1 anna ferraris popolo italiano 2 albero della libertà 3 eleonora

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anna ferraris
popolo italiano
L'unità d'Italia è stata un sogno fin dall'epoca medioevale: da Dante in poi, attraverso Machiavelli e
Guicciardini, accompagna il pensiero politico italiano, fino alla rivoluzione francese e all'arrivo di
Napoleone in Italia, che infiamma le coscienze e il patriottismo di molti italiani da Nord a Sud, a cui,
nei decenni successivi, si uniscono il desiderio di libertà politiche e civili e di indipendenza dallo
straniero, valori riuniti nel concetto di Risorgimento. Dopo la consapevolezza dell'Illuminismo e la
spinta emotiva del Romanticismo, l'Italia guarda all'unità con la premessa ideologica e rivoluzionaria
del biennio 1848-49 e il successivo decennio denso di eventi. Ma è solo tra il 1859 e il 1861 che si
arriva alla vera unità, con la seconda guerra di indipendenza, le complesse operazioni diplomatiche
del conte di Cavour e la spedizione dei Mille, ideata e guidata da Garibaldi
« Dagli atri muscosi dai fori cadenti,
dai boschi, dall'arse fucine stridenti,
dai solchi bagnati di servo sudor,
un volgo disperso repente si desta;
intende l'orecchio, solleva la testa
percosso da novo crescente rumor. »
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(alessandro manzoni)
albero della libertà
1400 – a tuttoggi
Italia mia, benché 'l parlar sia indarno
a le piaghe mortali
che nel bel corpo tuo sí spesse veggio,
piacemi almen che ' miei sospir' sian quali
spera 'l Tevero et l'Arno,
e 'l Po, dove doglioso et grave or seggio . . (francesco petrarca).
. . . ahi serva italia di dolore ostello
nave senza nocchiero in gran tempesta
non donna di province ma bordello . .
. . . noi fummo da secoli
calpesti, derisi
perchè non siam popolo
perchè siamo divisi. . .
(dante alighieri)
(goffredo mameli)
1789 - 1849
Uno dei primi atti rivoluzionari era quello di piantare nelle città i cosiddetti "alberi della libertà", un rito ispirato al "calendimaggio" con cui anticamente gli agricoltori usavano in
primavera celebrare e propiziarsi la natura. Di solito tali alberi erano pioppi, per via del nome ambivalente: populus, al femminile, indica la pianta, al maschile significa "popolo". I
repubblicani francesi piantarono il primo albero della libertà nel 1790 a Parigi: di fatto era un palo, sormontato dal berretto frigio rosso e adorno di bandiere e veniva usato per
cerimonie civili: intorno ad esso si ballava, si celebravano matrimoni, giuravano i magistrati, come se si trattasse del nuovo altare della religione laica.
La danza intrecciata intorno all'albero della libertà era una tipica manifestazione dell'esplosione della gioia patriottica.
Si possono senz’altro ricordare le grandi feste per l’amnistia per i prigionieri sia comuni che politici concessa da Pio IX al momento della sua salita al soglio pontificio (luglio 1846) o
le grandi feste per la concessione delle Costituzioni, sempre a ridosso del 1848.
Il biennio di fuoco 1848-1849 riporta in auge rituali “rivoluzionari”: si torna ad erigere alberi della libertà, intorno ad essi si balla e si canta, si festeggiano le truppe volontarie che
partono per la guerra, feste laiche, ma spesso accompagnate dalla presenza di sacerdoti “amici”.
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eleonora pimentel fonseca
1752 roma - 1799 napoli
Eleonora Pimentel Fonseca (Roma 1752-Napoli 1799) è stata una delle figure più rilevanti della Repubblica Napoletana del 1799. Intellettualmente precoce (giovanissima leggeva
e scriveva in latino e greco) si dedicò allo studio delle lettere e si cimentò nella poesia. Parlava diverse lingue moderne, ebbe scambi epistolari con letterati, fu ammirata da
Metastasio; in seguito si dedicò allo studio delle discipline storiche, giuridiche ed economiche. Nel 1778 sposò Pasquale Tria de Solis, un ufficila dell'esercito napoletano dal quale
ebbe un figlio, Francesco, morto in tenera età; per lui scrisse cinque sonetti pervasi di disperato amore materno. Rimasta vedova entrò in confidenza con la regina Maria Carolina
d'Asburgo-Lorena e con lei frequentò i salotti degli illuminati napoletani, affiliati alla massoneria, in un primo tempo sostenuti della sovrana. Il cui atteggiamento progressita, però,
mutò drasticamente con gli sviluppi della Rivoluzione francese e con la morte sotto la ghigliottina della sorella Antonietta, la moglie di Luigi XVI. Nell'ottobre 1798 Eleonora fu
incarcerata con l'accusa di giacobinismo ma fu liberata qualche mese dopo dai "lazzaroni"che avevano aperto le carceri per avvalersi dell'aiuto dei detenuti; la Pimentel divenne
una protagonista della vita della neonata Repubblica Napoletana, per la quale scrisse l'Inno alla Libertà e di cui diresse il giornale ufficiale, il "Monitore Napoletano". Dai suoi
articoli emerge un forte atteggiamento democratico ed egualitario, contrario ad ogni compromesso con le correnti moderate..
Quando, nel giugno 1799, la Repubblica fu rovesciata e tornò la monarchia scattò la vendetta.: Eleonora fu arrestata e rinchiusa in una delle navi- prigione ancorate nel golfo di
Napoli per ammucchiarvi i rei di Stato. Esiliata fu liberata dopo aver sottoscritto una "obbliganza penes acta" cioè una sorta di contratto , in cui giurava, pena la morte, di non
rientrare nel regno. Ma la Giunta di Stato si rimangiò la decisione e fece nuovamente arrestare la Pimentel. che il 17 agosto fu condannata a morte e tre giorni dopo fu impiccata
a Napoli nella piazza del Mercato.
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italia e restaurazione
1814-1815
Nel Congresso di Vienna (1814-1815), le potenze vincitrici di Napoleone, Austria, Russia, Prussia e Inghilterra, decisero di annullare tutte le trasformazioni avvenute, cancellando
l'esperienza francese e riportando l'Europa e l'Italia alla situazione politica precedente il 1789, adottando due criteri: la Legittimità e l'Equilibrio.
L'Italia con la Restaurazione perdette l'Unità acquisita e vide instaurarsi un forte predominio austriaco. La penisola italiana fu divisa in 10 Stati:
il Regno di Sardegna,
il Regno Lombardo-Veneto,
il Ducato di Parma e Piacenza
il Ducato di Modena e Reggio
il Ducato di Massa e Carrara
il Granducato di Toscana,
il Ducato di Lucca
lo Stato della Chiesa,
la Repubblica di San Marino,
il Regno di Napoli e di Sicilia e Regno delle Due Sicilie.
Il Trentino, il Sud Tirolo e la Venezia Giulia tornavano a far parte dell'Impero Austro-Ungarico.
Il Tricolore Cisalpino fu sostituito con le bandiere delle rispettive ripristinate Dinastie e Ducati.
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bandiera della carboneria
1815 - 1848
La Carboneria era una società segreta costuita per promuovere gli ideali ispirati ad un governo costituzionale e liberale; fu la società segreta più importante nata dopo il Congresso
di Vienna (1 ottobre 1814 - 9 giugno 1815)
Il nome "Carboneria" derivava dal fatto che i settari dell’organizzazione avevano tratto il loro simbolismo ed i loro rituali dal mestiere dei carbonai, ovvero coloro che preparavano il
carbone e lo vendevano al minuto. Come in ogni società segreta, chi si iscriveva alla Carboneria non ne doveva conoscere tutte le finalità fin dal momento della sua adesione: gli
adepti erano infatti inizialmente chiamati "apprendisti" e solo in seguito diventavano "maestri" e dovevano impegnarsi a mantenere il più assoluto riserbo, pena la
morte.L’organizzazione, di tipo gerarchico, era molto rigida: i nuclei locali, detti "baracche", erano inseriti in agglomerati più grandi, detti "vendite", che a loro volta dipendevano
dalle "vendite madri" e dalle "alte vendite". Anche le sedi avevano naturalmente dei nomi in codice: ad esempio, una di quelle oggi più note è Villa Saffi, presso Forlì, indicata
coll'esoterico nome di Vendita dell'Amaranto.
Sull'esempio della Carboneria Giuseppe Mazzini, uno dei carbonari più acuti, fondò una nuova società segreta chiamata Giovine Italia nella quale sarebbero confluiti molti ex
aderenti alla Carboneria che, ormai quasi senza sostenitori, cessò praticamente di esistere, anche se la storia ufficiale di questa importante società si sarebbe protratta
stancamente fino al 1848.
Tra gli iscritti alla Carboneria vi furono Giuseppe Mazzini da giovane, i fratelli Attilio ed Emilio Bandiera, Michele Morelli, Ciro Menotti Piero Maroncelli, Federico Confalonieri, Silvio
Pellico,Napoleone Luigi Bonaparte
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giuseppe mazzini
Genova, 22 giugno 1805 – Pisa, 10 marzo 1872
Giuseppe Mazzini è considerato, insieme con Giuseppe Garibaldi, Vittorio Emanuele II e Camillo Benso di Cavour uno dei "padri della patria; è stato un patriota, un politico e un
filosofo italiano.Le sue idee e la sua azione politica contribuirono in maniera decisiva alla nascita dello Stato unitario italiano; la polizia italiana lo costrinse però alla latitanza fino
alla morte, nel 1872, quando ormai, anche per merito suo, lo Stato italiano era finalmente unito. Le teorie mazziniane furono di grande importanza nella definizione dei moderni
movimenti europei per l'affermazione della democrazia attraverso la forma repubblicana dello Stato.
« Ebbi a lottare con il più grande dei soldati, Napoleone. Giunsi a mettere d’accordo tra loro imperatori, re e papi. Nessuno mi dette maggiori fastidi di un brigante italiano: magro,
pallido, cencioso, ma eloquente come la tempesta, ardente come un apostolo, astuto come un ladro, disinvolto come un commediante, infaticabile come un innamorato, il quale ha
nome: Giuseppe Mazzini. »(Klemens von Metternich)
« Il famoso rivoluzionario Giuseppe Mazzini, più conosciuto in Russia come patriota italiano, cospiratore e agitatore che come metafisico deista e fondatore della nuova chiesa in
Italia, sì, proprio Mazzini ritenne utile e necessario nel 1871, il giorno dopo la disfatta della comune di Parigi, quando i feroci esecutori di Versailles fucilavano a migliaia i disarmati
comunardi, affiancare l'anatema della chiesa cattolica e le persecuzioni poliziesche dello Stato con il suo proprio anatema sedicentemente patriottico e rivoluzionario ma nella
sostanza assolutamente borghese e teologico insieme. »(Michail Bakunin, Stato e Anarchia)
« E un popol morto dietro a lui si mise.
Esule antico, al ciel mite e severo
Leva ora il volto che giammai non rise,
" Tu sol" pensando "o ideal, sei vero". »
(Giosuè Carducci, Mazzini)
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giuseppe verdi
1813 – roncole di busseto – 1901 milano
Una musica ha accompagnato in sottofondo tutte le vicende del Risorgimento italiano, quella verdiana. Giuseppe Fortunino Francesco Verdi, uno dei compositori e maestri più
celebri della storia della musica, già da ragazzo, si esercita su una piccolissima spinetta e inizia gli studi musicali mentre aiuta i genitori nella loro piccola osteria di paese. A 12
anni studia con il maestro della banda del paese e compone i primi brani per la Società Filarmonica e per la banda di Busseto. Nel gennaio del 1831 vince una borsa di studio e
con un sussidio studia privatamente a Milano. A a 19 anni tenta di entrare nel Conservatorio di milanese ma non viene ammesso. Ritornato a Busseto, è nominato maestro di
musica del comune e direttore della banda.
Il 4 maggio 1835 sposa Margherita Barezzi (figlia del suo grande benefattore) e ha due figli: Virginia e Icilio. Gli anni che seguiranno saranno segnati per il musicista da una serie di
sciagure: muore sua moglie il 18 giugno 1840 e negli anni successivi perde anche i due figli. Nel frattempo esordisce con la sua prima opera "Oberto Conte di San Bonifacio" che
viene rappresentata con un discreto successo al Teatro alla Scala di Milano il 17 novembre 1839. La sua seconda opera, di carattere comico, "Un giorno di regno" (1840), però
fallisce brutalmente alla Scala. Il 9 marzo 1842. Invece il "Nabucco", quasi un simbolo del vero spirito patriottico ed eroico del Risorgimento italiano, riscuote un successo
strepitoso.
Tra il 1844 e il 1850 il grande maestro compone ben undici opere, tra cui l'Ernani, I due foscari, Macbeth e i Masnadieri (prima opera scritta per teatri stranieri, rappresentata a
Londra dove Verdi incontra per la prima volta Giuseppe Mazzini). A Parigi frequenta circoli rivoluzionari e inizia a convivere con Giuseppina Strepponi, noto soprano e interprete
delle sue opere
Tornato ancora a Busseto, compone la sua "trilogia popolare", i tre capolavori più famosi: il Rigoletto nel 1851; il Trovatore; e la Traviata nel 1853. Seguono i Vespri siciliani nel
1855, Simon Boccanegra nel 1857 e Un ballo in maschera nel 1858. Il 29 agosto dello stesso anno, il grande compositore ormai agiato sposa l sua compagna e si stabilisce a S.
Agata, vicino Roncole. Continua a essere molto attivo, anche in politicia infatti, il 14 settembre si reca, con una delegazione, a Torino dove incontra Vittorio Emanuele II; nel 1861
viene eletto deputato al primo Parlamento italiano e, incoraggiato da Cavour, va a Torino ancora una volta per la proclamazione del Regno d'Italia. I suoi successi musicali
seguono poi con l’Aida al Cairo nel 1871 (che segna l’apertura ufficiale del canale di Suez) e nel 1874 con la Messa da requiem (che dedica alla memoria di Alessandro Manzoni).
Ottantenne, Verdi ritorna al teatro con Otello e Don Carlos. Il 9 febbraio del 1893 Falstaff va in scena alla Scala e sarà l’ultima opera del grande artista. Simbolo per eccellenza del
Risorgimento italiano, Giuseppe Verdi lascia il suo marchio risonante nel mondo della musica classica, avendo offerto ricchezza e profondità all’arte musicale italiana non solo del
XIX secolo ma di tutti i tempi
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nabucco
9 – marzo - 1842
Il Nabucco, su libretto di Temistocle Solera, andò in scena il 9 marzo 1842 al Teatro alla Scala di Milano e il successo fu trionfale. L'opera fu replicata ben 64 volte solo nel suo
primo anno di esecuzione.
Con Nabucco iniziò la parabola ascendente di Verdi. Sotto il profilo musicale l'opera presenta ancora un impianto belcantistico, in linea con i gusti del pubblico italiano del tempo,
ma teatralmente è un'opera riuscita, nonostante la debolezza e alcune ingenuità del libretto. Lo sviluppo dell'azione è rapido, incisivo, caratteristica che avrebbe contraddistinto
anche la successiva, e più matura, produzione del compositore. Alcuni personaggi, come Nabucodonosor e Abigaille, sono fortemente caratterizzati sotto il profilo drammaturgico,
così come il popolo ebraico, che si esprime in forma corale, unitaria, e che forse rappresenta il protagonista vero di questa significativa, creazione verdiana. Uno dei cori dell'opera,
il celebre Va pensiero finì col divenire una sorta di canto doloroso o inno contro l'occupante austriaco, diffondendosi rapidamente in Lombardia e nel resto d'Italia. Nel periodo
dell'unificazione italiana "viva Verdi" significava: "Viva Vittorio Emanuele Re D'Italia". Ciò era successo proprio grazie a quest'opera che risvegliava il patriottismo negli italiani.
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eugenio marchisio
italia si bella e perduta
Un’Italia dolente, notturna, divisa, risvegliata alla libertà. Le armi, le parole di un popolo che scopre se stesso dopo secoli di servitù. Giovani che hanno combattuto per l’unità e
l’indipendenza della nazione. Questo è stato il Risorgimento. E questo resta l’orizzonte storico insormontabile della nostra identità nazionale e del nostro Stato democratico.
Dal 1796 al 1870 vi è stato un tempo della nostra storia nel quale molti italiani non hanno avuto paura della libertà, l’hanno cercata e hanno dato la vita per realizzare il sogno della
nazione divenuta patria. È stato il tempo del Risorgimento quando la libertà significava verità. Anzitutto sentirsi partecipi di una Italia comune, non dell’Italia dei sette Stati, ostili tra
loro e strettamente sorvegliati da potenze straniere. La conquista della libertà ‘italiana’ è stata la rivendicazione dell’unità culturale, storica, ideale di un popolo per secoli interdetto
e separato, l’affermazione della sua indipendenza politica, la fine delle molte subalternità alla Chiesa del potere temporale, l’ingresso nell’Europa moderna delle Costituzioni, dei
diritti dell’uomo e del cittadino, del senso della giustizia e del valore dell’eguaglianza ereditati dalla rivoluzione francese
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uniformi sabaude
1836
« Il soldato tedesco ha stupito il mondo, il bersagliere italiano ha stupito il soldato tedesco. » ha detto il generale Erwin Rommel.I Bersaglieri sono una specialità dell'arma di
Fanteria dell'Esercito italiano.Il Corpo fu istituito in Piemonte, allora Regno di Sardegna, sulla base di una proposta del generale Alessandro La Marmora, il 18 giugno 1836. Il
compito di questo Corpo era quello di svolgere funzione di esploratori ed assaltatori.
La specialità proposta doveva essere in grado di operare con spiccata autonomia e, quindi, doveva comprendere uomini particolarmente addestrati al tiro e pronti ad agire,
pressoché isolati, per aprire il fuoco ad adeguata portata e concentrarlo su un punto dello schieramento nemico col preciso intento di "sorprendere, disturbare e sconvolgere i piani
nemici".
Un corpo analogo sorse nel 1847 nello Stato Pontificio, i "Bersaglieri del Po", che combatterono attivamente durante la Prima Guerra d'Indipendenza prima d'esser sciolti nel 1849
con la caduta della Repubblica romana.
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adriana baldassi
W V.E.R.D.I.
La scritta W Verdi che compariva sui muri di Milano e Venezia in epoca risorgimentale aveva un duplice significato: se da un lato inneggiava al famoso compositore Giuseppe
Verdi e quindi sembrare politicamente innocua, dall'altro W V.E.R.D.I. poteva essere letto come un acronimo che stava a significare W Vittorio Emanuele Re D'Italia, e quindi
acquistare un preciso significato politico anti-austriaco.Del resto la musica di Verdi, patriota a sua volta, può benissimo essere adottata come la colonna sonora del Risorgimento
italiano.
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pio IX
Senigallia il 13 maggio 1792 – Roma 1878
Giovanni Maria Mastai Ferretti, il futuro Pio IX, fu nominato Arcivescovo di Spoleto 24 aprile 1827 a soli 35 anni; il 6 dicembre 1832 fu trasferito al Vescovado di Imola; il 14
dicembre 1840 ricevette la berretta cardinalizia; il 16 giugno 1846, al quarto scrutinio, con 36 voti su 50 cardinali presenti al Conclave, fu eletto Sommo Pontefice a soli 54 anni. Un
mese dopo concesse l'amnistia (16 luglio 1846) per i reati politici suscitando grandi speranze tra i liberali. Di fatto fino al marzo del '48 si suggeguirono importanti riforme come la
creazione di un ministero liberale, l'istituzione della Guardia civica, la libertà per la stampa e per gli ebrei, e infine la concessione dello Statuto (14 marzo '48). Quando poi scoppiò
la gerra tra Piemonte e Austria il Papa mandò addirittura proprie truppe in appoggio dei piemontesi alimentando l'entusiasmo tra i fautori dell'unità d'Italia.
Ma a questo punto Pio IX temette di essersi spinto troppo avanti e con l'Allocuzione del 29 aprile '48, con cui separava la causa della Chiesa da quella dell'indipendenza italiana e
di fatto favoriva Vienna, tentò di correggere la rotta. Ciò diede il via a una serie di eventi (tra cui l'assassinio del presidente del consiglio Pellegrino Rossi) che portarono a gravi
tumulti, alla fuga del Papa a Gaeta e infine, il 9 febbraio '49, alla proclamazione della Repubblica Romana.
Dopo il rientro a Roma tra i fatti principali del pontificato vanno ricordati la definizione del dogma dell'Immacolata Concezione (8 dicembre '54) e l'enciclica "Quanta cura" cui era
allegato il "Sillabo", cioè un lungo elenco di proposizioni condannate dalla Chiesa , in sostanza un tentativo di opporsi alla modernità e al progresso ma anche alle <pestilenze> del
socialismo, del comunismo e delle società segrete. Il "liberalismo" stigmatizzato da Pio IX non riguardava la tradizione liberale di Locke, Smith, Burke, Tocqueville, Bastiat, bensì
quelli che egli riteneva i "finti liberali", cioè gli eredi del sistema giacobino-napoleonico accentratore, statalista e antireligioso che si ispirava alla Rivoluzione francese. Del 18 luglio
1870, infine, è la definizione del magistero infallibile del Papa quando parla "ex cathedra".
Già nell'aprile 1860 erano cadute le Legazioni, in settempre Marche e Umbria erano state annesse al Regno d'Italia; Quando il 20 settembre del '70 le truppe italiane entrarono in
Roma Pio IX si chiuse volontariamente in Vaticano sancendo la fine del potere temporale dei Papi
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giulia falletti di barolo
Maulévrier, 27 giugno 1785 – Torino, 19 gennaio 1864
Giulia Falletti di Barolo, nata Juliette Colbert di Maulévrier, discendeva da una nobile famiglia della Vandea ed era rimasta orfana di madre a quattro anni; inoltre durante la
Rivoluzione francese molti tra i suoi parenti, appartenemti alla più alta aristocrazia furono giustiziati. Ebbe un'educazione raffinata e, grazie alla brillante intelligenza, acquisì vaste
conoscenze.
Il 18 agosto 1806 sposò il marchese Carlo Tancredi Falletti di Barolo e nel 1814 si trasferì a Torino, a Palazzo Barolo, a quei tempi ritrovo dell'élite culrturaòe e politica piemontese
e dove ospitò per lungo tempo il patriota Silvio Pellico, reduce dalla prigionia nella fortezza dello Spielberg.
Ma il prevalente interesse dei due coniugi fu per la beneficenza: Giulia si dedicò all'assistenza delle carcerate e intraprese insieme con il marito molte iniziative benefiche: scuole
gratuite, assistenza ai poveri, donazioni all'erigendo cimitero generale di Torino. Sempre con il marito fondò la Congregazione Generale delle Suore di Sant'Anna.
Il suo impegno a favore delle carcerate, con l'istruzione, con la provvista di vitto e abbigliamento decente, con l'igiene, arrivò a tal punto che, presentato al governo un progetto di
riforma carceraria, il 30 ottobre 1821 il ministero la nominò soprintendente del carcere. In breve questo divenne un istituto modello; quando fu redatto un nuovo regolamento
interno la marchesa lo sottopose alla discussione con le detenute, da cui ebbe approvazione unanime.
Dal 1899 il suo feretro è tumulato nella chiesa di santa Giulia, in borgo Vanchiglia, che lei stessa volle far costruire.
Impressionante l'elenco delle sue opere filantropiche: nello stesso anno 1821 fondò nel quartiere popolare di Borgo Dora una scuola per fanciulle povere; nel 1823 fondò al
Valdocco l'istituto del Rifugio, per le ragazze madri; nel 1825 destinò una parte del suo palazzo ad asilo per i figli dei lavoratori, prima opera di questo tipo in Italia; nel 1833 fece
costruire un monastero accanto all'istituto del Rifugio, che si era ampliato per accogliere anche le vittime della prostituzione minorile.
Nel 1838 perse il mariro a causa dell'epidemia di colera in cui aveva prestato generosamente soccorso ma continuò da sola nell'opera benefica: nel 1845 aprì l'Ospedaletto di
santa Filomena per bambine disabili; nel 1847 fondò una scuola professionale presso il proprio palazzo per le ragazze di famiglia operaia; nel 1857 fondò poi una scuola di
tessitura e ricamo.
Estese le sue iniziative anche fuori città, fondando un asilo a Castelfidardo e una casa per ragazze a rischio a Lugo di Romagna.
Ultima sua opera di beneficenza fu la costruzione della chiesa di santa Giulia, nel popolare quartiere di Vanchiglia.
Alla sua morte nel 1864 tra le sua volontà vi fu la costituzione dell'Opera Pia Barolo alla quale lasciò l'intero patrimonio di famiglia.Secondo alcuni documenti, dedicò ad opere di
beneficenza complessivamente 12 milioni di lire, una somma pari al bilancio di uno stato del tempo
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massimo d’azeglio
Torino, 24 ottobre 1798 – 15 gennaio 1866
« Abbiamo fatto l'Italia. Ora si tratta di fare gli Italiani. » La frase è di Massimo Taparelli, marchese d'Azeglio, pittore, scrittore, politico piemontese di orientamento liberale
moderato, cugino di Cesare Balbo. .Sincero patriota, ma cosciente delle grandi differenze tra i vari regni d'Italia e deciso a rispettare i sovrani legittimi, era contrario ad una
unificazione a sola guida piemontese e auspicava la creazione di una confederazione di stati sul modello dell'unità tedesca.
Fu duramente attaccato per questo dai mazziniani (e successivamente anche da Gramsci) e definito da Cavour suo "empio rivale" (in seguito, quando era presidente del Consiglio,
questi lo costrinse a dimettersi).
Dopo i primi studi a Firenze, presso le Scuole Pie di Via Larga, a soli 13 anni fu ammesso alla facoltà di filosofia dell'Università di Torino, da dove uscì per entrare in cavalleria
("Reale Piemonte") che, però abbandonò per dissensi con la classe aristocratica, ed entrò nella fanteria (Guardia provinciale).
Incaricato di mansioni di segreteria presso l'ambasciata sarda a Roma ne approfittò per frequentare spensieratamente le conventicole artistiche locali e per dedicarsi alla pittura.
Al ritorno in Piemonte si impegnò assiduità nella vita politica. Fu primo ministro del Regno di Sardegna dal 1849 al 1852, in uno dei momenti più drammatici della storia del paese
dopo la sconfitta subita dall'Austria.Sarà senatore del Piemonte dal 1853. L'11 luglio 1859 ebbe l'incarico di costituire un governo provvisorio a Bologna, dopo la cacciata delle
truppe pontificie. Il 25 gennaio 1860 venne nominato governatore della Provincia di Milano, carica che tenne fino al 17 marzo 1861.
Nella storia della pittura italiana D'Azelio ha un posto di tutto rilievo, i suoi scritti politici e i suoi romanzi ebbero una discreta diffusione. Nonostante i molti impegni non rinunciò mai
alla vta di gaudente ntanto da guadagnarsi fra le dame di corte il nomignolo di "sporcaciun" mentre Francesco De Sanctis descrisse la sua attitudine come «un certo amabile
folleggiare... pieno di buon umore». Queste connotazioni hanno posto in secondo piano le sue doti di politico che ebbe la capacitá di intravedere i limiti della riunificazione
("Abbiamo fatto l'Italia ora dobbiamo fare gli italiani") e della dirigenza sabauda; da parte sua propose una sua soluzione sia dal punto di vista costituzionale (stato federale) che da
quello economico (liberale)
Sposò poi Giulia, figlia di Alessandro Manzoni, ma l'unione non fu felice.
Durante gli ultimi anni della sua vita, trascorsi sul Lago Maggiore, si dedicò alla scrittura delle sue memorie, pubblicate postume col titolo I miei ricordi nel 1867. Massimo D'Azeglio
morì a Torino nel 1866
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silvana sabbione
astratto tricolore
La bandiera italiana è una variante della bandiera della rivoluzione francese, nella quale fu sostituito l'azzurro con il verde che, secondo il simbolismo massonico, significava la
natura ed i diritti naturali (uguaglianza e libertà). In realtà i primi a ideare la bandiera italiana sono stati due patrioti e studenti dell'Università di Bologna, Luigi Zamboni, natio del
capoluogo emiliano, e Giambattista De Rolandis, originario di Castell'Alfero (Asti), che nell'autunno del 1794 unirono il bianco e il rosso delle rispettive città al verde, colore della
speranza. I due giovani si erano prefissi di organizzare una rivolta per ridare al Comune di Bologna l'antica indipendenza perduta con la sudditanza agli Stati della Chiesa. La
sommossa, nella notte del 13 dicembre, fallì e i due studenti furono scoperti e catturati dalla polizia pontificia, insieme ad altri cittadini. Avviato il processo, il 19 agosto 1795, Luigi
Zamboni fu trovato morto nella cella denominata "Inferno" dove era rinchiuso insieme con due criminali, che lo avrebbero strangolato per ordine espresso della polizia. De Rolandis
fu condannato a morte ed impiccato il 23 aprile 1796. Napoleone adottò il tricolore 15 maggio 1796 per le Legioni lombarde e italiane. Nell'ottobre dello stesso anno il tricolore
assunse il titolo di bandiera rivoluzionaria italiana ed il suo verde, proclamato colore nazionale, divenne per i patrioti simbolo di speranza per un migliore avvenire: con questo
valore fu adottato dalla Repubblica Cispadana il 7 gennaio 1797, qualche mese dopo da Bergamo e Brescia e poi dalla Repubblica Cisalpina. In quell’epoca le sue bande erano
disposte talvolta verticalmente all'asta con quella verde ivicino a questa, talvolta orizzontalmente con la verde in alto; a cominciare dal 1° maggio 1798 soltanto verticalmente, con
asta tricolorata a spirale, terminante con punta bianca. Alla metà del 1802 la forma diviene quadrata, con tre quadrati degli stessi colori racchiusi l'uno nell'altro; questo
cambiamento fu voluto dal Melzi (vice presidente della Repubblica Italiana) per cancellare ogni riferimento alla Rivoluzione.
Abolito alla caduta del Regno Italico, il tricolore fu ripreso, nella sua variante rettangolare, dai patrioti dei moti del 1821 e del 1831. Mazzini lo scelse come bandiera per la sua
Giovine Italia, e fu subito adottato anche dalle truppe garibaldine. Durante i moti del '48/'49, sventolò in tutti gli Stati italiani nei quali sorsero governi costituzionali: Regno di Napoli,
Sicilia, Stato Pontificio, Granducato di Toscana, Ducato di Parma, Ducato di Modena, Milano, Venezia e Piemonte. In quest'ultimo caso alla bandiera fu aggiunto nel centro lo
stemma sabaudo (uno scudo con croce bianca su sfondo rosso, orlato d’azzurro). La variante sabauda divenne bandiera del Regno d'Italia fino al referendum istituzionale del 2
giugno 1946, quando l'Italia divenne Repubblica e lo scudo dei Savoia fu tolto.
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cinque giornate di milano
16 - 22 marzo 1848
Con le Cinque giornate di Milano si indica uno dei maggiori episodi della storia risorgimentale italiana. Quasi contemporaneamente ai moti popolari del 1848 che si sollevarono nel
Regno Lombardo-Veneto, insorgeva, il 18 marzo di quell'anno la città di Milano: fu, questo, il primo episodio a testimonianza dell'efficacia dell'iniziativa popolare che, guidata da
uomini consapevoli degli obiettivi della lotta, poteva rivelarsi in grado di influenzare le decisioni dello stesso Re di Sardegna.
Il presidio dell'Impero austriaco a Milano era munitissimo e comandato da un generale di lungo corso, Josef Radetzky. Sebbene più che ottantenne, Radetzky era energico e
rigido: la vera espressione della severa mentalità militare austriaca. La città allora era capitale del Regno Lombardo-Veneto, parte dell'Impero Austriaco. La dominazione austriaca
era dura, e finalizzata soprattutto a spremere il più possibile finanziariamente quella che era la parte più prospera e sviluppata dell'Impero. Da qui il malcontento della popolazione,
ed il desiderio di liberarsi dal giogo per partecipare alla costruzione di una nazione italiana libera ed indipendente.
A scatenare la rivolta fu un episodio apparentemente insignificante. L'amministrazione austriaca aveva imposto una ennesima tassa, questa volta sul tabacco ed i sigari. I milanesi
allora per protesta decisero di non fumare più.
Il generale Radetzky mandò in giro dei soldati austriaci a fumare ostentatamente per le strade. Successe che un popolano, sentendosi provocato da un austriaco che gli sbuffava il
fumo in faccia, e probabilmente esasperato dall'astinenza, gli strappò il sigaro dalla bocca e lo gettò per terra. Al tentativo del soldato di arrestarlo, i presenti ne presero le difese,
mettendo in fuga gli altri austriaci che nel frattempo erano accorsi. Poi la rivolta dilagò per tutta la città.
L'intera popolazione combatteva per le vie innalzando barricate, sparando dalle finestre e dai tetti, inviando messaggi per mezzo di palloni agli abitanti delle campagne per
esortarle a prendere parte alla lotta. Si formarono un Governo provvisorio di Milano presieduto dal podestà, Gabrio Casati, e un Consiglio di guerra, di cui era anima Carlo
Cattaneo. La resistenza fu organizzata con intelligenza e decisione; eroici furono i Martinitt, i fanciulli dell'orfanotrofio, che si offrirono come portaordini per collegare i vari punti
della città col consiglio di guerra.
Radetzky, considerata la difficoltà di resistere nel centro della città, decise di assediarla dall'esterno ma, timoroso d'essere attaccato alle spalle dall'esercito piemontese e dai
contadini provenienti dalla campagna, preferì abbandonare la città.La sera del 22 marzo 1848, gli Austriaci si ritiravano verso il "Quadrilatero" (la zona fortificata compresa fra le
quattro città di Verona, Legnago, Mantova e Peschiera del Garda), trascinando con sé numerosi ostaggi arrestati all'inizio della sommossa. Frattanto, il resto del territorio della
Lombardia e del Veneto era ormai libero.
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josef radetzky
Sedlčany, 2 novembre 1766 – Milano, 5 gennaio 1858
Joseph-Franz-Karl conte di Radetz, nato in Boemia, considerato in Austria come un eroe nazionale e in Italia come il simbolo dell'oppressione straniera, era entrato nell'esercito
imperiale a 18 anni e aveva combattuto in Turchia, nei Paesi Bassi contro le truppe della Rivoluzioine francese e poi in tutte le guerre contro Napoleone; era suo il piano della
battaglia di Lipsia che si concluse con la disfatta dell'imperatore e la sua abdicazione.
Trasferito in Ungheria, a 62 anni era ormai pronto per la pensione quando fu spedito in Italia per sedare i moti del 1831 come governatore militare del Lombardo-Veneto. In questo
ruolo si trovò a fronteggiare le "Cinque giornate di Milano". Poi venne lo scontro con il Piemonte, la battaglia per lui vittoriosa di Custoza, il confronto definitivo di Novara che
costrinse Carlo Alberto all'abdicazione e all'esilio. Il vecchio feldmaresciallo fu allora nominato governatore generale civile e militare del Lombardo-Veneto dove esercitò con mano
ferrea le operazioni di repressione dei moti insurrezionali. fino alla sua sostituzione nel 1857, un anno prima della morte. Aveva trascorso oltre settant'anni nell'esercito imperiale.
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carlo alberto di savoia
1798 Torino - 1849 Oporto
Re di Sardegna (1831-1849). Figlio di Carlo Emanuele di Savoia, principe di Carignano, e di Albertina Maria Cristina di Sassonia, ricevette la prima educazione a Ginevra e compì i
suoi studi a Parigi, dove subì l'influsso delle idee politiche francesi. Rientrato a Torino, dopo la caduta di Napoleone, e la restituzione del Piemonte alla casa di Savoia, non
condivise l'impostazione reazionaria data dal re Vittorio Emanuele. Amico dei giovani esponenti del liberalismo piemontese, era al corrente della cospirazione che sboccò nel moto
del marzo 1821. Una volta assunta la reggenza, dopo l'abdicazione di Vittorio Emanuele I data la lontananza del nuovo re Carlo Felice, concesse agli insorti la costituzione di
Spagna che essi reclamavano (14 marzo), ma fu sconfessato da Carlo Felice e costretto ad abbandonare il Piemonte.
Dopo che Carlo Felice non volle riceverlo a Modena, Carlo Alberto si ritirò per qualche tempo a Firenze, finché l'Austria decise di appoggiare la sua successione al trono di
Sardegna, nonostante l'opposizione di Carlo Felice.
Per non perdere questo diritto Carlo Alberto fu quindi costretto ad impegnarsi con Metternich a non modificare il regime assoluto ristabilito in Piemonte, e si piegò a partecipare alla
spedizione francese che voleva reprimere la rivoluzione liberale in Spagna (1823).
Morto Carlo Felice, Carlo Alberto poté finalmente succedergli (1831) ma, nonostante una lettera di incitamento inviatagli da Mazzini, iniziò una politica assolutista e reazionaria, la
cui espressione maggiore fu la repressione della cospirazione diretta dalla 'Giovine Italia' (1833-1834.Fondamentalmente antiaustriaco Carlo Alberto attuò una serie di riforme che
resero il Piemonte la regione più evoluta della penisola mentre gli scritti di Gioberti, Balbo e d'Azeglio rafforzavano la tendenza filopiemontese nata in Italia.
Sotto la spinta di tale tendenza nel 1848 Carlo Alberto entrò in guerra contro l'Austria, scossa dalle rivoluzioni di Vienna e di Milano, ma la campagna, dopo un inizio fortunato,
prese un andamento sfavorevole, anche per le personali esitazioni del re, e si chiuse con la grave sconfitta di Custoza (25 luglio) e con l'armistizio con l'Austria.
Carlo Alberto, temendo di vedere le idee repubblicane trionfare nel proprio Stato, chiamò dapprima al potere Gioberti (dicembre 1848) e successivamente (12 marzo 1849) ruppe
l'armistizio con l'Austria anche per sottrarsi alla rinnovata accusa di tradimento che gli rivolgevano i patrioti. Ma la ripresa della guerra si concluse quasi subito con la disfatta di
Novara (23 marzo 1849), che provocò la sua abdicazione a favore del figlio Vittorio Emanuele II.
Carlo Alberto si recò allora in esilio in Portogallo, dove morì di dolore alcuni mesi più tardi (28 luglio).
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statuto albertino
4 marzo 1848
Lo Statuto del Regno o Statuto fondamentale della Monarchia di Savoia, noto come Statuto albertino dal nome del Re che lo promulgò, Carlo Alberto di Savoia-Carignano, fu lo
statuto adottato dal Regno sardo-piemontese il 4 marzo 1848 e fu definito, nel Preambolo autografo dello stesso Carlo Alberto, «Legge fondamentale perpetua ed irrevocabile della
Monarchia» sabauda.
Il 17 marzo 1861, con la fondazione del Regno d'Italia, divenne la carta fondamentale del nuovo stato unitario e rimase formalmente tale, pur con modifiche, fino al biennio
1944/1946 quando, con successivi decreti legislativi, fu adottato un regime costituzionale transitorio valido fino all'entrata in vigore della Costituzione della Repubblica italiana, il 1º
gennaio 1948. Lo Statuto Albertino, nonostante non abbia natura di fonte legislativa sovraordinata alla legge ordinaria può essere considerato a tutti gli effetti un primo esempio di
costituzione breve.
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camillo benso, conte di cavour
Torino, 10 agosto 1810 – Torino, 6 giugno 1861
Camillo Paolo Filippo Giulio Benso, nobile dei Marchesi di Cavour, di Isolabella e di Leri, è noto semplicemente come Conte di Cavour o Cavour
Fu ministro del Regno di Sardegna dal 1850 al 1852, Capo del governo dal 1852 al 1859 e dal 1860 al 1861. Lo stesso anno, con la proclamazione del Regno d’Italia, divenne il
primo presidente del Consiglio del nuovo Stato e con tale carica morì.
Fu protagonista del Risorgimento come sostenitore delle idee liberali, del progresso civile ed economico, dell’anticlericalismo, dei movimenti nazionali e dell’espansionismo del
Regno di Sardegna ai danni dell’Austria e dello Stato Pontificio.
In economia promosse il libero scambio, i grandi investimenti industriali (soprattutto in campo ferroviario) e la cooperazione fra pubblico e privato. In politica sostenne la
promulgazione e la difesa dello Statuto albertino. Capo della Destra moderata, siglò un accordo (Connubio) con la Sinistra di Urbano Rattazzi, mirante alla realizzazione di riforme
che escludessero le ali estreme del Parlamento.
Contrastò apertamente le idee repubblicane di Giuseppe Mazzini e spesso si trovò in urto con Giuseppe Garibaldi della cui azione temeva il potenziale rivoluzionario. In politica
estera coltivò con abilità l’amicizia con la Francia grazie alla quale ottenne l’espansione territoriale del Piemonte in Italia settentrionale e in Toscana.Benché non avesse un disegno
di unità nazionale preordinato riuscì con successo a gestire gli eventi che portarono alla formazione del Regno d’Italia
Nel disegno satirico Cavour sta spostando le sue mandrie di buoi per salvarle dall’imminente intervento austriaco, alla vigilia della battaglia di Novara
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gianfranco bossi
battaglia di novara - risaie allagate
23 marzo 1849
La battaglia di Novara segnò la fine della Prima guerra di indipendenza italiana. È nota anche come battaglia della Bicocca dal nome del sobborgo a sud-est di Novara che vide gli
scontri più aspri. Venne combattuta fra 70.000 soldati austriaci comandati dal Maresciallo Radetzky e 100.000 soldati del regno Sardo (anche se non tutti parteciparono alla
battaglia) guidati dal re Carlo Alberto, dal generale polacco Chrzanowski e dal capo di stato maggiore Alessandro La Marmora.
Il 12 marzo il Governo sardo-piemontese aveva rotto unilateralmente l'armistizio firmato con gli austriaci dopo la disfatta di Custoza. La notizia era pervenuta agli Austriaci il 12
stesso, e si dice che provocasse uno scoppio di gioia nell'esercito.
Il 14 marzo gli austriaci abbandonano i Ducati di Parma e Modena mentre a Parma il municipio prende il governo della città in nome di Carlo Alberto. Fra il 19 e il 20 marzo Josef
Radetzky passa per Pavia e attraversa il Ticino. Questa azione riesce a causa della mancata esecuzione degli ordini assegnati al generale Ramorino (repubblicano) che si porta
nell'Oltrepò pavese e si taglia fuori dalle operazioni. Un'avanzata verso Milano passando per Magenta avrebbe potuto capovolgere gli esiti della guerra; l'azione del Ramorino
ostringe inveve l'esercito sardo sulla difensiva per coprirsi il fianco destro.
Il 21 marzo gli Austriaci vincono a Mortara opponendo un Corpo d'Armata contro due Brigate Piemontesi che non possono resistere a lungo. Lo stesso giorno i piemontesi vincono
a Gambolo, San Siro e alla Sforzesca. Gerolamo Ramorino fu poi venne poi processato e condannato a morte, il successivo 22 maggio.
L'esercito sardo si ritirò verso Novara, rimanendo così separato dalla base dell'esercito (che si trovava ad Alessandria).
Josef Radetzky attaccò Vercelli col grosso dell'esercito, mentre il II Corpo d'armata di Constantino d'Aspre (una delle due divisioni era guidata dal giovane Arciduca Alberto)
assaliva Novara, venendo respinto. Ciò diede a Wojciech Chrzanowski la straordinaria opportunità di contrattaccare con successo annientando d'Aspre. Ma il polacco mancò il
momento decisivo ed ordinò addirittura un ripiegamento. L'indomani, 23 marzo, Radetzky, compreso l'errore, attaccò Novara con l'intero esercito e ruppe l'armata sarda.
Carlo Alberto abdicò nella notte in favore del figlio Vittorio Emanuele II, dopo aver conosciuto le umilianti pretese austriache alla proposta piemontese di tregua e si ritirò a Oporto
in Portogallo (dove morì il 28 luglio dello stesso anno). La mattina del 24 marzo il nuovo Re firmò l'armistizio a Vignale (ora quartiere di Novara). La battaglia finì in una guerra
"fratricida" poiché i fanti piemontesi sbandati si diedero al saccheggio e fu necessario l'intervento delle truppe guidate da Ferdinando di Savoia-Genova per bloccarli.
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alberto vittorio viti
vittorio emanuele II (bello baffuto)
Torino, 14 marzo 1820 – Roma, 9 gennaio 1878
Vittorio Emanuele Maria Alberto 'Eugenio Ferdinando Tommaso di Savoia, nato nel 1820 da Carlo Alberto e da Maria Teresa degli Asburgo di Toscana, sposato con Maria
Adelaide figlia dell'Arciduca Ranieri d'Asburgo, è entrato nella storia italiana con l'appellativo di "Padre della Patria". In effetti intorno al suo trono e alla sua persona hanno ruotato
tutti gli eventi che hanno portato all'unificazione dell'Italia. Fin dalla drammatica notte del 23 marzo 1849, subito dopo la disfatta piemontese a Novara di fronte agli austriiaci che
provocò l'abdicazione del padre, Carlo Alberto, che lo proiettò sul trono a 28 anni, si trovò quasi fatalmente a continuare sulla strada che il padre, dopo tanti tentennamenti, aveva
finalmente imboccato: quella dell'unificazione della penisola. Un'impresa che il giovane re affrontò e portò a termine con decisione, accortezza e una discreta dose di cinismo,
aiutato in questo da abili primi ministri come D'Azeglio e Cavour. Senza rinunciare alle sue grandi passioni, le donne, la caccia, le lunghe scarpinate in alta montagna, mettendo a
frutto la popolarità che si era conquistato tra il popolo con una certa ruvida umanità, riusci' a conciliare l'inconciliabile: i repubblicani e le esigenze dinastiche, Cavour e Garibaldi, il
naturale desiderio di conservare alla sua Torino il ruolo di capitale e la necessità di eleggere invece la Citta Eterna come simbolo delll'unificazione della Penisola.
Quella sua frase divenuta celebre, <nel mentre rispettiamo i trattati, non siamo insensibili al grido di dolore che da tante parti d'Italia si leva verso di noi>, nella sua dichiarata
ambiguità rappresenta bene il tormentato percorso con cui una dinastia regnante su un piccolo stato periferico è riuscita a inserirsi nel grande gioco delle potenze europee.
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la bela rosin (bella pienotta)
Nizza, 11 giugno 1833 – Pisa, 26 dicembre 1885
Rosa Vercellana, detta La Bella Rosina o La Bela Rosin in piemontese fu dapprima l'amante e in seguito la moglie morganatica del re d'Italia Vittorio Emanuele II, che le concesse
i titoli di Contessa di Mirafiori e di Fontanafredda. Era nata a Nizza (Francia, allora Regno di Sardegna) l'11 giugno 1833, figlia del militare di carriera, Giovanni Battista Vercellana.
Costui faceva parte della Guardia imperiale napoleonica, ma nel 1814 rifiutò di seguire l'Imperatore fuggito dall'Elba ed entrò nelle guardie del re Carlo Alberto.
Rosa incontrò per la prima volta Vittorio Emanuele II nel 1847, quando la famiglia si era trasferita a Racconigi: il futuro re d'Italia aveva 27 anni, era sposato e aveva già quattro
figli. Lei aveva 14 anni. Dopo i primi incontri clandestini, la ragazza, che era analfabeta, si trasferì nella palazzina di caccia di Stupinigi, in una dipendenza del parco.
Vittorio Emanuele II mantenne la propria relazione con Rosa Vercellana per tutta la vita, nonostante le sue altre numerose amanti, ed ebbe da lei due figli: Vittoria (1848-1905) ed
Emanuele (1851-1894). La relazione suscitò scandalo e ostilità a corte, ma Vittorio Emanuele non cedette alle pressioni e l'11 aprile 1858 nominò Rosa Vercellana Contessa di
Mirafiori e Fontanafredda, comprando per lei il castello di Sommariva Perno.
Nel 1863 si trasferì negli appartamenti reali di Borgo Castello all'interno dell'attuale parco regionale della Mandria. Tale residenza, che non apparteneva alla Corona ma al
patrimonio privato del re, rimase sempre la preferita della coppia, poiché Vittorio Emanuele II amava rifugiarvisi per cacciare e sfuggire alla vita di corte.
Nel 1864 Rosina seguì il re a Firenze, nuova capitale, stabilendosi nella villa "La Petraia". Nel 1869 il re si ammalò e temendo di morire sposò Rosa con un matrimonio
morganatico, ovvero senza l'attribuzione del titolo di regina. Il rito religioso si tenne il 18 ottobre di quell'anno. Il matrimonio fu celebrato anche con rito civile otto anni dopo, il 7
ottobre 1877, a Roma. Vittorio Emanuele morì tre mesi dopo, il 9 gennaio 1878.
Rosa Vercellana trascorse gli ultimi anni della sua vita nel palazzo Feltrami di Pisa, che il re aveva acquistato per la figlia Vittoria, ove morì nel 1885. Casa Savoia vietò che
venisse seppellita al Pantheon, non essendo mai stata regina; per questo motivo, e in aperta sfida alla corte reale, i figli fecero costruire a Torino una copia del Pantheon in scala
ridotta, poi soprannominata "Mausoleo della Bela Rosin".
Isolata e disprezzata dai nobili, Rosa Vercellana fu invece amata dal popolo per le sue origini contadine: si dice che la canzone popolare risorgimentale La bela Gigogin si riferisse
in realtà a lei.
24
la caduta di venezia
16 Marzo 1848 – 19 agosto 1849
Il 16 Marzo 1848 Venezia insorse contro l’Austria precedendo di due giorni le Cinque Giornate di Milano. Stremata dalla fame e dalle malattie la città veneta dovette chiedere la
resa il 19 agosto dell’anno successivo e il giorno 22 venne firmata la capitolazione, che riportava la gloriosa repubblica sotto la soggezione austriaca.
È fosco l’aere
Il cielo è muto
Ed io sul tacito
Veron seduto
In solitaria
Malinconia
Ti guardo e lagrimo,
Venezia mia!
25
Fra i rotti nugoli
Dell’occidente
Il raggio pèrdersi
Del sol morente,
E mesto sibila
Per l’aria bruna
L’ultimo gemito
Della laguna.
Passa una gondola
Della città.
Ehi dalla gondola,
Qual novità?Il morbo infuria,
Il pan ci manca
Sul ponte sventola
Bandiera bianca!-
brescia - leonessa d’italia
21 – marzo - 1949
Brescia è conosciuta nel mondo come "la leonessa d'Italia". Questo appellativo le deriva dal sommo poeta Giosuè Carducci, che volle così definire il coraggio leonino con cui la
città si battè durante le famose "Dieci Giornate".
E' il 21 marzo 1849. L'Austria riprende il conflitto con il Piemonte. La Lombardia è occupata dagli Austriaci i quali devono alllontanarsi da Brescia per raggiungere la zona delle
operazioni: solo un migliaio di soldati è lasciato a presidio del Castello.
La città si prepara così alla rivolta, Tito Speri organizza reparti armati e il 23 marzo i moti incominciano da piazza dellaLoggia. Gli austriaci decidono di bombardare la città, i
bresciani rispondono organizzando le barricate. La resistenza popolare durò 10 giorni, quando al Castello di Brescia giunse il comandante Haynau.
Quest'ultimo intimò la resa, ma il popolo rispose facendo suonare tutte le campane. L'offensiva austriaca si scatenò con grande violenza. Noto è l'episodio in cui un patriota, Carlo
Zima, si avvinghiò ad un'austriaco che l'aveva cosparso di materiale infiammabile e gli aveva dato fuoco e lo trascinò con sé nella morte. La rappresaglia austriaca fu terribile con
fucilazioni ed arresti.