Eziopatogenesi, Psicodinamica e Clinica del Disturbo Post Traumatico da Stress a cura di Dr.ssa Alexia Cicala TRAUMA E PSICHE Nel corso della vita, le diverse situazioni e i diversi avvenimenti possono per il loro impatto emozionale indurre o precipitare in disturbi psicopatologici.La psichiatria a partire dal riconoscimento di questa possibilità ha introdotto il concetto di reazione ad eventi. Esistono disturbi endogeni reattivi ma anche endoreattivi. Ciò significa che avvenimenti esterni hanno la capacità di influenzare la nostra psiche, di invaderla, di destrutturarla e d’altra parte, significa che la nostra psiche ha la capacità di metabolizzare, elaborare, trasformare gli effetti degli avvenimenti. Nei casi estremi di trauma, la psiche non riesce ad agire all’evento. La psiche in linea di massima non è inerte all’evento. La realtà esterna e la psiche umana sono dunque due sistemi aperti e interagenti. La psiche concorre a determinare gli eventi, gli eventi concorrono a trasformare psiche, la psiche modifica, con la sua attività elaborativi, il senso e il ricordo degli eventi stessi. “ E’ imprescindibile che tutti coloro che svolgono professioni d’aiuto siano consapevoli della fenomenologia di ciò che nella letteratura scientifica è stato definito trauma esterno (Freud) trauma massiccio (Krystal) trauma catastrofico esplosivo che depotenzia la capacità della psiche di rielaborare, reagire (B. Tarantelli).” Questo tipo di trauma si manifesta quando un evento totalmente esterno spazza via le difese e penetra la psiche che non riesce a opporre resistenza o a contenerlo. La metafora dell’esplosione è quella che può raffigurare più efficacemente gli effetti di un evento traumatico inteso come accadimento estremo e, dunque, indicibile e impensabile. In quel momento nella psiche si trova un vuoto, e la ferita rimane aperta se è un trauma estremo, quindi è indicibile e impensabile. L’attuale sistematizzazione dei disturbi psicopatologici causati da avvenimenti è ordinata e ristretta in 3 grandi categorie. I principi che organizzano questa suddivisione sono essenzialmente tre: - tipo oggettivo di evento; - gravità della risposta del soggetto; - durata delle conseguenze. Le 3 categorie sono: 1. disturbo dell’adattamento ( reazione ad.. evento ed elaborazione); 2. disturbo acuto da stress (effetto del trauma grave che però tende a risolversi); 3. disturbo post traumatico da stress (questo deriva da disturbo acuto) DISTURBO DELL’ADATTAMENTO Disturbi significativi ma in genere di lieve o moderata gravità, con sintomi di tipo per lo più ansioso o depressivo, reattivi ad un certo evento emozionalmente significativo con cui sono in chiaro rapporto causale. Le diagnosi sono esemplificazioni molto utili. Ciascuno di noi ha una particolare suscettibilità a determinate situazioni, aree che possono riguardare la gerarchia, la sessualità, l’amicizia, l’amore. DISTURBO ACUTO DA STRESS (DAS) Manifestazioni psicopatologica acuta conseguente entro poco tempo, all’esposizione ad un avvenimento molto grave. È stato introdotto da circa 10 anni nel DSM-IV come categoria a se stante. DISTURBO POST TRAUMATICO DA STRESS (PTSD) Consiste in una manifestazione psicopatologica di consistente gravità, spesso a lungo termine, con un quadro clinico caratterizzato da sintomi in evidente rapporto con l’esposizione ad un evento traumatico in cui vi è stata una seria minaccia per la vita propria e per gli altri. Il trauma infatti non è accettato. Il PTSD insorge in seguito all’esposizione a eventi stressanti di gravità oggettiva estrema, con minaccia per la vita o l’integrità fisica propria o si altri. Esso è attualmente più ristretto rispetto alla precedente edizione del DSM-III, sia per la durata richiesta che per il tipo di stressor (agente stressante) che ora richiede non semplicemente esperienze al di fuori dell’usuale esperienza umana, ma minaccia reale per la vita. È caratterizzato da sintomi tipici quali intensa angoscia e paura, orrore, evitamento persistente del trauma e di stimoli o ricordi intrusivi a esso associati, incubi e sogni angosciosi, persistenza della tendenza a rivivere il trauma, persistenza di ipervigilanza, compromissione della funzionalità psicosociale e lavorativa del soggetto. Ne sono descritti 3 tipi per modalità d’insorgenza e durata. Il I tipo può insorgere immediatamente dopo il trauma e il PTSD è preceduto dal DAS. I sintomi del DAS durano al massimo 1 mese mentre il primo tipo di PTSD ha sintomi di durata da 1 a 3 mesi. Il II tipo cronico ha sintomi che durano 3 mesi o più. Il III tipo ha insorgenza tardiva, mesi o anni dopo il trauma. Il quadro dei sintomi per la diagnosi di PTSD deve persistere per oltre un mese. Gli eventi e le situazioni traumatiche in causa possono riguardare il singolo individuo, un gruppo o una comunità a seconda della natura dell’evento. Ad esempio catastrofi e disastri naturali (alluvioni, terremoti, eruzioni vulcaniche etc) o civili (situazioni di guerra e combattimento, disastri aerei o navali, persecuzioni di massa, prigionia in campi di concentramento, attentati, incendi di edifici etc) riguardano gruppi o intere comunità. Stupri, omicidi, rapine, violenza fisica, tortura, sequestri di persona, gravi incidenti stradali, abuso sessuale infantile, malattie a grave rischio di vita di o di un proprio figlio, sono esempi che riguardano il singolo individuo o unità familiare. Il disturbo si manifesta anche con il persistente evitamento di stimoli associati con il trauma e l’indebolimento della capacità di reazione affettiva al mondo esterno, con perdita degli interessi per le attività abituali e incapacità a provare sentimenti ed emozioni e a proiettarsi nel futuro. Il quadro clinico è completato da sintomi quali: - ipervigilanza; - esagerata risposta di allarme; - turbe del sonno; - difficoltà di concentrazione; - irritabilità. Sul piano etiopatologico, lo scolorimento della vita emozionale è stato ricondotto sia ad una difesa psicologica contro il sovraccarico di emozioni dolorose dovute al trauma a al suo ricordo, sia, più recentemente, ad un eccessivo rilascio degli oppioidi endogeni. CENNI STORICI Il PTSD è stato accettato ufficialmente come entità diagnostica nel 1980 dall’American Association e inserita nel DSM-III. Verso la fine del XIX secolo, ad opera di Oppenheim, comparve nella nosografia psichiatrica il termine “nevrosi traumatica” per designare quadri di ansia morbosa in risposta a gravi traumi o shock emotivi. Nasce a seguito dello studio sui sopravvissuti ai lager nazisti e di Hiroshima, poi viene largamente diffusa anche sui reduci del Vietnam negli anni ’70. Kraepelin riprese la descrizione di questo termine, inserendola nella categoria di “nevrosi da spavento” entità clinica autonoma. A partire da questi due termini si riconobbe l’esistenza di una nuova forma di disagio psichico che si andava diffondendo nella società industriale di allora, a causa dei sempre più frequenti incidenti che avvenivano in cantieri e ferrovie. Molti soggetti presentano quadri clinici come: paralisi fisiche e psichiche,tremori, amnesie, disturbi del sonno. Quadri clinici simili colpirono i reduci della Grande Guerra prendendo il nome di “nevrosi da guerra”. Tale evidenza spostò l’attenzione da un ipotesi “disposizionale” ( i sintomi del disturbo erano di derivazione interna) ad un ipotesi ambientale ( erano gli eventi esterni ad essere responsabili del problema). “ Le nevrosi da guerra non sono sostanzialmente la stessa cosa delle nevrosi spontanee, che siamo soliti indagare e curare analiticamente” Freud 1915-17. Secondo Freud in entrambi i tipi di nevrosi l’io del soggetto cerca di difendersi da un pericolo dal quale teme di essere danneggiato ma…: - nella nevrosi spontanea la fonte del pericolo è costituita dalla libido. - Nella nevrosi da guerra la fonte del pericolo è costituita da forze esterne. Negli anni seguenti Freud tenderà invece a ridimensionare il ruolo delle esperienze reali, riconducendo l’origine delle nevrosi a motivi intrapsichici. Conflitti interni del paziente gli impediscono di scaricare l’eccesso di energia. Per un certo periodo la psicoanalisi perse interesse per l’evento traumatico, a favore degli aspetti intrapsichici alla base del disagio psichico. Fu Ferenczi a riprendere la specificità dell’evento traumatico, a partire dall’osservazione e della cura dei feriti della prima guerra mondiale. In concomitanza del secondo conflitto mondiale, il termine “trauma” venne sostituito dal termine “stress” dalle forti implicazioni fisiologiche. L’attenzione maggiore venne concentrata sugli effetti progressivi e sfumati della fatica, del freddo, dal mancato recupero delle energie. Un interesse per la portata sociale del trauma si afferma invece con la guerra del Vietnam, in seguito alla quale gli studiosi sottolineano l’importanza della condivisione delle esperienze traumatiche con gli altri e del riconoscimento pubblico dell’evento traumatico. L’epidemiologia del PTSD è difficile sia per il numero ancora limitato di studi sia per la mancata condivisione tra i ricercatori di una definizione di PTSD. La stima dell’effettiva incidenza di PTSD può risultare alterata da fatto che il riconoscimento nosografico di un possibile disturbo da stress in soggetti che hanno sofferto traumi può comportare per questi delle agevolazioni consistenti, come risarcimenti o pensioni. I tassi di PTSD dipendono inoltre dalla popolazione considerata, dall’entità di esposizione a stressor e dalla gravità oggettiva dello stressor. La percentuale di popolazione generale che nel tempo affronterà degli eventi traumatici varia dal 40% al 75% ma solo dall’1% al 14% andrà incontro ad un PTSD. Nei reduci del Vietnam il PTSD sembra essere invece presente nel 26% per chi combatteva in prima linea, mentre la percentuale si abbassa al 7% per quelli che non venivano esposti in prima linea. Ad esempio lo tsunami del 26 Dicembre 2004 abbattutosi nel Sud-Est asiatico lascia dietro di se un 40% di sopravvissuti sofferenti, attualmente o nel futuro di PTSD. Tra gli avvenimenti traumatici più recenti ricordiamo anche l’attacco terroristico alle torri gemelle di New York e l’assedio alla scuola di Beslan: in seguito alla prima tragedia 70000 sono stati i casi di disturbo acuto da stress e di questi il 7,5% ha sviluppato un PTSD. Per quanto riguarda, invece, l’attacco ceceno alla scuola di Beslan, a detta di vari psicologi dell’età evolutiva, il PTSD sembra che interesserà almeno il 15% delle giovani vittime. Il concetto di trauma psichico occupa una posizione centrale nella teoria clinica. Quando si parla di trauma intendiamo un evento esterno violento, unico e tale da costituire in se un agente patogeno o piuttosto un insieme di microtraumi relazionali ripetuti e poco evidenti che si accumulano silenziosamente. Il trauma come evento specifico spesso è solo la punta di un iceberg e quindi il trauma focale è il precipitato di eventi “minori”. Attorno alla definizione di che cosa considerare traumatico si è sviluppato un dibattito storico tra chi accentua il ruolo giocato dagli eventi della realtà esterna e chi enfatizza quello svolto da uno specifico assetto intrapsichico. Per definizione invece il PTSD è inteso come un disturbo che ha una causa esterna evidente in un evento microscopicamente traumatico. Nel PTSD i fattori della personalità assumerebbero una rilevanza minore. Altri autori ritengono tuttavia che il PTSD possa essere influenzato per vulnerabilità e personalità dell’individuo, e anche il decorso e l’espressione possono influenzare il PTSD stesso. Possiamo considerare il trauma da un punto di vista oggettivo o soggettivo: entrambi sono clinicamente importanti. - sul versante dell’oggettività la valenza traumatica è intrinseca all’evento: esistono eventi specifici “insostenibili” per chiunque e dunque con un potenziale traumatico a priori. - Sul versante soggettivo invece dipende da come il paziente ha vissuto i passati traumi. “Maggiore è il sentimento della propria vulnerabilità di fronte a un pericolo estremo, maggiore sarà la portata traumatica dell’evento vissuto. Psicologicamente, la frontiera del trauma è l’emozione in elaborabile, il sentimento di disperata impotenza” Allen J. (1995) Per Terr L. il trauma è il risultato mentale di un evento sconvolgente che rende il soggetto temporaneamente impotente e interrompe le precenti ordinarie operazioni di coping e di difesa. (1994) Le strategie di coping sono quelle strategie con cui l’individuo fa fronte alle situazioni problematiche e potenzialmente stressanti che consistono nel progettare, pianificare e mettere in atto una propria strategia di soluzione della difficoltà. (Sanavio 1997) I meccanismi di difesa sono processi inconsci che mediano tra impulsi, desideri e affetti da un lato e proibizioni internalizzate o la realtà esterna dell’altro. Negli studi dei bambini traumatizzati, Terr sottolinea la differenza tra: - singolo evento eclatante (violenza sessuale) Trauma I. In questo tipo di trauma i pazienti ricevono sostegno dalla famiglia e dalla società e tendenzialmente ricordano l’evento traumatico. - un insieme di traumi ripetuti (abusi sessuali ripetuti) Trauma II. I pazienti sviluppano più facilmente gravi patologie post-traumatiche e personalità dissociate, soprattutto è tenuto nascosto e non vi è sostegno familiare. Krystal ha costruito la sua teoria del trauma attraverso la ricerca clinica condotta sui sopravvissuti dei lager. Egli distingue un tipo di trauma in cui la personalità è minacciata, ma non sopraffatta e una condizione in cui viene sopraffatto. Secondo Krystal il trauma è uno stato potenziale o reale di pericolo che richiama misure difensive di emergenze contro affetti soverchiati. Questo modello pone l’accento sul primato dei traumi soggettivi. Gli agenti stressanti gravi e ad azione prolungata, inflitti intenzionalmente da persone, sono molto più insostenibili per la vittima di quanto lo siano incidenti o disastri naturali. Se la violenza è inflitta nel contesto di una relazione corrente (abusi infantili, violenze domestiche) e soprattutto se la vittima ha un rapporto di dipendenza con l’abusato, la portata offensiva del trauma è ancora maggiore. Il trauma non provoca, in assoluto, risposte prevedibili, queste dipendono piuttosto dal terreno in cui avviene, dall’intreccio di fattori temperamentali e protettivi. La tempestività dell’ intervento può modificare la risoluzione del trauma. In relazione alla capacità di sopravvivere a un trauma è stato studiato il concetto di resilience. . La resilience (capacità di recupero psicobiologico) può essere definita come la giusta miscela di elementi psicologici, biologici e ambientali che permette agli esseri umani di attraversare periodi di caos e grave stress senza soccombere e anzi proseguendo il proprio percorso di sviluppo (Flach, 1990). Il concetto di trauma in letteratura è estremamente confuso: una vera “parola ombrello” che incorpora considerazioni teoretiche e cliniche provenienti dagli ambiti più vari. La psicoanalisi riprende il termine trauma allora usato “ferita con lacerazione” e lo trasferisce sul piano psichico. Freud nel 1925 definisce il trauma una “ situazione di impotenza” è il primo infatti ad attribuire ai traumi infantili il ruolo di causa nella patogenesi di alcuni disturbi mentali. “Un’esperienza vissuta che provoca, nello spazio di poco tempo, un aumento così forte di eccitazione nella vita psichica che non si riesce ad avere una sua liquidazione o elaborazione con i mezzi normali e abituali; ciò non può non provocare disturbi durevoli nel suo funzionamento energetico” (1915-17) Ferenczi considera il trauma come una minaccia di annientamento del sé,un aggressione da parte di una forza schiacciante che mediante operazioni di intrusione ed intrusione, modifica le funzioni mentali ed emotive. “La presenza di trapianti estranei e scissi che vegetano lungo tutto la vita, di identificazioni patologiche cioè che sono in grado di produrre effetti di scissione e dissociazione dell’io; personalità come sé; perversioni, psicosi e somatizzazione organiche gravissime”(1932.Diaro Clinico) Crisi crescita ferito feritoia La Planche e Pontalis definisco il trauma come un evento della vita del soggetto caratterizzato della sua intensità, dall’incapacita del soggetto a rispondervi adeguatamente DSM-IV considera traumatici…eventi o situazioni violenti, eclatanti, oggettivi, in grado di produrre conseguenze significative. In particolare, fa una distinzione tra: -eventi traumatici accaduti direttamente alla persona -eventi accaduti in qualità di testimoni -eventi di cui si è venti a conoscenza Meinchenbaum (1994) individua 3 tipologie di eventi traumatici: A breve termine Eventi traumatici a “lungo termine” Esposizione diretta al trauma Il trauma sociale coinvolge un gruppo ampio come una comunità o un’intera popolazione. Il trauma relazionale coinvolge una o poche relazioni interpersonali (ad es. abuso sessuale). Terr (1991) distingue tra: Trauma di tipo I: Singolo evento eclatante incendio o rapimento Trauma di tipo II Vengono considerate traumatiche solo quelle situazioni oggettivamente dolorose ed estrema, trascurando tutte quelle situazioni banali e di per sé non traumatiche che possono essere per ciò considerati … importanti ai fini dello sviluppo di una psicopatologia. Attualmente la monografia dei disturbi da eventi e da trauma …attorno a 3 parole chiavi: -Evento -Trauma -Stress Con il termine evento si indicano avvenimenti dalla vita positivi o negativi, oggettivamente identificabili, delimita…e circoscritti nel tempo ( un matrimonio, un divorzio, la perdita di una persona cara, la nascita di un figlio…) che modificano in modo variabile, ma sostanziale l’assetto di vita di una persona, richiedendole uno sforzo per adattarsi alla nuova situazione. Nella concezione dei Disturbi dell’ Adattamento si tratta in genere, di eventi ordinari, abbastanza comuni, di gravità oggettiva moderata. -Tipi di eventi -Campi di concentramento -Torture -Stragi -Disastri naturali -Terrorismo -Gravi incendi -Sequestri -Rapine con violenza fisica gravi -Gravi incidenti stradali -Recidiva di tumore maligno -Violenza sessuale Tipi di situazioni stressanti nel DPTS nei bambini -Assistere all’uccisione di un genitore -Violenze fisiche e psicologiche -Gravi ustioni -Rapimenti -Incidenti e sparatorie a scuola -campo di concentramento -Esposizione a situazione a situazioni di guerra Con il termine Trauma si è indicato per decenni in psichiatria, l’impatto di un evento che produce ferita deriva dal greco traumatiros ferita. A differenza del semplice concetto di “evento”, “trauma” ha dunque implicito il concetto delle conseguenze prodotte, quale il danno sulla persona ad un livello contemporaneamente (anche se non sempre) fisico e psichico portato dall’agente esterno. EUSTRESS: una situazione di stress positivo che può avere anche un effetto benefico e propulsivo al miglioramento delle performance cognitive e del comportamento. DISTRESS: Stress negativo che tende a compromettere in maniera negative le prestazioni del soggetto, generando depressione e risposte generalmente inappropriate, sia dal punto di vista comportamentale che quello cognitivo che alterano l’equilibrio psicofisico. STRESS un stato nel quale l’individuo si tiene a trovare quando è messo di fronte a dei fatti ambientali che richiedono una modificazione nel proprio atteggiamento o modo di comportarsi ( Darley et al. 1986…) Meyer afferma che molti disturbi mentali possono essere interpretati come reazioni ad esperienze di vita ed espressione dell’adattamento attivo degli individui. Jasper sviluppò il concetto di “reazione ad avvenimenti” dando loro un inquadramento nosografico autonomo. Secondo l’autore davanti all’evento si può reagire attraverso: - meccanismi normali : si ritengono normali quando restano sotto il potere dell’uomo, perché non hanno conseguenze dannose impreviste, e si possono verificare per lo più in tutti gli individui. In tali circostanze, l’esperienza risulta “comprensibile”. - meccanismi anormali: : esperienze vitali perturbatrici pongono l’uomo in uno stato particolare e in esperienze che misurate alla sua vita giornaliera gli possono apparire anormali. Le reazioni patologiche “ La anormalità dei meccanismi è invece evidente quando le manifestazioni per misura, grado e durata oltrepassano l’usuale. Vi è un rinnovato interesse per le conseguenze del trauma grazie anche all’attenzione rivolta alle dimensioni sociali e culturali delle esperienze traumatiche: abusi sessuali subiti dalle donne e dai bambini. Il PTSD è una delle poche categorie del DSM che si basa sull’etiologia. Questo non stigmatizza il paziente ma sposta la domanda da “ che cosa non va in questa persona?” a “che cosa è accaduto a questa persona?” Vi è una costellazione sintomatologica e psicosociale: dissociazione, somatizzazione, instabilità affettiva, disturbo dell’identità e dei confini della persona, comportamenti autolesionistici e comportamento sessuale impulsivo e a rischio. La reazione potrebbe essere di tipo più dissociativo da rendere sostanzialmente nulla la percezione delle emozioni. Nella dissociazione peritraumatica il soggetto può andare incontro a derealizzazione, depersonalizzazione, alterazione del senso del tempo, confusione, disorientamento, sensazione di disconnessione del corpo, visione a tunnell, alterazione della percezione del dolore. Nel DSM-IV la dissociazione è come una strategia d’evitamento e non come l’espressione diversa dell’adattamento al trauma. La dissociazione non è un elemento accessorio dell’evitamento, quanto piuttosto una delle operazioni psichiche centrali de PTSD; alcuni autori infatti considerano il PTSD come un Disturbo Dissociativo invece che Disturbo d’Ansia. Dissociazione La difesa primaria che permette all’individuo di mantenere un controllo psicologico mentre prova una sensazione di impotenza e di perdita di controllo sul proprio corpo. Esso svolge una duplice funzione - aiutare la vittima a distaccarsi dall’evento traumatico mentre questo si verifica. - Posporre il lavoro di elaborazione necessario per collocare tale evento nel contesto della storia della sua vita. Come ogni difesa primaria tende a divenire una risposta automatica tanto da intervenire anche in quelle situazioni che non costituiscono una minaccia per la sopravvivenza dell’individuo. I fenomeni dissociativi vengono associati al trauma e alle esperienze religiose e di cura in tutte le culture. La medicina occidentale contiene una forte tradizione di trance e dissociazione, non soltanto nella forma di sindromi cliniche ma anche di stati di coscienza alterati indotti dalle pratiche terapeutiche. Durante gli ultimi anni del XIX secolo l’indagine clinica sulla dissociazione fu particolarmente intensa. Tra i clinici più importanti del XIX secolo troviamo P. Janet, psichiatra e psicologo francese, le cui ricerche cliniche stimolarono fortemente l’interesse per la dissociazione. Janet può essere considerato il fondatore del concetto, anche se all’inizio utilizza il termine di disgregazione che esprime l’idea della compartimentazione di un determinato segmento della vita psichica. Nella visione che aveva Janet della dissociazione, il concetto di dis-integrazione era centrale. “Disintegrazione suggerisce un senso di crollo, Janet aveva osservato nei suoi pazienti l’incapacità patologica di riunire le sensazioni elementari in una percezione generale d’insieme. Janet negli ultimi anni aveva ridimensionato la centralità del trauma nell’isteria, tuttavia il trauma ad essere centrale nel suo pensiero sulla dissociazione. Prospettiva storica Vi fu una perdita di interesse intorno agli anni ’20 nei confronti della dissociazione, contribuì la nascita della teoria psicoanalitica con il suo accento sulla rimozione . In tempi più recenti la dissociazione è una modalità del funzionamento psichico presente in tutti gli esseri umani sin dalla nascita che tiene separate dalla coscienza al fine di proteggere l’integrità dell’Io determinate informazioni (percezioni, idee, ricordi emozioni) intollerabili per il soggetto, rappresentando così un meccanismo cognitivo ad alta velocità che fa scivolare i dati emotivi e sensoriali in una sorta di buco nero della mente. Si tratta di un fenomeno che si produce come difesa contro le emozioni eccessive e sopraffacenti derivanti da esperienze traumatiche, che non possono essere fronteggiate ed integrate nell’esperienza della coscienza ordinaria. È un meccanismo difensivo certamente adattivo, utilizzato nel corso dello sviluppo quando il bambino dispone di ben pochi e semplici strumenti per proteggere, o in età adulta quando la persona si trova in situazioni particolarmente stressanti. Lo scopo della dissociazione è quello di alterare lo stato di coscienza e di azzerare la memoria di essere se stessi ovvero coscienti delle proprie emozioni. Lo scopo è dunque quello di mettere a riparo l’Io da vissuti intollerabili, in quanto non pensabili e non simbolizzabili e che devono essere negati e dimenticati. Il tema del trauma pone inevitabilmente quella del ricordo, o meglio del ruolo della memoria nell’elaborazione del trauma, nell’organizzazione delle difese e più in generale dell’integrazione delle esperienze umane. I ricordi traumatici hanno moltissime e insolite qualità. Essi infatti non sono codificati come i normali ricordi di adulti in una narrazione verbale e lineare che può essere assimilata alla storia di una vita che scorre. “I ricordi traumatici mancano di narrazione verbale e di un contesto; essi sono anche codificati sottoforma di sensazioni vivide e di immagini” (Brett Ostroff 1985) Lifton R. descrive “la memoria traumatica” come “un’immagine indelebile” o “impronta di morte”. Spesso un particolare tipo di immagini cristallizza l’esperienza, in ciò che Lifton chiama “l’orrore estremo”. L’intensa concentrazione sulla sensazione frammentaria, sull’immagine senza contesto, conferisce alla memoria traumatica un senso di accresciuta realtà. Per la predominanza di immagini e sensazioni corporee e in assenza della narrazione verbale, i ricordi traumatici somigliano ai ricordi dei bambini piccoli (Van der Kolk). Così come i ricordi traumatici non sono sogni normali, neanche i sogni traumatici sono sogni normali. Questi sogni condividono molte delle particolari caratteristiche dei ricordi traumatici che si verificano nello stato di veglia includendo precisi frammenti dell’evento traumatico con una scarsa o del tutto assente elaborazione creativa. Lo stesso identico sogno si presenta molto spesso e il più delle volte è esperito come immediato e terrificante. Piccoli, apparentemente insignificanti stimoli ambientali che si verificano durante questi sogni, possono essere percepiti come segnali di un attacco ostile, provocando violente reazioni. E incubi traumatici possono ricorrere nelle fasi del sonno durante le quali di solito non si sogna. (Van Del Kolk – Sullivan) Perciò nel sonno, come nello stato di veglia i ricordi traumatici appaiono basati su un organizzazione neurofisiologica alterata. I soggetti traumatizzati vivono il momento del trauma non solo nei loro pensieri e sogni, ma anche nelle loro azioni. La messa in atto di scene traumatiche è evidente nel gioco ripetitivo dei bambini. Terr (1990) differenzia il gioco normale dai “giochi proibiti” dei bambini traumatizzati:” il gioco quotidiano nell’infanzia è libero e mobile, vivace ed esuberante, mentre il gioco che segue un trauma è tetro e monotono. Difficile interrompere un gioco quando questo è ispirato da un trauma. Può anche non cambiare per molto tempo”. Gli adulti come i bambini spesso sentono di dover ricreare il momento del terrore sia in modo letterale, sia una forma dissimulata. A volte vengono messi in atto momenti traumatici con l’idea di cambiare l’esito dell’incontro pericoloso e, in qualche caso, nel tentativo di annullare il momento traumatico, i sopravvissuti possono anche mettersi a rischio di un ulteriore danno. Rivivere un trauma può offrire un’opportunità per domarlo, ma molti traumatizzati non lo cercano consciamente, né accettano volentieri l’opportunità di riviverlo, anzi ne sono terrorizzati. Rivivere un’esperienza traumatica, sia pure nella forma di “ memorie intrusive, sogni o azioni” comporta l’intensità emotiva dell’evento originario. Il sopravvissuto è continuamente tormentato dal terrore e dalla rabbia, poiché sono fuori dall’ordinaria gamma di emozioni. Poiché rivivere l’esperienza traumatica provoca una tale sofferenza emotiva, chi ha subito un trauma fa di tutto per evitarla. Gli sforzi per liberarsi dei sintomi intrusivi, sebbene abbiamo l’intento di fornire protezione, in realtà traumatizzano il trauma. Tra tutti coloro che si sono occupati delle “memorie traumatiche” molti ritengono che sia assolutamente normale, per un adulto, ricordare un trauma subito nell’infanzia. Alcuni autori ritengono, infatti che sia più comune dimenticare gli eventi traumatici e che ciò rifletta l’uso di meccanismi psicologici come “l’annullamento cognitivo, la dissociazione e la repressione”. Per altri il trauma subito, proprio a causa della sua natura sconvolgente, non viene ricordato. Lo scopo è difendere la vittima dall’effetto distruttivo di questi contenuti traumatici potrebbero avere sul suo assetto psicologici. La dissociazione in particolare, lo dimostra attuando una vera e propria disconnessione tra la memoria dei sentimenti, così evidente da far accantonare l’evento come privo di importanza (isolamento). La persona può così riferire dei fatti traumatici come se fossero emotivamente neutri e parlarne in modo apparentemente adeguato. Ma la componente emotiva non è stata cancellata, essa può infatti, presentarsi in modo intrusivo e dirompente provocando una sensazione fisica uguale a quella reazione distruttiva provata durante il trauma. Un’altra dimostrazione della funzione protettiva svolta dalla dissociazione ci viene fornita dai casi di amnesia (compromissione della memoria episodica: è una memoria esplicita, composta da fatti e da immagini sensoriali) in cui le vittime vanno incontro ad una perdita parziale e, a volte anche totale, della memoria episodica mentre rimane intatta la memoria procedurale (è una memoria implicita costituita da schemi comportamentali e sensomotori, emozioni e sensazioni. Si viene a creare così un buco nella memoria, dove non è detto che queste informazioni mancanti vengono recuperate; “se dell’evento non è stata codificata in modo frammentario, potrebbe non esserci nessuna memoria da ricordare.” Briere Il ruolo dello stress Pur non essendo di per sé sufficiente per l’insorgenza di un PTSD, la gravità e l’intensità dell’evento stesso incide notevolmente sulla reazione del soggetto. Tanto più si vive una situazione traumatica estrema tanto più si corre il rischio di sviluppare un PTSD. La maggiore gravità dell’evento ha delle implicazioni tutt’altro che positive anche sulla prognosi e sul decorso del disturbo stesso. In base alla natura dell’evento il NIMH ritiene che le percentuali variano dal 2% per i sopravvissuti ad una catastrofe naturale, al 28% per le vittime di un attacco terroristico di massa e al 29% per i sopravvissuti e per i familiari delle vittime di disastri aerei. Traumi come le violenze fisiche o carnali, furti con scasso ecc. possono sconvolgere l’esistenza di chi li subisce provocando delle ferite alla propria autostima e sicurezza. A queste ferite nell’ anima si accompagnano il più delle volte vere e proprie ferite fisiche e malattie, che contribuiscono ancora di più a determinare l’insorgenza di un disturbo come quello del PTSD. Maggiore è il coinvolgimento del soggetto all’evento maggiore è il rischio di PTSD. Oltre alla gravità oggettiva del trauma occorre tener presente infatti, anche il grado di esposizione diretta dell’individuo all’evento stesso (Vietnam) Studi effettuati dopo il terremoto di S. Giuliano hanno dimostrato che la prevalenza di bambini con possibili PTSD è rimasta relativamente alterata a S. Giuliano (36%) mentre è diminuita nei bambini dei comuni più distanti. Un solo fattore non può essere responsabile della reazione del soggetto, ecco perché accade spesso che la qualità e la quantità sono diverse. Fattori di rischio Biologici A: predisposizione genetica alla vulnerabilità; B: predisposizione biologica non genetica; C: alterazioni biologiche seguenti a precedenti esposizioni a trauma. Alcune ricerche ritengono che il 30% dei casi di PTSD abbiano basi genetiche, vi è poi una maggiore diffusione del PTSD nei gemelli monozigoti. Inoltre pare esservi un’ implicazione relativa alla abilità cognitive e al Q.I. Anche la presenza all’interno della famiglia di pazienti psichiatrici può rappresentare un fattore di rischio per l’insorgenza di PTSD. Occorre approfondire se la patologia della famiglia ha una fragilità dell’assetto psicobiologico o se i parenti disturbati, con i loro comportamenti di reazione a gravi stress offrono in qualche modo dei modelli disfunzionali che vengono imitati da altri familiari in altre circostanze stressanti più o meno drammatiche. Età e sesso sono fattori di predisposizione biologico e non genetico. Le donne sono più esposte al PTSD, anche se sono gli uomini a essere maggiormente esposti a eventi più gravi, ma non è così per i traumi sessuali. Maturità e senescenza sarebbero età più a rischio di evoluzione di PTSD, mentre alcuni Autori individuano nella senescenza un fattore di resilienza per il PTSD. Genetica e familiarità Alcune ricerche sembrano suggerire che il rischio di sviluppo di questa patologia tra soggetti esposti ad una stessa condizione estrema di stress possa avere un certo contributo genetico. È stato proposto che esiste una predisposizione genetica a “dissociare” in condizioni di estremo stress. Studi fatti sui gemelli reduci da Vietnam è stato rilevato che fattori genetici contribuivano di circa 1/3, senza alcun peso dell’ambiente familiare di sviluppo. In particolare è stato riscontrato un peso genetico per il 13-30% al cluster dei sintomi di “re-esperienza del trauma, al 30-34% di sintomi di esitamento e al 28-32% dei sintomi di iperattivazione. Lo studio di gemelli omozigoti ed eterozigoti volontari per la guerra del Vietnam e altre missioni belliche ha suggerito che una componente genetica sia ampiamente dimostrato. Modificazioni delle principali strutture cerebrali Studi fatti dimostrano che in presenza di alcune situazioni traumatiche, specie se estreme e ripetute nel tempo (la guerra, la violenza intrafamiliare) si possono rilevare alterazioni neurobiologiche e biochimiche. L’utilizzo di diverse tecniche di neuroimmagine ha permesso di individuare in vivo la sede anatomica danneggiata dall’evento traumatico e le aree cerebrali dalle quali dipende la sintomatologia. Dai dati ottenuti dalle neuroimmagini sembrerebbero coinvolte diverse strutture, come l’amigdala, l’ippocampo, il corpo calloso,la corteccia prefrontale e la corteccia orbitofrontale. Alcuni dati testimoniano alterazioni nel volume dell’ippocampo, che risulterà ridotto soprattutto in seguito a esperienze traumatiche croniche. Questa atrofia ippocampale sembra, inoltre che predisponga il soggetto, a sviluppare risposte emotive condizionate e più durature quando esposto a eventi traumatici. C’è una correlazione tra i danni all’ippocampo e i sintomi dissociativi. Le lesioni a livello dell’amigdala interferiscono sui ricordi ad alta gamma emozionale. Sono state individuate anche alterazioni nel cervelletto in particolare nel verme cerebellare dove alcune lesioni comprometterebbero il linguaggio e l’area affettiva e nella corteccia prefrontale. Quest’ultima ha funzione di supervisione dell’integrazione delle esperienze. Danni alla corteccia orbitofrontale possono produrre allucinazioni visive che appaiono simili ai flashback del PTSD. Si pensa che le esperienze traumatiche siano legate ad alterazioni nella normale laterizzazione emisferica delle esperienze. C’è una sproporzionata implicazione dell’emisfero destro nell’elaborazione dell’informazione legata ai traumi se comparata all’elaborazione di soggetti di controllo coinvolti in semplici ricordi spiacevoli. Si ritiene inoltre che l’emisfero destro sia abbastanza collegato all’amigdala. Fattori di rischio psicologici - presenza di traumi precedenti; - disturbi psichiatrici e psicologici preesistenti; - reazioni peritraumatiche e immediatamente successive al trauma; - caratteristiche di personalità. Le precedenti esposizioni a trauma sembrano essere fattori di rischio particolarmente insidiosi, soprattutto quando non elaborate adeguatamente e se simili al nuovo trauma; in questi casi si può parlare di “PTSD doppio”. Con sintomi provenienti da più traumi contemporaneamente. In altri casi può interagire con la situazione attuale e può fungere da coping. Tra le caratteristiche di personalità a rischio sono: nevroticismo, antisocialità, irritabilità, dipendenza, ipersensibilità interpersonale, introversione, sospettosità. La presenza di dissociazione peritraumatica è predisponente all’insorgenza di PTSD e significativamente correlata alla gravità del seguente PTSD. Inoltre anche le reazioni di ottundimento affettivo sembrano predittori di PTSD. Mentre uno stile di attaccamento sicuro risulta protettivo per insorgenza di PTSD, la disorganizzazione dell’attaccamento, già di per se correlata ad esperienze traumatiche o di incuria, espone ulteriormente il soggetto allo sviluppo di disturbi post-traumatici. Un altro fattore di reazione positiva o negativa dipende dalle persone alle quali si racconta il trauma (es.: abuso sessuale)tale reazione si associa negativamente o positivamente, alla gravità del PTSD. È importante anche il sostegno sociale che è il tipo e il grado di aiuto psicologico, cognitivo, informativo e materiale che ogni persona può avere o meno da alcune componente della rete sociale. Una rete sociale carente può rappresentare di per se un elemento di vulnerabilità. Un sostegno adeguato può invece funzionare da tampone agli stressor, anche piuttosto gravi, modulando l’eventuale reattività disfunzionale e patologica all’evento. Recentemente (Pancheri - Cassano) hanno proposto un modello che integra suggerimenti proposti da modelli precedenti, come quello di Janet e tiene conto di alcuni recenti risultati neurobiologici del PTSD. In questo punto vi è il passaggio tra la fase di massima attivazione/disperazione e quella di codifica/consolidamento. Ad ogni memoria rimane associato il significato di minaccia totale per la sicurezza e l’attivazione maggiore del sistema. L’insieme di tracce mnemoniche relative al trauma non viene integrato nell’esperienza normale e non è “archiviabile” ma conserva un impatto consistente. Genererà ansia e iperallerta, perché è indispensabile mantenere i sistemi di allarme e di difesa pronti, produrrà sintomi di riesperienza e incubi con angoscia, che molto probabilmente rappresentano tentativi di risoluzione ponendosi ancora di fronte l’evento traumatico. Saranno generati sintomi di esitamento per proteggersi da situazioni e stimoli reali che danno angoscia e dolore non tollerabili. In questo senso, i gruppi di sintomi del PTSD non provocheranno più manifestazioni senza senso e disintegrate tra loro, ma sembrano rappresentare un tentativo di risoluzione. Attraverso questo modello il PTSD può essere interpretato come espressione di una condizione di sovraccarico emozionale di informazioni troppo intense che superano la capacità di processazione (analisi ed elaborazione dello stimolo percepito). La mente organizza la conoscenza di sè, del modello circostante e degli eventi, elabora, da il significato e memorizza le informazioni integrandole all’interno della propria esperienza. L’esposizione ad un evento estremo e traumatico, per ragioni connesse sia alla gravità di esso, sia al maggior impatto soggettivo che può avere in alcuni individui rappresenta un carico critico, massivo,improvviso e soverchiante. I tre principali sintomi sarebbero così reinterpretabili: - I sintomi dissociativi documentano che il sistema si “difende” mediante l’intervento di meccanismi che agiscono da potente schermo protettivo. - Sintomi di attivazione, come ansia, reazione neurovegetativa e soprassalto, mantengono il sistema comunque in allerta per proteggersi da un pericolo, che, anche se lontano, non è superato. - Sintomi cosiddetti intrusivi sono vissuti come un’esperienza angosciosa, ricordi e in particolare gli incubi potrebbero essere interpretati come tentativi di riprocessare l’esperienza traumatica.