QUADERNI AMMINISTRATIVI Periodico di dottrina, giurisprudenza e legislazione del Centro Studi Amministrativi di Torino Direttore Responsabile: Dr. Vittorio Boianelli COMITATO SCIENTIFICO: Avv. Monica BOIANELLI – Avv. Giovanni MONTACCINI – Prof. Franco GABOARDI COLLABORATORI Dott. Giuseppe AMELIO - Prefetto Prefettura di Torino; Dr. Domenico PIZZALA - Direttore finanziario della Città di Torino; Dr. avv. Giancarlo ASTEGIANO - Magistrato della Corte dei Conti - Milano; Dr. Franco BIANCARDI - Coordinatore Amministrativo A.S.L. Torino; Prof. Dario CASALINI, Docente Diritto Europeo appalti pubblici - Università di Torino; Dott. ssa Roberta VIGOTTI - Magistrato TAR Piemonte; Dott. Francesco DURASTANTE - Dirigente Dipartimento Fiscalità - Ministro Economia e Finanze - Roma; Dott. Mario PISCHEDDA - Magistrato - Corte dei Conti - Roma; Dott. Sebastiano BONO Dirigente A.S.L. - Orbassano; Avv. 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Paolo LOTTI - Magistrato Tar Piemonte; Prof. Franco GABOARDI - Docente di Diritto Amministrativo e di Contabilità Pubblica - Università di Torino; Prof. Giuseppe DICLAUDIO - Direttore C.E.S.E.A.L. - Torino. REDATTORE: Dr. Marcello FIGUCCIO Direzione – Redazione – Amministrazione Centro Studi Amministrativi 10121 Torino – C.so Giacomo Matteotti n. 0 – tel. 011.534054–9471448 – fax 011.5150630- 011.19527903 E-mail: [email protected] -Web: www.csa-torino.it Filiale: Via Nizza n. 66 – 00168 Roma – tel. 06.8415500 Abbonamento annuo alla rivista euro 50,00 da versarsi sul c/c postale n. 22587109 intestato a C.S.A. – Corso Giacomo Matteotti n. 0 – 10121 Torino Registrazione del Tribunale di Torino n. 3324/83 del 13-9-1983 Registrazione Prefettura di Torino n. 838/83 Fotocomposizione e stampa: TipoLitografica M.Bigliardi - 10023 Chieri (TO) 1 INDICE Diritto di Accesso e Riservatezza Limiti e mezzi di tutela del cittadino nei confronti della pubblica amministrazione Dott.ssa Paola FORNARI - Collaboratrice Amministrativa presso l’Università degli Studi di Milano - Bicocca Brevi riflessioni in tema di semplificazione documentale. Dalla legge n. 15 del 1968 al d.p.r. n. 445/2000 e successive modifiche. avv. Simona RODRIGUEZ – Libera professionista e Dottoranda di ricerca presso l’Università degli Studi di Torino Il telelavoro come strumento di modernizzazione della Pubblica Amministrazione in un’ottica di genere Dott.ssa Paola FORNARI - Collaboratrice Amministrativa presso l’Università degli Studi di Milano - Bicocca Il ruolo del volontariato e il terzo settore nell’ambito di un efficiente piano di coordinamento dei tempi di vita dei cittadini Dott. Marcello FIGUCCIO - Esperto in politiche sociali Appalti pubblici - Sentenza n. 882/07 - Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte - I sezione Pag. 3 Pag. 17 Pag. 21 Pag. 29 Pag. 32 Presidenza del Consiglio dei Ministri - Circolare 1 marzo 2007 Principi da applicare, da parte delle stazioni appaltanti, nella scelta dei criteri di selezione e di aggiudicazione di un appalto pubblico di servizi. Pag. 37 Determinazione 29 marzo 2007 n. 1 - Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture. Partecipazione di concorrenti a gare di progettazione. Determinazione 29 marzo 2007 n. 2 - Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture. Indicazioni circa gli ostacoli tecnici nell’ambito degli appalti pubblici. Pag. 39 Pag. 43 Determinazione 29 Marzo 2007 n.4 - Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture. Indicazioni sull’affidamento dei servizi di ingegneria ed architettura a seguito dell’entrata in vigore del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 e della legge Pag. 46 4 agosto 2006, n. 248. Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento per gli Affari Regionali Direttiva 16 Febbraio 2007: Vigilanza sull’Agenzia autonoma per la gestione dell’Albo Pag. 50 dei segretari comunali e provinciali. Decreto del Presidente della Repubblica 12 aprile 2006, n. 184 - Regolamento recante disciplina in materia di accesso ai documenti amministrativi Pag. 53 Sentenza n. 244/2007del 18 maggio 2007 – Sezione giurisdizionale per la regione Lombardia Giudizio di conto – conto del tesoriere – devoluzione di mutui ad altra finalità – inosservanza dell’obbligo di verifica delle modalità di utilizzo da parte dell’ente locale – mancato discarico del tesoriere Pag. 58 Sentenza n. 61/2007 del 26 aprile 2007 - Sezione giurisdizionale per la regione Basilicata - Regione dipendente pubblico -Responsabilità per illecito utilizzo di apparecchiature telefoniche (personale utilizzo dell’apparecchio telefonico di proprietà dell’amministrazione) Pag. 73 Consiglio di Stato, Sezione V, 19 marzo 2007, n. 1302 - Nei contratti ad evidenza pubblica il rispetto della par condicio dei concorrenti Pag. 76 Iniziative CSA Pag. 91 Pubblicazione bilanci: Provincia di Vercelli - Comune di Cantù - Comune di Chieri Comune di Muggiò - Comune di Potenza - Comune di Reggio Emilia - Comune di Teramo Comune di Torino - Comune di Ventimiglia - Consorzio Socio-Assistenziale del Cuneese (CSAC) Pag. 81 2 Diritto di Accesso e Riservatezza Limiti e mezzi di tutela del cittadino nei confronti della pubblica amministrazione 1 Dott.ssa PAOLA FORNARI 1. La sussistenza dell’interesse pubblico come presupposto indefettibile per l’esercizio dell’azione amministrativa: limiti al diritto di accesso – 2. Accesso quale interesse legittimo o diritto soggettivo: è possibile ipotizzare la nascita di un diritto civile “peculiare”? – 3. Tutela dei cittadini nei confronti della Pubblica Amministrazione - 3.1. Quale consolidamento del diritto alla riservatezza? - 3.2. Quale l’interesse prevalente: accesso o riservatezza? 3.3 Tutela Giurisdizionale – 4. Conclusioni La sussistenza dell’interesse pubblico come presupposto indefettibile per l’esercizio dell’azione amministrativa: limiti al diritto di accesso La Pubblica Amministrazione è dotata di una serie di poteri che possono essere esercitati a tutela dell’interesse pubblico e che producono effetti diversi in ragione delle diverse situazioni sostanziali sottostanti. L’Amministrazione esplica la sua attività dialogando con i cittadini e con gli altri Enti Pubblici con atti e documenti, sempre nel quadro generale dei principi di imparzialità, di efficienza e, soprattutto, di legalità dell’azione amministrativa espressi dall’art. 97 della Costituzione. Tale articolo induce a ritenere che la Pubblica Amministrazione non possa imporre le proprie decisioni agli amministrati, ma debba ricercare, in collaborazione con essi, la migliore soluzione possibile in modo da assicurare il «buon andamento (…) dell’amministrazione» stessa 2. Nel 1990 i rapporti tra cittadini e Amministrazione si modificano profondamente con l’approvazione della legge n. 241 con la quale si elevano il diritto di accesso 3 ed il principio di trasparenza 4 a principi sostanziali del diritto positivo 5. A distanza di quindici anni la legge n. 15/2005 riscrive l’art. 22 della legge n. 241/90 6 preordinando, al comma 2, il diritto di accesso al perseguimento di interesse pubblico in quanto attinente ai livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che debbono essere garantiti su tutto il territorio nazionale ex art. 117, comma 2, lett. m) della Costituzione. L’accesso ai documenti amministrativi 7, se esercitato 8, consente perciò al cit1 Elaborato 1° classificato alla II edizione del concorso giuridico «Ego et Lex» istituito dall’Associazione Stefania Ajello, 21 ottobre 2006, Roma. 2 Sul principio del buon andamento come fondamento dei poteri della Pubblica Amministrazione: CdS, 26 luglio 1999, n. 508, in Cons. St., 1999, I, 1148 ss.; CdS, 3 gennaio 1999, n. 22, con nota di Mucio C., in Urb. e app, 1999, n. 5, 509 ss. 3 La disciplina in esame è stata anticipata di alcuni mesi dalla legge n. 142/90 in materia di accesso agli atti prodotti dagli Enti Locali, la cui trasparenza doveva essere completa. 4 La trasparenza è stata successivamente rafforzata dal legislatore che ha previsto come, anche verso il silenzio della Pubblica Amministrazione, sia possibile esperire ricorso al T.A.R. ex art. 25, comma 4, l. n. 241/90 come mod. l. n. 340/2000. 5 L’art. 24 , comma 7, dispone che “Deve comunque essere garantito ai richiedenti l'accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici. (…) ”. 6 La legge 11 febbraio 2005, n. 15, innovando profondamente la disciplina generale sul procedimento amministrativo (l. n. 241/1990), ha dettato una disciplina più organica e completa in materia di accesso ai documenti regolamentato dal capo V agli artt. 22 e segg. 7 Il diritto di accesso si esplica sul documento amministrativo che, secondo l’art. 22, co. 1, lett. d) della l. n. 241/90 è “ogni rappresentazione grafica, fotocinematografica, elettromagnetica o di qualunque altra specie del contenuto di atti, anche interni o non relativi ad uno specifico procedimento, detenuti da una pubblica amministrazione e concernenti attività di pubblico interesse, indipendentemente dalla natura pubblicistica o privatistica della loro disciplina sostanziale”. Perciò il documento può essere stato prodotto dall’Amministrazione destinataria della richiesta d’accesso ovvero può essere semplicemente posseduto da questa sempre che concerna una attività di pubblico interesse. 8 L’accesso può essere esercitato solo dai c.d. “interessati” definiti dall’art. 22, lett. b), l. n. 241/90 come “tutti i soggetti privati, compresi quelli portatori di interessi pubblici o diffusi, che abbiano un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso”. 3 tadino la conoscenza del corretto svolgimento dell’azione amministrativa e alla Pubblica Amministrazione, nel caso questa rigetti l’istanza, è richiesto di fornire una valida giustificazione che motivi tale diniego 9. Resta fermo però che i soggetti, i quali intendano esercitare l’accesso documentale, debbono essere titolari di un interesse diretto e concreto oltre che corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata dall’ordinamento nonché collegata al documento al quale è richiesto l’accesso. La legge n. 241/90 ha dedicato il capo V alla definizione del contenuto e dei limiti di esercizio del diritto d’accesso. Il legislatore ha contemplato direttamente i limiti tassativi che non permettono residui in capo all’Amministrazione di discrezione e che concernono i documenti coperti da segreto di Stato, i provvedimenti in materia di sequestro di persona e di protezione dei testimoni, altri documenti comunque coperti da segreto e dal divieto di divulgazione previsti dall’ordinamento ed i documenti esclusi da diritto di accesso a seguito dell’emanazione di appositi regolamenti governativi per la salvaguardia della difesa nazionale, delle relazioni internazionali, della politica monetaria, dell’ordine pubblico, etc. Inoltre, secondo il nuovo comma 6 dell’art. 24 della l. n. 241/90, il diritto di accesso può essere escluso per l’esigenza di salvaguardare: la sicurezza, la difesa nazionale e le relazioni internazionali; la politica monetaria e valutaria; l’ordine pubblico e la prevenzione e repressione della criminalità; la vita privata o la riservatezza di persone fisiche, giuridiche, gruppi, imprese ed associazioni con particolare riferimento agli interessi di natura epistolare, sanitaria, finanziaria, industriale e commerciale; l’attività in corso di contrattazione collettiva nazionale di lavoro e gli atti interni connessi all’espletamento del relativo mandato 10. Quest’ultimo comma prevede infatti dei limiti c.d. facoltativi, dovuti alla facoltà riconosciuta alla Pubblica Amministrazione, ed agli altri soggetti di cui all’art. 23, di differire l’accesso ai documenti verso i quali è richiesto finché la conoscenza di essi possa impedire od ostacolare lo svolgimento dell’azione amministrativa 11. La previsione di una eventuale istanza istituzionale del privato al quale è permesso, ex lege, di scalfire l’interesse pubblico che presenti «insidie» per l’Amministrazione e, più in generale, per l’interesse pubblico rappresenta una forte forma di garanzia diretta ad orientare la decisione amministrativa alla volontà generale. Secondo Clemente di San Luca «la comunità rimane protetta (…) dalla funzionalizzazione dell’attività della P.A. allo scopo pubblico fissato, di volta in volta dalla legge e dalla possibile giurisdizionalizzazione della controversia insorgente, se del caso, sulla eventuale deviazione dal fine prestabilito. In questo modo soltanto può considerarsi perseguito il rispetto del principio di legalità». Secondo parte della dottrina il concetto di funzionalizzazione (che è descritto come l’apposizione, da parte della legge, di finalità ed interessi concreti da perseguire) non si esaurisce nell’indirizzo dell’azione dell’amministrazione verso il raggiungimento di fini pubblici posti dalla legge. Bensì, si sostanzia nell’imposizione di un vero e proprio «vincolo», in capo alle singole amministrazioni, relativo alla necessaria vocazione di ognuna di esse alla soddisfazione di specifici e ben determinati interessi e finalità 12. E’ tale vincolo a dare vera sostanza al principio di legalità: alle norme giuridiche sarebbe assegnato il compito di disegnare le «maglie» del principio di legalità, mentre al vincolo la funzione di stringerle 13. 4 9 In tal modo il segreto perde la sua originaria valenza (ex. art. 24, l. n. 241/90 prima delle recenti modifiche) di principio generale dell’operato amministrativo diventando invece una eccezione alla regola della trasparenza. 10 In tali casi la disciplina corretta è rimessa ad un regolamento delegato al Governo, emanato nella forma del D.P.R. ai sensi del secondo comma dell’art. 17 della l. n. 400/88. 11 Resta comunque escluso l’accesso ai documenti di formazione degli atti normativi, degli atti amministrativi generali, degli atti di programmazione e di pianificazione, e per tutti gli atti afferenti a procedimenti specificamente previsti dalla legge ex art. 24 l. n. 241/90. 12 Così DUGATO M., Atipicità e funzionalizzazione nell’attività amministrativa per contratti, Milano, 1996, p. 49 ss. 13 Marzuoli raccorda la nozione di funzionalità ad un preciso vincolo di scopo, individuando la possibilità giuridica di un contrasto tra l’attività privata dell’amministrazione ed i singoli atti che compongono tale attività. Lolli specifica trattarsi di una tesi “che afferma l’esistenza di un riflesso della modalità organizzativa dell’amministrazione (l’attribuzione attraverso legge degli scopi all’amministrazione) sulla disciplina dell’atto (LOLLI A., L’atto amministrativo nell’ordinamento democratico, Milano, 2000, p. 228). Accesso quale interesse legittimo o diritto soggettivo: è possibile ipotizzare la nascita di un diritto civile «peculiare»? Ad oggi, dopo l’emanazione di due leggi sulla materia quali la l. n. 241/90 e la l. n. 15/2005, esiste ancora una profonda incertezza sulla natura giuridica del diritto di accesso che non è stata superata, se non in parte dalla pronunce del giudice amministrativo. La giurisprudenza, salvo alcune iniziali incertezze 14, ha qualificato l’accesso quale vero e proprio diritto soggettivo 15. In passato il problema della rilevanza del diritto alla riservatezza rispetto a quello del diritto alla conoscibilità degli atti amministrativi aveva portato alcuni interpreti a ritenere che in capo all’Amministrazione residuasse comunque un potere discrezionale di valutazione del pregiudizio che il titolare del diritto alla riservatezza avrebbe potuto subire nel caso di accoglimento dell’istanza di accesso 16. Sul punto di cui sopra però l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (decisione n. 16/99) afferma che qualora l’accesso ai documenti sia motivato dalla difesa di propri interessi giuridici, detta situazione prevale sull’esigenza di riservatezza del terzo, determinando così una recessione dei diritti di quest’ultimo rispetto alle esigenze di tutela del primo. Il Consiglio di Stato specifica inoltre che alla Pubblica Amministrazione è affidato il compito di risolvere i concreti conflitti di interesse, mediante l’esercizio del potere di limitare o differire l’accesso che, quindi, assume la consistenza di interesse legittimo proprio perché sottoposto al potere della Pubblica Amministrazione 17; contro le sue determinazioni è accordato il rimedio giurisdizionale entro un termine di decadenza, secondo il modulo tipico del giudizio di impugnazione di atti di esercizio del potere 18. La stessa legge n. 15/2005, nel richiedere espressamente che l’interesse all’accesso corrisponda ad una situazione giuridicamente tutelata dall’ordinamento è pervenuta a quanto affermato dalla giurisprudenza più recente. Quest’ultima va oltre la sfera dei diritti soggettivi e degli interessi legittimi, purchè venga in rilievo una posizione tutelata dall’ordinamento, quale ad esempio, le aspettative di diritto, ma anche posizioni di interesse procedimentale nonché di interessi allo stato diffuso sia pure a certe condizioni. La tendenza oggi proposta dal legislatore e dagli interpreti si esplica nell’abbattimento di quella «piramide» che vedeva le pubbliche autorità al vertice e la comunità alla base. Prende il posto di questa scala di valori una fitta trama di legami e «contatti» che tentano di intersecarsi su di una base omogenea. La stessa modifica alla legge n. 241/90 rappresenta il momento conclusivo di un difficoltoso cammino finalizzato alle istanze di democratizzazione dell’attività amministrativa. Viene sancita stabilmente, con la l. n. 15/2005 la possibilità per l’Amministrazione di agire, nel perseguimento dei propri fini istituzionali, utilizzando in primis gli strumenti di diritto privato 19; ciò significa che anche i compiti pubblici possono essere svolti operando sul piano di parità rispetto ai cittadini, superando il principio storico per cui le Pubbliche Amministra- 14 CdS, sez. IV, 5 giugno 1995, n. 412 e Cass., sez. un., 27 maggio 1994, n. 5216 attribuiscono al diritto di accesso la natura di interesse legittimo partendo dal fatto che il legislatore ha attribuito all’Amministrazione la facoltà di differire nel tempo l’esibizione dei documenti. Ma l’Amministrazione, in tal modo, non nega il diritto di accesso, sposta solo temporalmente la sua modalità di esercizio. 15 Di particolare rilevanza le decisioni nn. 4 e 5 del 1999 del CdS. 16 Propendono per la tesi dell’interesse legittimo fra gli altri SANDULLI A., «L’accesso ai documenti amministrativi», in Giorn. Dir. Amm., 1995, n. 11, p. 1062 ss.; FRACCHIA F., Riti speciali a rilevanza endoprocedimentale, Torino, 2003, p. 27 ss. 17 Da molti interpreti non appare condivisibile invece la sentenza del CdS, sez. V, n. 1725 del 1998 con cui si ripropone la tesi dell’accesso come interesse legittimo in quanto l’Amministrazione considererebbe potere discrezionale quanto sancito dall’art. 24, comma 6 della l. 241/90. 18 Contra CdS n. 4092/2000 con cui si afferma che l’accesso ai documenti si configura come un diritto soggettivo perfetto la cui cognizione è devoluta alla giurisdizione esclusiva del G. A. secondo le legole di accertamento proprie dei diritti soggettivi. 19 In precedenza già OCCHIENA M. «Diritto di Accesso, atti di diritto privato e tutela della riservatezza dopo la legge sulla privacy», in Dir. Proc. amm., 1998, 2, 387 ss. ha rilevato che recenti pronunce del CdS hanno consentito di superare l’opposto orientamento giurisprudenziale, ormai minoritario, secondo cui la «nozione di documento amministrativo deve essere riferita esclusivamente all’esercizio dei poteri pubblici in senso stretto, dato che il concetto amministrativo indica la funzione di potestà pubbliche autoritative». 5 zioni agiscono in posizione sovraordinata rispetto ai privati. La difficoltà maggiore risiede nel fatto che il diritto privato dell’azione amministrativa non coincide con il diritto comune dei privati. L’azione amministrativa, anche se di diritto comune, resta comunque sottoposta ad alcuni principi che ne condizionano lo svolgimento e che possono introdurre elementi derogatori rispetto alla disciplina del diritto comune 20. Cerulli Irelli osserva che «l’azione amministrativa non potrà mai essere senz’altro equiparata all’azione giuridica dei soggetti privati appunto perché essa resta un’azione di servizio degli interessi della collettività e quindi in principio non libera né autonoma, ma sempre finalizzata al raggiungimento di obiettivi e risultati prestabiliti e comunque controllabili» 21. Napolitano spiega come la penetrazione dei moduli privatistici nell’organizzazione amministrativa determina una reazione inversa dell’ordinamento, che si traduce nell’estensione di discipline pubbliche. L’Autore specifica come, attraverso le misure di «pubblicizzazione», l’ordinamento mira a tutelare interessi che, in caso di sola applicazione delle regole privatistiche, risulterebbero compromessi 22. La «pubblicizzazione» si realizza in due modi: da un lato il legislatore può estendere le discipline appositamente dettate per le Amministrazioni agli operatori privati; dall’altro è la giurisprudenza a muoversi verso una riqualificazione pubblica dei soggetti privati ponendo le condizioni per un’applicazione automatica delle norme pubblicistiche. Falcon identifica l’esistenza di situazioni «nelle quali l’interesse pubblico può venire soddisfatto non tanto dall’isolato e astratto provvedere dell’Amministrazione, in sé considerato, ma dal provvedere in un contesto quale può essere assicurato soltanto dalla volontaria collaborazione delle parti» 23. Il nostro ordinamento vive una fase di profondo ripensamento dell’assetto dei rapporti fra il potere amministrativo ed i soggetti che si trovano ad essere destinatari delle sue manifestazioni: la nuova visione che si concreta abbandona l’idea di Amministrazione come «persona superior» per passare a quella di «soggetto paritario». Questo permette la formalizzazione del procedimento amministrativo e la procedimentalizzazione di tutti gli interessi coinvolti in un continuo dialogo fra Amministrazione ed amministrati. La «specialità» della Pubblica Amministrazione tende così ad essere ricostruita accentuando i profili di tangibile funzionalizzazione che la caratterizzano. La funzionalizzazione dell’azione amministrativa comporta comunque una sua specificità anche quando non si tratti di esercizio di potestà o di pubblico potere; in questo senso possono trovare ampio spazio le applicazioni degli istituti civilistici che collocano la Pubblica Amministrazione in una posizione di maggiore responsabilità, senza ricorrere a requisiti di autorità non necessari ed appartenenti ad un sistema giuridico e ad una cultura istituzionale superati. La stessa Amministrazione si apre con intento collaborativio all’intervento dei privati fino a giungere ad affidare loro compiti e servizi pubblici. Ricordiamo che anche la Costituzione, nei rapporti fra cittadini e pubblico potere, vede la persona al centro dell’evoluzione e nel punto di arrivo dell’esercizio della funzione. Secondo quanto sostiene Sala «la codificazione costituzionale (…) ‘della partecipazione dei privati ai procedimenti amministrativi’ (…) vuol suggellare, a livello costituzionale, il punto di arrivo del faticoso processo di democraticizzazione amministrativa»24. Tradizionalmente, allo scopo di delimitare il potere autoritativo si tenta di recepire principi ed istituti affermatisi nell’ambito del diritto civile. Gli atti unilaterali emanati dalle Pubbliche Amministrazioni e gli accordi da esse conclusi non sono strutturalmente diversi dai corrispondenti atti posti in essere dai privati. L’Amministrazione può quindi esercitare i poteri normalmente spettanti a soggetti privati, ma assoggettando tale attività (soprattutto quella 6 20 Ad esempio la fase contrattuale di scelta dei contraenti è, nel nostro ordinamento fortemente procedimentalizzata e senz’altro assoggettata a disciplina pubblicistica. 21 CERULLI IRELLI V., «Il negozio come strumento di azione amministrativa e innovazioni del diritto amministrativo e riforma dell’amministrazione», in www.giust.it/articoli/cerulli-irelli_negozio.htm. 22 Cfr. NAPOLITANO G., «Soggetti privati ‘Enti Pubblici’?», in Dir. Amm., 2003, n. 4, p. 801 ss. 23 FALCON G., Le convenzioni pubblicistiche, Milano, 1984, 255. 24 SALA G., «Organizzazione e attività della pubblica amministrazione», in Dir. e Soc., 1998, p. 203 ss. contrattuale) ad una disciplina «particolare». Eventuali differenze sono dovute alla natura funzionale dell’attività amministrativa che garantisce rilievo giuridico ad aspetti che nell’attività dei privati non ne hanno. Non sembra però corretto distinguere tra attività amministrativa di diritto pubblico e attività amministrativa di diritto privato: è l’attività amministrativa nel suo complesso ad essere soggetta ad una particolare disciplina come conseguenza della sua natura funzionale. Se è indubbio, infatti, che il procedimento amministrativo serve in primo luogo ad assicurare la piena corrispondenza tra il provvedimento e le disposizioni che lo prevedono, è anche vero che esso non si risolve necessariamente nella pura e semplice legis executio: spesso richiede operazioni integrative della legge caratterizzate, di volta in volta, da una più o meno ampia discrezionalità. In questi casi l’esigenza di legalità formale, pur non venendo meno, finisce col passare in secondo piano, dal momento che qui l’itinerario procedimentale mira innanzitutto a conformare l’azione amministrativa alla realtà fattuale su cui essa concretamente incide, in vista della migliore realizzazione dell’interesse pubblico. Questo spiega perché dottrina e giurisprudenza abbiano avvertito il bisogno di circoscrivere l’ambito del potere discrezionale dell’Amministrazione alla stregua di principi di natura equitativa quale quello di ragionevolezza, che è comunque interno allo stesso concetto di funzione, distinguendolo così dall’arbitrio. Appare chiaro che il procedimento amministrativo e quanto gravita attorno ad esso costituisce qualcosa di più che una mera sequenza di atti teleologicamente connessi. Esso è il modo di manifestarsi della relativa funzione, con la conseguenza che l’elemento costitutivo della scelta finale non può non assumere rilievo giuridico: questa deve sempre trovare puntuale giustificazione, in termini di coerenza, adeguatezza e proporzionalità, nelle risultanze di una rigorosa attività istruttoria. Ed è proprio nel corso di una tale attività, la quale rappresenta il centro di ogni procedimento, che i privati possono «interloquire» con l’Amministrazione anche esercitando il proprio diritto di accesso 25. Ancora attuale sembra l’affermazione di Cammeo il quale sostiene che «l’ente pubblico vive nel contempo nell’ordinamento giuridico generale e nell’ordinamento speciale, per cui può usare del diritto privato quando si muove nell’ordinamento generale, mentre usa del diritto pubblico quando realizza atti ed attività retti da una disciplina speciale» 26. La Pubblica Amministrazione, inserita nel contesto di un ordinamento pienamente democratico come il nostro, dovrà necessariamente assumere la veste di struttura di servizio degli interessi della collettività e dovrà operare sulla base dei principi dell’efficienza, dell’efficacia e dell’economicità. Anche se il cittadino medio ha in passato pensato all’Amministrazione come centro di attività attuativa ed esecutiva della legge il cui parametro di valutazione era fondamentalmente rappresentato da quello della legalità, si nota oggi l’emergere, con sempre maggiore consapevolezza, del pieno riconoscimento sociale in capo agli Enti Pubblici, come loro funzione fondamentale, della titolarità dell’azione amministrativa e gli atti di diritto privato posti in essere dalle Pubbliche Amministrazioni si atteggiano, per ciò solo, in modo particolare, dando vita a regole di «diritto privato speciale» 27. Tutela dei cittadini nei confronti della Pubblica Amministrazione 3.1. Quale consolidamento del diritto alla riservatezza? La legge 241/90 ha dettato per l’accesso una disciplina generale escludendolo solo in alcune materie tassativamente stabilite, tra le quali anche la riservatezza di terzi. Di contro però 25 L’Ad. Pl. del CdS (decisioni nn. 4 e 5 del 1999 cit.) ha rilevato che ciò che conta ai fini dell’operatività del diritto di accesso non è la natura pubblica o privata dell’attività posta in essere, bensì il fatto che l’attività ancorché di diritto privato miri alla tutela di un pubblico interesse e sia soggetta al canone di imparzialità. 26 CAMMEO F., I contratti della pubblica amministrazione, Firenze 1954. 27 Cfr. Tar Campania , Napoli , Sez. I, 29 maggio 2002, n. 3177 con nota di MONTEDURO M., Illegittimità del procedimento ad evidenza pubblica e nullità del contratto di appalto ex art. 1418 cod. civ. : una radicale svolta della giurisprudenza fra luci ed ombre in Foro Amm. -T.A.R. 2002, p. 2591 dove è sintetizzato l’attuale dibattito sui rapporti tra vizi del procedimento di evidenza pubblica e validità e/o efficacia del contratto . 7 prevale in ogni caso l’accesso quando viene in rilievo la necessità di cura o di difesa di un interesse giuridico, ma l’esercizio del diritto di accesso è consentito endoprocedimentalmente soltanto nella forma della visione del documento ex art. 10 della l. n. 241/90 28. Tuttavia anche la sola visione può in modo inconvertibile comprimere la sfera privata senza che si realizzi alcun sbilanciamento di valori 29. Il legislatore ha operato un bilanciamento ex lege nel conflitto tra accesso e riservatezza, accordando da un lato prevalenza al diritto di accesso anche nei casi in cui questo diritto incide su quello alla riservatezza, dall’altro richiedendo, a tutela della riservatezza, che l’accesso ai documenti sia necessario per curare o per difendere un interesse giuridico e che si realizzi con una modalità diversa e meno invasiva dell’estrazione di copia, ovvero che si eserciti con la sola visione del documento. Sulla delicata questione del bilanciamento tra diritto alla riservatezza e diritto di accesso è intervenuto anche il Consiglio di Stato in adunanza plenaria con la sentenza 4 febbraio 1997, n. 5. Esso si è limitato, sulla base dell’interpretazione letterale dell’articolo 24 della l. n. 241/90, ad avallare la scelta del legislatore in ordine alla prevalenza del diritto di difesa su quello, ugualmente tutelato dalla costituzione, della riservatezza. Nello specifico il Consesso ha ritenuto, che il diritto alla riservatezza receda ogni qualvolta il diritto di accesso venga esercitato per la cura di un interesse giuridico, sottolineando che ciò deve avvenire «nei limiti ovviamente in cui esso è necessario alla difesa di quell’interesse». Rasi, quale componente del Collegio del Garante per la protezione dei dati personali, ha affermato che «nel tempo i rapporti tra il diritto di accesso e il diritto alla riservatezza nell’ambito della giurisprudenza amministrativa non sono sempre stati facili, ma oggi con il Codice per la protezione dei dati personali hanno raggiunto una loro sistemazione normativa e giurisprudenziale soddisfacente» 30. Dopo l’emanazione del Codice della Privacy (d. lgs. n. 196/2003) per il diritto di accesso si delinea un regime a doppio binario che porta a distinguere l’ipotesi di accesso ai dati personali, dall’accesso ai documenti amministrativi, e, ancora, differenzia l’ipotesi di accesso ai propri dati personali dall’accesso ai dati personali di soggetti terzi. Solo in quest’ultima eventualità si pongono le questioni relative al bilanciamento degli interessi tra accesso e riservatezza. Non possiamo infatti dimenticare che il codice della privacy sancisce all’art. 59 che chiunque ha diritto alla protezione dei dati personali che lo riguardano e precisa che «i presupposti, le modalità, i limiti per l’esercizio del diritto di accesso a documenti amministrativi contenenti dati personali, e la relativa tutela giurisdizionale, restano disciplinati dalla legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni e dalle altre disposizioni di legge in materia, nonché dai relativi regolamenti di attuazione, anche per ciò che concerne i tipi di dati sensibili e giudiziari e le operazioni di trattamento eseguibili in esecuzione di una richiesta di accesso» (che integra quanto già scritto nell’art. 16 del d. lgs. n. 135/99). L’unica vera novità è rappresentata dall’art. 60 del Codice, che pone una tutela differenziata e specifica per i dati «super sensibili», vale a dire per i dati relativi alla vita sessuale ed alla salute. La disciplina dettata da tale norma si pone come una vera e propria eccezione rispetto alla scelta della c.d. tutela modale prevedendo una valutazione comparativa in concreto tra esigenze contrapposte. Infatti secondo l’art. 60 del T.U. sulla privacy, i dati super sensibili possono essere oggetto del diritto di accesso solo se l’istanza sottenda una situazio- 8 28 A differenza dell’accesso regolato dagli artt. 22 e seg. della l. n. 241/90, il c.d. «diritto di visione» ex art. 10 è consentito solo a procedimento in corso ed è strettamente preordinato all’acquisizione di conoscenze in funzione partecipativa del privato alla successiva determinazione amministrativa. 29 L’accesso può essere esercitato da parte di coloro i quali sono legittimati a prendere parte ad un procedimento amministrativo in itinere, ovvero dai soggetti nei confronti dei quali il provvedimento finale è destinato a produrre effetti diretti da quelli che per legge debbono realizzarsi, ancora dai soggetti ai quali possa derivare dal provvedimento finale un pregiudizio (individuati o facilmente individuabili ex art. 7, l. n. 241/90) nonché dai soggetti intervenuti liberamente cui possa comunque derivare un pregiudizio dal provvedimento. 30 Così. RASI G. «Collegio del garante per la protezione dei Dati Sensibili» – Comunicato del 56 ottobre 2004, intervento al XXIV Convegno nazionale dell’Anusca, Associazione Nazionale Ufficiali di Stato Civile e d’Anagrafe, Bellaria. ne giuridica di rango almeno pari ai diritti dell’interessato, che consista in un diritto della personalità o in un altro diritto o libertà fondamentale e inviolabile. Da evidenziare la tesi di Clarich il quale precisa come siano rinvenibili nel nostro ordinamento almeno due tipi di accesso tra loro diversi: un accesso regolamentato dalla legge sul procedimento amministrativo del 1990, che ha un ambito oggettivo circoscritto ai documenti amministrativi; ed un accesso disciplinato dal Codice sulla privacy che ha ad oggetto i dati personali propri del richiedente 31. E’ chiaro quindi che non è ammissibile un accesso indiscriminato o la possibilità di controllare l’operato della Pubblica Amministrazione sulla base della documentazione prodotta, essendo invece garantito un accesso mirato e selettivo giustificato da un interesse rilevante e prevalente. Abbiano visto anche come quando il dato è c.d. sensibile prevale il diritto di accesso sennonché per alcuni dati “particolarmente sensibili” (cfr. par. 3.2.) l’interesse sotteso alla richiesta di accesso può essere di rango inferiore a quello del soggetto al quale il dato sensibile è riferito. In quest’ultimo caso il Codice della privacy all’art. 60 parla di “tutela della situazione giuridica” lasciando intendere che la prevalenza dipende da un bilanciamento che compete alla sola Amministrazione coinvolta. 3.2. Quale l’interesse prevalente: accesso o riservatezza? Abbiamo visto sopra come la legge n. 241/1990 ha recuperato, accanto al fine della efficienza dell’azione amministrativa, quello della garanzia delle posizioni soggettive. Dal disposto degli artt. 7 e 8 della legge in oggetto si ricava che il procedimento amministrativo è oggi positivamente finalizzato al perseguimento dell’interesse pubblico, sempre nel pieno rispetto dei diritti e degli interessi direttamente o potenzialmente coinvolti. E’ indicativo il fatto che anche gli interpreti più datati 32 siano concordi nel ritenere che l’eventuale costituirsi e rinsaldarsi di posizioni giuridiche soggettive in capo ai privati, in base all’atto oggetto di secretazione, non preclude in via assoluta l’esercizio del potere dell’Amministrazione di consentire o negare l’accesso, limitandosi invece a postulare un rafforzamento dell’atto sotto il profilo motivazionale 33. D’altro canto non si capisce quale sia il tipo di valutazione discrezionale che l’autorità destinataria della richiesta di accesso è tenuta a compiere in materia di riservatezza dei terzi in quanto, legislativamente, all’Amministrazione è richiesto solo di inviare al soggetto titolare del diritto alla riservatezza dei propri dati una comunicazione di avvio del procedimento di accesso. Sotto il profilo del pubblico interesse quindi l’Amministrazione non è chiamata a compiere alcun apprezzamento nemmeno sui motivi che potrebbero portare ad una eventuale recessione del diritto alla riservatezza di cui sopra. Una svolta è proposta dal Consiglio di Stato, sez. VI, 26 gennaio 1999, n. 59 il quale ha ritenuto che la legge n. 675/96 (in materia di tutela dei dati personali) non possa modificare quelle parti della disciplina del diritto di accesso che sono state compiutamente regolate dalla legge 241/90, ma intervenga viceversa a specificare il contenuto della riservatezza quale limite al diritto di accesso. Per questo, nel caso di richiesta d’accesso a documenti contenenti dati sensibili di terzi che la Pubblica Amministrazione detiene per altre finalità, gli artt. 22 e seg. della l. n. 241/90 non rappresentano più l’unico referente normativo, ma dovrà rinviarsi all’articolo 22, comma 3, della legge n. 675/96, in quanto siffatta norma concorrerebbe a 31 CLARICH M., Trasparenza e protezione dei dati personali nell’azione Amministrativa, in Foro Amm.-Tar, 2004, 3894 ss.. Occhiena invece individua tre diverse tipologie del diritto di accesso: l’accesso esoprocedimentale che ri esplica sui dati propri del procedente, l’accesso esoprocedimentale volto a conosce informazioni detenute da un soggetto pubblico e riferibili in tutto o in parte a un soggetto terzo e l’accesso endoprocedimentale (cfr. OCCHIENA M. I diritti di accesso dopo il codice della privacy, in Foro It., 2004, III, 514 ss.) 32 Cfr. fra li altri MIGLIORINI L., «Alcune considerazioni per un’analisi degli interessi pubblici», in Riv. Trim. Dir. Publ., 1968, p. 274 ss.; PUGLIATTI S., voce «Diritto pubblico e diritto privato», in Enc. Dir., vol. XII, 1964, p. 696 ss. 33 L’art. 25, comma 3 della l. 241/90 prevede espressamente un obbligo di motivazione da parte della Pubblica Amministrazione con riferimento al rifiuto al differimento e alla limitazione dell’accesso, non invece con riferimento al provvedimento di accoglimento della richiesta di accesso. 9 regolamentare materia non compiutamente disciplinata dalla legge n. 241/90. E’ inoltre vero che, grazie alla legge sulla privacy, l’Amministrazione Pubblica può oggi individuare con rilevante precisione le informazioni che debbono essere escluse dall’accesso evitando, in tal modo, la lesione dei fondamentali interessi sia pubblici che privati. Di contro il Consiglio di Stato sembra tuttavia restio ad affermare in modo chiaro il principio generale di pubblicità dei documenti della Pubblica Amministrazione, sembra quasi che quando oggetto dell’accesso sia un documento contenete dati riservati (rectius «sensibili») l’Amministrazione potrebbe consentire l’accesso solo in presenza di una specifica disposizione legislativa o regolamentare. Nella ricerca del giusto equilibrio tra le contrapposte esigenze di trasparenza e di riservatezza oltre che di accesso agli atti e di privacy le pronunce giurisprudenziali più recenti manifestano maggiore attenzione nella ricerca di strumenti e criteri capaci di contemperare e salvaguardare i contrapposti interessi sottesi alle domande di giustizia. Gli interpreti propongono di analizzare la situazione sostanziale, valutando i concreti interessi contrapposti, le esigenze che si intendono salvaguardare nella fattispecie concreta di ricercare le possibili modalità pratiche che possano conciliare le opposte esigenze nella continua ricerca di un contemperamento dei vari interessi in gioco. E’ d’obbligo sottolineare come, pur trattandosi di due situazioni strettamente connesse, tra titolare del diritto di accesso e titolare del diritto alla riservatezza non esista un rapporto giuridico di tipo bilaterale, questo perché l’Amministrazione ha si l’obbligo di mettere a disposizione dell’interessato le informazioni richieste, senza dover peraltro comunicare informazioni coperte dal diritto alla riservatezza di terzi 34. La stessa Autorità Garante per la privacy ha sottolineato come «spetti all’amministrazione destinataria della richiesta di accesso verificare, caso per caso, l’interesse e i motivi sottesi alla relativa istanza, e valutare la sussistenza delle ragioni per le quali il documento può essere sottratto, anche temporaneamente, alla conoscenza del richiedente», concedendo eventualmente l’accesso «nel rispetto del segreto d’ufficio, ma anche del principio di pertinenza e non eccedenza nel trattamento dei dati». I diritti dei cittadini sono infatti oggi considerati da interpreti e giurisprudenza come valori da garantire in ogni singolo procedimento, prescindendo dalle specificità di ogni situazione, trasformando altresì l’agire amministrativo da generale a particolare. In tal modo il principio di trasparenza dell’operatività amministrativa costituisce, da un lato, la modalità di esercizio della funzione amministrativa e, dall’altro, l’obiettivo specifico cui la funzione stessa deve necessariamente tendere. 3.3 Tutela Giurisdizionale I profondi cambiamenti prodotti dalla l. n. 241/90, come modificata dalla l. n. 15/2005, hanno determinato rilevanti riverberi sul piano della tutela giurisdizionale. Ai sensi dell’art. 25, comma 5, contro le determinazioni della Pubblica Amministrazione di rigetto o di accoglimento all’accesso documentale e nei casi di inerzia l’interessato può proporre (sempre entro trenta giorni) ricorso al Giudice Amministrativo. Lo stesso Consiglio di Stato interviene con una recente ordinanza (9 settembre 2005, n. 4686) segnalando «la perduranza di contrasti giurisprudenziali in ordine alla qualificazione del ‘diritto di accesso’ anche in epoca successiva alla decisione n. 16 del 24 giugno 1999 resa dall’Adunanza Plenaria che ha opinato nel senso della ravvisabilità di una posizione di interesse legittimo» e suggerendo di «valutare l’influenza nei termini del dibattito della normativa sopravvenuta di cui alla legge n. 15/2005 laddove ex art. 22 della modificata legge n. 241/1990, si qualifica il diritto di accesso come inerente ai livelli essenziali di prestazione necessitanti di garanzia su tutto il territorio nazionale». Il Supremo Consesso preme poi per un ulteriore approfondimento della materia «alla luce dello jus superveniens di cui al decreto legge n. 35/2005, come convertito dalla legge n. 80/2005, che qualifica come esclusiva la giurisdizione del giudice ammini- 10 34 CLARICH M., Diritto di Accesso e tutela della riservatezza: regole sostanziali e tutela processuale, in Diritto processuale amministrativo, 1996, 430 ss. strativo in tema di accesso». Il Collegio specifica quindi che «anche ad accedere alla tesi, che si reputa preferibile, della qualificazione in termini di diritto soggettivo», si rende comunque necessario affrontare «il tema dell’ammissibilità di un ricorso proposto avverso un provvedimento (…) meramente confermativo di dinieghi non ritualmente gravati nel termine decadenziale di legge». La Sezione ha reputato inoltre non convincente la tesi giurisprudenziale, ribadita dal giudice di primo grado, secondo cui «la consistenza di diritto soggettivo della pretesa all’accesso comporterebbe il precipitato dell’impugnabilità dei successivi provvedimenti nell’arco temporale della prescrizione». Sicuramente la nuova disciplina del contradditorio procedimentale introdotta dalla l. n. 241/90 ha tentato ambiziosamente di colmare alcune lacune presenti nello svolgimento del contraddittorio del processo amministrativo, ma la legge n. 15/2005 si spinge oltre, inserendo nell’art. 25 il comma 5-bis e recependo quanto già in precedenza affermato in via generale dall’art. 4 comma 3, della 1. n. 205/2000 stabilendo che in questi giudizi si può agire personalmente, senza l’assistenza del difensore e che anche «l’Amministrazione può essere rappresentata e difesa da un proprio dipendente, purché in possesso della qualifica di dirigente e possegga l’autorizzazione alla rappresentanza legale dell’Ente». Una posizione particolare ricoprono i c.d. controinteressati, che vengono in rilievo quando la richiesta di documenti riguarda soggetti terzi 35. In tal caso la Pubblica Amministrazione è chiamata a svolgere un’operazione di compromesso tra due contrapposti interessi giuridici privati: il diritto all’informazione del richiedente e il diritto alla riservatezza del terzo. Secondo Lumetti 36 «se la l. 241/1990 ha inteso garantire il principio della piena conoscibilità dell’azione amministrativa, ciò non significa che non debbano essere tutelati i diritti dei terzi che dalla conoscibilità di tali atti possano ricavarne un danno». Infatti il ricorso, nel termine perentorio di trenta giorni fissati dalla legge, deve essere notificato a pena di inammissibilità tanto all’organo che ha emanato l’atto impugnato quanto ai controinteressati (soggetti determinati a cui si riferiscono i documenti richiesti). Sempre Lumetti afferma essere «ravvisabile una posizione di interesse legittimo, tutelata dall’art. 103 Cost., quando un provvedimento amministrativo è impugnabile come di regola entro un termine perentorio; e ciò anche se esso incide su posizioni che, nel linguaggio comune, sono più spesso definite come di ‘diritto’» 37. Tra l’altro è proprio il nuovo regolamento sull’accesso agli atti, D.P.R. n. 184/2006, ad attribuire ai controinteressati nel procedimento di accesso ai documenti amministrativi un ruolo primario. L’art. 3 di tale regolamento sancisce l’obbligo dell’Amministrazione interessata da una richiesta di accesso di dare notifica agli eventuali controinteressati, che la stessa Pubblica Amministrazione ha individuato, in merito alla richiesta pervenuta, in modo da garantire a tutti i soggetti interessati che possono vedere lesa la propria riservatezza la possibilità di una motivata opposizione all’accesso agli atti. Il cittadino viene tutelato poi sia in sede civile che in sede penale. E’ stata prevista infatti la possibilità di ottenere dal giudice ordinario il risarcimento del danno subito a seguito dell’illegittimo diniego del diritto di accesso 38. In particolare, secondo la dottrina prevalente, se l’accesso mira all’esercizio di un diritto soggettivo preesistente, il pregiudizio consiste nelle difficoltà incontrate nell’esercizio di quel diritto a causa del diniego dei documenti; se, invece, il privato domanda l’accesso allo scopo di ottenere tutela di un interesse pretensivo (es. 35 I controinteressati sono ex art. 22, comma 1, lett. c) l n. 241/90 quei «soggetti individuati o facilmente individuabili in base alla natura del documento richiesto, che dall'esercizio dell'accesso vedrebbero compromesso il loro diritto alla riservatezza». (Cfr. CENICCOLA A. «Il diritto di accesso dopo la legge n. 15/2005» in www.altalex.it del 03/05/2005) 36 LUMETTI M.V., «Accesso, riservatezza e tutela dei controinteressati», nota a TAR Toscana, I, 2 febbraio 2004, n. 266. 37 Cfr. anche CdS, Ad. Plen., 24 giugno 1999, n. 16, in Giornale Dir. Amm., 2000, 71, con nota di Porro. 38 In riferimento alla natura giuridica della responsabilità della Pubblica Amministrazione la tesi prevalente verte sulla responsabilità extracontrattuale ex art. 2043 c.c. nel senso che, anche se venisse qualificato come interesse legittimo, l’accesso costituirebbe un bene della vita la cui lesione integrerebbe il danno ingiusto di cui alla norma in oggetto. 11 mira ad ottenere un’autorizzazione o concessione), occorre ulteriormente distinguere a seconda del tasso di discrezionalità riservato alla Amministrazione. In questo specifico caso se si tratta di meri accertamenti, al privato sarà sufficiente dimostrare che esistevano i presupposti di fatto per ottenere quell’effetto favorevole che il mancato accesso ha vanificato; se si tratta altresì di attività ad alto tasso di discrezionalità, occorrerà effettuare un c.d. giudizio prognostico al fine di verificare se il bene, cui la domanda di accesso era preordinata, spettava o meno al privato richiedente 39. Per quanto concerne invece la tutela in sede penale l’art. 328, comma 2 del c.p. prevede il reato di omissione di atti di ufficio, punendo il pubblico ufficiale che a fronte di una richiesta di accesso avanzata da un privato ad un documento non risponda entro trenta giorni o rilasciando l’atto richiesto ovvero negandolo motivatamente; nell’ipotesi di mancata risposta espressa nel termine previsto, ai sensi del comma 4, art. 25 della legge n. 241/90, la richiesta “si intende respinta grazie al meccanismo del silenzio rigetto” e scatterà a carico del funzionario inadempiente la sanzione penale di cui all’art. 328 comma 2 c.p. 40. Concludendo abbiamo visto sopra come la pretesa all’accesso documentale abbia, secondo la tesi prevalente, la consistenza di un diritto soggettivo e sia affidata alla giurisdizione esclusiva del Giudice Amministrativo. Ciò comporta che il decorso del termine per proporre il ricorso contro il diniego dell’accesso non impedisce all’interessato di far valere il diritto di accesso nell’ordinario termine di prescrizione, che nel corso del giudizio dinanzi al Giudice Amministrativo deve ammettersi la possibilità della Pubblica Amministrazione di addurre nuove ragioni che giustificano il diniego dell’accesso e che la mancata notificazione del ricorso ad almeno uno dei controinteressati non rende inammissibile il ricorso stesso, ma obbliga il giudice ad integrare il contraddittorio per assicurare la partecipazione dei litisconsorti a norma dell’art. 102 c.p.c. 41. Ecco perché la comunicazione di avvio del procedimento di accesso ai controinteressati, come previsto dalla legge, potrebbe essere un efficace strumento per anticipare l’eventuale indagine svolta poi in sede giurisdizionale. Questo potrebbe portare a superare gli inconvenienti di una normativa insufficiente che non garantisce appieno il principio del contraddittorio rendendo così difficoltosa la presenza in giudizio di tutti i soggetti nei confronti dei quali gli interessi realizzati dal provvedimento impugnato è destinato a produrre effetti 42. Azzoni sottolinea il “sollievo” procurato agli organi delle Amministrazioni Pubbliche dai principi fissati dalla giurisprudenza verso coloro i quali siano risultati titolari di situazioni giuridicamente rilevanti ai fini dell’accesso perché, agli stessi, tali principi consentono di uscire dall’imbarazzo fra il concedere ed il negare, con la preoccupazione di scivolare in un caso nell’abuso e nell’atro nell’omissione 43. Gli interpreti più attenti negano invece che l’art. 25, comma 4, l. n. 241/90 (che sancisce la tutela alternativa a quella giurisdizionale dei contenziosi che si svolgono davanti al Garante per la privacy) possa trovare operatività quando si proponga un ricorso al Garante stesso per far valere un’istanza di accesso che abbia ad oggetto un documento amministrativo. Tale 12 39 Così CENICCOLA A. … cit.; Cfr. CARINGELLA F. Corso di Diritto amministrativo, Milano 2003 p. 1899 ss. 40 Secondo parte della giurisprudenza il reato non sarebbe mai configurabile in materia di accesso: scattando infatti il meccanismo del silenzio rigetto, un provvedimento negativo sarebbe stato pur sempre emesso dalla Amministrazione, onde scatterebbe la causa di giustificazione codificata dall’art. 51 c.p. costituendo un diritto, per la P.A., il potere di sostituire un provvedimento tacito a quello espresso (cfr. Trib. Piacenza 10 dicembre 1993 in Foro It., 1994, II, 262 ss.). E’ stato inoltre replicato che il richiamo alla scriminante di cui all’art. 51 c.p. appare fuori luogo, giacchè il meccanismo del silenzio rigetto costituisce soltanto una ‘fictio iuris’ e non manifestazione di un diritto attribuito dalla Amministrazione, che anzi ha pur sempre il dovere di concludere il procedimento mediante provvedimento espresso ex art. 2, comma 2, l. n. 241/90 (crf. Cass. Pen., Sez. VI, 8 gennaio 1997 in Cass. Pen., 1997, 3019 ss.). 41 Così CENICCOLA A. … cit. 42 Cfr. FIGORILLI F., «Linee evolutive in materia di contraddittorio nel procedimento amministrativo» in Dottorato di ricerca XII, XIII e XIV ciclo, Bologna, Clueb, 2000, 30 ss. 43 Crf. Consiglio di Stato, Sez. V, 22 giugno 1998, n. 923, in Il Cons. Stato, 1998, I, 931 ss.. Con Nota di AZZONI V. «Diritto all’accesso e diritto alla riservatezza» in Nuova Rassegna, 1998, n. 20, 2000. ricorso, infatti, difetterebbe dei presupposti previsti dall’art. 145 del Codice della privacy 44 e dovrebbe di conseguenza essere dichiarato inammissibile; possono essere perciò fatti valere con ricorso al Garante solo i diritti di cui all’art. 7 del Codice che disciplina il diritto di accesso ai dati personali oltre che altri diritti relativi al trattamento dei dati. E’ oggi invece previsto e regolamentato dal recente D.P.R. n. 184/2006 l’eventuale ricorso dell’interessato alla Commissione per l’accesso (prevista dall’art. 27 della l. n. 241/90) avverso il diniego (espresso o tacito) ovvero avverso il provvedimento di differimento dell’accesso. Conclusioni Alla luce di quanto esposto, è sicuramente necessario oggi riconsiderare ed eventualmente rimodellare il dogma della «autoritatività» e della unilateralità dell’azione amministrativa. La diversa origine della autorità dello Stato democratico, concomitante all’affermarsi di una maggiore complessità della società, solleva problemi di definizione dell’interesse pubblico che prima non si ponevano. In primo luogo deve essere sottolineato che i confini dell’interesse pubblico sono stati ridisegnati alla luce della nuova e frazionata sovranità esercitata oggi oltre che dallo Stato, dagli Enti territoriali infranazionali e dagli organismi appartenenti alla Unione Europea. Viene anzi riconosciuto a tali «soggetti» il compito di individuare l’interesse comune in luogo dello Stato. Si veda l’ambito di applicazione diretta esteso alle Regioni e agli Enti Locali dalle norme in materia di accesso delineato e delimitato dalla legge n. 241/90 e dalle modiche e integrazioni della stessa, nonché dal suo recente regolamento attuativo. La stessa Carta Costituzionale non presuppone il totale superamento dell’autorità, ma richiede di trovare un diverso fondamento ontologico scaturente direttamente dalla sovranità popolare. Di non minore rilevanza è infatti l’introduzione (dovuta alla modifica del titolo V della Costituzione) del c.d. principio di «sussidiarietà orizzontale» (art. 118, comma 4°, Cost.) che ha permesso di conseguire gli interessi collettivi mediante la libera iniziativa dei privati. Non possiamo però dimenticare che il provvedimento emanato dall’Amministrazione è per antonomasia un atto fornito di autoritatività e, come tale, idoneo ad incidere unilateralmente nella sfera giuridica del destinatario, senza che questi possa sottrarvisi, ma soltanto opporsi in sede contenziosa. La Pubblica Amministrazione ha però recentemente rivoluzionato radicalmente il suo modo di procedere, al fine dell’individuazione dell’interesse pubblico in concreto, adottando “modelli” di partecipazione del privato che si spingono a confini dell’equiparazione con modelli negoziali tipici dell’universo giusprivatistico. La frammentazione della disciplina contrattuale dello Stato e il proliferare di modelli paralleli di evidenza pubblica sono andati di pari passo con il radicarsi di una pluralità di interessi meritevoli di tutela. E’ apparso chiaro come le situazioni soggettive coinvolte nell’esercizio della funzione amministrativa vengono ad assumere una rilevanza ancor prima dell’emanazione del provvedimento finale. E’ proprio il contributo della pluralità di soggetti che costituisce il valore aggiunto dell’assetto finale del provvedimento. Abbiamo cercato di chiarire se gli interessi declassati o quelli che, pur restando di pertinenza della collettività, sono sottratti alla tutela pubblica, prevalgano sugli interessi pubblici di nuova nascita. La stessa legge n. 241/90 (la quale è, secondo alcuni stata recentemente democraticizzata con le modifiche apportate dalla l. n. 15/2005) mira alla costante ricerca dell’adeguatezza dell’azione amministrativa rispetto alla soddisfazione dell’interesse pubblico, individuando tale principio come un solido ancoraggio normativo all’esercizio del potere decisionale da parte della Pubblica Amministrazione. L’ordinamento è giunto, in tal modo, alla formalizzazione di un rapporto giuridico tra apparati amministrativi e privati di tipo 44 Recita l’art. 145 «1. I diritti di cui all'articolo 7 possono essere fatti valere dinanzi all'autorità giudiziaria o con ricorso al Garante; 2. Il ricorso al Garante non può essere proposto se, per il medesimo oggetto e tra le stesse parti, è stata già adita l'autorità giudiziaria; 3. La presentazione del ricorso al Garante rende improponibile un'ulteriore domanda dinanzi all'autorità giudiziaria tra le stesse parti e per il medesimo oggetto». 13 garantistico, secondo una prospettiva che tende a privilegiare il consenso, la negoziazione e tutte quelle relazioni di tipo «paritario». La legge n. 241/90 si è proposta come una legge generale sull’azione amministrativa diretta a delineare i principi di un’amministrazione sempre più complessa nei cardini dei principi di responsabilità, pubblicità, partecipazione e motivazione. L’eclatante novità introdotta con la l. n. 15/2005 si esplica nell’ambizioso intento di poter pervenire in modo diretto ad un completo adattamento dei diversi ed eterogenei procedimenti amministrativi alle condizioni indicate volta per volta dalla legge. Proprio grazie al diritto di accesso agli atti documentali l’amministrazione è «costretta» a prendere atto dell’esistenza di particolari interlocutori quali sono i cittadini titolari di tale diritto che permette loro di incidere in modo significativo sia sull’agire amministrativo che sull’eventuale diritto alla riservatezza di terzi. A noi sembra di poter affermare che oggi il principio di legittimità dovrebbe tendere alla corretta individuazione dei fini anziché alla mera definizione degli strumenti necessari per conseguirli. La “novità” risiederebbe nel fatto che per l’Amministrazione la legge non dovrebbe costituire lo scopo della sua attività, bensì il limite. Il rispetto formale del principio di legalità non è più idoneo a tutelare la soddisfazione dei bisogni che promanano dai consociati e, spesso, si rivela incapace di assicurare alla decisione amministrativa la necessaria legittimazione. Se si prende in considerazione il ruolo che l’interesse privato può svolgere nell’assetto dei rapporti Amministrazione-consociati, si potrebbe giungere alla considerazione che modelli unilaterali e modelli negoziali si basano su principi comuni costruiti su processi reali, che entrambi mostrano di tenere ben presente. 14 Bibliografia AICARDI Nicola, «La disciplina generale e i principi degli accordi amministrativi: fondamento e caratteri», in Rivista trimestrale di diritto pubblico, n. 1., 1997, p. 1 ss. ARENA Giacomo, «La trasparenza amministrativa e il diritto di accesso ai documenti amministrativi», in L’accesso ai documenti amministrativi, a cura di Arena G., Bologna, Il Mulino, 1991, p. 32 ss. BACOSI Giulio, Dall’interesse legittimo al diritto condizionato, Torino, Giappichelli, 2003, p. 60 ss. e p. 156 ss. BOMBARDELI Marco , - «Organizzazione amministrativa ed effettività del diritto di accesso: nota di commento a Consiglio di Stato, Ad. 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XXXVI, Padova, CEDAM, 2005, p. 452 ss. 16 BREVI RIFLESSIONI IN TEMA DI SEMPLIFICAZIONE DOCUMENTALE. DALLA LEGGE N. 15 DEL 1968 AL D.P.R. N. 445/2000 E SUCCESSIVE MODIFICHE. Avv. Simona Rodriquez – Libera professionista e dottoranda di ricerca presso l’Università degli Studi di Torino 1. Evoluzione normativa. Cenni. In Italia, il processo di revisione del rapporto tra amministrazione e amministrati può dirsi iniziato ufficialmente a partire dal 1990, con la legge 7 agosto 1990, n. 241 sul procedimento amministrativo. Invero, già a partire dalla legge n. 59 del 1997, il problema della semplificazione del rapporto p.a.-cittadini è stato visto come nodo cruciale, così come la questione del riordino dell’intero sistema normativo. Uno dei dilemmi più importanti da affrontare è stato quello, da un lato, di soddisfare le esigenze di semplificazione di cui sono normalmente portatori gli amministrati; dall’altro lato, quello di soddisfare le esigenze di certezza dell’amministrazione, la quale ha bisogno che le informazioni sulle quali basa le proprie decisioni siano dotate della qualità giuridica della certezza. La soluzione che, sin dall’inizio di tale «rivoluzione copernicana», è parsa idonea è stata quella di utilizzare istituti giuridici e modalità alternative a quelle tradizionali, ma in grado di fornire alle amministrazioni le stesse certezze giuridiche date dai certificati e da altri documenti, gravando il meno possibile sugli amministrati. Il percorso normativo che può, in particolare, riassumere tale rivoluzione può essere così delineato: La legge 4 gennaio 1968, n. 15, la quale ha abrogato le disposizioni precedentemente in vigore (tra le quali si ricorda il D.P.R. 2 agosto 1957, n. 678) e ha disciplinato, in modo organico, la materia relativa alla documentazione amministrativa ed alla presentazione all’amministrazione di atti e documenti. Può realmente dirsi che tale legge contiene già in sé tutto l’insieme degli strumenti di semplificazione della documentazione amministrativa di cui ancora adesso disponiamo. In particolare, ha introdotto, tra gli altri istituti, la dichiarazione sostitutiva di certificazioni, distinguendo tra certificazioni pienamente sostituibili e certificazioni temporaneamente sostituibili (la cui individuazione viene rimessa a norme regolamentari delle amministrazioni); la dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà. Nonostante la grande forza innovativa della legge n. 15 del 1968, è stata applicata generalmente in modo parziale e con notevoli ritardi, al punto che per oltre vent’anni dalla sua emanazione, le sue disposizioni sono praticamente rimaste prive di seguito sul piano operativo. Le ragioni di questo fenomeno si possono trovare in alcune ambiguità del testo della legge, causa di incertezze interpretative, ma soprattutto nel fatto che il modello di amministrazione a cui si ispira l’utilizzo degli strumenti di semplificazione della documentazione amministrativa non corrispondeva alla realtà organizzativa e culturale dell’amministrazione tradizionale, in cui la concezione del rapporto con i cittadini è ben lontana dalla logica della semplicità e della collaborazione. La legge 7 agosto 1990, n. 241, la quale, al capo IV, contiene una serie di disposizioni normative di particolare rilievo, atte a snellire l’azione della pubblica amministrazione e, pertanto, ad uniformare la stessa ai principi di cui all’art. 1 della stessa legge. Con evidente approssimazione (in questa sede non potrebbe farsi diversamente), tra gli istituti previsti si ricordano: la conferenza di servizi (artt. 14 e succ. modifiche attuate con l. n. 15/2005). Si tratta di una forma di cooperazione tra pubbliche amministrazioni alla quale l’amministrazione procedente ricorre qualora sia opportuno un esame contestuale dei vari interessi pubblici coinvolti nel procedimento amministrativo (conferenza istruttoria, ex art. 14, co. 1) oppure quando sia necessaria l’acquisizione di intese, concerti, nulla osta o assensi di diverse amministrazioni, con conseguente adozione di una determinazione che ha l’effetto di sostituirsi ai predetti atti 17 (conferenza decisoria, ex art. 14, co. 2). In entrambe le ipotesi, la conferenza di servizi costituisce un modulo organizzativo suscettibile di produrre un’accelerazione dei tempi procedurali e, nel contempo, un esame congiunto degli interessi pubblici coinvolti. Gli accordi tra amministrazioni pubbliche (art. 15). Si tratta di accordi (ai quali si applicano le disposizioni previste dall’art. 11, commi 2, 3 e 5, l. n. 241/1990) stipulati tra pubbliche amministrazioni al fine di disciplinare lo svolgimento in collaborazione di attività di interesse pubblico. 18 L’attuazione dell’istituto dell’autocertificazione (art. 18). Si tratta di un istituto in virtù del quale, al fine di semplificare il procedimento e migliorare il rapporto tra amministratori e cittadini, la p.a. solleva il cittadino dall’onere di certificare, per il conseguimento di un certo atto, determinati requisiti e dati, accontentandosi di una sua dichiarazione, detta dichiarazione sostitutiva. Tale istituto, coniato già dalla l. n. 15/1968, non aveva trovato attuazione in ragione del suo carattere fortemente innovativo e della conseguente impreparazione delle amministrazioni chiamate ad uniformarvisi. Al fine di porre rimedio a tale situazione di stallo, la l. n. 241/1990, all’art. 18, stabiliva un termine di 6 mesi entro il quale le amministrazioni interessate devono adottare le misure organizzative idonee a garantire l’applicazione delle disposizioni della l. n. 15/1968 in materia di autocertificazione. La legge n. 127/1997, al fine di potenziare ulteriormente l’istituto dell’autocertificazione, ha autorizzato il Governo ad emanare uno o più regolamenti di delegificazione con i quali adottare misure per la semplificazione delle norme sulla documentazione amministrativa. In attuazione delle disposizioni della legge n. 127/1997 è stato emanato il D.P.R. 20 ottobre 1998, n. 403. In materia, è poi intervenuta la legge n. 340/2000, con gli artt. 2 e 3. Il D.P.R. 25 gennaio 1994. Si tratta del regolamento di attuazione delle disposizioni in materia di certificazioni sostitutive di cui alla legge n. 15/1968. Dispone essenzialmente in materia di dichiarazioni temporaneamente sostitutive (al fine di superare l’inerzia delle amministrazioni che avrebbero dovuto regolamentarne l’utilizzo); La legge 15 maggio 1997, n. 127, modificata con legge 16 giugno 1998, n. 191. Con tale disposizione normativa, si prevede l’adozione di regolamenti per la semplificazione della documentazione amministrativa, alla luce dei principi di: massima riduzione della documentazione richiedibile; ampliamento del ricorso all’autocertificazione; semplificazione dei procedimenti per accelerare l’adozione di atti; esplicita menzione delle disposizioni abrogate; Il D.P.R. 20 ottobre 1998, n. 403. Si tratta del regolamento di attuazione della l. n. 127/1997 in materia di semplificazione delle certificazioni amministrative. In particolare, attua gli artt. 1, 2 e 3 della l. n. 127/1997, ampliando il ricorso all’autocertificazione ed eliminando la categoria delle dichiarazioni temporaneamente sostitutive; amplia il ricorso alla dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà, ricomprendendovi anche stati, fatti e qualità personali relativi ad altri soggetti di cui il dichiarante abbia diretta conoscenza (sempreché venga resa nel proprio interesse); esclude dall’autocertificazione i certificati medici, sanitari, veterinari, di origine, di conformità CE, di marchi o brevetti, salve disposizioni settoriali diverse; consente la trasmissione di documenti ad una pubblica amministrazione anche tramite fax, o con altro mezzo telematico o informatico idoneo ad accertare la fonte di provenienza del documento; ribadisce l’obbligo per le amministrazioni procedenti di procedere ad idonei controlli, anche a campione, sulla veridicità delle dichiarazioni sostitutive; Il D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445, «Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa». Tale testo Unico contiene (in 78 articoli) le disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa e, disponendo l’abrogazione della legge n. 15/1968; del D.P.R. n. 403/1998, nonché degli artt. 2 e 3 della l. n. 340/2000, rappresenta, attualmente, la fonte normativa di riferimento per la disciplina in materia. Il D.P.R. definisce «illegittima» la richiesta di certificati da parte delle amministrazioni pubbliche e dei gestori di pubblici servizi di atti e certificati concernenti stati, qualità personali e fatti che siano attestati in documenti già in loro possesso o che comunque esse stesse siano tenute a certificare. In luogo di tali atti o certificati, i soggetti di cui sopra procedono all’acquisizione d’ufficio, previa indicazione da parte dell’interessato dell’amministrazione competente nonché degli elementi indispensabili ai fini del reperimento dei dati, ovvero accettano la dichiarazione sostitutiva prodotta dall’interessato. 2. Il riordino delle norme in materia di documentazione amministrativa: il D.p.r. n. 445/2000. Il D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445 raccoglie e riordina le disposizioni normative riguardanti la documentazione amministrativa e rappresenta un importante esempio di codificazione. Esso costituisce un fondamentale punto di riferimento unitario per la materia e rappresenta una tappa cruciale nel percorso di semplificazione dell’attività amministrativa. Da un lato, il Testo Unico consente di superare la frammentazione delle numerose norme (a cui sopra si è appena accennato) che, in materia di documentazione amministrativa, si sono stratificate negli ultimi decenni, creando non poche confusioni negli interpreti. Dall’altro lato, ha introdotto alcuni aggiustamenti e alcune disposizioni normative innovative necessarie a dare una maggiore coerenza al nuovo testo normativo e a superare le difficoltà nate con la normative previdente. Nelle prime disposizioni, il Testo Unico precisa il suo ambito di applicazione. Per quel che concerne la legittimazione passiva, viene confermato quanto già era stato previsto dalla legge n. 127 del 1997, ovvero che le disposizioni sulla documentazione amministrativa si applicano obbligatoriamente non solo alla pubblica amministrazione, ma anche ai gestori di pubblici servizi, a prescindere dalla loro natura giuridica. Vengono inoltre previste disposizioni ampliative anche per quel che concerne la legittimazione attiva, precisando, all’art. 3, che l’applicazione delle sue norme si estende non solo ai cittadini italiani e dell’Unione europea, ma anche alle persone giuridiche, alle società di persone, alle pubbliche amministrazioni e agli enti, associazioni e comitati aventi sede legale in Italia o in uno dei Paesi dell’Unione europea. Inoltre, la possibilità di utilizzo delle autocertificazioni relative a fatti, stati e qualità personali certificabili o attestabili da parte di soggetti pubblici italiani viene riconosciuta non più ai soli cittadini extracomunitari residenti in Italia, come prevedeva l’art. 5 del D.P.R. n. 403/1998, ma a tutti i cittadini extracomunitari regolarmente soggiornanti in Italia, nonché a quelli comunque autorizzati a soggiornare nel nostro Paese, nell’ambito di materie per cui esiste una convenzione internazionale. Precisato l’ambito di applicazione, deve sottolinearsi che il Testo Unico introduce e riordina una serie di definizioni tra cui si ricordano quelle di: documento amministrativo, da intendersi sia come documento prodotto da una pubblica amministrazione, sia cine documento comunque utilizzato a fini dello svolgimento dell’attività amministrativa (cfr. anche art. 22, l. 7 agosto 1990, n. 241). In quest’ambito, il t.u. introduce poche innovazioni, ma opera un consistente intervento di coordinamento della normativa previdente. All’art. 7, in particolare, vengono riprodotte le disposizioni in materia di redazione degli atti pubblici di cui agli art. 12 e 13 della legge 4 gennaio 1968, n. 15; documento informatico, da intendersi quale rappresentazione informatica di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti. E’ da sottolineare che gli artt. 8- 14 sono stati recentemente abrogati dal D.lgs. 7 marzo 1982, n. 82, Codice dell’amministrazione digitale, il cui art. 1, co. 1, lett. p), definisce, invero, il documento informatico in modo analogo al D.P.R. n. 445/2000. certificato, quale documento rilasciato da una amministrazione pubblica avente funzione di ricognizione, riproduzione e partecipazione a terzi di stati, qualità personali e fatti contenuti in albi, elenchi o registri pubblici o comunque accertati da soggetti titolari di funzioni pubbliche. Agli artt. 40,41 e 42 il t.u. raccoglie e coordina le previgenti norme generali in materia di certificazioni amministrative, relative sia alla possibilità di redazione delle certificazioni contestuali, sia alla validità temporale dei certificati ed alla possibilità del cittadino di rinnovare la stessa con una propria dichiarazione in calce al certificato scaduto, relativa al fatto che i dati non hanno subito variazioni dalla data del rilascio. V’è da sottolineare, peraltro, che il D.P.R. n. 445/2000 attribuisce al certificato un ruolo del tutto recessivo, in consi- 19 derazione del divieto di richiedere certificati ai cittadini che l’art. 43, co. 1, pone nei confronti delle amministrazioni pubbliche e dei gestori di pubblici servizi; le dichiarazioni sostitutive di certificazione, attualmente le più efficaci dal punto di visto della semplificazione, in quanto per il cittadino, la loro presentazione equivale a pieno titolo alla certificazione sostituita, che non deve essere più presentata. Ai dati autocertificabili in base alla legge n. 15/1968, D.P.R. n. 403/1998, il D.P.R. n. 445/2000 ne ha aggiunti di nuovi, precisando meglio il relativo elenco. In particolare, l’art. 46 ha aggiunto, alle ipotesi precedenti, la possibilità di autocertificare l’appartenenza ad ordini professionali, il fatto di non aver riportato condanne penali e di non essere destinatario di provvedimenti che riguardano l’applicazione di misure di prevenzione, di decisioni civili e di provvedimenti amministrativi iscritti nel casellario giudiziale ai sensi della vigente normativa; il fatto di non essere a conoscenza di essere sottoposto a procedimenti penali. Questo elenco, ormai molto ampio, costituisce un’indicazione tassativa dei casi in cui è possibile utilizzare la dichiarazione sostitutiva di certificazione e può essere integrato solo con disposizioni di legge o con disposizioni regolamentari adottate in applicazione dell’art. 1, l. n. 127/1997; le dichiarazioni sostitutive dell’atto di notorietà, definibili quali documenti, sottoscritti dall’interessato, concernenti stati, qualità personali e fatti, che siano a diretta conoscenza di questi. Differiscono dalle dichiarazioni sostitutive di certificazione non tanto quanto alla funzione o alla forma, quanto al contenuto. Nel caso delle dichiarazioni sostitutive di certificazione, vengono partecipate a terzi informazioni che corrispondono, totalmente o parzialmente, al contenuto di altri atti preesistenti, trascritti in registri pubblici, albi o elenchi. Nel caso delle dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà, vengono partecipate a terzi informazioni concernenti stati, qualità personali e fatti, che si reputano essere certe, purché siano a diretta conoscenza del soggetto che redige e sottoscrive la dichiarazione sostitutiva medesima. 3. Spunti conclusivi. In pochissimi anni l’informatica ha prodotto cambiamenti radicali nel modo di operare delle organizzazioni, nelle norme in materia di certezze pubbliche e private, nel modo di gestire le informazioni, rivoluzioni di cui era fondamentale tener conto nel momento in cui si decideva di riformare le disposizioni normative in materia. Il D.P.R. n. 445/2000 è stato redatto proprio al fine di costituire una sorta di ponte tra il vecchio e il nuovo sistema delle certezze pubbliche: esso, dunque, disciplina e semplifica sia i tradizionali strumenti di certificazione, come i certificati e le autocertificazioni, sia quelli che oggi sono strumenti nuovi, come la firma digitale o il documento informatico, destinati, nei prossimi anni, a diventare di uso corrente per tutti. Si tratta di un vero e proprio «evento di riforma», ma il cambiamento cui mira si realizzerà compiutamente solo se cittadini e dipendenti pubblici renderanno quotidianamente operativi gli strumenti ivi disciplinati. «La differenza tra una riforma fallita ed una realizzata non dipende soltanto dalla qualità tecnica delle norme che la disciplinano o dalla perfezione del suo disegno organizzativo, bensì soprattutto dalla motivazione, dal coinvolgimento, dalla preparazione professionale dei dipendenti chiamati a dare attuazione ai nuovi principi ed istituti» (G. ARENA, in ARENA-BOMBARDELLI-GUERRA-MASUCCI, La documentazione amministrativa, Rimini, 2001). BIBLIOGRAFIA 20 ARENA-BOMBARDELLI-GUERRA-MASUCCI, La documentazione amministrativa, Rimini, 2001; ARSI, La codificazione delle norme sulla documentazione amministrativa, in Giorn. Dir. Amm., 2001, 333; BOMBARDELLI, Il Testo Unico delle disposizioni sulla documentazione amministrativa, in Giorn. Dir. 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Il fenomeno del telelavoro nella Pubblica Amministrazione quale strumento per governare il cambiamento L’organizzazione del lavoro ha visto, negli ultimi anni, un notevole cambiamento, attraverso il largo impiego delle tecnologie informatiche e telematiche, che, rispetto al passato, consentono un migliore e un più rapido svolgimento delle attività lavorative. In particolare, l’esigenza di flessibilizzazione del lavoro manifestata da aziende private, imprese pubbliche e, recentemente, da una parte considerevole di pubbliche amministrazioni, ha portato a sviluppare nuovi modelli di svolgimento delle mansioni lavorative, che consentono una più rapida produzione ed una migliore erogazione di beni e servizi, coniugata ad una maggiore qualità degli stessi. Dall’incessante evolversi dei mezzi informatici e tecnologici nasce la teleamministrazione 45: l’attività, cui viene riconosciuto pieno valore formale solo dal 1991, svolta dalla Pubblica Amministrazione tramite terminali collegati ad un centro elaborazione dati. Lo scopo della teleamministrazione è quello di eliminare il supporto cartaceo per velocizzare le procedure amministrative appesantite da interminabili tempi morti in nessun modo connessi alla decisione da prendere, ma solo frutto di incongruenze e disorganizzazione. Tale forma atipica di lavoro, molto estesa all’estero, ha avuto in Italia fino al 1998 una scarsa diffusione proprio a causa della rigidità della legislazione sul lavoro, per gli alti costi degli impianti e dei servizi di telecomunicazione e per la relativa avversione dei sindacati. La Pubblica Amministrazione è oggi in grado di telelavorare: i principi organizzativi contenuti nelle leggi di riforma e di razionalizzazione delle amministrazioni pubbliche, oltre che gli indirizzi contenuti nelle Leggi Bassanini di riorganizzazione dello Stato configurano la possibilità di adozione di progetti pilota che sicuramente non sono mancati come vedremo in prosieguo. Proprio il termine information technology indica, in senso molto lato, l’insieme delle innovazioni tecnologiche e informatiche che rendono possibile la gestione automatizzata di trattamento e ricerca delle informazioni e, più in generale, la prestazione di vari servizi. L’information technology si trasforma in un potente strumento di reingegnerizzazione dell’apparato pubblico ed è l’aspirazione cui esso tende negli ultimi anni. Oggi si parla ormai sempre più spesso di Information & Communication Technology a dimostrazione del fatto che i sistemi di telecomunicazione sono divenuti parte fondamentale del processo attuale di sviluppo e di rinnovo dell’agire amministrativo, dove il telelavoro risulta perfettamente inserito. Lo stesso progetto AIPA di rete unitaria è da alcuni anni entrato nella fase attuativa e l’uso delle nuove tecnologie informative è in forte crescita (si pensi ad es. all’utilizzo dei siti internet di ottima qualità da parte delle amministrazioni) 46. 45 Il termine «teleamministrazione» fu adoperato ufficialmente per la prima volta nel convegno «L'informatica giuridica e il Ced della Corte di Cassazione», svoltosi presso l'Università di Roma La Sapienza il 27-29 novembre 1991, i cui atti sono stati pubblicati da Giuffrè nel 1992: cfr. AA.VV., Dall'informatica amministrativa alla teleamministrazione: il progetto nazionale ed il sotto progetto sperimentale presso l'amministrazione dell'Ateneo cagliaritano, Duni G. (a cura di), Roma, 1992 part. p. 87 ss.; G. Duni, voce teleamministrazione, in Enc. Giur., Roma, 1993, vol. XXX. 46 L’autorità per l’informatica della pubblica amministrazione AIPA (oggi CNIPA: centro nazionale per l’informatica nella pubblica amministrazione) ha avviato un progetto di rete unitaria (RUPA) allo scopo di mettere in collegamento tutti gli uffici pubblici fissando principi, modalità e fasi di realizzazione con una direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri del 1995. 21 Tuttavia un fattore sfavorevole all’implementazione del telelavoro risiede nel fatto che la «normalità» del tempo di lavoro è convenzionalmente maschile: il modello atteso dalla generalità dei consociati è il tempo pieno per tutto il ciclo di vita lavorativa dell’individuo, un modello cioè perfetto per il tipico lavoratore di sesso maschile (otto ore lavorate con eventuale dilatabilità e piena disponibilità a svolgere straordinari). Presenza e disponibilità, come sostiene Naldini 47, sono considerate le caratteristiche maggiormente premianti in termini di affidamento di incarichi di responsabilità e di carriera lavorativa. Non possiamo inoltre prescindere dal fatto che, mentre aumentano le opportunità di occupazione per le donne che sono dotate delle qualificazioni richieste dalle nuove tecnologie, aumentano anche le probabilità di esclusioni per coloro le quali sono sprovviste di tali conoscenze. Molte donne si approcciano con troppe esitazioni all’uso di queste tecnologie e sfruttano ancora poco le nuove modalità organizzative del lavoro che potrebbero invece aiutarle a superare il tradizionale problema di combinare lavoro (sfera pubblica) e famiglia (sfera privata). 2. Il telelavoro fra decentramento e flessibilità: aspetti normativi Il D.P.R. n. 70/99 aggancia, all’art. 1, il telelavoro alla razionalizzazione della organizzazione del lavoro ad alla realizzazione di economie di gestione offrendo, nel pieno rispetto delle competenze regionali, alcune definizioni importanti del possibile modus operandi dell’amministrazione in sede di telelavoro. L’articolo 4 della legge 16 giugno 1998 n. 191 (c.d. Bassanini – ter) e l’articolo 1 del relativo regolamento attuativo dell’8 marzo 1999 n.70, prevedono le seguenti finalità di carattere generale da perseguire tramite il ricorso al telelavoro nel settore pubblico: razionalizzazione dell’organizzazione del lavoro e realizzazione di economie pubbliche di gestione. La prima finalità indicata, risulta strettamente correlata al concetto stesso di flessibilità del lavoro, cui è specificamente indirizzato il nuovo istituto 48. La seconda delle finalità indicate rappresenta una delle principali motivazioni che hanno favorito l’adozione del telelavoro nelle amministrazioni pubbliche 49. Molte amministrazioni hanno già provveduto a regolamentare la materia semplificando, anche radicalmente, gli adempimenti, sempre nel rispetto dei principi costituzionali di trasparenza e imparzialità, recepiti dall’art. 35 del D. Lgs. n. 165/2001, il quale costituisce il limite al quale le Pubbliche Amministrazioni debbono comunque attenersi. Il telelavoro si presenta come una rivoluzionaria novità, anche se già annunciata da tempo quale il risultato di un duplice percorso di riforma: il primo di semplificazione e decentramento dell’azione amministrativa, che lo vede inserito nell’ambito della legge Bassanini ter, protagonista indiscussa di tale processo di rinnovamento; l’altro percorso è relativo all’evoluzione della telelamministrazione, ossia, come abbiamo visto, la tanto auspicata amministrazione «senza carte», che si prefigge l’ambizioso traguardo di eliminare definitivamente il supporto cartaceo. Ciò rappresenta una svolta per il comparto pubblico perché dimostra che è maturata una nuova cultura nella organizzazione dell’erogazione dei servizi offerti alla generalità dei consociati. Il telelavoro realizza una completa destrutturazione del tempo e dello spazio, autonomizza il lavoro svincolandolo dalle restrizioni temporali e geografiche, elevandolo a specifico stru- 22 47 NALDINI, Manuela, «Tempi di lavoro e tempi di vita. Strumenti di genere per la conciliazione: alcuni dati per la conciliazione e margine di uno studio di caso» in Atti del Convegno Nazionale ed Europeo, Che «genere» di conciliazione? Famiglia, Lavoro e Genere: equilibri e squilibri, Torino, 28 - 29 Maggio 2003. 48 Necessario è il richiamo all'articolo 6 del D.P.R. n. 70/99 dove è stabilito che l'AIPA «(...) fissa le regole tecniche per il telelavoro, anche con riferimento alla rete unitaria delle pubbliche amministrazioni, alle tecnologie per l'identificazione, alle esigenze di adeguamento all'evoluzione scientifica e tecnologica». 49 La forte ondata di decentramento produttivo che ha coinvolto anche il settore pubblico ha indotto a ricercare tipologie diverse di lavoro, ricercando per ogni singola amministrazione la forma più consona e modellandola secondo le proprie esigenze; così Di Nicola P., «Quale flessibilità? Lavoro atipico e part-time in Italia e in Europa», in Economia e Lavoro, Roma, 1999, n. 3, p. 21 ss. mento di flessibilità operativa, nella gestione e organizzazione delle risorse e delle varie strutture tecnologiche. Nel comparto pubblico, dove la componente femminile è quasi sempre presente in rilevanti termini numerici, l’uso flessibile delle risorse umane è però ancora lontano dall’evocare l’aspettativa di attingere risorse dal lavoro c.d. «flessibile». Nella Pubblica Amministrazione si parla di programmazione delle attività per obiettivi e progetti, ma si continua a subire l’onere di gravose attività sussidiarie impegnate ad amministrare la macchina del tempo e dello spazio con un’estenuante sequenza di eccezioni e varianti rigorosamente regolate (es. la moltitudine di fasce orarie, gli straordinari, i ritardi, i recuperi, i buoni pasto e altri permessi di varia natura). La flessibilizzazione dei rapporti appare, quindi, molto legata a situazioni contingenti e non è oggetto di attenta programmazione da parte delle amministrazioni, risultando semmai predominate la scelta del singolo lavoratore eventualmente dettata da ragioni personali e familiari. Le pubbliche amministrazioni, nei confronti delle nuove opportunità di lavoro flessibile, hanno mostrato però un atteggiamento ambivalente in quanto caratterizzato, salvo alcune eccezioni, da forte sperimentazione unita ad assenza di una univoca strategia e politica del personale. 3. Innovazione organizzativa e culturale della Pubblica Amministrazione in un’ottica di genere: casi pilota In questi ultimi anni si è assistito all’emersione, negli individui soprattutto di sesso femminile, di nuovi bisogni, tanto nella vita lavorativa quanto nel tempo libero: la direzione di queste esigenze è nel senso di una maggiore attenzione alla qualità della vita, che si compendia in desiderio di indipendenza, di soggettività, di realizzazione personale, di riappropriazione dei tempi individuali, di superamento della rigida separazione tra tempo di lavoro e tempo libero. Per ottenere tutto ciò appare sempre più diffusa l’aspirazione delle donne a forme di organizzazione del tempo di lavoro diverse da quelle «canoniche» previste dai contratti collettivi, con una domanda crescente di sperimentazione di modelli atipici e personalizzati di distribuzione temporale della prestazione. Per la dottrina il telelavoro potrà realizzare una nuova realtà maggiormente organizzata e quasi ideale: si tratta di un mutamento così profondo da richiedere, oltre e prima di una rivisitazione in chiave tecnologica ed organizzativa degli spazi lavorativi, una vera e propria revisione culturale 50. Gli interpreti individuano nel telelavoro uno strumento di cui avvalersi per avviare un processo di ristrutturazione, teso alla creazione di una amministrazione moderna nella quale l’applicazione delle tecnologie informatiche possa consentire di individuare un modello organizzativo dinamico ed una gestione flessibile del personale. La stessa Commissione Europea ha visto nel telelavoro uno strumento di importanza strategica per realizzare due principali obiettivi: aumentare la flessibilità e la produttività delle aziende e, nello stesso tempo, accrescere la competitività internazionale. Il ruolo centrale del telelavoro, per una crescita equilibrata dell’Europa, è stato sottolineato in due importanti relazioni ufficiali: Il Libro Bianco Delors e il Rapporto Bangemann sulla società dell’informazione. Le stime e gli studi in tema di lavoro «remotizzato», si spingono ancora oltre, individuando in esso un solido appoggio alle categorie considerate ancora maggiormente «deboli» (minori, donne, anziani, etc.) fino ad ipotizzare la soluzione di annosi problemi di emarginazione della figura femminile dalle cariche dirigenziali 51. L’utilizzo flessibile delle risorse umane, infatti, consente di realizzare risparmi eccellenti sia in relazione alla collettività sociale, che 50 Per GIORDANO un sistema informativo non comprende soltanto materiale di documentazione, ma anche risorse umane e norme (Giordano S., «L'Information technology e la riforma della pubblica amministrazione», in L'Amministrazione Italiana, Roma, 1997, n. 9, p. 1318 ss.) 51 GAETA ritiene che la modalità domiciliare di svolgimento del telelavoro, non sia particolarmente conveniente per le amministrazioni pubbliche, ma è da considerarsi ipotesi del tutto marginale («Il regolamento sul telelavoro nelle pubbliche amministrazioni» in RAGIUSAN: Rivista giuridica della sanità, 1999, fasc. 185, p. 317 ss.) 23 nei confronti della singola amministrazione che vi fa ricorso 52. Per modificare il rapporto tra lavoro e tempo non è però necessario arrivare fino alla diminuzione dell’orario di lavoro (come avviene nel part- time): è sufficiente infatti eliminare il cd. «tempo costretto», quello cioè dedicato agli spostamenti che può, invece, essere dedicato ad attività liberamente scelte. Ciò è consentito sicuramente dal telelavoro, il quale permette di adattare il tempo di lavoro ai propri bioritmi e alle esigenze della famiglia: risulta evidente che, da parte delle lavoratrici, non si aspira in realtà ad un tempo di lavoro flessibile, ma piuttosto ad un tempo di lavoro svincolato. Molte amministrazioni in quest’ultimo decennio hanno sperimentato il telelavoro: si pensi a Tecnopolis quale progetto atto a sperimentare un programma di telelavoro promosso dal Ministero del lavoro con il finanziamento della legge n. 125/1991 53 che ha coinvolto circa 30 persone prevalentemente di sesso femminile; ancora il comune di Roma nel 1996 con il progetto Roma-Tra.De., che ha coinvolto circa 50 dipendenti, ha dato la possibilità di telelavorare da casa o da centri satelliti; la stessa Provincia Autonoma di Bolzano Alto-Adige il 10 marzo 1997 ha approvato una delibera che prevede la possibilità per 25 dipendenti di lavorare da casa. Tra molteplici esperienze, particolare successo ha riscontrato il progetto IRIDE proposto dall’Università degli Studi di Verona il quale ha integrato perfettamente gli scopi di razionalizzazione dell’organizzazione del lavoro previsti dalla normativa e la flessibilità della prestazione per particolari esigenze dei lavoratori e delle lavoratrici realizzando così un’azione positiva. L’Ateneo veronese è firmatario dell’accordo di programma del Dipartimento della Funzione Pubblica del 14 maggio 1999 (allegato n. 1) all’interno del quale, in particolare, svolge ruolo di coordinamento per i progetti «telelavoro-azione positiva» e per i progetti in ambito universitario. Il fine esplicito di questo interessante progetto è quello di agevolare i dipendenti impegnati nel lavoro di cura ed i soggetti portatori di handicap mettendoli comunque in grado di partecipare alle attività lavorative senza perdere di vista però le esigenze primarie di disponibilità di tempo da gestire in modo autonomo. Comunque anche dopo la stipula dell’Accordo quadro nazionale sul telelavoro nelle Pubbliche Amministrazioni del 23 marzo 2000 ( allegato n. 2) numerose sono le resistenze nei confronti di tale forma lavorativa 54: deriverebbero in parte dai timori degli stessi dipendenti di essere soggetti a controlli più puntuali e penetranti dovuti all’allontanamento dai centri decisionali, e dalla perdita dei rapporti informali con colleghi/e e superiori, che si ripercuoterebbero a loro volta sull’isolamento e probabilmente sulle prospettive di carriera degli stessi; dall’altra, dalle perplessità dei dirigenti che, di fronte alla novità della forma lavorativa in questione, si troverebbero nella difficoltà di sviluppare nuovi strumenti di valutazione e di controllo dei dipendenti, compito reso peraltro difficile dalle resistenze culturali e metodologiche degli stessi. Questo è, inoltre, reso più gravoso dalla stessa cultura organizzativa, burocraticamente poco orientata ai risultati, abituata a valutare il lavoro sulla base della presenza più che sul raggiungimento reale degli obiettivi e dalla massiccia presenza di profili professionali culturalmente inadeguati ad interfacciarsi con i nuovi sistemi di comunicazione on-line. L’Università degli Studi di Milano – Bicocca presso la quale presto servizio preferisce invece puntare per la conciliazione dei tempi di vita quotidiana e di lavoro (similmente a molti altri Atenei del Centro-Nord) sullo strumento della flessibilità dell’orario di lavoro, con com- 24 52 Delors afferma nel Libro Bianco redatto nel dicembre 1993: «Lo sviluppo economico e sociale in Paesi maturi è sempre più condizionato alla capacità di assicurare un contesto di infrastrutture e servizi favorevoli all'incremento della produttività economica e dell'occupazione». 53 La legge 10 aprile 1991, n. 125 reca norme riguardanti le azioni positive per la realizzazione della parità uomodonna nel lavoro. 54 Vi sono numerosi Enti Pubblici che, oltre a non avere sperimentato il telelavoro, non hanno nemmeno previsto accordi programmatici per regolamentarlo in futuro. pensazione mensile o settimanale, pari a un cumulo di 36 ore settimanali di attività lavorativa «regolare». Non possiamo però prescindere dal fatto che l’autonomia e la libertà concesse da questo metodo al singolo lavoratore possono tramutarsi a volte, in base al vissuto quotidiano di ognuno, in isolamento e in una dislocazione eccessiva dei carichi di lavoro fino ad arrivare, estremizzando, ad uno scarso riconoscimento degli sforzi fatti dai singoli lavoratori o dalla singole lavoratrici. Sicuramente l’adattamento culturale alle novità tecnologiche ed organizzative è più lento rispetto alle innovazioni tecnologiche stesse: per gli Enti Pubblici risulta fondamentale adottare e scegliere, non tanto la tecnologia più avanzata, quanto quella maggiormente capace di ottimizzare i processi, distribuire e condurre le informazioni a costi contenuti; quella in grado di innalzare il livello di efficienza, migliorando la qualità della vita nella sanità, nel lavoro, nei trasporti e più in generale nei vari settori amministrativi pubblici di rilevanza fondamentale. 4. La leadership femminile nelle prospettive del telelavoro Dopo un lungo periodo, nel quale la convinzione dei pubblici funzionari che il metodo di lavoro utilizzato nella Pubblica Amministrazione, ricalcante il modello legale del procedimento amministrativo, dovesse essere un fattore rigido ed immutabile 55, con l’articolo 4 della legge 16 giugno 1998, n. 191, il legislatore permette alle scelte e alle tecniche di tipo manageriale, rimaste da sempre escluse, totalmente o quasi, dall’agire amministrativo, di diventare un tipico connotato delle Amministrazioni Pubbliche guadagnando un più ampio spazio di autonomia decisionale. Lentamente la Pubblica Amministrazione si mostra sensibile ad una valutazione del lavoro svolto in termini di risultato e non più solo in base alla quantità di ore effettivamente lavorate e nasce l’esigenza di adeguarsi alle varie tecnologie informatiche. La stessa legge n. 191/98 si inserisce in un contesto, non solo di mero snellimento, ma di vera e propria razionalizzazione dei servizi introducendo il criterio di valutazione basato sull’analisi costi-benefici, richiedendo ai dirigenti amministrativi conoscenze, oltre che giuridiche, anche economiche e finanziarie. Il tutto deve portare quindi ad operare non più solo per aumentare la quantità di lavoro svolto (secondo un principio gerarchico che ricalca i modelli di Taylor e di Ford), ma, soprattutto, in vista di un miglioramento della qualità del lavoro stesso: accrescimento qualitativo della vita del lavoratore e sviluppo qualitativo del servizio erogato. Per fare questo è necessario però rafforzare la leadership soprattutto al femminile delle organizzazioni pubbliche nei processi di cambiamento. Questo anche in virtù dell’epocale trasformazione che sta caratterizzando il mercato del lavoro in questi ultimi decenni frutto della crescente presenza in esso di donne. La domanda di lavoro si sta orientando all’universo femminile proprio per effetto dei cambiamenti nella tecnologia e nella struttura stessa del sistema economico 56. L’ingresso delle donne nel mondo del lavoro è infatti oggi facilitato dal rilevante peso assunto dal lavoro impiegatizio e intellettuale rispetto a quello operaio e manuale. Un nuovo ruolo spetta dunque ai nostri manager ed alle nostre manager, i quali si troveranno a gestire strutture all’interno delle quali i contatti saranno sempre di tipo più virtuale, mentre le responsabilità sui servizi erogati ed in genere sui risultati continueranno ad essere reali 57. Il controllo sui sottoposti non si baserà più sulla presenza o sulla deferenza, ma sulla qualità del lavoro prodotto. 55 La tendenza era quella di rispettare le fasi del procedimento amministrativo considerando quest’ultimo non come il semplice strumento per il raggiungimento del fine, ma come obiettivo in sé stesso. 56 Cfr. FORNEGO G. , «Il lavoro delle donne» in La libertà delle donne in Europa e nel mediterraneo, 2003, p. 329 ss. 57 Per approfondimenti sulla nuova realtà cfr. CECORA G., «Le modificazioni dei principali istituti dell'impiego pubblico introdotte dai primi contratti collettivi di diritto comune», in Dall'impiego pubblico al rapporto di lavoro con le pubbliche amministrazioni, Milano, 1999, p. 25 ss. 25 I dirigenti stessi, secondo quanto previsto dal Decreto n. 70/99, potranno esercitare a distanza la propria funzione, e questo è un aspetto che li mette in condizione di verificare in prima persona i vantaggi ma anche le difficoltà nelle quali va ad impattare un telelavoratore. Questo nuovo assetto si pone come un efficace strumento diretto a favorire l’aumento della presenza delle donne nelle posizioni decisionali soprattutto prendendo atto che alle organizzazioni occorrono diversi tipi di leadership le quali non si basano assolutamente su caratteristiche ben definite, ma il punto fondamentale risiede nella malleabile propensione al risultato. L’elemento però che è stato maggiore causa di scontro tra le forze appartenenti ai vari livelli, è rappresentato dalla redazione del progetto, che spetta al dirigente di vertice dell’amministrazione. Le fonti normative primarie attribuiscono interamente al dirigente la facoltà di redigere il progetto, provvedendo a dettarne, in modo particolareggiato, gli elementi indispensabili per permettergli di agire seguendo criteri predefiniti. La particolare fattispecie lavorativa del telelavoro pone il ruolo dirigenziale in una diversa prospettiva di carattere manageriale, perfettamente in sintonia con le esigenze di rinnovamento dell’agire e della mentalità amministrativi. Il nuovo ruolo dirigenziale, in virtù degli articoli 4, comma 1 e 10, del d. lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, prevede amplissime competenze in tema di organizzazione e gestione del personale che ora si traduce nel tenere sempre più in considerazione che le organizzazioni sono composte da donne e da uomini, questo soprattutto nel momento in cui si impostano politiche formative e di sviluppo del personale. Anche nel telelavoro, in qualità di tipologia alternativa della prestazione lavorativa di natura flessibile, la dirigenza gioca un ruolo decisivo ai fini di una corretta realizzazione concreta del progetto: l’articolo 3, comma 1 del decreto n. 70/99, collega l’introduzione di forme di telelavoro alla relativa proposta formulata dai «responsabili degli uffici dirigenziali generali o equiparati «. Anche la approvazione finale dell’intero progetto è affidata al dirigente/responsabile del servizio, ai sensi del comma 3 dell’articolo appena citato. E’ proprio attraverso l’attività di analisi organizzativa e l’applicazione di indicatori di monitoraggio da parte del responsabile di progetto che possono essere stabilite le modalità ottimali di pianificazione dei tempi di consegna delle pratiche, ed il carico di lavoro quotidiano o settimanale. Il telelavoro assume così un ruolo fondamentale per garantire la possibilità di svilupparsi, in condizioni di efficienza, ad un’organizzazione che utilizzi prassi di groupware attivo. 26 5. Conclusioni Il telelavoro è considerato uno degli strumenti con cui poter rinnovare l’agire amministrativo pubblico, rendendolo maggiormente veloce e di più elevata qualità; infatti, oltre che a favorire il processo di modernizzazione della Pubblica Amministrazione, ne consente anche la semplificazione dei vari procedimenti. Il telelavoro non costituisce una nuova professione che si affaccia alle soglie del nuovo millennio, rappresentando invece una forma alternativa di lavoro che permette lo sviluppo di una cultura della gestione del personale in un’ottica di genere. Tale figura è un fenomeno coerente con l’evoluzione del mondo del lavoro e perfettamente rispondente alle esigenze della donna moderna: non si tratta quindi di una realtà avulsa dal contesto sul quale va ad incidere, ma è l’inevitabile prodotto dell’attuale congiuntura socioeconomica. Abbiamo inoltre visto come una lettura dello sviluppo di nuove flessibilità di lavoro in un’ottica di genere valorizzi sia le donne che gli uomini di una organizzazione e potenzi l’efficacia e l’efficienza della stessa Amministrazione in cui essi operano. Le differenze individuali, infatti, debbono rappresentare un elemento su cui puntare in risposta ad un cambiamento che richiede sempre di più nuovi approcci metodologici e nuove sensibilità. E’ infatti risaputo che la rigidità del lavoro non ha mai consentito lo sviluppo di processi di innovazione, costringendo di contro le donne a «mascolinizzarsi» azzerando completamen- te ogni loro significativo contributo al cambiamento del modo di lavorare. Il telelavoro introdurrebbe una efficace libertà di organizzazione gestionale che permetterebbe sicuramente un corretto bilanciamento fra vita e lavoro (c.d. work life bilance) e potrebbe a sua volta risvegliare nella donna lavoratrice la volontà di dare un contributo originale e non omologato all’attività lavorativa. Oggi appare dunque necessario attuare non solo normativamente, ma anche sostanzialmente quella che la dottrina definisce come la «seconda privatizzazione» del lavoro pubblico che, pur ispirandosi alla idea originaria della ricerca di sfere di attribuzioni e competenze ben distinte tra gli organi politici da un lato e la dirigenza amministrativa dall’altro, ha introdotto un elemento di rilevante novità: si è affermata la cd. «organizzazione per obiettivi» la quale presuppone un controllo dei risultati piuttosto che dei processi. Ciò che conta è quindi che un determinato obiettivo sia centrato, non in che modo o in quanto tempo (almeno entro certi limiti) ciò avvenga. Questa tendenza, pur interessando tutto il mondo produttivo, è particolarmente avvertibile nei settori a più alta specializzazione. Questo nuovo tipo di organizzazione è attuabile anche quando in Amministrazione sono presenti dei telelavoratori, anzi è l’unica forma organizzativa compatibile con il lavoro a distanza, che consente solamente un controllo ex post della prestazione, se non si vuole cadere nel divieto di controllo a distanza sancito dall’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori. Come conseguenza delle osservazioni fin qui svolte ci si aspetterebbe per il telelavoro una diffusione massiccia e molto rapida in ogni settore produttivo. Ciò, invece, soprattutto in Italia, non si è verificato. La spiegazione a questo fatto può essere trovata osservando che, mentre i vantaggi portati dal telelavoro agli individui e alla società nel suo complesso sono evidenti e immediatamente quantizzabili (numero di ore guadagnate eliminando il pendolarismo, possibilità di lavoro date a donne gravate da carichi familiari, diminuzione della congestione del traffico, libertà nell’organizzare la propria giornata), i vantaggi portati all’Amministrazione sono di difficile individuazione e soprattutto sono avvertibili solo nel lungo periodo. Una valutazione conclusiva del fenomeno telelavoro porterebbe a sostenere che esso non è essenzialmente una questione tecnica (i mezzi dell’informatica e della telematica attualmente a disposizione ne permetterebbero la diffusione) ma è in sostanza una questione sociale: esso infatti mette in discussione le abitudini individuali, i diversi sistemi di funzionamento dell’organizzazione aziendale e le prospettive relative alla politica del territorio. Si è voluto dimostrare, da una parte, come il telelavoro costituisca uno strumento in grado di accelerare il difficile processo di innovazione non soltanto organizzativa ma anche culturale della Pubblica Amministrazione. Si è mostrato, per un altro verso, come il telelavoro rappresenti per l’amministrazione un efficace strumento per procedere alla razionalizzazione e alla semplificazione delle procedure amministrative. E’ stato evidenziato, infine, come lo svolgimento delle attività di telelavoro, essendo vincolato al raggiungimento di obiettivi stabiliti dalla dirigenza, consenta alle Amministrazioni Pubbliche, attraverso una spesa contenuta, di ottenere un notevole recupero di efficienza, e soprattutto di incrementare il livello di produttività del personale dipendente specialmente femminile. Riferimenti Bibliografici AA. 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In definitiva vi sono vincoli nella società d’oggi che impediscono l’affermarsi della qualità nei rapporti umani che attraverso tre componenti rilevanti quali l’interscambio, la solidarietà e la cooperazione dovrebbero portare a prevenire e riassorbire gli stati di disagio e abbandono sociale. Le nuove forme di emarginazione sociale si manifestano nel momento in cui si espellono dai processi di integrazione nella società i soggetti più deboli. Sulla base di quanto affermato sopra diventa preminente una visione integrata di tutti i servizi pubblici e il costante riferimento al concetto di solidarietà mettendo in luce la stretta correlazione del variegato panorama di essi con il terzo settore e il volontariato: un aspetto di rilevante importanza per progettare efficienti piani di coordinamento dei tempi di vita dei cittadini che riducano le disuguaglianze sociali.. Vi sono individui che per loro caratteristiche intrinseche sono più deboli ed hanno maggiori difficoltà di integrazione nella società e forti rischi di emarginazione sociale. Si pensi agli adolescenti a rischio, quelli senza padri ne maestri che hanno difficoltà a costruire una loro identità e alle ragazze madri che a volte trovano difficoltà nel conciliare i loro tempi di lavoro e di vita rendendo difficile seguire con pienezza il rapporto con i figli. Al disagio minorile dovuto all’abbandono scolastico, alla crisi famigliare dovuto a separazioni e divorzi, ai grossi problemi di comunicazione della società odierna e alla ribellione all’esclusione e alla privazione di rapporti validi e significativi con la società. Agli anziani la cui vita media si è allungata, ma se da un lato questo è un motivo di soddisfazione dall’altro ciò deve essere una condizione affinché la persona anziana sia vista non come un problema, ma come una risorsa per la società. In questo ambito di emarginazione sociale non dobbiamo dimenticare gli immigrati, i sofferenti psichiatrici e la prostituzione, insomma il campo è vasto e variegato. Questi gruppi di emarginazione sociale manifestano uno dei bisogni fondamentali per l’uomo che è il bisogno di relazione. Questo bisogno emerge in tutta la sua virulenza dal processo di esclusione e di abbandono messo in atto dalla comunità civile; il superamento di questo processo può avvenire soltanto attraverso la partecipazione alle istituzioni e alla vita comunitaria. Se manca una risposta a questo bisogno di relazione dell’individuo attraverso la partecipazione il rischio frequente a cui si incorre è quello dell’emarginazione e quindi di una assoluta mancanza di integrazione nella vita in comunità. Bisogno di relazione e partecipazione debbono quindi interagire fra loro per migliorare il rapporto tra l’individuo e la società perseguendo l’obiettivo di una qualità della vita di alto livello. In questo quadro diventa rilevante il ruolo del terzo settore e del volontariato che ha avuto in Italia un grosso exploit nell’ultimo decennio grazie anche alle tre leggi quadro che lo riguardano: La «Legge quadro sul volontariato» dell’11 agosto 1991, n. 266 La «Disciplina delle cooperative sociali» dell’8 novembre 1991, n. 381 La «Disciplina delle associazioni di promozione sociale» del 7 dicembre 2000, n. 383 29 D’altra parte già con la legge sulle autonomie locali, la 142/90, poi sostituita con il D.lgs, 18 agosto 2000, n. 267 «Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali», si individua le organizzazioni di volontariato e le imprese sociali come interlocutori privilegiati degli enti locali nella gestione dei servizi e nella sperimentazione di attività di interesse della comunità. Vi è da rilevare comunque che il quadro legislativo oggi corrente in Italia tenta in qualche modo di combattere l’emarginazione sociale, basti ricordare le «Norme per l’esercizio delle funzioni socio-assistenziali» della legge regionale del Piemonte, la 62/95: essa danno indicazioni precise sugli interventi nei diversi campi di disagio sociale (assistenza economica, assistenza domiciliare, assistenza educativa educativa-territoriale, assistenza alla persona disabile, all’affidamento presso famiglie e comunità, interventi per minori, centri diurni, etc.). In questo contesto vi è da aggiungere la rilevante importanza costituita dalle due leggi quadro sui servizi sanitari che rispondono nel loro ambito a diversi problemi di emarginazione: La «Legge quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate» del 5 febbraio 1992, n. 104; La «Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali» del 8 novembre 2000, n. 328. Quest’ultima legge in particolare non si limita a trattare l’assistenza sociale e socio-asistenziale, ma detta i principi per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali come espresso nel titolo della stessa. D’altra in essa si pone l’obiettivo di favorire l’interazione tra il volontariato, le politiche sociali e i servizi sanitari favorendo la conciliazione dei tempi di vita dei cittadini: quelli del lavoro, dello studio e del tempo libero. In questo senso vale la pena riprendere e sottolineare alcuni punti della 328/2000: art.3: «La programmazione e l’organizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali compete agli enti locali, alle regioni, ed allo stato…secondo i principi sussidiarietà, cooperazione, efficacia, efficienza ed economicità…»; art. 4: «Gli enti locali, le regioni e lo stato, nell’ambito delle rispettive competenze,, riconoscono e regolano il ruolo degli organismi non lucrativi di utilità sociale, delle associazioni e degli enti di promozione sociale, delle fondazioni e degli enti di patronato, delle organizzazioni di patronato, degli enti riconosciuti delle confessioni religiosi con le quali lo stato ha stipulato patti, accordi o intese operanti nel settore della programmazione, nella organizzazione e nella gestione del sistema integrato di interventi e servizi sociali»; art. 5: Questo articolo riprende i soggetti del precedente articolo sottolineando come gli stessi partecipano alla gestione ed all’offerta dei servizi in «…in qualità di soggetti attivi nella progettazione e nella realizzazione concertata»; naturalmente questo sistema integrato di interventi e servizi sociali deve avere come obiettivo primario «…la promozione della solidarietà, con la valorizzazione delle iniziative delle persone, dei nuclei familiari, delle forme di auto-aiuto e di reciprocità e della solidarietà organizzata». 30 Questo quadro normativo mette in luce come le organizzazioni del terzo settore vengono sempre più riconosciute come promotrici di attività volte all’interesse generale e come strumenti di partecipazione e di relazione; d’altro canto si rileva l’importanza della concertazione per la programmazione dei servizi e il favorire lo sviluppo dal basso dell’iniziativa dei cittadini, delle associazioni, del volontariato e delle imprese fondandosi su due aspetti: da un lato sull’autonoma capacità dei soggetti di «fare qualità» e dall’altro su una visione condivisa degli elementi qualificanti dei servizi sociali. Non vi è dubbio che qualsiasi intervento nei servizi sociali comporta in se qualità degli stessi e quindi per la tutela delle persone che ne usufruiscono è necessario che vi sia la qualità del lavoro impiegato e ciò implica una progettualità integrata fra i servizi per l’impiego, i servizi per la formazione professionale e i servizi alla persona, questo vale naturalmente anche per tutta la miriade di persone del volontariato. E’ indubbio le leggi sopra delineate rispondono alle finalità della legge 53/2000 e della regionale del Piemonte, la 52/95: questa, in modo particolare, già prima della 53/2000, definiva norme e criteri per l’attuazione di Piano di coordinamento del Tempo e dello Spazio e della costituzione di Banche del Tempo riconoscendo e promuovendo come finalità «…i diritti dei cittadinanza delle donne e degli uomini nel rispetto delle culture di appartenenza…». In particolare queste finalità riguardano una migliore articolazione dei tempi di lavoro, della vita di relazione, della cura delle persone, della crescita culturale e dello svago che portino, quindi, al governo efficiente dei tempi di vita personale e sociale. Non vi è dubbio che il volontariato e il terzo settore sono in grado di armonizzare al meglio i tempi di vita e le relazioni sociali, non solo nell’ambito degli orari dei servizio pubblici e privati, ma anche nel miglioramento della fruibilità di tutti quei servizi destinati alla cura delle persone che sono parte integrante della solidarietà e dell’attività di volontariato. Le finalità sopra descritte, alle quali si aggiunge la promozione delle pari opportunità attraverso «…una diversa organizzazione del lavoro, l’equilibrio tra responsabilità famigliari e professionali e una migliore ripartizione di tali responsabilità tra i due sessi» (dalla L.R. 52/95 della regione Piemonte), s’inseriscono perfettamente nella realizzazione di un sistema integrato di interventi e servizi sociali come definito dalla legge 328/2000 La «Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali» di cui abbiamo sottolineato sopra alcuni punti rilevanti. 31 Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte Sent. n. 882/07 - R.G. 1044-05 - I sezione - ha pronunciato la seguente SENTENZA 32 sul ricorso n. 1044-05, proposto da Bonifica Spa, in persona del legale rappresentante pro tempore, in proprio e quale mandataria capogruppo della costituenda Associazione Temporanea di Imprese con SPC Srl, Studio Croci e Associati, Ing. Giorgio Croci; SPC Srl, in persona del legale rappresentante pro tempore, Studio Croci e Associati, in persona del titolare; Ing. Giorgio Croci, rappresentati e difesi dagli avv.ti Emilio Betti, Riccardo Barberis e Alessandra Carozzo ed elettivamente domiciliati presso lo studio di quest’ultima, in Torino, via Avogadro n. 26, contro il Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici del Piemonte, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’ Avvocatura Distrettuale dello Stato di Torino, presso la quale domicilia, in corso Stati Uniti n. 45, e nei confronti di prof. ing. Giorgio Macchi; dott. ing. Stefano Macchi; dott. ing. Giancarlo Gonnet; Sintecna srl, in persona del legale rappresentante, rappresentati e difesi dall’ avv. Riccardo Montanaro ed elettivamente domiciliati presso lo Studio Legale Montanaro e Associati in Torino, via del Carmine n. 2, per l’annullamento, previa sospensione, del provvedimento 4.7.2005 di ammissione alla gara e di aggiudicazione provvisoria ai controinteressati dell’appalto per i servizi di ingegneria per la riabilitazione strutturale della Cappella della Sindone in Torino, comunicato alla ricorrente con nota prot. 8284/05 del 22.7.2005; di ogni altro provvedimento preliminare, consequenziale e comunque connesso a quello oggetto di impugnazione, ivi compresa la aggiudicazione definitiva dell’appalto e la stipula del contratto. Visto il ricorso con i relativi allegati; Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero intimato; Vista l’ordinanza di questo TAR n. 499 del 2 settembre 2005; Vista l’ordinanza del Consiglio di Stato in data 15.11.2005, n. 5558; Visti tutti gli atti di causa; Relatore il dott. Paolo Lotti; Uditi, alla pubblica udienza del 21 febbraio 2007, per la parte ricorrente l’avv. Coscia per delega dell’avv. Carozzo, per l’Amministrazione resistente, l’avv. Carotenuto e, per i controinteressati, l’avv. Ingicco per delega dell’avv. Montanaro. FATTO Parte ricorrente espone che il Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici del Piemonte, aveva pubblicato un bando di gara per l’affidamento, mediante pubblico incanto, dei servizi di ingegneria per la riabilitazione strutturale della Cappella della Sindone in Torino ai sensi dell’art. 65 del DPR 554/1999 e del D. Lgs. 157/1995 e s.m.i. L’oggetto dell’appalto consisteva nel conferimento dell’incarico professionale per la progettazione preliminare, definitiva ed esecutiva, compresa la prestazione di coordinamento per la sicurezza in fase di progettazione, la direzione dei lavori, compresa l’assistenza alle operazioni di collaudo e il coordinamento della sicurezza in fase di esecuzione, per le opere relative a interventi per la riabilitazione strutturale della Cappella della Sindone in Torino; della direzione dei lavori, dello svolgimento indagini preliminari alla redazione del progetto di riabilitazione strutturale in base al progetto già elaborato dalla Soprintendenza per i BB.AA. e il Paesaggio del Piemonte; della verifica del sistema di monitoraggio e degli incatenamenti provvisori del tamburo e dei sistemi di presidio già in opera. L’art. 8 del bando di gara stabiliva che non potevano partecipare alla gara: i membri della commissione giudicatrice, i datori di lavoro o coloro che abbiano qualsiasi rapporto di lavoro o collaborazione continuativa e notorio con gli stessi membri; coloro che hanno rapporto di lavoro dipendente con enti, istituzioni o amministrazioni pubbliche, salvo che essi siano titolati da autorizzazione specifica o comunque siano legittimati da leggi, regolamenti o contratti sindacali; coloro che partecipano alla stesura del bando o dei documenti allegati o che facciano parte dell’organizzazione per la partecipazione alla gara. Il medesimo art. 8 del bando di gara stabiliva, altresì, che vigono i divieti di cui all’art. 17, comma 9, della legge 109/1994, e cioè che «gli affidatari degli incarichi di progettazione non possono partecipare agli appalti o alle concessioni di lavori pubblici per i quali abbiano già svolto attività di progettazione; i divieti in esame sono estesi anche agli affidatari di attività di supporto alla progettazione…». All’esito della gara risultava aggiudicataria provvisoria del pubblico incanto per i servizi di ingegneria, con attribuzione di punteggio massimo, la costituenda associazione temporanea professionale tra: prof. ing. Giorgio Macchi, dott. ing. Stefano Macchi, dott. ing. Giancarlo Gonnet, Sintecna Srl. Secondo il ricorrente, il provvedimento di aggiudicazione risulta gravemente viziato per violazione delle prescrizioni della lex specialis contenute nell’art. 8 del bando di gara. Avverso il provvedimento di aggiudicazione ricorreva, pertanto, il raggruppamento ricorrente per i seguenti motivi: - Violazione e falsa applicazione dell’art. 8 del bando di gara in materia di requisiti di idoneità soggettiva dei concorrenti all’appalto gara. Violazione, sotto molteplici profili, delle prescrizioni inderogabili della lex specialis di gara. Violazione dei principi generali in materia di qualificazione dei concorrenti agli appalti pubblici. Violazione dei principi generali in materia di trasparenza e correttezza dell’azione amministrativa. Violazione dei principi generali in materia di parità di trattamento tra i concorrenti ad un appalto pubblico. Eccesso di potere per manifesta illogicità e contraddittorietà; ciò in quanto il provvedimento di aggiudicazione dell’appalto per cui è causa risulterebbe viziato e, quindi, meritevole di annullamento, per violazione delle indicazioni, poste a pena di esclusione dalla lex specialis di gara (art. 8 del bando di gara). Ricorda parte ricorrente che l’art. 8 del bando di gara così dispone: «non possono partecipare alla gara: a) i membri della Commissione giudicatrice, i datori di lavoro o coloro che abbiano qualsiasi rapporto di lavoro o collaborazione continuativa e notoria con gli stessi membri b) coloro che hanno rapporto di lavoro dipendente con enti, istituzioni o amministrazioni pubbliche, salvo che essi siano titolati da autorizzazione apposita o comunque siano legittimati da leggi, regolamenti o contratti sindacali c) coloro che partecipano alla stesura del bando o dei documenti allegati o che facciano parte della organizzazione per la gara d) a seguito del richiamo espresso all’art. 17, comma 9, della legge 109/1994 e s.m., debbono, poi, essere esclusi dalla procedura di gara coloro i quali abbiano già svolto attività di progettazione riferita alla medesima opera su cui deve svolgersi la progettazione oggetto dell’appalto ed anche coloro che siano già stati affidatari di incarichi d supporto alla progettazione medesima». Nella fattispecie, secondo il ricorrente, sussistono le cause di esclusione indicate dall’art. 8 del bando di gara, riguardanti tutele persone fisiche componenti la costituenda associazione professionale risultata aggiudicataria e cioè : prof. ing. Giorgio Macchi, dott. ing. Stefano Macchi, dott. ing. Giancarlo Gonnet. Le predette cause di esclusione riguarderebbero anche la società componente il predetto raggruppamento professionale (Sintecna Srl), giacché secondo il ricorrente, i profili di incompatibilità gravarono sull’amministratore delegato della medesima, ing. Paolo Napoli. In particolare, la collaborazione professionale intercorsa tra i componenti la ATI aggiudicataria e i membri della Commissione avrebbe riguardato, secondo il ricorrente, il Presidente 33 34 della Commissione, ing. Nascé, poiché, a seguito dell’incendio avvenuto in data 11.4.1997, che ha interessato la Cappella della Sindone, il Ministero per i Beni Culturali ed Ambientali, conferito ad una Commissione Prefettizia appositamente nominata poteri straordinari per la esecuzione di lavori di somma urgenza e di messa in sicurezza dell’opera, avrebbe incaricato ufficialmente l’ing. Paolo Napoli (amministratore delegato della Sintecna Srl, aggiudicataria dell’appalto di cui è causa) di predisporre il piano delle misure di sicurezza. L’ing. Napoli aveva predisposto il piano con la collaborazione del prof. Macchi (anche egli aggiudicatario dell’appalto di cui è causa). Nel mese di maggio 1997 veniva perfezionato l’incarico progettuale congiunto all’ing. Nascé (Presidente della Commissione giudicatrice dell’appalto di cui si discute), all’ing. Napoli (amministratore delegato della Sintecna Srl, aggiudicataria dell’appalto di cui è causa) e l’ing. Macchi (aggiudicatario dell’appalto di cui è causa a seguito di valutazione effettuata dalla Commissione presieduta dall’ing. Nascé) avente ad oggetto la definizione progettuale dei primi interventi di consolidamento, interni ed esterni, della Cappella; al gruppo di professionisti incaricati si aggiungeva l’ing. Gonnet (anche lui attuale aggiudicatario dell’appalto di cui è causa) quale consulente per la sicurezza di cui alla legge 494/1996. Risulterebbe evidente, pertanto, per il ricorrente, la sussistenza di rapporto di collaborazione professionale tra membri della commissione giudicatrice e concorrenti all’appalto espressamente vietato dall’art. 8 del bando di gara, lett. A e C; la circostanza risulterebbe vieppiù grave giacché si tratta di collaborazione professionale espletata in riferimento ad attività aventi ad oggetto la medesima opera cui si riferisce l’appalto di cui è causa. Inoltre, ricorda sempre il ricorrente, nell’autunno 1997, il prof. Macchi (attuale aggiudicatario dell’appalto) otteneva dalla Soprintendenza l’incarico ufficiale per il monitoraggio dei contrafforti esterni della cupola e del castello sommatale. La Soprintendenza aveva incaricato ufficialmente gli ingg. Napoli, Macchi e Nascé di sviluppare modelli matematici di calcolo a verifica della stabilità della struttura danneggiata (gli incarichi vengono svolti durante tutto il 1998 ed il 1999); anche in tal caso di tratterebbe, secondo il ricorrente, di calcoli e verifiche successivamente utilizzate per la predisposizione dei documenti tecnici di gara. Inoltre, la soprintendenza aveva incaricato ufficialmente l’ing. Napoli di predisporre il progetto preliminare per le opere di consolidamento strutturale della Cappella e negli anni 2001 e 2003, erano stati affidati incarichi per i rilievi strutturali e architettonici allo studio Sintecna (aggiudicatario dell’appalto oggetto del presente giudizio) e l’ing. Napoli prendeva parte, espone il ricorrente, insieme a funzionari della Soprintendenza locale, a tutte le fasi di preparazione e illustrazione della gara per la diagnostica e la referenziazione geostrutturale e la inventariazione dell’apparecchio lapideo in sito. Avverso il provvedimento di aggiudicazione definitiva, successivamente intervenuto, ricorreva il raggruppamento ricorrente per i seguenti motivi in diritto: - Violazione e falsa applicazione dell’art. 8 del bando di gara in materia di requisiti di idoneità soggettiva dei concorrenti all’appalto gara. Violazione, sotto molteplici profili, delle prescrizioni inderogabili della lex specialis di gara. Violazione dei principi generali in materia di qualificazione dei concorrenti agli appalti pubblici. Violazione dei principi generali in materia di trasparenza e correttezza dell’azione amministrativa. Violazione dei principi generali in materia di parità di trattamento tra i concorrenti ad un appalto pubblico. Eccesso di potere per manifesta illogicità e contraddittorietà. Secondo il ricorrente, il provvedimento di aggiudicazione dell’appalto per cui è causa risulta gravemente viziato e, quindi, meritevole di annullamento, per violazione delle indicazioni, poste a pena di esclusione, della lex specialis di gara (art. 8 del bando di gara). Si costituivano l’Amministrazione intimata e i controinteressati chiedendo il rigetto del ricorso. Con ordinanza di questo TAR n. 499 del 2 settembre 2005 veniva respinta l’istanza di sospensione cautelare del provvedimento impugnato; Con ordinanza del Consiglio di Stato in data 15.11.2005, n. 5558 veniva confermata la suddetta ordinanza. Alla pubblica udienza del 21 febbraio 2007 il ricorso veniva posto in decisione. DIRITTO Ritiene il Collegio che il ricorso sia infondato. L’orientamento della giurisprudenza amministrativa esclude, infatti, che possano sussistere situazioni di incompatibilità tra un componente della Commissione giudicatrice ed i soggetti partecipanti alla gara quando l’attività professionale svolta si sia esaurita, come nella specie, anche perché sarebbe «incongruo imporre che colui che ha avuto rapporti d’affari, in questo caso professionali, con un altro soggetto, debba poi astenersi dal giudicarlo in veste di commissario di gara, per un numero indeterminato di anni» (cfr. TAR Piemonte, Sez. II, 16 settembre 2000, n. 989; TAR Piemonte, Sez. I, 27 maggio 2003, n. 764, confermata dal Consiglio di Stato, Sez. VI, 13 febbraio 2004, n. 563). In effetti, i rapporti di collaborazione tra i soggetti in questione, terminati da tempo, sono del tutti ininfluenti rispetto alla gara in oggetto. Infatti, con ordinanza n. 2555 del 14 aprile 1997, il Ministero dell’Interno, con i poteri di Protezione Civile, aveva disposto i primi interventi urgenti conseguenti all’incendio del Duomo e del Palazzo Reale, disponendo la nomina del Prefetto di Torino, in qualità di Commissario delegato. In esecuzione dell’Ordinanza ministeriale e per fare fronte all’emergenza è stato conferito incarico di progettazione di tali interventi urgenti al prof. ing. Giorgio Macchi, al prof. ing. Paolo Napoli e al prof. ing. Vittorio Nascé (convenzione rep. n. 238 del 22 aprile 1997 con la Prefettura di Torino), incarico esaurito il 21 luglio 1997; nonché incarico di progettazione al prof. ing. Paolo Napoli e al prof. ing. Vittorio Nascé (Convenzione rep. n. 305 del 19 novembre 1997 con la Prefettura di Torino), incarico esaurito il 28 gennaio 1998. Il riferimento ad anni successivi contenuto nel ricorso circa presunti incarichi collaborativi anche recenti tra i suddetti soggetti non trova nessun riscontri probatorio negli atti prodotti da parte ricorrente. Si deve, inoltre, osservare che l’art. 8 del bando di gara si limita a stabilire che «vigono i divieti di cui all’art. 17, comma 9 della legge 1009/1994 s.m.i.». L’art. 17 comma 9 della l. 109/1994 s.m.i. esclude che gli affidatari di incarichi di progettazione possano partecipare agli appalti o alle concessioni di lavori pubblici, per i quali abbiano svolto la suddetta attività di progettazione. La disposizione richiamata non riguarda, dunque, la gara di progettazione, ma esclusivamente il successivo affidamento dei lavori (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 7 novembre 2003, n. 7130; Autorità per i Lavori Pubblici, determinazione n. 4 del 12 febbraio 2003). La presente gara affida i soli servizi di progettazione, con esclusione dell’esecuzione di lavori. La disposizione richiamata è di stretta interpretazione e non prevede alcun tipo di esclusione dalla gara per i Professionisti che in passato abbiano ricoperto incarichi di progettazione sul medesimo edificio. Secondo il Consiglio di Stato, sezione VI, 13 febbraio 2004, n. 561, l’affidatario dell’incarico della progettazione preliminare può partecipare anche all’appalto per il servizio di progettazione definitiva ed esecutiva, dovendosi ritenere, alla luce dell’art. 17, comma 14sexies, della legge n.109/1994 e successive modifiche, che il legislatore abbia privilegiato un criterio di continuità nello svolgimento delle varie fasi della progettazione - prevedendo il solo divieto per gli affidatari degli incarichi di progettazione di partecipare alla gara per l’affidamento dell’opera, norma che soggiace ad un’interpretazione restrittiva in quanto limitativa della libertà di iniziativa economica e dell’esplicazione delle dinamiche concorrenziali. Secondo altra pronuncia (Consiglio di Stato, Sez. V, 20 settembre 2001, n. 4968), al professionista che ha redatto il progetto preliminare può essere affidato anche l’incarico concernente la progettazione definitiva ed esecutiva, non ostandovi alcuna norma di legge e sempre che il bando non contempli espressamente una tale causa di esclusione dalla procedura. 35 Infine, si osserva che il documento recante «Interpretazione delle indagini diagnostiche delle strutture murarie» predisposto dal prof. ing. Giorgio Macchi e prodotto dai ricorrenti (doc. 6) si riferisce ad uno studio del professionista sulla Cappella ed è stato condotto a seguite di problematiche (distacchi murari) sorte in epoca anteriore all’incendio, non connesse pertanto all’incarico di progettazione oggetto dell’appalto. Il ricorso deve, pertanto, essere respinto in quanto infondato. Sussistono giusti motivi per compensare le spese di lite. P. Q. M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte - I sezione - definitivamente pronunciando, respinge il ricorso in epigrafe indicato. Compensa tra le parti le spese del giudizio. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa. Così deciso in Torino nella Camera di Consiglio del 21 febbraio 2007, con l’intervento dei signori magistrati: - Alfredo GOMEZ DE AJALA - Presidente - Bernardo BAGLIETTO - Consigliere - Paolo LOTTI - Primo Referendario, estensore. 36 PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI CIRCOLARE 1 Marzo 2007 Principi da applicare, da parte delle stazioni appaltanti, nella scelta dei criteri di selezione e di aggiudicazione di un appalto pubblico di servizi. (GU n. 111 del 15-5-2007 ) Dipartimento per le politiche europee Gli uffici della Commissione europea - Direzione generale per il mercato interno - hanno segnalato al Governo italiano dei casi nei quali stazioni appaltanti italiane, nel redigere i bandi di gara, hanno preso in considerazione, come criteri per individuare l’offerta economicamente più vantaggiosa, requisiti che attengono alla capacità tecnica del prestatore anziché alla qualità dell’offerta, in violazione della normativa comunitaria applicabile in materia. In particolare, è stato constatato che in un numero considerevole di gare, segnatamente per l’attribuzione di appalti di servizi, gli elementi presi in considerazione come criteri di aggiudicazione si riferiscono piuttosto alla fase di selezione del prestatore. Preso atto delle argomentazioni giuridiche poste a fondamento dei rilievi avanzati dalla Commissione europea ed allo scopo di prevenire l’apertura di procedure di infrazione da parte della Commissione ed eventuali controversie giudiziarie davanti alla Corte di giustizia delle Comunità europee, si indicano qui di seguito le regole comportamentali alle quali dovranno attenersi le stazioni appaltanti nella materia di cui all’oggetto, alla luce dei principi e delle norme del diritto comunitario. In particolare, l’art. 44, comma 1, della direttiva 2004/18/CEE, dispone che: «L’aggiudicazione degli appalti avviene in base ai criteri di cui agli articoli 53 e 55, tenuto conto dell’art. 24, previo accertamento dell’idoneità degli operatori economici non esclusi in forza degli articoli 45 e 46, effettuato dalle amministrazioni aggiudicatrici conformemente ai criteri relativi alla capacità economica e finanziaria, alle conoscenze o alle capacità professionali e tecniche di cui agli articoli da 47 a 52 e, se del caso, alle norme e ai criteri non discriminatori di cui al paragrafo 3». Per giurisprudenza costante della Corte di giustizia, la distinzione tra criteri di idoneità, ovvero di «selezione dell’offerente», e criteri di aggiudicazione e quindi di «selezione dell’offerta» è rigorosa. Benché non sia escluso che l’accertamento dell’idoneità degli offerenti e l’aggiudicazione dell’appalto possano aver luogo simultaneamente, le due operazioni sono disciplinate da norme diverse. L’accertamento dell’idoneità degli offerenti deve essere effettuato dall’amministrazione aggiudicatrice in conformità ai criteri di capacità economica, finanziaria e tecnica di cui agli articoli da 47 a 52 della stessa direttiva. Lo scopo di questi articoli non è quello di limitare la competenza degli Stati membri a fissare il livello di capacità economica, finanziaria e tecnica richiesta dalla partecipazione alle varie gare d’appalto, bensì di stabilire quali sono le referenze probanti o i mezzi di prova che possono prodursi per dimostrare la capacità finanziaria, economica e tecnica dei fornitori. Per quanto riguarda, invece, i criteri che possono essere utilizzati per l’aggiudicazione di un appalto pubblico, l’art. 53 della direttiva 2004/18 stabilisce che le amministrazioni aggiudicatrici possono scegliere tra il prezzo più basso o l’offerta economicamente più vantaggiosa. Quando l’aggiudicazione è a favore dell’offerta economicamente più vantaggiosa, possono essere utilizzati diversi criteri variabili, ma collegati sempre ed esclusivamente all’oggetto dell’appalto. La scelta, in tal caso, è limitata e può riguardare soltanto i criteri effettivamente volti ad individuare l’offerta economicamente più vantaggiosa e non quelli relativi alla capacita’ del prestatore (Corte di giustizia, sentenza 20 settembre 1988 in causa 31/87 Beentjes; sentenza 19 giugno 2003 in causa C-315/01 GAT). Per quanto riguarda, in particolare, l’aggiudicazione degli appalti di servizi, si è posto il pro37 blema dell’utilizzo, ai fini della valutazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa, di elementi attinenti all’esperienza o alla qualifica professionale e, in generale, alla capacità tecnica, economica o finanziaria del prestatore (es. curriculum, licenze o certificazioni di qualita’ ovvero servizi analoghi prestati in precedenza). Tali elementi, in quanto attinenti alla capacità del prestatore di eseguire i servizi oggetto dell’appalto, possono essere utilizzati unicamente ai fini della selezione dei concorrenti. E’ nella fase di selezione, infatti, che l’amministrazione aggiudicatrice include i criteri che ritiene necessari al fine di accertare la capacità dell’offerente a provvedere al servizio in questione. Quindi, l’esperienza, la competenza, le referenze, i lavori già realizzati, le risorse disponibili sono elementi che possono essere utilizzati come criteri di selezione e non devono essere presi in considerazione nel momento di valutazione dell’offerta. L’offerta deve, invece, essere valutata in base a criteri che hanno una diretta connessione con l’oggetto dell’appalto e che servono a misurare il valore, ciò che esclude che si possa fare riferimento alle qualità soggettive dell’offerente. Pertanto, se l’aggiudicazione avviene in base al criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, si possono determinare la qualità ed il valore tecnico dell’offerta prendendo in considerazione elementi come il metodo e l’organizzazione del lavoro ovvero la composizione del team proposto per lo svolgimento del servizio. A questo stadio della procedura, invece, non è più possibile valutare elementi attinenti alla capacità dell’offerente ma solamente le modalità attraverso le quali il prestatore prevede di eseguire il servizio. Nel rispetto dei principi dell’ordinamento comunitario, si invitano, pertanto, tutte le amministrazioni interessate a conformarsi con effetto immediato alle ricordate prescrizioni in sede di redazione di tutti i bandi di gara e della relativa documentazione per l’aggiudicazione di appalti pubblici. Al fine di garantire lo sviluppo di una concorrenza effettiva e nel rispetto dei principi sanciti dal Trattato in materia di libertà di stabilimento e di libera prestazione di servizi, si ricorda, inoltre, che i criteri e le condizioni che si applicano a ciascuna gara devono costituire oggetto di un’adeguata pubblicità da parte delle amministrazioni aggiudicatrici. Per questo motivo, le amministrazioni aggiudicatrici, quando non adottano come unico criterio di aggiudicazione quello del prezzo più basso, ma si fondano su vari criteri al fine di procedere all’aggiudicazione dell’appalto in favore dell’offerta economicamente più vantaggiosa, sono tenute a menzionare questi criteri nel bando di gara o nel capitolato d’oneri. Si ricorda che la Commissione europea è già più volte intervenuta nei confronti del Governo italiano, sottoponendo a vaglio critico il comportamento di alcune stazioni appaltanti che nel corso di procedure di evidenza pubblica per l’aggiudicazione di appalti hanno pubblicato avvisi di gara in palese contrasto con il diritto comunitario. Poiché l’eventuale ripetersi di comportamenti simili da parte delle stazioni appaltanti, da ritenersi illegittimi per violazione delle regole comunitarie sopra descritte, potrebbe comportare condanne dello Stato italiano ai sensi dell’art. 228 del Trattato CE, con conseguente applicazione di sanzioni pecuniarie da parte dell’Unione europea, si invitano tutte le stazioni appaltanti ad attenersi scrupolosamente agli indirizzi operativi di cui alla presente circolare, con l’avvertenza che, in caso di inosservanza di siffatti obblighi, si incorrerà nella responsabilità amministrativa per danno all’erario, con consequenziali provvedimenti a carico dei pubblici funzionari che vi hanno dato causa. La presente circolare sarà pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana al fine di assicurarne una diffusa conoscenza sull’intero territorio nazionale. Roma, 1° marzo 2007 Il Ministro per le politiche europee: Bonino Registrata alla Corte dei conti il 5 aprile 2007 Ministeri istituzionali, Presidenza del Consiglio dei Ministri, registro n. 3, foglio n. 387 38 Determinazione 29 marzo 2007 n. 1 Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture. Partecipazione di concorrenti a gare di progettazione. (G.U. n. 97 del 27-4-2007) Considerato in fatto. L’OICE ha sottoposto a questa Autorita’ un quesito in merito alla trasparenza della partecipazione alle gare per servizi di progettazione. In particolare, l’OICE chiede un parere circa la legittima partecipazione ad una medesima gara di progettazione di un primo concorrente (societa’ non quotata in Borsa), componente di un’associazione temporanea di progettisti, e di un secondo soggetto, componente di altro raggruppamento, a sua volta partecipato dal primo concorrente nella misura del 19,50%. Stante la rilevanza della questione, il Consiglio dell’Autorità ha deliberato di procedere all’audizione dell’ANCE, dell’ANCI e della richiedente OICE. Ritenuto in diritto. La problematica sollevata dall’OICE riveste carattere generale ed attiene ad una eventuale ipotesi di collegamento tra soggettipartecipanti, in diversi raggruppamenti temporanei, alla medesima gara di progettazione. La previgente normativa in materia di lavori pubblici, di cui alla legge n. 109/1994, e successive modificazioni ed integrazioni, nonrecava alcuna disciplina specifica sulla problematica concernente la partecipazione a gare diprogettazione di concorrenti che versano in situazioni di controllo o di collegamento. L’attuale Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, emanato con decreto legislativo n. 163/2006, disciplina,invece, le situazioni di controllo e di collegamento anche in relazione agli affidamenti di servizi di progettazione. Le fattispecie del controllo e del collegamento sono, infatti, prese in considerazione e valutate con sfavore, seppur in maniera parzialmente diversa, sia dall’art. 34, comma 2, del decreto legislativo n. 163/2006, in materia di divieto di partecipazione ad una medesima gara per l’affidamento di contratti pubblici di lavori, forniture e servizi (quindi, anche nel caso di servizi di progettazione), sia dall’art. 90, comma 8, in materia di incarichi di progettazione e di conseguente divieto di partecipazione a gare d’appalto o di concessione di lavori pubblici. Le citate disposizioni rinviano, entrambe, all’art. 2359 del codice civile per la determinazione della nozione di controllo. Per l’individuazione del collegamento, invece, mentre l’art. 90, comma 8, si limita a far riferimento sempre all’art. 2359 del codice civile, l’art. 34, comma 2, ravvisa — in assenza di un esplicito rinvio alla disposizione civilistica - nell’imputabilita’ accertata delle offerte «ad un unico centro decisionale, sulla base di univoci elementi» una situazione di collegamento tale da comportare l’esclusione dei relativi concorrenti dalla gara d’appalto. L’art. 2359 del codice civile definisce entrambe le nozioni di controllo e di collegamento, in funzione del concetto di influenza dominante per le ipotesi di controllo (commi 1 e 2) e di influenza notevole per le ipotesi di collegamento (comma 3). La disposizione civilistica individua, come è noto, il rapporto di controllo societario nelle seguenti fattispecie: società in cui un’altra societàdispone dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria (cd. controllo interno o azionario di diritto); società in cui un’altra societa’ dispone dei voti sufficienti per esercitare un’influenza dominante nell’assemblea ordinaria (cd. controllo interno o azionario di fatto); societa’ che sono sotto l’influenza dominante di altra società, in virtù di particolari vincoli contrattuali con essa (cd. controllo esterno o contrattuale) e, da siffatte situazioni di controllo, il terzo comma dell’art. 2359 del codice civile tiene 39 40 distinte le situazioni di collegamento, laddove stabilisce che: «Sono considerate collegate le societa’ sulle quali un’altra società esercita un’influenza notevole. L’influenza si presume quando nell’assemblea ordinaria puo’ essere esercitato almeno un quinto dei voti ovvero un decimo se la società ha azioni quotate in borsa». L’art. 2359 del codice civile rileva ai fini del divieto, imposto dall’art. 34, comma 2, del decreto legislativo n. 163/2006, alla partecipazione a procedure di affidamento dei contratti pubblici. Tale disposizione prevede, infatti, che «non possono partecipare alla medesima gara concorrenti che si trovino fra di loro in una delle situazioni di controllo di cui all’art. 2359 del codice civile. Le stazioni appaltanti escludono altresì dalla gara i concorrenti per i quali accertano che le relative offerte sono imputabili ad un unico centro decisionale, sulla base di univoci elementi». Il Codice dei contratti pubblici ha inteso, pertanto, estendere a tutti gli eventuali soggetti affidatari di appalti pubblici, a prescindere dalla forma che in concreto essi rivestano (soggetti individuali o collettivi), la disciplina, espressamente dettata per le società, di cui all’art. 2359 del Codice civile. Infatti, il citato art. 34, comma 2, si riferisce non alle sole società, ma a tutti i concorrenti intesi quali potenziali partecipanti, seppure richiamando l’art. 2359 del Codice civile ai fini della sola individuazione del controllo. L’anzidetta disposizione del decreto legislativo n. 163/2006 impone l’automatica esclusione dei concorrenti per lo stesso affidamento in caso di situazioni di controllo. La situazione di controllo di cui all’art. 2359 codice civile realizza, infatti, una presunzione juris et de jure di conoscibilita’ dell’offerta della controllata da parte della controllante, che non può essere confutata neppure fornendo la prova che la controllata ha formulato la propria offerta in totale autonomia. L’esistenza di situazioni di influenza dominante tra più imprese comporta un turbamento nello svolgimento della gara, che può incidere sulle offerte dei concorrenti, sulla loro media e sulla conseguente soglia di anomalia. A siffatto tipo di alterazione viene riconosciuta, dal legislatore, una rilevanza assoluta e di principio ai fini dell’esclusione dalle gare d’appalto, non legata all’onere di dimostrarne la specifica influenza negativa sull’esito della procedura concorsuale. Oltre alla situazione di controllo, da cui discende l’automatica esclusione dalla gara, l’art. 34, comma 2, menziona altresì un’altra ipotesi legittimante l’estromissione dalla procedura ad evidenza pubblica: l’accertamento, da parte della stazione appaltante, che i concorrenti o alcuni di essi abbiano presentato offerte imputabili ad un unico centro decisionale, sulla base di univoci elementi. Questa ipotesi costituisce una tipica situazione di collegamento, ulteriore rispetto a quella espressamente prevista nel terzo comma dell’art. 2359 del codice civile (si veda al riguardo l’Atto di regolazione n. 27 del 9 giugno 2000 dell’Autorita). Viene così recepito legislativamente il consolidato indirizzo giurisprudenziale (ex multis Cons. Stato, sez. V, n. 2318/2004, Consiglio di Stato sentenza n. 6212/2006), secondo cui non possono concorrere alle gare soggetti riconducibili ad un unico centro decisionale (stessi amministratori, stessa sede, analoghe modalita’ di presentazione delle offerte, stessa compagnia di assicurazioni, ecc., ovvero elementi ed indici oggettivi che inducono a ritenere che le offerte provengano dallo stesso soggetto). La disposizione del Codice stabilisce un preciso limite alla discrezionalita’ dell’amministrazione, che può esercitare il potere di esclusione, solo allorche’ disponga di elementi significativi che non lascino margini di dubbio sul «collegamento sostanziale» tra i concorrenti. Al fine di individuare gli elementi probatori sulla cui base la stazione appaltante può dichiarare la violazione dei principi di segretezza e par condicio ed è, quindi, abilitata ad emettere il provvedimento di esclusione in caso di collegamento sostanziale distorsivo del corretto esplicarsi della procedura ad evidenza pubblica, occorre compiere un esame approfondito del caso concreto, prendendo in considerazione soltanto elementi oggettivi di riconoscibilità del collegamento sostanziale, utili per poter affermare che le offerte di alcuni concorrenti siano oggettivamente riconducibili ad un medesimo centro di interessi, ovvero ad un centro deci- sionale comune. Laddove la situazione di collegamento non sia acclarata a mezzo di elementi oggettivi, essa, tuttavia, può essere desunta da elementi indiziari, purche’ siano sempre oggettivi e concordanti, numerosi ed univoci. Parimenti al citato art. 34, comma 2, anche l’art. 90, comma 8, del Codice dei contratti pubblici, in materia di incarichi di progettazione e di conseguenti gare d’appalto o di concessione, valuta con sfavore sia le situazioni di controllo sia quellericonducibili al collegamento. L’art. 90, comma 8, infatti, fa espresso divieto agli affidatari degli incarichi di progettazione ovvero di attività di supporto allaprogettazione, nonché ai loro dipendenti e collaboratori, di partecipare agli appalti o alle concessioni per l’affidamento dell’esecuzione dei lavori progettati. Lo stesso divieto è esteso ai soggetti controllati, controllanti o collegati agli affidatari di incarichi di progettazione. Le situazioni di controllo e di collegamento si determinano sempre con riferimento a quanto previstodall’art. 2359 del codice civile. La nozione di collegamento cui si riferisce espressamente l’art. 90, comma 8, del Codice sui contratti pubblici è, quindi, soltanto quella prevista dall’art. 2359, comma 3, del codice civile, vale a dire la situazione di collegamento presunto in funzione dell’influenza notevole esercitata da un soggetto su un altro soggetto, senza necessità di ulteriori indagini al fine di accertare il collegamento stesso. L’esclusivo riferimento a quanto disposto dalla norma civilistica, lungi dall’esaurire il novero delle possibili fattispecie di collegamento, potrebbe comportare qualche incertezza sulla corretta interpretazione dell’art. 90, comma 8, in relazione a quanto previsto dal citato art. 34, comma 2, dello stesso Codice dei contratti pubblici, il quale, a proposito del collegamento, individua come elemento qualificante e rilevante ai fini dell’esclusione dalle gare di affidamento dei contratti pubblici l’accertata imputabilita’ delle offerte ad un unico centro decisionale, sulla base di elementi univoci, senza menzionare l’art. 2359, comma 3, del codice civile. Le due nozioni di collegamento, richiamate rispettivamente dall’art. 34, comma 2, e dall’art. 90, comma 8, sembrano, quindi, non coincidere pienamente: la prima, ex art. 34, comma 2, ha una portata più ampia rispetto alla nozione civilistica basata su una mera presunzione, poiché richiede un’attività di verifica ed accertamento del collegamento sostanziale sulla base di elementi univoci prima di addivenire alla esclusione dei concorrenti che versano in situazioni di collegamento. Al riguardo, la previsione di cui all’art. 91 del Codice dei contratti pubblici sembra sopperire a tale mancata piena corrispondenza tra le due nozioni di collegamento, consentendo un’interpretazione sistematica e coerente. Il primo comma dell’art. 91 estende, infatti, anche agli affidamenti di incarichi di progettazione di cui al precedente art. 90 l’applicazione delle disposizioni contenute nella parte II, titolo I del Codice, tra le quali compare il citato art. 34, comma 2. Pertanto, anche in materia di incarichi di progettazione e di conseguenti gare d’appalto o concessione, si deve applicare un criterio di individuazione delle fattispecie di collegamento conforme sia a quanto previsto, a titolo presuntivo, dall’art. 2359, comma 3, del codice civile, sia a quanto precedentemente illustrato in relazione al collegamento sostanziale. Tutte le considerazioni finora esposte trovano piena rispondenza anche nella fattispecie descritta dall’OICE, alla quale si ritiene di non poter applicare la presunzione di cui all’art. 2359, ultimo comma, del codice civile per mancato raggiungimento della soglia minima di partecipazione azionaria prevista (almeno un quinto dei voti). Tuttavia, non può escludersi che, in concreto, la partecipazione di un concorrente ad una gara di progettazione nella misura del 19,50% nella compagine sociale di un altro concorrente possa tradursi ugualmente in un collegamento suscettibile di realizzare la violazione dei principi di concorrenza, trasparenza e segretezza delle offerte. Di conseguenza, anche nelle gare di progettazione - in presenza di indizi gravi, precisi e concordanti che inducano a ritenere che le offerte provengono da un medesimo centro decisionale o che si tratta, comunque, di offerte previamente conosciute, anche se non concordate dai partecipanti - la stazioneappaltante è chiamata ad una verifica puntuale e concreta circa lasussistenza di situazioni distorsive della par condicio dei partecipanti alla gara di progettazione e, in caso di riscontro positivo, alla esclusione dei soggetti responsabili di tali collusioni. 41 In base alle suddette considerazioni, si è dell’avviso che: il Codice dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, di cui al decreto legislativo n. 163/2006, disciplina le situazioni di controllo e di collegamento con riferimento sia al momento della partecipazione alle gare per l’affidamento di contratti pubblici (art. 34, comma 2), sia alla incompatibilità per gli affidatari di incarichi di progettazione di partecipare alle successive gare d’appalto o di concessione dei lavori progettati (art. 90, comma 8); l’art. 2359 del codice civile, oltre ad individuare le fattispecie di controllo societario, stabilisce, al terzo comma, anche le ipotesi di collegamento presunto, individuando due distinte soglie di partecipazione azionaria che fanno supporre l’esercizio di un’influenza notevole di una societa’ sull’altra, a seconda che la società abbia o meno azioni quotate in borsa; qualora si verifichi il ricorrere di una delle due fattispecie suindicate, non vi è alcun bisogno di ulteriori indagini e il collegamento, basato su elementi presuntivi inderogabili, si considera come accertato; l’art. 2359 del codice civile, terzo comma, non esaurisce tutte le possibili fattispecie di collegamento fra concorrenti, rilevanti ai fini dell’esclusione dalle gare pubbliche; esistono, infatti, altre situazioni che possono dar origine ad ipotesi di collegamento sostanziale, il cui principale fattore sintomatico è la riconducibilità di due o più’ offerte ad un medesimo centro decisionale o di interessi. Roma, 29 marzo 2007 Il presidente: Rossi Brigante I consiglieri relatori: Moutier - Giampaolino 42 Determinazione 29 marzo 2007 n. 2 Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture. Indicazioni circa gli ostacoli tecnici nell’ambito degli appalti pubblici. (G.U. n. 97 del 27-4-2007) Considerato in fatto. L’Associazione ASSINGEO (Associazione Industrie Italiane Nontessuti Geotessil) ha rappresentato la consuetudine delle stazioni appaltanti di inserire nei capitolati speciali e negli elenchi prezzi la richiesta di prodotti specifici oppure riferimenti a singoli processi produttivi, con il risultato di indirizzare l’appaltatore verso determinati prodotti piuttosto che altri del tutto equivalenti. Tale circostanza comporterebbe l’effetto di favorire o escludere alcune imprese dagli appalti pubblici. Secondo la scrivente Associazione, le discriminazioni denunciate sono evidenti nel caso di elenco prezzi nei quali le stazioni appaltanti, invece di richiamare classi generiche di prodotti su esclusiva base prestazionale, fanno riferimento ad alcuni specifici prodotti ovvero al ciclo di lavorazioni (p. es. geotessile non tessuto prodotto in filo continuo), con l’effetto di favorire taluni produttori ed escluderne altri. La ASSINGEO chiede, pertanto, a questa Autorità se le stazioni appaltanti nella stesura degli elenchi prezzi, ove vi è la descrizione dei prodotti che vengono richiesti, debbano attenersi a quanto prescritto dalla normativa comunitaria e quindi non riportare riferimenti a marchi, prodotti o cicli di lavorazioni e di conseguenza se uno stesso elenco prezzi possa contemplare con voci differenti, prodotti e soluzioni equivalenti. Ritenuto in diritto. La questione prospettata riguarda le modalità di redazione, da parte delle stazioni appaltanti, delle cosiddette «specifiche tecniche» dell’appalto e quindi la descrizione dell’oggetto contrattuale che deve essere fatta ai concorrenti. Le specifiche tecniche rivestono un ruolo di preminente rilevanza fra gli elementi che devono essere portati a conoscenza delle imprese interessate all’affidamento di un contratto di appalto pubblico: attraverso di esse vengono indicate le caratteristiche tecniche che il prodotto, servizio od opera devono soddisfare in relazione ai bisogni ed alle esigenze della stazione appaltante. Tali informazioni sono inoltre essenziali per garantire la qualità dei materiali sotto il profilo della sicurezza ed idoneità all’uso al quale sono destinati. La modalità di redazione dei capitolati e dei documenti di gara ha un impatto rilevante sia in relazione alla singola gara d’appalto perché può determinare la possibilitàche i concorrenti hanno di aggiudicarsi la gara, sia in relazione al mercato comunitario poiché l’imposizione di determinati standards tecnici puo’ delimitare tecnicamente il mercato, impedendo l’accesso a taluni soggetti (cfr. Corte di giustizia, sez. II, ord. 3 dicembre 2001, causa C-59/00). Proprio con riguardo a tale ultimo profilo, la Corte di giustizia, muovendo dall’assunto secondo cui sono contrarie all’art. 28 del Trattato clausole contrattuali con riflessi restrittivi e discriminatori per la libera concorrenza, ha riconosciuto che lo stesso art. 28 del Trattato osta a che un’amministrazione inserisca in un bando di gara una clausola che prescrive, per l’esecuzione dell’appalto, l’impiego di un prodotto di una determinata marca qualora tale clausola non sia accompagnata dalla menzione «o equivalente», con la conseguenza di dissuadere gli operatori economici che usano sistemi analoghi a tale prodotto dal partecipare alla gara d’appalto, potendo altresì ostacolare le correnti di importazione nel commercio intracomunitario, riservando il mercato ai soli fornitori che si propongono di usare il prodotto specificamente indicato (Corte di giustizia, sez. II, ord. 3 dicembre 2001, causa C- 9/00; Corte di giustizia, 7 dicembre 2000, causa C-324/98; Corte di giustizia, 24 gennaio 1995, causa C-359/93). 43 44 Già le direttive precedenti a quelle in vigore contenevano disposizioni volte a garantire che la descrizione dell’oggetto contrattuale nelle specifiche tecniche fosse quanto più possibile oggettiva. Di qui il divieto espresso di prevedere marchi, brevetti, tipi ovvero l’indicazione di un’origine o di una produzione determinata. La normativa comunitaria era ispirata essenzialmente dalla necessità di fornire ai committenti e ai privati uno strumento recante riferimenti certi, facendo rinvio prioritariamente a specifiche armonizzate a livello europeo, approvate da organismi riconosciuti per un’applicazione ripetuta o continua, non aventi in via generale un carattere vincolante, a omologazioni tecniche europee o a specifiche tecniche comuni (queste ultime elaborate secondo una procedura riconosciuta dagli Stati membri e pubblicate nella G.U.C.E.), ammettendo una deroga in casi espressamente elencati nelle direttive stesse. In mancanza di specifiche così definite, era consentito fare riferimento a specifiche tecniche nazionali, elaborate nel rispetto di requisiti fondamentali stabiliti nelle direttive comunitarie relative all’armonizzazione tecnica o a disposizioni nazionali in materia di progettazione, di calcolo o ad altri documenti, eventualmente richiamando norme internazionali accettate nel Paese dell’amministrazione aggiudicatrice o omologazioni tecniche nazionali. Tuttavia, la Commissione europea ha riscontrato che nella prassi vi è la tendenza a considerare di fatto obbligatoria la norma tecnica, piuttosto che strumento di riferimento per valutare la qualità di un prodotto, comportando in tal modo una limitazione del mercato e restringendo la possibilità per la stazione appaltante di usufruire di eventuali soluzioni innovative. Questa Autorità ha in passato esaminato la questione, affermando che «contrasta con il diritto comunitario l’inserimento in un bando di gara di un appalto di lavori pubblici di clausole che prescrivano, per 1’esecuzione di tale appalto, l’impiego di materiali o prodotticertificati conformi solo a un determinato tipo di norme tecniche nazionali, e a maggior ragione nel caso di disposizioni dettate da enti normatori di altri Stati, o l’impiego di prodotti di una determinata marca, qualora tali clausole non siano accompagnate dalla menzione «o equivalente» (cfr. deliberazione n. 178/2002). La materia è ora regolamentata dall’art. 23 della direttiva 18/2004/CE, recepita dall’art. 68 del decreto legislativo n. 163/2006. La finalità sottesa alle modifiche apportate dalla nuova direttiva, e quindi dall’art. 68 sopra citato, alla disciplina concernente le specifiche tecniche è proprio quella di consentire la massima apertura alla concorrenza, eliminando o riducendo gli ostacoli che possono discriminare gli operatori economici nelle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici. Obiettivo primario della nuova disciplina è dunque quello di offrire strumenti alternativi, stabilendo chiaramente che «le specifiche tecniche devono consentire pari accesso agli offerenti e non devono comportare la creazione di ostacoli ingiustificati all’apertura dei contratti pubblici alla concorrenza», come recita il comma 2 dell’art. 68 del Codice. Viene lasciata immutata rispetto alla disciplina previgente (art. 68, comma 3) la precisazione in merito alla salvaguardia delle regole tecniche nazionali obbligatorie e vengono altresì indicate le diverse modalità che il committente può utilizzare per descrivere le caratteristiche dei prodotti, dell’opera e dei materiali. Alla lettera a) del medesimo comma 3, è stata mantenuta la facoltà per il committente di fare riferimento alla articolata esemplificazione di specifiche tecniche contenuta nell’allegato VIII ed alle norme tecniche elencate nel rispetto della gerarchia che privilegia le norme europee, le omologazioni tecniche europee, le specifiche tecniche comuni, aggiungendo le norme internazionali. Rilevante è l’introduzione dell’obbligo espresso che ciascuno di questi riferimenti sia accompagnato dall’espressione «o equivalente» (ultimo periodo della lettera a), comma 3, art. 68 citato). Conseguenza rilevante di tale disposizione è da un lato l’onere in capo all’offerente di dimostrare con ogni mezzo ritenuto soddisfacente dall’amministrazione aggiudicatrice l’equivalenza del prodotto (comma 4) e dall’altro il potere/dovere dell’amministrazione aggiudicatrice di valutare l’idoneita’ delle alternative, respingendo l’offerta qualora la prova fornita non sia ritenuta adeguata. La lettera b) del medesimo comma 3, prevede la possibilità alternativa per la stazione appal- tante di descrivere le caratteristiche richieste in termini di prestazioni o di requisiti funzionali, svincolando in tal modo le specifiche dal richiamo tassativo alle norme elencate alla lettera a). Tuttavia, affinché il ricorso a tale facoltà non comprometta la concorrenza e la trasparenza, devono risultare individuate chiaramente le esigenze dell’amministrazione e dunque l’oggetto dell’appalto. Le lettere c) e d) del medesimo comma 3 consentono di avvalersi congiuntamente delle due modalita’ sopra descritte, lasciando ampia libertà di utilizzare i riferimenti ritenuti più adeguati dalla stazione appaltante. Al comma 7 è, poi, affermato che il principio dell’equivalenza opera anche «al contrario»: nel caso in cui le specifiche siano indicate in termini di requisiti funzionali o prestazioni, l’amministrazione non può escludere offerte che facciano rinvio ad una norma europea, ad una omologazione tecnica europea, ad una specifica tecnica comune, ad una norma internazionale o ad un riferimento tecnico elaborato da un organismo europeo di normalizzazione, ma e’ tenuta a valutare i mezzi di prova forniti dall’offerente circa la rispondenza ai requisiti richiesti. Il comma 13, infine, ripetendo una disposizione contenuta nella direttive previgenti, stabilisce il divieto di menzionare la provenienza o la fabbricazione di un prodotto o un procedimento particolare, salvo che non sia possibile altrimenti individuare in modo preciso l’oggetto della prestazione, con l’obbligo comunque di indicare l’espressione «o equivalente». Dunque, l’art. 68 del Codice tende a rafforzare il principio di equivalenza, che è ribadito non solo con riferimento al caso in cui sia indispensabile indicare un marchio o un tipo per l’individuazione dell’oggetto contrattuale, maanche in relazione a tutte le possibilità di redazione dei capitolati tecnici. In tal senso è prevista la possibilità di redazione dei capitolati non solo mediante il riferimento alle norme tecniche ma anche in termini di prestazioni o requisiti funzionali, il che ovviamente accentua la possibilitàdi offrire prestazioni formalmente difformi da quella a base di gara, ma a questa equivalenti. E’ quindi chiaro l’intento del legislatore di preservare per ogni tecnica di redazione dei capitolati e dei documenti di gara la possibilità per il concorrente di proporre soluzioni diverse ed innovative, purché idonee a soddisfare gli obiettivi della stazione appaltante. In base a quanto sopra considerato; Il Consiglio: Ritiene in contrasto con il diritto comunitario e con l’art. 68, comma 13, del decreto legislativo n. 163/2006 l’inserimento nei documenti di gara e nel progetto di clausole che di fatto impongono l’impiego di materiali o prodotti acquistabili da produttori determinati. Roma, 29 marzo 2007 Il presidente: Rossi Brigante Il relatore: Giampaolino 45 Determinazione 29 Marzo 2007 n.4 Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture. Indicazioni sull’affidamento dei servizi di ingegneria ed architettura a seguito dell’entrata in vigore del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 e della legge 4 agosto 2006, n. 248. (G.U. n. 84 del 11-4-2007) IL CONSIGLIO Considerato in fatto. A seguito dell’entrata in vigore della legge n. 248/2006, di conversione del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, sono pervenuti all’autorità numerosi quesiti da parte delle Associazioni di categoria, Ordini ed albi professionali e stazioni appaltanti circa il regime dei compensi professionali per l’affidamento dei servizi di ingegneria e architettura. Data la rilevanza delle questioni prospettate, l’autorità ha proceduto ad effettuare apposite audizioni con i rappresentanti degli Ordini professionali, dell’Organizzazione delle società di ingegneria e con i rappresentanti delle stazioni appaltanti e del Ministero della giustizia. In particolare, alcuni Ordini professionali hanno rilevato l’inapplicabilità della abolizione dei minimi inderogabili delle tariffe professionali, disposta dall’art. 2, della legge n. 248/ 2006, agli appalti rientranti nell’ambito applicativo del decreto legislativo n. 163/2006 (d’ora innanzi «Codice»). Le stazioni appaltanti hanno rappresentato difficoltà applicative in relazione alle modalità di valutazione delle offerte anomale e chiesto chiarimenti circa la possibilità di continuare ad applicare agli affidamenti in questione il comma 12-bis, dell’art. 4, del decreto-legge 2 marzo 1989, n. 65, convertito con modificazioni dalla legge 26 aprile 1989, n. 155, che consente di ribassare i corrispettivi minimi fino al 20%. Inoltre, hanno segnalato gli elevati ribassi registrati nelle prime gare effettuate applicando la su indicata nuova normativa. 46 Ritenuto in diritto. In data 4 luglio 2006 è stato pubblicato il decreto legge n. 223/2006 che, all’art. 2, comma 1, ha disposto che «..... ...sono abrogate le disposizioni legislative e regolamentari che prevedono, con riferimento alle attività libero professionali e intellettuali: a) la fissazione di tariffe obbligatorie fisse o minime ovvero il divieto di pattuire compensi parametrati al raggiungimento degli obiettivi perseguiti;.....». In sede di conversione del suddetto decreto, da parte della legge 4 agosto 2006, n. 248, la disposizione è stata così modificata alla lettera a): l’obbligatorietà di tariffe fisse o minime ovvero ......». Inoltre, è stata aggiunta al comma 2 del medesimo art.1, la seguente disposizione: «nelle procedure ad evidenza pubblica, le stazioni appaltanti possono utilizzare le tariffe, ove motivatamente ritenute adeguate, quale criterio o base di riferimento per la determinazione dei compensi per attività professionali». L’art. 92, comma 2, ultimo periodo del codice, entrato in vigore il1° luglio 2006, dispone che: «I corrispettivi sono minimi inderogabili ai sensi dell’ultimo comma dell’articolo unico della legge 4 marzo 1958, n. 143, introdotto dall’articolo unico della legge 5 maggio 1976, n. 340. Ogni patto contrario è nullo.» Disposizioni analoghe sono contenute nell’art. 92, comma 4, nell’ultimo periodo del comma 3, dell’art. 53, del codice stesso. Appare evidente come le disposizioni sopra citate disciplinano in modo confliggente il regime dei corrispettivi per le attività libero professionali ed intellettuali. Tuttavia, poiché le due fonti normative citate sono di pari grado, ma emanate in momenti diversi, detta antinomia deve essere risolta ricorrendo al criterio cronologico previsto dall’art. 15, delle disposizioni preliminari del codice civile, dalla cui applicazione deriva che l’art. 2, del decreto-legge n. 223/2006, convertito nella legge n. 248/2006, emanato successivamente, prevale sulle norme contenute nel decreto legislativo n. 163/2006 per sopravvenuta regolamentazione della materia già disciplinata da fonte anteriore (si veda una prima conferma, se pure indiretta, nella giurisprudenza in T.A.R. Marche, 19 luglio 2006, n. 632). Né si può sostenere che le disposizioni citate del decreto legislativo n. 163/2006 costituiscano norma speciale rispetto all’art. 2, della legge n. 248/2006. Dal punto di vista oggettivo, infatti, le «attività libero professionali e intellettuali» cui si riferisce il decreto Bersani, sono tutte le attività professionali o servizi professionali, compresi i servizi attinenti all’architettura e all’ingegneria, nonché le attività tecnico-amministrative connesse; tale interpretazione è confermata dal diritto comunitario, i cui principi sono richiamati nella disposizione in esame, ed in particolare dall’art. 50, del trattato che precisa che i servizi comprendono, tra l’altro, le attività di libera professione. Inoltre, l’affidamento di tali servizi da parte delle amministrazioni aggiudicatrici è disciplinato dalle direttive comunitarie di settore. Peraltro, a favore di tale interpretazione depone anche il comma 2, dell’art. 2, della legge n. 248/2006, che fa esplicito riferimento alle procedure ad evidenza pubblica. Né può condurre a conclusioni diverse il divieto di abrogazione implicita contenuto nell’art. 255, comma 1, del codice: sia la dottrina che la giurisprudenza costituzionale (cfr. Corte cost. sentenza 13 gennaio 1972, n. 4) hanno precisato che il fatto stesso che tali clausole «di resistenza» siano disposte da fonti subordinate alla Costituzione porta ad escludere che le norme cui si riferiscono possano resistere agli effetti abrogativi determinati da leggi incompatibili. Nessuna fonte subcostituzionale può infatti attribuirsi potenzialità normative maggiori a quelle peculiari del tipo a cui appartiene. Pertanto, in considerazione delle innovazioni legislative sopra richiamate, sono da considerare implicitamente abrogati l’ultimo periodo del comma 2, dell’art. 92, il comma 4, dell’art. 92, del codice (i corrispettivi determinati ai sensi del decreto del Ministero della giustizia 4 aprile 2001 sono minimi inderogabili) e l’ultimo periodo del comma 3, dell’art. 53 (le spese di progettazione esecutiva sono minimi inderogabili). Attualmente, l’applicazione di tale ultima disposizione è sospesa fino al 1° agosto 2007, per effetto del decreto legislativo 26 gennaio 2007, n. 6. Tuttavia, può considerarsi implicitamente abrogata la identica disposizione, applicabile fino al 1° agosto 2007, contenuta nell’art. 19, comma 1-ter, della legge n. 109/1994. Per quanto riguarda il decreto del Presidente della Repubblica 21 dicembre 1999, n. 554, le disposizioni di cui all’art. 62, e quelle di cui all’art. 210, che prevedono rispettivamente che «la quota del corrispettivo complessivo riferita alla progettazione è determinata sulla base delle percentuali ed aliquote di prestazioni parziali previste dalle vigenti tariffe professionali.....» e che «i compensi spettanti ai collaudatori non appartenenti all’organico della stazione appaltante per l’effettuazione del collaudo e della revisione degli atti contabili, si determinano applicando le tariffe professionali degli ingegneri ed architetti.» si devono intendere nel senso che gli importi così determinati non sono più da considerare come minimi inderogabili. Stante, quindi, l’asserita applicabilità dell’art. 2, della legge n. 248/2006, anche al settore degli affidamenti di servizi di ingegneria e di architettura disciplinati dal codice, si ritiene opportuno affrontare le problematiche applicative derivanti dall’abrogazione dei minimi tariffari. Innanzitutto, va precisato che la questione qui trattata non riguarda gli incarichi di progettazione interna all’amministrazione, in quanto i dipendenti non percepiscono un compenso professionale per le attività richieste dall’amministrazione stessa, ma un mero compenso incentivante. Quindi le previsioni del codice dei contratti (art. 92, comma 5) in merito alla percentuale da destinare ai dipendenti interni all’amministrazione per le attivita’ di progettazione, direzione lavori e collaudo rimangono in vigore. Per quanto riguarda, poi, l’importo stimato da porre a base di gara, si deve anzitutto ribadire quanto già affermato nella determinazione di questa autorità 19 gennaio 2006, n. 1, circa la necessità che le stazioni appaltanti indichino nelle procedure di conferimento degli incarichi gli elementi essenziali della prestazione ed in particolare l’importo stimato, dovendosi 47 48 ritenere insufficiente il semplice richiamo all’applicazione delle tariffe professionali da effettuarsi ex post, ancor più alla luce dell’abrogazione dei minimi tariffari. Si deve, poi, tenere presente che prima dell’entrata in vigore della legge n. 248/2006, in presenza di tariffe minime stabilite per legge, le gare per gli affidamenti prevedevano il ribasso soltanto sulle spese per l’espletamento dell’incarico. Con l’abolizione dei minimi tariffari, il ribasso riguarda ora l’intero importo della prestazione (onorario più le spese). Per quanto riguarda le modalità di definizione dell’importo stimato dell’appalto, l’art. 2, comma 2, della legge n. 248/2006, indica quale criterio per individuare l’importo da porre a base di gara le vigenti tariffe «ove motivatamente ritenute adeguate». Al riguardo si deve richiamare il principio di adeguatezza previsto dal secondo comma, dell’art. 2233, del codice civile, che stabilisce che «in ogni caso la misura del compenso deve essere adeguata all’importanza dell’opera e al decoro della professione». Ciò significa che per gli affidamenti di servizi di architettura ed ingegneria, le stazioni appaltanti possono legittimamente determinare il corrispettivo a base d’asta applicando il decreto ministeriale 4 aprile 2001, che è richiamato dall’art. 253, comma 17, del codice e la cui validità è stata confermata dalla Corte costituzionale con ordinanza n. 352 del 2006. In relazione alla questione dell’applicabilità del comma 12-bis, dell’art. 4, del decreto-legge 2 marzo 1989, n. 65, convertito con modificazioni dalla legge 26 aprile 1989, n. 155 - disposizione citata espressamente dall’art. 92, comma 4, del codice - si ritiene che la riduzione del 20% disposta dalla norma in questione non abbia più rilevanza alcuna in relazione al fatto che l’importo effettivo verrà stabilito dal mercato (in sede di gara). Sono state, poi, segnalate ulteriori problematiche connesse alla liberalizzazione delle tariffe e segnatamente, gli elevati ribassi e la valutazione delle offerte anomale. Si deve premettere che le stazioni appaltanti possono affidare i servizi di ingegneria ed architettura sia con il criterio del prezzo più basso che con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, anche se tale ultimo criterio appare più indicato in relazione alla specificità ed alla complessità dei servizi in questione, la cui natura richiede spesso la valutazione aspetti qualitativi ed innovativi. Negli affidamenti con il criterio del prezzo più basso, che ad oggi è pienamente utilizzabile stante la abolizione dei minimi tariffari, si rammenta che, per gli appalti di importo inferiore alla soglia comunitaria, è possibile, ai sensi dell’art. 124, comma 8, del codice, procedere all’esclusione automatica delle offerte anomale individuate secondo il criterio previsto nell’art. 86, comma 1, del codice. Per gli affidamenti di importo superiore alla soglia comunitaria si deve invece sempre applicare la procedura di valutazione delle offerte anomale prevista dagli articoli 86-88, del codice. In caso di utilizzo del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, si applica per i contratti di qualsiasi importo, l’art.86, comma 2, sulla valutazione della congruità delle offerte. Sempre in relazione a tale criterio di aggiudicazione, al fine di evitare le problematiche rilevate in fase di scelta dell’esecutore della prestazione professionale, si suggerisce alle stazioni appaltanti di utilizzare i fattori ponderali indicati dal comma 3, dell’art. 64, del decreto del Presidente della Repubblica n. 554/1999, anche per gli appalti soprasoglia, ove possibile. Si ritiene, infine, utile fornire alcune indicazioni circa gli aspetti procedurali delle gare per i servizi di architettura ed ingegneria, a seguito dell’entrata in vigore del codice. Per i servizi tecnici di importo inferiore ad Euro 100.000, l’art. 91, comma 2, del codice dispone che detti incarichi possono essere affidati dalle stazioni appaltanti, a cura del responsabile del procedimento, ad operatori economici in possesso di specifiche qualificazioni economiche finanziarie e tecnico organizzative uguali a quelle previste per l’affidamento di contratti di pari importo mediante le procedure aperta, ristretta o negoziata con bando, nel rispetto dei principi di non discriminazione, parità di trattamento, proporzionalità e trasparenza e secondo la procedura negoziata senza pubblicazione di un bando di gara (art. 57, comma 6, del codice) previa selezione di almeno cinque operatori economici da consultare se sussistono in tale numero soggetti idonei; l’affidamento all’operatore economico che ha offerto le condizioni più vantaggiose, determinate sulla base del criterio del prezzo più basso o dell’offerta economicamente più vantaggiosa. Al riguardo si rinvia alle indicazioni formulate da questa autorità con la citata determinazione 19 gennaio 2006, n. 1. Per completezza del tema in esame, si pone, infine, la rilevante questione dell’applicabilità agli incarichi di progettazione dell’art 125, del decreto legislativo n. 163/2006, recante la disciplina di lavori, servizi e forniture «in economia», e in particolare della parte finale del comma 11, che per servizi (e forniture) di importo inferiore a ventimila euro, consente, l’affidamento diretto da parte del responsabile del procedimento. In merito a ciò, in linea generale, si osserva che difficilmente i servizi tecnici in materia di lavori pubblici possano essere ricompresi tout court tra i servizi in economia, sia perché l’affidamento dei servizi tecnici è sottoposto a specifica ed autonoma disciplina, dove le regole si diversificano a seconda che l’importo stimato del compenso superi o meno la soglia di Euro 100.000, sia perché l’acquisizione in economia deve essere preceduta dall’assunzione di specifico provvedimento interno da parte di ciascuna stazione appaltante con cui essa individui i singoli servizi da acquisire con lo speciale metodo dell’economia, con riguardo alle proprie specifiche esigenze e in relazione all’oggetto ovvero in riferimento coerente alle categorie indicate dal comma 10, del detto art. 125. Fermi restando tali limiti, dal combinato disposto degli articoli 91, comma 2, e 125, comma 11, del codice, non si può tuttavia escludere che una stazione appaltante, in relazione alle proprie specifiche esigenze ed attività, possa ricomprendere nel regolamento interno per la disciplina della propria attività contrattuale, anche l’affidamento in economia dei servizi tecnici e, pertanto, per le prestazioni di importo inferiore a Euro 20.000, in base all’art. 125, comma 11, del codice, procedere alla scelta del tecnico mediante affidamento diretto. In tal caso il ribasso sull’importo della prestazione, stimato ai sensi del citato decreto del Ministro della giustizia del 4 aprile 2001, viene negoziato fra responsabile del procedimento e l’operatore economico cui si intende affidare la commessa. In base a quanto sopra considerato; Il Consiglio: a) è dell’avviso che l’abrogazione dell’obbligatorietà dei minimi tariffari disposta dall’art. 2, della legge n. 248/2006, si applica anche agli affidamenti di servizi di ingegneria ed architettura disciplinati dal decreto legislativo n. 163/2006; b) ritiene che siano da considerarsi implicitamente abrogate le seguenti disposizioni del decreto legislativo n. 163/2006: l’ultimo periodo del comma 2, dell’art. 92, il comma 4, dell’art. 92 e l’ultimo periodo del comma 3, dell’art. 53; c) ritiene che le stazioni appaltanti possono legittimamente determinare il corrispettivo a base d’asta utilizzando il decreto ministeriale 4 aprile 2001, attualmente in vigore; d) è dell’avviso che non ha rilievo la norma richiamata dal comma 12-bis, dell’art. 4, del decreto-legge 2 marzo 1989, n. 65,convertito con modificazioni dalla legge 26 aprile 1989, n. 155; e) ritiene che i servizi tecnici di importo stimato inferiore a Euro 100.000 possano essere affidati dalle stazioni appaltanti ai sensi dell’art. 91, comma 2, del codice, nel rispetto dei principi di non discriminazione, parità di trattamento, proporzionalità e trasparenza e secondo la procedura negoziata senza pubblicazione di un bando di gara, previa selezione di almeno cinque operatori economici da consultare se sussistono in tale numero soggetti idonei; al riguardo si rinvia anche alle indicazioni formulate da questa autorita’ con la determinazione 19 gennaio 2006, n. 1; f) ritiene che per i servizi tecnici di importo inferiore a Euro 20.000 le stazioni appaltanti possono procedere mediante affidamento diretto, ai sensi del combinato disposto degli articoli 91, comma 2 e 125, comma 11, del codice, previa indicazione dei servizi tecnici nel regolamento interno per la disciplina dell’attività contrattuale in economia. Roma, 29 marzo 2007 Il Presidente: Rossi Brigante 49 PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI DIPARTIMENTO PER GLI AFFARI REGIONALI DIRETTIVA 16 Febbraio 2007 Vigilanza sull’Agenzia autonoma per la gestione dell’Albo dei segretari comunali e provinciali. (GU n. 124 del 30-5-2007 ) IL MINISTRO PER GLI AFFARI REGIONALI E LE AUTONOMIE LOCALI Visto l’art. 2, lettera f), del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 15 giugno 2006, che sottopone l’Agenzia autonoma per la gestione dell’albo dei segretari comunali e provinciali di cui all’art. 17, comma 76, della legge 15 maggio 1997, n. 127, e la Scuola superiore per la formazione e la specializzazione dei dirigenti della pubblica amministrazione locale di cui al decreto del Presidente della Repubblica 20 ottobre 1998, n. 396, alla vigilanza del Ministro per gli affari regionali e le autonomie locali; Visti gli articoli 102, 103 e 104 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267; Visto l’art. 33 del decreto del Presidente della Repubblica 4 dicembre 1997, n. 465, che, nello stabilire gli ambiti ed i criteri fondamentali di esercizio della suddetta attività di vigilanza, dispone che l’Autorità vigilante possa anche richiedere copia delle deliberazioni di prioritaria importanza adattate dai consigli di amministrazione dell’Agenzia, nonché notizie e documentazione sulle attività svolte ed i provvedimenti adottati; Ravvisata l’opportunità di ridefinire le forme, le modalità ed i tempi del concreto svolgimento della funzione di vigilanza da parte del Ministro per gli affari regionali e le autonomie locali; E m a n a la seguente direttiva: 1. Istruttoria relativa all’attività svolta dagli organi ed uffici dell’Agenzia. 1.1 Il Dipartimento per gli affari regionali della Presidenza del Consiglio dei Ministri - Ufficio I, di seguito denominato «Dipartimento», ai fini dell’esercizio dei compiti di vigilanza attribuiti al Ministro per gli affari regionali e le autonomie locali sull’Agenzia Autonoma per la gestione dell’Albo dei segretari comunali e provinciali e relative articolazioni territoriali, di seguito denominata «Agenzia»: a) cura l’esame, anche formulando richieste di chiarimenti ed elementi integrativi di giudizio, della relazione semestrale sull’attività dell’Agenzia e degli atti fondamentali di cui all’art. 33, comma 2, lettera a) e b), del decreto del Presidente della Repubblica del 4 dicembre 1997, n. 465; b) richiede all’Agenzia, ove ne ravvisi l’esigenza, la trasmissione degli altri atti e documenti indicati nell’art. 33, comma 2, lettera c), del decreto del Presidente della Repubblica 4 dicembre 1997, n. 465; c) può altresì richiedere all’Agenzia notizie in ordine allo stato degli adempimenti dalla stessa posti in essere per il compimento di atti obbligatori per legge o per regolamento; d) esamina le deliberazioni adottate dal Collegio dei revisori e richiedendo allo stesso Collegio relazioni sull’attività svolta dall’Agenzia e pareri sulla regolarità contabile dei singoli atti dalla stessa adottati; e) può convocare, periodicamente, apposite riunioni di raccordo con gli organi dell’Agenzia, per acquisire ogni ulteriore elemento conoscitivo utile all’esercizio delle funzioni di vigilanza. 1.2 Gli atti di cui all’art. 33, comma 2, lettere a), b) e c) del decreto del Presidente della Repubblica 4 dicembre 1997, n. 465, ed i relativi chiarimenti, sono trasmessi al Dipartimento entro quindici giorni dall’adozione o dalla richiesta. 50 1.3 Qualora il Dipartimento, a conclusione dell’istruttoria di cui ai punti 1.1 e 1.2, ravvisi la sussistenza di violazioni di legge, ne informa il Ministro, che, valutata la gravità delle illegittimità riscontrate, invita l’Agenzia a modificare o ad annullare l’atto in sede di autotutela. Per l’adempimento di tali richieste è assegnato un congruo termine, decorso il quale il Ministro interviene con i poteri sostitutivi di cui all’art. 33, comma 3, del decreto del Presidente della Repubblica 4 dicembre 1997, n. 465. 1.4 Il Dipartimento acquisisce presso l’Agenzia notizie sulle iniziative correttive e di adeguamento dalla stessa assunte in relazione alle osservazioni ed ai rilievi formulati dalla Sezione di controllo della Corte dei conti in sede di esame del rendiconto generale della gestione deliberato ai sensi dell’art. 31 del decreto del Presidente della Repubblica 4 dicembre 1997, n. 465, e ne riferisce al Ministro ai fini dell’esercizio dei poteri sostitutivi di cui all’art. 33, comma 3, del decreto del Presidente della Repubblica 4 dicembre 1997, n. 465. 1.5 Al fine di consentire l’esercizio della facoltà di richiesta della documentazione di cui alla lettera b) del precedente punto 1.1, l’Agenzia trasmette trimestralmente al Dipartimento l’elenco degli atti, con l’indicazione degli estremi di identificazione e di una sintetica descrizione dell’oggetto idonea ad illustrarne il contenuto, che di seguito si indica: le deliberazioni del Consiglio nazionale e dei Consigli regionali di amministrazione e gli atti emanati dal Direttore generale su delega del Consiglio, di carattere generale, che incidano sull’assetto dell’organizzazione dell’Agenzia o che rivestano una particolare rilevanza. Il Dipartimento può altresì richiedere, qualora ne ravvisi l’esigenza, ogni ulteriore atto di cui all’art. 33, comma 2, lettera c), del decreto del Presidente della Repubblica 4 dicembre 1997, n. 465, secondo le modalità di cui al punto 1.2 della presente direttiva. 2. Esercizio dei poteri sostitutivi nei confronti dell’Agenzia. 2.1 Il Ministro esercita comunque nei confronti dell’Agenzia il potere sostitutivo a mezzo di commissario ad acta nei seguenti casi: a) mancata approvazione nei termini del bilancio di previsione; b) mancata adozione dei provvedimenti di riequilibrio del bilancio qualora i dati della gestione finanziaria facciano prevedere un disavanzo; c) mancata adozione, da parte dell’Agenzia, in sede di autotutela, dei provvedimenti di modifica o di annullamento di propri atti per motivi di legittimita’ a seguito delle richieste di cui ai punti 1.3 e 1.4; d) mancata adozione, da parte dell’Agenzia, di atti obbligatori. 2.2 L’intervento sostitutivo è disposto previa diffida ed infruttuoso decorso del termine assegnato per provvedere. 3. Scioglimento degli organi di amministrazione dell’Agenzia. 3.1 Nei casi di impossibilità di funzionamento degli organi dell’Agenzia, di gravi e reiterate violazioni di legge nell’esercizio dell’attività obbligatoria dell’ente, nonché di reiterate omissioni dei provvedimenti necessari ad eliminare una condizione di squilibrio finanziario, il Ministro dispone, ove occorra, lo scioglimento del Consiglio di amministrazione e la nomina di una commissione straordinaria per la gestione dell’ente fino alla ricostituzione degli organi ordinari. 3.2 Analogamente si provvede nei riguardi del Consiglio di amministrazione delle sezioni regionali dell’Agenzia nel caso di impossibilità di funzionamento o di reiterate violazioni di legge. 3.3 La commissione straordinaria è composta di tre membri scelti tra persone munite di adeguata professionalità ed esperte dell’ordinamento delle autonomie locali. 3.4 Il decreto di scioglimento del Consiglio di amministrazione dell’Agenzia o di quelli delle sezioni regionali è adottato dal Ministro ed è comunicato al Presidente del Consiglio dei Ministri, alla Conferenza Stato-città e autonomie locali, nonché ai presidenti dell’Associazione nazionale dei comuni italiani e dell’Unione delle province d’Italia. 4. Istruttoria dei ricorsi straordinari al Capo dello Stato e degli atti di sindacato ispettivo parlamentare relativi all’Agenzia. 4.1. Il Dipartimento, previa acquisizione presso l’Agenzia dei necessari elementi documentali e di valutazione in fatto ed in diritto, istruisce i ricorsi straordinari presentati al Presidente della Repubblica avverso gli atti adottati dagli organi centrali e periferici della medesima Agenzia, nonché gli atti di sindacato ispettivo parlamentare aventi ad oggetto l’attività dell’Agenzia, ai fini della formulazione della risposta del Governo. 5. Istruttoria relativa all’attività svolta dagli organi ed uffici della Scuola superiore per la formazione e la specializzazione dei dirigenti della pubblica amministrazione locale. 5.1 Il 51 Dipartimento, ai fini dell’esercizio dei compiti di vigilanza attribuiti al Ministro sulla Scuola superiore per la formazione e la specializzazione dei dirigenti della pubblica amministrazione locale e relative articolazioni territoriali, di seguito denominata «Scuola»: a) cura l’esame, anche formulando richieste di chiarimenti ed elementi integrativi di giudizio, sull’attività della Scuola e sui suoi atti fondamentali, tra cui, in particolar modo, ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 20 ottobre 1998, n. 396: il piano generale della formazione ed il relativo piano finanziario; il rendiconto annuale della gestione, comprensivo della connessa relazione illustrativa; le convenzioni per l’attività didattica deliberate dalla sede centrale e dalle sedi regionali ed interregionali della Scuola; b) può richiedere alla Scuola notizie in ordine allo stato degli adempimenti dalla stessa posti in essere per il compimento di atti obbligatori per legge o per regolamento; c) può convocare, periodicamente, apposite riunioni di raccordo con gli organi della Scuola, per acquisire ogni ulteriore elemento conoscitivo utile all’esercizio delle funzioni di vigilanza. 5.2 Gli atti ed i chiarimenti di cui al punto 5.1 sono trasmessi al Dipartimento dall’Agenzia entro quindici giorni dall’adozione o dalla richiesta. 5.3 Qualora il Dipartimento, a conclusione dell’istruttoria di cui al punto 5.1, ravvisi la sussistenza di violazioni di legge, ne informa il Ministro che, valutata la gravità delle illegittimità riscontrate, invita la Scuola a modificare o ad annullare l’atto in sede di autotutela. Per l’adempimento di tali richieste è assegnato un congruo termine, decorso il quale il Ministro interviene con i poteri sostitutivi connessi alla funzione di vigilanza ad esso attribuita ai sensi dell’art. 2, lettera f), del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 15 giugno 2006. Roma, 16 febbraio 2007 Il Ministro: Lanzillotta Registrata alla Corte dei conti il 5 aprile 2007 Ministeri istituzionali, Presidenza del Consiglio dei Ministri, registro n. 3, foglio n. 386 52 Decreto del Presidente della Repubblica 12 aprile 2006, n. 184 Regolamento recante disciplina in materia di accesso ai documenti amministrativi (G.U. n. 114 del 18 maggio 2006) Art. 1. Oggetto 1. Il presente regolamento disciplina le modalità di esercizio del diritto di accesso ai documenti amministrativi in conformità a quanto stabilito nel capo V della legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni di seguito denominata: «legge». 2. I provvedimenti generali organizzatori occorrenti per l’esercizio del diritto di accesso sono adottati dalle amministrazioni interessate, entro il termine di cui all’articolo 14, comma 1, decorrente dalla data di entrata in vigore del presente regolamento, dandone comunicazione alla Commissione per l’accesso ai documenti amministrativi istituita ai sensi dell’articolo 27 della legge. Art. 2. Ambito di applicazione 1. Il diritto di accesso ai documenti amministrativi è esercitabile nei confronti di tutti i soggetti di diritto pubblico e i soggetti di diritto privato limitatamente alla loro attività di pubblico interesse disciplinata dal diritto nazionale o comunitario, da chiunque abbia un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente a una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è richiesto l’accesso. 2. Il diritto di accesso si esercita con riferimento ai documenti amministrativi materialmente esistenti al momento della richiesta e detenuti alla stessa data da una pubblica amministrazione, di cui all’articolo 22, comma 1, lettera e), della legge, nei confronti dell’autorità competente a formare l’atto conclusivo o a detenerlo stabilmente. La pubblica amministrazione non è tenuta ad elaborare dati in suo possesso al fine di soddisfare le richieste di accesso. Art. 3. Notifica ai controinteressati 1. Fermo quanto previsto dall’articolo 5, la pubblica amministrazione cui è indirizzata la richiesta di accesso, se individua soggetti controinteressati, di cui all’articolo 22, comma 1, lettera c), della legge, è tenuta a dare comunicazione agli stessi, mediante invio di copia con raccomandata con avviso di ricevimento, o per via telematica per coloro che abbiano consentito tale forma di comunicazione. I soggetti controinteressati sono individuati tenuto anche conto del contenuto degli atti connessi, di cui all’articolo 7, comma 2. 2. Entro dieci giorni dalla ricezione della comunicazione di cui al comma 1, i controinteressati possono presentare una motivata opposizione, anche per via telematica, alla richiesta di accesso. Decorso tale termine, la pubblica amministrazione provvede sulla richiesta, accertata la ricezione della comunicazione di cui al comma 1. Art. 4. Richiesta di accesso di portatori di interessi pubblici o diffusi Le disposizioni sulle modalità del diritto di accesso di cui al presente regolamento si applicano anche ai soggetti portatori di interessi diffusi o collettivi. Art. 5. Accesso informale 1. Qualora in base alla natura del documento richiesto non risulti l’esistenza di controinteressati il diritto di accesso può essere esercitato in via informale mediante richiesta, anche verbale, all’ufficio dell’amministrazione competente a formare l’atto conclusivo del procedimento o a detenerlo stabilmente. 2. Il richiedente deve indicare gli estremi del documento oggetto della richiesta ovvero gli elementi che ne consentano l’individuazione, specificare e, ove occorra, comprovare l’inte- 53 resse connesso all’oggetto della richiesta, dimostrare la propria identità e, ove occorra, i propri poteri di rappresentanza del soggetto interessato. 3. La richiesta, esaminata immediatamente e senza formalità, è accolta mediante indicazione della pubblicazione contenente le notizie, esibizione del documento, estrazione di copie, ovvero altra modalità idonea. 4. La richiesta, ove provenga da una pubblica amministrazione, è presentata dal titolare dell’ufficio interessato o dal responsabile del procedimento amministrativo ed è trattata ai sensi dell’articolo 22, comma 5, della legge. 5. La richiesta di accesso può essere presentata anche per il tramite degli Uffici relazioni con il pubblico. 6. La pubblica amministrazione, qualora in base al contenuto del documento richiesto riscontri l’esistenza di controinteressati, invita l’interessato a presentare richiesta formale di accesso. Art. 6. Procedimento di accesso formale 1. Qualora non sia possibile l’accoglimento immediato della richiesta in via informale, ovvero sorgano dubbi sulla legittimazione del richiedente, sulla sua identità, sui suoi poteri rappresentativi, sulla sussistenza dell’interesse alla stregua delle informazioni e delle documentazioni fornite, sull’accessibilità del documento o sull’esistenza di controinteressati, l’amministrazione invita l’interessato a presentare richiesta d’accesso formale, di cui l’ufficio rilascia ricevuta. 2. La richiesta formale presentata ad amministrazione diversa da quella nei cui confronti va esercitato il diritto di accesso è dalla stessa immediatamente trasmessa a quella competente. Di tale trasmissione è data comunicazione all’interessato. 3. Al procedimento di accesso formale si applicano le disposizioni contenute nei commi 2, 4 e 5 dell’articolo 5. 4. Il procedimento di accesso deve concludersi nel termine di trenta giorni, ai sensi dell’articolo 25, comma 4, della legge, decorrenti dalla presentazione della richiesta all’ufficio competente o dalla ricezione della medesima nell’ipotesi disciplinata dal comma 2. 5. Ove la richiesta sia irregolare o incompleta, l’amministrazione, entro dieci giorni, ne da’ comunicazione al richiedente con raccomandata con avviso di ricevimento ovvero con altro mezzo idoneo a comprovarne la ricezione. In tale caso, il termine del procedimento ricomincia a decorrere dalla presentazione della richiesta corretta. 6. Responsabile del procedimento di accesso è il dirigente, il funzionario preposto all’unità organizzativa o altro dipendente addetto all’unità competente a formare il documento o a detenerlo stabilmente. 54 Art. 7. Accoglimento della richiesta e modalità di accesso 1. L’atto di accoglimento della richiesta di accesso contiene l’indicazione dell’ufficio, completa della sede, presso cui rivolgersi, nonché di un congruo periodo di tempo, comunque non inferiore a quindici giorni, per prendere visione dei documenti o per ottenerne copia. 2. L’accoglimento della richiesta di accesso a un documento comporta anche la facoltà di accesso agli altri documenti nello stesso richiamati e appartenenti al medesimo procedimento, fatte salve le eccezioni di legge o di regolamento. 3. L’esame dei documenti avviene presso l’ufficio indicato nell’atto di accoglimento della richiesta, nelle ore di ufficio, alla presenza, ove necessaria, di personale addetto. 4. I documenti sui quali è consentito l’accesso non possono essere asportati dal luogo presso cui sono dati in visione, o comunque alterati in qualsiasi modo. 5. L’esame dei documenti è effettuato dal richiedente o da persona da lui incaricata, con l’eventuale accompagnamento di altra persona di cui vanno specificate le generalità, che devono essere poi registrate in calce alla richiesta. L’interessato può prendere appunti e trascrivere in tutto o in parte i documenti presi in visione. 6. In ogni caso, la copia dei documenti è rilasciata subordinatamente al pagamento degli importi dovuti ai sensi dell’articolo 25 della legge secondo le modalità determinate dalle singole amministrazioni. Su richiesta dell’interessato, le copie possono essere autenticate. Art. 8. Contenuto minimo degli atti delle singole amministrazioni 1. I provvedimenti generali organizzatori di cui all’articolo 1, comma 2, riguardano in particolare: a) le modalità di compilazione delle richieste di accesso, preferibilmente mediante la predisposizione di apposita modulistica; b) le categorie di documenti di interesse generale da pubblicare in luoghi accessibili a tutti e i servizi volti ad assicurare adeguate e semplificate tecniche di ricerca dei documenti, anche con la predisposizione di indici e la indicazione dei luoghi di consultazione; c) l’ammontare dei diritti e delle spese da corrispondere per il rilascio di copie dei documenti di cui sia stata fatta richiesta, fatte salve le competenze del Ministero dell’economia e delle finanze; d) l’accesso alle informazioni contenute in strumenti informatici, adottando le misure atte a salvaguardare la distruzione, la perdita accidentale, nonché la divulgazione non autorizzata. In tali casi, le copie dei dati informatizzati possono essere rilasciate sugli appositi supporti, ove forniti dal richiedente, ovvero mediante collegamento in rete, ove esistente. Art. 9. Non accoglimento della richiesta 1. Il rifiuto, la limitazione o il differimento dell’accesso richiesto in via formale sono motivati, a cura del responsabile del procedimento di accesso, con riferimento specifico alla normativa vigente, alla individuazione delle categorie di cui all’articolo 24 della legge, ed alle circostanze di fatto per cui la richiesta non può essere accolta così come proposta. 2. Il differimento dell’accesso è disposto ove sia sufficiente per assicurare una temporanea tutela agli interessi di cui all’articolo 24, comma 6, della legge, o per salvaguardare specifiche esigenze dell’amministrazione, specie nella fase preparatoria dei provvedimenti, in relazione a documenti la cui conoscenza possa compromettere il buon andamento dell’azione amministrativa. 3. L’atto che dispone il differimento dell’accesso ne indica la durata. Art. 10. Disciplina dei casi di esclusione 1. I casi di esclusione dell’accesso sono stabiliti con il regolamento di cui al comma 6 dell’articolo 24 della legge, nonché con gli atti adottati dalle singole amministrazioni ai sensi del comma 2 del medesimo articolo 24. 2. Il potere di differimento di cui all’articolo 24, comma 6, della legge è esercitato secondo le modalità di cui all’articolo 9, comma 2. Art. 11. Commissione per l’accesso 1. Nell’esercizio della vigilanza sull’attuazione del principio di piena conoscibilità dell’azione amministrativa, la Commissione per l’accesso, di cui all’articolo 27 della legge: a) esprime pareri per finalità di coordinamento dell’attività organizzativa delle amministrazioni in materia di accesso e per garantire l’uniforme applicazione dei principi, sugli atti che le singole amministrazioni adottano ai sensi dell’articolo 24, comma 2, della legge, nonché, ove ne sia richiesta, su quelli attinenti all’esercizio e all’organizzazione del diritto di accesso; b) decide i ricorsi di cui all’articolo 12. 2. Il Governo può acquisire il parere della Commissione per l’accesso ai fini dell’emanazione del regolamento di cui all’articolo 25, comma 6, della legge, delle sue modificazioni e della predisposizione di normative comunque attinenti al diritto di accesso. 55 4. Presso la Commissione per l’accesso opera l’archivio degli atti concernenti la disciplina del diritto di accesso previsti dall’articolo 25, comma 2, della legge. A tale fine, i soggetti di cui all’articolo 23 della legge trasmettono per via telematica alla Commissione per l’accesso i suddetti atti e ogni loro successiva modificazione. 56 Art. 12. Tutela amministrativa dinanzi la Commissione per l’accesso 1. Il ricorso alla Commissione per l’accesso da parte dell’interessato avverso il diniego espresso o tacito dell’accesso ovvero avverso il provvedimento di differimento dell’accesso, ed il ricorso del controinteressato avverso le determinazioni che consentono l’accesso, sono trasmessi mediante raccomandata con avviso di ricevimento indirizzata alla Presidenza del Consiglio dei Ministri - Commissione per l’accesso ai documenti amministrativi. Il ricorso può essere trasmesso anche a mezzo fax o per via telematica, nel rispetto della normativa, anche regolamentare, vigente. 2. Il ricorso, notificato agli eventuali controinteressati con le modalità di cui all’articolo 3, è presentato nel termine di trenta giorni dalla piena conoscenza del provvedimento impugnato o dalla formazione del silenzio rigetto sulla richiesta d’accesso. Nel termine di quindici giorni dall’avvenuta comunicazione i controinteressati possono presentare alla Commissione le loro controdeduzioni. 3. Il ricorso contiene: a) le generalità del ricorrente; b) la sommaria esposizione dell’interesse al ricorso; c) la sommaria esposizione dei fatti; d) l’indicazione dell’indirizzo al quale dovranno pervenire, anche a mezzo fax o per via telematica, le decisioni della Commissione. 4. Al ricorso sono allegati: a) il provvedimento impugnato, salvo il caso di impugnazione di silenzio rigetto; b) le ricevute dell’avvenuta spedizione, con raccomandata con avviso di ricevimento, di copia del ricorso ai controinteressati, ove individuati già in sede di presentazione della richiesta di accesso. 5. Ove la Commissione ravvisi l’esistenza di controinteressati, non già individuati nel corso del procedimento, notifica ad essi il ricorso. 6. Le sedute della Commissione sono valide con la presenza di almeno sette componenti. Le deliberazioni sono adottate a maggioranza dei presenti. La Commissione si pronuncia entro trenta giorni dalla presentazione del ricorso o dal decorso del termine di cui al comma 2. Scaduto tale termine, il ricorso si intende respinto. Nel caso in cui venga richiesto il parere del Garante per la protezione dei dati personali il termine è prorogato di venti giorni. Decorsi inutilmente tali termini, il ricorso si intende respinto. 7. Le sedute della Commissione non sono pubbliche. La Commissione: a) dichiara irricevibile il ricorso proposto tardivamente; b) dichiara inammissibile il ricorso proposto da soggetto non legittimato o comunque privo dell’interesse previsto dall’articolo 22, comma 1, lettera b), della legge; c) dichiara inammissibile il ricorso privo dei requisiti di cui al comma 3 o degli eventuali allegati indicati al comma 4; d) esamina e decide il ricorso in ogni altro caso. 8. La decisione di irricevibilità o di inammissibilità del ricorso non preclude la facoltà di riproporre la richiesta d’accesso e quella di proporre il ricorso alla Commissione avverso le nuove determinazioni o il nuovo comportamento del soggetto che detiene il documento. 9. La decisione della Commissione è comunicata alle parti e al soggetto che ha adottato il provvedimento impugnato entro lo stesso termine di cui al comma 6. Nel termine di trenta giorni, il soggetto che ha adottato il provvedimento impugnato può emanare l’eventuale provvedimento confermativo motivato previsto dall’articolo 25, comma 4, della legge. 10. La disciplina di cui al presente articolo si applica, in quanto compatibile, al ricorso al difensore civico previsto dall’articolo 25, comma 4, della legge. Art. 13. Accesso per via telematica Le pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 22, comma 1, lettera e), della legge, assicurano che il diritto d’accesso possa essere esercitato anche in via telematica. Le modalità di invio delle domande e le relative sottoscrizioni sono disciplinate dall’articolo 38 del d.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445, e successive modificazioni, dagli articoli 4 e 5 del d.P.R. 11 febbraio 2005, n. 68, e dal decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, e successive modificazioni. Art. 14. Disposizioni transitorie e finali 1. Salvo quanto disposto per le regioni e gli enti locali dal comma 2, le disposizioni del presente regolamento si applicano ai soggetti indicati nell’articolo 23 della legge. Gli atti adottati da tali soggetti vigenti alla data di entrata in vigore del presente regolamento sono adeguati alle relative disposizioni entro un anno da tale data. Il diritto di accesso non può essere negato o differito, se non nei casi previsti dalla legge, nonché in via transitoria in quelli di cui all’articolo 8 del d.P.R. 27 giugno 1992, n. 352, e agli altri atti emanati in base ad esso. 2. Alle regioni e agli enti locali non si applicano l’articolo 1, comma 2, l’articolo 7, commi 3, 4, 5 e 6, e l’articolo 8, in quanto non attinenti ai livelli essenziali delle prestazioni concernenti il diritto all’accesso che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale ai sensi dell’articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione e secondo quanto previsto dall’articolo 22, comma 2, della legge. Le regioni e gli enti locali adeguano alle restanti disposizioni del presente regolamento i rispettivi regolamenti in materia di accesso vigenti alla data della sua entrata in vigore, ferma restando la potestà di adottare, nell’ambito delle rispettive competenze, le specifiche disposizioni e misure organizzative necessarie per garantire nei rispettivi territori i livelli essenziali delle prestazioni e per assicurare ulteriori livelli di tutela. I regolamenti che disciplinano l’esercizio del diritto d’accesso sono pubblicati su siti pubblici accessibili per via telematica. Art. 15. Abrogazioni 1. Dalla data di entrata in vigore del presente regolamento sono abrogati gli articoli da 1 a 7 e 9 e seguenti del d.P.R. 27 giugno 1992, n. 352. E’ altresì abrogato l’articolo 8 di detto decreto dalla data entrata in vigore del regolamento di cui all’articolo 24, comma 6, della legge. 2. Dall’attuazione del presente regolamento non derivano nuovi o maggiori oneri per il bilancio dello Stato. 57 Sentenza n. 244/2007 del 18 maggio 2007 – Sezione giurisdizionale per la regione Lombardia - Giudizio di conto – conto del tesoriere - devoluzione di mutui ad altra finalità - inosservanza dell’obbligo di verifica delle modalità di utilizzo da parte dell’ente locale - mancato discarico del tesoriere SEZIONE GIURISDIZIONALE REGIONE LOMBARDIA Presidente: G. Nicoletti - Relatore: A. Corsetti SVOLGIMENTO DEL PROCESSO 58 Il giudizio è stato deferito all’esame del Collegio con relazione del Magistrato designato (rel. n. 26 in data 4 ottobre 2006) il quale ha rilevato la presenza, nel conto in esame, di irregolarità che precludono il discarico dell’agente contabile, nonostante il pareggio formale delle poste a carico e di quelle di segno opposto. La relazione muove dall’assunto che la regolarità che deve essere accertata nel giudizio di conto è concetto più ampio del pareggio formale del conto, che è condizione necessaria ma non sufficiente ai fini del discarico. Infatti, la normativa vigente richiede il concorso simultaneo dei requisiti di pareggio e regolarità per potersi dare luogo al discarico dell’agente contabile. Al riguardo, il relatore richiama l’art. 29 del r.d. n. 1038 del 1933 e l’art. 47 del r.d. n. 1214 del 1934, secondo cui l’approvazione dei conti richiede che gli stessi siano «regolarmente pareggiati ed il relatore non trovi irregolarità a carico dei contabili». Nella specie, l’attenzione del relatore si concentra sulla inosservanza dell’obbligo del tesoriere di non dare corso ai pagamenti che l’ente volesse effettuare adoperando somme (rimaste inutilizzate) a valere su mutui passivi in essere contratti per altra finalità, obbligo sancito dall’art. 204, co. 3, del d.lgs. n. 267 del 2000 (TUEL). In tal senso il diniego di approvazione del conto è la sanzione conseguente all’accertata irregolarità dello stesso (per mancanza della prescritta attestazione di regolarità). La rilevanza giuridica della regolarità delle operazioni di pagamento effettuate dal tesoriere viene rafforzata, ad avviso del Magistrato relatore, dalla disposizione di cui all’art. 217 del d.lgs. n. 267 del 2000, secondo cui «L’estin-zione dei mandati da parte del tesoriere avviene nel rispetto della legge e secondo le indicazioni fornite dall’ente, con assunzione di responsabilità da parte del tesoriere, che ne risponde con tutto il proprio patrimonio sia nei confronti dell’ente locale ordinante sia dei terzi creditori, in ordine alla regolarità delle operazioni di pagamento eseguite». In particolare, la documentazione sospettata di irregolarità è quella concernente l’utilizzo dei mutui passivi per il ripiano della perdita accumulata dall’A.P.T. nell’esercizio 2000. L’operazione viene autorizzata nel corso del 2001, mentre il mandato di pagamento (dell’importo di euro 279.302,37) viene quietanzato in data 21 febbraio 2002 per cui esso ricade nell’esercizio finanziario 2002 e non in quello in esame. Gli atti rilevanti in questa sede sono: - la deliberazione consiliare n. 81 del 13 settembre 2001 con cui si decide di devolvere la somma totale di lire 540.804.797 ad un fine diverso da quello originario; - la determinazione dirigenziale n. 203 in data 25 ottobre 2001 per la devoluzione dell’importo di lire 79.622.147 utilizzando la parte ancora disponibile sul mutuo di lire 700.000.000 contratto con la Banca MMM; - la determinazione dirigenziale n. 202 del 25 ottobre 2001 per la devoluzione dell’importo di lire 461.182.650 utilizzando, per lire 410.713.610, la parte disponibile del mutuo di lire 677.000.000 stipulato con XXX e, per lire 50.469.040, la parte disponibile del mutuo di lire 141.713.000 contratto sempre con XXX; - la determinazione dirigenziale n. 285 del 19 dicembre 2001 per l’impegno della complessiva somma di lire 540.804.797; - la determinazione dirigenziale n. 29 del 14 dicembre 2002 con la quale viene impegnata la somma di lire 341.136.204 (coperta con avanzo di amministrazione) a saldo della quota necessaria al ripiano della perdita A.P.T. Le predette devoluzioni sono tutte accettate dall’Istituto mutuante (XXX, attuale Banca Intesa, nota del 5 novembre 2001; MMM, lettera dell’8 novembre 2001). Le conclusioni del Magistrato relatore sono per la mera declaratoria di irregolarità del conto, nonostante la constatata situazione di pareggio, e la condanna del tesoriere alle spese di giudizio. La Procura regionale ha depositato in data 28 febbraio 2007 una memoria con la quale l’organo concludente ha prospettato una duplice alternativa: discarico o condanna alla refusione del debito (quantificato in euro 60.705,75), in relazione al significato da attribuire all’obbligo di protezione attribuito al Tesoriere dall’art. 204, co. 3, del d.lgs. n. 267 del 2000: “L’ente mutuatario utilizza il ricavato del mutuo sulla base dei documenti giustificativi della spesa ovvero sulla base di stati di avanzamento dei lavori. Ai relativi titoli di spesa è data esecuzione dai tesorieri solo se corredati di una dichiarazione dell’ente locale che attesti il rispetto delle predette modalità di utilizzo.” Ad avviso della Procura regionale se le modalità di utilizzo riguardate dalla predetta dichiarazione sono soltanto quelle (in positivo) correlate all’emissione del mandato di pagamento in favore del creditore della spesa finanziata con il mutuo (nella specie, il ripiano del disavanzo societario), l’esito del discarico appare inevitabile. Viceversa, se si ritiene che la dichiarazione vada a tutelare ogni contrario utilizzo del mutuo contratto, e persino il mancato utilizzo, dovrebbe concludersi per la presenza di un ammanco a carico del contabile ogni qual volta viene disposto il pagamento delle singole rate di ammortamento del mutuo, perché anche a questa tipologia di mandato si attaglia la preventiva dichiarazione circa il rispetto delle modalità di utilizzo. In tal caso il pagamento sarebbe effettuato contra legem con responsabilità personale del Tesoriere inadempiente ex art. 217 del d.lgs. n. 267 del 2000, il quale sarebbe tenuto alla refusione del debito ex art. 48 co. 2, del R.D. n. 1214 del 1934 perché il pareggio, in assenza di regolarità della posta contabile, è soltanto apparente. In sostanza, la Procura afferma che la dichiarazione di cui all’art. 204, co. 3, del d.lgs. n. 267 del 2000 mira a tutelare l’intera gestione finanziata con il mutuo e che l’ipotesi della devoluzione, implicita nella prima interpretazione della norma, costituisce soltanto una delle ipotesi di difformità rispetto alla quale il mancato utilizzo costituisce ipotesi ben più grave (perché il mutuo viene adoperato per costituire una liquidità di cassa, in violazione del divieto sancito dall’art. 119, co. 6, cost.). Il divieto imposto al Tesoriere - di procedere al pagamento della rata del mutuo in assenza della prescritta attestazione di regolarità – mira a ridurre il verificarsi di tali evenienze. Aggiunge la Procura che la verifica delle modalità di utilizzo del mutuo non può prescindere dall’esame della validità stessa del mutuo e, quindi, della sua conformità alle prescrizioni a pena di nullità di cui all’art. 204, co. 2, del d.lgs. n. 267 del 2000. La banca tesoriera, costituita in giudizio con memoria depositata in data odierna, ha fatto presente che la contestata assenza della dichiarazione prevista dall’art. 204, co. 3 (attestante le modalità di utilizzo del mutuo) si risolve in una irregolarità formale, inidonea ad incidere sulla correttezza del conto, a differenza delle irregolarità sostanziali che possono dar luogo a situazioni fittizie di pareggio. In ogni caso, la Omissis afferma che la dichiarazione mancante, nei fatti, esiste, dovendo essa desumersi dalle deliberazioni dell’ente comunale circa il cambio di destinazione della spesa, e l’art. 204 non richiede che tale dichiarazione sia incorporata in un documento autonomo. Da ultimo, le conclusioni del tesoriere depongono per l’assenza di colpa grave perché la sussistenza dei documenti giustificativi prodotti dall’ente lasciava presumere la legittimità delle operazioni di pagamento. All’udienza, l’Avv. Marcello Clarich accetta di contraddire alle tesi del P.M. concludente pur non avendone avuta cognizione fino a quel momento. Egli ritiene che l’interpretazione letterale e logica dell’art. 204, co. 3, del d.lgs. n. 267 del 2000 deve essere necessariamente quella restrittiva (nella quale le modalità di utilizzo si riferiscono al ricavato del mutuo) in quanto, diversamente, il tesoriere verrebbe gravato di una responsabilità - il controllo improprio della legalità sostanziale delle operazioni compiute dall’ente locale - che non gli com- 59 60 pete. In ogni caso, esclude la colpa grave del tesoriere poiché, pur ammettendo una interpretazione in senso ampio dell’art. 204, co. 3, il tesoriere sarebbe ugualmente tenuto a pagare le rate di mutuo, perfino in mancanza di ordinativo di pagamento, ai sensi dell’art. 154 del regolamento di contabilità dell’ente locale. Il P.M. richiamando le responsabilità dell’agente contabile (come stigmatizzate dalla sentenza n. 251/2005 di questa Sezione) ha escluso che la dichiarazione prevista dall’art. 204, co. 3 potesse considerarsi implicita nelle deliberazioni autorizzatorie emanate dall’ente locale a giustificazione della diversa finalizzazione della spesa, tanto più considerando che esse non sono state allegate al conto del tesoriere e neppure risultano effettivamente inviate al medesimo (le deliberazioni consiliari e le deliberazioni dirigenziali sono state acquisite dal Magistrato relatore in fase istruttoria). Ragionando poi sulle possibili difformità prese in considerazione dall’art. 204, co. 3, il P.M. afferma che il non utilizzo delle somme prese a mutuo (es. importo mutuo XXX di lire 677.000.000 non utilizzato per ?) costituisce ipotesi ben più grave dell’utilizzo difforme (la devoluzione). Il non utilizzo assume i contorni dell’anticipazione di tesoreria, ossia diventa strumento di finanziamento della cassa comunale, a tassi ben più elevati del mutuo (14% annuo contro il 2,5% delle anticipazioni di tesoreria). Questa distorsione che, nella contabilità del tesoriere, si evidenzia unicamente con il pagamento della rata di mutuo, è implicitamente configurata dall’art. 204, co. 3, del d.lgs. n. 267 del 2000. La tutela recata dalla predetta norma costituisce diretta applicazione della norma costituzionale di cui all’art. 119 cost. (testo modificato dalla l. cost. 18 ottobre 2001, n. 3) che vieta di ricorrere all’indebitamento per finanziare spese diverse da quelle di investimento. Ne deriva che la prescritta dichiarazione non è una semplice formalità ed il pagamento della rata in violazione della norma incide sul saldo, dando luogo ad ammanco. In punto di colpa grave, il P.M. fa presente che la norma addotta dal tesoriere a giustificazione del proprio operato – l’art. 154 del regolamento di contabilità dell’ente locale – è del tutto irrilevante, in quanto il successivo art. 155 impone all’ente locale di regolarizzare le partite saldate entro 15 giorni, ai sensi dell’art. 154. Inoltre, l’art. 116 dello stesso reg. cont. prescrive che il mandato di pagamento evidenzi “il rispetto di eventuali vincoli di destinazione.” Sul problema del concorso di altri soggetti nella responsabilità del tesoriere, il P.M. rammenta che la riunione del giudizio di conto con quello di responsabilità amministrativo contabile è prevista quando entrambe le cause sono iscritte a ruolo mentre, attualmente, pende un’istruttoria sui fatti oggetto del conto in esame. Tuttavia, nulla vieta al Collegio di escludere dalla condanna (richiesta per l’importo di euro 60.705,75) la quota di addebito astrattamente attribuibile agli amministratori dell’ente. L’Avv. Clarich, in replica, invoca i principi del giusto processo che sarebbero violati se l’accertamento compiuto in questa sede facesse stato nel giudizio di responsabilità a carico di soggetti che qui non sono stati sentiti, per lesione del contraddittorio. Nel merito, contesta una confusione di ruoli tra la responsabilità attiva dell’ente e la responsabilità omissiva del tesoriere e, soprattutto, il rovesciamento della catena causale, donde il responsabile dell’ultimo anello viene chiamato a rispondere dell’operato di chi ha posto in essere la causa prima dell’addebito, mediante un’interpretazione non coerente con il sistema. Così operando, si vorrebbe gravare il tesoriere di una responsabilità che compensa il venir meno dei controlli di legalità sull’operato dei poteri pubblici locali e si rimprovera al tesoriere il mancato rispetto di una diligenza minima, che lo indurrebbe a scavare a fondo di ogni operazione per individuare ogni sorta di illegalità ed assumere, di conseguenza, il ruolo di ente amministrativo e non bancario. Sulle implicazioni recate dall’art. 119 cost., nuovo testo, l’Avv. Clarich fa presente che il regolamento di contabilità (approvato con deliberazione consiliare n. 177 del 5 dicembre 1997) dell’ente locale non è stato mai modificato dubitando, peraltro, di un effetto abrogativo automatico prodotto dal rinnovato art. 119. Anzi, a questo riguardo egli rammenta che uno dei casi di esclusione della colpa grave è proprio la confusione del quadro normativo. Nel caso in esame, la difficoltà di interpretazione è ancora maggiore, trattandosi di questione che viene a giudizio per la prima volta. In ogni caso, il patrocinante del tesoriere insiste nella questione di fondo, dubitando del fatto che la legalità sostanziale di un comportamento possa essere perseguita muovendo dal segmento finale della condotta dando così luogo ad una ricostruzione della fattispecie apprezzabile ma ardita. Al termine della discussione la causa è stata trattenuta in decisione. MOTIVI DELLA DECISIONE 1. Il giudizio di conto sottoposto all’attenzione di questo Giudice concerne l’accertamento di irregolarità presenti nel conto del tesoriere nell’esercizio finanziario 2001 avuto riguardo, in particolare, ai pagamenti delle rate di ammortamento dei mutui passivi in assenza dell’attestazione circa il rispetto delle modalità di utilizzo prescritta dall’art. 204 del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267. Il Collegio, lasciando impregiudicata ogni altra questione che dovesse emergere in altra sede, ritiene di concentrare la pronuncia sulle irregolarità rilevate dal Magistrato relatore, come precisate e quantificate dalla Procura regionale concludente, pur non essendo vincolato, l’organo giudicante, alle richieste di tali organi (parag. 3.1). Invero la proposta di condanna del Magistrato istruttore ruotava attorno ai pagamenti a terzi effettuati dal tesoriere a valere sulle somme prese a mutuo, culminando nella ritenuta irregolarità dell’operazione di ripiano della perdita accumulata dall’Azienda Provinciale Trasporti nell’esercizio 2000 (per l’ammontare di euro 279.302,37). Tuttavia, le conclusioni della Procura regionale depongono per il discarico dell’agente contabile relativamente a tale anomalia, poiché il relativo mandato di pagamento ricade nell’esercizio finanziario 2002, benché l’intera operazione di devoluzione dei mutui passivi necessaria al ripiano della perdita A.P.T. sia stata autorizzata nel corso del 2001. L’organo concludente ritiene invece censurabile il pagamento delle singole rate di ammortamento delle somme prese a mutuo, quietanzate dopo la devoluzione dei mutui in questione, nell’idea che l’obbligo di protezione intestato al tesoriere ex art. 204, co. 3, del d.lgs. n. 267 del 2000 comprenda la legittimità dell’intera operazione gestoria finanziata con il mutuo. Pertanto, la dichiarazione prescritta dall’art. 204, co. 3, dovrebbe essere allegata non soltanto ai mandati di pagamento con i quali si estingue la spesa finanziata con il mutuo, ma anche agli ordinativi delle singole rate di ammortamento del mutuo. Secondo questa prospettazione, la difformità della documentazione giustificativa (o, come nella specie, l’assenza di documentazione), equivale ad inadempimento del contabile, da porre a suo carico ai sensi dell’art. 48, co. 2, r.d. n. 1214 del 1934. Pertanto, l’ammanco consiste in euro 60.705,751 (pari a vecchie lire 117.542.716) e corrisponde ai mandati di pagamento estinti a rimborso delle quote capitale ed interessi in data 17 dicembre 2001, epoca in cui la procedura di devoluzione dei mutui ad altra finalità era stata già autorizzata dagli istituti di credito mutuanti. La proposta di condanna della procura regionale merita di essere parzialmente accolta. La difesa del tesoriere punta essenzialmente al riconoscimento della responsabilità principale se non esclusiva dell’ente locale in ordine all’ammanco per cui è causa, in quanto la dichiarazione mancante è un atto che deve essere emanato dall’amministrazione e non dal tesoriere, per cui l’omissione di controllo che si addebita a quest’ultimo è di natura residuale. Peraltro, il concorso di altri soggetti nella produzione dell’ammanco viene ipotizzato dalla stessa Procura regionale, sia pure come decurtazione della quota di addebito astrattamente imputabile a soggetti diversi dal tesoriere. Sotto questo profilo, la banca tesoriera invoca i principi del giusto processo come sanciti dall’art. 111 cost. poiché il contraddittorio non sarebbe integro se l’accertamento compiuto in questa sede fosse fatto valere nell’eventuale successivo giudizio di responsabilità a carico di soggetti qui non presenti. Tra le righe, è ipotizzata la riunione del giudizio di conto con quello di responsabilità, poiché è in atti la trasmissione di una notitia damni alla Procura regionale da parte del Magistrato relatore per presunti illeciti emersi nell’esame del presente conto giudiziale. 61 62 2. In via pregiudiziale, il Collegio chiarisce che la riunione del giudizio di conto con quello di responsabilità, prevista dall’art. 44, del r.d. 13 agosto 1933, n. 1038, è possibile quando entrambe le azioni sono state esercitate realizzandosi, così, la condizione di pendenza tra le cause che costituisce il necessario presupposto della riunione dei giudizi ex art. 274 c.p.c. Nella specie, l’azione di responsabilità amministrativo contabile è ancora in fase istruttoria, per cui non è ipotizzabile la confluenza nel giudizio di conto in quello di responsabilità. 3. L’accertamento del debito del tesoriere nel giudizio di conto è inidoneo a fare stato in un diverso processo e, segnatamente, nel giudizio di responsabilità che dovesse essere instaurato a carico degli amministratori dell’ente locale che si avvale del servizio di tesoreria. L’effetto vincolante sarebbe escluso pur riconoscendo un apporto causale dell’amministrazione nella produzione dell’ammanco per cui è causa, stante la non sovrapponibilità del giudizio di conto a quello di responsabilità e, in definitiva, la diversità del petitum nelle due tipologie di giudizio contabile. La difesa del tesoriere ipotizza una possibile lesione del contraddittorio nel fatto che l’accertamento eseguito in questa sede possa spiegare effetti nel successivo giudizio di responsabilità prefigurando, così, la necessaria integrazione del contraddittorio nei confronti di soggetti non chiamati in questo giudizio. Ferma restando la non praticabilità di tale integrazione, in quanto il giudizio di conto ha per destinatari soltanto gli agenti contabili, l’ipotizzato effetto di giudicato darebbe semmai luogo ad improcedibilità dell’azione amministrativo contabile, ove fosse sostenuta la tesi dell’identità delle azioni, qui fermamente respinta. In disparte il profilo soggettivo - al quale osterebbe l’applicazione dell’art. 2909 c.c. in quanto l’accertamento contenuto in una sentenza passata in giudicato fa stato «tra le parti, i loro eredi o aventi causa» - nella specie, fa difetto il presupposto dell’identità delle azioni sotto il profilo oggettivo (petitum e causa petendi). La diversità degli elementi identificativi dell’azione, considerata dalla dottrina e dalla giurisprudenza in applicazione del principio del ne bis in idem trova fondamento, nella vicenda in esame, nella differenza strutturale del giudizio del conto dall’azione di responsabilità amministrativo contabile. 3.1. Il giudizio di conto trae origine dalla legge Sarda 23 marzo 1853, n. 1483. Esso costituisce il nucleo storico del processo contabile e consiste nel controllo giurisdizionale esercitato sulla gestione del pubblico denaro mediante il conto giudiziale. Attualmente, le principali fonti normative che disciplinano il giudizio di conto sono: il regolamento di procedura per i giudizi innanzi alla Corte dei conti, approvato con r.d. 13 agosto 1933, n. 1038 (artt. 27 ss.); il testo unico delle leggi sulla Corte dei conti, approvato con r.d. 12 luglio 1934, n. 1214 (artt. 44 ss.); la legge sull’amministrazione del patrimonio e sulla contabilità generale dello Stato approvata con r.d. 18 novembre 1923, n. 2440 (artt. 74 ss.); il regolamento per l’amministrazione del patrimonio e per la contabilità generale dello Stato approvato con r.d. 23 maggio 1924, n. 827 (artt. 178 ss.); la l. 14 gennaio 1994, n. 20, art. 2; il Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali per gli enti locali, approvato con d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267 (artt. 93 e 233); la l. 19 maggio 1976, n. 335, art 35, per gli agenti contabili delle regioni. L’obbligo del rendiconto giudiziale ricade su tutti coloro che hanno maneggio di denaro pubblico i quali assumono la qualifica di agenti contabili indipendentemente dalla natura (pubblica o privata) del soggetto gestore. In disparte la figura del tesoriere, titolare di un servizio oggettivamente pubblico riconosciuto tale sin dalle norme del t.u. della legge comunale e provinciale (ex art. 325, r.d. n. 383 del 1934, su cui v. Cons. St., sez. V, 23 gennaio 2007, n. 187), è stata ritenuta rilevante la provenienza pubblica del bene oggetto di gestione nonché il carattere pubblico dell’ente concedente, per stabilire la soggezione al rendiconto giudiziale di società private concessionarie di servizi pubblici locali (Cass., sez. un., 9 ottobre 2001, n. 12367; C. conti, sez. Lazio, 30 dicembre 2005, n. 3008). Gli elementi fondamentali del giudizio di conto sono, così, l’obbligo di rendicontazione, la qualifica di agente contabile e l’approvazione del conto con dichiarazione di regolarità resa da un organo giurisdizionale, da cui deriva la locuzione “conto giudiziale.” Ne consegue che il giudizio di conto è strumento integrativo della rendicontazione generale, che è una prestazione strumentale insita nello status di gestore di risorse altrui, da ritenere sussistente anche in mancanza di specifiche norme e prevista anche in altri rami del diritto (cfr. artt. 385 ss. c.c. per l’obbligo di rendicontazione che incombe sul tutore). Nel contempo, la rendicontazione attuata mediante il giudizio di conto è un mezzo di chiusura del complesso di garanzie poste a tutela della corretta e regolare gestione dei beni pubblici (Cass., sez. un., 19 Luglio 1999, n. 461). Il giudizio di conto è instaurato d’ufficio, senza necessità di impulso di parte ed indipendentemente dall’esistenza di una materia controversa, così rivelando la sua natura di giudizio necessario ed officioso: «la presentazione del conto costituisce l’agente dell’amministrazione in giudizio» (art. 45 del r.d. n. 1214 del 1934). Segue l’istruttoria del Magistrato relatore, che è organo dotato di larghi poteri di accertamento finalizzati alla verifica della regolarità del conto: da qui deriva l’altra fondamentale caratteristica del giudizio di conto, la sindacatorietà. L’ampiezza dei poteri istruttori attribuiti al Magistrato relatore non è lesiva del principio della terzietà del giudice, trattandosi di procedimento interamente dominato dalla Sezione giurisdizionale - dall’instaurazione ex officio alla decisione sul conto - nel quale il Procuratore regionale non è parte in senso sostanziale né attore nel giudizio di conto, bensì organo concludente tenuto a rassegnare le proprie conclusioni orali, ex art. 18 del r.d. n. 1038 del 1933. In mancanza di una domanda, non sussiste il vincolo di corrispondenza tra chiesto e pronunciato ex art. 112 c.p.c. Il Magistrato relatore conclude la relazione sul conto chiedendo il discarico del contabile «qualora il conto chiuda in pareggio e risulti regolare» mentre, in caso di accertate irregolarità si prospettano tre alternative, ai sensi dell’art. 29 del r.d. n. 1038 del 1933: 1) «la condanna del medesimo a pagare la somma di cui il relatore lo ritenga debitore»; 2) «la rettifica dei resti da riprendersi nel conto successivo»; 3) l’adozione di «provvedimenti interlocutori che il relatore medesimo giudichi opportuni». Per la pronuncia di discarico occorre il favorevole avviso di tre soggetti: il Magistrato relatore proponente, il Procuratore regionale al quale il fascicolo è trasmesso per l’apposizione del visto ed il Presidente della Sezione giurisdizionale che emana il relativo decreto (artt. 30, 31 e 32 del r.d. n. 1038 del 1933; art. 47 del r.d. n. 1214 del 1934). Viceversa, il conto viene iscritto nel ruolo di udienza se il relatore conclude per la condanna dell’agente contabile (oppure per la rettifica del conto o riscontri irregolarità dello stesso), o il Procuratore fa risultare il suo avviso contrario alla proposta di discarico o, infine, il Presidente dissenta sulla proposta di discarico del relatore e sul parere conforme dato dalla procura (art. 33 del r.d. n. 1038 del 1933). Per le evidenziate caratteristiche del giudizio di conto, a rigore, non deve essere disposta alcuna notifica del giorno di udienza nei confronti dell’agente contabile, perché egli è costituito in giudizio mediante la presentazione del conto, cosicché nel giudizio di conto il contabile non è mai contumace (l’unica eccezione riguarda i conti presentati d’ufficio, i quali, ovviamente, non sono prodotti dal contabile). Il mancato intervento in udienza del contabile non dà luogo a lesione del principio del giusto processo ex art. 111 cost., trattandosi di procedimento a contraddittorio differito, nel quale la fase di contraddittorio pieno è attivata su istanza del destinatario del provvedimento di condanna, nei casi in cui egli non abbia partecipato al dibattimento o non sia stato messo in condizione di intervenirvi. L’opposizione contabile è, pertanto una fase eventuale del giudizio di conto, attivabile al verificarsi di determinate condizioni (condanna e mancata notifica degli atti all’agente contabile) e non un mezzo di impugnazione. Il giudizio di conto – sia che si concluda in una pronuncia di assoluzione (o di discarico) del contabile e sia che termini con una decisione di condanna (art. 48 del r.d. n. 1214 del 1934) - dà luogo, in ogni caso, ad una pronuncia sulla veridicità ed attendibilità dei dati fondamen- 63 64 tali della gestione, espressione di una giurisdizione obiettiva idonea a dare certezza ai conti pubblici. 3.2. L’esposizione, sia pure sintetica e non esaustiva, dei caratteri fondamentali del giudizio di conto, denota la distanza che separa tale procedimento dall’azione di responsabilità amministrativo contabile. Quest’ultima è un’azione di risarcimento danni, azionata dal Procuratore generale nei confronti di un dipendente/amministratore pubblico (o privato esercente pubbliche funzioni) in applicazione del divieto generale di neminem laedere posto dall’art. 2043 c.c. Il diritto di credito azionato appartiene all’ente danneggiato, tant’è che la richiesta di condanna viene formulata dalla Procura attrice in favore dell’amministrazione che ha subito la lesione (anche se diversa da quella di appartenenza dell’autore dell’illecito). Di conseguenza il diritto, una volta accertato con sentenza di condanna, viene realizzato a cura dello stesso ente danneggiato che assume, in fase di esecuzione, il ruolo di creditore procedente. L’azione di danno è pubblica e obbligatoria in quanto affidata all’iniziativa di un organo pubblico, il P.M. presso la Corte dei conti, affinché agisca a tutela della corretta gestione delle risorse appartenenti alla collettività, così differenziandosi dalle normali azioni civili spettanti alle amministrazioni lese e proposte dinanzi alla giurisdizione ordinaria. Anche sul piano strettamente processuale, l’azione di responsabilità amministrativo contabile presenta indubbie affinità con l’azione risarcitoria di diritto comune: essa è introdotta con atto di citazione in giudizio e, salvo norme particolari (quali, ad es. la personalità della responsabilità, l’esclusione della solidarietà, l’insindacabilità delle scelte discrezionali), si applicano le regole stabilite dal c.p.c. per il processo di cognizione. Se l’accertamento del danno è la cifra fondamentale dell’azione di responsabilità amministrativo contabile, l’oggetto della responsabilità contabile è il dovere di documentazione che incombe sul contabile per cui, in caso di irregolarità del conto, scatta l’obbligo di restituzione. Il Magistrato relatore, nel giudizio di conto, in caso di irregolarità del conto, conclude «per la condanna del medesimo a pagare la somma di cui il relatore lo ritenga debitore, ovvero per la rettifica dei resti da riprendersi nel conto successivo, o infine per i provvedimenti interlocutori che il relatore medesimo giudichi opportuno» (art. 29, r.d. n. 1038 del 1933). La predetta norma non parla di danno, ma di debito, con questo confermando la specifica finalità del giudizio di conto. Ciò non toglie che i fatti oggetto di accertamento nel giudizio di conto possano essere anche forieri di danno erariale, come espressamente previsto dal succitato art. 44 del r.d. n. 1038 del 1933. Anche in questo caso, i due livelli di responsabilità non sono sovrapponibili: la pronuncia sulla regolarità del conto (ovvero la rettifica dei conti o la condanna) è comunque autonoma dalla pronuncia sul danno, anche se il destinatario è il medesimo (cfr. C. conti, sez. Lazio, 30 dicembre 2005 n. 3008). 3.3. Queste brevi considerazioni valgono a smentire la tesi dell’identità delle azioni posta a fondamento dell’eccezione difensiva, non essendo neppure astrattamente configurabile una comunanza di petitum e causa peetendi rispetto a moduli processuali così difformi. Sul piano concreto, l’irregolarità che osta al discarico della banca tesoriera consiste nel pagamento di ordinativi in difetto della prescritta attestazione, per cui la ragione del domandare (causa petendi) ruota attorno ai doveri di protezione che incombono sul tesoriere, mentre il petitum si sostanzia nella richiesta di restituzione delle poste contabili irregolari, in ordine alle quali è configurabile un ammanco. Ad oggi, non è possibile conoscere se una richiesta di condanna sarà formulata dalla Procura regionale nell’ambito del procedimento amministrativo contabile (attualmente in fase istruttoria) vertente sui fatti oggetto di indagine in questa sede, né quali saranno i soggetti convenuti ma, invariabilmente, l’eventuale giudizio avrà come causa petendi il diritto al risarcimento del danno di cui è titolare l’ente leso e, come petitum, la riparazione del pregiudizio subito. Pertanto, non sussiste la lamentata violazione del contraddittorio, né la conseguente lesione dei principi del giusto processo in caso di sentenza di condanna pronunciata nei confronti del solo tesoriere, poiché detta pronuncia in nessun caso potrebbe fondare o ipotecare l’esito di un successivo giudizio di responsabilità, nel quale egli sia coinvolto in concorso con altri corresponsabili. 4. L’irregolarità che si chiede al giudice di accertare è vizio diverso dallo spareggio del conto, in quanto la normativa vigente richiede il concorso simultaneo dei requisiti di pareggio e regolarità per poter pronunciare il discarico dell’agente contabile. L’art. 47 del r.d. n. 1214 del 1934 prevede che l’approvazione dei conti è data quando gli stessi siano «regolarmente pareggiati ed il relatore non trovi irregolarità a carico dei contabili…» In senso analogo, dispone il succitato art. 29 del r.d. n. 1038 del 1933 secondo cui, in caso di conto «non regolare» il Magistrato relatore è obbligato a formulare una proposta di «condanna» nei confronti dell’agente contabile «a pagare la somma di cui il relatore lo ritenga debitore». Ne deriva che il pareggio del conto è condizione necessaria ma non sufficiente ai fini del discarico, dovendosi ritenere configurabile una posizione debitoria - trovante causa nei fatti e comportamenti che hanno determinato la non regolarità del conto - anche nei casi in cui il conto chiuda in pareggio (cfr. C. conti, sez. Lombardia, 18 ottobre 2006, n. 585; id., 5 ottobre 2006, n. 531; id., 27 settembre 2006, n. 520; id., 25 novembre 2005, n. 703/ord.). 4.1 Il contenuto tipico del giudizio di conto consiste nell’accertamento della attendibilità dei dati rendicontati e, quindi, della conformità dei pagamenti alle norme di contabilità pubblica che disciplinano la concreta gestione contabile, nella specie, del tesoriere. Al riguardo, si premette che il servizio di tesoreria ha per oggetto il complesso delle operazioni legate alla gestione finanziaria dell’ente locale, tra cui la riscossione di tutte le entrate, anche patrimoniali ed il pagamento di tutte le spese, la custodia di titoli e valori, oltre agli adempimenti connessi previsti dalla legge, dal regolamento, dallo statuto e dalle norme pattizie, come emerge dal contratto-capitolato per la gestione del servizio di tesoreria comunale tra il Comune di Lecco e la Deutsche Bank, stipulato in data 20 agosto 1997 e rinnovato il 24 marzo 2000. Il carattere oggettivamente pubblico dell’attività del tesoriere è stato riaffermato dalla giurisprudenza amministrativa e di legittimità (Cons. St., sez. V, 23 gennaio 2007, n. 187; Cass., sez. un, 16 luglio 2001, n. 9648; id., 10 dicembre 1999, n. 874), che ha stigmatizzato la natura concessoria del legame tra ente e tesoriere avente per oggetto il conferimento all’istituto di credito di funzioni pubblicistiche, quali il maneggio del denaro pubblico e il controllo sulla regolarità dei mandati e prospetti di pagamento, nonché sul rispetto dei limiti degli stanziamenti in bilancio. La particolare rilevanza del servizio di tesoreria si ricava dalla previsione di un onere di documentazione aggravato rispetto a quello previsto per tutti gli altri agenti contabili degli enti locali, i quali sono esonerati dalla trasmissione alla Corte dei conti della documentazione giustificativa (art. 93, co. 3, del d.lgs. n. 267 del 2000, norma reiterativa dell’art. 10, della l. n. 127 del 1997). I tesorieri, invece, sono tenuti a redigere e presentare il conto secondo le modalità indicate dall’art. 226 del d.lgs. n. 267 del 2000, allegando i documenti ivi esplicitamente elencati. Questa puntuale previsione, lungi dal rappresentare un conflitto tra norme, dimostra la particolare attenzione del legislatore verso l’esercizio di tale funzione. Tra le irregolarità che possono essere rilevate nell’esame di un conto giudiziale talune, avendo carattere formale, sono inidonee ad incidere sul saldo contabile, perché non realizzano una diminuzione patrimoniale delle risorse dell’amministrazione. E’ il caso delle verifiche trimestrali di cassa, la cui carenza ha reso inevitabile l’iscrizione a ruolo dei conti economali che ne erano carenti - trattandosi pur sempre di conti irregolari - senza, tuttavia, pervenire ad una pronuncia di condanna a carico dell’economo per non ravvisato ammanco (C. conti, sez. Lombardia, 18 ottobre 2006, n. 585; id., 5 ottobre 2006, n. 531). Viceversa, le irregolarità di cui si controverte nel presente giudizio sono influenti sul saldo contabile - dando luogo ad ammanco - in quanto il pagamento effettuato in violazione di 65 66 norme imperative è un pagamento non dovuto, che resta a carico dell’agente contabile inadempiente, ex art. 48, co. 2, r.d. n. 1214 del 1934. In particolare, qui sono contestati i pagamenti delle rate di ammortamento dei mutui passivi, effettuati dal tesoriere dell’ente locale in assenza dell’attestazione circa il rispetto delle modalità di utilizzo prescritta dall’art. 204, co. 3, del d.lgs. n. 267 del 2000. La predetta disposizione dispone: «L’ente mutuatario utilizza il ricavato del mutuo sulla base dei documenti giustificativi della spesa ovvero sulla base di stati di avanzamento dei lavori. Ai relativi titoli di spesa è data esecuzione dai tesorieri solo se corredati di una dichiarazione dell’ente locale che attesti il rispetto delle predette modalità di utilizzo». Questa norma, teoricamente, ammette una duplice interpretazione, ferma restando la condivisa finalità di responsabilizzare il tesoriere sull’utilizzo corretto e non difforme delle somme prese a mutuo da parte dell’ente locale. E’ di tutta evidenza che si è in presenza di una delegatio solvendi non astratta, ma ancorata ad una precisa causa resa ancor più evidente dalla finalità del rapporto di provvista sottostante, come emerge dall’inciso: «è data esecuzione…solo se corredati di una dichiarazione…che attesti il rispetto delle…modalità di utilizzo». In senso restrittivo, si sostiene che l’attestazione di conformità sia da allegare soltanto agli ordini di pagamento destinati ai terzi creditori delle opere eseguite con somme a valere sui mutui passivi in essere. Così operando, si scongiura il pericolo di adoperare il finanziamento per eseguire opere diverse da quelle previste in sede di erogazione del mutuo, obbligando l’ente locale a seguire la procedura prescritta per il cambio di destinazione eventualmente resosi necessario. Nell’ambito della riferita interpretazione, veniva rilevata, da parte del Magistrato istruttore nel giudizio in esame, la mancata attestazione dell’ente locale al mandato di pagamento per il ripiano della perdita A.P.T. di Lecco, estinto nell’esercizio finanziario 2002 e, pertanto, fuori dall’oggetto del presente giudizio. Ma, in disparte la predetta circostanza, il Collegio ritiene che la limitazione degli oneri di documentazione e allegazione di cui all’art. 204, co. 3, del d.lgs. n. 267 del 2000 all’effettivo utilizzo del finanziamento non soddisfi pienamente le esigenze di protezione salvaguardate dalla predetta norma. In tal senso, non si tratta di dare un’interpretazione estensiva o di forzare la lettera della norma: semplicemente, l’art. 204, co. 3 sarebbe una disposizione monca di significato se il contenuto dell’obbligo di protezione attribuito al tesoriere non comprendesse la totalità dei vizi di utilizzo delle somme prese a mutuo (uso distorto e non uso). E’ infatti evidente che un problema di difformità non si pone soltanto per l’uso distorto ma, a maggior ragione, per il non uso delle predette somme. Ciò in quanto l’aver stipulato un mutuo con accollo dei relativi oneri finanziari a carico della comunità degli amministrati e, nel contempo, non aver adoperato le relative somme è senza dubbio una modalità gestionale contraria agli interessi dell’ente locale oltre che foriera di danno. In base all’interpretazione condivisa dell’art. 204, co. 3, il tesoriere è tenuto a farsi carico della conformità della spesa allo scopo per il quale il finanziamento è stato concesso e, pertanto, deve acquisire la prescritta attestazione dell’ente locale al momento di liquidare i pagamenti a valere sulle somme prese a mutuo. Se così è, non si ravvisano ragioni per escludere tale diligenza al verificarsi della più grave violazione consistente nel mancato utilizzo del finanziamento e, pertanto, l’attestazione deve essere allegata anche alle singole rate di ammortamento del mutuo. In tal senso appare obbligata e non alternativa l’interpretazione più ampia dell’art. 204, co. 3, del d.lgs. n. 267 del 2000, nel presupposto che il tesoriere debba essere responsabilizzato non soltanto in caso di uso distorto ma anche per il non uso del finanziamento da parte dell’ente locale. In questa prospettiva, gli oneri di documentazione e di allegazione a carico del tesoriere si collocano, cronologicamente, al momento della liquidazione delle singole rate di ammortamento del mutuo, poiché soltanto la regolare attestazione dell’ente circa il rispetto delle «modalità di utilizzo» costituisce valida giustificazione della spesa e, pertanto, della diminuzione patrimoniale realizzata con il pagamento. La presenza di tale attestazione non è un requisito di carattere formale, perché attiene ai precisi obblighi del tesoriere, che è organo funzionalmente incardinato nell’organizzazione dell’ente locale, in qualità di agente pagatore. Ciò non toglie che l’utilizzo negativo del finanziamento, in sé, sia un fatto gestionale che ricade prevalentemente nella responsabilità dell’ente locale. Infatti, il tesoriere non è tenuto ad eseguire un controllo di legalità sull’operato dell’ente sino alla sorgente della difformità (come paventato dalla difesa del tesoriere), bensì semplicemente ad acquisire l’attestazione che funge da saldatura tra il discarico del tesoriere e l’assunzione di responsabilità da parte dell’ente concedente. 4.2. L’utilizzo negativo delle somme oggetto di finanziamento non è ipotesi di scuola, bensì circostanza puntualmente verificatasi nella specie. Con riferimento al mutuo XXX n. 32302/ 7042, stipulato il 24 gennaio 1991 per lire 677.000.000, si fa presente che, a distanza di ben 10 anni, restava ancora da utilizzare la cospicua somma di lire 410.713.610, pur avendo continuato, il Comune stipulante, a corrispondere gli interessi in assenza della realizzazione dell’opera per il quale era stato richiesto e, quindi, in violazione dello scopo per il quale l’ente si era determinato a contrarre il mutuo suddetto. Considerazioni analoghe possono essere fatte in relazione al contratto di mutuo n. 32307/ 7042 stipulato con XXX il 24 gennaio 1991 per lire 141.350.000, di cui lire 50.469.040 devolute perché non utilizzate e, per importi meno rilevanti, relativamente al terzo mutuo utilizzato per il ripiano della perdita A.P.T. (contratto di mutuo n. 46500/6414 stipulato il 31 dicembre 1996 con la Banca MMM per lire 700.000.000, di cui lire 79.622.147 devolute in mancanza di precedente utilizzazione). In ogni caso, si tratta di somme lasciate inutilizzate per un decennio, o meglio adoperate per realizzare una liquidità di cassa, in alternativa agli specifici strumenti giuridico contabili allo scopo previsti (es. anticipazioni di tesoreria) ma, soprattutto, in violazione delle norme, anche costituzionali (art. 119, co. 6, cost), che vietano di ricorrere all’indebitamento per finanziare spese diverse dagli investimenti. Nel caso di specie, il non utilizzo delle somme prese a mutuo dà luogo ad un’anticipazione di tesoreria, diventando uno strumento di finanziamento della cassa comunale a tassi ben più elevati di quelli accordati nei contratti di mutuo (14% annuo contro il 2,5% delle anticipazioni di tesoreria). 4.3. La norma costituzionale sui limiti all’indebitamento per gli enti locali, recata dall’art. 119, co. 6, cost., nel testo modificato dalla l. cost. 18 ottobre 2001, n. 3, così dispone: «i Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni … possono ricorrere all’indebitamento solo per finanziare spese di investimento». Trattasi di disposizione di principio e, nel contempo, di norma di riferimento per l’interpretazione delle disposizioni vigenti, nell’ottica della progressiva riduzione del debito pubblico e della oculatezza delle scelte finanziarie destinate ad incidere sulle generazioni future, tra cui, per definizione, la contrazione di prestiti. Il vincolo stabilito dall’art. 119 cost. stabilisce il principio secondo cui gli oneri finanziari di una spesa (leggasi rate di ammortamento del mutuo) possono essere accollati dalle generazioni future soltanto se i benefici attesi siano destinati a produrre frutti o altre utilità durevoli nel tempo. Il vincolo posto dalla Costituzione non è nuovo all’ordinamento degli enti locali: l’art. 44, co. 1, del d.lgs. 25 febbraio 1995, n. 77 già prevedeva che «Il ricorso all’indebitamento … è ammesso esclusivamente nelle forme previste dalle leggi vigenti in materia e per la realizzazione degli investimenti». La norma è stata poi recepita dal TUEL (art. 202, co. 1, d.lgs. n. 267 del 2000), prima di essere costituzionalizzata. Tra le disposizioni attuative emanate in applicazione dell’art. 119 cost., si rammenta l’art. 30, co. 15 della l. 27 dicembre 2002, n. 289 (legge finanziaria 2003), secondo cui: «Qualora gli enti territoriali ricorrano all’indebitamento per finanziare spese diverse da quelle di investimento, in violazione dell’articolo 119 della Costituzione, i relativi atti e contratti sono 67 68 nulli. Le sezioni giurisdizionali regionali della Corte dei conti possono irrogare agli amministratori, che hanno assunto la relativa delibera, la condanna ad una sanzione pecuniaria pari ad un minimo di cinque e fino ad un massimo di venti volte l’indennità di carica percepita al momento di commissione della violazione». I concetti di «indebitamento» e di «investimento» nonché l’ambito soggettivo di operatività della particolare fattispecie sanzionatoria sono stati successivamente precisati dall’art. 3, commi 16 e seguenti, della l. 24 dicembre 2003, n. 350 (v. C. conti, sez. Sicilia, 7 novembre 2006, n. 3198). 4.4. L’estensione del dovere di protezione attribuito al tesoriere ex art. 204, co. 3, del d.lgs. n. 267 del 2000 dalla fase terminale della liquidazione degli interventi realizzati con il ricavato del mutuo all’intero processo di finanziamento - già optata in forza dell’equiparazione del vizio di utilizzo difforme del finanziamento alle situazioni di mancato utilizzo dello stesso (parag. 4.1) - appare obbligata alla luce del precetto costituzionale. Peraltro, il dovere di protezione gravante sul tesoriere è rafforzato dall’art. 217 del d.lgs. n. 267 del 2000, secondo cui «L’estinzione dei mandati da parte del tesoriere avviene nel rispetto della legge e secondo le indicazioni fornite dall’ente, con assunzione di responsabilità da parte del tesoriere, che ne risponde con tutto il proprio patrimonio sia nei confronti dell’ente locale ordinante sia dei terzi creditori, in ordine alla regolarità delle operazioni di pagamento eseguite». Nella fattispecie, sono contra legem, per assenza delle attestazioni di regolarità di utilizzo di cui all’art. 204, co. 3, d.lgs. n. 267 del 2000, i pagamenti delle rate di ammortamento dei mutui devoluti. Di qui, la responsabilità personale del Tesoriere inadempiente ex art. 217 del d.lgs. n. 267 del 2000, in quanto il pareggio, in assenza di regolarità della posta contabile, è soltanto apparente. Tanto premesso, il Collegio condivide l’avviso della Procura regionale di circoscrivere la responsabilità contabile del tesoriere ai mandati di pagamento estinti in data 17 dicembre 2001 - e non ai titoli di spesa emessi in precedenza con la stessa causale - considerando l’epoca di compimento delle operazioni di devoluzione dei mutui in essere come lo spartiacque tra le poste da discaricare e quelle da porre a carico del contabile. L’importo complessivo, ammontante in euro 60.705,75 è formato dai seguenti ordinativi: a) n. 20010007769, intervento 3010303, in conto rimborso quota capitale del mutuo XXX n. 32307/7042, rata n. 20: lire. 5.411.728; b) n. 20010007770, intervento 1050206, in conto rimborso interessi del mutuo XXX n. 32307/7042, rata n. 20: lire. 5.979.160; c) n. 20010007788, intervento 3010303, in conto rimborso quota capitale del mutuo XXX n. 32302/7042, rata n. 20: lire. 25.919.635; d) n. 20010007789, intervento 1090206, in conto rimborso interessi del mutuo XXX n. 32302/7042, rata n. 20: lire. 28.637.360; e) n. 20010007809, intervento 3010303, in conto rimborso quota capitale del mutuo MMM n. 46500/6414, rata n. 10: lire. 33.447.060; f) n. 20010007810, intervento 1090206, in conto rimborso interessi del mutuo MMM n. 46500/6414, rata n. 10: lire. 18.147.773. 5. Accertata la sussistenza di un debito a carico del tesoriere reddente, occorre verificare la rilevanza dell’elemento soggettivo nel giudizio di conto. 5.1. Il giudizio di conto è espressione di una giurisdizione oggettiva, culminante in una pronuncia sulla veridicità e l’attendibilità dei dati gestionali e nella quale l’elemento soggettivo svolge un ruolo marginale, in relazione all’obbligazione del custodiam praestare che connota il rapporto contrattuale dell’agente contabile con l’ente concedente. Ne deriva che la prova liberatoria della responsabilità contabile, nel giudizio di conto, consiste nella dimostrazione della non imputabilità della diminuzione patrimoniale. Questa prova deve essere fornita dal contabile il quale, per dovere di ufficio, deve dare conto e, quindi, giustificare la gestione, secondo lo schema della responsabilità del debitore per inadem- pimento delle obbligazioni assunte (art. 1218 c.c.). Non si tratta di inversione dell’onere di prova, bensì di ripartizione dello stesso tra: 1) l’amministrazione, che deve dare la dimostrazione del carico; 2) il contabile che deve provare di aver posto in essere tutte le procedure prescritte; 3) il giudice che è dotato di potere sindacatorio per sopperire alla lacunosità o incompletezza delle prove agli atti, non essendo possibile una pronuncia di non liquet che si configurerebbe come assolutoria dell’obbligo di rendere conto. Nel giudizio di conto, nessun onere di prova spetta alla Procura regionale che, si è detto, non riveste il ruolo di attore, né è parte in senso sostanziale (parag. 3.1). La prova nel giudizio di conto viene resa ai sensi dell’art. 194, co. 1, del r.d. n. 827 del 1924, secondo cui «le mancanze, deteriorazioni, o diminuzioni di denaro o di cose mobili avvenute per causa di furto, di forza maggiore, o di naturale deperimento, non sono ammesse a discarico degli agenti contabili, se essi non esibiscono le giustificazioni stabilite nei regolamenti dei rispettivi servizi, e non comprovano che ad essi non sia imputabile il danno, né per negligenza, né per indugio frapposto nel richiedere i provvedimenti necessari per la conservazione del denaro o delle cose avute in consegna». Aggiunge l’art. 194, co. 2 «Non possono neppure essere discaricati quando abbiano usato irregolarità o trascuratezza nella tenuta delle scritture corrispondenti e nelle spedizioni o nel ricevimento del denaro o delle cose avute in consegna». La documentazione allegata ai conti è sostituibile con riferimenti ed attestazioni ricavati aliunde, che il contabile è ammesso a produrre dinanzi alla Corte dei conti ai sensi dell’art. 615 del r.d. n. 827 del 1924: «In tutti i casi in cui un contabile, in seguito a circostanze di forza maggiore, si trovi nell’impossibilità di osservare le disposizioni stabilite pel rendimento e la giustificazione dei suoi conti, può essere ammesso a darne la prova avanti la corte dei conti». 5.2. La diversità strutturale del giudizio di conto dall’azione di danno, come sopra evidenziata (parag. 3.1 e 3.2), rende ragione della preminente rilevanza, nel giudizio di responsabilità amministrativo contabile, della condotta dell’agente (autore dell’illecito perseguito con l’azione risarcitoria) e, conseguentemente, dell’elemento soggettivo. Ciò vale a dire che il coefficiente di colpevolezza (nella forma del dolo o della colpa grave) costituisce un elemento essenziale dell’illecito contabile, per cui il danno è ascritto alla condotta del suo autore soltanto se compiuto con intenzionalità o con negligenza inescusabile. La prova dell’elemento soggettivo incombe, al pari della dimostrazione degli ulteriori elementi fondanti l’azione di responsabilità, sulla Procura attrice, in base ai comuni principi sulla distribuzione dell’onere di prova (art. 2697 c.c.). Controdeduce la difesa del tesoriere che anche la responsabilità dell’agente contabile nel giudizio di conto soggiace ai necessari paradigmi del dolo e della colpa grave - non essendo sufficiente la mera imputabilità - e che, nel caso di specie, la colpevolezza del tesoriere sarebbe esclusa dall’incertezza del quadro normativo di riferimento e, in ultima analisi, dalla novità della questione giuridica. Tuttavia, la giurisprudenza citata dalla difesa si riferisce alla responsabilità contabile azionata nel giudizio di responsabilità - quando l’ammanco costituisce uno degli elementi della contestazione di danno - e non alla responsabilità contabile accertata nella sede propria, che è il giudizio di conto. Ciò vale a dire che la rilevanza dell’elemento soggettivo è questione insorta in controversie che vedono convenuto l’agente contabile per la refusione dei danni all’ente leso, a seguito di notizia damni pervenuta al Procuratore regionale (ex multis, v. C. conti, sez. Lazio, 11 gennaio 2005, n. 19, citata dalla difesa). Trattandosi di un normale giudizio di accertamento del danno erariale, ben si comprende la preoccupazione della giurisprudenza di estendere a tale tipologia di danno i requisiti soggettivi generalmente previsti per la responsabilità amministrativo contabile. In tal senso, la pronuncia delle SS.RR. della Corte dei conti (18 gennaio 2001, n. 1/QM/2001) inquadra la responsabilità contabile nello schema della responsabilità amministrativa (secondo l’insegnamento della sentenza 69 70 costituzionale n. 371 del 1988), con la conseguenza di omogeneizzare i requisiti soggettivi richiesti per tale modello ed il relativo onere probatorio ma, si rammenta, il giudizio che ha occasionato la proposizione della questione di massima è di responsabilità e non di conto. A riprova di ciò, il giudice remittente (Sezione I, 23 giugno 2000, n. 32) rammenta che l’art. 194 del r.d. n. 827 del 1924 opera soltanto nell’ambito del giudizio di conto, mentre appare del tutto inconciliabile con uno schema di responsabilità personale, quale quella amministrativo contabile, dove la condotta del soggetto ha valore preminente rispetto agli elementi costitutivi della responsabilità. Nell’ambito del riferito orientamento, si sottolinea la posizione di C. conti, sez. I, 23 novembre 2004, n. 379 (ripresa da sez. Lombardia, 11 aprile 2005, n. 251), secondo cui il grado o l’intensità della colpevolezza, nel giudizio di responsabilità che veda convenuto un agente contabile, va commisurato alla specificità dell’obbligazione che incombe sul medesimo, di talché «il debitore resta liberato dalla pretesa attrice se prova che il fatto inadempimento è derivato da causa a lui non imputabile o che nel suo comportamento sono ravvisabili solo elementi di colpa lieve». In tal senso, non opera una presunzione di colpevolezza ma si tiene conto della specificità dell’obbligazione sottostante alla pretesa risarcitoria. Tutte le citate pronunce, si ribadisce, sono relative all’accertamento della responsabilità contabile in una sede diversa da quella propria che è, appunto, il giudizio di conto. D’altra parte, avrebbe poco senso traslare nel giudizio di conto modelli propri del giudizio di responsabilità, per mancanza delle necessarie concordanze. Si ripete che nessun onere probatorio può essere addossato sul P.M. che nel giudizio di conto è soltanto organo concludente (v. parag. 3.1) e che il processo mira all’accertamento della regolarità della gestione, per cui devono essere addebitate al contabile reddente le poste contabili non rendicontate o rendicontate in modo irregolare (in modo da non poter ricondurre l’atto gestorio ad un’attività utile agli interessi dell’amministrazione). Per tutte le suesposte considerazioni, il Collegio ritiene non corretta la riconducibilità della responsabilità contabile in esame a quella amministrativo contabile. In forza della gestione dei beni pubblici, grava sull’agente contabile una responsabilità oggettiva giustamente considerata dall’ordinamento con maggior rigore rispetto a quella amministrativa, che può essere fugata soltanto con la dimostrazione - da parte dei soggetti onerati della prova tra cui il gestore reddente (v. parag. 5.1) della non imputabilità dell’atto, ad esempio per il verificarsi del caso fortuito o della forza maggiore, ma anche dell’uso di una particolare diligenza nella conservazione e nella gestione dei beni affidati alla sua gestione. Solo in questo senso può assumere una certa rilevanza il coefficiente di colpevolezza, sotto il profilo della mancanza di diligenza nella causazione delle irregolarità gestorie rilevate. Né può sostenersi che il modello di colpevolezza accolto nel giudizio di responsabilità amministrativo contabile sia esportabile in tutti i settori sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti. Si fa l’esempio della fattispecie sanzionatoria di cui all’art. 30, co. 15, della l. n. 289/2002 (v. parag. 4.3), annoverabile tra gli illeciti amministrativi e, quindi, soggetta al coefficiente di colpa richiesto dall’art. 3, co. 1, della legge 24 novembre 1981, n. 689 anziché ai più gravoso requisito della gravità della colpa previsto dall’art. 1, della l. n., 20/1994 (C. conti, sez. Sicilia, 7 novembre 2006, n. 3198). 5.3. Nella specie, l’irregolarità contabile attiene al mancato rispetto di una disposizione, l’art. 204 del d.lgs. n. 267 del 2000, appunto, che intesta al tesoriere l’obbligo di verificare le modalità di utilizzo del mutuo prima di dar corso ai pagamenti. Se, come sopra evidenziato, il dovere di protezione attribuito al tesoriere si estende a tutte le modalità di utilizzo del mutuo, ivi compreso il non utilizzo, il pagamento difforme non appare in alcun modo giustificato. Dalle note difensive, scritte ed orali, emerge che la scarsa attenzione dedicata al problema sarebbe dovuta alla confusione del quadro normativo e, in particolare, al mancato aggiornamento del regolamento di contabilità dell’ente locale alle nuove disposizioni recate dal d.lgs. n. 267 del 2000 e dal novellato art. 119 cost. Al riguardo, si richiama l’efficacia vincolante delle nuove disposizioni di legge per tutti i soggetti dell’ordinamento, tanto più per coloro che gestiscono risorse pubbliche che sono tenuti a seguire l’evoluzione della legislazione per il migliore adempimento dell’incarico affidato, nell’interesse dell’ente concedente. In proposito, si rammenta il punto 2) del contratto-capitolato per la gestione del servizio di tesoreria comunale tra il Comune di Lecco e la Deutsche Bank, stipulato in data 20 agosto 1997 e rinnovato il 24 marzo 2000 nel quale si legge che il servizio di tesoreria concerne «il complesso delle operazioni legate alla gestione finanziaria del Comune» ivi compresi gli «adempimenti connessi previsti dalla legge, dallo Statuto, dai regolamenti e da norme pattizie…». In questa, così come nella fattispecie sanzionatoria sopra menzionata (parag. 5.2) non è invocabile l’errore come causa di esclusione della responsabilità poiché l’unico errore rilevante è quello sulla liceità del fatto, che «si fondi su un elemento positivo estraneo all’agente ed idoneo a determinare in lui la convinzione della liceità del suo comportamento» e non l’ignoranza di un precetto costituzionale o di altra norma fondamentale per l’esercizio della funzione (C. conti, sez. Sicilia, 7 novembre 2006, n. 3198). Né si ravvisa contrasto tra le norme introdotte con d.lgs. n. 267 del 2000 e le disposizioni del regolamento di contabilità del Comune di Lecco (approvato con deliberazione C.C. n. 177 in data 5 dicembre 1997), in quanto l’art. 116 prescrive che il mandato di pagamento evidenzi «il rispetto di eventuali vincoli di destinazione». Il combinato disposto della predetta regola con l’art. 204 del d.lgs. n. 267 del 2000 avrebbe, anzi, dovuto indurre a qualche riflessione sui controlli da effettuare in sede di estinzione degli ordinativi di spesa. Parimenti, non ha efficacia scriminante l’art. 154 del succitato regolamento di contabilità – laddove esso consente al tesoriere di pagare le rate di mutuo anche in mancanza di ordinativo di pagamento – poiché la regolarizzazione delle partite saldate ai sensi dell’art. 154 deve avvenire entro breve lasso di tempo (15 giorni o al più tardi entro la fine di ogni mese, ai sensi del successivo art. 155). Infine, si rammenta la limitazione della responsabilità contabile nel presente giudizio ai mandati di pagamento estinti in data 17 dicembre 2001 - e non ai pregressi titoli di spesa aventi la stessa causale (v. parag. 4.4) - circostanza che connota l’obbligo di protezione sancito dall’art. 204, co. 3 del d.lgs. n. 267 del 2000 di particolare concretezza poiché, dopo il compimento delle procedure di devoluzione ad altra finalità dei mutui in essere, il tesoriere non poteva non essere edotto del pluriennale non utilizzo di tali finanziamenti. La concomitanza tra la devoluzione dei mutui ed il pagamento delle rate di ammortamento degli stessi rafforza così la tesi della riferibilità soggettiva dell’ammanco in questione, da intendere come omissione della diligenza professionale richiesta per l’esercizio della missione istituzionale di agente tesoriere (v. parag. 5.2). 6. L’ammontare del debito di cui si controverte nel presente giudizio ammonta in euro 60.705,75 e consiste nella sommatoria degli importi dei mandati di pagamento estinti in data 17 dicembre 2001, al completamento delle operazioni di devoluzione dei mutui in essere. Determinato l’importo del debito, occorre calcolare la parte di esso concretamente imputabile al tesoriere, ai sensi dell’art. 48, co. 2, r.d. n. 1214 del 1934. Considerato che l’inadempimento ascrivibile alla responsabilità contabile del medesimo è stato favorito (fino al punto che non sarebbe stato possibile senza) dalla condotta tenuta dagli organi di vertice dell’ente locale concedente (v. parag. 4.1), non sarebbe equo porre l’importo del debito interamente a carico dell’agente contabile. Valutare l’apporto causale di altri soggetti nella produzione dell’ammanco non vuol dire che siano con sicurezza rinvenibili nella vicenda per cui è causa ulteriori responsabilità e ulteriori responsabili, tanto più considerando la ravvisata disomogeneità del giudizio di conto dall’azione di responsabilità amministrativo contabile (v. parag. 3.2) e, conseguentemente, l’inidoneità del presente giudicato a fare stato nell’eventuale futuro giudizio di danno (v. parag. 3.3) che dovesse essere intentato per accertare la posizione dei soggetti non coinvolti nel presente giudizio. 71 Per tutte le suesposte considerazioni, il Collegio ritiene di decurtare di 2/3 l’importo complessivo del debito e, pertanto, di condannare la banca tesoriera alla restituzione della somma di euro 20.235,25, lasciando impregiudicata ogni altra questione relativa ai fatti indagati nel presente giudizio nonché sulle altre poste del conto esaminato. La condanna alle spese segue la soccombenza. P.Q.M. La Corte dei conti, Sezione Giurisdizionale per la Regione Lombardia, definitivamente pronunciando Dichiara il non luogo a discarico del tesoriere del Comune di Lecco – Banca popolare di Lecco attuale OmissisS.p.A. in persona del condirettore generale – in ordine al conto giudiziale relativo all’esercizio finanziario 2001 e, per l’effetto, condanna la banca tesoriera al pagamento del debito di euro 20.235,25. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in euro… Così deciso in Milano, nella camera di consiglio dell’8 marzo 2007. Depositata in Segreteria il 18 maggio 2007. 72 Corte dei Conti - Sentenza n. 61/2007 del 26 aprile 2007 - Sezione giurisdizionale per la regione Basilicata - Regione - dipendente pubblico Responsabilità per illecito utilizzo di apparecchiature telefoniche (personale utilizzo dell’apparecchio telefonico di proprietà dell’amministrazione) - Fattispecie SEZIONE GIURISDIZIONALE DELLA BASILICATA Presidente: A. Festa Ferrante – Relatore: G. Tagliamonte FATTO In data 3.10.2006 l’ufficio della locale Procura Regionale della Corte dei conti depositava presso la Segreteria di questa Sezione Giurisdizionale per la Basilicata atto di citazione - preceduto da rituale invito a dedurre ex art.5, comma 1 della legge n.19 del 1994 - nei confronti del sig. G.C., al quale veniva contestata la perpetrazione di un danno, pari ad ? 4.229,70, patito dalla Regione Basilicata presso la quale, nella sede di Matera, questi prestava servizio in qualità di centralinista, e derivante dalla utilizzazione dell’apparecchio telefonico in dotazione degli uffici della stessa sede di Matera della Regione Basilicata, per ragioni meramente ed esclusivamente personali. L’iniziativa risarcitoria intrapresa dalla locale Procura Regionale traeva origine da una nota informativa del 13.5.2000 con la quale la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Matera informava il locale organo requirente della Corte dei conti di aver esercitato l’azione penale verso G.C. - convenuto odierno - D.D. e R.D.: il primo nella qualità di centralinista della Regione Basilicata sede di Matera, il secondo nella qualità di centralinista, organicamente inserito nel personale della provincia di Matera ma temporaneamente distaccato presso il Coordinamento Provinciale del Corpo Forestale dello Stato di Matera, ed il terzo nella qualità di dirigente dell’Ufficio Affari generali organizzativi della Regione Basilicata sede di Matera: ai predetti soggetti veniva contestato il reato di peculato - per i primi due ed il reato di favoreggiamento - per il terzo. Il relativo procedimento penale si concludeva, con riferimento alla posizione del R.D., con sentenza di non luogo a procedere per l’insussistenza del fatto; per gli altri due, al contrario, la vicenda penale si concludeva con sentenza di patteggiamento ai sensi dell’art.444 c.p.p. Dalle risultanze degli atti acquisiti dalla istruttoria penale emergeva, con tutta evidenza, che i due centralinisti avevano utilizzato l’apparecchio telefonico in dotazione dell’ufficio presso il quale prestavano servizio per motivi personali. L’accertamento del fatto veniva peraltro corroborato dalle ammissioni della condotta in tal senso tenuta rese dagli stessi imputati, conseguentemente condannati anche se con sentenza c.d. «patteggiata». La Procura Regionale evidenziava come un danno fosse comunque stato cagionato alla Regione Basilicata: tale danno veniva individuato nel complesso degli addebiti delle conversazioni telefoniche svolte dai predetti per motivi personali e quantificato in ? 4.229,70 per il G.C. ed ? 617,70 per il D.D.. A seguito delle deduzioni trasmesse con riferimento al rituale invito, il sig. D.D., rappresentava e dimostrava di aver provveduto a risarcire alla Regione Basilicata il danno da questa patito. L’avv. Clemente DELLI COLLI, invece, in qualità di difensore del sig. G.C., ammetteva le responsabilità del proprio assistito, sottolineava le disagiate condizioni dello stesso e chiedeva di essere ammesso a risarcire il danno in forma dilazionata. Sulla scorta di tali deduzioni la Procura Regionale provvedeva ad archiviare, per intervenuta eliminazione del danno in contestazione, la posizione del sig. D.D. ed invece, non ritenendo di poter adottare alcuna decisione in ordine alla richiesta di “dilazione di pagamento” avanzata dal difensore del G.C., si determinava nel formalizzare, verso quest’ultimo, l’atto di citazione per cui è oggi causa. 73 Con memoria depositata presso la Segreteria di questa Sezione Giurisdizionale in data 21.2.2007, il sig. G.C. si costituiva in giudizio. Nella memoria di costituzione all’uopo prodotta veniva ribadito quanto già dedotto in sede istruttoria; veniva rappresentato - e dimostrato - di aver già provveduto a risarcire la Regione Basilicata - Amministrazione di appartenenza danneggiata - della somma di ? 2.000,00, all’uopo allegando ricevuta dell’effettuato bonifico bancario; veniva conclusivamente invocato l’ampio uso del potere riduttivo da parte di questa Corte dei conti giudicante, al cui valido esercizio allegava la sussistenza di condizioni economiche disagiate, le modalità particolari in cui i fatti contestati produttivi di danno si svolsero e, da ultimo, l’apprezzabile buona volontà del convenuto odierno di non lasciare comunque impregiudicate le ragioni creditorie dell’Amministrazione regionale. All’odierna udienza di discussione, l’avv. Imperio NAPOLITANO, presente in udienza su delega dell’avvocato costituito Clemente DELLI COLLI ed il Pubblico Ministero ribadivano sinteticamente le rispettive posizioni di causa. Il Pubblico Ministero, in particolare, affermava di non opporsi all’esercizio dell’invocato potere riduttivo, sì come richiesto dal difensore costituito tanto in sede di deduzioni istruttorie quanto in sede di formazione di memoria di costituzione. All’esito della discussione, quindi, la causa veniva trattenuta per la decisione. 74 DIRITTO La vicenda di danno portata all’esame del Collegio reca indubbiamente i tratti di un malcostume alquanto diffuso nelle Amministrazioni Pubbliche, sostanziantesi nella impropria - ed indebita - utilizzazione di apparecchiature telefoniche ordinariamente strumentali all’esercizio dell’attività amministrativa, ed invece utilizzate per esaudire e soddisfare esigenze di carattere personale che, in quanto non correlate al conseguimento ottimale e “fisiologico” degli obbiettivi dell’Amministrazione, rivelano «ex se» la propria carica di illiceità dannosa. Nel caso in esame, la stessa ammissione del G.C. di aver utilizzato il telefono degli uffici della sede di Matera della Regione Basilicata, desumibile dalle risultanze della istruttoria penale conclusasi con la richiamata sentenza di condanna «patteggiata», rende conclamata ed evidente l’intervenuta integrazione di un danno, correttamente elaborato e definito dal conteggio degli scatti telefonici rilevati su linee e contatti non riconducibili all’uso proprio dell’Ufficio o dell’esercizio dell’attività amministrativa, e determinato in ? 4.229,70. Sussistendo, pertanto, l’esistenza di un danno e la riconducibilità dello stesso alla condotta dell’odierno convenuto, il Collegio deve esaminare, in ossequio alle norme sostanziali e processuali disciplinanti l’accertamento della responsabilità amministrativa, l’addebitabilità dello stesso al convenuto odierno nella misura intera, ovvero in quella ridotta, sì come risultante dalla utilizzazione del potere riduttivo, invocato dalla difesa del convenuto e non contestato da parte attrice. A tale riguardo, il Collegio richiama la giurisprudenza formatasi sul punto (Corte dei conti Sezione I 18.3.2003 n.105/A; Corte dei conti Sezione III 14.5.1998 n.132/A; Corte dei conti Sezione II 13.6.1997 n.78/A; Sezioni Riunite 19.4.1990 n.662/A) e ritiene che possa darsi rilievo, nell’esercizio del potere riduttivo, anche alle modeste condizioni reddituali del convenuto, le quali, unitamente alle particolari condizioni emotive in cui il fatto dannoso si è verificato, anche rappresentate dal difensore nella memoria di costituzione allorquando è stato sottolineato lo stato di particolare «depressione emotiva» in cui il G.C. veniva sovente a trovarsi nell’espletamento delle proprie mansioni, depressione generata dalle particolari condizioni psico-fisiche segnate da una grave riduzione della vista con conseguente ridotta capacità relazionale, si rivelano idonee a fondare e giustificare la riduzione dell’addebito. Tale conclusione si pone, peraltro, in linea con quella tesi che, sintetizzando le diverse posizioni assunte da dottrina e giurisprudenza sul fondamento e sulla «ratio» del potere riduttivo, pur riconoscendo alla responsabilità amministrativa una natura fondamentalmente patrimoniale, ha affermato che il giudizio amministrativo contabile, accanto all’esigenza ripara- toria, deve perseguire, per espresso dettato normativo, anche esigenze più squisitamente sanzionatorie. Il Collegio osserva, poi, come la particolare condotta osservata e mantenuta dall’odierno convenuto a seguito dell’ammissione della propria responsabilità in ordine alla contestata ed accertata illecita utilizzazione dell’apparecchio telefonico, e tradottasi nel parziale ristoro delle ragioni creditorie dell’Amministrazione danneggiata attraverso la restituzione - a mezzo di versamento bancario - della somma di ? 2.000,00 valga ulteriormente a suffragare e giustificare la correttezza dell’esercizio del potere riduttivo a questa Corte rimesso dalla legge ex art.83 R.D. n.2440 del 1923, nonché ex art.52 del R.D. n.1214 del 1934 e art.19 D.P.R. 10.1.1957 n.3. Viene, così, in altre parole, valorizzato ed integrato un ulteriore elemento soggettivo inerente alle particolari condizioni del soggetto condannato. Svolte queste premesse, essendo preciso intento del Collegio garantire alla disposta condanna una finalità, comunque risarcitoria o riparatoria, si ritiene di dover condannare, per le ragioni sopra esposte, facendo uso del potere riduttivo, il sig. G.C. al risarcimento della somma di ? 2.800,00, comprensiva di rivalutazione monetaria. Della somma di ? 2.000,00 - che risulta versata a parziale ristoro del danno - dovrà tenersi conto in sede di esecuzione della presente sentenza. P.Q.M. La Corte dei Conti, Sezione Giurisdizionale per la Regione Basilicata, ogni contraria domanda ed eccezione respinte: a) condanna il sig. G.C. al risarcimento in favore della regione Basilicata, del danno contenuto, in applicazione del potere riduttivo, in ? 2.800,00 comprensivi di rivalutazione monetaria, con imputazione, in fase esecutiva, di quanto già versato; b) dalla data di pubblicazione della presente sentenza decorrono interessi legali fino al soddisfo; c) le spese seguono la soccombenza e vengono determinate nella misura di ? 151,09 (Euro centocinquantuno/09). Così deciso in Potenza, nella Camera di Consiglio del 13 marzo 2007. Depositata in Segreteria il 26.04.2007 75 Consiglio di Stato, Sezione V, 19 marzo 2007, n. 1302 Nei contratti ad evidenza pubblica il rispetto della par condicio dei concorrenti impone la incompatibilità tra il soggetto che ha concorso a definire le linee programmatiche della stazione appaltante in qualità di esperto, e la partecipazione alla procedura per darvi attuazione. La par condicio è esclusa in radice quando uno dei concorrenti abbia partecipato al momento di fissazione degli obiettivi da perseguire attraverso la gara. REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO 76 Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale - Quinta Sezione - ha pronunciato la seguente DECISIONE sui ricorsi in appello nn. 4140 e 4320 del 2005, proposti da: I – (ric. n. 4140 del 2005) = Sig. G.A.M., in proprio e nella qualità di legale rappresentante dello Studio Associato M.T., con sede in ... rappresentato e difeso dall’ Avv. S.S. ... contro la soc. S.W. s.n.c., rappresentata e difesa dall’Avv. M.C.C. con domicilio eletto in ... e nei confronti della soc.cons. GAL MBS in persona del Presidente in carica del Consiglio di Amministrazione, legale rappresentante, Sig. B.G., rappresentata e difesa dagli Avv.ti A.F.A. e R.M. ... II – (ricorso n. 4320 del 2005) = soc.cons. GAL MBS in persona el Presidente in carica del Consiglio di Amministrazione, legale rappresentante, Sig. B.G., rappresentata e difesa dagli Avv.ti A.F.A. e R.M. ... contro la soc. S.W. s.n.c., rappresentata e difesa dall’Avv. M.C.C. con domicilio eletto in ... e nei confronti dello Studio Associato M.T. in persona del legale rappresentante in carica, rappresentato e difeso dall’ Avv. S.S ... per la riforma, (entrambi i ricorsi di appello) della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale della Sardegna, Sez. I., n. 145/2005 resa tra le parti, concernente affidamento gara; Visti gli atti di appello con i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio della S.W. s.n.c. per resistere ad entrambi gli appelli, nonché di GAL MBS sul ricorso n. 4140/2995 e di Studio Associato M.T. sul ric. n. 4320/ 2005; Viste le memorie difensive; Visti gli atti tutti della causa; Alla pubblica udienza del 17 Ottobre 2006 , relatore il Consigliere Cons. Chiarenza Millemaggi Cogliani ed uditi, altresì, gli avvocati R.M. per sé e per delega di S. e di A., e F.S. per delega C.; Depositato, il 6 novembre 2006, il dispositivo n. 525/2006 della decisione assunta nella Camera di consiglio che è seguita alla pubblica udienza anzidetta; Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue: FATTO 1. Con sentenza n. 245/2005, il Tribunale Amministrativo Regionale della Sardegna ha accolto il ricorso proposto dalla società S.W. s.n.c., per l’annullamento della delibera n. 37 del 5 agosto 2004 con la quale il Consiglio di Amministrazione del GAL MBS ha approva- to i verbali della Commissione giudicatrice e la graduatoria da essa stilata relativamente alla gara per l’affidamento della progettazione esecutiva e della direzione tecnica dell’intervento 4.1.A.1. «Ripopolare il territorio - Progetto di marketing territoriale dell’Alto-Oristanese per l’attrazione di nuovi residenti», con aggiudicazione allo Studio Associato M.T., e, con essa, della delibera con la quale il Consiglio di Amministrazione del GAL MBS ha nominato la Commissione per la valutazione delle offerte di cui alla suddetta gara; dei verbali di gara della Commissione giudicatrice nonché di tutti gli atti ai precedenti presupposti, conseguenti o comunque connessi. Disattesa l’eccezione di difetto di giurisdizione sollevata dalla difesa del GAL MBS, sulla considerazione della funzione oggettivamente pubblica espletata dalla società consortile in questione, il giudice di primo grado ha accolto il ricorso sulla base delle principali, assorbenti censure portate nel primo motivo di impugnazione (violazione del principio di affidamento e della par condicio dei concorrenti; eccesso di potere) con cui la ricorrente denunciava la violazione del divieto di partecipazione dei progettisti alle gare per l’esecuzione dei lavori, in quanto l’ing. G.M., indicato come capo progetto nell’offerta dell’aggiudicataria, aveva coordinato e realizzato il Piano di Sviluppo Locale in base al quale il GAL MBS aveva ottenuto i finanziamenti comunitari per lo svolgimento della sua attività di promozione e sviluppo del territorio. Conseguentemente, con la sentenza appellata, il Tribunale, annullando gli atti impugnati, ha statuito nel senso che lo Studio aggiudicatario andasse escluso dalla selezione, con affidamento dell’incarico alla società ricorrente, classificatasi in seconda posizione, su tale ultima considerazione respingendo la domanda di risarcimento del danno formulata dalla ricorrente. 2. La sentenza è stata impugnata con separati ricorsi dall’Ing. G.M. in proprio e nella qualità di legale rappresentante dello Studio associato aggiudicatario della gara e dalla Società consortile GAL MBS. L’originaria ricorrente si è costituita in giudizio resistendo agli appelli e riproponendo i motivi assorbiti: non ha invece proposto appello incidentale per la parte della sentenza che respinge l’istanza di risarcimento del danno per equivalente. Alla camera di consiglio del 19 luglio 2005, sull’appello n. 4320/2005 è stata respinta l’istanza cautelare dell’appellante; successivamente, chiamati i due appelli alla pubblica udienza del 14 febbraio 2006, la Sezione - con interlocutoria n. 1875/2006, ha riunito le cause disponendo l’acquisizione in giudizio dell’atto costitutivo e lo statuto dell’appellante GAL MBS, nonché dell’atto di nomina del Consiglio di amministrazione in carica al momento della controversia sotto la presidenza del sig. B.G. ed infine, espletato l’incombente, ha trattenuto in decisione le cause riunite, alla pubblica udienza del 17 ottobre 2006. DIRITTO 1. Preliminarmente deve essere disattesa l’eccezione di sopravvenuto difetto di interesse sollevata con riferimento alla avvenuta esecuzione del contratto, cui non ha fatto riscontro nelle forme proprie dell’appello incidentale - la riproposizione della domanda di risarcimento del danno per equivalente. Non spiega alcun effetto ai fini dell’esistenza dell’interesse a ricorrere e della necessaria permanenza dello stesso durante tutto il processo, la circostanza che la ricorrente in primo grado non abbia impugnato, con autonomo appello, sia pure nelle forme del ricorso incidentale, il capo della sentenza che ha respinto l’istanza risarcitoria. Nel caso in esame, poi, indipendente dalla formula adoperata nella sentenza appellata, deve essere rilevato che il giudice di primo grado non ha, del tutto, respinto l’stanza risarcitoria, ma ha, al contrario, ritenuto che l’interesse della ricorrente fosse sufficientemente coperto dalla reintegrazione, mediante l’affidamento dell’incarico, che, sebbene non statuito espressamente nella parte dispositiva della sentenza, è stato disposto in forma imperativa con la formula «lo Studio aggiudicatario va escluso dalla selezione con affidamento dell’incarico alla società ricorrente», la cui natura è poi esplicitata nella parte che respinge l’istanza di risarcimento, sulla considerazione 77 78 della «mancanza di profilo di danno diversi ed ulteriori rispetto alla perdita dell’incarico». Nel giudizio impugnatorio, cui accede la domanda di risarcimento del danno, l’essenza volitiva della sentenza, pur concentrandosi nel «dispositivo», destinato ad accogliere l’ordine formale con il quale viene data concreta attuazione al precetto normativo, trova completamento nella motivazione, che esprime il momento «logico» della sentenza, e, che, per le considerazioni in essa contenute, assume rilievo nella fase di esecuzione o di ottemperanza al giudicato, e, dunque, in caso di mancato, spontaneo adempimento, nello speciale, apposito, procedimento, davanti allo stesso giudice amministrativo, che, di fronte alla impossibilità di riparazione in forma specifica, non è impossibilitato a dare riviviscenza all’alternativo risarcimento, richiesto in primo grado dall’interessato. Nel caso in esame, è chiaro che il giudice di primo grado ha disposto l’aggiudicazione al ricorrente in primo grado, in alternativa al risarcimento per equivalente, limitatamente al danno derivante dalla perdita dell’incarico. E’ piuttosto da dire che, in assenza di appello incidentale sul punto, la domanda di risarcimento di danni ulteriori è ormai inammissibile, essendosi la sentenza pronunciata negativamente. Il nodo relativo alla impossibilità di dare esecuzione alla statuizione che esclude dalla aggiudicazione lo Studio appellante, conferendola alla ricorrente in primo grado - in una situazione di fatto nella quale il giudizio di appello si conclude allorché si sono interamente esauriti, di fatto, gli effetti della procedura, per essere giunti a compimento le attività commesse all’aggiudicatario - deve essere necessariamente composto nella forma equivalente del risarcimento corrispondente a quanto già riconosciuto dal giudice di primo grado, la cui quantificazione potrà essere effettuata negozialmente fra le parti o in difetto, con l’intervento del giudice dell’ottemperanza. 2. Chiariti tali aspetti, si può anche prescindere dalla eccezione di tardività del deposito dell’appello proposto autonomamente dalla società consortile che ha indetto il bando, in quanto il punto principale della questione dedotta in giudizio - che vede sulla medesima linea difensiva anche l’ aggiudicataria ed, in proprio, il legale rappresentante, Ing. G.M. - deve essere risolto in senso conforme a quanto statuito nella sentenza appellata. Si tratta di accertare se il principio affermato nell’art. 17, comma 9, della legge c.d. Merloni (L. n. 109 del 1994) (ora art. 90, comma 8, del d.lgs. n. 163 del 2006 - n.d.r.) - che vieta la partecipazione del progettista all’appalto avente ad oggetto l’affidamento dell’esecuzione dell’opera pubblica - sia espressione di una regola di carattere generale, suscettibile di applicazione nel caso in esame, avente ad oggetto l’affidamento della progettazione esecutiva e della direzione tecnica dell’intervento 4.1.A.1. «ripopolare il territorio – Progetto di marketing territoriale dell’Alto Oristanese per l’attrazione di nuovi residenti», nell’ambito del Piano di sviluppo locale, sulla cui base il GAL ha conseguito l’assegnazione di una quota delle risorse assegnate per l’attuazione del Programma d’iniziativa comunitaria Leoder plus - Sardegna in tema di sviluppo rurale. Il professionista e lo Studio professionale aggiudicatario, che hanno proposto congiuntamente il primo degli appelli in esame, deducano l’errore in cui sarebbe in corso il giudice di primo grado: - nel non avvedersi, innanzitutto, che le norme che espressamente escludono dalla partecipazione alla gara il progettista (tanto in tema di lavori pubblici che in tema di pubblici servizi), attengono alla fase della realizzazione e non anche a quello della progettazione esecutiva e della direzione dei lavori che, anzi, nella previsione normativa è addirittura preferibile che siano prioritariamente affidati all’autore della progettazione definitiva; - nell’avere desunto principi di carattere generale da una norma di settore, non suscettibile di applicazione analogica; - nel non aver considerato altresì che il bando di gara (non impugnato) non conteneva alcuna clausola che inibisse la partecipazione ai redattori del programma, cosicché, anche a mente dell’art. 23, comma 4, ultima parte, del D.Lgs. n. 157 del 1995, la partecipazione alla gara dello Studio associato di cui si discute, non poteva essere preclusa. A sua volta, la società consortile deduce l’inapplicabilità del citato art. 17, comma 9, L. n. 109 del 1994. 3. Per la definizione della questione, bisogna innanzitutto intendersi sul significato di «progettazione esecutiva», cui si intitola, fra l’altro, il bando della gara in contestazione. Invero, come chiarito dall’attuale appellato, il Piano di sviluppo locale alla cui redazione ha partecipato l’Ing. G.M., in qualità di coordinatore e sulla cui base il GAL ha conseguito i finanziamenti comunitari, è uno strumento di carattere generale che ha individuato misure e piani di azione per la crescita economica, sociale ed imprenditoriale della zona in cui il Gal stesso è chiamato ad operare: per il raggiungimento degli obiettivi, in vista dello sviluppo del territorio, il piano ha previsto, fra l’altro, che dovesse essere elaborato un progetto di marketing territoriale che avesse le caratteristiche indicate nella misura 1.4.a.1. Oggetto della procedura di cui si tratta non è, dunque, la redazione del progetto esecutivo in senso tecnico, bensì un intervento concreto (di cui è anche parte l’elaborazione di un progetto di marketing territoriale avente determinate caratteristiche), costituente, esso stesso, momento attuativo di una strategia pilota, nel cui ambito, l’ing. G.M. ha partecipato a fissare e definire le linee fondamentali. Che l’incarico. di progettazione costituisca misura attuativa e non mera progettazione esecutiva del programma, risulta chiaramente dalla descrizione dell’intervento, nonché da «finalità ed obiettivi» indicati espressamente nel bando. L’oggetto della gara è complesso e comprende «la presentazione di una proposta metodologica per l’assegnazione di uno studio di ricognizione sul mercato di riferimento», cui accedono il «progetto esecutivo» e «la direzione dei lavori»: esula, dunque, dal presente giudizio la problematica afferente alla possibile convergenza, nel medesimo soggetto, della «progettazione preliminare, definitiva ed esecutiva, nonché la direzione dei lavori» (come obiettato nell’appello dell’Ing. G.M., in proprio e nella qualità). 4. Ciò premesso, è fuori discussione l’obbligo, della stazione appaltante, di rispettare i principi di ordine generale, a tutela della par condicio dei concorrenti. Ciò risulta per tabulas dal ruolo rivestito dai GAL nell’ambito del Programma di iniziativa comunitaria Leader plus- Sardegna, per l’obbligo che agli stessi fa carico di procedere alla scelta dei contraenti nel rispetto dei principi dell’evidenza pubblica ai sensi della normativa nazionale e comunitaria. Il giudice di primo grado ha desunto dall’art. 17, comma 9, della legge n 109 del 1994, un principio di carattere generale in forza del quale è viziato in radice, per violazione della par condicio, la partecipazione alla gara dello studio professionale al quale è associato l’Ing. G.M. (legale rappresentante e indicato nell’offerta come capo progetto), già coautore del Piano di sviluppo locale, approvato e finanziato dalla Regione Sardegna nell’ambito del programma di iniziativa comunitaria di cui si è detto. La deduzione deve essere condivisa, ribaltando però il ragionamento. La parità di trattamento dei concorrenti è principio indefettibile di ordine generale, che ha come punto di partenza l’estraneità dei concorrenti alla strategie programmatiche dei soggetti che indicono la gara. La regola normativa individuata dal giudice di primo grado costituisce corollario di detto principio e sua codificazione, con riferimento ad un aspetto particolare del dinamico e complesso procedimento attraverso cui si perviene, per successive tappe, alla realizzazione delle opere pubbliche. Alla generalità del principio non osta la sua enunciazione in ipotesi tipiche, giacché esso è immanente al sistema generale della scelta dei contraenti da svolgersi con le garanzie dell’evidenza pubblica. La tipizzazione delle differente ipotesi non indica altro che una particolare attenzione del legislatore a fenomeni che più degli altri possono dare luogo alla distorsiva partecipazione alla gara in posizione di vantaggio, a causa della ordinaria partecipazione di soggetti esterni 79 a momenti di formazione progressiva delle linee strategiche della stazione appaltante. Non a caso, ad esempio, nel sistema di «project financing», in cui propriamente e specificamente il terzo si inserisce, con la proposta di finanziamento, nell’ambito delle strategie dell’Amministrazione, il proponente è tagliato fuori dalla procedura concorsuale in senso stretto (art. 37-quater, lett. a), potendo aspirare all’aggiudicazione soltanto nella fase successiva, della procedura negoziata prevista alla lett. b) dello stesso articolo. Una regola generale di incompatibilità (per il soggetto che ha concorso a definire le linee programmatiche della stazione appaltante, a partecipare al concorso indetto per dare concreta attuazione al programma) deve essere quindi desunta direttamente dalla operatività – in tutte le gare ad evidenza pubblica - del principio in sé, per la considerazione che la “parità” finisce con l’essere esclusa in radice allorché uno dei concorrenti abbia partecipato al momento di fissazione degli obiettivi da perseguire attraverso la gara. Pur non essendovi, infatti, immedesimazione fra stazione appaltante ed esperto (che ha partecipato alla redazione del programma che ha conseguito il finanziamento) viene a crearsi certamente una contiguità che, nella gara intesa alla attuazione del programma o di una sua parte, pone l’esperto, in partenza, in una posizione diseguale, rispetto alla generalità dei concorrenti. In ciò, dunque, risiede l’incompatibilità denunciata dal ricorrente e riconosciuta dal giudice di primo grado, che non richiede di essere espressamente enunciata nel bando, essendo nella conoscenza e percezione, sia dell’esperto, sia della stazione appaltante, la disuguaglianza di partenza, da cui muovono le posizioni rispettivamente, di chi ha formulato il programma e chi invece concorre per la sua attuazione, essendone rimasto totalmente estraneo. I due appelli, dunque, devono essere respinti, sul punto. 5. Residuano eccezioni e rilievi della stazione appaltante che attengono ad eventi successivi non dedotti nel primo grado del giudizio e che, stando alle eccezioni di parte appellata, sarebbero inammissibili sulla base dell’art. 345 c.p.c. Ritiene la Sezione che non vi sia interesse del GAL MBS alla decisone di aspetti che rimetterebbero in gioco la legittimità dell’intero impianto procedimentale per vizio della composizione della commissione giudicatrice –dedotto dal ricorrente in primo grado ed assorbito nella sentenza appellata - dovuto alla partecipazione del Sig. G., investito di funzioni politiche presso uno degli enti partecipanti al GAL (sul cui la Sezione si è pronunciata in sede cautelare). 6. In definitiva gli appelli principali devono essere riuniti e respinti; le spese del giudizio, che si liquidano in dispositivo, devono essere poste a carico degli appellanti in solido ed in favore dell’appellato. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, definitivamente pronunciando, confermata la riunione degli appelli in epigrafe, li respinge; Condanna gli appellanti, in solido, al pagamento delle spese del giudizio di appello, in favore della Soc. n. c. S.W. liquidandoli in complessivi ? 6.000,00; Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella Camera di Consiglio del 17 Ottobre 2006 con l’intervento dei Sigg.ri: PRESIDENTE Raffaele IANNOTTA, Chiarenza MILLEMAGGI COGLIANI, est. CONSIGLIERE Cesare LAMBERTI, CONSIGLIERE Marco LIPARI, CONSIGLIERE Marzio BRANCA, CONSIGLIERE 80 PROVINCIA DI VERCELLI PROVINCIA DI VERCELLI PROVINCIA DI VERCELLI AI SENSI DELL'ART. 6 DELLA LEGGE 25 FEBBRAIO 1987 A N. 67, SI PUBBLICANO I SEGUENTI DATI, RELATIVI AL BILANCIO PREVENTIVO 2007 E AL RENDICONTO 2005: 1. - Le notizie relative alle entrate e alle spese sono le seguenti: (in Euro) ENTRATE DENOMINAZIONE - AVANZO di amministrazione - Tributarie - Contributi e trasferimenti (di cui dallo Stato) - - Extratributarie TOTALE ENTRATE DI PARTE CORRENTE - Alienazione di beni e trasferimenti (di cui dallo Stato) 17.228.933,00 - (di cui dalle Regioni) 17.073.333,00 - Assunzioni di prestiti 5.120.000,00 (di cui per anticipazioni di cassa) TOTALE ENTRATE PER CONTO CAPITALE - - 48.140.496,00 43.581.551,73 24.957.592,00 19.389.107,56 TOTALE 77.082.692,00 66.823.304,32 TOTALE GENERALE 77.082.692,00 66.823.304,32 2.300.982,92 2.566.359,00 1.694.269,29 461.822,76 10.520.226,28 6.325.107,05 - Spese di investimento 19.389.107,56 24.957.592,00 3.427.235,45 98.187,27 - TOTALE 77.082.692,00 61.442.278,18 TOTALE GENERALE 77.082.692,00 66.823.304,32 - - 46.971.219,60 TOTALE SPESE DI PARTE CORRENTE 8.207.408,04 10.618.413,55 TOTALE SPESE CONTO CAPITALE 3.984.604,00 IMPEGNI DA RENDICONTO ANNO 2005 41.280.568,81 22.348.933,00 - Servizi per conto di terzi PREVISIONI DI COMPETENZA BILANCIO 2007 45.574.137,00 19.960.314,92 50.749.155,00 DENOMINAZIONE - Correnti - Rimborso quote di capitale per mutui in ammortamento 19.770.837,00 568.000,00 SPESE - - DISAVANZO di amministrazione 16.844.936,22 28.432.014,09 1.786.954,00 (di cui per proventi servizi pubblici) ACCERTAMENTI DA RENDICONTO 2005 17.145.270,00 31.816.931,00 11.793.261,00 (di cui dalle Regioni) - Disavanzo di gestione PREVISIONI DI COMPETENZA BILANCIO 2007 3.852.645,03 5.381.026,14 - Rimborso anticipaz. di tesoreria e altri - Servizi per conto terzi - Avanzo di gestione 3.852.645,03 3.984.604,00 - 2. - LA CLASSIFICAZIONE DELLE PRINCIPALI SPESE CORRENTI E IN CONTO CAPITALE, DESUNTE DAL RENDICONTO 2005, SECONDO LA CLASSIFICAZIONE PER FUNZIONI E' LA SEGUENTE: (in Euro) AMM.NE GENERALE - Personale - Acquisto di beni e servizi - Interessi passivi - Investimenti effettuati direttamente dall'amministrazione - Investimenti indiretti (trasferimenti, conferimenti, concessione di crediti) TOTALI ISTRUZIONE 3.843.188,71 2.880.885,21 111.528,47 221.896,35 251.427,24 9.632.733,47 155.155,63 2.685.493,20 7.542.498,74 12.734.409,54 485.000,00 9.600,00 CULTURA, SPORT E TURISMO 415.514,23 500.115,84 230.000,00 TRASPORTI E GESTIONE DEL TERRITORIO - 1.145.630,07 TUTELA AMBIENTALE SETT. SOCIALE E SVIL. ECON. 1.607.502,78 9.304.009,09 515.918,19 12.076.712,54 1.337.672,20 1.262.700,60 221.839,28 1.224.359,34 26.319.927,52 4.639,45 21.756,20 23.814.013,47 3.039.713,08 27.987.055,36 309.870,87 217.501,00 416.372,85 3. - LA RISULTANZA FINALE A TUTTO IL 31 DICEMBRE 2004 DESUNTA DAL RENDICONTO: (in Euro) - avanzo di amministrazione del rendiconto dell'anno 2005: Euro 5.858.582,90 - avanzo di amministrazione disponibile al 31 dicembre 2005: Euro 1.889.711,92 - ammontare debiti fuori bilancio comunque esistenti e risultanti dall'elencazione allegata al rendiconto dell'anno 2004: zer o 4. - LE PRINCIPALI ENTRATE E SPESE PER ABITANTE (177.280) DESUNTE DAL RENDICONTO, SONO LE SEGUENTI: (in Euro) ENTRATE CORRENTI di cui: - Tributarie - Contributi e trasferimenti - Altre entrate correnti Euro 264,95 Euro 95,01 Euro 160,38 Euro 9,56 N.B.: I dati si riferiscono all'ultimo rendiconto approvato. SPESE CORRENTI di cui: - Personale - Acquisto beni e servizi - Altre spese correnti Euro 232,86 Euro 48,96 Euro 146,77 Euro 70,97 IL PRESIDENTE DELL'AMMINISTRAZIONE PROVINCIALE (Rag. Renzo MASOERO) 81 Comune diCantù Cantù Comune di Provincia di Provincia diComo Como Ai sensi dell'art.6 della legge 25 febbraio 1987 n.67, si pubblicano i seguenti dati relativi al bilancio preventivo 2007 e al conto consuntivo 2005: 1 - le notizie relative alle entrate e alle s DENOMINAZIONE - Avanzo di amministrazione - Tributarie - Contributi e trasferimenti - Extratributarie ( di cui per proventi di servizi pubblici) Accertamenti da conto consuntivo ANNO 2005 16.003.665,00 19.419.640,73 4.023.703,00 3.078.624,00 535.046,82 2.131.218,71 4.474.087,00 3.527.805,00 Totale entrate di parte corrente - Alienazione di beni e trasferimenti ( di cui dallo Stato) Totale entrate conto capitale - Disavanzo di amministrazione 3.351.831,17 - Rimborso quote di capitale per mutui in ammortamento 3.579.006,00 1.959.409,99 - 7.430.031,00 3.421.000,00 3.257.528,90 35.625.229,85 TOTALE GENERALE 39.276.199,00 38.219.886,85 Totale spese di parte corrente 30.000.168,00 30.073.315,21 Totale spese in conto capitale 5.595.031,00 4.804.416,60 - Personale 4.058.516,60 - Acquisto di beni e servizi 159.047,69 - Interessi passivi 198.999,18 - Investimenti effettuati direttamente dall'Amministrazione - Investimenti indiretti Istruzione e cultura - Rimborso anticipazione di tesoreria ed altri - Servizi per conto terzi 258.560,60 - TOTALE 4.675.124,07 242.879,24 394.746,65 1.297,10 1.085.070,62 - 1.880.643,22 3 - La risultanza finale a tutto il 31 dicembre 2004 desunta dal consuntivo: - Avanzo di amministrazione dal conto consuntivo dell'anno 2005 755,04 TOTALE GENERALE 39.276.199,00 38.219.886,85 Attività sociali conomico funzionale è la se Trasporti - tributarie _ 523,29 - altre entrate correnti _ 141,43 - contributi e trasferimenti Cantù, 27 aprile 2007 82 _ 90,32 954.039,34 guente: Attività economica TOTALE 1.575.115,99 44.322,64 94.526,59 1.315,21 77.380,58 11.690,00 823.683,11 12.987,10 2.570.706,27 ( in euro) ( in euro) 2.388.115,70 37.265.847,51 5.920.834,47 7.174,47 - 401.549,45 690.884,73 244.025,00 2.423.029,33 296.837,32 9.436.297,98 - _ 1.672.484,24 _ 1.672.484,24 _ 810,36 - personale _ 198,50 - altre spese correnti _ 596,64 _ - Ammontare dei debiti fuori bilancio comunque esistenti e risultanti dalla elencazione allegata al conto consuntvio dell'anno 2005 _ - 3.421.000,00 39.276.199,00 - Avanzo di amministrazione disponibile al 31 dicembre 2005 Entrate correnti di cui: 4.804.416,60 260.000,00 - Residui passivi perenti esistenti alla data di chiusura del conto consuntivo dell'anno 2005 4 - Le principali entrare e spese per abitante desunte dal consuntivo sono le seguenti: 2.158.430,84 TOTALE - Avanzo di gestione Abitazioni 157.946,71 1.687.276,00 5.595.031,00 2 - la classificazione delle principali spese correnti ed in conto capitale, desunto dal conto consuntivo, secondo l'analisi e Amministrazione generale - 27.914.884,37 2.388.115,70 39.276.199,00 Impegni da conto consuntivo ANNO 2005 28.312.892,00 - Spese di investimento 5.216.938,89 TOTALE - Disavanzo di gestione - Correnti 5.248.703,36 3.247.460,29 28.020.175,26 Previsioni di competenza da bilancio ANNO 2007 DENOMINAZIONE 2.594.657,00 28.425.168,00 3.851.025,00 - Assunzione di prestiti (di cui per anticipazione di tesoreria) (valori espressi in euro) Previsioni di competenza da bilancio ANNO 2007 7.947.416,00 (di cui dallo Stato) (di cui dalle Regioni) - Servizi per conto terzi pese sono le se guenti: Spese correnti di cui: - acquisto di beni e servizi IL SINDACO Tiziana Sala _ _ - 15,22 Comune COMUNE DIdi CHIERIChieri Provincia di Torino Provincia di Torino Ai sensi dell'art. 6 della legge 25 febbraio 1987, n. 67, si pubblicano i seguenti dati relativi al bilancio preventivo 2007 e al conto consuntivo 2005(1) 1 - le notizie relative alle entrate e alle spese sono le seguenti: ENTRATE Previsioni di Accertamenti da conto consuntivo competenza da ANNO 2005 bilancio ANNO 2007 DENOMINAZIONE 130.000,00 14.415.000,00 1.321.400,00 463.000,00 6.197.800,00 4.160.800,00 21.934.200,00 9.260.500,00 - Avanzo di amministrazione - Tributarie - Contributi e trasferimenti (di cui dallo Stato) - Extratributarie (di cui proventi servizi pubblici) Totale entrate di parte corrente - Alienazione di beni e trasferimenti (di cui dallo Stato) 2.634.400,00 14.636.600,47 1.270.795,11 446.736,78 6.711.590,83 5.412.814,53 22.618.986,41 5.544.813,07 3.048.500,00 5.000.000,00 3.000.000,00 14.260.500,00 (di cui dalle Regioni) - Assunzioni di prestiti (di cui per anticipazione di Tesoreria) Totale entrate conto capitale 264.200,00 750.000,00 TOTALE GENERALE - Disavanzo di amministrazione 21.015.161,45 1.983.352,44 Totale spese di parte corrente 23.001.700,00 10.323.000,00 22.998.513,89 5.848.073,46 10.323.000,00 3.000.000,00 5.848.073,46 - - Rimborso quote capitale per mutui - Spese di investimento Totale spese in conto capitale Personale Acquisto di beni e servizi Interessi passivi Investimenti effettuati dall'Amministrazione Investimenti indiretti TOTALE 2.708.818,52 188.242,26 149.734,14 1.379.171,96 TOTALE 4.425.966,88 Avanzo di gestione Abitazioni 605.400,00 3.386.784,91 288.167,49 1.783.791,62 6.064.144,02 3 - In risultanza finale a tutto il 31/12/2005 desunta dal conto consuntivo: Avanzo di amministrazione dal conto consuntivo 2005 Avanzo di amministrazione disponibile al 31 dicembre 2005 Ammontare dei debiti fuori bilancio comunque esistenti e risultanti dalla elencazione allegata al conto consuntivo dell'anno 2005 4 - Le principali entrate e spese per abitante desunte dal consuntivo sono le seguenti: ENTRATE CORRENTI di cui tributarie contributi e trasferimenti altre entrate correnti (1) i dati si riferiscono all'ultimo consuntivo approvato 652,43 422,18 36,66 193,59 4.274.300,00 33.839.824,77 TOTALE GENERALE Istruzione e cultura abit. IL SINDACO GAY AGOSTINO 34.669 - 20.769.700,00 2.232.000,00 2 - La classificazione delle principali spese correnti e in conto capitale, desunto dal consuntivo, secondo l'analisi economico funzionale è la seguente Amministrazione generale - - Correnti 2.291.625,29 Partite di giro 40.599.000,00 Disavanzo di gestione Previsioni di Impegni da conto consuntivo competenza da ANNO 2005 bilancio ANNO 2007 DENOMINAZIONE 6.294.813,07 Rimborso anticipazione di tesoreria altri 4.274.300,00 Partite di giro SPESE Attività sociali 40.599.000,00 1.491,56 1.016.300,00 1.033.291,46 95.880,57 1.491,56 2.373.815,60 228.343,57 Trasporti 2.093,94 2.093,94 Attività economica 26.322,21 24.137,61 205.000,00 255.459,82 2.291.625,29 2.701.612,13 33.839.824,77 TOTALE 1.621.700,00 4.420.076,37 385.539,62 2.012.135,19 8.439.451,18 4.403.021,26 4.403.021,26 - SPESE CORRENTI di cui personale acquisti di beni e servizi altre spese correnti 606,17 181,68 285,48 139,01 83 ComuneDI diMUGGIO' Muggiò COMUNE PROVINCIA DI MILANO Provincia di Milano Ai sensi dell'art. 6 della legge 25.02.1987, n. 67, si pubblicano i seguenti dati relativi al Bilancio di Previsione 2007 e al Conto Consuntivo 2005. (1) Tab. 1) Le notizie relative alle entrate ed alle spese sono le seguenti: (in EURO) ENTRATE Avanzo Amministrazione Tributarie Previsioni di competenza da Bilancio Anno 2007 Accertamenti da SPESE Conto Consuntivo Anno 2005 9.461.155,62 10.405.996,46 Correnti Disavanzo Amministrazione 4.352.871,10 13.155,00 284.623,56 Contributi e trasferimenti (di cui dallo Stato) (di cui dalle Regioni) 1.045.294,90 Rimborso quote capitali 416.549,90 per mutui in amm.to 401.081,21 2.362.500,00 Extratributarie TOTALE entrate di parte corrente TOTALE spese 14.355.016,74 di parte corrente 3.818.719,06 3.300,00 222.000,00 Totale entrate conto capitale 14.678.994,08 773.873,13 1.017.072,52 16.743.861,50 4.663.070,02 Spese di investimento 3.316,79 238.611,91 3.818.719,06 15.696.066,60 3.251.384,28 4.663.070,02 Totale spese conto capitale 1.703.589,57 Servizi per conto terzi 15.969.988,37 962.689,81 16.176.526,72 Alienazione di beni e trasf. (di cui dallo Stato) (di cui dalle Regioni) Assunzione prestiti (di cui per anticipazioni di tesoreria) Impegni da Conto Consuntivo Anno 2005 2.903.725,38 889.800,00 (di cui proventi serv.pubbl.) Previsioni di competenza da Bilancio Anno 2007 1.679.780,18 Servizi per conto terzi 3.646.048,40 3.251.384,28 3.646.048,40 1.703.589,57 1.679.780,18 TOTALE 21.698.835,35 20.697.866,94 TOTALE 21.698.835,35 21.021.895,18 TOTALE GENERALE 21.698.835,35 20.697.866,94 TOTALE GENERALE 21.698.835,35 21.021.895,18 Disavanzo di gestione Avanzo di gestione (1) I dati si riferiscono all'ultimo consuntivo approvato Tab. 2) La classificazione delle principali spese correnti, desunte dal consuntivo, secondo l'analisi economico-funzionale è la Amministr. Generale Personale Acquisto beni e/o materie prime Prestazioni di servizi Utilizzo beni di terzi Interessi passivi e oneri finanz. diversi 2.601.605,74 127.786,20 1.356.350,03 6.913,09 TOTALE 4.660.974,93 Avanzo di Amm.ne disponibile al 31 dicembre 84 Trasp. Pubblici e serv.connessi Gestione territorio e ambiente e servizi produttivi settore sportivo e ricreativo 596.746,11 96.958,18 29.772,21 1.559.381,40 275.062,48 2.064.405,44 133.917,04 6.112.592,89 14.844,13 317.605,89 117.325,53 31.451,06 635.218,27 23.342,20 6.459,16 113.528,99 1.277.692,43 930.464,06 1.056.077,93 26.219,28 93.138,82 4.304,88 19.424,44 66.280,43 14,46 774.909,41 449,65 190,38 10.812,98 32.437,61 341.225,68 681.908,63 22.764,15 3.016.348,98 18.922,77 367.799,90 TOTALE 577.979,08 Tab.3) La risultanza finale a tutto il 31.12.2005 desunta dal consuntivo: (in EURO) Avanzo di Amm.ne applicato alle spese Attività sociali 521.791,00 7.048,13 128.118,48 Polizia Locale 187.810,80 200.126,71 Oneri straordinari della gestione corrente Cultura seguente: (in EURO) 114.442,00 336.161,37 109.765,83 195.848,85 Imposte e tasse Istruzione 44.225,83 Trasferimenti 922.904,82 Quota di avanzo applicato impegnato 67.704,43 297.116,79 60.895,49 969.603,42 19.617,99 892.782,26 4.000,00 2.435,00 3.535.794,76 Tab.4) Le principali entrate e spese per abitante al 31.12.2005 (n. 22 consuntivo sono le seguenti: 195.445,25 4.371.428,52 755.831,29 11.217,97 2.297.625,20 302.990,94 192.089,00 14.678.994,08 .365) desunte d al conto ENTRATE CORRENTI 641,85 SPESE CORRENTI (Tit. I) 656,34 tributarie 465,28 personale (compreso IRAP) 206,97 altre entrate correnti 129,83 prestaz.servizi 273,31 altre spese correnti 141,76 di cui contributi e trasferimenti 46,74 Il Sindaco: FOSSATI dott. Carlo di cui acquisto beni utilizzo beni di terzi 33,80 0,50 Comune di Potenza IL SINDACO (Ing. Vito TARSIERO) SAN 85 Comune di Reggio nell’Emilia 86 Comune di Teramo COMUNE DI TERAMO Ai sensi dell'art.6 della legge 25-2-1987 nr. 67 si pubblicano i seguenti dati relativi al preventivo 2006 e al conto con PREVENTIVO 2006 ENTRATE Avanzo di Amministrazione Tributarie Contributi e trasferimenti ( di cui dallo Stato) ( di cui da Regione ) Extratributarie (di cui per proventi servizi pubblici ) Totale Entrate di parte corrente Alienazioni di beni e trasferimenti (di cui dallo Stato ) (di cui dalle Regioni) Assunzione di prestiti ( di cui per anticipazioni di Tesoreria Totale Entrate capitale partite di giro Totale Disavanzo di Gestione TOTALE GENERALE ENTRATE CONSUNTIVO 2005 _ 1.681.000,00 _ _ _ _ _ 20.289.750,00 4.873.821,00 3.596.519,00 1.258.902,00 15.175.308,00 _ _ _ _ _ 19.653.711,45 5.036.396,96 425.748,28 898.365,68 12.946.568,47 _ 40.338.879,00 _ 37.636.676,88 _ _ _ _ _ 12.163.323,00 _ 9.759.582,41 31.125.765,00 5.451.306,00 9.513.959,00 10.708.147,00 _ _ _ _ 10.572.409,00 700.000,00 3.196.022,50 14.692.876,04 _ _ _ _ 41.833.912,00 9.933.971,00 92.106.762,00 _ _ _ _ 25.265.285,04 5.062.974,94 69.645.936,86 _ 92.106.762,00 _ 69.645.936,86 Disavanzo di amm/ne Spese correnti Rimborso di quote capitale per mutui in ammortamento 286.130,00 1.262.915,75 750.782,15 163.533,25 2.463.361,15 _ _ _ _ _ 5.964.440,33 3.973.213,04 464.629,85 807.135,05 11.209.418,27 - 37.642.236,00_ 36.294.497,19 _ 1.734.543,00_ 9.078.313,03 Totale s pese di parte corrente _ 39.376.779,00_ 45.372.810,22 Spese di investimento _ 42.796.012,00_ 17.788.927,77 Totale s pese in conto ca pitale _ 42.796.012,00_ 17.788.927,77 _ _ 9.933.971,00_ 92.106.762,00_ _ 5.062.974,94 68.224.712,93 1.421.223,93 Rimborso di anticipazioni di tesoreria e altro partite di giro Totale avanzo gestione competenza TOTALE GENERALE SPESE - _ - _ 92.106.762,00_ Funzione 11 Funzione 4 istruzione sviluppo economico _ _ _ _ _ 365.386,90 186.854,13 52.693,41 18.014,80 622.949,24 _ _ _ _ _ 1.882.593,07_ 1.430.864,02_ 86.824,39_ 205.418,44_ 3.605.699,92_ 69.645.936,86 Alre Funzioni 5.373.175,03 9.762.403,82 749.755,14 2.507.734,62 18.393.068,61 3) La risultanza finale a tutto il 31 dicembre 2004 desunta dal conto consuntivo è la seguente Fondo di Cassa all'31-12-2005 _ _ Residui attivi al 31-12-2005 Residui passivi al 31-12-2005 Avanzo di amministrazione al 31-12-2005 _ _ 1.101.163,27 54.929.235,57 52.823.428,31 3.206.970,53 4) Le principali entrate e spese desunte dal consuntivo sono le seguenti ( abitanti nr. 53.185) Entrate Correnti di cui Tributarie contributi e trasferimenti altre entrate correnti Spese correnti _ _ _ di cui 369,53 personale 94,70 Acquisto beni e servizi 243,43 altre s pese correnti 0 _ Funzione 8 Viabilità e Funzioni generali di trasporti amministrazione _ _ _ _ _ PREVENTIVO CONSUNTIVO 2005 2006 SPESE 2) La classificazione delle principali spese correnti ,desunte dal conto consuntivo è la seguente Personale Acquisto beni e serv. interessi passivi altri TOTALE untivo 2005 s _ _ _ 260,82 312,42 682,42 87 # 88 Comune di Ventimiglia COMUNE DI VENTIMIGLIA - (Provincia di Imperia) (Provincia di Imperia) Ai sensi dell'art. 6 Legge 25/02/1987, n. 67 si pubblicano i seguenti dati relativi al Bilancio di Previsione 2007 ed al Conto Consun ntivo 2005 ENTRATE DENOMINAZIONE _ AVANZO DI AMMINISTRAZIONE Tributarie Contributi e trasferimenti (di cui dello Stato) (di cui della Regione) Extratributarie PREVISIONI DI COMPETENZA DA BILANCIO 2007 - ACCERTAMENTO DA RENDICONTO 2005 _ - _ 14.433.113,17 _ 15.080.715,97 _ 2.932.498,16 _ 1.575.527,07 _ _ _ _ (di cui per proventi servizi pubblici) 1) le notizie relative alle entrate ed alle spese sono le seguenti: 4.478.708,24 _ 1.323.599,97 _ 3.106.324,10 _ 4.167.733,22 2.391.572,05 747.012,36 _ 4.072.493,28 3.209.737,40 TOTALE parte corrente _ 23.079.554,63 _ 21.544.781,30 _ 3.491.805,84 _ 4.537.977,88 _ 1.850.576,54 _ 837.881,77 Alienazioni di beni e trasferimenti (di cui dello stato) (di cui della Regione) Assunzione Prestiti _ _ (di cui per anticipazioni di Tesoreria) _ Partite di giro _ TOTALE in conto capitale _ TOTALE parziale _ Disavanzo di gestione _ TOTALE GENERALE _ 9.189,90 - - 3.491.805,84 2.829.343,00 29.400.703,47 29.400.703,47 _ 581.464,90 _ 123.487,00 _ 4.661.464,88 _ 3.359.049,45 _ _ _ _ - 3.460.793,08 29.565.295,63 SPESE DENOMINAZIONE TOTALE spesa di parte corrente _ _ _ _ _ _ _ _ Spese d investimento DISAVANZO DI AMMINISTRAZIONE Correnti Rimborso quote capitale per mutui e assunzione di prestiti in ammortamento PREVISIONI DI COMPETENZA DA BILANCIO 2007 22.590.924,21 506.195,11 23.097.119,32 IMPEGNI DA RENDICONTO 2005 _ - _ 21.199.184,19 _ _ 438.324,14 - _ 21.637.508,33 _ 3.474.241,15 _ 3.715.105,63 TOTALE spese in conto capitale _ Rimborsi anticipazioni di Tesoreria ed altri _ 3.474.241,15 _ 3.715.105,63 _ TOTALE _ Avanzo di gestione _ TOTALE GENERALE _ Partite di giro - 2.829.343,00 29.400.703,47 29.400.703,47 _ _ _ _ _ 3.359.049,45 28.711.663,41 28.711.663,41 2) La classificazione delle principali spese correnti ed in conto capitale desunte dal rendiconto, secondo l'analisi economico-funziona Personale Acquisto beni Prestazioni Servizi Interessi passivi Investimenti diretti dell'Amministrazione Investimenti indiretti TOTALE GENERALE AMMINISTRAZIONE GENERALE _ _ _ _ _ _ _ _ 3.035.043,43 269.702,99 1.615.118,28 96.304,86 458.593,53 150.315,77 5.625.078,86 _ _ _ _ _ _ _ _ ISTRUZIONE PUBBLICA 109.675,80 86.884,40 1.300.706,35 21.675,49 45.000,00 9.639,93 1.573.581,97 _ _ _ _ _ _ _ _ CULTURA 70.993,58 2.865,70 39.201,00 24.645,04 602.710,63 29.165,40 769.581,35 _ _ _ _ _ _ _ _ VIABILITA' E TRASPORTI 304.469,62 126.701,60 1.107.604,28 238.155,91 858.314,00 20.000,00 2.655.245,41 _ _ _ _ _ _ _ _ TERRITORIO E AMBIENTE 412.017,50 66.113,85 5.667.045,82 154.679,35 907.591,63 301.443,19 7.508.891,34 3) La risultanza finale a tutto il 31/12/2005, desunta dal rendiconto: _ _ _ _ _ _ _ _ SETTORE SOCIALE 1.093.409,30 11.283,00 1.535.456,68 6.804,88 152.209,90 9.974,25 2.809.138,01 Avanzo di Amministrazione 2005 Residui passivi perenti esistenti alla data di chiusura del rendiconto dell'anno 2005 Avanzo di Amministrazione disponibile al 31/12/2005 Ammontare dei debiti fuori bilancio comunque esistenti e risultanti dall'elencazione allegata al rendiconto 2005 ENTATE CORRENTI di cui: tributarie contributi e trasferimenti altre entrate correnti 4) Le principali entrate e spese correnti per abitante, desunte dal rendiconto _ _ _ totale _ 591,33 93,77 159,68 844,78 N.B. I dati si riferiscono all'ultimo rendiconto approvato esercizio 2005 IL DIRIGENTE SERVIZIO FINANZIARIO SPESE CORRENTI di cui: personale acquisto beni prestazione di servizi altre spese correnti totale Abitanti al 31/12/2005 n. IL SINDACO IL SINDACO 89 Consorzio Socio-assistenziale del Cuneese CONSORZIO SOCIO-ASSISTENZIALE DEL CUNEESE Ai sensi dell'art. 6 della legge 25 febbraio 1987, n. 67, si pubblicano i dati relativi al bilancio preventivo 2007 ed al rendiconto 2005 1 - Le notizie relative alle entrate ed alle spese sono le seguenti: PREVISIONI DI ACCERTAMENTI DA DENOMINAZIONE COMPETENZA DA RENDICONTO DENOMINAZIONE BILANCIO ANNO 2007 ANNO 2005 - Avanzo di amm.ne _ 319.233,85 _ 0,00 - disavanzo di Amm.ne - Tributarie _ 0,00 _ 0,00 - correnti - Contributi e trasferimenti - rimborso quote di capitale _ 13.766.141,48 _ 13.145.109,73 per mutui in ammortamento di cui: dallo Stato _ 32.313,01 _ 262.632,76 dalle Re gioni _ 3.400.673,93 _ 3.246.259,82 da altri Enti del settore pubblico _ 10.333.154,54 _ 9.636.217,15 - Extratributarie _ 3.550.336,28 _ 3.271.090,41 TOTALE ENTRATE DI PARTE TOTALE SPESE DI PARTE _ 17.316.477,76 _ 16.416.200,14 CORRENTE CORRENTE - Alienazioni di beni e trasferimenti _ 0,00 _ 45.666,67 - S pese di investimento - Assunzione di prestiti _ 900.000,00 _ 0,00 (di cui per antici pazioni di tesoreria ) _ 900.000,00 _ 0,00 TOTALE ENTRATE CONTO TOTALE SPESE CONTO _ 900.000,00 _ 45.666,67 CAPITALE CAPITALE - rimborso anticipazione di tesoreria ed altri _ 1.511.148,11 _ 1.025.066,24 - Servizi per conto terzi - Servizi per conto di terzi TOTALE _ 20.046.859,72 _ 17.486.933,05 TOTALE - Disavanzo di gestione _ 0,00 _ 366.096,22 - Avanzo di gestione TOTALE GENERALE _ 20.046.859,72 _ 17.853.029,27 TOTALE GENERALE 2 - Distribuzione delle s PREVISIONI DI COMPETENZA DA BILANCIO ANNO 2007 _ 0,00 _ 17.635.711,61 IMPEGNI DA RENDICONTO ANNO 2005 _ 0,00 _ 16.308.785,22 _ 17.635.711,61 _ 16.308.785,22 _ 0,00 _ 0,00 _ 0,00 _ 519.177,81 _ 0,00 _ 900.000,00 _ 1.511.148,11 _ 20.046.859,72 _ 20.046.859,72 _ 519.177,81 _ 0,00 _ 1.025.066,24 _ 17.853.029,27 _ 17.853.029,27 p ese secondo l'analisi economico - funzionale PREVISIONI DI COMPETENZA BILANCIO 2007 FUNZIONI Spese correnti IMPEGNI DA RENDICONTO 2005 Spese in conto capitale Spese correnti Spese in conto ca p itale _ 1.906.691,40 _ 0,00 _ 1.630.737,22 2. Settore sociale _ 15.729.020,21 _ 0,00 _ 14.678.048,00 _ 442.685,81 TOTALE _ 17.635.711,61 _ 0,00 _ 16.308.785,22 _ 519.177,81 1. Generali di amministrazione, gestione e controllo 3 - risultato di amministrazione al 31.12.2005 _ 797.393,19 _ 75.762,96 - Fondi vincolati - Fondi per finanziamento s pese in conto ca pitale - Fondi di ammortamento - Fondi non vincolati 4 - Le p rinci p ali entrate e s ENTRATE CORRENTI Di cui: - Tributarie - Contributi e trasferimenti - Altre entrate correnti p ese p er abitante _ 721.630,23 ( comuni consorziati ) desunte dal Rendiconto 2005 sono le se _ 167,87 g uenti: _ 166,77 SPESE CORRENTI Di cui: - Personale - Prestazioni di servizi - Altre s pese correnti _ 0,00 _ 134,42 _ 33,45 IL DIRETTORE 90 _ 76.492,00 (Galfre' Dott. Aurelio) _ 48,71 _ 99,28 _ 18,78 LA RESPONSABILE DEL SERVIZIO ECONOMICO FINANZIARIO (FANTINO D.ssa Paola ) CORSI Il CSA - Formazione, a seguito dell’Accordo tra il Governo, Regioni e Province Autonome del 14.2.2006,che ha individuato gli indirizzi ed i requisiti minimi dei CORSI DI FORMAZIONE OBBLIGATORI RICONOSCIUTI per: Responsabili ed Addetti al Servizio di Prevenzione e Protezione dei lavoratori ai sensi del D. Lgs. 23/6/2003, n.195 - Pubblica Amministrazione, Istruzione, disciplinando le modalità di formazione specifica dei propri ASPP e RSPP, da ultimare entro il 14.2.2008, ha organizzato, in esecuzione di tale provvedimento, I percorsi formativi, a numero chiuso (max 30 partecipanti per corso) sono strutturati e coerenti con quanto previsto dal provvedimento legislativo 19.9.1994, n.626 come integrato dal D. Lgs. 23.6.2003, n.195ed all’allegato A2 dell’Accordo Stato-Regioni: Mod. A - Corso base per Responsabili ed Addetti ai Servizi di Prevenzione e Protezione dei lavoratori - Ore 28 + 2 ore test vedi http://www.csa-torino.it/corsi.asp Mod.B - Corso di specializzazione per Responsabili ed Addetti ai Servizi di Prevenzione e Protezione - Ore 24 + 2 ore di verifiche vedi http://www.csa-torino.it/corsi.asp Mod. C - Corso di specializzazione per Responsabili ai Servizi di Prevenzione e Protezione Ore 24 + 2 di verifiche finali vedi http://www.csa-torino.it/corsi.asp Requisiti e criteri per la partecipazione ai corsi: Responsabili ed Addetti ai Servizi di Prevenzione e Protezione nella Pubblica Amministrazione, Istruzione, designati dalle singole Amministrazioni, in possesso dei seguenti requisiti previsti dall’Accordo Stato-Regioni del 26.1.2006: esperienza lavorativa documentata maggiore di 6 mesi con incarico di RSPP o ASPP, ancora valido, designati prima del 14.2.2003 ed attivi al 13.8.2003, con qualsiasi titolo di studio; esperienza lavorativa documentata inferiore a 6 mesi con incarico di RSPP, attualmente in vigore, designati dopo il 14.2.2003, purchè in possesso di diploma di scuola media superiore; esperienza lavorativa certificata inferiore a 6 mesi con incarico di ASPP, attualmente in vigore, designati dopo il 14.2.2003 con frequenza dei corsi di 16 ore previsti dal DM 16.1.1997 ed in possesso del diploma di scuola media superiore; di nuova nomina con attestato di frequenza ai corsi di 16 ore previsti dal DM 16.1.1997 conseguito entro il 14/02/2007 [dopo tale data è obbligatoria la frequenza del modulo A] ed in possesso del diploma di scuola media superiore. N.B.: Nel caso in cui non ricorrano le condizioni di cui sopra non è possibile frequentare il corso di cui al Mod.B, se non dopo la frequenza del corso base di cui al Mod.A. DOCENTI: Prof. Paolo Barletta – Professore Ordinario – Docente Educazione Fisica – Esperto/Formatore L.626/94 Enti Pubblici e Società. Ing. Mario Capello – Libero professionista – Esperto Sistemi Sicurezza – Perito del Tribunale e Consulente del Giudice. D.ssa Rosa Katia Di Ciommo – Psicologa – Esperta Igiene e Sicurezza sul Lavoro D.ssa Teresa Emanuele - Medico - Specialista Medicina del Lavoro Ing. Bruno Digrazia – Funzionario Tecnico in P.O – Comune di Torino – Componente Comitato Tecnico-Scientifico “Sicurezza sul Lavoro” Dott. Maurizio Ferro – Consulente per la sicurezza Ing. Franco Fiorio Pla – già Direttore Servizio Centrale Tecnico – Comune Torino – Esperto D.ssa Elisabetta Lotito – Consulente – Esperta Informatica 91 Dott. Francesco Perone – Chimico – Esperto. *Docenti: Lo staff dei docenti sarà scelto in base alla tipologia del corso ed alla specializzazione professionale tra quelli sopra riportati. ATTESTATO: Al termine dei corsi, dopo le verifiche intermedie e finali (test) da parte dei docenti, verrà rilasciato attestato di frequenza, conforme alla vigente normativa per il macrosettore 8 specifico, all’interno del quale il partecipante potrà svolgere le funzioni di RSPP o ASPP. Sono ammesse assenze di partecipazione al corso che non dovranno essere superiori al 10% della durata complessiva del percorso formativo specifico. ISCRIZIONE - MODALITA’ A mezzo fax. oppure E-MAIL: [email protected] od anche utilizzando la scheda direttamente dal sito Internet del CSA al link corsi «iscriviti on-line» Il contributo è fissato in relazione alla tipologia del corso (vedi singoli specifici programmi: Mod A Mod.B - Mod C). Per gli enti associati e per ogni iscritto in più del medesimo Ente è ridotto del 20%. Esso comprende, oltre al materiale tecnico-didattico, la soluzione di quesiti e le colazioni di lavoro. E’ ammessa la sostituzione del partecipante con altra persona dello stesso Ente a condizione che venga rispettata la frequenza non inferiore al 90% della durata del corso. Nel caso di non raggiungimento del numero minimo di partecipanti (20) il CSA-Formazione si riserva la facoltà di rinviare od annullare il corso. In questo caso verrà data comunicazione scritta, così come verrà fatta comunicazione di conferma della data di inizio corso a 1/2 fax od e-mail. Dopo tale conferma non sono ammesse cancellazioni/recessi. MODALITA’ DI DISDETTA/RECESSO E’ consentito a ciascun partecipante il diritto di recedere ai sensi dell’art. 1373 Cod.Civ. che dovrà essere comunicato con disdetta da inviare via fax al n.11.542704, con le seguenti modalità: Fino a 5 giorni prima dell’inizio del corso il partecipante potrà recedere senza dover alcun corrispettivo al CSA che provvederà al rimborso qualora abbia già effettuato il versamento della quota; Oltre il termine di cui sopra e fino al giorno di inizio del corso, il partecipante potrà recedere pagando un corrispettivo pari al 25% della quota di iscrizione che potrà essere trattenuta direttamente dal CSA, se la quota è già stata versata. In tal caso il CSA provvederà ad emettere la relativa fattura. SEDI: Torino - Alessandria - Asti - Cuneo - Novara. PERIODO: Settembre - Ottobre - Novembre 2007 Per ulteriori informazioni in merito ai presenti ed altre tipologie di corsi, la Segreteria organizzativa è a disposizione telefonando ai nn. 011/5233542 - 011/9471448 e-mail: [email protected] o visitando il sito: http://www.csa-torino.it/corsi Agenzia Formativa accreditata e certifica N.1749/5996D UNI EN ISO 9001 : 2000 92 CORSI UFFICIALI DI AGGIORNAMENTO PROFESSIONALE Il CSA - Formazione, a seguito dell’Accordo tra il Governo, Regioni e Province Autonome del 14.2.2006, che ha individuato gli indirizzi ed i requisiti minimi dei CORSI OBBLIGATORI DI AGGIORNAMENTO PROFESSIONALE per: Responsabili ed Addetti al Servizio di Prevenzione e Protezione dei lavoratori ai sensi del D. Lgs. 23/6/2003, n.195 - Pubblica Amministrazione, Istruzione, disciplinando le modalità di aggiornamento specifica dei propri ASPP e RSPP. ha organizzato, in esecuzione di tale provvedimento, corsi ad hoc. (Macro Settore di Attività Ateco 8) I percorsi formativi, a numero chiuso (max 30 partecipanti per corso) sono strutturati e coerenti con quanto previsto dal provvedimento legislativo 19.9.1994, n.626 come integrato dal D. Lgs. 23.6.2003, n.195, art. 3dell’allegato 1 dell’Accordo Stato-Regioni. I singoli corsi intendono fornire ai partecipanti aggiornamenti e competenze che fanno riferimento alle specifiche funzioni di RSPP o ASPP di tutte le complesse tematiche conseguenti alla sicurezza nell’ambiente di lavoro, con particolare riguardo al settore produttivo di riferimento, alle novità normative eventualmente intervenute in materia e alle innovazioni nel campo delle misure di prevenzione ...ooo0ooo… CORSI 1 - AGGIORNAMENTO ANNUALE PER RSPP - 8 ORE 2 - AGGIORNAMENTO ANNUALE PER ASPP - 6 ORE ….ooo0ooo… 1 - CORSO DI AGGIORNAMENTO ANNUALE PER RSPP SESSIONE Torino settembre - 8 ORE PROGRAMMA dalle ore 9,00 alle 13 Colazione di lavoro e dalle 14,00 alle 18,00 durata: 2 ore dalle ore 9,00 alle 11,00 - rischi organizzazione lavoro (ambienti di lavoro, movimentazione manuale dei carichi) - sicurezza antincendio (DM 10/03/98) durata: 2 ore dalle 11,00 alle 13,00 - rischi infortuni (elettrico, meccanico, attrezzature) - DPI (caratteristiche e scelta) durata: 2 ore dalle 14,00 alle 16,00 - rischi chimici (gas, vapori, fumi. polveri, nebbie, liquidi, etichettatura) - rischi biologici durata: 2 ore dalle 16,00 alle 18,00 - rischi fisici (videoterminali, microclima, illuminazione) - Ergonomia e comunicazione del rischio - VERIFICA FINALE 93 2 - DI AGGIORNAMENTO ANNUALE PER ASPP - 6 ORE SESSIONE - Torino - 0ttobre 2007 - 6 ORE PROGRAMMA dalle ore 9,00 alle 13,00 Colazione di lavoro e dalle 14,00 alle 16,30 durata: 2 ore dalle ore 9,00 alle 11,00 - rischi organizzazione lavoro (ambienti di lavoro, movimentazione manuale dei carichi) - sicurezza antincendio (DM 10/03/98) durata: 2 ore dalle ore 11,00 alle 13,00 - rischi infortuni (elettrico, meccanico, attrezzature) - DPI (caratteristiche e scelta) - rischi fisici (videoterminali, microclima, illuminazione) durata: 2 ore dalle 14,30 alle 16,30 - rischi chimici (gas, vapori, fumi. polveri, nebbie, liquidi, etichettatura) - rischi biologici VERIFICA FINALE ooo0ooo DOCENTI* Prof. Paolo Barletta – Professore Ordinario – Docente Educazione Fisica – Esperto/Formatore L.626/94 Enti Pubblici e Società. Ing. Mario Capello – Libero professionista – Esperto Sistemi Sicurezza – Perito del Tribunale e Consulente del Giudice. D.ssa Rosa Katia Di Ciommo – Psicologa – Esperta Igiene e Sicurezza sul Lavoro D.ssa Teresa Emanuele - Medico - Specialista Medicina del Lavoro Ing. Bruno Digrazia – Funzionario Tecnico in P.O – Comune di Torino – Componente Comitato Tecnico-Scientifico “Sicurezza sul Lavoro” Dott. Maurizio Ferro – Consulente per la sicurezza Ing. Franco Fiorio Pla – già Direttore Servizio Centrale Tecnico – Comune Torino – Esperto D.ssa Elisabetta Lotito – Consulente – Esperta Informatica Dott. Francesco Perone – Chimico – Esperto. *Docenti: Lo staff dei docenti sarà scelto in base alla tipologia del corso ed alla specializzazione professionale tra quelli sopra riportati. VALUTAZIONE FINALE E RILASCIO DI ATTESTATO DI AGGIORNAMENTO Al termine dei corsi, dopo le verifiche finali (test) da parte dei docenti, verrà rilasciato attestato di frequenza dell’aggiornamento, conforme alla vigente normativa per il macrosettore 8 specifico 94 ISCRIZIONE - MODALITA’ A mezzo fax., utilizzando il modulo specifico allegato, oppure E-mail: [email protected] od anche utilizzando la scheda direttamente dal sito web del CSA al link corsi “iscriviti on-line” Il contributo è fissato in ? 200,00 esente iva, per il corso di aggiornamento di RSPP o ASPP. Per gli enti associati e per ogni iscritto in più del medesimo Ente è ridotto del 20%. Esso comprende, oltre al materiale tecnico-didattico, la soluzione di quesiti e le colazioni di lavoro. E’ ammessa la sostituzione del partecipante con altra persona dello stesso Ente, purchè in possesso di qualifica di RSPP o ASPP. Nel caso di non raggiungimento del numero minimo di partecipanti (20) il CSA-Formazione si riserva la facoltà di rinviare od annullare il corso. In questo caso verrà data comunicazione scritta a 1/2 fax od e-mail. MODALITA’ DI DISDETTA/RECESSO E’ consentito a ciascun partecipante il diritto di recedere ai sensi dell’art. 1373 Cod.Civ. che dovrà essere comunicato con disdetta da inviare via fax al n.011.542704, con le seguenti modalità: Fino a 5 giorni prima dell’inizio del corso il partecipante potrà recedere senza dover alcun corrispettivo al CSA che provvederà al rimborso qualora abbia già effettuato il versamento della quota; Oltre il termine di cui sopra e fino al giorno di inizio del corso, il partecipante potrà recedere pagando un corrispettivo pari al 25% della quota di iscrizione che potrà essere trattenuta direttamente dal CSA, se la quota è già stata versata. In tal caso il CSA provvederà ad emettere la relativa fattura. SEDE: Collegio San Giuseppe - Via San Francesco da Paola n.23 - 10123 - Torino. (web: http://www.collegiosangiuseppe.it) La sede dei corsi si trova in centro città ed è situata a pochi metri di distanza. dal parcheggio sotterraneo in Piazza Valdo Fusi, con tariffa giornaliera ridotta di ? 5,00 valida dalle ore 7,00 alle 20,00 per tutte le auto private. E’ inoltre vicinissima alla Stazione Porta Nuova e raggiungibile dalle linee extraurbane e dalla Stazione FS Porta Susa con bus e tram di linea (vedere mappa interattiva: http://www.comune.torino.it/gtt/urbana/mappa) Per ulteriori informazioni in merito ai presenti ed altre tipologie di corsi, la Segreteria organizzativa è a disposizione telefonando ai nn. 011/5233542 - Fax 011/542704 e-mail: [email protected] o visitando il sito: http://www.csa-torino.it/corsi Analoghi corsi di aggiornamento sono previsti in Provincia di Alessandria, Asti, Cuneo e Novara. 95 Seminario su IL BILANCIO DI PREVISIONE PER IL 2008 Il bilancio pluriennale 2008/2010 La relazione previsionale e programmatica – La finanziaria 2008 - Il patto di stabilità Il seminario, indirizzato agli Amministratori, Direttori, Segretari, Responsabili dei Servizi Finanziari e Funzionari degli Enti locali, tratterà del: Il bilancio di previsione per il 2008; Il pluriennale 2008/2010; La relazione previsionale e programmatica; Il patto di stabilità; I trasferimenti compensativi a coperture delle funzioni pubbliche; I fondi perequativi ed il fondo per la realizzazione o manutenzione di OO.PP.; Gli incrementi ammissibili della spesa; Gli incentivi per gli Enti virtuosi; La franchigia e lo sconto ICI; L’addizionale IRPEF; I nuovi strumenti di finanziamento previsti nella finanziaria 2008 - Discussione e quesiti. TORINO 28 novembre 2007 PROGRAMMA Ore 9,00 Registrazione partecipanti Ore 9,30 Inizio lavori Ore 13,00 Lunch RELATORI Ore 17,00 Temine lavori Prof. Franco GABOARDI – Docente Contabilità Enti Pubblici – Università di Torino Dr. Antonio SCOZZESE – Dirigente Finanza Locale – Ministero Interno – Roma Dr. Pierluigi ROPOLO – Dirigente Servizio Finanziario – Comune Rivalta di Torino Dr. Vittorio BOIANELLI – Revisore dei Conti – Torino QUESITI Per rendere meno teorico e molto più pratico e tecnico il seminario, si invitano gli interessati a spedire, via fax od e-mail, con l’impegno di partecipazione, quesiti e problematiche per consentire ai relatori di mirare in modo puntuale e preciso gli interventi evitando divagazioni in generale. SEDE DEL SEMINARIO Collegio San Giuseppe - Via San Francesco da Paola n.23 - 10123 - Torino (web: http://www.collegiosangiuseppe.it) La sede del corso si trova in centro città ed è situata a pochi metri di distanza dal parcheggio sotterraneo in Piazza Valdo Fusi, con tariffa giornaliera ridotta di € 5,00 valida dalle ore 7,00 alle 20,00 per le auto private. E’ inoltre vicinissima alla Stazione Porta Nuova (si può raggiungere a piedi) e raggiungibile dalle linee extraurbane e dalla Stazione FS Porta Susa con bus e tram di linea (vedere mappa interattiva: http://www.comune.torino.it/gtt/urbana/mappa) ISCRIZIONE - MODALITA’ E’ richiesta la prenotazione come da modalità e scheda allegata A mezzo fax. Oppure E-mail: [email protected] od anche dal sito Internet del CSA al link seminari “iscriviti on-line - Il contributo da versare al CSA su CCP n.22587109 è fissato in € 200,00 procapite, oltre IVA*, ridotto ad € 160,00 pro-capite, oltre IVA*, per gli enti associati e per ogni iscritto in più del medesimo Ente.. Esso comprende, oltre al materiale tecnico-didattico, la soluzione di quesiti e le colazioni di lavoro. *Enti pubblici esenti da IVA ai sensi DPR 633/1972 e s.m.i.. In tal caso aggiungere bollo quietanza pari ad € 1,81. CREDITO FORMATIVO PER I DOTTORI COMMERCIALISTI L’evento è inserito nel programma formativo dell’Ordine dei Dottori Commercialisti di IvreaPinerolo-Torino ai fini del riconoscimento dei relativi crediti ATTESTATO - Al termine del seminario sarà rilasciato a tutti i partecipanti un attestato di frequenza La Segreteria del CSA è a disposizione dal lunedì al venerdì ore 9-12 e 15-18 Tel. 011/5233542 - 011/9471448 Fax 011/ 542704 Eventuali comunicazioni E-mail: [email protected] Agenzia Formativa riconosciuta dalla Regione Piemonte n.474/001 E certificata UNI EN ISO 9001 : 2000 N. 1749/2004N: 1749/5996D 96