XX. Avrò chiuso la porta? disturbi ossessivi-compulsivi Il Disturbo Ossessivo Compulsivo (DOC) degli adulti è stato, ed in parte è anche oggi, considerato uno dei disturbi più difficili da trattare e che ha in molti casi gravi conseguenze sulla qualità della vita dei pazienti a causa della naturale tendenza alla cronicizzazione, per la sofferenza che implica e per gli ostacoli che pone alla realizzazione esistenziale, negli adulti tanto quanto nei bambini. Nella classificazione del DSM-IV-T-R è collocato tra i disturbi d’ansia, si caratterizza però per la presenza di specifici comportamenti e pensieri – le compulsioni e i pensieri ossessivi – che lo rendono del tutto particolare e ben diverso dai disturbi d’ansia, quali l’agorafobia, la claustrofobia, il disturbo d’ansia generalizzato e via dicendo. Dal punto di vista della diagnosi esplicativa poi i meccanismi psicologici che sono alla base del disturbo ossessivo nelle sue diverse forme sono molto diversi da quelli che sottostanno ad un funzionamento esclusivamente ansioso, sia in termini della percezione di sé, che per la regolazione e modulazione delle emozioni e del rapporto tra pensieri ed emozioni, così come molto diverse sono le storie di attaccamento che si riscontrano nella storia clinica di questi pazienti. Ugualmente molto diversi sono i tipi di interventi clinici appropriati per questo tipo di problema sia con gli adulti che, a maggior ragione, con i bambini. Nel più lontano passato i disturbi ossessivi erano ben conosciuti anche se, fin dal medioevo, era più speso l’esorcista ad occuparsene anziché il medico, perché le sue manifestazioni erano interpretate e vissute come possessioni demoniache e solo in tempi non troppo lontani sono state riconosciute come malattie. Anche se le problematiche ossessive sono state identificate nelle loro forme e manifestazioni già dall’inizio del ‘900 (Janet, 1903),è solo dall’inizio del 1990 è iniziato lo studio approfondito e sistematico di questo tipo di disturbi nei bambini. I bambini come gli adulti sono invasi da pensieri ed emozioni che generano loro disagio e sofferenza e le compulsioni, i rituali, i pensieri ossessivi sono usati per far cessare, almeno temporaneamente, questa loro sofferenza (vedi box). Se negli adulti spesso le persone avvertono i loro comportamenti compulsivi e i pensieri ossessivi come ego-distonici, cioè come qualche cosa che non vorrebbero fare, qualche cosa di sbagliato, che genera loro grande sofferenza, nel caso dei bambini spesso manca la consapevolezza che il loro comportamento è strano, inusuale o inappropriato e in molti altri casi i bambini, a differenza degli adulti, non sono in grado di concettualizzare o comunicare esattamente la natura del loro problema o delle loro preoccupazioni, spesso limitandosi a dire che devono ripetere certe azioni o certi pensieri finche tutto non è a posto. Il che rende, come vedremo, un po’ più complicato il lavoro del clinico. Come nel caso di molti altri disturbi dei bambini, spesso passa molto tempo prima che qualcuno si renda conto che c’è un problema e che quindi è necessario intervenire (Thomsen, 1995), anche perché spesso i bambini eseguono i loro rituali in segreto, quanto ai pensieri… quelli sono nella testa e finché il bambino non si sente in grado di condividerli nessuno ne può avere conoscenza. In una ricerca relativamente recente il NIHM MECA project (Rapoport, Weissman, Greenwald, et al. 2000) si riporta che solo il 16% dei genitori dei bambini che soffrono di un disturbo ossessivo è pienamente consapevole dei sintomi del proprio figlio e che ben il 91% delle diagnosi di disturbo ossessivo è stata fatta esclusivamente sulla base del racconto del bambino. i bambini di solito vengono vista dagli esperti per altri problemi, ma se il clinico lo chiede raccontano spontaneamente dei loro problemi ossessivi che dicono per lo più di avere tenuti nascosti (cit.). questo vuol dire da un lato che i bambini tendono a tenere nascosti i loro sintomi e quindi che rituali, compulsioni e ossessioni hanno tempo di consolidarsi rendendo la terapia più complessa, dall’altro che facendo affidamento solo sulle descrizioni dei familiari si tende a sottostimare il problema (ed anche che è assolutamente necessario condurre un buon colloquio esplorativo con i bambini). Ben l’80% degli adulti in cura per un disturbo dello spettro ossessivo ha sperimentato la comparsa dei sintomi fin da bambino (Pauls, Alsobrook, Phil, et al. 1995). MARIA GRAZIA STREPPARAVA - PSICOPATOLOGIA DELLO SVILUPPO 2011-2012– bozza di lavoro non utilizzare non diffondere (inizio box) Il DSM-IV-T-R definisce così i criteri per la diagnosi di Disturbo Ossessivo-Compulsivo (pp 496497): A. Ossessioni o compulsioni. Ossessioni come definite da 1., 2., 3. e 4.: 1. pensieri, impulsi o immagini ricorrenti e persistenti, vissuti, in qualche momento nel corso del disturbo, come intrusivi o inappropriati e che causano ansia o disagio marcati 2. i pensieri, gli impulsi, o le immagini non sono semplicemente eccessive preoccupazioni per i problemi della vita reale 3. la persona tenta di ignorare o di sopprimere tali pensieri, impulsi o immagini, o di neutralizzarli con altri pensieri o azioni 4. la persona riconosce che i pensieri, gli impulsi, o le immagini ossessivi sono un prodotto della propria mente (e non imposti dall’esterno come nell’inserzione del pensiero). Compulsioni come definite da 1. e 2.: 1. comportamenti ripetitivi (per es., lavarsi le mani, riordinare, controllare) o azioni mentali (per es., pregare, contare, ripetere parole mentalmente) che la persona si sente obbligata a mettere in atto in risposta ad un’ossessione o secondo regole che devono essere applicate rigidamente 2. i comportamenti o le azioni mentali sono volti a prevenire o ridurre il disagio o a prevenire alcuni eventi o situazioni temuti; comunque questi comportamenti o azioni mentali non sono collegati in modo realistico con ciò che sono designati a neutralizzare o a prevenire, oppure sono chiaramente eccessivi. B. In qualche momento nel corso del disturbo la persona ha riconosciuto che le ossessioni o le compulsioni sono eccessive o irragionevoli.Nota: Questo non si applica ai bambini. C. Le ossessioni o compulsioni causano disagio marcato, fanno consumare tempo (più di 1 ora al giorno) o interferiscono significativamente con le normali abitudini della persona, con il funzionamento lavorativo (o scolastico) o con le attività o relazioni sociali usuali. D. Se è presente un altro disturbo in Asse I, il contenuto delle ossessioni o delle compulsioni non è limitato ad esso (per es., preoccupazione per il cibo in presenza di un Disturbo dell’Alimentazione ; tirarsi i capelli in presenza di Tricotillomania; preoccupazione per il proprio aspetto nel Disturbo da Dismorfismo Corporeo ; preoccupazione riguardante le sostanze nei Disturbi Correlati a Sostanze ; preoccupazione di avere una grave malattia in presenza di Ipocondria; preoccupazione riguardante desideri o fantasie sessuali in presenza di una Parafilia; o ruminazioni di colpa in presenza di un Disturbo Depressivo Maggiore). E. Il disturbo non è dovuto agli effetti fisiologici diretti di una sostanza (per es., una droga di abuso, un farmaco) o di una condizione medica generale. Specificare se: Con Scarso Insight: se per la maggior parte del tempo, durante l’episodio attuale, la persona non riconosce che le ossessioni e compulsioni sono eccessive o irragionevoli. (fine box) MARIA GRAZIA STREPPARAVA - PSICOPATOLOGIA DELLO SVILUPPO 2011-2012– bozza di lavoro non utilizzare non diffondere Le ossessioni sono la componente prettamente cognitiva del disturbo; possono essere in forma di pensieri e idee vere e proprie -spesso nella forma di dubbi persistenti e intrusivi che sono vissuti come inaccettabili, privi di senso o bizzarri e che causano un disagio marcato nel soggetto nella forma dell’ansia - immagini mentali, più o meno articolate e dettagliate, impulsi. I contenuti mentali possono essere di qualsiasi tipo, sempre in qualche modo legati all’esperienza del bambino, però ci sono una serie di temi che ricorrono spesso: aggressione e violenza, responsabilità di avere causato un danno, paura di essere stati contaminati da qualche cosa di patologico o di sporco, temi legati al sesso o alle credenze religiose, timore e preoccupazione di avere gravi malattie. Il bambino si sforza di evitare questi pensieri, ne è infastidito e si sente spesso colpevole perché i pensieri che avverte spesso, coinvolgono i familiari in modo malevolo o lo spingono a pronunciare “parolacce” che sa di non dover pronunciare, svariate forme di pensiero magico. Anche se forse è la forma più diffusa, la paura della contaminazione e delle malattie è anche quella che si accompagna spesso a una minore gravità della situazione clinica (Masi, Millepiedi, Mucci, et al. 2005). Tanto più i bambini sono piccoli, tanto meno definito è il contenuto dei loro pensieri e quando provano a spiegare perché devono pensare o fare certe cose dicono di non saperlo, di non averne idea (Swedo et al 1989). Le compulsioni e i ritualisono impulsi a dover mettere in atto dei rituali comportamentali o mentali al fine di ridurre l’ansia o la probabilità che si verifichi il risultato associato alle ossessioni e sono la manifestazione evidente della sofferenza che prova il bambino.In alcuni casi c’è una relazione tra i pensieri ossessivi e i comportamenti che vengono messi in atto (es. lavare le mani per la paura della contaminazione), altre volte sono invece del tutto privi di senso e ciò che conta è che dopo averle messe in atto il bambino sente e si sente che va tutto bene. Alcuni esempi di rituali comportamentali sono il lavarsi ripetutamente per lo più le mani, controllare di avere fatto qualche cosa (messo in ordine rispettando un ordine specifico e sequenze specifiche di azioni,avere chiuso le serrature, a volte avere staccato qualcosa dalla presa di corrente e così via), contare numeri in ordine o specifiche sequenze,toccare oggetti,collezionare cose di un certo tipo, conservare cose, ripetere più volte una semplice azione di routine. Spesso nei bambini le compulsioni prendono la forma del bisogno di toccare ripetutamente alcuni oggetti per scongiurare un pericolo, o di allontanarsi da altri oggetti per evitare un contagio. Queste azioni sono accompagnate da un senso di costrizione e obbligatorietà, senza che il piccolo sia capace di resistere alla spinta ad agire. Rituali sono presenti in altre malattie infantili, come nei disturbi dello spettro autistico, ma in questo caso da un lato sono avvertite come normali e non disturbanti dal bambino, dall’altro non sono legate a specifici pensieri. Normalmente in presenza di un disturbo autistico non si fa una diagnosi di disturbo ossessivo compulsivo perché la diagnosi più grave sussume sotto di sé quella meno pesante. Va anche detto che oggi una parte della ricerca sui disturbi ossessivi nei bambini sta studiando le relazioni tra queste due patologie osservando interessanti punti di contatto e, a volte, sovrapposizione (vedi oltre) Un aspetto importante nella valutazione dei disturbi ossessivi (Catapano, Sperandeo, Perris et al., 2001) è il grado di insight, vale a dire la consapevolezza che la persona ha dell’incongruità dei propri sintomi rispetto alla realtà. Un aspetto importante dei sintomi ossessivi è quanto la persona avverte i propri pensieri e comportamenti come assurdi, eccessivi e privi di senso, pur essendo incapace di smettere di metterli in atto. Non tutti i pazienti però avvertono in modo uguale la non ragionevolezza apparente di quello che fanno e tra coloro che sono meno critici verso i propri pensieri e compulsioni vi sono i casi di più difficile risoluzione (O'Dwyer and Marks, 2000), anche perché alla base dei sintomi ossessivi vi possono essere situazioni cliniche assai più gravi. I pazienti con scarso insight sono anche quelli con maggiore frequenza di compulsioni, una maggiore cronicità della malattia, una familiarità del disturbo, la presenza di significative comorbilità (Kishore et al. (2004) ) Ricerche simili non sono state condotte con i bambini, anche perché nel loro caso la mancanza di una chiara consapevolezza dell’irragionevolezza dei propri sintomi è molto comune. Tuttavia anche nei bambini la presenza di una valutazione critica sui propri sintomi sembra essere un predittore di buon esito del trattamento, oltre ce indicatore di una minore gravità della MARIA GRAZIA STREPPARAVA - PSICOPATOLOGIA DELLO SVILUPPO 2011-2012– bozza di lavoro non utilizzare non diffondere situazione di partenza. un aspetto interessante è che i familiari dei bambini con maggiore insight sono quelli che meno si adattano ai sintomi, accettano di sottoporsi ai rituali che il bambino vorrebbe eseguire o comunque collaborano con il bambino alla loro realizzazione, ad esempio aiutarlo a “decontaminare” un oggetto contaminato (Storch, Milsom, Merlo, et al., 2008). Trattamento farmacologico I farmaci solitamente usati per il trattamento farmacologico del disturbo ossessivo anche in età pediatrica sono gli inibitori della ricaptazione della serotonina [serotonin reuptake inhibitors, SRIs](vedi Storch, Merlo, 2006). I farmaci da soli non sono in grado di portare alla piena risoluzione dei sintomi e soprattutto possono avere importanti effetti collaterali che ne rendono l’utilizzo con i bambini particolarmente delicato (e.g., Whittington, Kendall, Foggy, et al., 2004; Goodman, Murphy, Storch, 2007).Tra questi effetti collaterali problemi gastrointestinali, mal di testa, insonnia (Reinblatt , Riddle,2007) ma anche irritabilità, manifestazioni somatiche di ansia, irritabilità, aggressività, labilità emotiva, impulsività, ritiro sociale (Goodman, Murphy, Storch, 2007). Incidenza e prevalenza Le ricerche epidemiologiche indicano una prevalenza dei disturbi ossessivi negli adulti tra 0.8–2.2% (Fireman et al., 2001) e tra 1.9–4.0% nei bambini (Douglass et al., 1995;Karno et al., 1988; Zohar, 1999).Un esordio precoce del disturbo ossessivo è associato con lo sviluppo negli anni successivi di altre problematiche più importanti, ad esempio un disturbo di personalità ossessivo-compulsivo (Pinto et al., 2006).La situazione si complica ulteriormente se teniamo conto anche dei disturbi subclinici, vale a dire di quelle forme in sintomi non sono così chiaramente definiti e strutturati da consentire l’attribuzione della diagnosi oppure pur essendo ben definiti, non danneggiano il funzionamento globale della persona. In questo caso le percentuali sono molto più alte: 19% tra gli studenti della scuola superiore (Valleni-Basile et al. 1994). In generale chi soffre di un disturbo ossessivo presenta sia ossessioni che compulsioni, tuttavia, mentre negli adulti è possibile trovare anche solo i pensieri ossessivi, nei bambini all’inverso quando si presenta uno solo dei due è più facile trovare solo comportamenti compulsivi (Geller et al. 1998). In generale comunque anche nei bambini è presente l’accoppiata pensieri ossessivi e rituali (Masi, Millepiedi, Mucci, et al. 2005). È importante ricordare che ci sono momenti e periodi della vita in cui i bambini hanno bisogno di fare dei piccoli rituali, senza che questo debba far pensare a un disagio. Tra i due e i quattro anni spesso i bambini fanno le cose in modo ripetitivo, mangiare solo un certo tipo di cibo, fare qualcosa sempre e solo nello stesso modo, collezionare oggetti dello stesso tipo e via dicendo (Zohar, Felz, 2001), tutte attività legate sia l’esplorazione dell’ambiente, sia al bisogno di rassicurazione e di controllo su questo ambiente così nuovo. Il Disturbo Ossessivo-Compulsivo colpisce sostanzialmente in modo uguale maschi e femmine anche se tra in età evolutiva sono più frequenti i maschi con un problema ossessivo, in una proporzione di 3:2 (Masi, Millepiedi, Mucci, et al. 2005). Di solito i sintomi compaiono intorno ai nove o dieci anni, ma già verso i sei anni alcuni bambini possono presentare dei sintomi. Inoltre, prima che la sindrome si manifesti in tutta la sua pienezza, condizione tipica dopo un evento stressante, sono già presenti alcuni elementi del disturbo. Per un bambino un momento difficile può essere l’inizio della scuola, la separazione dai genitori, una bocciatura e, come per l’adulto, una malattia, un ricovero, ma anche più semplicemente un trasferimento o un cambiamento d’abitazione. Non è chiaro se e quanto i bambini che hanno sofferto di un disturbo ossessivo diventano adulti che continuano ad avere un disturbo ossessivo: secondo alcuni lavori solo un quarto dei bambini non ha MARIA GRAZIA STREPPARAVA - PSICOPATOLOGIA DELLO SVILUPPO 2011-2012– bozza di lavoro non utilizzare non diffondere più sintomi in età adulta (Thomsen, Mikkelsen, 1993) secondo altri almeno la metà (Stewart et al. 2004; Bloch et al. 2009). In età evolutiva la data d’inizio è tipicamente fra i 9 e gli 11, anche se il periodo di esordio varia tra i cinque e i diciotto anni (Beidel, Alfano, 2011, p. 296),i ragazzi tendono a presentare il disturbo più precocemente delle ragazze e più frequentemente nell’adolescenza (Geller et al 1998), interferendo così notevolmente nello sviluppo di possibili relazioni sociali e coniugali. Il disturbo ossessivo compulsivo ha un insorgenza precoce: nel 60/70% dei casi si manifesta prima dei 25 anni, nel 15% compare in un’età inferiore i 10 anni e nel rimanente 15% dopo i 35 anni (Rasmusssen & Tsuang, 1984, 1986; Thyer, 1985). Dunque anche i bambini soffrono di disturbo ossessivo – compulsivo, anche se si tratta di un terreno meno conosciuto rispetto a quello degli adulti. Si tende infatti a diagnosticarlo in modo piuttosto tardivo, poiché è raro che i genitori accompagnino i figli dallo psichiatra in presenza di sintomi ossessivo – compulsivi e il disturbo a volte passa inosservato da parte dei medici generici. Penn et al. (1997) notarono che la maggioranza degli studi sulla distribuzione per sesso del DOC nei bambini e negli adolescenti indica una preponderanza di maschi rispetto alle femmine, ma vi sono alcune ricerche epidemiologiche che indicano parità numerica fra i sessi. Ciò può essere dovuto alla fatto che negli anni prepuberi vi è un più elevato rapporto maschi/femmine, mentre l’andamento s’inverte dopo la pubertà. Comorbilità Circa il 74% dei bambini presenta insieme al disturbo ossessivo anche uno o altri tipi di disturbi (Masi, Millepiedi, Mucci, et al. 2005), in particolare sono spesso presenti i disturbi d’ansia. più complessa è la relazione con i disturbi depressivi. La presenza di sintomi depressivi infatti complica il quadro clinico e aggiunge fattori di rischio, soprattutto sul lungo termine (Storch et al., 2008). I dati di ricerca relativi alla percentuale di comorbilità delle problematiche depressive sono però molto variabili, dal 13 al 46% anche in relazione alla metodologia dello studio e le tecniche di misura (Geller, Biederman, Griffin, & Jones, 1996; Hanna,1995; Valderhaug, Larsson, Gotestam, & Piacentini,2006)e le ricerche presentano dati a volte tra loro contradditori: una correlazione molto bassa per alcuni (Riddle, Scahill, et al. 1990), secondo altri molto alta (Valleni-Basile et al. 1994: Masi, Millepiedi, Mucci, et al. 2005 ). Tutti i lavori però concordano sul fatto che la sintomatologia depressiva aumenta con l’aumentare dell’età, facendo ipotizzare che sintomi e disturbi depressivi siano una reazione alle problematiche ossessive (Abramowitz, Storch, Keeley, Cordell, 2007; Diniz et al., 2004). Non è chiaro invece quale sia la ragione ei meccanismi che portano all’inasprirsi dei sintomi depressivi. Considerato comunque che una comorbilità con un disturbo depressivo riduce la responsività dei soggetti alla terapia cognitivo-comportamnetale classica (Storch et al., 2008), che è il trattamento suggerito dalle linee giuida per i disturbi ossessivi (Barrett, Farrell, Pina, Peris, Piacentini, 2008) diventa vitale capire il processo di evoluzionein senso depressivo per la messa a punto di migliori strategie di intervento a partire da una migliore valutazione delle caratteristiche di questo sottogruppo di soggetti, nei quali i livelli più alti di sintomi epressivi sono associati con un maggior grado di distorsioni cognitive e ridotto insight, minore percezione di controllo su sé e i propri sintomi e minore livello di autoefficacia (Pris, Bergman, Asarnov, et al. 2010). È anche possibile riscontrare un disturbo del comportamento dirompente nei bambini con problematiche ossessive. In alcune ricerche viene rilevata una percentuale del 30% di bambini con un disturbo ossessivo che hanno anche un concomitante disturbo da deficit d’attenzione e iperattività (ADHD) e viceversa. Di solito – 82% di casi - l’esordio dell’ADHD, intorno ai quattro anni, precede la comparsa dei sintomi ossessivi(Geller et al 1998; geller et al. 2002). MARIA GRAZIA STREPPARAVA - PSICOPATOLOGIA DELLO SVILUPPO 2011-2012– bozza di lavoro non utilizzare non diffondere Altri disturbi spesso associati sono il disturbo da tic e la Sindrome di Tourette. Solitamente quando le tematiche ossessive sono relative alla paura di contaminazione o alla tendenza a raccogliere e conservare tutto è meno probabile che vi sia un disturbo da tic associato, mentre è più facile nei bambini aggressivi o con ossessioni più legate a tematiche sessuali, religiose o legate alla simmetria (Masi, Millepiedi, Mucci, 2005). Un altro comportamento ripetitivo , la tricotillomania, è stato osservato nei bambini con un funzionamento ossessivo. Aspetti biologici Varie ricerche hanno riscontrato una marcata familiarità per i disturbi ossessivi, un quarto dei bambini con un disturbo ossessivo hanno almeno uno dei genitori che soffre in forma clinica dello stesso problema (Swedo, Rapoport, Leonard, et al. 1989; Thomsen,1995) prevalentemente il padre (Lenane, Swedo, Leonard, et. al. 1990). Le problematiche ossessive di un bambino hanno poi degli effetti sull’intero sistema familiare, fratelli compresi, che hanno un più alto livello di ansia e depressione rispetto agli altri bambini, anche perché spesso sono direttamente coinvolti nei rituali del fratellino malato,rassicurandolo quando va in crisi sui suoi dubbi e pensieri ossessivi o aiutandolo nei rituali e nelle strategie di evitamento delle situazioni temute(Barrett, Rasmussen, Healy, 2001):la terapia oltre ad aiutare i nostri piccoli pazienti, migliorano anche la qualità di vita di chi gli sta intorno. Negli ultimi anni si sono moltiplicate le ricerche che utilizzano le tecniche di neuroimaging per vedere se e quali possono essere le anomalie di funzionamento dei soggetti ossessivi. Ovviamente la maggior parte dei lavori sono condotti con soggetti adulti,ma ci sono alcuni dati anche relativamente ai bambini che hanno individuato alcune anormalità nei gangli della base, nella corteccia e nelle vie di connessione (Rosenberg, McMillan, Moore, 2001). Unaspetto interessante delle ricerche di Rosemberg è il confronto fatto tra interventi farmacologici e interventi psicoterapeutici: a parità di esito positivo i primi portavano a modificazioni (una diminuita attività glutamatergica nel nucleo caudato legata all’utilizzo degli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina) mentre i secondi non davano alcuna modificazione a livello cerebrale. Con la tecnica della risonanza magnetica funzionale è stato possibile osservare che nei bambini con problematiche ossessive vedere immagini collegate alle loro ossessioni e compulsioni non solo generava uno stato soggettivo di sofferenza, ma anche una riduzione di attività nell’insula e nella via corticostriatale talamica. Alterazioni nelle stesse aree si osservano anche negli adulti ma la direzione del cambiamento è opposta Neuroimaging studies have identified distinct neural correlates of obsessive-compulsive disorder (OCD) symptom dimensions in adult subjects and may be related to functional abnormalities in different cortico-striatal-thalamic neural systems underlying cognition and affective processing. Similar symptom dimensions are apparent in childhood and adolescence, but their functional neural correlates remain to be elucidated. Pediatric subjects with OCD (n = 18) and matched controls (n = 18), ages 10 to 17 years, were recruited for two functional magnetic resonance imaging experiments. They were scanned while viewing alternating blocks of symptom provocation (contamination-related or symmetry-related) and neutral pictures and imagining scenarios related to the content of each picture type. The subjects with OCD demonstrated reduced activity in the right insula, putamen, thalamus, dorsolateral prefrontal cortex, and left orbitofrontal cortex (contamination experiment) and in the right thalamus and right insula (symmetry experiment). Higher scores on OCD symptom-related measures (contamination and total severity) were significantly predictive of reduced neural activity in the right dorsolateral prefrontal cortex during the contamination experiment. Our findings indicate reduced activity in neural regions underlying emotional processing, cognitive processing, and motor performance in pediatric subjects with OCD compared with the controls. MARIA GRAZIA STREPPARAVA - PSICOPATOLOGIA DELLO SVILUPPO 2011-2012– bozza di lavoro non utilizzare non diffondere These between-group differences are present during both contamination and symmetry provocation experiments and during symptom provocation as well as viewing neutral pictures. The direction of activity is in contrast to adult findings in the insula and in components of cortico-striatal thalamic neural systems. Our findings suggest developmental effects on neural systems underlying symptom dimensions in pediatric OCD. (Gilbert et al. 2009). Altre ricerche, sia sugli adulti che sui bambini, hanno per oggetto gli aspetti neuroendocrini correlati alla presenza di un disturbo ossessivo, ad esempio sul livello di cortisolo nel sangue (Gustafsson, Gustafsson, Ivarsson, Nelson, 2008) che negli ossessivi è molto più alto soprattutto di mattina. Il cortisolo è l’ormone che segnala uno stato di stress dell’organismo (vedi anche cap. xx). anche se non è affatto chiaro se le differenze sul piano endocrino sono la causa o il risultato della malattia Assessment La più conosciuta scala per la valutazione dei disturbi ossessivi è la Children’s Yale-Brown Obsessive-Compulsive Scale (CY-BOCS, Scahill, Riddle, McSwiggin-Hardin et al. 1997) è un’intervista che viene fatta dal clinico per valutare un’ampia gamma di comportamenti e pensieri ossessivi e il grado in cui ossessioni e compulsioni pervadono e interferiscono con la vita del bambino. La scala varia tra 0 e 40, un punteggio di 20 è la soglia per la diagnosi clinica, 10 quella per le forme subcliniche. Per la liberatoria di uso e vedere se ne esiste già una traduzione italiana contattare [email protected] Del dipartimento di psichiatria del college of medicine dell’università della florida Altre due scale sono di uso comune Una versione breve di soli 11 item della Leyton Obsessional Inventory-Child Version (Berg, Rapoport, Flament, 1986) sviluppata nel 2002 (Bamber, Tamplin, Park, Kyte, Goodyer, 2002). La Child Obsessive Compulsive Impact Scale-Revised (COIS-R, Piacentini, Peris, Bergman, Chang, Jaffer, 2007) che valuta il grado di compromissione di diverse aree di vita ed è nella doppia versione per il bambino e per i suoi genitori. Una panoramica ampia degli strumenti di valutazione per i disturbi ossessivi è nel volume Il disturbo ossessivo compulsivo e il suo spettro, a cura di E. Smeraldi, 2003, Masson, Milano Cause La spiegazione del perché un bambino sviluppi sintomi ossessivi è strettamente legata al modello teorico di riferimento. In una visione cognitivo-comportamentale classica le spiegazioni mescolano i modelli comportamentali di acquisizione delle paure attraverso il concetto di rinforzi positivi e negativi che coinvolgono i rituali comportamentali che come abbiamo visto fanno parte dello sviluppo normale di un bambino, con i meccanismi del modelling familiare visto che anche i genitori hanno spesso dei comportamenti ossessivi, con la costruzione di specifici schemi disfunzionali di pensiero che determinano poi il comportamento. Nell’approccio cognitivista classico le ossessioni rappresentano l’estremo di un continuum che è dato dai pensieri che continuamente ci germogliano in testa, a volte non intenzionalmente formulati, ma in modo del tutto casuale (Salkovskis, Harrison, 1984). I contenuti dei pensieri ossessivi non sono poi differenti dalle preoccupazioni che normalmente affliggono le persone nelle loro vite quotidiane: chiedersi se si è chiusa la porta prima di allontanarsi da casa non è patologico è una sana precauzione contro i ladri e controllare di aver chiuso il gas o di non aver lasciato una pentola sul fuoco acceso è una sana preoccupazione per evitare disastri. Ciò che differenzia le ossessioni è invece la frequenza, MARIA GRAZIA STREPPARAVA - PSICOPATOLOGIA DELLO SVILUPPO 2011-2012– bozza di lavoro non utilizzare non diffondere l’invasività dei pensieri e soprattutto il carattere catastrofico di quanto viene immaginato: la lampada dimenticata accesa prima di uscire non si limita a restare accesa e, al più, far aumentare il consumo di corrente, ma sicuramente darà luogo ad un cortocircuito, che farà scoccare una scintilla, che sicuramente cadrà – con un improbabile salto – incendiandolo sullo scontrino probabilmente caduto dalla tasca la sera prima e rimasto a terra accanto a comodino, che certamente prenderà fuoco, che si propagherà alla coperta del letto, e poi alla stanza, uccidendo i due micetti rimasti lì a dormire, e da lì a tutta la casa innescando un incendio in cui il caseggiato intero verrà distrutto provocando una devastazione. Tutto questo per colpa di chi ha dimenticato accesa la lampada…il nucleo quindi del problema è il pensiero disfunzionale della colpa per irresponsabilità e quindi dell’elevato senso di responsabilità personale (Salkovski, Forrester, 2002) per cui la persona pensa (a) di avere il potere di causare o prevenire eventi negativi soggettivamente molto importanti e (b) che è assolutamente vitale riuscire a impedire il verificarsi degli eventi negativi che (c) hanno conseguenze assolutamente deleterie nella realtà. Il timore di colpa per irresponsabilità è dunque il cuore del problema (Mancini, Capo, Episcopo, 2007, pp. 170-176). Un aspetto caratteristico del modo di pensare del soggetto ossessivo è quello che viene definito fusione pensiero-azione (thought-action fusion TAF): se penso di farti del male è come se davvero ti avessi fatto fisicamente del male, e quindi sono colpevole in modo uguale in entrambi i casi (Rachman, 1993). Il timore della colpa porta all’esasperazione dell’atteggiamento di controllo prudenziale delle situazioni di sicurezza e pericolo che genera la vasta gamma dei comportamenti di controllo e dei pensieri di analisi di tutte le ipotesi e evenienze possibili, con meccanismi di pensiero che danno credito alle ipotesi più improbabili o inverosimili, all’intolleranza per l’incertezza e l’ipersensibilità ai segnali che potrebbero indicare che qualche cosa non va (cit. pp. 177-179). I pazienti ossessivi “…sentendosi cronicamente in colpa trattano il fatto di sentirsi in colpa come un’informazione per inferire che si verificherà l’evento temuto e che questo sarà gravissimo” (cit, p. 181). Il lavoro clinico si muove attorno al processo di decostruzione dettagliata di tutti gli schemi cognitivi che si attivano nel corso dell’esperienza, per far emergere la loro incongruità, attraverso anche il confronto tra vantaggi e svantaggi delle diverse possibili scelte di azione, per ridimensionare il senso di colpa, il senso di responsabilità e la paura del disprezzo altrui nel caso di un fallimento. Il cuore dei problemi ossessivi negli adulti sembrano esservi sei aspetti chiave: la sovrastima della propria responsabilità nel prevenire danni, la sovrastima cognitiva della probabilità di causare un danno e la sovrastima del danno possibile, credenze sul costo personale legato al verificarsi dell’evento avversivo, fusione tra pensiero e azione, dubbio sulle proprie azioni e la necessità di ripetere le proprie azioni, sensazione di impossibilità nel controllare i pensieri che si affollano nella mente e che ha per conseguenza l’esasperazione del tentativo di controllarli. La domanda che è inevitabile porsi è se anche nei bambini questi quattro aspetti sono così presenti e costituiscono il nucleo e la radice del disagio.In effeti nel caso dei bambini il senso di responsabilità personale, pur essendo presente, non sembra essere così centrale come nel caso degli adulti (Barrett, Healy, 2003)e i fattori cognitivi sembrano essere più un epifenomeno del disturbo che non la sua causa. È per questo che, dal nostro punto di vista, è necessario assumere una prospettiva un po’ più complessa che tenga conto anche di altre dimensioni quali il processo di costruzione dell’identità personale, del senso di sé, della dinamica tra esperienza immediata, sensoriale ed emotiva, e la sua rielaborazione cognitiva, del modo in cui viene organizzata e regolata l’esperienza emotiva all’interno delle relazioni significative. MARIA GRAZIA STREPPARAVA - PSICOPATOLOGIA DELLO SVILUPPO 2011-2012– bozza di lavoro non utilizzare non diffondere Si aggiunga a questo che da un punto di vista tecnico con i bambini, tanto più sono piccoli, l’intervento sui pensieri e il lavoro sugli aspetti cognitivi è solo una parte di un percorso molto più articolato e centrato appunto sugli aspetti emotivi e sulla relazione con il terapeuta. Come appaiono i bambini Molto spesso i bambini con problematiche ossessive hanno poche relazioni con i coetanei a causa della loro limitata spontaneità, dell’impaccio interpersonale, e difficoltà, ad esempio nel gioco di gruppo, a controllare le situazioni come desidererebbero: i compagni sono spesso imprevedibili, perciò questi bambini tendono a entrare più facilmente in relazione con gli adulti, con i quali si sentono più rassicurati, sfoggiando talvolta la loro “maturità” e le loro competenze cognitive. Se questi bambini praticano uno sport, sarà più facilmente uno sport di tipo individuale, in cui le regole non dipendono dalla squadra e dalla qualità delle relazioni, ma sono “assolute” e maneggiabili individualmente e cognitivamente. Molti bambini durante l’infanzia occupano gran parte del loro tempo in giochi rituali e superstiziosi, come non pestare le righe mentre si cammina, contare le macchine di un certo colore, toccare una porta ogni tre lungo il percorso. Questi, però. Sono giochi piuttosto che compulsioni, e possono essere arrestati senza ansia. Anche in età prescolare, la “manie” che il bambino piccolo esplicita, come il bisogno di rivedere sempre la stessa videocassetta o farsi raccontare la stessa fiaba sono semplici e rassicuranti ritualità. I bambini e gli adolescenti con Doc di norma non rendono partecipi i familiari dei loro sintomi fino a quando il disagio è al di fuori della loro capacità di gestione. Di solito sono imbarazzati e tentano di nascondere le compulsioni, e comunque quando genitori e insegnanti iniziano a notarle, vengono classificate come comportamenti “strani”. Sfortunatamente, questi comportamenti sono spesso attribuiti alle normali abitudini dell’infanzia e dell’adolescenza, ma se si indagasse più a fondo, molti di essi verrebbero considerati dei sintomi precisi e generatori di ansia per il bambino, che sta silenziosamente implorando aiuto. Per questo motivo è importante che si conoscano i sintomi e i particolari comportamenti che un bambino mette in atto quando ha o sta sviluppando un Doc, così da poter mettere in atto un aiuto tempestivo e concreto, prima che questi peggiorino e il bambino ne venga assorbito in misura maggiore. Fra i bambini i sintomi più comuni riguardano il timore dello sporco, dei germi, preoccupazioni in merito ad un evento terribile, lavaggi, pulizia delle mani, ripetizioni e controlli. Vi è inoltre una limitata serie di prove che sembra indurre a pensare che i primogeniti o i figli unici tendano a presentare con maggior probabilità il disturbo ossessivo compulsivo, poiché la posizione occupata dal primogenito all’interno della famiglia può aumentare il suo senso di responsabilità. Attaccamento e Disregolazione emotiva Le ricerche sull’attaccamento nei disturbi ossessivi non sono molte e non sono semplici, ma quelle svolte hanno messo in evidenza la presenza di un attaccamento insicuro (Myhr, Sokman, Pinard, 2003) e la presenza sia pattern d’attaccamento ansioso-ambivalente (C) che ansioso-evitante (A) (Alcee, 2006; Doron Moulding, Kyrioset al. 2009). Nel confronto tra lo stile di attaccamento in soggetti depressi e soggetti ossessivi si è anche notato che i pazienti depressi ricordavano le loro MARIA GRAZIA STREPPARAVA - PSICOPATOLOGIA DELLO SVILUPPO 2011-2012– bozza di lavoro non utilizzare non diffondere madri come molto meno accudenti rispetto al ricordo che delle loro madri avevano i soggetti ossessivi, dato questo sui depressi perfettamente in linea con la letteratura. L’aspetto interessante è che i soggetti ossessivi non le ricordavano meno accudenti rispetto al ricordo dei soggetti normali (Myhr, Sokman, Pinard, 2003). Nelle diadi caratterizzate da un pattern d’attaccamento evitante le madre tendono ad avere una mimica rigida, povera, nell’interazione con il figlio e tendono a mantenere il piccolo a distanza, svalutando i suoi bisogni di vicinanza e di conforto. La madre nella diade con attaccamento ambivalente (C) è, invece, imprevedibile e ipercontrollante oppure intrusiva e contraddittoria nel rispondere alle richieste di vicinanza e di aiuto espresse dal figlio. Spesso ha comportamenti ambivalenti nei confronti del bambino e si dedica a lui senza partecipare emotivamente alle sue cure. Il bambino avverte, nello stesso momento, sensazioni di agio e di disagio perché il comportamento di cura non è accompagnato da una naturale componente affettiva, anzi spesso vi è un irrigidirsi del genitore proprio nell’atto di accudire il figlio. Il bambino da un lato si sente amabile e degno d’attenzione, dall’altro non amabile o non meritevole di considerazione e di aiuto. Questo crea un senso di sé dicotomico (Io buono/Io cattivo), difficile da risolvere e da ricomporre. Le famiglie dei bambini ossessivi hanno caratteristiche specifiche che rendono difficile la comunicazione affettiva: - i genitori sono poco attivi a livello motorio, ma iperattivi nella comunicazione verbale; - limitano le espressioni emotive di piacere loro e dei figli, e bloccano quelle legate all’aggressività; - non parlano di sessualità, anzi spesso tendono a negarla; - hanno pochi amici, e le loro relazioni sono formali e fredde; - sono molto attenti al rispetto delle regole, insegnano ai figli il dovere, il sacrificio, la fermezza. Particolare peso, nelle dinamiche familiari, ha la figura paterna che, connotata spesso da tratti rigidi e autoritari, desidera un figlio competente e perfetto e sa dare affetto solo in cambio di performance positive che soddisfino adeguatamente le proprie aspettative. Rivolge solitamente al figlio richieste di prestazioni estranee al rapporto personale e affettivo tra loro, ma che sono legate a situazioni esterne e riguardano l’esecuzione di compiti impegnativi e spesso non adeguati all’età o alle capacità del bambino. Tutta la famiglia è in genere molto esigente e critica nei confronti del figlio, ma è uno dei due genitori, solitamente, che tende a esercitare un ipercontrollo privo di affetto nella vita sociale, scolastica e affettiva del bambino. A ciò si aggiunge il fatto che i fallimenti del figlio sono sottolineati come un tradimento personale. Tipica nel bambino ossessivo è, allora, la ricerca di perfezione, con un’attenzione eccessiva ai dettagli, al procedere analitico, a volte a scapito di una visione globale dell’insieme, con la paura dell’errore considerato come un danno irreparabile. Il bambino con futuro Disturbo Ossessivo-Compulsivo si trova in grande difficoltà nel tentativo di misurare la propria amabilità, perché i genitori gli offrono rimandi positivi legati unicamente alle sue prestazioni e non al suo comportamento interpersonale e al suo modo di stare con gli altri. Ciò porta il piccolo a scegliere la via della perfezione assoluta e dell’«essere bravo per essere amato». Inoltre, impara cosa non deve fare per non essere allontanato e diventare sgradevole ai suoi genitori, ma non cosa essi in effetti desiderano da lui come persona. Le occasioni che usualmente fanno insorgere i primi sintomi sono quelle in cui il bambino non è in gradi di controllare la situazione come vorrebbe. Molto spesso entrano in gioco emozioni forti legate all’area della sessualità e del piacere, o dell’aggressività, ambiti di esperienza poco controllabili, che sollecitano stati interni poco conosciuti e articolati e percepiti come una minaccia alle relazioni con le figure di riferimento. Questi nuovi sentimenti, così scarsamente governabili, ma così reali, provocano uno slittamento minaccioso nell’assetto dicotomico del Sé, dall’Io buono MARIA GRAZIA STREPPARAVA - PSICOPATOLOGIA DELLO SVILUPPO 2011-2012– bozza di lavoro non utilizzare non diffondere verso l’Io cattivo: il bambino deve fare i conti con pensieri, desideri e disposizioni all’azione non adeguatamente riconosciuti, che vengono pertanto trasformati e percepiti come immagini intrusive ed egodistoniche. Il bambino cerca di allontanare da sé le immagini e i pensieri intrusivi: ma più tenta di scacciarli, più si ripresentano massicciamente alla coscienza. Inoltre, più è piccolo, più fatica a distinguere tra pensiero e azione: per il bambino ossessivo, il pensare una cosa equivale ad averla fatta, e ciò rende ancor più ansiogeno e affannoso il suo bisogno di controllare i suoi pensieri allontanando il più possibile da sé quelli cattivi. Pensare a un’azione “cattiva” equivale ad avere la responsabilità di averla commessa. I sintomi emergono come un modo per tenere sotto controllo l’emergere di emozioni intense e avvertite come destabilizzanti e sbagliate Il bambino pensa di poter essere amato solo se è bravo, non disturba e si comporta bene: l’amore degli altri viene a essere condizionato dal suo comportamento. Contemporaneamente, il genitore diviene sempre più esigente nelle richieste di prestazioni al figlio, cosicché non è tenuto a dargli amore. «Stai facendo solo il tuo dovere, come tutti noi, del resto!» Il piccolo può manifestare un’elevata ansia espressa e una mobilitazione motoria sul piano sintomatico. In questa relazione di attaccamento-accudimento, al bambino non è permesso di provare emozioni e di soffermarsi a capire cosa sente. Percepisce una sola certezza: più si è bravi, più si è amati. Questa convinzione, unita a quella del non fare del male agli altri, diventa la linea guida del comportamento del bambino ossessivo. Il bambino cerca, quindi, di capire quali possano essere, tra i suoi atteggiamenti, quelli atti a suscitare interesse e disponibilità nelle figure per lui significative. Questo compito non è facile. Manifestazioni e sintomi a casa e a scuola I casi di Disturbo Ossessivo – Compulsivo senza ansia sono molto rari: spesso i bambini che soffrono di questo disturbo hanno un elevato stato d’ansia che si manifesta in ogni situazione che devono affrontare, da quelle più piacevoli come partecipare ad una festa di compleanno, a quelle meno piacevoli ad esempio una visita medica. È spesso presente una componente depressiva secondaria, poiché la loro vita è appesantita dalle preoccupazioni e dai sentimenti di impotenza connessi ai sintomi ossessivi: tutto diviene difficile, molto tempo e molte energie sono impiegati per prevenire i pericoli attesi e per rispettare i rituali, e poco ne resta da investire sulle normali attività infantili, per giocare e divertirsi. Le relazioni sociali tendono a diminuire perché difficili da controllare e questo porta il bambino a chiudersi sempre più in sé stesso. Secondo quanto riportato da Berg et al. (1989), dopo due anni, circa i due terzi dei bambini diagnosticati come ossessivi non presentavano più il disturbo, senza che fosse stato attuato nessun trattamento. Negli adulti invece il decorso della malattia sarebbe tendenzialmente cronico intercalato a periodi di remissione incompleta, oppure assumerebbe un andamento intermittente. L’assessment con i genitori I primi colloqui di assessment hanno lo scopo non solo di accogliere il bambino, ma anche di ottenere dai genitori una descrizione sufficientemente chiara dei comportamenti del figlio, della loro frequenza, dei pensieri, delle immagini e delle paure che li mantengono attivi. È necessario ricostruire attentamente la storia della famiglia e l’itinerario di sviluppo del piccolo paziente, la storia del sintomo e le dinamiche dello scompenso clinico, analizzando a fronte di quali eventi critici si sono manifestati i primi segni di disagio. Con i genitori sarà, inoltre, opportuno condurre una dettagliata analisi funzionale del sintomo, indagando quali sono state e quali sono ora le situazioni che portano più spesso a innescare i rituali nel figlio. MARIA GRAZIA STREPPARAVA - PSICOPATOLOGIA DELLO SVILUPPO 2011-2012– bozza di lavoro non utilizzare non diffondere Occorre anche verificare fino a che punto i genitori sono consapevoli del pensiero magico che sottostà al comportamento compulsivo del bambino, se lui lo ha comunicato apertamente, o se essi lo hanno intuito o colto indirettamente, e in che modo sono stati in grado di condividerlo. Trattamento L’intervento cognitivo-comportamentale con gli adulti che soffrono di un disturbo ossessivo si basa principalmente sulla comprensione e l’intervento a livello sintomatologico. I pazienti devono imparare a indebolire i pensieri disfunzionali e i pattern comportamentali disadattivi che fanno parte della loro esperienza. La spiegazione dell’origine dei sintomi e del senso degli interventi proposti al fine della cura è un passaggio fondamentale dell’intervento, basato sul dialogo socratico e la discussione tra terapeuta e paziente che ha lo scopo di aiutare il paziente a identificare e correggere le credenze errate che sono alla base delle paure ossessive, dell’evitamento e dei comportamenti di sicurezza. L’esposizione e la prevenzione della risposta sono gli aspetti centrali del programma di trattamento sul piano comportamentale. L’esposizione consiste nel consentire al paziente di confrontarsi in maniera graduale con le situazioni e i pensieri che evocano la paura ossessiva. Essa è spesso associata all’immaginazione volontaria di quelle che saranno le conseguenze temute dell’esposizione stessa. Ad esempio, un soggetto che teme di poter essere contaminato o di ammalarsi toccando i contenitori dell’immondizia potrebbe allenarsi toccando tali contenitori e immaginare di avere contratto una malattia “da germi”. Questa procedura richiede che il paziente rimanga esposto fino a che l’angoscia associata alla situazione non decresce spontaneamente. Egli non deve fare alcun tentativo di ridurre l’ansia fuggendo dalla situazione o mettendo in atto i rituali compulsivi. La prevenzione della risposta consiste nell’astenersi da qualsiasi comportamento (rituali mentali e comportamentali, evitamento e strategie di neutralizzazione) che serva a ridurre l’ansia ossessiva o a terminare l’esposizione. Nell’esempio sopra riportato sarebbe astenersi da ogni rituale di pulizia. L’esposizione e la prevenzione della risposta hanno l’obiettivo di mostrare alla persona che le paure ossessive sono irrazionali e che i rituali non hanno alcun legame con gli eventi negativi, che non si verificano anche se il rituale non è stato eseguito. Ovviamente, il contesto terapeutico con i bambini è diverso rispetto a quello con gli adulti: il terapeuta dovrà assumere un atteggiamento particolare, usare tecniche diverse, strumenti diversi per entrare in relazione con il bambino. Spesso uno dei genitori può avere egli stesso un’organizzazione di tipo ossessivo o comunque un livello d’ansia elevato che si manifesta con ostilità, ipercriticismo e giudizi verso il terapeuta durante i primi incontri. Questi genitori chiedono spesso garanzie rispetto alla riuscita della terapia, desiderano conoscere nei dettagli le credenziali del terapeuta, se ha già curato con successo altri bambini come il loro e in quanto tempo, se sono arrivati nel posto giusto e se si possono fidare. Il terapeuta dovrà fare attenzione a non rispondere alle provocazioni o alle sfide dei genitori, puntando invece a sollecitare la loro collaborazione: questo segna già l’inizio della terapia. È importante avere la collaborazione dei genitori e, se necessario, anche degli insegnanti, perché le relazioni interpersonali del bambino a casa o a scuola possono amplificare o meno i sintomi. L’analisi cognitivo‐comportamentale del Disturbo Ossessivo‐Compulsivo deve indagare con il bambino e con i genitori alcuni punti: MARIA GRAZIA STREPPARAVA - PSICOPATOLOGIA DELLO SVILUPPO 2011-2012– bozza di lavoro non utilizzare non diffondere a) b) c) d) e) f) g) la frequenza e la durata dei comportamenti ossessivo‐compulsivi; la valutazione dell’ansia e della relazione con il disturbo; le circostanze e le situazioni in cui i disturbi si manifestano; il ruolo assunto dall’ambiente circostante nell’aumentare o diminuire i sintomi; le verbalizzazioni interne prima, durante e dopo il rituale ossessivo; eventuali stati di depressione o altri disturbi associati; la motivazione del bambino e della sua famiglia verso la terapia. Anche con i bambini come per gli adulti è importante ripercorrere la storia dei sintomi per vedere se il piccolo sa attribuire un inizio alla sua sofferenza e quantificarla. È importante anche sapere come si sente a casa, a scuola, al parco e anche in studio durante la terapia e capire se è motivato a collaborare con il terapeuta per uscire dallo stato di malessere in cui si trova. Il bambino deve essere coinvolto dal terapeuta, tenendo conto dell’età, in modo attivo e consapevole. I più piccoli saranno accompagnati prevalentemente attraverso il gioco ad affrontare le situazioni di disagio che innescano i comportamenti ossessivi, sperimentando sia la difficoltà di sentire nuove emozioni, sia la frustrazione di non essere riusciti a farlo, sia la soddisfazione di essere vicini a una risoluzione. Il terapeuta deve sostenere il bambino attraverso le varie fasi del percorso terapeutico assumendo di volta in volta il ruolo di compagno di giochi, di confidente, di educatore, ma sempre di colui che è pronto ad accogliere. È importante che sia chiaro a entrambi l’obiettivo della terapia, mentre le modalità con le quali raggiungerlo saranno decise tenendo conto dei particolari momenti incontrati lungo il percorso e delle predisposizioni e/o desideri di ogni bambino. Se inizialmente è il terapeuta che potrà dà voce alle emozioni profonde del bambino, quelle che lui non osa ancora esprimere ma ci comunica attraverso i sintomi, successivamente sarà il bambino stesso che tenterà di esprimerle all’interno del setting. All’inizio del percorso terapeutico, sarà importante evidenziare i principali schemi cognitivi implicati nella genesi del disturbo e valutare le varie connessioni che esistono tra essi.. Però, non sempre i bambini riescono da soli a comprendere gli schemi disfunzionali che guidano il loro comportamento e le loro emozioni; è compito, quindi, del terapeuta aiutarli a prendere consapevolezza di ciò che sta succedendo, mettendo in discussione le loro convinzioni. Gestione del sintomo Le tecniche terapeutiche dovrebbero focalizzarsi su tre piani distinti, agendo sulla componente emozionale del disturbo, aiutando il bambino a gestire i livelli d’ansia connessi al sintomo; sulla componente comportamentale, sostenendolo nel dilazionare o rinunciare a svolgere i suoi rituali, cioè bloccando l’emissione della risposta; sulla componente ideativa, identificando e lavorando sulle idee ossessive e le immagini intrusive. Le tecniche di esposizione (desensibilizzazione sistematica, esposizione graduata, flooding, saturazione) mirano alla riduzione (estinzione o assuefazione) dall’ansia associata a stimoli esterni o interni elicitanti i comportamenti ossessivi, esponendo il bambino allo stimolo ansiogeno (in vivo o nell’immaginazione). Desensibilizzazione sistematica Nella desensibilizzazione sistematica la presentazione degli stimoli ansiogeni è effettuata in modo graduale (costruendo insieme al bambino una gerarchia delle situazioni che gli provocano disagio) e utilizzando il rilassamento muscolare progressivo per contrastare l’ansia. Le situazioni vengono riconosciute prima immaginativamente, poi in vivo, in stato di rilassamento, puntando all’inibizione dell’ansia attraverso la distensione muscolare. Talvolta, l’ascolto della musica o di una bella fiaba può facilitare nel bambino l’induzione del rilassamento; il terapeuta dovrà comunque adoperarsi MARIA GRAZIA STREPPARAVA - PSICOPATOLOGIA DELLO SVILUPPO 2011-2012– bozza di lavoro non utilizzare non diffondere ogni volta per individuare la risposta antagonista all’ansia che è più efficace per quel particolare bambino in quella particolare situazione. Esposizione graduata L’esposizione graduata segue la falsariga della desensibilizzazione sistematica, con presentazione delle situazioni ansiogene in vivo o nell’immaginazione, senza tuttavia che ciò sia accompagnato dal rilassamento muscolare e, in genere, presentando più velocemente gli stimoli disturbanti. Questa tecnica è particolarmente adeguata nelle ossessioni con temi di contaminazione, ma può essere applicata anche a quelle relative al timore di recare danno alle persone. Prevenzione e dilazione della risposta La tecnica di prevenzione della risposta (spesso associata alle procedure di esposizione) consiste nell’impedire al bambino l’emissione del comportamento ripetitivo, mentre gradualmente si accosta agli stimoli ansiogeni. È particolarmente efficace nei bambini, che si lasciano facilmente coinvolgere dal terapeuta attraverso situazioni curiose o fantastiche, evitando di mettere in atto i rituali di controllo. Questa tecnica, inoltre, permette al terapeuta di valutare in studio ciò che accade quando il bambino viene confrontato con la situazione ansiogena, quali strategie di evitamento tende a mettere in atto o quali cerimoniali usa per affrontarla. Fornendo indicazioni sugli schemi emotivi o cognitivi del bambino, permette al terapeuta di rassicurarlo e, nel contempo, proporsi come modello positivo. Se all’inizio non è possibile utilizzare procedure di esposizione e di prevenzione della risposta, perché l’ansia che il bambino deve sostenere è troppo elevata, può essere utile la dilazione della risposta, che consiste nel prolungare il tempo tra l’esposizione allo stimolo ansiogeno e l’emissione della risposta. La procedura comincia con un periodo preciso di dilazione che viene via via prolungato tenendo conto delle caratteristiche del bambino e dei suoi tempi: è possibile cominciare con una manciata di secondi, per poi proseguire con il tempo di una canzoncina e infine per un’ora. Arresto del pensiero e analisi dei pensieri intrusivi Nei bambini la tecnica di arresto del pensiero, consiste nell’interrompere il flusso dei pensieri ossessivi con uno stimolo incondizionato, ad esempio un rumore forte, un aumento o una diminuzione di luminosità, preceduto dalla parola “stop”, può essere vissuta come particolarmente intrusiva e talora punitiva. È più adatta ai bambini piccoli, che rapidamente associano la parola “stop” allo stimolo incondizionato e interrompono l’idea ossessiva; comunque, va sempre utilizzata in forma giocosa e inserita in un contesto relazionale caldo e supportante. Con i bambini più grandi risulta più opportuno ed efficace lavorare da subito sull’analisi dei pensieri intrusivi, allo scopo di aiutarli a ridimensionare l’ansia e la preoccupazione che possono trasformarsi in realtà causando tragedie familiari, e di attenuare il senso di colpa, la vergogna o la paura connessi al fatto stesso di averli pensati. Non è raro che dopo poche sedute il bambino dichiari già di sentirsi meglio per il fatto stesso di riuscire ad attribuire alle sue percezioni lo status, appunto, di pensieri, dopo aver giocato con esse insieme al terapeuta e condiviso con lui l’idea che molti dei pensieri e delle immagini che ha sono legati a emozioni che ogni bambino possiede e che “scivolano via” non appena eviterà di trattenerli rimuginando e non si impaurirà per averle pensate. Il terapeuta, in altri termini, aiuta il suo piccolo paziente a orientarsi verso un Sé buono. Un altro utile strumento, mutuabile dal repertorio cognitivo-comportamentale e ben adattabile al lavoro con i bambini, è all’assegnazione di “compiti a casa”, condividendo con loro indicazioni comportamentali precise e invitandoli a eseguire nel corso della settimana, sia a casa che a scuola. Queste indicazioni sono importanti per la generalizzazione delle acquisizioni e per ottenere una buona frequenza di ripetizioni dell’esposizione. Questi tentativi, anche in caso di fallimento (che per altro è sempre utile mettere in conto insieme al bambino), verranno accolti dal terapeuta con benevolenza e senza giudizi, e costituiranno anzi l’occasione per discuter insieme delle difficoltà MARIA GRAZIA STREPPARAVA - PSICOPATOLOGIA DELLO SVILUPPO 2011-2012– bozza di lavoro non utilizzare non diffondere incontrate, dei pensieri e delle immagini che si sono attivati e delle emozioni provate. Vanno, cioè, intesi e concettualizzati anche al bambino come forma di esplorazione, di migliore conoscenza e di “studio” congiunto dei suoi comportamenti disturbanti. Ristrutturazione cognitiva La modificazione degli schemi cognitivi del bambino è un intervento di grande rilievo perché offre al piccolo paziente una modalità nuova di interpretare il mondo e le relazioni che vive in esso. La messa in discussione delle idee e delle credenze disfunzionali del bambino avverrà soprattutto dal punto di vista della dimensione procedurale ed emotiva, piuttosto che dal punto di vista semantico; passerà cioè attraverso il disegno , il gioco, la drammatizzazione, ambiti in cui il bambino sperimenterà, nella relazione con il terapeuta, che non esiste un modo giusto o sbagliato di fare le cose, ma tanti modi, tante possibilità, magari anche divertenti, imprevedibili e stimolanti. Accettazione delle proprie emozioni Lungo tutto il processo terapeutico, è importante che il terapeuta aiuti il bambino a riconoscere le proprie emozioni e a viverle senza timore. Il bambino con organizzazione del Sé di tipo difeso avrà appreso entro i propri legami d’attaccamento che l’elaborazione affettivo-motoria degli eventi e comunque l’attivazione emotiva tendono a minacciare lo stato di relazione; il setting terapeutico dovrà allora rappresentare un’instancabile “palestra” emozionale, entro cui imparare che è possibile provare piacere nel fare le cose, sperimentare nuove modalità di affrontare gli avvenimenti grandi e piccoli della vita. La via del benessere non si percorre incrementando il controllo emotivo, ma concedendo a se stessi la possibilità di esperire emozioni sempre più ampie, accettando di riconoscere, differenziare, esprimere sensazioni di piacere ma anche sentimenti d’aggressività, di tristezza o di dolore che bisogna imparare a non negare, a conoscere, affrontare e gestire. Il bambino con organizzazione e stile interpersonale coercitivi, potrà sperimentare un sentimento di accadimento legato a una naturale componente affettiva, non ambivalente né distonica. Il terapeuta sarà quindi pronto a dare al piccolo risposte affettive benevole sia nei momenti di tranquillità sia in quelli di difficoltà; lo accompagnerà ad affrontare l’ansia del dubbio come momento di crescita positiva e come premessa di una scelta sempre più consapevole. Gli interventi in età evolutiva si concludono quando il bambino è sufficientemente in grado di riprendere il suo itinerario di sviluppo, trovare il suo posto e il suo ruolo in famiglia, non come supplente di uno dei due genitori, ma con il loro sostegno, senza rigidità o pressioni. L’equilibrio di una famiglia è un’alchimia: quando uno dei suoi membri evolve, l’equilibrio può alterarsi. Per il terapeuta, vedere che la famiglia cambia e si adatta al proprio figlio, dopo un processo terapeutico, significa sapere che il lavoro svolto con il bambino resterà fecondo Cosa può fare l’insegnante Va premesso che, solitamente, quando si trova nell’ambiente scolastico il bambino tende a mettere meno in atto i rituali e le compulsioni e anche i pensieri ossessivi spesso sono meno pervasivi e presenti, perché è lì ambiente familiare che più spesso stimola l’attivazione di questi comportamenti. Detto questo, si possono avere comunque anche a scuola rituali o avere rituali che coinvolgono la scuola e le attività che vi si svolgono. Per l’insegnante è molto più facile vedere i sintomi secondari: la tristezza, l’ansia, la preoccupazione che invade il bambino e non lo lascia mai. MARIA GRAZIA STREPPARAVA - PSICOPATOLOGIA DELLO SVILUPPO 2011-2012– bozza di lavoro non utilizzare non diffondere Il bambino ossessivo è quello che entra in classe e prima di iniziare la lezione deve sistemare il banco in un certo modo, deve controllare bene dove ha messo la cartella, che stia in una certa posizione, dispone con cura libri e quaderni, mette l’astuccio in una sola posizione. Spesso tutte queste procedure richiedono tempo e possono fare un poco perdere la pazienza, ma l’insegnante deve saper attendere. Se il bambino non può interrompere le ossessioni, l’insegnante deve avere la pazienza di lasciar finire il rituale, ma se capisce di poter avere spazio all’interno del rituale deve essere lei a tranquillizzare il bambino, anziché il rituale. A scuola i bambini molto precisi che si perdono sul dettaglio, cercano la parola giusta, sia pronunciata che a orale che scritta. Sono bambini che vanno in ansia nel momento in cui non hanno la situazione sotto controllo e non tollerano i cambiamenti, anche solo di banco, che non amano gli imprevisti e che si relazionano solo all’interno di performance prestazionali. Sono perciò molto attenti al voto e se non vanno più che bene a scuola, come può succedere ai cambi di ordine di scuola, diventano molto ansiosi. Sempre insoddisfatti di quello che fanno, perché potrebbero fare sempre meglio. L’insegnante può aiutare gli alunni cercando di creare in classe un clima sereno e non competitivo, se necessario deve evitare di dare i voti, ma solo dei commenti discorsivi al lavoro degli alunni. E’ importante invogliare la cooperazione e il lavoro di gruppo in classe rendendo meno strutturata la settimana e inserendo dei momenti di creatività. L’insegnante valorizzerà il bambino non tanto per quello che fa, ma per quello che è, sottolineando in modo positivo tutte le volte che in classe esprimerà un pensiero cooperativo e le sue emozioni Naturalmente se il bambino è seguito da un terapeuta è necessario un contatto continuativo tra scuola e professionista nel rispetto dei ruoli. Il ruolo dell’educatore Quando si ha a che fare con un bambino che soffre di un Disturbo Ossessivo Compulsivo è molto importante integrare il lavoro che svolge il terapeuta al lavoro di un educatore che affianchi il bambino nel suo percorso scolastico e di vita. È quindi necessario e significativo svolgere una didattica individualizzata, che tenga conto delle potenzialità del bambino o dell’adolescente. Innanzitutto è essenziale instaurare un rapporto con il bambino che ci troviamo di fronte: l’educatore deve formulare risposte tecniche sempre più adeguate ai bisogni specifici del bambino, accettandolo per quello che è, con i suoi pregi e difetti, e cercando al tempo stesso di eliminare le barriere culturali e sociali che costituiscono la causa principale delle situazioni di emarginazione e di svantaggio. Contribuire a migliorare la qualità della vita significa quindi aiutare a uscire dallo stato di passività e di dipendenza e ciò che richiede in primo luogo una rottura e una svolta nel modo di percepire il disturbo e di convivere con esso. Il vero dramma delle persone in difficoltà è quello che si consuma nel silenzio della cosiddetta dimensione del privato: le esperienze che si riallacciano principalmente al sé corporeo, alle gratificazioni affettive e sessuali, ai rapporti amicali, al gioco, al divertimento, alla realizzazione personale sono proprio quelle che vengono maggiormente a mancare. Alcune ricerche compiute nella scuola hanno dimostrato che i bambini “normali” non amano frequentare nel tempo libero i compagni che soffrono di qualche problema o disturbo né escono volentieri con loro per giocare, andare al cinema o svolgere insieme altre attività ricreative. La comunicazione, gli scambi sociali, la partecipazione è limitata alle ore di permanenza scolastica; poi MARIA GRAZIA STREPPARAVA - PSICOPATOLOGIA DELLO SVILUPPO 2011-2012– bozza di lavoro non utilizzare non diffondere al bambino rimane solo, nella migliore delle ipotesi, la compagnia dei familiari e dei parenti, che però da soli non possono rispondere alle sue reali necessità. La società dunque continua ad emarginare i soggetti più deboli esercitando di fatto influenze ambigue e contraddittorie. Venendo a mancare la possibilità di una vera integrazione sociale il bambino in difficoltà è riconsegnato alla sua famiglia, ai suoi problemi, alla sua solitudine. È quindi molto importante che gli interventi educativi e terapeutici vengano messi in atto, concepiti e progettati a livello multidisciplinare da una equipe di specialisti fortemente motivati alla cooperazione e capaci di svolgere un lavoro di gruppo sufficientemente integrato. J. McGee, che si era occupato per molti anni di bambini affetti da gravi forme di autismo e/o di ritardo mentale, si richiama esplicitamente agli studi di Bruno Bettelheim, a quelli di Rogers sulla comunicazione empatica e a quelli di R. Carkhuff sul counseling e sulle tecniche di aiuto. L’assunto di base del gruppo che si richiama ai principi del gentle teaching è che tutti gli individui hanno bisogno di calore e di affetto e che tale bisogno risponde positivamente ad una valorizzazione incondizionata. Lo scopo primario di ogni educatore diventa allora quello di creare un “bonding”, (ossia un legame, attaccamento) cioè un tipo di rapporto per alcuni aspetti simile a quello che si sviluppa tra il bambino e la madre. Ciò si rende necessario in virtù dell’enorme bisogno di accettazione che la maggior parte delle persone svantaggiate dimostra di avere unitamente alla incapacità di stabilire un valido legame affettivo che, o non è mai esistito, o è stato precocemente danneggiato per motivi di carattere sociale o psicologico. L’errore e l’insuccesso sono ad ogni passo inevitabilmente presenti e, se ben utilizzati, assumono un ruolo decisivo nel processo di apprendimento stesso. Ma il fallimento e l’insuccesso, o più semplicemente l’idea che esso possa realizzarsi, per un soggetto ad autostima debole può costituire, e di fatto costituisce, un trauma gravissimo. Ed è per questo che nella scuola a volte si innescano delle dinamiche fortemente ansiogene che concorrono ad aggravare situazioni familiari a rischio o a trasformare il gruppo classe in un luogo di disadattamento affettivo e sociale. Compito fondamentale di un educatore o insegnante specializzato diventa allora quello di creare un setting di apprendimento in cui la scelta e l’utilizzazione delle strategie didattiche più idonee al raggiungimento dei vari obiettivi pedagogici avvenga sempre nell’ambito di una relazione di aiuto e di incoraggiamento. A tal fine si richiedono tre tipi essenziali di competenze: • Capacità di ascolto attivo • Capacità di comprensione delle dinamiche di gruppo • Capacità di introspezione e di auto trasformazione, cioè apertura e disponibilità a mettere in discussione se stessi. La capacità di ascolto attivo è veramente prioritaria perché offre la possibilità di osservare in modo approfondito e non episodico e costituisce un’efficace modalità di sostegno affettivo e quindi rappresenta di per sé un valido agente terapeutico. Ma perché l’ascolto sia veramente attivo e non una forma di ipocrisia che provoca imbarazzo, frustrazione o rabbia in chi sta parlando deve configurarsi come realmente empatico. Soltanto l’empatia conferisce un valore terapeutico alla comunicazione e permette di comprendere l’altro e non solo di osservarlo o di ascoltarlo. L’empatia ci consente di condividere le emozioni e i pensieri di un’altra persona senza per questo violare i confini tra il sé e l’altro; consente di entrare realmente in sintonia con l’altro e di comunicare in modo genuino e libero da schemi precostituiti. Così diventa possibile la decifrazione di comportamenti anche apparentemente assurdi e interagire con risposte non stereotipate ma mirate a soddisfare i bisogni specifici di un particolare soggetto. MARIA GRAZIA STREPPARAVA - PSICOPATOLOGIA DELLO SVILUPPO 2011-2012– bozza di lavoro non utilizzare non diffondere Un ambiente educativo che sia capace di agire in questo senso, da un lato integra e sostiene la fragile struttura del Sé della persona in difficoltà e dall’altro crea un clima di fiducia. 14.1 ATTIVITA’ DA PROPORRE AI BAMBINI DOC • Il GIOCO: il gioco dei bambini è molto più che un semplice divertimento ed è fondamentale per il loro benessere quanto lo sono il cibo e il sonno. Il gioco rappresenta la tecnica, lo strumento del progresso e dunque la strada obbligata verso l'evoluzione. Per i bambini molto piccoli il gioco è soprattutto esercizio di esplorazione della realtà, dunque lavoro essenzialmente pratico, senza significati più complessi. Una delle funzioni più significative del gioco è quella di aiutare il bambino ad affrontare le emozioni della vita : amore, odio, aggressività, ansia. Il gioco gli consente di dominare la realtà, invece che esserne dominato. Alcune tecniche di gioco sono particolarmente in grado di allontanare da sé la paura più grande dei bambini: quella cioè di essere abbandonati: il gioco del cucù svolge questa funzione: consente infatti al bambino di rivivere in un contesto sicuro la situazione di scomparsa/ricomparsa delle persone e di esercitare sulla propria ansia quel controllo che non gli è invece consentito nelle situazioni reali, ad esempio quando i genitori escono per andare a lavorare o lo mettono a letto la sera. Un'altra tecnica di gioco consiste nel lanciare lontano i giocattoli e poi andarli a riprendere o farseli riportare da altri: in questo modo il bambino si allena a tenere a bada l'ansia che prova quando vede le persone care allontanarsi. Il gioco immaginativo e le svariate situazioni in cui 'si fa finta che...' aiutano invece lo sviluppo intellettivo : quando ad esempio un bambino finge di essere qualcun altro, egli, attraverso il gioco, riesce meglio a comprendere i diversi modi in cui le persone si comportano quando sono insieme, impara ad identificarsi con alcune figure del mondo degli adulti: attraverso questi giochi il bambino diviene maggiormente padrone di sé, migliora il suo livello di intelligenza ed anche l'equilibrio psicologico e neuro-muscolare. Per un sano sviluppo del bambino sarebbe invece necessario fare in modo che lo spazio ed il tempo del gioco non vengano meno, spazi e tempi in cui il bambino abbia la possibilità di esprimersi a livello corporeo, dove possa anche manipolare, distruggere, ricostruire, amare, odiare, imparando così a padroneggiare le proprie forze, per poterle poi applicare ai compiti della realtà. • Il DISEGNO: Soprattutto in età pre - linguistica il disegno è uno strumento espressivo molto utilizzato dal bambino. Molte tecniche di valutazione clinica infantile sono basate sull’analisi del disegno, considerato specchio di dinamiche emozionali e del progressivo sviluppo cognitivo. Infatti l’abilità grafica evolve non solo in corrispondenza dell’aumento dell’età anagrafica, ma anche rispetto ai progressi nelle abilità mentali. Paragonando diversi disegni, prodotti in età differenti dallo stesso bambino è infatti possibile apprezzare concretamente il progresso nell’acquisizione di abilità cognitive e rappresentative. Naturalmente il felice sviluppo del grafismo infantile è strettamente dipendente dalla capacità di controllo della motricità della mano, dallo sviluppo della vista e dalla coordinazione occhio-mano. Sembra inoltre che anche il livello di sviluppo del linguaggio influisca in un certo modo sulla produzione grafica, nel senso che difficilmente il bambino disegna spontaneamente oggetti che non è in grado di denominare. Ecco perchè il disegno rifletterebbe aspetti del livello di conoscenza del mondo circostante da parte dell’infante. Man mano cioè che il bambino prende coscienza della realtà è naturale per lui rappresentarla nel disegno: quando ad esempio viene compreso che nella MARIA GRAZIA STREPPARAVA - PSICOPATOLOGIA DELLO SVILUPPO 2011-2012– bozza di lavoro non utilizzare non diffondere pancia della propria madre c’è un fratellino è frequente che egli lo rappresenti nel disegno, come se la pancia fosse trasparente e si potesse scorgere il bambino al suo interno. Alcuni disturbi ad esordio precoce possono essere evidenziati dall’analisi del disegno: tra essi per fare qualche esempio il ritardo mentale, le psicosi, sintomi ossessivi, la presenza di un disturbo da stress post-traumatico. Ma dall’analisi attenta di un disegno si può anche evincere la presenza di un disagio emotivo, che non viene altrimenti verbalizzato o comunicato. La valutazione della produzione grafica del bambino rispetto alla sua età e alle sue potenzialità di sviluppo può dunque essere un elemento utile per la prevenzione e per l’individuazione del disagio infantile. Naturalmente l’attendibilità di questa valutazione può essere garantita esclusivamente dall’esperienza di un professionista competente in materia • La MUSICA: Il pianto del bambino, i suoi primi vocalizzi, il suo riconoscere le voci più familiari, quelle che sentiva dalla pancia della mamma, oppure il battito cardiaco della mamma: tutto questo fa capire che ogni essere umano ha un senso innato del ritmo ed una propria musicalità. Secondo un’indagine commissionata da Disney Interactive sul rapporto tra la musica ed il processo formativo dei bambini, è risultato che la musica è indispensabile per lo sviluppo della fantasia e della creatività dei bambini ed, essendo un linguaggio universale, pare rappresenti uno strumento insostituibile per sviluppare nei più piccoli l’apertura nei confronti di una società sempre più multirazziale. Dovremmo quindi imparare ad avvicinare i nostri figli all’ascolto delle sette note già dai primi mesi di vita grazie a filastrocche, ninne nanne o canzoncine. Ogni futura mamma parla al suo bambino mentre è ancora nella pancia, raccontando cosa succede, cantandogli delle canzoni ed ogni mamma ha istintivamente un “linguaggio personale” con il proprio piccolo; ogni momento dell’infanzia ha i suoi mezzi per ascoltare e produrre musica, ma spesso non ci facciamo caso o peggio tendiamo a reprimere le attività esplorative svolte con cucchiai, pentole e forchette. Non valorizziamo abbastanza gli aspetti sonori dei paesaggi che ci circondano, cantiamo sempre meno ninne nanne, raccontiamo poche fiabe perché le offriamo confezionate e pronte per l’uso in cd, anche senza la nostra azione diretta. Oltre alla ninna nanna, anche l’ascolto di buona musica ha effetti positivi nella formazione e nella crescita dei bambini. • La PSICOMOTRICITA’: La psicomotricità è una disciplina che prende in considerazione l’uomo nella sua globalità; il suo obiettivo principale è quello di permettere l’integrazione armonica degli aspetti motori, funzionali, affettivi, relazionali e cognitivi. Il corpo, il movimento e l’azione sono gli elementi fondamentali per apprendere e operare sulla realtà. Nata all’interno dell’ambito medico (neuropsichiatrico) ed in particolare nell’ambito sociosanitario per dare una risposta a tutti quegli interrogativi e a quelle problematiche che la medicina non riusciva a spiegare in termini medici in quanto non necessariamente aventi un’origine organica, la psicomotricità affida un ruolo preminente al corpo considerato in relazione costante e significativa con l’ambiente. In particolare valorizza il corpo in movimento, il corpo con le sue specifiche modalità di espressione: il suo linguaggio. Attraverso esso, il suo agire e il suo relazionarsi, l’individuo esprime la propria identità, i suoi bisogni e le sue difficoltà. MARIA GRAZIA STREPPARAVA - PSICOPATOLOGIA DELLO SVILUPPO 2011-2012– bozza di lavoro non utilizzare non diffondere Il corpo in psicomotricità è inteso come soggetto di azione e di relazione con il mondo, per questo è importante favorire la sua espressione canalizzando in modo consapevole e mirato le risorse e gli stimoli spontanei dell’individuo nel corso del suo sviluppo evolutivo. Lo sviluppo del bambino, soprattutto fino agli anni della scolarizzazione primaria, è unitario, nel senso che vi è una stretta relazione fra la sua motricità e la sua intelligenza, fra azione e pensiero. E’ con il corpo e le sue realizzazioni motorie che il bambino struttura il suo Io e acquisisce la sua autonomia. Ed è sempre attraverso il corpo che il bambino esprime i suoi desideri e i suoi bisogni. La stretta relazione fra corpo e mente, valida soprattutto nel bambino, ma non solo, chiarisce come sia proprio attraverso l’agire corporeo, con tutte le sue modalità espressive e comunicative non verbali, che i soggetti pensano, imparano, creano e si relazionano. La sua applicazione in ambito terapeutico può avvenire a livello individuale o di gruppo. L’intervento può essere specifico in situazioni di patologie conclamate oppure in casi di disturbo o disagio quali vengono di seguito evidenziati. La presa in carico psicomotoria mira a mobilizzare ogni possibile risorsa della persona e del suo contesto al fine di intervenire sul sintomo a partire dalle complicazioni che inevitabilmente accompagnano il disagio o il deficit nel rapporto con l’individuo, gli oggetti e gli altri. Accanto al problema organico, infatti, andiamo a chiarire e specificare i disturbi psicomotori che si possono accompagnare e che, come si è detto, si esprimono attraverso il canale privilegiato del corpo. L’altro ambito di applicazione della psicomotricità è quello preventivo-educativo che si realizza soprattutto in gruppo. In questo caso l’obiettivo è quello di prevenire o di evidenziare eventuali problematiche latenti o a rischio e di favorire, attraverso il lavoro nel gruppo, lo sviluppo del bambino nella sua totalità e interdipendenza fra agire, pensare, comunicare, sentire, percepire. L’intervento psicomotorio, a qualunque livello appartenga, va dunque interpretato secondo il parametro della qualità, del benessere, del miglioramento conseguito globalmente dall’individuo, dove il movimento agevola anche la comunicazione e la relazione con l’ambiente che lo circonda. In conclusione, il ruolo dell’educatore è molto importante con bambini che soffrono di questo tipo di disturbi, perché in questo modo l’educatore affianca quotidianamente il lavoro che svolge il terapeuta per una/due volte alla settimana e insieme al bambino si possono rafforzare i traguardi raggiunti durante la terapia. Oltre a questo, l’educatore è un importante supporto emotivo per il bambino e per la sua famiglia che in questo modo non si ritrova più sola a sostenere e affrontare un percorso così complicato e in salita. MARIA GRAZIA STREPPARAVA - PSICOPATOLOGIA DELLO SVILUPPO 2011-2012– bozza di lavoro non utilizzare non diffondere