Genocidio armeno: chi sono i responsabili?

Mercoledì 6 maggio 2015
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Turchia - Armenia
Genocidio armeno: chi sono i responsabili?
E' il musulmano moderato Erdogan l’erede diretto, l’erede ideologico-religioso, del crimine
del 1915-18?
Claudio Moffa
Opinionista di Politica internazionale
La storia letta con le lenti del presente. La storia travisata, occultata: un’abitudine tanto normale e
diffusa, quanto sbagliata e pericolosa, perché così si annulla un principio di base tramandato di
generazione in generazione, e cioè il motto che recita ‘historia est magistra vitae‘. Ma quale mai
lezione dalla Storia, se non viene comunicato ai lettori e agli ascoltatori il reale contenuto degli
eventi che si vogliono trattare? Un esempio di queste problematiche è il caso recente -e riproposto
pochi giorni fa in un servizio televisivo con interviste a autorità turche e cattoliche- del genocidio
armeno. Il 12 aprile papa Francesco aveva condannato la negazione di questo crimine -le orribili
stragi e deportazioni che subirono tra il 1915 e il 1918 i cristiani dell’Anatolia- da parte della
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Turchia di Recep Tayyip Erdoğan. Il Presidente turco ha replicato, pensando probabilmente a una
parte dei suoi nemici interni -i residui del kemalismo laico al potere dal 1923 alla svolta del secoloed eludendo dunque anche lui, un’altra e più importante questione: chi furono gli autori delle stragi
di armeni durante la prima guerra mondiale? Su questo versante, il silenzio è assordante: da Roma
a Ankara a Bruxelles la partita si è giocata e si sta giocando appunto solo nell’alternativa
storico-giudiziaria, tra il ‘negazionismo‘ turco (chi afferma il genocidio è condannato) e lo
‘sterminazionismo‘ francese, che condanna chi sostiene la tesi opposta. Ed ecco l’effetto
pericoloso: la tragedia di un secolo fa si adegua -perché falsificata- alla Politica odierna, al caso
ISIS, alla distinzione tra l’Islam vero e quello falso, o ‘estremista’, sorvolando sulla domanda
chiave: ma è il musulmano moderato Erdogan l’erede diretto, l’erede ideologico-religioso, del
crimine del 1915-18? Ha senso questo raffronto? E’ lecito dedurre ciò dalle affermazioni del
Presidente turco la certezza che furono i musulmani e il loro Sultano a compiere, durante la
prima guerra mondiale, il ‘genocidio armeno‘? La risposta è no. No, stando ad alcune fonti
storiche importanti. Prima fonte, le memorie dell’Ambasciatore americano a Istanbul, nel periodo
dei massacri. Il libro di Henry Morgenthau pare attento soprattutto alla presenza e alle trame della
nemica Germania nel Sultanato di Istambul, ma non manca di fornire elementi utili per capire chi
erano i Giovani Turchi autori della rivoluzione del 1908 e alla guida del Paese durante la I
guerra mondiale. Un movimento non religioso, scrive il diplomatico USA, ma di atei: il cui leader
Enver Pascià, in un discorso pubblico fatto poco dopo il colpo di Stato, si dimentica di citare nella
lista dei popoli e delle religioni da liberare dal regime di Istanbul da lui denunciato come tirannico,
proprio gli Armeni e i Cristiani. E’ il genocidio annunciato? Un altro Ambasciatore, il britannico Sir
Gerard Lowther, è ancora più diretto: in una sua lettera del 1910 parla dei Giovani Turchi come
di un organizzazione legata alla massoneria e agli ambienti bancari italiani, una setta modellata
sull’esempio della Giovine Italia di Mazzini, i cui leaders e componenti erano quasi tutti ‘donmeh’,
traduzione in turco del nostro ‘marrani’, vale a dire ‘cripto-giudei’. Lowther parla anche di
sionismo, il che torna visto che un altro autore -Jan Bierkens- narra in un suo libro, citando la
stampa inglese del 1915-16, di un progetto di vendita della Palestina -un anno prima della
Dichiarazione Balfour- da parte dei Giovani Turchi. Tra i cui piani ci sarebbe stato, appunto, il
tentativo di genocidio degli Armeni: non solo perché cristiani, e secondo certa tradizione ebraica
discendenti degli Amalek (quella tribù che, durante la fuga dall’Egitto, aveva massacrato nel Sinai
la retroguardia di Mosé), ma anche perché -agli inizi del secolo scorso- concorrenti pericolosi degli
Ebrei nel controllo del commercio anatolico. Terza fonte, recente (2012) e pubblicata su ‘La
Rassegna mensile di Israel‘, è un saggio di Luca Manenti, docente dell’Università di Trieste. La
ricca bibliografia in nota rende chiaro non solo il retroterra storico dell’infiltrazione massonica
italiana nell’Impero Ottomano fin dalla prima metà dell‘Ottocento (i viaggi degli anni Venti e
Trenta di Garibaldi a Istanbul; l’arrivo e arresto nella capitale ottomana, nel 1848, dell’inviato di
Mazzini Adriano Lammi, ‘patriota livornese e futuro Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia';
l’influenza dei massoni europei e italiani in particolare nelle ‘Tanzimat’-riforme ottomane del XIX
secolo; il modellamento dei Giovani Ottomani -1860- e dei Giovani Turchi -1900- sulla struttura
della Giovine Italia), ma anche il peso determinante dell’ebraismo in generale nella rete di
potere nell’Impero ottomano del XIX secolo: come a Salonicco, la cui loggia titolata ‘Macedonia
risorta’, era composta da massoni «in gran parte di origine ebraica», e la cui stessa popolazione era
al 70 per cento ebrea, in parte seguaci della setta estremista di Sabbatai Zevi, e in parte discendente
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dai sefarditi cacciati dalla Spagna nel 1492. O come a Costantinopoli, il cui ‘Tempio’ era aperto
oltre che agli italiani, «a ottomani, greci, armeni, polacchi, russi, tedeschi e soprattutto ebrei». Una
«presenza ebraica nelle logge», scrive Manenti, che fu «afflusso tanto massiccio da far loro ritenere
l’affiliazione una sorta di ‘biglietto da visita nella società civile’»: tale dunque da divenire
«importante non solo dal punto di vista quantitativo» perché , si legge ancora nel saggio, «agli
israeliti massoni va ascritta la decisione di aderire all’Oriente italiano piuttosto che a quello di
Francia o alla Gran Loggia d’Inghilterra». Citando una lunga serie di autori -alcuni dei quali ebrei e
protagonisti delle vicende dell’epoca- Manenti sottolinea così il ‘patriottismo’ e il «laicismo che
spesso e volentieri tracimava in un rigido anticlericalismo», dei massoni italiani trapiantati
nell’Impero Ottomano, ricordando in particolare l’intenso lavoro di raccordo tra Giovani Turchi e
logge italiane, svolto dal «Maestro Venerabile della Loggia Macedonia» Carrasso, «fondamentale
anello di congiunzione tra la massoneria italiana e il movimento nazionale turco». Lo stesso ‘moto
rivoluzionario’ del 1908, «sorprendentemente incruento», precisa Manenti, fu «reso possibile da
una puntigliosa pianificazione svolta proprio sotto le volte dell’officina guidata da Carasso», ordita
peraltro nello stesso anno -a dimostrazione che l’obbiettivo della disgregazione del gigante
ottomano era già operativo da lungo tempo- dell’indipendenza della Bulgaria (22 settembre),
dell’annessione di Creta alla Grecia, e di quella della Bosnia-Erzegovina all’Impero austroungarico». Nel mensile che ha pubblicato il suo saggio, Manenti non affronta il tema del genocidio,
né cita le memorie degli Ambasciatori Morgentahu e Lowther, ma questi silenzi non sminuiscono
l’importanza di alcuni passaggi che fanno capire che il conflitto non fu, dentro l’Impero Ottomano
in guerra, tra musulmani e armeni -come oggi si vuole far credere- ma tra un potere
ossessivamente laicista ed ebraico-sionista ed entrambe le religioni: prima gli armeni,
massacrati e deportati tra il 15 e il 18 dal nuovo Esercito epurato e risettato da Enver Pascia’, e poi
gli stessi musulmani, sottoposti al laicismo ‘dall’alto’ di Kemal Ataturk per lunghi decenni,
almeno. Ecco, dunque, che secondo l’Ambasciatore William Yale (in un libro edito da Feltrinelli
nel 1962 e citato da Manenti) nel Comitato Unione e Progresso alla guida del Paese durante la I
guerra mondiale «gli ebrei ebbero un ruolo assai importante». Ed ecco che il nuovo colpo di Stato
del 1909 nasce da un «un tentativo controrivoluzionario in appoggio a Abdul Hamid II, di cui
furono artefici sia i musulmani ortodossi che le comunità cristiane», che dunque non si
riconoscevano nel nuovo potere, tanto da essersi alleati contro di esso. Così il sultano Abdul
Hamid «venne deposto, costretto all’esilio e sostituito dal più manovrabile Mehmet V, docile
strumento nelle mani dei Giovani Turchi», ridotto a timbra-decreti sottopostigli dai nuovi padroni
dell’Impero. E’ una svolta nella storia plurisecolare del dominio ottomano: il sultano «che per secoli
era stato il despota indiscusso» (Morghenthau) non contava più nulla -siamo in piena guerra- e con
lui il Parlamento nato con la Costituzione del 1876. La nascente nuova Turchia si indirizzava
verso una laicizzazione forzata a sua volta imposta da un clima di ‘terrore’, segnata dall’assassinio
degli oppositori e dallo stragismo antiarmeno. Nel gennaio 1913 circa duecento Giovani Turchi
assaltavano il Palazzo del Governo a Istanbul assassinando senza pietà un leader del Partito
liberale, un gruppo parlamentare formalmente al Governo, che impediva l’assunzione diretta e
totale del potere. La vittima, Nazim Pascià, Ministro della Guerra, fu ucciso con un colpo di
pistola a freddo, dopo che era andato incontro con battute scherzose e amichevoli agli intrusi nel
Palazzo del governo di Istanbul, lamentando il loro chiasso, senza evidentemente sapere delle loro
vere intenzioni. Morgenthau riferisce inorridito la scena, e dipinge poi Enver Pascià come una
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persona «incapace di rimorsi, priva di senso di pietà, animato da una fredda determinazione» che
tuttavia non traspariva dal suo volto e dalle sue sembianze. E’ il prodromo dei grandi massacri del
16-18. Un triumvirato dittatoriale -Ismail Enver Pascià, Ahmed Celal e Mehemed Talaat
Pascià- espressione a sua volta di un Comitato Unione e Progresso di 40 persone che aveva nei fatti
sostituito il Parlamento, ha ormai in pugno tutto il potere, che durerà fino alla trasformazione
dell’Impero in Repubblica e all’ascesa al potere di Kemal Ataturk, anche lui di Salonicco, e anche
lui massone.
Questa, sia pure per somme linee, la storia vera di chi compì i grandi massacri del 1915-1918.
Una storia, quella delle persecuzioni e delle stragi armene, che non mette in discussione né la
laicità, che è un principio positivo, ma la mistica laicista trasformata in religione di odio
anticristiano e antimusulmano; né l’ebraismo in generale, visto che lo stesso Morghenthau era un
ebreo pro-sionista. Una vicenda, d’altro canto, fondata su documenti e scritti di studiosi o di persone
che hanno vissuto da protagonisti dell’epoca, la tragedia armena della prima guerra mondiale.
Completamente ignorata. E’ proprio vero, ‘è la stampa bellezza!’ la famosa battuta di Humphrey
Bogart a celebrazione della libertà stampa americana, oggi rischia di essere non più di
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