A002741 OSSESSIONI POST PARTUM Visualizza e/o Stampa Da

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FONDAZIONE INSIEME onlus.
Da MENTE&CERVELLO del 15/5/13, <<OSSESSIONI POST PARTUM>> di
Francesco Cro, medico psicologo.
Per la lettura completa del pezzo si rinvia al mensile citato.
Impulsi e pensieri che si presentano in modo invadente e
ripetitivo nella mente del paziente: spesso la nascita del primo
figlio è l’evento che scatena la malattia.
I primi mesi dopo la gravidanza e il parto sono un periodo a
rischio per lo sviluppo di disturbi psichiatrici.
Mary è una donna di 32 anni, madre di un bambino di nove
settimane.
Si presenta al servizio d’emergenza psichiatrica del centro
medico dell’Università di Pittsburgh chiedendo aiuto per una grave
ansia legata al timore di poter fare del male a suo figlio.
A inviarla al servizio psichiatrico è stata la sua ostetrica,
preoccupata per questi sintomi insorti pochi giorni dopo il parto,
nonostante l’assenza di complicazioni e le ottime condizioni di
salute del neonato.
Mary non riesce a dormire, ed è terrorizzata all’idea di
rimanere da sola con suo figlio; si immagina capace di azioni
terribili, come infilare il bambino nel forno a microonde.
La semplice vista di questo elettrodomestico la turba
profondamente, e se ne tiene lontana il più possibile, perché teme
di non riuscire a dominare l’impulso di mettersi a valutarne le
dimensioni per vedere se sia della misura giusta per contenere il
piccolo.
Quando questi impulsi diventano particolarmente intrusivi
piange disperatamente: non vuole diventare un’infanticida.
Un altro pensiero che ossessiona Mary è quello di poter
spingere anche suo marito dentro il forno a microonde.
Si rende conto che è fisicamente impossibile, ma questo la
terrorizza ancora di più, perché le fa temere di essere impazzita.
Si «vede» tenere in mano le cornee sanguinanti di suo figlio,
strappate dai suoi occhi con le proprie mani.
Tra i singhiozzi riferisce agli psichiatri che non ha nessuna
intenzione di fare del male al bambino: anzi, prima di recarsi al
servizio per chiedere aiuto ha implorato sua suocera di prendersi
cura del piccolo e di «difenderlo» da questi suoi folli impulsi.
Qualche anno prima Mary aveva sofferto di attacchi di panico,
che ha superato con l’aiuto di una terapia antidepressiva.
A ogni modo, da oltre due anni non prende più nessun farmaco,
e non ha più avuto nessun problema fino alla nascita di suo
figlio.
Lo psichiatra Robert Hudak, del Dipartimento di psichiatria
dell’Università di Pittsburgh, e la sua collega Katherine Wisner,
esperta nel trattamento dei disturbi psichiatrici durante la
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gravidanza o il post partum, stabiliscono che i sintomi di Mary
non sono di natura psicotica, non essendo dovuti a delirio
allucinazioni, ma sono classificabili come ossessioni -pensieri
intrusivi che la paziente non riesce a tenere fuori dalla propria
mente, pur conoscendone l’assurdità- e che in realtà figlio non
corre alcun pericolo.
Quest’ultima conclusione, di per sé rassicurante, non basta
però a tranquillizzare Mary, né i suoi familiari, estremamente
angosciati da quello che potrebbe capitare al bambino.
In un primo momento, tuttavia, la natura prevalentemente
ossessiva dei sintomi di Mary viene sottovalutata, e la paziente
vieni dismessa con una terapia farmacologica a base di
antidepressivi -utili nella cura sia della depressione che
dell’ansia- e con l’indicazione di seguire un programma di
trattamento ambulatoriale intensivo per i disturbi d’ansia.
Nonostante un lieve miglioramento delle condizioni, i
pensieri ossessivi di Mary restano, e con loro il grave scadimento
della qualità della sua vita.
MARY E SUO FIGLIO
Il persistere dei sintomi spinge i medici, tre settimane
dopo, a inserire Mary in un programma terapeutico specializzato
per la cura dei disturbi ossessivi, basato soprattutto su sessioni
di psicoeducazione, ossia di lavoro informativo per rendere i
pazienti consci della natura del loro disturbo, dei suoi
meccanismi di funzionamento e delle possibili strategie per
uscirne oppure per conviverci nel miglior modo possibile.
Mary è sollevata dal sapere che molte giovani madri
condividono il suo stesso problema, che non si tratta di un
disturbo psicotico e, soprattutto, che nessuna delle pazienti
nelle sue condizioni ha fatto effettivamente del male a suo
figlio.
Mary segue il programma terapeutico per tre mesi, con due
incontri settimanali.
Il dosaggio del suo antidepressivo viene aumentato (la
terapia farmacologica di prima scelta per il disturbo ossessivo è
rappresentata da antidepressivi che aumentano il livello di
serotonina cerebrale ad alte dosi) e viene coinvolta in un
trattamento basato sull’esposizione allo stimolo temuto (la
possibilità di fare male a suo figlio in un raptus di follia) con
prevenzione della risposta (i comportamenti patologici -rituali
ossessivi- messi in atto dalla paziente per alleviare l’ansia).
Inizialmente molto riluttante, Mary accetta di sottoporsi a
questo intervento terapeutico solo dopo essersi convinta che le
persone tormentate da idee ossessive non le traducono mai in
azioni concrete.
Viene quindi esposta a situazioni che stimolano la sua ansia
e aiutata a resistere in condizioni di difficoltà crescente.
Si comincia con documentari sulla malattia mentale, che Mary
ha sempre evitato di guardare, per timore della sua stessa
«follia»; viene quindi addestrata a tenere in mano un coltello
(utensile che aveva fatto sparire dalla sua cucina), o a stare
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vicino al forno a microonde per intervalli di tempo
progressivamente più lunghi, mentre guarda la foto di suo figlio,
senza poter chiedere, come faceva abitualmente, rassicurazioni sul
fatto di non avervi involontariamente chiuso dentro il bambino.
Verso la fine del trattamento si cimenta con il compito più
difficile: immaginare di essere a cavallo di una giostra con il
piccolo e di lasciarlo cadere.
Riesce, non senza difficoltà, a completare il percorso
terapeutico, imparando a ridurre l’ansia associata a queste
immagini mentali, che ora sono notevolmente diminuite, e non
avendo più bisogno di evitare tutti gli stimoli che le innescano.
La posologia del farmaco viene ulteriormente aumentata e Mary
continua la sua cura con periodiche sedute di controllo e
«richiamo».
Dopo due anni le idee intrusive si affacciano ancora, di
tanto in tanto, alla mente di Mary, ma lei è in grado di tenerle
sotto controllo senza farsi prendere dal panico: si rende conto
che i pensieri non equivalgono alle azioni.
Suo figlio sta bene, e a cinque anni di distanza dall’inizio
dei sintomi ossessivi decide, d’accordo con suo marito, di
affrontare un’altra gravidanza.
Informata sui rischi legati sia alla prosecuzione sia
all’interruzione della terapia farmacologica, sceglie di
mantenerla, e dopo nove mesi mette al mondo, con taglio cesareo,
una bambina sana e forte.
Pochi giorni dopo il parto ricompaiono i pensieri ossessivi,
gravi come in passato; ma Mary contatta subito il suo psichiatra e
il suo psicoterapeuta, che la aiutano a gestirli, anche con
l’aiuto di ansiolitici a basse dosi ed esercizi di rilassamento e
mindfulness.
Nel giro di due o tre settimane Mary è di nuovo libera dai
sintomi e pronta a prendersi cura con animo sereno dei suoi due
bambini.
Box 1
L’ORGANIZZAZIONE PSICOLOGICA OSSESSIVA: UN QUESTIONARIO PER
INDIVIDUARLA.
L’Obsessive Beliefs Questionnaire (OBQ) è uno strumento
deputato al riconoscimento di alcune convinzioni o schemi di
pensiero che possono facilitare l’insorgenza e il mantenimento del
disturbo ossessivo-compulsivo.
Ecco alcuni esempi:
• secondo me le cose non vanno bene finché non sono perfette;
• non sopporto che mi accadano cose inaspettate;
• devo essere sicuro che gli altri non subiscano danni a
causa delle mie decisioni o azioni;
• devo impegnarmi costantemente per evitare problemi seri;
• se un pensiero mi entra in mente vuoi dire che è
importante;
• se non controllo i miei pensieri avrò problemi e rischierò
di subire delle punizioni.
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Spesso le pazienti nascondono i sintomi per la vergogna,
sconvolte dal contenuto dei loro pensieri ossessivi.
PAURA DI SE STESSE.
I disturbi ossessivo-compulsivi sono caratterizzati da
pensieri, immagini o impulsi che si presentano in modo invadente e
ripetitivo nella mente del paziente ossessioni, rappresentate più
spesso dal timore di non controllare i propri impulsi aggressivi o
sessuali, o di poter contrarre malattie, o da pensieri a contenuto
religioso) e che danno luogo a comportamenti ripetitivi o rituali
(<compulsioni>) volti a diminuire l’ansia.
Il caso descritto da Hudak e Wisner appare paradigmatico per
diversi aspetti: le circostanze di presentazione dei sintomi
ossessivi, il loro contenuto, le strategie terapeutiche e di
sostegno messe in atto.
I primi mesi dopo la gravidanza sono un periodo a rischio per
lo sviluppo di disturbi psichiatrici.
Se la depressione post partum è un’entità psicopatologica
largamente riconosciuta sia dai clinici che dai non addetti ai
lavori, le cui cause affondano le proprie radici nei repentini
cambiamenti ormonali, psicologici ed esistenziali che investono la
giovane madre, i disturbi ossessivi che insorgono dopo la nascita
di un figlio non hanno ricevuto la stessa attenzione.
Eppure lo psichiatra Giuseppe Maina, del Servizio per i
disturbi depressivi e d’ansia del Dipartimento di neuroscienze
dell’Università di Torino, ha notato che all’incirca la metà delle
pazienti affette da disturbo ossessivo-compulsivo riferisce che la
nascita di un figlio è stata il fattore precipitante che ha
scatenato la malattia.
Chi soffriva già di ossessioni riporta un peggioramento delle
stesse dopo il parto, mentre Jonathan Abramowitz, docente di
psicologia all’Università del North Carolina, ha osservato che
nove pazienti su dieci, colpite da depressione post partum,
presentano anche pensieri intrusivi e sintomi ossessivocompulsivi.
Abramowitz ha recentemente dimostrato, con la collega Kiara
Timpano, dell’Università di Miami, che sottoporre le future mamme
predisposte allo sviluppo di problemi ossessivo-compulsivi a un
programma di prevenzione, basato sulla comprensione la gestione
dei meccanismi cognitivi ed emotivi implicati nelle ossessioni,
nonché sulle classiche tecniche comportamentali di esposizione
allo stimolo fobico, riduce i rischi nei primi sei mesi dopo il
parto.
Il campione studiato da Abramowitz e Timpano comprende 71
giovani madri alla prima gravidanza, con un punteggio elevato
all’Obsessive Beliefs Questionnaire, che valuta la presenza di
schemi di pensiero ritenuti rilevanti, da un punto di vista
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cognitivo nella genesi e nel mantenimento dei sintomi ossessivocompulsivi.
Il questionario è stato tradotto e validato in italiano dai
gruppi: di Caterina Novara e Stella Dorz del Dipartimento di
psicologia generale dell’Università di Padova (si veda il box 1).
I meccanismi psicologici che generano le ossessioni e i
conseguenti rituali compulsivi, sono rappresentati da esagerato
senso di responsabilità, intolleranza dell’incertezza e da quella
che la psicologa inglese Roz Shafran, dell’Università di Reading,
e i suoi colleghi Dana Thordarson e Stanley Rachman,
dell’Università della British Columbia a Vancouver, definiscono
«fusione pensiero-azione»: la convinzione che alcuni pensieri o
rappresentazioni mentali inaccettabili, come l’idea di fare male a
qualcuno, siano equivalenti sul piano morale a comportamenti
realmente agiti, o che il semplice pensare una cosa aumenti la
probabilità che quella cosa si verifichi.
Partendo da una simile impostazione psicologica si può capire
come il ruolo di madre, con i dubbi e le responsabilità che
comporta, e il rapporto quotidiano con una creatura fragile come
un bimbo appena nato facilitino in alcune pazienti la comparsa di
ansia e sintomi ossessivi.
In effetti i comportamenti di controllo dello stato di salute
del bambino sono comuni tra le neomamme, e in presenza di
un’organizzazione psicologica predisponente possono trasformarsi,
nel giro di poche settimane, in compulsioni, legate al pensiero
ossessivo di poter fare, o di aver già fatto, del male al proprio
bambino.
La psichiatra Sophie Grigoriadis, dell’Università di Toronto,
ha osservato che in molte culture sono presenti forme ritualizzate
di assistenza alle giovani madri che hanno una probabile funzione
protettiva nei confronti dell’insorgenza di sintomi depressivi o
ansiosi.
STRATEGIE TERAPEUTICHE.
Le compulsioni possono manifestarsi come «rituali» attivi, ma
anche sotto forma di evitamento: le pazienti possono delegare ad
altri il compito di lavare il piccolo, o di preparare i pasti per
lui, o anche l’intera cura della sua persona, con gravi
conseguenze sulla relazione madre-bambino e sul benessere
psicologico di entrambi.
Gli interventi cognitivo-comportamentali agiscono sul
cortocircuito tra pensiero o rappresentazione ossessiva e
compulsione, bloccando l’esecuzione dei rituali e facilitando una
presa di distanza critica della paziente dalle convinzioni
patologiche.
La terapia farmacologica con antidepressivi che bloccano il
reuptake -ossia il riassorbimento all’interno delle cellule
nervose- della serotonina, aumentando i livelli di questo
neurotrasmettitore nel cervello, agisce a livello dello squilibrio
neurobiologico esistente tra i nuclei della base e la corteccia
frontale, iperattiva nel tentativo di controllare un’impulsività
che il paziente percepisce pericolosamente aumentata.
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Per Maina il trattamento psicoterapeutico e quello
farmacologico sono entrambi utili, anche in momenti diversi, così
che uno possa agire sui sintomi eventualmente non eliminati
dall’altro.
Vista la frequente comparsa di disturbi ossessivi anche nelle
madri non affette da sindrome ossessivo-compulsiva, Abramowitz
raccomanda che gli interventi terapeutici non siano legati a una
specifica diagnosi, ma costruiti su misura per i sintomi
presentati da ogni paziente.
Medici, psicologi e ostetriche dovrebbero essere
sensibilizzati al riconoscimento di questi disturbi, che se non
trattati possono arrecare notevole sofferenza, e che spesso le
pazienti tendono a nascondere per vergogna, sconvolte dal
contenuto terrificante dei loro pensieri ossessivi.
--------------- 0000 ----------------IN PIÙ.
MELLI G., Vincere le ossessioni. Capire e affrontare il
disturbo ossessivo-compulsivo, Eclipsi, 2011.
Un programma di
auto-aiuto basato sui principi della psicoterapia cognitivocomportamentale.
ABRAMOWITZ J.S., Disturbo ossessivo-compulsivo, Giunti
Organizzazioni Speciali, 2010. Gli sviluppi della psicoterapia
cognitivo-comportamentale sulla base di una vasta esperienza
clinica e di ricerca.
ANTONY M.M. e SWINSON R.P., Nessuno è perfetto. Strategie per
superare il perfezionismo, Eclipsi, 2008. Gli autori affrontano il
perfezionismo patologico, caratteristica psicologica associata al
disturbo ossessivo-compulsivo.
FRICKE S. e HAND I., Avrò chiuso la porta di casa?
Affrontare le proprie ossessioni, Centro Studi Erickson, 2007. Un
percorso di autoaiuto rivolto anche a familiari e partner dei
pazienti per facilitare la comprensione delle dinamiche
psicologiche di questo disturbo.
SAUTERAUD A., Non riesco a fare a meno di... verificare,
contare, lavare, controllare. Come riconoscere e liberarsi dalle
ossessioni manie, fissazioni e compulsioni TEA, 2006. Un libro
divulgativo adatto anche a chi non ha competenze specialistiche.
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