CORSO DI LAUREA SPECIALISTICA IN “EDITORIA, COMUNICAZIONE MULTIMEDIALE E
GIORNALISMO”
CORSO “CULTURE E CONFLITTI NELL’AREA MEDITERRANEA”
I CORSARI BARBARESCHI: BREVE EXCURSUS STORICO
di Antonella Sassu
matr. 30017152
I Pirati e corsari; II Prima dei Barbareschi; III Origini degli stati barbareschi; IV Lo scontro di Malta e la
battaglia di Lepanto: le sconfitte turche; V L’Africa dei corsari e la progressiva emancipazione dai turchi; VI La
minaccia barbaresca; VII Lo scemare della minaccia e la fine dei Barbareschi.
I. PIRATI E CORSARI
Spesso i due ruoli di pirata e corsaro sono confusi o usati come sinonimi. Questo per via della
sottigliezza che intercorre tra le occupazioni quotidiane degli uni e degli altri. In effetti, è
difficile talvolta poter definire con chiarezza quali siano gli uni e quali gli altri, tanto è che molti
studiosi non danno eccessivo peso alla distinzione.
In generale, si può definire corsaro colui che, operando con autorizzazione (quella che veniva
chiamata “patente”) o per nome e conto del proprio stato, agiva in piena legalità, sia sotto il
profilo del diritto interno sia sotto quello del diritto internazionale. Egli era tenuto a rispettare
navi e terre con le quali vigevano condizioni di tregua ed era tenuto a versare al governo parte
del bottino ricavato.
Era definito pirata, invece, colui che, esercitando le stesse attività del corsaro - assaltando navi e
catturando uomini e merci - lavorava in piena illegalità, senza autorizzazione alcuna, né limiti o
rispetto per imbarcazioni e terre di stati amici.
Era abbastanza facile che un corsaro trasgredisse le norme impostegli passando così alla
pirateria. Le storie di pirati e corsari sono storia antica quanto le prime esperienze di
navigazione: il mare si è sempre prestato come il più comodo strumento di comunicazione e
trasporto merci. I primi casi vedono i greci contro i fenici e i cretesi contro gli egizi. Anche i
romani dovettero fronteggiare, in un primo momento, il problema della pirateria cartaginese e
greca.
Dopo il repulisti romano, la minaccia nel Mediterraneo ritorna verso la metà del VII secolo con il
diffondersi dell’Islam sulle sponde meridionali. Inizia così la minaccia corsara, soprattutto per i
popoli delle coste mediterranee francesi e per quelli della penisola italica.
Verso la fine del IX secolo, i mussulmani si insediarono nei pressi di Saint-Tropez creandosi la
base di Frassineto che gli consentiva l’avanzata terrestre nei territori orientali francesi. In Italia i
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saraceni costituirono una base alle foci del Garigliano presso Minturno (nell’attuale Lazio) e
attaccarono svariate volte (dalla Spagna allora mussulmana) le coste liguri e la Sardegna,
tenendo quest’ultima sotto controllo per alcuni mesi. Successivamente, intorno all’anno Mille
sino alla metà del Quattrocento, il Mediterraneo tornò ad essere cristiano e lo fu sino al momento
della riscossa mussulmana con la guerra di corsa.
È importante rilevare che la guerra di corsa e i suoi protagonisti non è una storia interamente
musulmana e non è una storia interamente di guerra: alle imprese di corsa hanno partecipato
attivamente sia musulmani che europei e le loro relazioni non implicavano soltanto assalti e
scambi di schiavi ma anche fitti rapporti commerciali.
II. PRIMA DEI BARBARESCHI
Jacques Heers riporta casi che anticipano i grandi movimenti moderni del Mediterraneo. Molto
spesso a prendere la strada del mare erano quegli esiliati politici, soprattutto delle città costiere,
che, non potendo più esercitare il proprio potere nella città natale, erano costretti a cercare
rifugio nelle attività marinare. Tra il XIII e il XV secolo, la pirateria conobbe un drammatico
sviluppo proprio a causa dell’esilio politico.
Un caso tra i tanti è quello di Baldassarre Spinola, nobile genovese in esilio, che ottenne, nel
1387 da Maria, vedova di Luigi I duca D’Angiò, la signoria di Brégançon. Egli instaurò un vero
e proprio Stato pirata che dava rifugio ai fuorilegge dei mari. Per scacciare Spinola e i suoi
protetti fu necessario scendere a patti, visto che era stato impossibile imporgli con la forza di
lasciare il territorio. Altro caso è quello di Paolo Fregoso, arcivescovo e doge di Genova, che,
cacciato da una rivolta, prese la volta dei mari. Questi si impossessò di navi imponenti che
utilizzò per assaltare tutte le imbarcazioni che incontrava, soprattutto quelle genovesi.
Nonostante tutte le insidie del mare, i commerci erano fitti da e per tutte le coste del
Mediterraneo. Gli Italiani di Genova e Pisa, i Provenzali e i Catalani commerciavano soprattutto
frumento, pelli, lana, mentre i musulmani scambiavano principalmente polvere d’oro proveniente
dal Sudan. Successe così che molti commessi europei si insediarono presso i principali luoghi
commerciali di interesse per tastarne e controllarne il mercato. I mercanti mori, invece, che
avevano l’imposizione coranica di non potersi recare per scopi commerciali nelle terre degli
infedeli, eludevano la norma acquistando parti di navi cristiane o imbarcandosi con essi e quindi
trasportando verso est la seta di Granada e in direzione opposta lino d’Egitto, cotone di Siria e
d’Egitto, piume di struzzo, schiavi e oro. Si vedevano spesso grandi navi italiane, soprattutto
genovesi, far salire a bordo, sul litorale africano, mercanti mori con i loro schiavi e mercanzie.
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Nonostante i negoziati e le paci tra i diversi stati cristiani e musulmani, severamente imposti e
attuati, i sovrani cristiani autorizzavano, però, la corsa contro quei Barbareschi che fossero stati
riconosciuti quali pirati. Coloro che beneficiavano di questo permesso si impegnavano a non
attaccare i sudditi buoni e i principi del Maghreb, ma solo i pirati e i loro rifugi e a corrispondere
al sovrano parte del bottino.
La situazione delle tribù del nord d’Africa in quel periodo - seconda metà del Quattrocento - era
alquanto complicata per via di diverse ribellioni delle tribù, di sommosse popolari e di agitazioni
dei Beduini. I cristiani, soprattutto Catalani e Genovesi, ne approfittarono, razziando perlopiù
piccoli borghi di pescatori o di contadini pacifici.
A conseguenza di questi movimenti, furono diverse le reazioni via mare dei popoli nord africani.
Iniziò così un vero e proprio traffico piratesco in tutta l’area del Mediterraneo occidentale.
III. ORIGINI DEGLI STATI BARBARESCHI
Alla fine del XV secolo l’Africa del Nord era preda all’anarchia: il territorio era spezzato sotto il
potere di diversi principi e tribù; le città marittime, sottrattesi al controllo di ogni autorità, si
erano organizzate autonomamente ed esercitavano attività corsara nei confronti delle navi
cristiane. I moriscos, cioè i mori scacciati dalla riconquista cristiana della penisola iberica,
trovarono rifugio qui e fornirono manovalanza per le attività corsare.
In Spagna il fervore di liberazione dai musulmani continuava a crescere e alimentava la
percezione del rischio derivante dalla vicinanza delle popolazioni arabe nel Maghreb.
L’avanzata spagnola è segnata dalle tappe vittoriose di Mers el-Kebìr nell’ottobre del 1505, di
Bugia nel 1510, sino all’occupazione di Tripoli lo stesso anno e all’auto-sottomissione di Algeri
nel 1511 che concesse alla Spagna
un isolotto situato davanti al porto
della città, dal quale gli spagnoli
potevano controllare gli accessi.
Qui gli spagnoli edificarono la
fortezza del Peñon. Il problema
della guarnigione che occupava la
fortezza
era,
dipendenza
però,
la
totale
dagli
approvvigionamenti di madrepatria
per cui di tanto in tanto, quando i
rifornimenti erano agli sgoccioli, erano costretti a rapide razzie a terra.
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Così posti, gli spagnoli non costituivano un’eccessiva minaccia per la città che chiese
l’intervento di un potente capo corsaro turco, Arug’1, affinché liberasse l’isoletta dagli occupanti
del Peñon. Arug’, assieme al fratello Khair ed-Din (meglio noto come Barbarossa), intervenne
in soccorso agli algerini nel 1516 occupando la città. Successivamente, accusando il sovrano di
Ténès di complicità con gli spagnoli occupò anche questo centro. Chiamato dagli oppositori del
sultano di Tlemcen, spodestò questi e si proclamò suo successore. Cadde nel 1518 in uno scontro
contro gli spagnoli.
Reduce da queste esperienze, il fratello colse immediatamente l’opportunità di allearsi a
qualcuno e decise di dichiararsi vassallo dell’impero turco, ricevendone protezione e aiuti, pur
mantenendo ampia autonomia . Fra il 1520 e il 1525, forte della protezione e degli aiuti di
Costantinopoli, Khair ed-Din conquistò Collo, Bona, Costantina e Algeri. I continui successi del
corsaro fecero sì che nel 1533 il sultano Solimano affidasse a lui la carica di capitano supremo
della flotta ottomana, “capitano del mare”.
Nel 1534 mosse contro Tunisi la quale, però, fu prontamente riconquistata da una spedizione
personalmente guidata da Carlo V che si limitò a reinstaurare il precedente sovrano Mulay
Hasan. Dopo questo successo, gli spagnoli dovettero subire da lui diverse sconfitte come la
rovinosa spedizione ad Algeri nell’ottobre 1541.
Barbarossa si ritirò a vita privata nel 1544, all’età di sessantotto anni e morì quattro anni dopo.
Frattanto un altro capo corsaro andava costruendo la sua potenza sulle coste di Barberia2:
Dragut3. Egli si mise a disposizione di Hàmuda, figlio del Mulay Hasan, che aveva spodestato il
padre e preso il comando di Tunisi. L’attività corsara di Dragut era, ovviamente, sconveniente e
presupponeva rischi per gli interessi spagnoli i quali ben presto decisero di muovere alla
conquista dei territori da lui conquistati. In questa situazione si inserisce l’attacco a Mahdia (città
centrale dell’attività di Dragut) conquistata dagli spagnoli nel settembre 1550. La squadra del
corsaro, in quell’occasione, aveva potuto riparare incolume altrove.
Nel 1551, lo stesso equipaggio dimostrò la sua destrezza, scampando abilmente ad una trappola
tesa loro dalla flotta genovese dell’Andrea Doria: profittando dell’indugio del nemico genovese,
Dragut fece scavare in una notte nel canale di Gerba, presso il quale era stato incastrato, una
deviazione del corso d'acqua verso mare come via di fuga dall’imboscata.
Due anni più tardi i turchi, che avevano conquistato Tripoli nel 1551, affidarono a Dragut il
governo della città dalla quale egli estese il suo dominio verso ovest.
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Il nome di questo potente corsaro è tuttora incerto. Lo stesso Bono riporta nei suoi testi diverse diciture come
Arug’, Aruj, Oruccio etc.
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Voce antica designante i paesi Berberi dell’Africa settentrionale che si affacciano sul Mediterraneo.
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Anche per questo nome insorgono problemi di esattezza. Svariate fonti riportano Dragutte, Draguto etc.
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Allo stesso tempo Algeri rafforzava la propria organizzazione corsara ed estendeva il proprio
potere verso l’interno della Barberia, verso ovest fin quasi al Marocco, verso est togliendo Bugia
agli spagnoli. All’interno di Algeri si delineava un contrasto di potere fra classe militare turca (i
giannizzeri) e la corporazione dei corsari (la taifa). Per evitare i dissidi, il Sultano turco conferì il
nuovo governo d’Algeri ad Hasan Pascià (1557), figlio del Barbarossa. Dando appoggio ai
corsari, i turchi si riservavano il potere di considerare i territori da loro conquistati una sorta di
protettorato. Ne decidevano perciò la Reggenza.
«Dal trattato di Cateau-Cambrésis, aprile 1559, all’assedio di Malta, maggio-settembre 1565, la
storia del Mediterraneo costituisce da sola un tutto coerente. Per sei anni, essa non è più a
rimorchio dei grandi avvenimenti dell’Europa occidentale e settentrionale: liberi da ogni altro
compito, i giganti che dominano le due metà del mare- il Turco e lo Spagnuolo- riprendono il
loro duello»4
Filippo II, re di Spagna, ora tranquillo sul fronte europeo, decise di riconquistare Tripoli.
L’intento di un’accurata preparazione e il maltempo ritardarono la partenza e fecero perdere
quell’elemento di rapidità e l’effetto sorpresa che avrebbero sicuramente giovato alla loro parte.
Nel 1560, l’isola di Gerba fu occupata dagli spagnoli e prontamente riconquistata dai turchi che
arrecarono gravi danni ai nemici.La disfatta spagnola accrebbe ancora di più l’audacia dei corsari
barbareschi nel Mediterraneo occidentale, mentre la flotta turca restava nei mari del Levante.
IV LO SCONTRO DI MALTA E LA BATTAGLIA DI LEPANTO: LE SCONFITTE TURCHE
La lotta per la supremazia nel Mediterraneo raggiunse l’apice nel decennio 1565-1574, periodo
nel quale la superiorità turca subì un grave affronto in due occasioni: l’assedio di Malta (1565) e
la battaglia di Lepanto (1571).
Incoraggiati dai precedenti successi, i turchi - ai quali si unirono in seguito le squadre
barbaresche - nel maggio 1565, tentarono la conquista di Malta, la cui occupazione avrebbe
assicurato un punto strategico e il dominio nel Mediterraneo. Inizialmente gli aggressori presero
possesso facilmente di tutta l’isola, assediando i cristiani nel piccolo forte di S. Elmo, nel Borgo
e nei due forti di San Michele e Sant’Angelo. Mentre i Cavalieri di Malta cercavano di tenere a
bada gli occupanti, giunsero dalla Sicilia i rinforzi grazie ai quali, poche ore dopo, i musulmani
furono sconfitti. In quell’impresa cadde Dragut.
Dopo la battaglia maltese sopraggiunse un periodo di distensione. La Spagna tralasciò gli affari
mediterranei per dedicarsi a quelli nei Paesi Bassi, mentre gli Ottomani dovettero fronteggiare
F. Braduel, Civiltà e Imperi del Mediterraneo nell’età di Filippo II, Torino, 1953, p. 1075 in S. Bono, I corsari
barbareschi, Torino, 1964
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gravi difficoltà economiche. In tutto questa situazione, l’attività corsara non diminuì ed, anzi,
continuava a prosperare.
A dare un nuovo sussurro agli avvenimenti fu l’insurrezione dei moriscos a Granata nel 1568.
Gli spagnoli temevano che fossero sostenuti dai barbareschi i quali, dal canto loro, si
preoccupavano, invece, più che altro a conquistare le restanti terre nord africane.
Ulug’ Ali5 mosse contro Tunisi conquistandola nel 1570. Intanto, l’impero turco, profittando
della situazione, preparò un’intensa azione militare che si rivolse soprattutto contro Venezia.
Vista la minaccia, la città adriatica fu costretta ad abbandonare la propria posizione neutralistica
ed esortò Filippo II alla lotta contro i turchi. Sempre nel 1570 questi tolsero Cipro ai veneziani e,
con la lotta, li costrinsero a rinchiudersi nella fortezza di Famagosta.
In vista della minaccia turca, la Spagna, la Chiesa e Venezia conclusero un’alleanza che fu
chiamata “Sacra Lega” e fu allestita una potente flotta capitanata da don Giovanni d’Austria.
L’occasione per lo scontro si offrì il 7 ottobre 1571, quando, nei pressi di Lepanto, le due flotte si
incontrarono. Lo scontro, che vide l’impiego di 230 navi turche e di 208 cristiane, fu imponente
e portò alla vittoria questi ultimi. Nel corso della storia questa battaglia è stata esaltata, dai
cristiani, come la fine della superiorità turca. Se non è esattamente così, sicuramente questa
vittoria è significata la fine del complesso d’inferiorità cristiana nelle lotte contro i musulmani.
Le cronache dell’epoca descrivono quella battaglia come una delle più cruente. Nonostante
l’iniziale situazione contraria per le flotte della Lega (avevano un vento contrario che non
consentiva manovre agevoli) e la tenacia dei musulmani che attaccavano le galere nemiche da
diversi lati, i cristiani riuscirono meglio a destreggiarsi, distruggendo infine l’intera flotta
ottomana. Si racconta che per circa otto miglia il mare fosse completamente coperto di alberi,
antenne, remi, cadaveri. I Turchi persero 50 galere, 150 furono prese d’assalto e alle restanti fu
dato fuoco in loco, con capitani ed equipaggi sopravissuti fatti prigionieri. Lasciarono 30.000
morti e 5.000 prigionieri.
I cristiani persero tra i 7 e gli 8.000 morti ma recuperarono 15.000 reclusi.
Per i cristiani, la vittoria di Lepanto ha sbarrato la strada all’invasione ottomana e all’Islam.
L’accordo degli alleati di Lepanto fu rinnovato nel 1572, ma l’anno successivo Venezia
abbandonò la Lega. Don Giovanni d’Austria intendeva, infatti, conquistare Tunisi e, ad un anno
dalla vittoriosa battaglia di Lepanto, mosse una flotta di oltre 140 navi verso la Barberia. Occupò
la città senza difficoltà lasciandola sotto il dominio spagnolo ma con un governatore indigeno:
Mulay Mohammed.
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Rinnegato calabrese che aveva preso il comando di Algeri
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Ma i turchi non potevanoo restare inerti dopo il doppio colpo di Lepanto e di Tunisi e nell’estate
del 1574 mossero verso la Barberia. La flotta era agli ordini di Ulug’ Ali mentre le truppe erano
sotto il comando di Sinàn Pascià. Il 13 settembre, i turchi riprendevano possesso di Tunisi: le
conquiste di don Giovanni erano andate in fumo e il timore ottomano si faceva nuovamente vivo
tra i governanti della cristianità.
Proprio quando si temeva che gli scontri riniziassero più cruenti che mai, sopravvenne la pace.
Una pace spiegabile soltanto con il contemporaneo allontanamento dal Mediterraneo dei due
domini: quello turco richiamato verso est dalla guerra contro la Persia e quello spagnolo verso
ovest alla conquista del Portogallo e del mondo d’oltremare. Tra il 1578 e il 1581 si svolsero tra
Spagna e Turchia lunghe trattative di pace. Da questo momento in poi, la storia del Mediterraneo
esce dalla “Grande Storia”, così come la definì Braudel.
«La sospensione della guerra in Mediterraneo, dopo il 1574… segnò certamente la fine della
lotta tra i grandi Stati e l’emergere in primo piano nella storia del mare della pirateria: questa
guerra inferiore. Essa aveva già tenuto un grande posto dal 1550 al 1574: pavoneggiandosi,
mettendosi in mostra nei momenti di sosta della guerra ufficiale. Dopo il 1574-80, si accentuò
più che mai; da allora dominò la storia mediterranea»6.
V L’AFRICA DEI CORSARI E LA PROGRESSIVA EMANCIPAZIONE DAI TURCHI
L’allontanamento dei turchi dal Mediterraneo influì molto sul mutamento dell’organizzazione
degli stati barbareschi. Il sultano turco si affrettò a decretare la dipendenza dall’impero delle tre
città stato barbaresche: Algeri, Tripoli e Tunisi. In ognuna di queste poneva un suo
rappresentante la cui carica era di tre anni: il pascià. Algeri andava a Dali Ahmed, Tunisi a
Sinàn Pascià, a Tripoli dopo Giafer Pascià successe Ramadàn Pascià al quale, ucciso dalla sua
stessa milizia, successe Mustafà Pascià. Inizia in questo periodo il distaccamento tra corsari e
turchi che si manifesta in ribellioni interne e scontri di potere nelle città stato nord africane.
Mentre i precedenti incaricati dai governi turchi governavano in modo assoluto, i pascià triennali
soffrivano di questa limitazione temporale e pertanto si preoccupavano di guadagnare dal loro
mandato quanto di più possibile, per rientrare in madrepatria ricchi e recuperare tutti i donativi
elargiti, al fine di ottenere la carica, prima della loro investitura. I giannizzeri (cioè la milizia
turca che risiedeva nelle città stato), preoccupati di garantire la continuità della Reggenza turca,
disprezzavano il pascià e cercarono di usurparne i poteri, trasferendoli al loro consiglio, il
Divano.
F. Braduel, Civiltà e Imperi del Mediterraneo nell’età di Filippo II, Torino, 1953, p. 940 in S. Bono, I corsari
barbareschi, Torino, 1964
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La prima città che trovò, in questo senso, piena autonomia fu Tunisi: una rivolta dei giannizzeri
contro i propri ufficiali del Divano affermò il potere della milizia su base democratica: fu eletto
un capo al quale fu dato il titolo di dey. Il terzo dey, Othmàn, destituì del tutto sia il Divano sia il
pascià, divenendo il vero capo dello stato.
Nel secolo successivo al dey si oppose il bey, cioè il capo delle truppe di riscossione dei tributi.
Lo scontro tra queste due figure diede luogo ad aspri scontri. Agli inizi del XVIII secolo, il bey
Husein abolì definitivamente la carica di dey. Si assistette così, a Tunisi, all’unificazione dei
poteri sotto il titolo unico di bey.
Ad Algeri continuava ad esistere il vecchio sistema di nomina di un pascià da parte dei turchi,
anche se in realtà il Divano aveva esteso le proprie facoltà emanando leggi e assumendo le
decisioni di maggiore importanza. Nella città, aveva acquisito influenza la taifa ( cioè la riunione
dei raìs corsari) dalla quale derivavano le decisioni finanziarie dello stato. Tra i giannizzeri e la
taifa sorsero forti contrasti. Nello scontro prevalsero i militari i quali, profittando di un contrasto
tra corsari e pascià, tolsero a questi ogni potere definitivamente, affidandolo all’aghà (grado
maggiore della milizia). Ogni aghà restava in carica per due mesi, tempo che non permetteva
stabilità di governo. Il regime degli aghà non durò, però, a lungo: profittando di una debolezza
dell’aghà Ali, i raìs corsari esortarono una ribellione e lo fecero uccidere. I cinque successivi
candidati alla carica rifiutarono e i corsari profittarono per far insediare un eletto tra i raìs con il
titolo di dey. Nel 1689, i giannizzeri riuscirono a riprendere il comando e a proclamare il proprio
dey. Da quel momento tra le due fazioni si instaurò una sorta di equilibrio: i giannizzeri
ricevevano puntualmente il proprio stipendio e godevano di diritti particolari, mentre i corsari
potevano continuare senza ostacoli la propria attività marinara. La carica di pascià continuava ad
esistere come titolo onorifico, nominato ogni tre anni dai turchi, fino a quando nel 1711 il dey
Ali-Sciauisc’ impedì l’entrata del nuovo pascià inviato da Costantinopoli, mettendo così fine al
controllo turco ad Algeri.
Tripoli fu l’ultima città che abbandonò il sistema dei pascià. Dal 1595 i giannizzeri
partecipavano attivamente al governo della città. L’autorità del pascià diminuì sino a quando non
fu ridotta a mero titolo onorifico dall’allora capo del Divano Safar il quale, assumendo il potere,
si dichiarò dey. Fu lo stesso dey per il quale il popolo, stanco della sua tirannia, invocò
l’intervento ottomano, che, nel 1615, inviò una squadra e ripristinò il governo dei pascià che
regnò attivamente sino alla nomina del nuovo dey, nel 1624. Con quest’ultimo si ripetè la stessa
situazione che già prima aveva cacciato Safar. Ed, infatti, ancora una volta, il popolo si liberò del
dey chiedendo l’intervento ottomano e ripristinando la carica di pascià. La popolazione della
città intendeva, però, mantenere la sua indipendenza dai turchi, per cui elessero un nuovo dey,
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Ramadàn Aghà. A lui successe Mohammed di Chio e Othmàn Pascià. Con la morte di
quest’ultimo ritornò la distinzione tra le cariche di dey e pascià, quest’ultimo privo di ogni
autorità.
Col tempo andava quindi tracciandosi l’emancipazione degli stati barbareschi dai turchi.
VI LA MINACCIA BARBARESCA
Finito il conflitto turco- spagnolo nessuno si preoccupò seriamente di domare l’attività corsara.
Nel 1601, fu preparato un attacco ad Algeri, ma, prima dell’offensiva, l’ammiraglio Doria si
ritirò. Altri attacchi europei alle città barbaresche vanno intesi non come lotta di liberazione dal
fenomeno corsaro ma come atti di corsa.
Ogni stato adottò politiche differenti nei confronti dei barbareschi.
La Gran Bretagna e l’Olanda cercarono, per tutto il ‘600, di imporre ai barbareschi, talvolta con
la minaccia di bombardamenti, il rispetto delle loro navi. In diverse occasioni riuscirono ad
ottenere accordi, ma ci furono altrettante volte in cui non si concluse niente ed, anzi, si
alimentava il conflitto.
Il colpo più grave fu inferito dai Veneziani: nel 1638 una squadra, al commando dell’ammiraglio
Cappello, bloccò nel porto di Valona i legni algerini e tunisini venuti in aiuto del Sultano
ottomano. Sconfitte di questo genere non intaccavano più di tanto la potenza barbaresca in
quanto era così piena di risorse e uomini da non sentire il peso di queste perdite.
Le nazioni europee non avevano particolare interesse a sopprimere del tutto la potenza
barbaresca, in quanto la loro attività favoriva lo scambio mercantile nel mediterraneo e, anche se
talvolta arrecava danno alle proprie navi, creava disturbo alle Marine concorrenti e nemiche. Per
questo ciascuno stato, singolarmente, cercava di stipulare accordi e trattati di pace con i corsari.
Il problema era che, in molti casi, se i barbareschi si trovavano davanti bocconcini prelibati di
nazioni amiche non si facevano sfuggire l’occasione per depredare e i patti venivano meno.
Tutte le azioni militari svolte nei confronti dei barbareschi non ebbero, salvo rare occasioni,
quasi mai l’intento di stroncare l’attività barbaresca ma piuttosto quella di imporre trattati di
pace. Talvolta questi tentativi riuscivano, talvolta i barbareschi rispondevano col contrattacco
militare. Gli olandesi riuscirono con successo a stipulare un accordo con Algeri nel 1662 ma nel
1679 questa stabilità vacillò.
La Francia, che già intratteneva buoni rapporti con i barbareschi, soprattutto per interessi
commerciali, continuò su questa lunghezza d’onda. Ci furono dei momenti di crisi come quando
il corsaro olandese Simon Danser fuggì da Algeri con due cannoni, rifugiandosi a Marsiglia. Al
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rifiuto della Francia alla richiesta di restituzione del maltolto, sorse qualche conflitto che si
risolse soltanto con la successiva negoziazione e restituzione dei cannoni in questione.
Ciò non toglie che anche la Francia dovette ricorrere più volte ad azioni militari: fra il 1662 e il
1664 il duca di Beaufort occupò per due mesi Djidjelli sulle coste algerine. A seguito di questo e
di altri scontri, la nazione francese firmò accordi di pace con Tunisi (1665) e Algeri (1666) alle
quali, comunque, ogni tanto bisognava “ricordare”dell’esistenza dei patti.
Il fatto è che i corsari non potevano stare in pace con tutte le Nazioni contemporaneamente: chi
avrebbero altrimenti attaccato i ràis? E da dove sarebbero arrivati gli approvvigionamenti di
schiavi e tesori che arricchivano le città-stato corsare?
Nel 1681, Algeri dichiarò, quindi, guerra alla Francia: in un mese i corsari catturarono una
trentina di navi e trecento schiavi francesi. In quel periodo, infatti, Algeri concludeva accordi con
l’Inghilterra, in più la Francia non aveva ancora riconsegnato loro degli schiavi algerini.
Nel 1682, l’ammiraglio francese Dusquesne bombardò duramente la città, ma il dey, dietro
pressione del ràis, non volle pervenire a nessun accordo di pace. L’anno successivo, dopo un
ennesimo bombardamento francese, il dey volle stipulare un accordo col nemico ma, prima che
lo facesse, fu destituito dal partito contrario alla pace che lo sostituì con un ràis chiamato Mezzo
Morto. Mentre i francesi continuavano ad attaccare, gli algerini si vendicarono uccidendo il
rappresentante francese Jean Le Vacher. Nel 1684, si giunse a quella che fu una pace ancora non
stabile ma che si stabilizzò definitivamente, dopo numerosi screzi e attacchi via mare, col trattato
del 1689. La pace giovò particolarmente alla Francia: era in quell’epoca l’unica nazione che
poteva non temere gli attacchi algerini.
Con Tripoli, invece, si giunse ad una rappacificazione definitiva nel 1693. In realtà era già stato
raggiunto un accordo nel 1685 con l’ammiraglio d’Estrées ma i rapporti si erano nuovamente
guastati per via dell’insolenza corsara sui mari.
VII LO SCEMARE DELLA MINACCIA E LA FINE DEI BARBARESCHI
Nel corso del XVIII secolo la storia dei barbareschi perse un po’ di movimento: le attività
corsare diminuirono e si verificarono, anche a conseguenza della diminuzione dei traffici,
numerosi conflitti interni e lotte di potere. Quattordici, tra i trenta dey che governarono tra il
1671 e il 1818 ad Algeri, acquisirono la carica con la forza, dopo aver fatto assassinare il proprio
predecessore. In realtà, le popolazioni barbaresche erano pressate dai vincoli posti dagli europei
nel mediterraneo e dai conflitti con le popolazioni indigene nel territorio interno.
Nel corso di questo secolo, gli Stati mediterranei o comunque gli Stati che vi avevano interessi
soprattutto commerciali strinsero buoni rapporti con gli stati barbareschi e iniziarono ad intessere
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reti di scambio e di approvvigionamento commerciale. La maggior parte delle volte, gli europei
corrispondevano ai corsari una sorta di tributo, in denaro o in natura, in cambio della sicurezza
delle proprie galere nei mari.
Il vizio dei barbareschi di approfittare delle buone prede non era stato perso, così di tanto in
tanto, era necessario ricordare loro gli accordi in modi più o meno diplomatici. Non era stata
persa nemmeno, da parte degli Stati europei, la voglia di limitare il potere dei barbareschi e di far
finire la loro prepotenza sui mari. Ci furono pertanto iniziative comuni nelle quali si
progettavano attacchi vari alle città barbaresche, che talvolta assumevano carattere religioso. Ma
non si giunse mai ad un accordo serio in quanto ciascuno stato sperava di avere l’esclusiva dei
buoni rapporti con i corsari a danno degli altri stati. Quando la concorrenza tra Francia ed
Inghilterra, ad esempio, nei primi anni del XVIII secolo, si accentuò, al fine di ottenere
condizioni favorevoli per il commercio in Barberia, l’una profittava dei momenti di crisi
dell’altra con le popolazioni autoctone per ottenere condizioni di scambio migliori ed esclusive.
L’interesse alla pace era nutrito perlopiù dai piccoli Paesi che, al contrario, si sarebbero visti
soccombere nei commerci e sotto le razzie dei nemici marini.
La Spagna, che per quasi tutto il secolo non si intromise nelle attività barbaresche come faceva
un tempo, nell’ultimo quarto del XVIII secolo compì alcune azioni militari nei confronti di
Algeri, senza, tuttavia, dar mai il colpo di grazia. Nel 1775, infatti, gli spagnoli, nonostante la
preponderanza numerica, subirono un insuccesso. Nel 1783 un altro attacco non condusse a
nessuna risoluzione se non, tre anni dopo, ad un trattato di pace con condizioni vantaggiose per i
musulmani.
Maggior successo ebbe Venezia: nel 1766 una piccola squadra impose al pascià di Tripoli di
punire e risarcire i danni inflitti dai corsari ai veneziani. Successivamente i due stati entrarono in
guerra ma il conflitto si risolse positivamente nel 1792 con la stipula di un trattato di pace.
Una ripresa dell’attività corsara si ebbe durante gli sconvolgimenti europei della Rivoluzione
francese e della Restaurazione: gli stati europei erano impegnati in questioni ben più importanti
di quelle mediterranee.
Nel XIX secolo, i corsari entrano in conflitto con la Francia, con la quale fino allora intratteneva
buoni rapporti. I Turchi, infatti, entrati in conflitto con Napoleone, spinsero i barbareschi a
dichiarare guerra ai francesi. Tra la fine del 1798 e la prima metà del 1799, Algeri, Tunisi e
Tripoli dichiararono loro guerra nonostante non avessero reale intenzione di fronteggiarsi in
conflitto. Per questo, poco dopo, accettarono l’armistizio, ma nuove pressioni ottomane
costrinsero Tunisi e Algeri a dichiarare nuovamente guerra. La pace si raggiunse ancora una
volta tra il 1801 e l’anno seguente.
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Nelle scorrerie mediterranee, i corsari si scontrarono anche con gli Stati Uniti, i quali si batterono
energicamente soprattutto contro Tripoli. La pace tra barbareschi e statunitensi fu firmata nel
1805.
Napoleone maturò l’intenzione di porre fine al predominio barbaresco: nel 1805 inviò ad Algeri
il fratello Gerolamo ed ottenne la liberazione di 230 schiavi italiani e il rinnovo del trattato di
pace.
Durante il Congresso di Vienna fu esaminata la questione barbaresca e fu proposta,
dall’ammiraglio Smith, l’istituzione di una forza marittima internazionale, costituita dall’unione
delle squadre navali di più nazioni poste sotto un unico comando, per imporre ai Barbareschi la
cessazione definitiva dell’attività corsara e l’abolizione della schiavitù europea. La proposta non
fu considerata seriamente dall’assemblea, ma ebbe vasta eco nell’opinione pubblica delle nazioni
maggiormente interessate. La Gran Bretagna, a tal proposito, decise, nel 1816, di inviare in
Mahgreb una squadra navale col compito di minacciare le città corsare e imporre loro le
decisioni sulle quali concordavano tutti i principali stati europei. In quell’occasione,
l’ammiraglio Lord Exmouth ottenne, ad Algeri, solamente la liberazione di tutti gli schiavi delle
isole Ionie (allora della Gran Bretagna), del Regno di Napoli e del Regno di Sardegna, per i quali
concluse un trattato di pace. A Tunisi, lo stesso anno, stipulò trattati di pace per il Regno di
Napoli e per quello di Sardegna e ottenne la liberazione degli schiavi europei e l’abrogazione
formale della schiavitù. A Tripoli, ottenne ancora trattati di pace per i due stati europei e la
liberazione di altri schiavi cristiani. Dopo tutto questo, tornò ancora una volta ad Algeri dove
pretese l’abolizione della schiavitù e dell’attività corsara. Dietro rifiuto del dey algerino, la flotta
di Exmouth, unitasi per l’occasione a quella dell’ammiraglio olandese Van Cappellen, bombardò
ripetutamente la città dalla quale, però, ottenne solamente l’abolizione della schiavitù.
La questione barbaresca fu trattata anche al congresso di Aix-la-Chappelle, svoltasi nell’autunno
1818. Si giunse alla conclusione di dover intimare agli stati barbareschi la cessazione dell’attività
corsara il cui proseguimento avrebbe avuto come effetto la riunione, in un’unica flotta, delle
Marine dei principali stati europei. Tale milizia avrebbe potuto pregiudicare la stessa esistenza
barbaresca. Fu affidato il compito della missiva all’ammiraglio francese Jurien de la Graviére e
al commodoro britannico Freemantle i quali ottennero risposta negativa dal dey d’Algeri e dal
bey di Tunisi e accettazione, almeno a parole, dal pascià di Tripoli.
L’attività corsara proseguì ancora per un decennio ma si ridusse notevolmente rispetto al passato
anche in seguito alla conclusione di accordi di pace. L’opinione pubblica europea e i governi
invocavano sempre più un’azione risolutiva contro i barbareschi e, per quanto si potesse, gli stati
cercavano di non avere legami pendenti che avrebbero alimentato gli affari maghrebini. Non
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mancarono gli ultimi episodi bellici: nel 1824, a seguito di una crisi tra la Reggenza algerina e la
Gran Bretagna, dove vinsero gli algerini; nel 1825, fra Tripoli e il Regno di Sardegna, nella quale
i sardi uscirono vittoriosi; nel 1826, tra tripolini e una squadra navale francese (memore della
sconfitta sarda, in quest’occasione, il pascià si piegò subito alle richieste);
nel 1828, tra
napoletani e tripolini.
Gli europei erano ben consci del fatto che bisognasse far estinguere gli stati corsari per porre fine
a tutte le attività che da essi provenivano. Fu così che si portò avanti la convinzione di dover
occupare le città barbaresche, ad iniziare dalla prima per eccellenza: Algeri. Tutto iniziò là con
l’occupazione di Barbarossa e tutto vi finì con l’occupazione francese del 1830.
L’occupazione d’Algeri funse da esempio per le altre due città barbaresche, le quali cessarono
ogni ostilità nei confronti delle nazioni europee e restituirono la libertà a quei pochi schiavi
rimasti in Barberia. Un mese dopo, il bey di Tunisi firmò un trattato nel quale si poneva
definitivamente fine all’attività corsara e alla schiavitù cristiana. Lo stesso fece il pascià di
Tripoli
Si può dire che questa sia la data di morte degli stati barbareschi: senza le attività di corsa le due
città erano costrette a vivere delle scarse risorse che possedevano. Nel 1881 la Tunisia diventò
protettorato francese, nel 1911 la Tripolitania divenne una colonia d’Italia.
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BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
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Bono, S. (1993), Corsari nel Mediterraneo, cristiani e musulmani fra guerra, schiavitù e
commercio, Arnoldo Mondadori Editore, Milano
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Heers, J. (2003), I Barbareschi, corsari del mediterraneo, Salerno Editrice, Roma
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Watt, W.M. (1991), Cristiani e musulmani, Il mulino, Bologna
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Wheatcroft, A, (2003), Infedeli, 638-2003: il lungo conflitto fra cristianesimo e islam,
Editori Laterza, Roma-Bari
La figura di pagina 3 è stata tratta da Bono, S. (1953), Civiltà e imperi del Mediterraneo
nell’età di Filippo II, Einaudi.
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