite di sensibilità al contrasto in presenza di edemi, anomalie corneali ed eventuali opacità da depositi della lente. Le lenti sono state valutate su 10 portatori di lenti morbide tradizionali, 1 portatore di RGP e 3 non portatori di lenti. I soggetti partecipanti allo studio hanno indossato i 3 tipi di lenti in silicone idrogel per 15 giorni l’una durante le ore diurne, conservate in una soluzione unica polifunzionale per lenti morbide. I dati rilevati per il polimegatismo e le blebs sono stati classificati in base alla scala di Efron da 0 al 4° grado, dove 0 corrisponde alla condizione normale e il 4° grado alla condizione severa. I risultati dello studio hanno effettivamente dimostrato alcune differenze significative tra le diverse lenti impiegate, sia per quello che concerne l’aspetto fisiologico corneale che per quello che riguarda la funzione della sensibilità al contrasto che, pur rappresentando un aspetto squisitamente visivo, svolge un ruolo fondamentale nel criterio di valutazione dell’efficacia della scelta correttiva attraverso l’utilizzo di lenti a contatto. 54 ABSTRACT POSTER POSTER 8 Considerazioni sul Tear Ferning Test, review con riferimenti sperimentali sulle potenzialità e i limiti del TFT Andrea Daniele - Mirko Chinellato Studenti in optometria all’università di Padova Introduzione Al di fuori dei parametri refrattivi, morfologici ed adattativi di un soggetto, l’analisi scrupolosa del film lacrimale è un fulcro cardinale per la buona riuscita di un’applicazione. Il Tear Ferning test (TFT) o test della felcizzazione sfrutta la capacità del liquido lacrimale di organizzarsi in una struttura a felce se sottoposto ad essiccazione, fornendo informazioni per lo più qualitative sulle componenti dello stesso. La standardizzazione dei metodi e dei risultati segue la classificazione di Rolando (1984) a 4 tipi, e la letteratura a riguardo attribuisce al TFT alti valori di sensibilità e specificità nell’ambito della valutazione dello stato del film lacrimale. In questa review si sono cercati di approfondire i meccanismi causali della felcizzazione (non ancora esplicati e confermati scientificamente), e si sono analizzate le possibili variabili metodiche di esecuzione, correlandole ai diversi risultati ottenuti. Sono stati inoltre presentati i risultati di alcuni studi precedenti a riguardo. Metodi Dopo un’analisi della lettura scientifica disponibile si è cercato di “scomporre” il TFT con un semplice esame di laboratorio (soluzione di NaCl + Albumina a varie concentrazioni), ipotizzandone i meccanismi di funzionamento. Sono state poi presentate le possibili influenze di una metodologia di prelievo ed analisi non corretta, supportate da alcuni risultati sperimentali. Risultati I risultati dell’interazione elettrolita-proteina hanno dimostrato differenti risultati per differenti concentrazioni, suggerendo che la formazione delle felci ha origine dalla cristallizzazione tipica dei sali in interazione con il sedimento proteico. Altri studi hanno confermato questa condizione. Le metodiche di prelievo e di analisi si sono dimostrate molto delicate e ricche di bias, a partire dal sistema di prelievo fino alle condizioni di essiccamento ed osservazione. Conclusioni Il TFT ha delle buone attendibilità confermate dagli studi passati, sulla valutazione dei pattern qualitativi lacrimali, utili nella predizione della tolleranza alle lac e del comfort oculare, nella pratica clinica il TFT deve però seguire un iter di esecuzione molto accurato. Risulta quindi un potente test nell’analisi del film lacrimale, che deve però assolutamente essere integrato in una scrupolosa batteria di test NOTE NOTE NOTE NOTE NOTE NOTE NOTE