IL CODICE PENALE COM_218_CodicePenaleCommentato_2017_1.indb 45 02/03/17 10:08 R.D. 19 ottobre 1930, n. 1398. Approvazione del testo definitivo del Codice penale (Suppl. alla Gazzetta Ufficiale n. 251 del 26 ottobre 1930). Vittorio Emanuele III per grazia di Dio e per volontà della Nazione Re d’Italia Vista la legge 24 dicembre 1925, n. 2260, che delega al Governo del Re la facoltà di emendare il codice penale; Sentito il parere della Commissione parlamentare, a’ termini dell’articolo 2 della legge predetta; Udito il Consiglio dei Ministri; Sulla proposta del Nostro Guardasigilli, Ministro Segretario di Stato per la giustizia e gli affari di culto; 1. Il testo definitivo del codice penale portante la data di questo giorno è approvato ed avrà esecuzione a cominciare dal 1° luglio 1931. 2. Un esemplare del suddetto testo definitivo del codice penale, firmato da Noi e contrassegnato dal Nostro Ministro Segretario di Stato per la giustizia e gli COM_218_CodicePenaleCommentato_2017_1.indb 46 affari di culto, servirà di originale e sarà depositato e custodito nell’Archivio del Regno. 3. La pubblicazione del predetto codice si eseguirà col trasmetterne un esemplare stampato a ciascuno dei Comuni del Regno, per essere depositato nella sala comunale, e tenuto ivi esposto, durante un mese successivo, per sei ore in ciascun giorno, affinché ognuno possa prenderne cognizione. Ordiniamo che il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sia inserito nella Raccolta ufficiale delle leggi e dei decreti del Regno d’Italia, mandando a chiunque spetti di osservarlo e di farlo osservare. Dato a S. Rossore, addì 19 ottobre 1930. VITTORIO EMANUELE Mussolini–Rocco Visto, il Guardasigilli: Rocco. Registrato alla Corte dei Conti, addì 22 ottobre 1930 – Atti del Governo, registro 301, foglio 58. Mancini 02/03/17 10:08 47 TITOLO I – LEGGE PENALE LIBRO I DEI REATI IN GENERALE TITOLO I DELLA LEGGE PENALE 1. Reati e pene: disposizione espressa di legge. – Nessuno può essere punito (132) per un fatto che non sia espressamente preveduto come reato dalla legge (40, 42, 85), né con pene che non siano da essa stabilite (199; 25 Cost.) (1). (1) L’art. 1, primo comma, della L. 24 novembre 1981, n. 689, in tema di depenalizzazione, stabilisce che nessuno può essere assoggettato a sanzioni amministrative se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima della commissione della violazione. SOMMARIO: a) Principio di legalità; b) Norma penale in bianco. a) Principio di legalità. l L’applicazione di una pena accessoria extra o contra legem dal parte del giudice della cognizione può essere rilevata, anche dopo il passaggio in giudicato della sentenza, dal giudice dell’esecuzione purché essa sia determinata per legge ovvero determinabile, senza alcuna discrezionalità, nella specie e nella durata, e non derivi da errore valutativo del giudice della cognizione. * Cass. pen., Sezioni Unite, 12 febbraio 2015, n. 6240 (c.c. 27 novembre 2014), Basile. [RV262327] l Il principio di legalità della pena è vincolante non solo quando venga applicata una pena non prevista o diversa da quella contemplata dalla legge, ma anche quando venga applicata una pena che esula dalle singole fattispecie legali penali perché pena legale è anche quella risultante dalle varie disposizioni incidenti sul trattamento sanzionatorio, tra le quali rientrano le norme sulle circostanze aggravanti. (Affermando tale principio la Cassazione ha eliminato la pena della multa inflitta per il reato di corruzione ai sensi dell’art. 24, comma 2, c.p. che consente l’aggiunta della pena della multa per i delitti determinati da motivi di lucro puniti con la sola reclusione: all’uopo ha considerato che il reato ascritto all’epoca dei fatti era punito con la pena congiunta della reclusione e della multa e che pertanto, per il principio di legalità della pena, esso rimaneva fuori della previsione aggravatoria di cui al suddetto articolo). * Cass. pen., sez. VI, 2 luglio 1994, n. 7505 (ud. 25 marzo 1994), Caputo. l Il principio di stretta legalità vigente in diritto penale impone al giudice di attenersi alla precisa dizione della norma incriminatrice, senza indulgere a interpretazioni analogiche e, ove la norma del tutto chiara non sia, di attenersi all’interpretazione giurisprudenziale imperante, che la abbia esplicitata, ad evitare diverse interpretazioni che espongano il cittadino a responsabilità di COM_218_CodicePenaleCommentato_2017_1.indb 47 Art. 1 maggior contenuto a quelle cui il cittadino medesimo, in base al principio di cui all’art. 1 c.p., era espressamente chiamato dalla norma incriminatrice e dalla giurisprudenza al riguardo. (Nella specie, relativa ad annullamento senza rinvio perché il fatto non costituisce reato di sentenza di condanna per avere l’imputato effettuato scarichi dai servizi civili, in un fosso adiacente alla propria fabbrica senza avere richiesto la prescritta autorizzazione, la S.C. ha osservato che la coincidenza dell’epoca dell’accertamento dello scarico con quella del mutamento della giurisprudenza imperante, che non richiedeva l’autorizzazione, avrebbe imposto come soluzione obbligata l’assoluzione dell’imputato, la quale, oltreché dettata dall’art. 5 c.p. nella lettura fattane dalla Corte costituzionale, è suggerita, prima ancora, dal principio di stretta legalità). * Cass. pen., sez. III, 19 gennaio 1994, n. 435 (ud. 6 ottobre 1993), Garofoli. l La norma intesa come imperativo o come giudizio ipotetico è sempre un unicum che proviene dal legislatore, il quale, anche quando collega il precetto alla sanzione, pur se attraverso un rinvio ad altre norme, è investito al riguardo di una competenza esclusiva, non esercitabile in funzione surrogatoria dall’interprete della legge. (Fattispecie in tema di reati militari). * Cass. pen., Sezioni Unite, 15 giugno 1984, n. 5655 (ud. 26 maggio 1984), Sommella. l La sanzione da applicare ad una fattispecie che ne sia priva non può essere rinvenuta attraverso l’interpretazione analogica. In caso contrario l’interprete della legge si trasformerebbe in legislatore con mancata incidenza negativa sia sul principio di sia sulla stessa efficacia deterrente delle disposizioni penali coinvolte in siffatta operazione interpretativa, diretta a correlare, con l’intervento del giudice il comportamento del soggetto attivo del reato ad una pena non costituente oggetto di specifica commentoria legislativa. (Applicazione in tema di reati militari puniti dagli artt. 186 e 189 cod. pen. mil. pace dichiarati costituzionalmente illegittimi nella parte sanzionatoria con la prospettazione delle punibilità da applicare a tutte le fattispecie di insubordinazione militare le sanzioni punite dalla legge penale comune). * Cass. pen., Sezioni Unite, 15 giugno 1984, n. 5655 (ud. 26 maggio 1984), Sommella. l Il principio di legalità della pena (art. 1 c.p.) è violato qualora venga applicata una pena non prevista o diversa da quella prevista dalla legge per un determinato reato. Rientra, tuttavia, nel concetto di legalità anche la pena comminata dalle singole fattispecie penali, nonché quella risultante dalle varie disposizioni incidenti sul trattamento sanzionatorio, nelle quali disposizioni, oltre le norme sulle circostanze (aggravanti o attenuanti) va ricompresa la normativa concernente il trattamento sanzionatorio previsto dall’art. 81 c.p.* Cass. pen., Sezioni Unite, 8 giugno 1981, n. 5690 (ud. 7 febbraio 1981), Viola. 02/03/17 10:08 Art. 2 LIBRO I – DEI REATI b) Norma penale in bianco. l La norma o la prescrizione di rinvio, espressamente richiamata a completamento del precetto, viene a svolgere una funzione integratrice della norma penale in bianco e ad essere, quindi, in essa incorporata. Ne discende che la norma in bianco non è in contrasto con la riserva di legge di cui all’art. 25 Cost. poiché, attraverso il suddetto procedimento di integrazione, la fonte immediata della norma penale resta pur sempre la legge (in senso formale o sostanziale), mentre la norma regolamentare o l’atto della pubblica amministrazione riveste il ruolo di completamento ed integrazione del precetto nei limiti e con il contenuto indicati con sufficiente specificazione dalla norma primaria. (Nella specie tale rapporto di integrazione è stato individuato nell’art. 58 del regolamento di esecuzione del t.u. delle leggi di P.S. e l’art. 221 del t.u. medesimo, definita norma penale in bianco). * Cass. pen., Sezioni Unite, 30 giugno 1984, n. 6176 (ud. 24 marzo 1984), Romano. 2. Successione di leggi penali (1). – Nessuno può es- sere punito per un fatto che, secondo la legge del tempo in cui fu commesso, non costituiva reato (25 Cost.). Nessuno può essere punito per un fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce reato; e, se vi è stata condanna, ne cessano la esecuzione e gli effetti penali. Se vi è stata condanna a pena detentiva e la legge posteriore prevede esclusivamente la pena pecuniaria, la pena detentiva inflitta si converte immediatamente nella corrispondente pena pecuniaria, ai sensi dell’articolo 135 (2). Se la legge del tempo in cui fu commesso il reato e le posteriori sono diverse, si applica quella le cui disposizioni sono più favorevoli al reo, salvo che sia stata pronunciata sentenza irrevocabile (648 c.p.p.) (3). Se si tratta di leggi eccezionali o temporanee, non si applicano le disposizioni dei capoversi precedenti (14 prel.). Le disposizioni di questo articolo si applicano altresì nei casi di decadenza e di mancata ratifica di un decreto legge e nei casi di un decreto legge convertito in legge con emendamenti (77 Cost.) (4). (1) Si vedano gli artt. 10, 12 e 15 delle disposizioni sulla legge in generale del codice civile. (2) Questo comma è stato inserito dall’art. 14 della L. 24 febbraio 2006, n. 85. L’art. 15 della medesima legge prevede inoltre che alle violazioni depenalizzate dalla stessa legge si applicano, in quanto compatibili, gli articoli 101 e 102 del D.L.vo 30 dicembre 1999, n. 507. (3) L’art. 30, quarto comma, della L. 11 marzo 1953, n. 87, contenente norme sul funzionamento della Corte costituzionale, stabilisce che, qualora in applicazione di una norma dichiarata incostituzionale sia stata pronunciata sentenza irrevocabile di condanna, ne cessino l’esecuzione e tutti gli effetti penali. (4) La Corte costituzionale con sentenza 19 febbraio 1985, n. 51 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di questo comma COM_218_CodicePenaleCommentato_2017_1.indb 48 48 nella parte in cui rende applicabili alle ipotesi da esso previste, le disposizioni contenute nel secondo e terzo comma di questo articolo. SOMMARIO: a) Ambito di operatività; b) Abolitio criminis; c) Applicazione delle disposizioni più favorevoli al reo; d) Leggi eccezionali o temporanee; e) Disposizioni contenute in un decreto legge; f) Casistica; f-1) Consumo di gruppo di stupefacenti; f-2) Circolazione stradale; f-3) Reati fallimentari; f-4) Reati societari; f-5) Servizio militare; f-6) Reati in tema di paesaggio; f-7) Oltraggio a pubblico ufficiale; f-8) Reati edilizi; f-9) Trasporto di oli minerali; f-10) Ricettazione; f-11) Adesione della Romania alla U.E; f-12) Reati doganali; f-13) Falsità in valori di bollo; f-14) Danneggiamento; g) Associazione per delinquere. a) Ambito di operatività. l Non viola il principio di legalità, anche convenzionale, l’interpretazione giurisprudenziale della legge penale in senso sfavorevole all’imputato, rispetto a precedenti decisioni, nella misura in cui la possibilità di letture diverse della norma incriminatrice non discenda da una patologica indeterminatezza della fattispecie, e l’interpretazione sfavorevole sia comunque razionalmente correlabile al significato letterale della previsione. (Fattispecie in tema di concorso esterno in associazione di stampo mafioso, rispetto alla quale la S.C. ha precisato che la sentenza della Corte EDU, 14 aprile 2015, Contrada c. Italia si è mossa da una premessa errata, laddove ha ritenuto che il suddetto reato abbia origine giurisprudenziale, quando invece si fonda, nel rispetto del principio di legalità, sulla combinazione tra la norma incriminatrice speciale e l’art. 110 cod. pen.). * Cass. pen., sez. V, 12 ottobre 2016, n. 42996 (c.c. 14 settembre 2016), P.M., P.C. in proc. Ciancio Sanfilippo. [RV268203] l In tema di pubblicazione della sentenza di condanna, le modifiche apportate all’art. 36 cod. pen. dall’art. 37, comma 18, del D.L. 6 luglio 2011, n. 98, convertito nella legge 15 luglio 2011, n. 111, non hanno introdotto nel sistema penale una nuova sanzione accessoria, ma hanno diversamente modulato il contenuto di pena accessoria già prevista, sostituendo alla tradizionale forma di pubblicazione sulla stampa quella via "internet", così determinando un fenomeno di successione di leggi penali nel tempo regolato dall’art. 2, quarto comma, cod. pen., con la conseguenza che non è applicabile ai fatti pregressi la nuova disciplina, in quanto maggiormente afflittiva. * Cass. pen., sez. II, 1 febbraio 2016, n. 4102 (ud. 12 gennaio 2016), Diop. [RV267285] 02/03/17 10:08 49 TITOLO I – LEGGE PENALE l Le disposizioni inserite nella legge 28 aprile 2014, n. 67, che prevedono la delega al Governo per la depenalizzazione di una serie di reati ivi elencati, non hanno effetti immediatamente abrogativi, i quali, invece, sono subordinati all’emanazione dei decreti delegati, avendo la legge delega natura di atto normativo strumentale alla futura produzione legislativa, cui spetta anche la previsione di meccanismi compensatori, quali adeguate sanzioni civili. (Fattispecie in cui la Corte ha annullato con rinvio la sentenza del giudice di pace che aveva disposto il proscioglimento per i reati di cui agli artt. 633 e 635 cod. pen., ritenendo intervenuta la depenalizzazione degli stessi per effetto dell’art. 2 della legge n. 67 del 2014). * Cass. pen., sez. II, 22 giugno 2015, n. 26216 (ud. 3 giugno 2015), P.G. in proc. Mercurio e altro. [RV264398] l Non può trovare applicazione la legge penale modificativa più favorevole entrata in vigore dopo la sentenza della Corte di cassazione che dispone l’annullamento con rinvio ai soli fini della determinazione della pena, ma prima della definizione di questa ulteriore fase del giudizio, poiché i limiti della pronuncia rescindente determinano l’irrevocabilità della decisione impugnata in ordine alla responsabilità penale ed alla qualificazione dei fatti ascritti all’imputato. (Fattispecie relativa a condanna per concussione annullata limitatamente alla individuazione della pena prima dell’approvazione della legge 6 novembre 2012, n. 190). * Cass. pen., Sezioni Unite, 14 aprile 2014, n. 16208 (ud. 27 marzo 2014), C. [RV258654] l Le disposizioni concernenti l’esecuzione delle pene detentive e le misure alternative alla detenzione, non riguardando l’accertamento del reato e l’irrogazione della pena, ma soltanto le modalità esecutive della stessa, non hanno carattere di norme penali sostanziali e, pertanto, (in assenza di una specifica disciplina transitoria), soggiacciono al principio "tempus regit actum" e non alle regole dettate in materia di successione di norme penali nel tempo. (Principio affermato in relazione alla modifica dell’art. 4 bis della legge n. 354 del 1975, relativo alla previsione della concedibilità dei permessi premio ai detenuti per il delitto di sequestro di persona a scopo di estorsione solo in caso di collaborazione con la giustizia). * Cass. pen., sez. I, 12 marzo 2013, n. 11580 (5 febbraio 2013), Schirato. [RV255310]. Conforme, Cass. pen., sez. I, 17 marzo 1993, n. 108 (c.c. 14 gennaio 1993), Primerano. l In presenza di una successione di leggi che comporti la depenalizzazione di una fattispecie in precedenza prevista come reato, le sanzioni amministrative trovano immediata applicazione nel caso in cui il giudizio penale instaurato nella vigenza della legislazione precedente non risulti concluso alla data di entrata in vigore della legge di depenalizzazione. * Cass. pen., sez. fer., 7 novembre 2011, n. 40146 (ud. 23 agosto 2011), Zhu. [RV251659] COM_218_CodicePenaleCommentato_2017_1.indb 49 Art. 2 l Il criterio di ragguaglio di euro 250 di pena pecuniaria per un giorno di pena detentiva di cui all’art. 135 c.p. come modificato per effetto dell’art. 3, comma sessantaduesimo, della L. n. 94 del 2009, non si applica, ai fini della sostituzione "ex" art. 53 L. n. 689 del 1981, ai fatti commessi prima dell’entrata in vigore della predetta modifica in quanto norma meno favorevole rispetto alla disciplina pregressa. * Cass. pen., sez. III, 19 maggio 2011, n. 19725 (ud. 14 aprile 2011), Proia. [RV250333] l Il principio "tempus regit actum" riguarda solo la successione nel tempo delle leggi processuali e non anche delle interpretazioni giurisprudenziali di queste ultime. * Cass. pen., sez. II, 25 maggio 2010, n. 19716 (c.c. 6 maggio 2010), Merlo. [RV247114] l In caso di successione di disposizioni diverse concernenti misure alternative alla detenzione, che non attengono né alla cognizione del reato, né all’irrogazione della pena, ma alle modalità esecutive di questa, non operano le regole dettate dall’art. 2 c.p., né il principio costituzionale di irretroattività delle disposizioni "in peius", ma quelle vigenti al momento della loro applicazione. (Nella specie si è ritenuta corretta la dichiarazione di inammissibilità, nella vigenza del D.L. 23 febbraio 2009 n. 11, quando esso era in corso di conversione, di un’istanza di affidamento in prova al servizio sociale presentata da condannato per delitto di cui all’art. 609-quater c.p., commesso prima dell’entrata in vigore del predetto decretolegge; ed è stata tuttavia annullata con rinvio la decisione impugnata, sul rilievo di una modificazione "in melius" introdotta dalla successiva legge di conversione n. 38 del 2009 in ordine ai presupposti di concessione della misura). * Cass. pen., sez. I, 3 settembre 2009, n. 33890 (c.c. 26 giugno 2009), Miglioranza. [RV244831] l In tema di successione di leggi nel tempo, il principio di irretroattività della legge penale opera con riguardo alle norme incriminatrici e non anche alle misure di sicurezza, sicché la confisca obbligatoria del veicolo, con il quale sia stato commesso il reato di guida in stato di ebbrezza con accertamento di un tasso alcolemico superiore a g. 1,5 per litro, trova applicazione anche relativamente ai fatti commessi prima dell’entrata in vigore dell’art. 4 della L. n. 125 del 2008, che l’ha introdotta. * Cass. pen., sez. IV, 5 marzo 2009, n. 9986 (c.c. 27 gennaio 2009), P.G. in proc. Favè. [RV243297] l In tema di successione di leggi penali, la modificazione della norma extrapenale richiamata dalla disposizione incriminatrice esclude la punibilità del fatto precedentemente commesso se tale norma è integratrice di quella penale oppure ha essa stessa efficacia retroattiva. (Nella specie, la Corte ha ritenuto che l’adesione della Romania all’Unione europea, con il conseguente acquisto da parte dei rumeni della condizione di cittadini 02/03/17 10:08 Art. 2 LIBRO I – DEI REATI europei, non ha determinato la non punibilità del reato di ingiustificata inosservanza dell’ordine del questore di allontanamento dal territorio dello Stato commesso dagli stessi prima del 1° gennaio 2007, data di entrata in vigore del Trattato di adesione, in quanto quest’ultimo e la relativa legge di ratifica si sono limitati a modificare la situazione di fatto, facendo solo perdere ai rumeni la condizione di stranieri, senza che tuttavia tale circostanza sia stata in grado di operare retroattivamente sul reato già commesso). * Cass. pen., Sezioni Unite, 16 gennaio 2008, n. 2451 (ud. 27 settembre 2007), P.G. in proc. Magera. Conforme, Cass. pen., sez. I, 6 marzo 2008, n. 10265 (ud. 28 febbraio 2008), P.G. in proc. Cristofan. [RV238197] l La nuova formulazione delle norme che prevedono i delitti di false comunicazioni sociali (artt. 2621 e 2622), nel testo introdotto dall’art. 1 D.L.vo 11 aprile 2002, n.61, non ha comportato l’abolizione totale dei reati precedentemente contemplati, ma si pone in rapporto di continuità normativa con la fattispecie previgente, determinando una successione di leggi con effetto parzialmente abrogativo in relazione a quei fatti, commessi prima dell’entrata in vigore del citato D.L.vo, che non siano riconducibili alle nuove fattispecie criminose. (Nella specie la Corte ha annullato con rinvio la decisione dei giudici di merito che aveva assolto gli imputati dal reato ex art. 2621 c.c. perché il fatto non è preveduto dalla legge come reato anziché di procedere ad accertamento al fine di stabilire se l’originaria condotta contestata contenesse o meno tutti gli elementi richiesti dalla nuova normativa). * Cass. pen., sez. V, 20 ottobre 2004, n. 40823 (ud. 7 luglio 2004), P.M. in proc. Preatoni ed altro. [RV230258] l La fattispecie previgente dell’art. 2631 c.c. che disciplinava il conflitto di interessi non è stata riprodotta, a seguito dell’introduzione del D.L.vo n. 61 del 2002, nel vigente art. 2631 c.c. che prevede la violazione amministrativa di omessa convocazione dell’assemblea, ed è solo in parte riprodotta dal vigente art. 2634 c.c. che disciplina l’infedeltà patrimoniale; ne consegue – nell’ipotesi in cui il reato contestato all’imputato sia quello previsto dal previgente art. 2631 c.c. e non siano ravvisabili gli estremi della fattispecie criminosa di cui al vigente art. 2634 c.c. – che il giudice ha il dovere di assolvere l’imputato e non può ordinare la trasmissione degli atti all’Autorità amministrativa. * Cass. pen., sez. V, 26 febbraio 2004, n. 8673 (ud. 11 dicembre 2003), Torrisi e altro. [RV228744] l La disciplina relativa alla successione delle leggi penali (art. 2 c.p.) si applica qualora la disposizione richiamata da una «norma penale in bianco» sia modificata o abrogata, ovvero nell’ipotesi in cui venga modificata una norma «definitoria» – ossia una disposizione attraverso la quale il legislatore chiarisce il significato di termini usati in una o più disposizioni incriminatrici, concorren- COM_218_CodicePenaleCommentato_2017_1.indb 50 50 do a individuare il contenuto del precetto penale – oppure, infine, nel caso in cui una disposizione legislativa commini una sanzione penale per la violazione di un precetto contenuto in un’altra disposizione legislativa, che venga abrogata in tutto o in parte. (Fattispecie in cui la Corte ha confermato l’affermazione di penale responsabilità di un sindaco in ordine al delitto di cui all’art. 323 e ha escluso l’applicabilità del’art. 2 c.p. alla luce dell’abrogazione, ad opera dell’art. 136 del D.P.R. n. 380 del 2001, dell’art. 7 della legge n. 47 del 1985 e della previsione, contenuta nell’art. 31 del citato D.P.R. 380/2001, secondo la quale il soggetto titolare del potere-dovere di provvedere in merito alle ingiunzioni di di demolizione, rimozione, ripristino non è il sindaco, ma il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale). * Cass. pen., sez. II, 4 febbraio 2004, n. 4296 (ud. 2 dicembre 2003), Stellaccio. [RV228152] l In tema di false comunicazioni sociali, al fine di verificare se i fatti commessi prima dell’entrata in vigore del D.L.vo 11 aprile 2002 n. 61, siano sussumibili nell’attuale fattispecie criminosa di cui all’art. 2622 c.c. occorre che tutti gli elementi richiesti dalla nuova disciplina (quali, ad esempio, il superamento delle soglie di punibilità) siano stati contestati e abbiano formato oggetto di accertamento in contraddittorio. Ne consegue che nel giudizio di cassazione, nel quale la Corte è chiamata a decidere sulla base di un accertamento già compiuto dal giudice di merito, se i nuovi elementi non hanno formato oggetto di valutazione nella decisione impugnata, il fatto-reato rientra nell’ambito dell’abolitio criminis. * Cass. pen., sez. V, 26 novembre 2003, n. 45712 (c.c. 3 ottobre 2003), Fodde. [RV226918] l In tema di successione di leggi penali nel tempo, la punibilità di un fatto commesso nel vigore di una norma generale, che sia stata sostituita da una norma speciale, non costituisce applicazione retroattiva di questa, ma piuttosto ne esclude l’efficacia abolitrice per la porzione della fattispecie prevista dalla norma generale che coincide con quella della norma successiva, salvo che il legislatore con la medesima legge speciale stabilisca, in deroga alla disposizione dell’art.2, terzo comma, c.p., la non punibilità dei reati in precedenza commessi. * Cass. pen., Sezioni Unite, 16 giugno 2003, n. 25887 (ud. 26 marzo 2003), Giordano ed altri. [RV224608] l In tema di false comunicazioni sociali, il dato che emerge con evidenza dalla nuova disciplina introdotta con il D.L.vo 11 aprile 2002, n. 61, è rappresentato dalla suddivisione dell’originaria unica fattispecie nelle due, oggetto dei nuovi artt. 2621 (come figura contravvenzionale) e 2622 (come figura delittuosa) del codice civile. L’area di punibilità del vecchio art. 2621 c.c. risulta, da un lato fortemente circoscritta, attraverso le novità introdotte, e dall’altro, articolata nelle due nuove disposizioni. Nell’ambito di una fattispecie alquanto ampia, specie nell’interpretazione che ne 02/03/17 10:08 51 TITOLO I – LEGGE PENALE aveva dato la giurisprudenza, sono state ritagliate fattispecie molto più circoscritte e assai più blandamente punite, ma deve riconoscersi che i fatti rientranti nelle nuove previsioni erano punibili anche in base al precedente testo dell’art. 2621 c.c., dovendo perciò concludersi che i fatti commessi sotto il vigore della precedente legge, nei limiti in cui rientrano nella previsione della nuova legge, rimangono punibili, a norma dell’art. 2, comma 3, c.p., mentre gli altri non costituiscono più reato, per un effetto abolitivo delle nuove disposizioni che a norma dell’art. 2, comma 2, c.p., travolge anche il giudicato di condanna. * Cass. pen., Sezioni Unite, 16 giugno 2003, n. 25887 (ud. 26 marzo 2003), Giordano ed altri, in Riv. pen. 2003, 700. l In tema di successione di leggi penali nel tempo, ai fini dell’applicabilità dell’art. 2, comma 2, c.p., sono norme extrapenali integratrici solo quelle che determinano, o concorrono a determinare, il contenuto del precetto penale. Tali non sono, con riguardo ai reati fallimentari, le norme civilistiche (artt. 10 e 11 R.D. 16 marzo 1942, n. 267 – Disciplina del fallimento, applicabili anche al socio illimitatamente responsabile di società fallita, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 66 del 1999), che disciplinano i limiti temporali entro cui deve intervenire la pronuncia della sentenza dichiarativa di fallimento, elemento costitutivo del reato, con la conseguenza che le vicende relative alle predette norme restano ininfluenti rispetto al fatto di reato anteriormente commesso. * Cass. pen., sez. V, 11 dicembre 2002, n. 41499 (c.c. 26 settembre 2002), Crescenzo. [RV222978] l La fattispecie di bancarotta impropria da reato societario di cui all’art. 223 della legge fallimentare, come sostituita dall’art. 4 del D.L.vo 11 aprile 2002, n. 61, si pone in rapporto di specialità rispetto alla precedente, in quanto introduce, come elemento nuovo ed ulteriore rispetto alla precedente formulazione, il rapporto di causalità tra il delitto di false comunicazioni sociali, od altro reato societario tra quelli specificamente richiamati dalla norma, ed il dissesto della società fallita. Trattandosi, tuttavia, di specialità per aggiunta, deve ritenersi che essa comporti una totale abolizione della fattispecie abrogata, in quanto l’elemento aggiuntivo è tale da attribuire alla nuova fattispecie un significato lesivo del tutto diverso da quello della precedente fattispecie. In questa, infatti, assumeva rilievo la sola idoneità della condotta a rappresentare falsamente le condizioni economiche della società, nella nuova configurazione, invece, assume rilievo soprattutto la sua idoneità a contribuire al dissesto dell’impresa. L’abolizione del più grave delitto di cui all’art. 223 legge fallimentare non esclude, nondimeno, la configurabilità, in concreto, dell’ipotesi residuale del falso in bilancio, in quanto fattispecie generale rispetto a quella della bancarotta impropria. * Cass. pen., sez. V, 16 ottobre 2002, n. 24622 (ud. 8 ottobre 2002), Benzi ed altri. [RV222432] COM_218_CodicePenaleCommentato_2017_1.indb 51 Art. 2 l La nuova formulazione del reato di false comunicazioni sociali, introdotta dal D.L.vo 11 aprile 2002, n. 61, e quella precedente configurano fattispecie omogenee sia per la struttura portante, consistente nella falsa rappresentazione delle condizioni economiche della società, sia per il significato lesivo della condotta. Le stesse si differenziano, invece, solo per l’introduzione, nella nuova formula, di limiti quantitativi di rilevanza penale in relazione all’entità dei dati economici falsamente rappresentati. Pertanto, stante il rapporto di specialità per specificazione, sussiste continuità e non abrogazione rispetto alla precedente norma, tranne che per la mancata previsione, tra i soggetti attivi qualificati, dei soci fondatori e dei promotori, rispetto ai quali si è avuta abolizione secca del reato. Passando dall’analisi astratta delle due formulazioni normative all’esame della fattispecie concreta risultante dal capo d’imputazione, potrà aversi, in applicazione della norma di cui all’art. 2, comma terzo, c.p., che per i fatti rientranti in entrambe le fattispecie, quella precedente e quella speciale, risulterà applicabile la norma più favorevole tra le due; per i fatti rientranti solo nella norma generale si avrà invece abolitio criminis, con la revoca anche delle sentenze definitive. (Nel caso di specie, la Suprema Corte, dopo aver affermato che il reato di false comunicazioni sociali può residuare all’originaria contestazione di bancarotta fraudolenta impropria, ha ritenuto che, avuto riguardo alla contestazione, sarebbe stata applicabile la contravvenzione prevista dal nuovo testo dell’art. 2621 c.c., rispetto alla quale, nondimeno, risultava ormai maturato il più breve termine prescrizionale, sicché, qualificato l’originario reato di bancarotta fraudolenta impropria come contravvenzione di cui al nuovo art. 2621 c.c., ha annullato l’impugnata sentenza senza rinvio per intervenuta prescrizione). * Cass. pen., sez. V, 16 ottobre 2002, n. 34622 ud. (8 ottobre 2002, Benzi ed altri. [RV222433]) l Il reato di false comunicazioni sociali di cui all’art. 2621 c.c., nella formulazione introdotta dal D.L.vo 11 aprile 2002 n. 61, non presenta differenze strutturali rispetto alla fattispecie descritta nella precedente formulazione della norma incriminatrice, identici essendo rimasti l’interesse protetto, l’indicazione dei soggetti attivi del reato e l’esigenza del dolo specifico, precedentemente espressa con la parola «fraudolentemente» ed attualmente con le parole «intenzione di ingannare i soci o il pubblico al fine di conseguire per sé o per altri un ingiusto profitto» (dizione più puntuale e specifica rispetto al vecchio testo). Le differenze risultano quindi limitate alle soglie di punibilità, all’intensità della pena ed a vari elementi circostanziali del reato, per cui, essendovi continuità tra le due fattispecie, va applicata, per i fatti pregressi, quella più favorevole al reo, previa verifica che la concreta contestazione del fatto sia tale da integrare il reato anche nella sua nuova formulazione. * Cass. pen., 02/03/17 10:08 Art. 2 LIBRO I – DEI REATI sez. V, 19 giugno 2002, n. 23449 (ud. 21 maggio 2002), Fabri ed altro. [RV221921] l In tema di falso in bilancio, a seguito dell’entrata in vigore del D.L.vo 11 aprile 2002, n. 61, si è verificato un fenomeno di successione di norme nell’ambito del quale la vigente disciplina si pone in rapporto di specialità rispetto alla precedente. Infatti, la fattispecie astratta, originariamente delineata dal legislatore, risulta ricompresa in quella ora incriminata con l’aggiunta di elementi specializzanti (come la tipicizzazione del dolo specifico, l’idoneità delle false esposizioni e delle omesse comunicazioni ad indurre in errore i destinatari, la previsione di un evento di danno nell’ipotesi delittuosa di cui al nuovo art. 2622 c.c., peraltro punibile a querela di parte), sicché, mentre i fatti attualmente punibili già lo erano in precedenza, non tutti quelli rilevanti penalmente in passato lo sono tuttora. Pertanto, è necessario accertare se la concreta contestazione contenga i nuovi elementi in modo da rendere possibile la difesa. (Nel caso di specie, la suprema Corte ha ritenuto che, esclusa la punibilità della condotta con riferimento all’ipotesi delittuosa di cui al nuovo art. 2621 c.c., per quanto riguardava la contravvenzione non era enunciato nell’imputazione, e conseguentemente verificato, il duplice intento in cui deve concretarsi il dolo specifico né l’idoneità oggettiva dell’azione ad ingannare, sicché, non rientrando la condotta ascritta nella vigente previsione legislativa, si imponeva l’annullamento della sentenza impugnata con la formula perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato, con eliminazione della relativa pena). * Cass. pen., sez. V, 3 giugno 2002, n. 21532 (ud. 8 maggio 2002), Torrenti. [RV222429] l La disciplina relativa alla successione delle leggi penali (art. 2 c.p.) non si applica alla variazione nel tempo delle norme extra-penali e degli atti o fatti amministrativi che non incidono sulla struttura essenziale e circostanziata del reato, ma si limitano a precisare la fattispecie precettiva, delineando la portata del comando, che viene a modificarsi nei contenuti a far data dal provvedimento innovativo; in detta ipotesi, rimane fermo il disvalore ed il rilievo penale del fatto anteriormente commesso, sicché il relativo controllo sanzionatorio va effettuato sulla base dei divieti esistenti al momento del fatto (Principio affermato in tema di responsabilità per la gestione di centri trasfusionali con riguardo al reato di cui all’art. 17 della legge 4 marzo 1990 n. 107, configurato per inosservanza di norme regolamentari contenute nel D.M. 27 dicembre 1990, poi sostituito dal D.M. 25 gennaio 2001). * Cass. pen., sez. III, 14 maggio 2002, n. 18193 (ud. 12 marzo 2002), Pata V. [RV221943] l Il principio di irretroattività della legge penale, sancito dagli artt. 2 c.p. e 25, comma secondo, Cost., è operante nei riguardi delle norme incriminatrici e non anche rispetto alle misure di sicurezza, sicché la confisca può essere dispo- COM_218_CodicePenaleCommentato_2017_1.indb 52 52 sta anche in riferimento a reati commessi nel tempo in cui non era legislativamente prevista ovvero era diversamente disciplinata quanto a tipo, qualità e durata. (Fattispecie nella quale, in sede di patteggiamento, il giudice aveva rigettato la richiesta del P.M. di confisca delle autovetture usate per commettere il reato di agevolazione dell’ingresso clandestino in Italia di cittadini extracomunitari e la S.C., investita di ricorso sul punto, ha ritenuto legittima la statuizione sulla base del diritto vigente all’epoca del fatto, pur disponendo, poi, direttamente essa stessa la misura di sicurezza, in forza del sopravvenuto art. 2 del decreto legislativo n. 113 del 1999, contemplante espressamente la confisca del mezzo di trasporto «anche nel caso di applicazione della pena su richiesta delle parti». * Cass. pen., sez. I, 7 luglio 1999, n. 3717 (c.c. 19 maggio 1999), P.G. in proc. Musliu. Conforme, quanto al principio, Cass. pen., sez. I, 16 marzo 2006, n. 9269 (c.c. 1 marzo 2006), Colombari. [RV213941] l In tema di abuso di ufficio, a seguito della nuova formulazione dell’art. 323 c.p. ad opera della legge 16 luglio 1997, n. 234, occorre verificare, in base all’art. 2 c.p., riguardante la successione delle leggi penali nel tempo, se le condotte contestate all’imputato sulla base della fattispecie previgente siano tali da integrare reato anche in base al nuovo testo del predetto articolo; e ciò tenendo presente che la nuova fattispecie, al fine di realizzare una maggiore tipicizzazione della condotta del pubblico ufficiale, richiede specificatamente che questi abbia agito intenzionalmente in violazione di leggi o di regolamenti; che essa configura ora un reato di evento, postulando che il comportamento del pubblico ufficiale abbia determinato un ingiusto vantaggio patrimoniale per sé o per altri ovvero un danno ingiusto per altri; che essa contempla la sussistenza del carattere patrimoniale del vantaggio ingiusto, mentre tale carattere, prima della novella, valeva solo a contraddistinguere la ipotesi più grave di cui al comma secondo dell’art. 323 c.p. previgente. * Cass. pen., sez. VI, 23 febbraio 1998, n. 2328 (ud. 14 gennaio 1998), Branciforte ed altro. In termini, Cass. pen., sez. VI, 4 dicembre 1997, n. 11204, P.M. in proc. Vitarelli ed altri. [RV209781] l L’art. 2 c.p. che regola la successione nel tempo della legge penale, riguarda quelle norme che definiscono la natura sostanziale e circostanziale del reato, comprese quelle norme extrapenali richiamate espressamente ad integrazione della fattispecie incriminatrice nonché le leggi costituenti indispensabile presupposto o comunque concorrenti ad individuare il contenuto sostanziale del precetto. Esula da tale normativa la successione di atti o fatti amministrativi che, senza modificare la norma incriminatrice o comunque su di essa influire, agiscano sugli elementi di fatto – modificandoli – sì da non renderli più sussumibili sotto l’astratta fattispecie normativa. (Fatti- 02/03/17 10:08 53 TITOLO I – LEGGE PENALE specie in tema di rigetto di eccepita inapplicabilità dell’art. 468 c.p., alla contraffazione dei sigilli posti sulla calotta del contatore elettrico per non essere più l’Enel, a seguito della legge n. 395 del 1992, ente pubblico economico). * Cass. pen., sez. V, 8 maggio 1997, n. 4114 (ud. 25 febbraio 1997), De Lisi. [RV207479] l In virtù del combinato disposto degli artt. 199 e 200 c.p. e dei principi affermati dall’art. 25 Cost., deve escludersi che in tema di applicazione delle misure di sicurezza operi il principio di irretroattività della legge di cui all’art. 2 c.p., sicché le misure predette sono applicabili anche ai reati commessi nel tempo in cui non erano legislativamente previste ovvero erano diversamente disciplinate quanto a tipo, qualità e durata. (Fattispecie relativa all’applicazione della confisca prevista dall’art. 12 sexies D.L. 8 giugno 1992 n. 306 – come introdotto all’art. 2 D.L. 20 giugno 1994 n. 399 – ad un reato di usura commesso precedentemente all’entrata in vigore delle predette disposizioni). * Cass. pen., sez. II, 6 marzo 1997, n. 3651 (c.c. 3 ottobre 1996), Sibilia. [RV207140] l Quando la legge punisce condotte contrarie a prescrizioni poste con atto amministrativo, che influisce su singoli casi, l’emanazione di nuovi atti, o il mutamento del loro contenuto, non costituiscono novazione legislativa rilevante ex art. 2 comma secondo c.p., in quanto non si prospetta alcuna modificazione di regole generali di condotta. Invero tale atto amministrativo (che, nel caso in esame, prevedeva i limiti di accettabilità degli scarichi valevoli per l’insediamento dell’imputato) integra il precetto penale in un elemento normativo della fattispecie; cioè l’atto amministrativo è il presupposto di fatto della legge penale incriminatrice, la quale ne sanziona la trasgressione. Ne deriva che il mutamento dell’atto amministrativo non comporta una differente valutazione della fattispecie legale astratta, bensì determina la modifica del precetto e l’instaurazione di una nuova fattispecie incriminatrice, sicché, regolando le due norme fatti storicamente diversi, non sorge problema di successione di leggi. (Nella specie, relativa a rigetto di ricorso, era stata dedotta violazione dell’art. 2 c.p. per non avere la corte di merito ritenuto applicabile la regola della retroattività della legge più favorevole; ciò in quanto il valore dei solventi organici era conforme ai nuovi, e più permissivi, limiti fissati dal consorzio interprovinciale successivamente alla commissione del reato). * Cass. pen., sez. III, 18 ottobre 1996, n. 9163 (ud. 24 settembre 1996), Rizzi. [RV206419] b) Abolitio criminis. l La Corte di cassazione deve rilevare la "abolitio criminis", sopravvenuta alla sentenza impugnata, anche nel caso di ricorso inammissibile ed indipendentemente dall’oggetto dell’impugnazione, atteso il principio della ragionevole durata del processo, che impone di evitare una pronunzia di COM_218_CodicePenaleCommentato_2017_1.indb 53 Art. 2 inammissibilità che avrebbe quale unico effetto un rinvio della soluzione alla fase esecutiva. (Fattispecie in tema di ingiuria). * Cass. pen., sez. V, 18 ottobre 2016, n. 44088 (ud. 2 maggio 2016), Pettinaro e altri. [RV267751] l In materia di successione di leggi penali, in caso di modifica della norma incriminatrice, per accertare se ricorra o meno "abolitio criminis" è sufficiente procedere al confronto strutturale tra le fattispecie legali astratte che si succedono nel tempo, senza la necessità di ricercare conferme della eventuale continuità tra le stesse facendo ricorso ai criteri valutativi dei beni tutelati e delle modalità di offesa, atteso che tale confronto permette in maniera autonoma di verificare se l’intervento legislativo posteriore assuma carattere demolitorio di un elemento costitutivo del fatto tipico, alterando così radicalmente la figura di reato, ovvero, non incidendo sulla struttura della stessa, consenta la sopravvivenza di un eventuale spazio comune alle suddette fattispecie. * Cass. pen., Sezioni Unite, 12 giugno 2009, n. 24468 (c.c. 26 febbraio 2009), Rizzoli. [RV243585] l L’abrogazione dell’istituto dell’amministrazione controllata e la soppressione di ogni riferimento ad esso contenuto nella legge fallimentare (art. 147 D.L.vo n. 5 del 2006) hanno determinato l’abolizione del reato di bancarotta societaria connessa alla suddetta procedura concorsuale (art. 236, comma secondo, R.D. n. 267 del 1942). Conseguentemente, qualora sia intervenuta condanna definitiva per tale reato, il giudice dell’esecuzione è tenuto a revocare la relativa sentenza. * Cass. pen., Sezioni Unite, 12 giugno 2009, n. 24468 (c.c. 26 febbraio 2009), Rizzoli. [RV243586] l In caso di abrogazione di una norma incriminatrice, per accertare se le tipologie di fatti in essa comprese siano riconducibili ad altra disposizione generale preesistente, è necessario procedere al confronto strutturale tra le due fattispecie astratte, integrando all’occorrenza tale criterio attraverso una valutazione dei beni giuridici rispettivamente tutelati, al fine di verificare l’eventuale intenzione dell’intervento abrogativo di non attribuire più rilievo al disvalore insito nella fattispecie incriminatrice soppressa. * Cass. pen., Sezioni Unite, 12 giugno 2009, n. 24468 (c.c. 26 febbraio 2009), Rizzoli. [RV243587] l La questione concernente la «abolitio criminis» è pregiudiziale rispetto alla questione – esaminabile in assenza di cause di inammissibilità del ricorso per cassazione – relativa all’estinzione del reato per prescrizione. * Cass. pen., Sezioni Unite, 15 maggio 2008, n. 19601 (ud. 28 febbraio 2008), Niccoli. [RV239400] l La sospensione della chiamata obbligatoria alla leva, introdotta con L. n. 331 del 2000 e successive integrazioni, non ha abolito il servizio di leva militare obbligatoria, ma ne ha limitato l’operatività a specifiche situazioni e a casi eccezionali riferiti anche al tempo di pace, sicchè 02/03/17 10:08 Art. 2 LIBRO I – DEI REATI il reato di rifiuto del servizio militare per motivi di coscienza non è stato abrogato, ma è stato modificato il contenuto del precetto, che non ricomprende più la condotta penalmente sanzionata dalle precedenti disposizioni legislative, con la conseguenza che per i fatti anteriormente commessi, sempre che non sia stata pronunciata sentenza di condanna irrevocabile, deve farsi applicazione delle nuove più favorevoli disposizioni, per le quali la condotta di rifiuto non è più reato. * Cass. pen., sez. I, 23 marzo 2007, n. 12363 (ud. 9 marzo 2007), P.G. in proc. Ramundo. [RV236224] l Non è nullo il provvedimento di revoca della sentenza di condanna, per sopravvenuta «abolitio criminis» del reato, emesso dal giudice dell’esecuzione senza l’avviso alle parti civili dell’udienza camerale ex art. 666 comma terzo c.p.p., in quanto i soggetti costituiti parte civile nel processo di cognizione non hanno interesse a partecipare all’incidente di esecuzione dal quale non potrebbe derivare alcun vantaggio o pregiudizio per le situazioni soggettive di cui essi sono titolari, dal momento che il loro diritto al risarcimento permane anche a seguito dell’abrogazione del reato, trovando applicazione non l’art. 2 comma secondo c.p., ma l’art. 11 delle preleggi. * Cass. pen., sez. V, 29 luglio 2005, n. 28701 (c.c. 24 maggio 2005), P.G. in proc. Romiti ed altri. [RV231866] l Non deve procedersi alla revoca delle sospensioni condizionali precedentemente concesse con riferimento a condanne per fatti non piú previsti dalla legge come reato, in quanto l’abolitio criminis fa cessare l’esecuzione e gli effetti penali della condanna, tra i quali deve annoverarsi l’attitudine della medesima a costituire precedente ostativo alla reiterazione della sospensione condizionale della pena. (Fattispecie in cui il P.M. aveva chiesto la revoca della sospensione condizionale riguardante precedenti condanne per fatti di emissione di assegni a vuoto, reato depenalizzato con il D.L.vo n. 507 del 1999). * Cass. pen., sez. V, 29 luglio 2005, n. 28714 (c.c. 4 luglio 2005), P.M. in proc. Savegnago. [RV231867] l Quando a seguito di successione di leggi penali, ai sensi dell’art. 2 c.p., venga meno il fatto di reato posto a fondamento della misura cautelare, il giudice dell’impugnazione, anche nell’ambito incidentale del procedimento cautelare e pur nel rispetto del principio tantum devolutum quantum appellatum, deve rilevare la eventuale sopravvenuta abrogatio criminis. * Cass. pen., sez. III, 22 aprile 2004, n. 18697 (c.c. 11 marzo 2004), Patriarca, in Riv. pen. 2004, 848. l La sopravvenuta abolitio criminis, avendo efficacia ablatoria completa, comporta la cessazione di tutte le conseguenze giuridiche che si riconnettono alla condanna, ivi compresa l’attitudine di quest’ultima a costituire precedente formalmente ostativo ad una nuova concessione della sospensione condizionale della pena. * Cass. pen., sez. I, 26 marzo 2004, n. 14928 (c.c. 20 feb- COM_218_CodicePenaleCommentato_2017_1.indb 54 54 braio 2004), P.M. in proc. Sampana, in Riv. pen. 2004, 607. l L’abrogazione della norma incriminatrice fa cessare l’esecuzione e gli effetti penali della condanna, tra i quali ultimi deve annoverarsi l’attitudine della medesima a costituire precedente formalmente ostativo alla reiterazione della sospensione condizionale della pena. Tale effetto si produce indipendentemente dalla formale dichiarazione di revoca della condanna, quale prevista dall’art. 673 c.p.p., avendo tale dichiarazione natura meramente dichiarativa. Pertanto, non può essere disposta la revoca, ai sensi dell’art. 168, comma quarto, c.p., della sospensione condizionale della pena che sia stata concessa una terza volta, in apparente violazione dell’art. 164, comma quarto, stesso codice, a soggetto che ne aveva già fruito in relazione a due precedenti condanne, quando queste, ancorché non sia per esse intervenuta la revoca ex art. 673 c.p.p., risultino comunque pronunciate per fatti non più costituenti reato (nella specie, emissione di assegni a vuoto). * Cass. pen., sez. I, 23 febbraio 2004, n. 7652 (c.c. 11 febbraio 2004), Cunsolo. [RV227192] l Il giudicato interno formatosi a seguito dell’annullamento parziale della Corte di cassazione non prevale sull’abolitio criminis, la quale fa venir meno, prima ancora che la validità e l’efficacia della norma penale iscriminatrice, la sua stessa esistenza nell’ordinamento giuridico, sicché il giudice, formalmente investito della cognizione della fattispecie, oggetto di abrogazione, deve preliminarmente dichiarare che il fatto non è previsto dalla legge come reato, in ossequio al precetto di cui all’art. 2 c.p. Ne consegue che, nell’ipotesi in cui il fatto di reato, oggetto dell’abolitio criminis, sia stato giudicato come unito dal vincolo della continuazione con altro reato, la sentenza, limitatamente a tale capo, va annullata senza rinvio e dalla pena, a suo tempo determinata a titolo di continuazione, deve essere scomputato l’aumento riferibile al reato abrogato. * Cass. pen., sez. VI, 18 giugno 2003, n. 26112 (ud. 16 aprile 2003), Costa A. [RV226010] l Quando intervenga abolitio criminis dopo una sentenza assolutoria di primo grado, con la formula “perché il fatto non sussiste”, il giudice di appello, di fronte alla non evidenza dell’innocenza dell’imputato, legittimamente pronuncia l’assoluzione con la formula “perché il fatto non è previsto dalla legge come reato”, non potendosi compiere ulteriori indagini in ordine ad un fatto divenuto privo di rilevanza penale. * Cass. pen., sez. IV, 21 maggio 2003, n. 22334 (ud. 16 maggio 2002), Giannangeli E. [RV224836] l Quando l’abolitio criminis viene dedotta in sede esecutiva, al giudice è richiesta la valutazione in astratto della fattispecie oggetto della sentenza rispetto al nuovo assetto del sistema penale, ciò anche se la norma incrimintrice non sia stata interamente abrogata, ma sia stata riscritta con una 02/03/17 10:08 55 TITOLO I – LEGGE PENALE riduzione del relativo ambito di operatività. In tale ipotesi, il giudice dell’esecuzione, qualora non ritenga sufficiente l’analisi del capo di imputazione, può anche scendere all’esame degli atti processuali per verificare ed accertare, attraverso di essi, la consistenza ed i contorni della condotta, senza però valutare di nuovo il fatto, mediante un giudizio di merito non consentito. (Fattispecie concernente il reato di cui all’art. 323 c.p., commesso prima dell’entrata in vigore della legge n. 234 del 1997). * Cass. pen., sez. VI, 21 maggio 2003, n. 22539 (c.c. 10 marzo 2003), Di Nardo. [RV226196] l Sussiste l’abolitio criminis del reato di contrabbando doganale (art. 282 D.P.R. n. 43 del 1973) consistente nell’omissione del pagamento del dazio ad valorem del 6% gravante sull’alluminio in pani proveniente dalla Repubblica Federale Yugoslava in virtù della sopravvenienza del regolamento comunitario n. 2007 del 2000, integrato e modificato dal regolamento n. 2563 del 2000 che ha sottratto tale merce ai diritti di confine sulla stessa gravanti, in quanto le norme impositive del dazio costituiscono norme extrapenali integratrici del precetto penale ed, in quanto tali, rientranti nell’ambito di applicazione dell’art. 2 c.p. * Cass. pen., sez. III, 27 marzo 2003, n. 14329 (c.c. 4 febbraio 2003), Pertot. [RV224243] l In caso di abolitio criminis intervenuta dopo la sentenza assolutoria di primo grado o per insussistenza del fatto, il giudice di appello prima di riformare la decisione e dichiarare non doversi procedere a carico dell’imputato perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato deve indicare le ragioni per le quali il fatto deve ritenersi sussistente, atteso che tra le diverse cause di non punibilità di cui all’art. 129 c.p.p. la formula «perché il fatto non sussiste» deve prevalere su qualsiasi altra formula, sia perché indicata prioritariamente nell’elencazione contenuta nel citato art. 129, sia perché preclusiva di eventuale azione civile. * Cass. pen., sez. III, 21 dicembre 2001, n. 45562 (ud. 21 novembre 2001), Raguseo V. [RV220740] l L’intervenuta abrogazione, per effetto dell’art. 18 della legge 25 giugno 1999 n. 205, dell’art. 341 c.p. ha dato luogo non ad una pura e semplice abolitio criminis, disciplinata dall’art. 2, comma secondo, c.p., ma ad un fenomeno di successione di leggi penali nel tempo, inquadrabile nelle previsioni di cui al successivo terzo comma dello stesso articolo; ciò in quanto la condotta già qualificata come oltraggio a pubblico ufficiale dall’abrogata norma incriminatrice sarebbe stata – ed è rimasta – punibile, sia pure meno severamente, in assenza di detta norma, a titolo di ingiuria o di minaccia aggravate ai sensi dell’art. 61 n. 10 c.p. Ne consegue che, facendosi espressamente salvi, nella disciplina dettata dal terzo comma dell’art. 2 c.p., gli effetti del giudicato, non può darsi luogo a revoca, ai sensi dell’art. 673 c.p.p., della sentenza di condanna per il reato di COM_218_CodicePenaleCommentato_2017_1.indb 55 Art. 2 oltraggio a pubblico ufficiale divenuta esecutiva prima dell’intervento abrogativo. * Cass. pen., sez. I, 7 giugno 2000, n. 3137 (c.c. 26 aprile 2000), P.M. in proc. Saoud A. In termini, Cass. pen., sez. I, 25 maggio 2000, n. 2744, Guerrini. Difforme la massima che segue. [RV216096] l L’intervenuta abrogazione, per effetto dell’art. 18 della legge 25 giugno 1999 n. 205, del reato di oltraggio a pubblico ufficiale, previsto dall’art. 341 c.p., non ha dato luogo ad un fenomeno di successione di leggi penali nel tempo, quale disciplinato dall’art. 2, comma terzo, c.p., ma ad una vera e propria abolitio criminis rientrante, come tale, nelle previsioni di cui al secondo comma dello stesso articolo. Ne consegue che la permanenza nell’ordinamento penale dei reati di ingiuria e di minaccia, aggravati (se commessi in danno di un pubblico ufficiale), ai sensi dell’art. 61 n. 10 c.p. e rispetto ai quali il reato di oltraggio si poneva in rapporto non di specialità ma di assorbimento, non può costituire valida ragione per negare la revoca, ai sensi dell’art. 673 c.p.p., di una condanna per oltraggio inflitta con sentenza divenuta esecutiva prima dell’intervento abrogativo. * Cass. pen., sez. I, 7 giugno 2000, n. 3165 (c.c. 27 aprile 2000), Longo. [RV216098] l In caso di abolitio criminis, poiché tale evento fa venire meno, ancor più che la validità e la efficacia della norma penale incriminatrice, la sua stessa esistenza nell’ordinamento, ogni giudice che sia formalmente investito della cognizione sulla fattispecie oggetto di abrogazione ha il compito di dichiarare, ex art. 129, primo comma, c.p.p., che il fatto non è previsto dalla legge come reato, in ossequio al precetto di cui all’art. 2, secondo comma, c.p., per il quale nessuno può essere punito per un fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce reato. In altri termini, essendo venuto meno l’oggetto sostanziale del rapporto processuale penale, e cioè il nesso tra un fatto penalmente rilevante e l’accusato (imputazione-imputato), tale declaratoria è necessariamente pregiudiziale rispetto ad ogni altro accertamento (quale quello relativo alle cause di inammissibilità della impugnazione) che implichi, invece, la formale permanenza di una res judicanda; e ciò non diversamente da quanto è imposto al giudice nella ipotesi di morte dell’imputato, ove pure – in questo caso per il venir meno della componente soggettiva – il rapporto processuale è risolto. (Fattispecie avente ad oggetto il reato di cui all’art. 341 c.p., nella quale la Corte di cassazione, annullando senza rinvio la sentenza impugnata, ha dichiarato che il fatto non è previsto come reato, a norma dell’art. 18 della L. 25 giugno 1999, n. 205, pur dando atto della inammissibilità dei motivi di ricorso). * Cass. pen., sez. VI, 14 gennaio 2000, n. 356 (ud. 15 dicembre 1999), El Quaret. [RV215285] l Quando nell’imputazione recepita nel dispositivo non siano indicati con chiarezza gli ele- 02/03/17 10:08 Art. 2 LIBRO I – DEI REATI menti di illiceità penale sopravvissuti all’abolitio criminis può e deve essere analizzata la sentenza revocanda nel suo complesso anche motivazionale allo scopo di verificare quali accertamenti e valutazioni del fatto storico rilevanti siano contenuti in motivazione. Ove, poi, anche gli elementi di fatto valutati e ritenuti per certi nella motivazione siano o neutri o dubbi ovvero non rilevanti al fine di delineare la condotta (e la sua conseguente liceità o illiceità a confronto col parametro normativo abolito o residuo), può il giudice dell’esecuzione passare all’esame degli atti processuali per verificare ed accertare attraverso di essi la consistenza ed i contorni della condotta. (Fattispecie in materia di vendita di sostanze stupefacenti). * Cass. pen., sez. IV, 4 luglio 1996, n. 1397 (c.c. 29 maggio 1996), Baluì. [RV205415] l In base all’art. 2, secondo comma, c.p. – richiamato anche dall’art. 1, L. 21 ottobre 1988, n. 455 («depenalizzazione degli illeciti valutari») – l’intervenuta abolitio criminis determina la cessazione dell’esecuzione e degli effetti penali della condanna. Dalla dizione della norma si evince argomentando a contrario che le obbligazioni civili nascenti dal reato non «cessano» e sono quindi soggette ad esecuzione. Nella nozione di obbligazioni civili vanno annoverate quelle verso lo Stato al pagamento delle spese processuali. Tra queste ultime vanno comprese, oltre quelle anticipate per la celebrazione del processo e di eventuale custodia cautelare, anche quelle per l’iscrizione ipotecaria eventualmente disposta nel contesto dell’originario processo. * Cass. pen., sez. III, 29 maggio 1993, n. 1029 (ud. 30 aprile 1993), Vago. Conforme, Cass. pen., sez. V, 2 febbraio 2006, n. 4266 (c.c. 20 dicembre 2005), Colacito. l Qualora un fatto perda il carattere di illecito penale a seguito di una modifica legislativa intervenuta successivamente che concerna la disciplina normativa extra penale di riferimento per attribuire la qualità di soggetto attivo di un reato proprio si applica il principio di retroattività della legge più favorevole affermato dall’art. 2 c.p. perché per legge incriminatrice deve intendersi il complesso di tutti gli elementi rilevanti ai fini della descrizione del fatto tra cui, nei reati propri è indubbiamente compresa la qualità del soggetto attivo. (Nella fattispecie è stata ritenuta non più ravvisabile l’ipotesi del reato di peculato nella condotta di un dipendente di una Cassa di risparmio perché è stata esclusa, a seguito di novatio legis, l’attribuibilità allo stesso della qualifica di pubblico ufficiale). * Cass. pen., Sezioni Unite, 16 luglio 1987, n. 8342 (ud. 23 maggio 1987), Tuzet. c) Applicazione delle disposizioni più favorevoli al reo. l Il diritto dell’imputato, desumibile dall’art. 2, comma quarto, cod. pen., di essere giudicato in base al trattamento più favorevole tra quelli succedutisi nel tempo, comporta per il giudice della COM_218_CodicePenaleCommentato_2017_1.indb 56 56 cognizione il dovere di applicare la "lex mitior" anche nel caso in cui la pena inflitta con la legge previgente rientri nella nuova cornice sopravvenuta, in quanto la finalità rieducativa della pena ed il rispetto dei principi di uguaglianza e di proporzionalità impongono di rivalutare la misura della sanzione, precedentemente individuata, sulla base dei parametri edittali modificati dal legislatore in termini di minore gravità. * Cass. pen., Sezioni Unite, 25 novembre 2015, n. 46653 (ud. 26 giugno 2015), Della Fazia. [RV265110] l In tema di successione di leggi processuali nel tempo, non opera il principio della retroattività della disposizione più favorevole, nemmeno nell’ambito delle misure cautelari, poiché non esistono principi di diritto intertemporale propri della legalità penale che possano essere pedissequamente trasferiti nell’ordinamento processuale. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto non applicabile il nuovo testo dell’art. 309, comma decimo, cod. proc. pen. – introdotto dall’art. 11 della l. 16 aprile 2015, n. 47, entrato in vigore l’8 maggio 2015 ad una ordinanza del Tribunale del riesame il cui dispositivo era stato depositato precedentemente a tale data mentre la motivazione in una data successiva; vedi Corte cost. 14 gennaio 1982, n. 15). * Cass. pen., sez. VI, 14 ottobre 2015, n. 41322 (c.c. 22 settembre 2015), Policastri. [RV265013] l A seguito della sentenza della Grande Chambre della Corte EDU n. 10249 del 17 settembre 2009 nel caso Scoppola c. Italia, il condannato alla pena dell’ergastolo con sentenza passata in giudicato può ottenere in sede esecutiva la riduzione della pena ex art. 442 cod. proc. pen. a condizione che abbia chiesto e sia stato ammesso al rito abbreviato tra il 2 gennaio ed il 24 novembre 2000 (e, cioè, nella vigenza dell’art. 30, comma primo, lett. b., L. 479 del 1999) e la decisione sia stata pronunciata dopo il 24 novembre 2000, con applicazione del D.L. 341del 2000 che ripristinava l’ergastolo senza isolamento diurno. * Cass. pen., sez. I, 3 giugno 2013, n. 23931 (c.c. 17 maggio 2013), Lombardi. [RV256257] l In tema di successione di leggi processuali nel tempo, il principio secondo il quale, se la legge penale in vigore al momento della perpetrazione del reato e le leggi penali posteriori adottate prima della pronunzia di una sentenza definitiva sono diverse, il giudice deve applicare quella le cui disposizioni sono più favorevoli all’imputato, non costituisce un principio dell’ordinamento processuale, nemmeno nell’ambito delle misure cautelari, poiché non esistono principi di diritto intertemporale propri della legalità penale che possano essere pedissequamente trasferiti nell’ordinamento processuale. * Cass. pen., Sezioni Unite, 14 luglio 2011, n. 27919 (c.c. 31 marzo 2011), P.G. in proc. Ambrogio. [RV250196] l Il principio di retroattività della legge più favorevole non trova applicazione in riferimento 02/03/17 10:08 57 TITOLO I – LEGGE PENALE alla successione di leggi amministrative che abbiamo a regolare le procedure per lo svolgimento di attività, il cui carattere criminoso dipenda dall’assenza di autorizzazioni. (Nella specie, l’attività di recupero di rifiuti non pericolosi era stata avviata dall’imputato previa comunicazione di inizio attività inviata alla competente Provincia ma in difetto del nulla osta comunale, necessario all’epoca dei fatti, e non più richiesto a seguito dell’entrata in vigore della Legge Reg. Lombardia n. 8 del 2007). * Cass. pen., sez. III, 22 giugno 2011, n. 25035 (ud. 25 maggio 2011), Pasinetti e altro. [RV250616] l In tema di successione di leggi penali nel tempo, la norma posteriore che abbia sostituito l’originaria comminatoria di pena detentiva congiunta a pena pecuniaria con quella della sola pena pecuniaria, deve essere sempre considerata più favorevole ai fini dell’art. 2, comma quarto, c.p. (Fattispecie riguardante il reato di cui all’art. 186 c.s., così come modificato dalla L. n. 160 del 2007, la cui formulazione è stata ritenuta, nei casi in cui prevede l’applicazione della sola sanzione pecuniaria, più favorevole rispetto a quella in precedenza introdotta dalla legge n. 214 del 2003, non rilevando in senso contrario la convertibilità della sanzione detentiva originariamente prevista ovvero la sopravvenuta limitazione del regime dell’impugnazione conseguente al mutamento del tipo di sanzione o, infine, l’eventualità che la nuova disposizione incriminatrice preveda sanzioni amministrative accessorie più severe rispetto a quelle contemplate dalla norma previgente). * Cass. pen., sez. IV, 12 agosto 2008, n. 33397 (ud. 14 luglio 2008), De Brida. [RV240966] l In tema di successione di leggi penali, deve applicarsi quella che prevede il trattamento sanzionatorio ritenuto più favorevole al reo, anche quando la legge posteriore, che l’ha modificata, abbia ripristinato le pene più severe previste da altra legge anteriore che la stessa aveva a sua volta modificato. (Fattispecie in tema di guida in stato di ebbrezza consumata prima dell’entrata in vigore del D.L.vo n. 274 del 2000, che aveva attribuito alla competenza del giudice di pace il reato, ma giudicato dopo l’entrata in vigore del D.L. n. 151 del 2003 convertito nella L. n. 214 del 2003, che ha invece ripristinato l’originaria competenza del giudice ordinario). * Cass. pen., sez. IV, 18 ottobre 2007, n. 38548 (ud. 21 settembre 2007), De Bernardin. Conforme, Cass. pen., sez. II, 9 settembre 2009, n. 35079 (ud. 7 luglio 2009), Sylla. [RV237653] l L’art. 6, comma secondo, del Trattato istitutivo dell’Unione Europea assicura il rispetto, in quanto principio generale del diritto comunitario, dei diritti fondamentali dell’uomo garantiti dalle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri; tra essi, non rientra, peraltro, la retroattività della legge penale più favorevole, poiché il valore da essa tutelato può essere sacrificato da una legge COM_218_CodicePenaleCommentato_2017_1.indb 57 Art. 2 ordinaria in favore di interessi di analogo rilievo (quali, ad esempio, quelli dell’efficienza del processo e della salvaguardia dei diritti dei soggetti che in vario modo sono destinatari della funzione giurisdizionale, e quelli che coinvolgono interessi od esigenze dell’intera collettività nazionale connessi a valori costituzionali di rilievo primario). (In applicazione del principio, la S.C. ha rigettato una richiesta «ex» art. 234 Trattato UE, di rimessione della questione alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea). (Conf. Corte cost. n. 393 del 2006). * Cass. pen., sez. II, 21 settembre 2007, n. 35257 (ud. 16 maggio 2007), Felicetti e altro. [RV237909] l È legittimo il provvedimento con cui il Tribunale di sorveglianza rigetta l’istanza di affidamento in prova al servizio sociale – proposta da un condannato al quale sia stata applicata la recidiva reiterata di cui all’art. 99, comma quarto, c.p., con sentenza passata in giudicato prima dell’entrata in vigore della legge n. 251 del 2005 che all’art. 7 limita la concessione dei benefici penitenziari ai recidivi – considerato che le norme che disciplinano le misure alternative alla detenzione, riguardando le modalità esecutive della pena, non hanno natura di norme penali sostanziali e, quindi, non sono ad esse riferibili le previsioni di cui all’art. 2 c.p. e 25 Cost., con la conseguenza che sono, in virtù del principio tempus regit actum immediatamente applicabili. * Cass. pen., sez. I, 11 ottobre 2006, n. 34040 (c.c. 22 settembre 2006), Helt. [RV235189] l L’art. 5 della legge 24 febbraio 2006 n. 85 ha modificato l’art. 292 c.p., prevedendo per l’ipotesi aggravata di vilipendio alla bandiera una pena più mite, sicché, attesa la sostanziale continuità strutturale delle fattispecie criminose disciplinate dalle leggi penali succedutesi nel tempo, il più favorevole regime sanzionatorio è applicabile ai sensi dell’art. 2, comma quarto, c.p. nei processi pendenti in relazione a fatti commessi nel vigore della precedente normativa. * Cass. pen., sez. I, 3 luglio 2006, n. 22891 (ud. 6 giugno 2006), Di Costanzo. [RV234279] l In caso di successione nel tempo di norme extrapenali integratrici del precetto penale, deve ritenersi inapplicabile il principio previsto dall’articolo 2, comma terzo, c.p. qualora si tratti di modifiche della disciplina integratrice della fattispecie penale che non incidano sulla struttura essenziale del reato, ma comportino esclusivamente una variazione del contenuto del precetto delineando la portata del comando; ciò si verifica, in particolare, allorquando la nuova disciplina non abbia inteso far venir meno il disvalore sociale della condotta, e quindi l’illiceità penale della stessa, ma si sia limitata a modificare i presupposti per l’applicazione della norma incriminatrice penale. (Il principio è stato affermato dalla S.C. in una vicenda relativa al trattamento da riservare alla sostanza «norefredina» o «fenilpropanolamina» che, successivamente alla 02/03/17 10:08 Art. 2 LIBRO I – DEI REATI commissione dei fatti sub iudice relativamente ai quali era stato contestato il reato di cui all’articolo 73 D.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309, era stata ricompresa tra i «precursori» ossia tra le sostanze suscettibili di impiego per la produzione di sostanze stupefacenti o psicotrope. Secondo la difesa, da ciò sarebbe dovuto derivare, in ossequio al disposto dell’articolo 2, comma terzo, c.p., che la disciplina applicabile avrebbe dovuto essere quella, più favorevole, di cui all’articolo 70 dello stesso D.P.R.; la Corte ha invece rigettato la doglianza con le argomentazioni di cui sopra, evidenziando, peraltro, che del principio espresso dall’articolo 2, comma terzo, c.p. si sarebbe dovuto semmai fare applicazione solo nella diversa ipotesi in cui la nuova disciplina, anziché limitarsi a regolamentare diversamente i presupposti per l’applicazione della norma penale, avesse esclusa l’illiceità oggettiva della condotta: ad esempio, nel caso di una modifica tabellare che avesse portato ad escludere la natura stupefacente di una determinata sostanza). * Cass. pen., sez. IV, 18 maggio 2006, n. 17230 (c.c. 22 febbraio 2006), Sepe ed altri. Conforme, Cass. pen., sez. III, 18 aprile 2011, n. 15481, Guttà e altro. [RV234029] l In tema di sospensione condizionale della pena nei confronti di persona che ne abbia già usufruito, la disposizione dell’art. 165, comma secondo, c.p.p., introdotta dall’art. 2, comma primo lett. a) L. 11 giugno 2004 n. 145, può, nonostante la sua natura sostanziale, essere applicata retroattivamente, ai sensi dell’art. 2, comma terzo, c.p., anche in relazione a fatti commessi anteriormente all’entrata in vigore della nuova disciplina, siccome previsione più favorevole per l’imputato, il quale, a differenza che in passato, può scegliere che il beneficio sia subordinato ad una condizione da lui ritenuta meno gravosa di ciascuna di quelle che il giudice, ai sensi della legge previgente, avrebbe dovuto altrimenti obbligatoriamente applicare. (Fattispecie in tema di nuova concessione, ai sensi dell’art. 165, comma secondo, c.p.p., come modificato dall’art. 2, comma primo lett. a) L. n. 145 del 2004, della sospensione condizionale della pena, già in precedenza applicata, subordinata alla prestazione di attività non retribuita in favore della collettività per un periodo di tempo determinato, per fatti commessi anteriormente all’entrata in vigore della L. n. 145 del 2004). * Cass. pen., sez. I, 29 dicembre 2005, n. 47291 (c.c. 30 novembre 2005), De Filippo. [RV234093] l Poichè le sanzioni sostitutive di pene detentive brevi previste dall’art. 53 legge 24 novembre 1981 n. 689 hanno natura di vere e proprie pene, le norme che le disciplinano hanno natura sostanziale e, in caso di successione di leggi nel tempo, sono soggette alla disciplina di cui all’art. 2, comma terzo, c.p.. Ne consegue che la legge sopravvenuta piú favorevole (nel caso di specie, legge 12 giugno 2003 n. 134) non può essere applicata dal giudice dell’esecuzione, non potendo COM_218_CodicePenaleCommentato_2017_1.indb 58 58 estendersi analogicamente il potere riconosciuto al giudice dell’esecuzione dall’art. 671 c.p.p. ai casi previsti dall’art. 673 c.p.p. * Cass. pen., sez. I, 4 luglio 2005, n. 24652 (c.c. 25 maggio 2005), Silvestro. [RV231669] l Nel novero delle norme integratrici della legge penale, cui è applicabile il principio di retroattività della legge più favorevole, ai sensi dell’art. 2, comma terzo, c.p., debbono ricomprendersi tutte quelle che intervengano nell’area di rilevanza penale di un fatto umano, escludendola, riducendola o comunque modificandola in senso migliorativo per l’agente; e ciò quand’anche la nuova norma non rechi testuale statuizione in tal senso ma, comunque, regoli significativamente il fatto in termini incompatibili con la precedente disciplina penalistica ovvero incidenti, per il nuovo caso regolato, nella struttura della norma incriminatrice o, quanto meno, sul giudizio di disvalore in essa espresso. (Nella specie, in applicazione di tale principio, la Corte ha ritenuto che potesse valere ad escludere la configurabilità del reato di violazione di domicilio – addebitato ad un esponente di un’associazione per la tutela degli animali per essersi egli introdotto e trattenuto, per dichiarate finalità ispettive, contro la volontà del proprietario, in un locale privato adibito a canile – la sopravvenuta emanazione di una norma regionale che imponeva ai gestori di strutture di ricovero per animali di consentire l’accesso, senza bisogno di speciali procedure o autorizzazioni, ai responsabili locali delle associazioni protezionistiche o animalistiche). * Cass. pen., sez. V, 2 marzo 2005, n. 8045 (ud. 4 febbraio 2005), Battaglia ed altri. [RV230567] l In virtù del principio del favor rei stabilito nell’art. 2, comma terzo, c.p., il trattamento sanzionatorio in concreto più favorevole, con riguardo al reato di guida in stato di ebbrezza (art. 186, comma secondo, c.s.), commesso prima dell’entrata in vigore del D.L.vo n. 274 del 2000 che attribuisce detto reato alla competenza del giudice di pace, è quello previsto dall’art. 52, comma secondo, lett. c) del citato D.L.vo n. 274 del 2000, il quale deve essere applicato nella sua integralità, anche se il reato sia stato giudicato da un giudice diverso da quello di pace. Ne deriva che, in tal caso, è illegittima l’applicazione della previsione sanzionatoria originaria del codice della strada, in quanto la pena detentiva, ad essa connessa, è, in ogni caso, meno favorevole di quella pecuniaria, anche se applicata unitamente al beneficio della sospensione condizionale della pena, la quale, peraltro, una volta individuata la disposizione più favorevole nell’art. 52 citato, non può trovare applicazione, giusta l’espressa previsione di cui all’art. 60 D.L.vo n. 274 del 2000. * Cass. pen., sez. IV, 6 ottobre 2004, n. 39069 (ud. 3 giugno 2004), P.G. in proc. Basville. [RV230619] l In materia di successione nel tempo di leggi penali, è incontroverso che, una volta individuata 02/03/17 10:08 59 TITOLO I – LEGGE PENALE la disposizione complessivamente più favorevole, il giudice deve applicare questa nella sua integralità, senza poter combinare un frammento normativo di una legge e un frammento normativo dell’altra legge secondo il criterio del favor rei, perché in tal modo verrebbe ad applicare una terza fattispecie di carattere intertemporale non prevista dal legislatore, violando così il principio di legalità. (Nella specie, la Corte ha annullato senza rinvio la sentenza del Tribunale che, giudicando del reato di guida in stato di ebbrezza ex art. 186, comma secondo, c.s., in epoca successiva all’entrata in vigore del D.L.vo 2000, n. 274 – e prima della legge 1 agosto 2003, n. 214 –, pur applicando il trattamento sanzionatorio più favorevole previsto per i reati divenuti di competenza del giudice di pace, aveva tuttavia ritenuto di applicare il beneficio della sospensione condizionale della pena, nonostante il relativo divieto). * Cass. pen., sez. IV, 17 settembre 2004, n. 36757 (ud. 4 giugno 2004), Perino. Conformi: Cass. pen., sez. IV, 26 ottobre 2004, n. 41702, Nuciforo; Cass. pen., sez. IV, 30 dicembre 2005, n. 47339 (ud. 28 giugno 2005), P.G. in proc. Bourzama; Cass. pen., sez. III, 19 maggio 2004, n. 23274 (ud. 10 febbraio 2004). [RV229687] l In base al principio dell’applicazione della legge sopravvenuta piú favorevole (art. 2, comma terzo, c.p.), nel caso di reati attribuiti, in assenza di aggravanti, alla competenza del giudice di pace, ai sensi dell’art. 4 del D.L.vo 28 agosto 2000 n. 274, qualora gli stessi siano stati commessi prima dell’entrata in vigore di detto D.L.vo e, pur essendo aggravati, l’effetto delle aggravanti sia stato neutralizzato dall’avvenuto riconoscimento di circostanze attenuanti, la sanzione applicabile dev’essere quella, piú favorevole, prevista dalla normativa sopravvenuta (principio affermato in tema di diffamazione). * Cass. pen., sez. V, 22 giugno 2004, n. 28006 (ud. 18 maggio 2004), Bartoccelli. [RV228712] l In materia di successione di leggi penali, l’art. 2 comma terzo c.p. prende in considerazione tutti i mutamenti legislativi intervenuti, stabilendo che deve applicarsi la legge le cui disposizioni sono piú favorevoli al reo; pertanto una volta che sia entrata in vigore una legge piú favorevole, questa deve essere sempre applicata anche se, successivamente, il legislatore ritenga di modificarla in senso meno favorevole. (Principio applicato dalla Corte in una fattispecie relativa al reato di guida in stato di ebbrezza, previsto dall’art. 186 comma secondo cod. strad., commesso prima dell’entrata in vigore del D.L.vo 28 agosto 2000, n. 274, che ha attribuito tale contravvenzione al giudice di pace, con conseguente applicazione delle nuove sanzioni paradetentive della permanenza domiciliare e del lavoro di pubblica utilità, e giudicato dal tribunale dopo le modifiche apportate dal D.L. 27 giugno 2003, n. 151, convertito nella Legge 1 agosto 2003, n. 214, con cui è stata ripristinata la competenza del giudice ordinario, con la pre- COM_218_CodicePenaleCommentato_2017_1.indb 59 Art. 2 visione della pena dell’arresto). * Cass. pen., sez. IV, 20 maggio 2004, n. 23613 (c.c. 18 marzo 2004), P.G. in proc. Vilhar. [RV228786] l Per i reati attribuiti alla cognizione del giudice di pace, commessi prima della data di entrata in vigore del D.L.vo 28 agosto 2000, n. 274 e giudicati dal giudice togato, devono applicarsi, in base alla disciplina transitoria prevista dal combinato disposto degli artt. 64 e 63 comma primo del citato D.L.vo, le nuove sanzioni indicate dall’art. 52 dello stesso D.L.vo, in quanto più favorevoli ai sensi dell’art. 2 comma terzo c.p. (nella specie si trattava della contravvenzione di guida in stato di ebbrezza e la Corte ha individuato la disciplina più favorevole nella pena pecuniaria prevista dall’art. 52 D.L.vo 274/2000, precisando che nel raffronto tra i due diversi sistemi sanzionatori non può darsi rilievo alla possibilità di sostituzione della pena detentiva ex art. 53 legge n. 689/1981, tenuto conto che la sua applicazione è rimessa ad una valutazione discrezionale del giudice e, inoltre, che la stessa sostituzione può essere oggetto di successiva revoca). * Cass. pen., sez. IV, 29 aprile 2004, n. 20156 (c.c. 9 dicembre 2003), P.M. in proc. Bukavec. [RV228343] l In tema di assegni bancari, la nuova disciplina relativa all’inosservanza delle sanzioni amministrative accessorie, introdotta dal D.L.vo 30 dicembre 1999, n. 507, non ha depenalizzato le violazioni dei divieti commesse nella vigenza della normativa antecedente, atteso che l’art. 7 della L. 15 dicembre 1990, n. 386, come sostituito dall’art. 32 del citato D.L.vo, conserva immutata la sua ratio in relazione al permanere della previsione di illiceità penale della medesima condotta, consistente nella inottemperanza al divieto temporaneo di emettere assegni; pertanto, con riferimento alle condotte trasgressive del divieto di emettere assegni, poste in essere in epoca antecedente all’entrata in vigore della nuova disciplina di cui al D.L.vo 507 del 1999, trova applicazione il delitto previsto dall’art. 389 c.p., in luogo di quello punito più gravemente dall’art. 7 della L. n. 386 del 1990 e ciò in forza del principio del favor rei di cui all’art. 2 terzo comma c.p. * Cass. pen., sez. VI, 20 novembre 2003, n. 44733 (ud. 24 settembre 2003), Nigro. [RV226903] l L’individuazione, tra una pluralità di disposizioni succedutesi nel tempo, di quella più favorevole al reo, va eseguita non in astratto, sulla base della loro mera comparazione, bensì in concreto, mediante il confronto dei risultati che deriverebbero dall’effettiva applicazione di ciascuna di esse alla fattispecie sottoposta all’esame del giudice. (Nella specie, relativa al reato di violazione del divieto di accesso ai luoghi in cui si svolgono manifestazioni sportive – qualificato come contravvenzione e punito con pena esclusivamente detentiva dall’art. 6 della L. n. 401 del 1989 nel suo testo originario, ma configurato come delitto punito con pena detentiva della stessa durata, alternativa a quella pecuniaria, nella 02/03/17 10:08 Art. 2 LIBRO I – DEI REATI versione di tale articolo modificata dal D.L. n. 336 del 2001, convertito con modificazioni nella L. n. 377 del 2001 –, la Corte ha giudicato corretto l’operato del giudice di merito che aveva ritenuto in concreto più favorevole al reo l’applicazione della precedente normativa, la quale configurava il reato come contravvenzione, ma senza prevedere la pena pecuniaria alternativa a quella detentiva). * Cass. pen., sez. I, 28 ottobre 2003, n. 40915 (c.c. 2 ottobre 2003), Fittipaldi. [RV226475] l È da considerare norma più favorevole sopravvenuta, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 2, comma terzo, c.p., anche quella con la quale sia reso perseguibile a querela un reato precedentemente perseguibile d’ufficio. * Cass. pen., sez. III, 14 giugno 2000, n. 6983 (ud. 27 aprile 2000), P.G. in proc. R., in Riv. pen. 2001, 77. l Non ricorre l’ipotesi di cui all’art. 2, terzo comma, c.p. quando lo stesso fatto sia punito in base a due leggi coeve, allorché una di esse identifichi come reato, sanzionandola in modo meno grave, una delle condotte integranti gli estremi di un diverso reato previsto dall’altra, se la prima legge rimanga in vigore e la seconda venga abrogata. In tal caso, non si verifica l’automatica “espansione” della legge ancora vigente, sia perché il terzo comma dell’art. 2 c.p. – riferendosi a “leggi posteriori” – prevede l’ipotesi di una legge successiva rispetto ad altra anteriore (che non ricorre nella specie), sia perché una diversa interpretazione susciterebbe dubbi di legittimità costituzionale, in quanto comporterebbe l’applicazione della norma rimasta in vigore a un fatto anteriormente verificatosi (art. 25 Cost.), così violandosi il principio di irretroattività della legge penale, e urterebbe, inoltre, con l’art. 112 Cost., giacché la norma penale coeva ancora in vigore risulterebbe applicata in mancanza dell’esercizio della azione penale. In ogni caso, l’applicazione di tale norma contrasterebbe con la natura del fenomeno della abrogazione, che opera “ex nunc”: la norma abrogata resta, infatti, vigente, per il periodo anteriore alla abrogazione, impedendo, per lo stesso periodo, l’applicazione della legge rimasta in vigore, onde sarebbe contrario al sistema considerare ampliato, ora per allora, il raggio di azione di quest’ultima norma. (Nel caso, in cui era stato impugnato il provvedimento emesso in sede di incidente di esecuzione di diniego di revoca della sentenza di condanna per il reato di oltraggio, passata in giudicato, la Corte ha revocato questa sentenza, affermando il principio di cui in massima, ed escludendo che, a seguito della abrogazione dell’art. 341 c.p. – che prevedeva il reato di oltraggio – per effetto dell’art. 18 della L. 25 giugno 1999, n. 205, possa perseguirsi il fatto per i reati di ingiuria o di minaccia). * Cass. pen., sez. VI, 11 febbraio 2000, n. 518 (c.c. 28 gennaio 2000), Marini F. [RV215738] l In tema di reati concernenti le sostanze stupefacenti, il concetto di “modica quantità” di cui all’art. 72 della L. 22 dicembre 1975, n. 685, COM_218_CodicePenaleCommentato_2017_1.indb 60 60 è diverso da quello di “fatto di lieve entità” di cui all’art. 73, quinto comma, D.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309: la prima disposizione riguarda infatti solo un aspetto della detenzione, e cioé quello concernente la quantità della sostanza, mentre la “lieve entità” cui si riferisce la legge vigente riguarda il fatto per intero, di cui devono essere presi in considerazione tutta una serie di parametri quali i mezzi, le modalità o le circostanze dell’azione, la quantità e qualità delle sostanze. Ne consegue che, trattandosi di fattispecie non omologabili, non si pone un problema di applicazione della legge più favorevole ai sensi dell’art. 2, terzo comma, del codice penale. (In applicazione di tale principio la Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso con il quale si deduceva che, avendo il giudice di primo grado ritenuto la modica quantità delle sostanze oggetto di spaccio, la Corte d’appello avrebbe dovuto applicare la sopravvenuta norma più favorevole di cui al quinto comma dell’art. 73 D.P.R. n. 309 del 1990). * Cass. pen., sez. VI, 2 dicembre 1997, n. 4266 (c.c. 31 ottobre 1997), Sorzi. [RV209033] l Il regime di procedibilità d’ufficio per i reati di violenza sessuale previsto dall’art. 609 septies c.p., introdotto dalla L. 15 febbraio 1996, n. 66, non può produrre effetti sui fatti commessi prima della sua entrata in vigore. Il problema dell’applicabilità dell’art. 2 c.p., in caso di mutamento nel tempo del regime della procedibilità a querela, va positivamente risolto alla luce della natura mista, sostanziale e processuale, di tale istituto, che costituisce nel contempo condizione di procedibilità e di punibilità. Infatti, il principio dell’applicazione della norma più favorevole al reo opera non soltanto al fine di individuare la norma di diritto sostanziale applicabile al caso concreto, ma anche in ordine al regime della procedibilità che inerisce alla fattispecie dato che è inscindibilmente legata al fatto come qualificato dal diritto, specie quando il legislatore in una determinata materia modifichi profondamente fattispecie, pene, denominazione dei delitti, come è avvenuto in quella dei reati di violenza sessuale, sottratti all’area della moralità pubblica e concepiti come reati contro la persona. (Nella specie, relativa a rigetto di ricorso del P.M. avverso rigetto di appello contro diniego di applicazione di custodia cautelare in carcere, la S.C. ha osservato altresì che la rilevante portata dell’intervento innovativo e la mancanza di norme transitorie, certamente non dovuta a disattenzione, denotano inequivocabilmente che si è voluto dare alla normativa, che ha introdotto un regime di maggiore afflittività per chi commette abusi sessuali, operatività con esclusivo riferimento a condotte poste in essere dopo la sua entrata in vigore, sicché il peggioramento del regime di procedibilità per talune ipotesi di reato non può produrre effetti su preesistenti situazioni la cui perseguibilità e punibilità erano rimesse alla volontà della persona offesa dal reato). * Cass. pen., sez. III, 20 agosto 1997, n. 2733 (c.c. 8 luglio 1997), P.M. in proc. Frualdo. [RV209188] 02/03/17 10:08 61 TITOLO I – LEGGE PENALE l La norma dell’art. 30 ter, terzo comma, della legge 26 luglio 1975 n. 354 (c.d. ordinamento penitenziario), introdotta dall’art. 1 del D.L. 13 maggio 1991 n. 152, convertito con modificazioni in legge 12 luglio 1991 n. 203 (in base alla quale, fra l’altro, nel caso di condanna per taluno dei delitti previsti dall’art. 4 bis del medesimo ordinamento, la concessione dei permessi è ammessa solo dopo l’espiazione di metà della pena inflitta, e non solo di un quarto, come in precedenza), trova applicazione anche con riferimento a condanne precedenti all’entrata in vigore del citato D.L. n. 152 del 1991, non dando ciò luogo alla violazione del principio di irretroattività della legge penale, stabilito dall’art. 25 Cost. e dall’art. 2 c.p., atteso che tale principio si riferisce unicamente alle norme penali sostanziali e non anche a quelle inerenti alle modalità di esecuzione della pena e all’applicazione di misure alternative o altri benefici in favore del condannato, la cui disciplina resta affidata ai poteri discrezionali del legislatore ordinario. Tuttavia, poiché la concessione dei permessi-premio, che costituisce parte integrante del trattamento, è pur sempre legata alla regolare condotta e all’assenza di pericolosità sociale del condannato, deve ritenersi che, con la previsione di un più ampio limite temporale per la loro fruizione, il legislatore abbia posto una presunzione legale di pericolosità sociale riferita ai condannati per uno dei gravi delitti previsti dal primo comma dell’art. 4 bis. Conseguentemente, se tale presunzione è stata già superata con la concessione, sotto il vigore della precedente normativa, di uno o più permessi-premio, è evidente che l’applicazione della più grave restrizione prevista dalla nuova norma non ha alcun senso e può rivelarsi addirittura deleteria, perché potrebbe interrompere quel programma di trattamento che, in conformità dei principi costituzionali, deve pur sempre tendere alla rieducazione del condannato. * Cass. pen., sez. I, 19 aprile 1997, n. 433 (c.c. 21 gennaio 1997), Cerra. [RV207344] l Nel caso di successione di norme incriminatrici nel tempo, tra due disposizioni, delle quali la prima prevede la pena detentiva e la seconda la pena alternativa, è sempre più favorevole quest’ultima, consentendo l’inflizione della sola pena pecuniaria, perché la conversione, ex art. 53 legge 24 novembre 1981 n. 689, della pena detentiva inflitta necessariamente per effetto della prima norma, pur potendo in concreto condurre ad una pena pecuniaria (sostitutiva) meno elevata, oltre ad essere eventuale, in quanto sempre discrezionale, sarebbe comunque esposta al rischio della revoca ai sensi del successivo art. 72, ricorrendone le condizioni. È pacifico, infatti, che le cause di revoca contemplate in tale norma si riferiscono a tutte le pene sostitutive, ivi compresa quindi quella pecuniaria, giacché consistono nel verificarsi di quelle condizioni che, se sussistenti al momento della sostituzione, sarebbero state COM_218_CodicePenaleCommentato_2017_1.indb 61 Art. 2 ostative alla stessa. * Cass. pen., sez. III, 6 febbraio 1997, n. 1058 (ud. 4 dicembre 1996), Telese. [RV207102] l Il principio del favor rei stabilito dall’art. 2 c.p. comporta che, in caso di depenalizzazione con la trasformazione del reato in illecito amministrativo con la previsione dell’obbligo di trasmissione degli atti all’autorità competente, debba in ogni caso procedersi alla dichiarazione di estinzione del reato per prescrizione anche quando la causa estintiva sia maturata dopo la depenalizzazione. (Nell’affermare il principio di cui in massima la Corte ha ritenuto dovesse dichiararsi estinto il reato per prescrizione con riferimento alle violazioni della normativa sulla mancata consegna al lavoratore del libretto di lavoro e del prospetto paga depenalizzate dal D.L.vo 19 dicembre 1994 n. 758 poiché l’applicazione della formula «perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato» avrebbe determinato conseguenze deteriori per l’imputato derivanti dalla trasformazione del reato in illecito amministrativo). * Cass. pen., sez. III, 25 maggio 1996, n. 1948 (c.c. 26 aprile 1996), Romano. [RV205435] l Il giudice nel valutare in concreto la norma più favorevole deve considerare non solo le modificazioni concernenti la pena ma anche l’incidenza sulla prescrizione, quando quest’ultima, in seguito all’applicazione della nuova disciplina sopravvenuta, sia applicabile, ed, in genere, sugli altri effetti penali quali la non iscrivibilità sul casellario giudiziale, ove non venga applicato il beneficio ex art. 163 c.p. (Ipotesi in cui il termine prescrizionale non era ancora decorso e l’intervenuta modificazione della sanzione – da pena alternativa a solamente pecuniaria – ed il sensibile aumento del minimo edittale determinano anche una consistente diminuzione del termine massimo prescrizionale – da quattro anni e sei mesi a tre anni – e la non iscrivibilità della condanna nel certificato giudiziale, sicché, in assenza di esplicita richiesta di applicazione del beneficio ex art. 163 c.p., l’irrogazione di una pena pecuniaria di poco superiore a quella stabilita precedentemente in via alternativa costituisce ipotesi più favorevole). * Cass. pen., sez. III, 16 febbraio 1996, n. 1797 (ud. 16 gennaio 1996), Lombardi. [RV205385] l Le disposizioni in tema di «sostituzione» delle pene detentive brevi, dettate dagli artt. 53 e seguenti della L. 24 novembre 1981, n. 689, in quanto costituenti un sistema sanzionatorio «parallelo» a quello «ordinario» hanno un inequivocabile carattere di norme penali sostanziali. Ne consegue la soggezione di dette disposizioni al principio generale dettato dal comma 3 dell’art. 2 c.p. che sancisce l’operatività, nel caso di successione di leggi diverse da quella vigente al tempo di commissione del reato. Pertanto – nell’ipotesi di reato commesso prima dell’entrata in vigore della «novella» n. 402 del 5 ottobre 1993 introduttiva del più gravoso parametro di lire 75.000 per ogni giorno di pena detentiva sostituita – deve appli- 02/03/17 10:08 Art. 2 LIBRO I – DEI REATI carsi il parametro di ragguaglio di lire 25.000 fissato dall’art. 135 c.p. nel testo vigente prima della suindicata L. 5 ottobre 1993, n. 402. * Cass. pen., sez. I, 29 dicembre 1995, n. 12732 (ud. 27 ottobre 1995), Abbatelli. Conformi: Cass. pen., sez. I, 23 agosto 1994, n. 3114, P.G. c. Valentini; Cass. pen., sez. III, 24 gennaio 1996, n. 4523, P.G. in proc. Grissi ed altro; Cass. pen., sez. I, 18 gennaio 1996, n. 574, P.M. in proc. Ercoli. [RV203349] l Le sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi, previste dall’art. 53 della L. 24 novembre 1981, n. 689, per il loro carattere afflittivo, per la loro convertibilità, in caso di revoca, nella pena sostituita residua, per lo stretto collegamento esistente con la fattispecie penale cui conseguono, hanno natura di vere e proprie pene e non di semplici modalità esecutive della pena detentiva sostituita: le disposizioni che le contemplano, pertanto, hanno natura sostanziale e sono soggette, in caso di successioni di leggi nel tempo, alla disciplina di cui all’art. 2, comma 3, c.p., che prescrive l’applicazione della norma più favorevole per l’imputato. Ne consegue che il principio del favor rei trova attuazione, per i fatti commessi anteriormente all’entrata in vigore della legge, anche con riferimento ai nuovi criteri di ragguaglio fra pena pecuniaria e pena detentiva introdotti dalla L. 5 ottobre 1993, n. 402, di modifica dell’art. 135 c.p., in base ai quali si effettua, in virtù del richiamo a quest’ultima disposizione operato dal suddetto art. 53, L. n. 689 del 1981, il calcolo della sanzione sostitutiva. * Cass. pen., Sezioni Unite, 22 novembre 1995, n. 11397 (ud. 25 ottobre 1995), P.M. in proc. Siciliano. [RV202870] l In tema di falsità ideologica commessa da pubblico ufficiale o impiegato in atto pubblico (artt. 479 e 493 c.p.), non danno luogo a successioni di leggi penali i mutamenti di regime giuridico che hanno via via interessato l’Azienda autonoma delle ferrovie dello Stato, trasformandola dapprima in ente Ferrovie dello Stato (L. n. 210/1985) e poi in società per azioni (delibera CIPE 12 agosto 1992, in esecuzione della L. n. 35/1992 e L. n. 359/1992). L’applicazione del principio di retroattività della legge penale più favorevole, sancito dall’art. 2, comma 3, c.p., presuppone una modifica in via generale – e non in via particolare, riferita al caso concreto – della fattispecie incriminatrice, cioè di quelle norme che definiscono il reato nella sua struttura essenziale e circostanziata, comprese le norme extrapenali che la integrano. Esula quindi dall’istituto la successione di atti o fatti amministrativi che, pure influendo sulla punibilità o meno di determinate condotte, non implica una modifica della norma incriminatrice anche integrativa. Le trasformazioni che hanno interessato l’Azienda autonoma delle ferrovie dello Stato non hanno modificato la fattispecie incriminatrice descritta negli artt. 479 e 493 c.p. * Cass. pen., sez. VI, 28 settembre 1995, n. 9927 (ud. 10 luglio 1995), Caliciuri ed altri. [RV202873] COM_218_CodicePenaleCommentato_2017_1.indb 62 62 l La disciplina delle misure cautelari ha carattere processuale e perciò, in linea di massima, nella fase delle indagini preliminari il giudice non può discostarsi dalla contestazione mossa dal pubblico ministero e non gli è consentita alcuna valutazione sul suo contenuto. Tuttavia, quando risulti con evidenza, in base alla sola data del commesso reato così come precisata nell’imputazione, che debba essere applicata all’indagato, in base all’art. 2 del c.p., una normativa più favorevole inequivocabilmente individuabile raffrontando la disciplina sanzionatoria precedente e quella indicata nella contestazione, è alla prima che il giudice dovrà fare riferimento nel computare i termini di durata massima della custodia cautelare non potendosi trascurare il carattere sostanziale dell’afflittività delle misure cautelari personali e la tutela dello status libertatis con le relative implicazioni di carattere costituzionale che lo presidiano. (La Corte ha ritenuto che giustamente il tribunale avesse accolto il ricorso con il quale si chiedeva la scarcerazione per scadenza dei termini massimi di custodia cautelare in un caso in cui all’indagato era stata contestata la violazione dell’art. 73 D.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309, ma dalla data di commissione del reato emergeva con evidenza che la norma applicabile era quella prevista dall’art. 71 della L. 22 dicembre 1975 n. 685 che, ai fini della durata massima della custodia cautelare, prevede un termine più breve che era già scaduto). * Cass. pen., sez. I, 10 maggio 1995, n. 1783 (c.c. 24 marzo 1995), P.M. in proc. Faccini. [RV201363] l Il principio della retroattività della norma più favorevole posto dall’art. 2, terzo comma, c.p., che assicura al cittadino il trattamento penale più mite tra quello previsto dalla legge penale vigente al momento del fatto e quello previsto dalle leggi successive, purché precedenti la sentenza definitiva di condanna, opera solo con riferimento all’ipotesi della successione tra fattispecie incriminatrici, accertabile in base al criterio della continenza, e non è estensibile al caso della successione di norma che degradi un fatto previsto come illecito penale a illecito amministrativo. * Cass. pen., Sezioni Unite, 27 giugno 1994, n. 7394 (ud. 16 marzo 1994), Mazza. l Ai fini dell’applicazione delle disposizioni di legge sopravvenute, ai sensi dell’art. 2 c.p., non è sufficiente che queste siano più favorevoli all’imputato in astratto, ma occorre che lo siano altresì in concreto, ossia non soltanto sulla base della mera comparazione fra le due normative succedutesi nel tempo, ma anche confrontando i risultati che deriverebbero dalla effettiva applicazione di esse alla fattispecie concreta; tale valutazione in concreto è necessaria specie quando la nuova norma, per il suo contenuto, non opera automaticamente in maniera più favorevole nei confronti della normativa in vigore al tempo del commesso reato, ma fa dipendere tale risultato, che è 02/03/17 10:08 63 TITOLO I – LEGGE PENALE comunque eventuale, da un giudizio affidato ai poteri discrezionali del giudice e dalla verifica dei dati presupposti. Sicché, se è vero che in caso di successione di leggi penali si deve applicare integralmente quella che risulta più favorevole all’imputato, valutata nel suo complesso, non è men vero che tale principio va calato in ciascuna fattispecie concreta, in relazione all’interesse specifico dell’imputato, senza inframmettenze astratte e sia pure con divieto di applicazione simultanea di vecchie e nuove disposizioni. (Alla stregua di tale principio la Corte ha annullato la sentenza pretorile la quale aveva applicato ad un fatto pregresso la pena pecuniaria, sostitutiva di quella detentiva, in ragione del nuovo e più gravoso criterio di ragguaglio introdotto dalla L. 5 ottobre 1993, n. 402, sul presupposto che quest’ultima dovesse considerarsi comunque norma più favorevole per l’ampliata possibilità di applicazione della sospensione condizionale della pena, che, nella fattispecie, non risultava tuttavia né concessa né richiesta). * Cass. pen., sez. I, 22 giugno 1994, n. 2336 (c.c. 18 maggio 1994), Arata. l Nel caso di successioni di leggi penali incriminatrici, il principio dell’applicazione della norma più favorevole trova un limite nella formazione del giudicato, a norma dell’art. 2 terzo comma, c.p. La cosa giudicata si forma sull’intero oggetto del rapporto processuale concernente una singola imputazione, cosicché non è consentita – salvo l’ipotesi del reato continuato – la scissione della sentenza per punti, al fine di identificare la irrevocabilità di un punto, distinguendo quello concernente la colpevolezza da quello relativo alla concessione di attenuanti. In particolare il giudice della esecuzione non può alterare il giudicato ritenendo esistente un’attenuante non ravvisata dal giudice della cognizione ovvero procedendo alla comparazione tra circostanze di segno opposto, e ciò neppure nel caso di sopravvenuta disposizione di legge che, ai fini della declaratoria di estinzione della pena, valorizzi una circostanza ovvero un determinato esito della comparazione tra circostanze di segno opposto, in termini non previsti al momento della decisione di merito. Ne consegue che il giudice dell’esecuzione non può concedere l’attenuante di cui all’art. 73 comma settimo D.P.R. n. 309/90, introdotta dall’art. 14 L. 26 giugno 1990 n. 162 successivamente alla formazione della irrevocabilità della sentenza, e rideterminare la pena, sia perché detto potere non gli è riconosciuto dall’art. 671 c.p.p. sia perché vi osta l’art. 2 comma terzo c.p., secondo cui, nell’ipotesi di successione di leggi penali incriminatrici, non può essere applicata la legge più favorevole, in caso di avvenuta formazione del giudicato. (Nella fattispecie, la Corte di cassazione ha rigettato il ricorso avverso ordinanza che aveva respinto l’istanza diretta al giudice dell’esecuzione volta a rideterminare la pena inflitta per i delitti di cui agli artt. 71 e COM_218_CodicePenaleCommentato_2017_1.indb 63 Art. 2 74 legge n. 685/1975, previa concessione dell’attenuante di cui all’art. 73 comma settimo, D.P.R. n. 309/90, introdotta con legge successiva al passaggio in giudicato della sentenza di condanna). * Cass. pen., sez. VI, 17 giugno 1994, n. 1490 (c.c. 8 aprile 1994), De Angelis. l Il criterio della norma più favorevole al reo può essere utilizzato solo al fine di individuare la norma di diritto sostanziale applicabile al caso concreto, non quella processuale quale è, indubbiamente, quella disciplinante la competenza tra i diversi organi giudicanti, per la quale, in mancanza di un’apposita norma transitoria, si deve fare riferimento al principio generale del tempus regit actum secondo il quale la nuova disciplina processuale, anche se immuta competenza precostituita, trova immediata applicazione nei procedimenti in corso alla data della sua entrata in vigore. Ciò, naturalmente, avviene solo nell’ipotesi in cui il giudice non sia stato già legittimamente investito del relativo giudizio in quanto, in tali casi, essendosi già radicata la competenza, la nuova disciplina processuale non ha efficacia. (Fattispecie in tema d’abuso d’ufficio). * Cass. pen., sez. I, 19 gennaio 1993, n. 5011 (c.c. 2 dicembre 1992), Cuberi. l Il principio della retroattività degli effetti extrapenali, in conseguenza d’una legge che abbia trasformato in illeciti amministrativi le condotte punibili, non può operare allorquando il reato siasi già estinto, posto che diversamente si sancirebbe la reviviscenza d’una realtà giuridica in contrasto con lo spirito e la lettera dell’art. 2 c.p., il quale, ispirandosi al favor rei, non può mai risolversi in un nocumento per l’imputato. (Fattispecie in tema di detenzione di sottoprodotto della vinificazione, non denaturato con la prescritta sostanza rivelatrice, rientrante nell’amnistia ex art. 1 d.p.r. 18 dicembre 1981, n. 744, e depenalizzata dall’art. 32, primo comma, della legge 24 novembre 1981, n. 689, che ha previsto la sola sanzione amministrativa del pagamento di una somma di danaro. Si è così, sulla base dell’enunciato principio, precisato che, essendo la estinzione del reato intervenuta anteriormente all’entrata in vigore della legge di depenalizzazione e dovendo l’anzidetta causa estintiva prevalere su quella di abolitio criminis, era da escludersi la trasmissione degli atti all’autorità competente per la irrogazione di sanzioni amministrative; e ciò in conformità al dettato dell’art. 2, terzo comma, c.p.). * Cass. pen., Sezioni Unite, 26 aprile 1983, n. 3802 (ud. 22 gennaio 1983), Marinelli. d) Leggi eccezionali o temporanee. l La successione, intervenuta durante il decorso del termine di vigenza ovvero nella permanenza della situazione eccezionale, di norme, rispettivamente, tutte temporanee o eccezionali aventi la stessa ratio e dirette a una migliore messa a punto della normativa destinata a fronteggiare la medesima situazione è regolata non già dalla 02/03/17 10:08 Art. 2 LIBRO I – DEI REATI disciplina derogatoria prevista dall’art. 2, comma quinto, c.p., bensì da quella di cui al precedente comma quarto. (Nel caso di specie, la S.C. ha ritenuto l’applicabilità della più favorevole disciplina del c.p. militare di pace al militare partecipante alle missioni di cui alla L. 4 agosto 2006, n 247 anche in relazione ai fatti commessi nella vigenza della disciplina anteriore a tale legge che rinviava al c.p. militare di guerra, affermando pertanto la sopravvenuta inapplicabilità dell’art. 47 c.p.m.g.). * Cass. pen., sez. I, 1 luglio 2008, n. 26316 (ud. 27 maggio 2008), Cau. [RV240396] l La normativa penalistica concernente la partecipazione italiana alle missioni internazionali all’estero prevista, nella specie, dal D.L. 10 luglio 2003 n. 165, conv., con modif., nella L. 1 agosto 2003 n. 219 e dalla L. 2 agosto 2006 n. 247 ha natura di legge temporanea. (In motivazione, la S.C. ha escluso che tale normativa abbia natura di legge eccezionale). * Cass. pen., sez. I, 1 luglio 2008, n. 26316 (ud. 27 maggio 2008), Cau. [RV240397] l Il regolamento CE n. 3274/93 del 29 novembre 1993, istitutivo del divieto di fornitura di taluni beni e servizi alla Libia, norma extrapenale integratrice del precetto penale, costituisce un complesso di norme eccezionali, in quanto derogatrici al principio della libertà di commercio tra gli Stati e temporanee, cioè destinate ad operare per un tempo determinato, e pertanto rientra nella disciplina dettata dal quarto comma dell’art. 2 c.p. Costituisce pertanto reato, indipendentemente dalla vigenza nel tempo del suddetto embargo, sospeso con il regolamento CE n. 863/99, l’esportazione in Libia, in violazione del divieto comunitario, di merce di cui era vietata l’esportazione verso detto Stato, sanzionata a norma dell’art. 11 R.D.L. 14 novembre 1926 n. 1923. * Cass. pen., sez. III, 27 marzo 2000, n. 3905 (ud. 22 febbraio 2000), Asaad Nagy Nawar. [RV215952] e) Disposizioni contenute in un decreto legge. l In tema di conversione di decreto legge, all’introduzione di emendamenti nella legge di conversione non sempre può ricondursi la conseguenza di determinare automaticamente la perdita di efficacia ex tunc del decreto legge, né, correlativamente, quella di attribuire valore ex nunc al precetto della legge di conversione a mezzo del quale ha trovato ingresso la modificazione, dovendo, al contrario, aversi riguardo allo specifico contenuto degli emendamenti e alla reale portata dei mutamenti al testo del decreto. Pertanto, solo gli emendamenti sostitutivi (o innovativi) e quelli soppressivi, disponendo la riscrittura ovvero l’eliminazione della decretazione d’urgenza, hanno efficacia ex nunc, mentre quelli semplicemente modificativi, consistendo in una variazione che non investe il nucleo precettivo fondamentale della norma del decreto legge, si saldano con quest’ultima in modo continuo, sì che hanno efficacia ex tunc, decorrente dalla data della norma- COM_218_CodicePenaleCommentato_2017_1.indb 64 64 zione di urgenza. (Fattispecie relativa ai rapporti tra D.L. n. 59 del 1978 e legge di conversione n. 191 del 1978. In riferimento alla scissione, nella legge di conversione, dell’unica ipotesi delittuosa di cui all’art. 630 c.p. – sostituita dall’art. 2 del decreto legge con l’introduzione della figura del «sequestro di persona a scopo di terrorismo o di eversione», – la S.C. ha ritenuto che vi fosse una mera modificazione del nomen juris, senza alcuna significativa alterazione degli elementi strutturali della fattispecie e pertanto ha riconosciuto efficacia ex tunc alla relativa disciplina. In riferimento, però, al comma quinto dello stesso art. 289 bis, che detta ex novo una speciale regolamentazione delle circostanze attenuanti, la S.C. ha ritenuto il suo carattere totalmente innovativo, riconoscendogli efficacia ex nunc ed escludendo la sua applicabilità nel processo, per essere esso entrato in vigore quando era definitivamente cessata la condotta criminosa, sì da non poterglisi riconoscere valore retroattivo, in quanto meno favorevole al reo). * Cass. pen., sez. I, 24 giugno 1998, n. 7451 (ud. 21 maggio 1998), Maccari. [RV210887] l Le norme che disciplinano l’applicazione di misure cautelari hanno carattere processuale, ma, per la loro influenza immediata sullo status libertatis, hanno rilevanza sostanziale, con la conseguenza che, in tale materia, si applicano le norme sulla successione di leggi nel tempo proprie delle disposizioni sostanziali. Pertanto, in caso di norme più favorevoli introdotte con decreto legge non convertito, si applicano le disposizioni vigenti nel momento della commissione del fatto, per effetto dell’art. 77, comma terzo, Cost. e della sentenza della Corte costituzionale 19 febbraio 1995, n. 51, che ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 2, comma quinto, c.p., nella parte in cui rende applicabili, nel caso di decreto legge non convertito, le disposizioni dei commi secondo e terzo dello stesso articolo (i principi anzidetti sono stati affermati in una fattispecie relativa all’art. 2 del decreto legge 14 luglio 1994, n. 440, non convertito, che aveva introdotto il comma 3 bis nell’art. 275 c.p.p., con il quale si era inibita l’adozione di provvedimenti di custodia cautelare per delitti diversi da quelli indicati nel comma 3 dello stesso articolo e dell’art. 380 c.p.p.: la Corte ha conseguentemente valutato corretta la soluzione dei giudici di merito che non avevano ritenuto caducati gli effetti di una misura cautelare per effetto della entrata in vigore del decreto legge citato). * Cass. pen., sez. VI, 9 giugno 1998, n. 595 (c.c. 19 febbraio 1998), Russo G. [RV211083] l La mancata conversione, entro il termine fissato dall’art. 77 Cost., di un decreto legge contenente una previsione di reato comporta il venir meno della punibilità di quest’ultimo, anche qualora al decreto legge non convertito faccia seguito, senza soluzione di continuità, un altro contenente analoga previsione. Tale principio rimane valido anche a fronte della sentenza della Corte 02/03/17 10:08 65 TITOLO I – LEGGE PENALE costituzionale 21 marzo 1996 n. 84, essendosi la Corte, con tale pronuncia, limitata ad affermare soltanto la permanente validità della propria investitura in ordine ad una questione di legittimità costituzionale avente ad oggetto una disposizione successivamente sostituita da altra di identico contenuto; il che non incide sulla invalidità ex tunc, in base al disposto di cui al citato art. 77, comma 3, Cost., del decreto legge non convertito, e sulla conseguente impossibilità giuridica, ai sensi dell’art. 2, comma 1, c.p., di continuare a considerare punibili, in base ad esso, fatti commessi durante la sua vigenza, pur quando la previsione di essi come reato sia ripresa dal nuovo decreto legge, giacché quest’ultimo, come qualsiasi norma di carattere penale, non può disporre che per l’avvenire. * Cass. pen., sez. I, 20 giugno 1996, n. 3506 (c.c. 22 maggio 1996), Sakho. [RV205156] l Fra diversi decreti legge non esaminati dal Parlamento e succedutisi nel tempo sulla stessa materia senza soluzioni di continuità si verifica, ferma restando la loro precarietà, il fenomeno della cosiddetta successione di leggi nel tempo, regolato dall’art. 2 c.p. e ad essi deve ritenersi applicabile la norma di cui al comma quinto di questo. (Nella specie relativa ad annullamento senza rinvio di sentenza di condanna, perché il fatto non era dalla legge previsto come reato, la S.C. ha osservato che all’epoca del giudizio di primo grado era in vigore il D.L. n. 449 del 1994 che aveva depenalizzato il fatto di reato ascritto ai ricorrenti (scarico effettuato, senza osservare le prescrizioni del provvedimento di autorizzazione in quanto eccedente i limiti tabellari), sicché costoro avevano acquisito il diritto alla applicazione della norma di cui all’art. 22 legge n. 319 del 1976, come modificata dall’art. 4 del detto decreto legge, sebbene il medesimo fatto fosse stato considerato illecito penale con decreto legge n. 537 del 1994 e altri successivi). * Cass. pen., sez. III, 3 marzo 1995, n. 3489 (ud. 27 febbraio 1995), Pangrazi. [RV202065] f) Casistica. f-1) Consumo di gruppo di stupefacenti. l In tema di stupefacenti, la reviviscenza dell’art. 73 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, nel testo anteriore alle modifiche introdotte dal D.L. 30 dicembre 2005, n. 272, convertito con modificazioni dalla legge 21 febbraio 2006, n. 49, successivamente dichiarate incostituzionali dalla sentenza della Corte costituzionale n. 32 del 2014, non comporta che, nelle situazioni in cui la sentenza di primo grado abbia determinato la pena nella misura non lontana dal minimo edittale allora vigente in relazione alle droghe cosiddette "leggere", il giudice di appello – quale giudice di merito di secondo grado, ovvero quale giudice di rinvio – sia vincolato a rimodulare la sanzione rendendola in ugual modo prossima ai nuovi e più favorevoli minimi edittali detentivi e pecuniari, né COM_218_CodicePenaleCommentato_2017_1.indb 65 Art. 2 ad applicare le attenuanti generiche nella stessa misura disposta dal giudice di primo grado, potendo egli determinare la pena discrezionalmente nell’ambito della più lieve cornice edittale tornata in vigore, con il solo limite – nell’ipotesi di appello proposto dal solo imputato – del divieto di "reformatio in peius". * Cass. pen., sez. VI, 16 giugno 2015, n. 25256 (ud. 24 febbraio 2015), Scarallo e altro. [RV265172] l A seguito del più favorevole trattamento sanzionatorio previsto, dopo la l. n. 49 del 2006, dall’art. 73, comma primo, d.P.R. 309 del 1990 quanto al minimo edittale per le droghe cosiddette pesanti, il giudice d’appello deve rimodulare la pena di ufficio anche nel caso in cui il primo giudice, anteriormente alla novella, abbia determinato la pena base, o sia comunque partito dal suo calcolo, in misura superiore al minimo edittale. * Cass. pen., sez. VI, 16 dicembre 2013, n. 50614 (ud. 6 dicembre 2013), P.G. in proc. Chukwumah. [RV257655] l Il consumo di gruppo di sostanze stupefacenti, nell’ipotesi del mandato all’acquisto collettivo ad uno degli assuntori, e nella certezza originaria dell’identità degli altri, non è punibile ai sensi dell’art. 73, comma primo bis, lett. a), D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, anche a seguito delle modifiche apportate a tale disposizione dalla L. 21 febbraio 2006, n. 49. * Cass. pen., sez. VI, 27 maggio 2011, n. 21375 (c.c. 27 aprile 2011), Masucci. [RV250064] l Il consumo di gruppo di sostanze stupefacenti conseguente al mandato all’acquisto collettivo ad uno degli assuntori e nella certezza originaria dell’identità degli altri non è punibile ai sensi dell’art. 73, comma primo bis, lett. a), D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, anche dopo le modifiche apportate a tale disposizione dalla L. 21 febbraio 2006, n. 49. * Cass. pen., sez. VI, 2 marzo 2011, n. 8366 (ud. 26 gennaio 2011), P.G. in proc. D’Agostino. [RV249000] f-2) Circolazione stradale. l Dall’entrata in vigore del D.L.vo n. 159 del 2011 (cosiddetto Codice antimafia), il sottoposto a misura di prevenzione al quale sia stata sospesa, revocata o negata la patente di guida che viene colto alla guida di auto o motociclo è punito ai sensi dell’ "art. 73 del medesimo D.L.vo n. 159, norma quest’ultima da considerarsi speciale rispetto all’art. 116 C.d.S. * Cass. pen., sez. I, 26 giugno 2013, n. 27828 (ud. 13 giugno 2013), Magliuolo, in Arch. giur. circ. n. 12/2013. [RV255992] l La fattispecie di cui all’art. 186, comma primo, lett. a), Cod. strada (guida in stato di ebbrezza con tasso alcoolemico superiore a 0,5 e non superiore a 0,8) è stata depenalizzata dall’art. 33, comma quarto, L. n. 120 del 2010. (La Corte ha anche ritenuto di non dover trasmettere gli atti alla competente autorità amministrativa, in considerazione del principio di legalità – irretroattività, sancito per gli illeciti amministrativi dall’art. 1, L. n. 689 del 1981, richiamata dallo stesso art. 02/03/17 10:08 Art. 2 LIBRO I – DEI REATI 194 Cod. strada, non rinvenendosi nella L. n. 120 del 2010 una apposita previsione che possa far ritenere derogato il suddetto principio). * Cass. pen., sez. IV, 3 novembre 2010, n. 38692 (ud. 28 settembre 2010), La Mantia, in Riv. pen. n. 2/2011 e Arch. Giur. circ. n. 4/2011, con nota di Giuseppe Luigi Fanuli. [RV248407] l La disciplina della revoca della patente prevista dal nuovo codice della strada è più favorevole all’imputato di quella precedente in quanto, mentre nella vigenza del codice della strada abrogato spettava alla discrezionalità del giudicante individuare i casi di particolare gravità che consentivano la revoca dell’autorizzazione alla guida, l’art. 222, comma terzo, D.L.vo 30 aprile 1992, n. 285, prevede la possibilità della revoca detta esclusivamente nell’ipotesi di recidiva reiterata specifica verificatasi entro il periodo di cinque anni a decorrere dalla data della condanna definitiva per la prima violazione. * Cass. pen., sez. IV, 10 ottobre 2000, n. 3881 (c.c. 28 giugno 2000), Aramini M. [RV217481] l In applicazione della regola fondamentale di cui al comma 2 dell’art. 2 c.p., l’inosservanza dell’ordine di presentarsi ad un organo di polizia per l’esibizione di documenti attinenti alla circolazione dei veicoli – accertata prima dell’entrata in vigore del nuovo codice della strada, emanato con D.L.vo 30 aprile 1992, n. 285, vale a dire prima dell’1 gennaio 1993 (art. 240 del testo citato) – essendo ora espressamente prevista come illecito amministrativo dall’art. 180, comma 8, del predetto codice, non realizza più l’ipotesi criminosa dell’art. 650 c.p. Tale inosservanza non può neppure essere sanzionata in via amministrativa ostandovi il disposto dell’art. 1, comma 1, L. 24 novembre 1981, n. 689, giacché il codice della strada non contiene alcuna norma transitoria analoga a quella dettata dall’art. 40 della legge stessa che deroga al principio di legalità enunciato in via generale. Ne consegue che in siffatta ipotesi non deve essere disposta la trasmissione degli atti all’autorità amministrativa. * Cass. pen., sez. I, 5 aprile 1996, n. 3425 (ud. 20 novembre 1995), P.M. in proc. Spataro. [RV204327] l L’inosservanza dell’ordine impartito dall’autorità per esibire i documenti di circolazione ricade nella previsione di cui all’art. 180, comma ottavo, del nuovo codice della strada, di cui al D.L.vo 30 aprile 1992, n. 285 e la sanzione applicabile è di natura amministrativa. Pertanto, nel caso di violazione commessa prima dell’entrata in vigore dell’indicato nuovo codice, deve trovare applicazione il comma secondo dell’art. 2 c.p., a tenore del quale nessuno può essere punito per un fatto che secondo una legge posteriore non è più sanzionato penalmente. (Fattispecie relativa ad imputazione ex art. 650 c.p.). * Cass. pen., sez. I, 16 aprile 1993, n. 974 (c.c. 9 marzo 1993), Varriale. COM_218_CodicePenaleCommentato_2017_1.indb 66 66 f-3) Reati fallimentari. l Il giudice penale investito del giudizio relativo a reati di bancarotta ex artt. 216 e seguenti R.D. 16 marzo 1942, n. 267 non può sindacare la sentenza dichiarativa di fallimento, quanto al presupposto oggettivo dello stato di insolvenza dell’impresa e ai presupposti soggettivi inerenti alle condizioni previste per la fallibilità dell’imprenditore, sicché le modifiche apportate all’art. 1 R.D. n. 267 del 1942 dal D.L.vo 9 gennaio 2006, n. 5 e dal D.L.vo 12 settembre 2007, n. 169, non esercitano influenza ai sensi dell’art. 2 c.p. sui procedimenti penali in corso. * Cass. pen., Sezioni Unite, 15 maggio 2008, n. 19601 (ud. 28 febbraio 2008), Niccoli. [RV239398] l In tema di reati fallimentari, alle procedure concorsuali e penali avviate prima della data di entrata in vigore della L. n. 5 del 2006, che ha modificato la nozione di piccolo imprenditore contenuta nell’art. 1, comma secondo, L. fall., resta applicabile la legge fallimentare previgente, anche per quanto attiene alla identificazione del soggetto assoggettabile al fallimento ed alla nozione di piccolo imprenditore, considerato che l’art. 150 della L. n. 5 del 2006 detta una chiara disciplina transitoria per la quale «i ricorsi per dichiarazione di fallimento e le domande di concordato fallimentare depositate prima dell’entrata in vigore del D.L.vo n. 5 del 2006, nonché le procedure di fallimento e di concordato fallimentare pendenti alla stessa data, sono definiti secondo la legge anteriore». * Cass. pen., sez. V, 17 maggio 2007, n. 19297 (ud. 20 marzo 2007), Celotti. [RV237025] l La nuova figura di reato del falso in prospetto, prevista dall’art. 2623 c.c., nel testo introdotto dall’art. 1 del D.L.vo 11 aprile 2002 n. 61, non rientra nel novero delle fattispecie di reati societari, la cui consumazione costituisce requisito per la integrazione del delitto di cui all’art. 223 legge fall., e quindi la corrispondente condotta non è più prevista come reato di bancarotta fraudolenta impropria societaria. (In motivazione la Corte ha osservato che il reato di falso in prospetto, pur ponendosi in rapporto di continuità normativa con quello di false comunicazioni sociali delineata dall’art. 2621 c.c. nel testo antecedente all’entrata in vigore del citato decreto, è attualmente configurato in una autonoma figura criminosa che non è stata richiamata fra quelle espressamente elencate dall’art. 223 legge fall.). * Cass. pen., sez. V, 16 dicembre 2005, n. 45714 (c.c. 19 settembre 2005), Patti. [RV233205] l Per la configurabilità del reato di bancarotta c.d. impropria, previsto dall’art. 223, comma 2, n. 1 del R.D. 16 marzo 1952, n. 267, come modificato dall’art. 4 del D.L.vo 11 aprile 2002, n. 61, si richiede la sussistenza di un rapporto di causalità tra il falso in bilancio di cui all’art. 2621 c.c. (o un altro dei reati societari indicati nella norma incriminatrice) posto in essere dagli amministratori e il dissesto della società. * Cass. civ., sez. I, 24 02/03/17 10:08 67 TITOLO I – LEGGE PENALE settembre 2002, n. 31828 (ud. 15 maggio 2002), Mazzei. [RV222378] l Sebbene la nuova disciplina introdotta dall’art. 4 del D.L.vo 11 aprile 2002, n. 61, abbia ristretto i margini di punibilità del reato di bancarotta c.d. impropria previsto dall’art. 223, comma 2, n. 1 del R.D. 16 marzo 1942, n. 267, sussiste continuità normativa fra la nuova e la vecchia fattispecie, configurandosi una ipotesi di successione di leggi e non di abolitio criminis, con la conseguenza che va applicata la norma più favorevole al reo, previa verifica, limitata all’esame dei dati emergenti dalla sentenza impugnata e da quella di primo grado, che la concreta contestazione del fatto sia tale da integrare il reato anche nella sua nuova formulazione (nel caso di specie, tuttavia, la Corte non ha applicato la nuova disposizione, in quanto ha ritenuto che, a seguito del precedente annullamento con rinvio limitato alla determinazione della pena, si fosse già formato il giudicato parziale interno sulla responsabilità dell’imputato). * Cass. pen., sez. I, 24 settembre 2002, n. 31828 (ud. 15 maggio 2002), Mazzei. [RV222379] f-4) Reati societari. l La nuova formulazione dell’art. 2622 cod. civ., introdotta dall’art. 11 della legge 27 maggio 2015, n. 69, si pone, quanto alla condotta di mancata esposizione in bilancio di poste attive effettivamente esistenti nel patrimonio sociale, in rapporto di continuità normativa con la fattispecie previgente, determinando una successione di leggi penali, ai sensi dell’art. 2, comma quarto, cod. pen. * Cass. pen., sez. V, 16 settembre 2015, n. 37570 (ud. 8 luglio 2015), P.C. in proc. Fiorini. [RV265020] l In tema di reati societari, non sussiste continuità normativa tra il reato di indebita concessione di prestiti e garanzie ad amministratori, direttori generali, sindaci e liquidatori di società commerciali (art. 2624 c.c.) e il reato di infedeltà patrimoniale (art. 2634 c.c., introdotto con il D.L.vo n. 61 del 2002), in quanto, dall’esame strutturale delle suddette fattispecie incriminatrici, emerge un’irriducibile divergenza degli elementi strutturali. Infatti, mentre il reato di cui al previgente 2624 c.c. è delitto di mera condotta e di pericolo presunto, il delitto di cui al vigente art. 2634 è reato di evento, richiedendo la sussistenza di un danno patrimoniale, intenzionalmente arrecato alla società, che deve essere, pertanto, previsto e legato alla condotta da un rapporto di diretta ed immediata causalità. Diverso è, inoltre, l’elemento soggettivo richiesto dalle due fattispecie, dolo specifico per il reato di cui all’art. 2634 c.c. e dolo generico per il previgente art. 2624 c.c. Ne deriva che, stante la radicale novità introdotta dall’art. 2634 c.c., è applicabile l’art. 2, comma secondo, c.p., in forza della sopravvenuta, integrale abrogazione della previgente norma incriminatrice. * Cass. pen., sez. V, 20 luglio 2007, n. 29268 (ud. 20 febbraio 2007), Dal Ben ed altro. [RV237599] COM_218_CodicePenaleCommentato_2017_1.indb 67 Art. 2 f-5) Servizio militare. l La causa di giustificazione dell’adempimento di un dovere è inapplicabile, anche a seguito dell’entrata in vigore del D.L.vo n. 66 del 2010 (c.d. codice dell’ordinamento militare) che ha abrogato la L. n. 382 del 1978, al militare che adempia ad un ordine impartitogli da un superiore gerarchico e la cui esecuzione costituisca manifestamente reato, essendo questi tenuto a non eseguirlo e ad informare al più presto i superiori. (In motivazione la Corte ha escluso l’applicabilità dell’esimente putativa dell’art. 51 c.p., invocata da un ufficiale dei carabinieri, precisando, da un lato, che l’erronea convinzione della sua esistenza si traduce in ignoranza inescusabile della legge penale e, dall’altro, che la manifesta criminosità di un ordine costituente reato non può essere ignorata quando il destinatario sia un ufficiale di polizia giudiziaria). * Cass. pen., sez. III, 13 maggio 2011, n. 18896 (ud. 10 marzo 2011), Riccio e altro. [RV250284] l Il rifiuto del servizio militare per ragioni di coscienza, posto in essere prima dell’entrata in vigore della L. 14 novembre 2000 n. 331, ove non sussistano le condizioni nelle quali, ai sensi dell’art. 2, comma primo, lett. f), di detta legge, sarebbe tuttora possibile il reclutamento su base obbligatoria, deve ritenersi non più idoneo a rendere configurabile il reato di cui all’art. 14 della L. 8 luglio 1998; ciò in applicazione della regola dettata dall’art. 2, comma quarto, c.p., atteso che la nuova disciplina sul reclutamento, non avendo del tutto eliminato il servizio militare obbligatorio, non ha comportato una totale «abolitio criminis» ma soltanto una riduzione della possibile sfera di operatività dell’illecito penale. * Cass. pen., sez. I, 13 luglio 2006, n. 24270 (ud. 18 maggio 2006), Lampedone. [RV234839] l La sospensione del servizio militare di leva, previsto dall’art. 7 D.L.vo n. 215 del 2001, non ha determinato la totale abolizione del servizio militare obbligatorio, che continua ad essere disciplinato, in riferimento a specifiche situazioni e a determinati casi eccezionali riferibili anche al tempo di pace, ai sensi dell’art. 2 L. 14 novembre 2000 n. 331. Ne consegue che alla fattispecie di reato di mancata chiamata alle armi, di cui agli artt. 151 e 154 c.p.m.p., non essendo stata essa abolita, si applica il quarto e non il secondo comma dell’art. 2 c.p., secondo cui «se la legge del tempo in cui fu commesso il reato e le posteriori sono diverse, si applica quella le cui disposizioni sono più favorevoli al reo, salvo che sia stata pronunciata sentenza irrevocabile». (Nel caso di specie, la S.C. ha confermato la decisione del giudice dell’esecuzione che aveva rigettato l’istanza di revoca della condanna per abolitio criminis). * Cass. pen., sez. I, 22 giugno 2006, n. 21823 (c.c. 11 aprile 2006), Gabriele. [RV234623] l L’abolizione del servizio militare di leva ridisegna la fattispecie penale del delitto di rifiuto della 02/03/17 10:08 Art. 2 LIBRO I – DEI REATI relativa prestazione eliminando il disvalore sociale della condotta incriminata. Ne consegue che l’art. 1, comma sesto, della legge 14 novembre 2000 n. 331, deve essere considerato norma integratrice del precetto penale e che, con riferimento alle situazioni da esso disciplinate, trova applicazione l’art. 2, secondo comma, c.p., sicchè l’abolizione del servizio di leva comporta la non punibilità della condotta di chi in precedenza, allorchè detto servizio era obbligatorio, ha rifiutato di prestarlo. Tuttavia, in applicazione della normativa transitoria prevista dal combinato disposto degli artt. 3, comma primo, legge n. 331 del 2000, 7, comma primo, D.L.vo n. 215 del 2001 e 1 della legge n. 226 del 2004, per i giovani nati prima del 1985 e già chiamati alle armi, il servizio militare resta obbligatorio sino al 31 ottobre 2005, data di cessazione dal servizio dell’ultimo contingente chiamato alle armi il 31 dicembre 2004, sicchè, nei confronti di coloro che versino in tale situazione e rifiutino di prestare il servizio militare di leva, continuano a ricorrere gli estremi del reato contestato. * Cass. pen., sez. I, 31 marzo 2005, n. 12316 (ud. 10 febbraio 2005), P.G. in proc. Caruso. [RV231721] f-6) Reati in tema di paesaggio. l L’abrogazione integrale della legge 7 marzo 2001 n. 78 (Tutela del patrimonio storico della Prima guerra mondiale), operata dall’art. 2268, comma primo, del D.Lgs. 15 marzo 2010, n. 66, con effetto dall’8 ottobre 2010, ha determinato l’"abolitio" del reato contravvenzionale previsto dall’art. 10, comma secondo della legge citata per gli interventi di modifica, restauro o manutenzione che abbiano determinato la perdita, il danneggiamento irreparabile o l’alterazione essenziale delle vestigia belliche specificate nell’art. 1, comma secondo, lettere a), b), c), e) della stessa legge, con la conseguenza che la successiva soppressione della norma abolitrice, operata dal D.Lgs. 24 febbraio 2012, n. 20, avendo determinato la "nuova entrata in vigore" della fattispecie incriminatrice, non può retroagire ai fatti commessi prima dell’entrata in vigore del decreto da ultimo citato, ostandovi il principio dell’irretroattività della pena sancito dall’art. 2 cod. pen. * Cass. pen., sez. III, 8 novembre 2013, n. 45159 (ud. 16 luglio 2013), Piffer e altro. [RV257622] l In tema di paesaggio, la disposizione di cui all’art. 181, comma primo ter, del D.L.vo 22 gennaio 2004 n. 41, introdotta dall’art. 1, comma terzo lett. c), della legge 15 dicembre 2004 n. 308, ai sensi del quale le sanzioni penali previste dal comma primo dello stesso art. 181 non si applicano qualora l’autorità amministrativa accerti la compatibilità paesaggistica di quanto realizzato, si applica, in presenza delle condizioni prescritte, anche ai fatti pregressi, ai sensi dell’art. 2, comma secondo, c.p.. * Cass. pen., sez. III, 17 maggio 2005, n. 18205 (ud. 12 aprile 2005), Stubing. [RV231648] COM_218_CodicePenaleCommentato_2017_1.indb 68 68 f-7) Oltraggio a pubblico ufficiale. l L’abrogazione, ad opera dell’art. 18 della legge 25 giugno 1999 n. 205, del reato di oltraggio a pubblico ufficiale previsto dall’art. 341 c.p. non dà luogo ad un fenomeno di successione di leggi penali nel tempo, quale previsto e disciplinato dall’art. 2, comma terzo, c.p., per cui nulla si oppone, qualora per detto reato sia intervenuta sentenza irrevocabile di condanna, alla revoca della stessa a norma dell’art. 673 c.p.p.; revoca dalla quale vanno, peraltro, ovviamente esclusi gli eventuali reati connessi o unificati sotto il vincolo della continuazione (nella specie, lesioni) ai quali l’abrogazione non si riferisce. * Cass. pen., sez. VI, 8 novembre 2000, n. 1455 (c.c. 24 marzo 2000), P.M. in proc. Tell., in Riv. pen. 2001, 41. l Attesa l’affinità tra l’abrogata figura criminosa dell’oltraggio a pubblico ufficiale e quella, tuttora valida, dell’ingiuria aggravata dalla qualità di pubblico ufficiale della persona offesa (la quale si differenzia dalla prima esclusivamente sotto il profilo della eterogeneità degli interessi giuridici protetti), ed avuto riguardo alla disciplina dettata in materia di successioni di leggi penali nel tempo dall’art. 2, comma terzo, c.p. (la cui operatività può estendersi anche all’ipotesi in cui la norma abrogata fosse contemplata nel contesto sistematico repressivo antecedente come fattispecie) «speciale» rispetto alla coeva fattispecie «generale» rimasta inalterata, con conseguente espansione della sfera di applicazione di quest’ultima anche ai casi prima rientranti nelle previsioni della prima), deve escludersi che l’abrogazione del reato di oltraggio a pubblico ufficiale abbia dato luogo ad una vera e propria abolitio criminis e che la condanna definitivamente inflitta per detto reato sia quindi soggetta a revoca ai sensi dell’art. 673 c.p.p. * Cass. pen., sez. I, 29 settembre 2000, n. 3144 (c.c. 26 aprile 2000), P.M. in proc. Marandin, in Riv. pen. 2001, 41. f-8) Reati edilizi. l Costituisce una successione di disposizioni integratrici della norma penale (art. 20 lett. b, della legge n. 47 del 1985), rilevante ai sensi dell’art. 2 c.p., il mutamento della disciplina relativa alla costruzione di parcheggi in area pertinenziale esterna ad un fabbricato (art. 17, comma 90, legge n. 127 del 1997) che esclude la necessità della concessione per siffatte opere. * Cass. pen., sez. III, 21 settembre 2000, n. 9893 (ud. 25 maggio 2000), Saccone R. e altro. [RV217866] l In tema di reati edilizi la richiesta ed il rilascio della concessione in sanatoria nei casi in cui nei confronti del richiedente sia già intervenuta sentenza definitiva di condanna sono esclusivamente quelli previsti dall’art. 38 comma 3 della L. 28 febbraio 1985 n. 47 (annotazione dell’oblazione nel casellario giudiziario e irrilevanza della condanna ai fini dell’applicazione della recidiva e della sospensione condizionale della pena). In nessun 02/03/17 10:08 69 TITOLO I – LEGGE PENALE caso è possibile richiedere la sospensione dell’esecuzione della sentenza invocando, ex art. 2 c.p., la cessazione degli effetti della condanna poiché il condono costituisce semplicemente una causa sopravvenuta di non punibilità che non comporta necessariamente l’estinzione della pena quando sia intervenuta una sentenza irrevocabile di condanna. * Cass. pen., sez. III, 3 maggio 1996, n. 1265 (c.c. 15 marzo 1996), Nastro G. [RV205234] f-9) Trasporto di oli minerali. l Sussiste continuità normativa – valutabile, dopo l’abrogazione del principio di ultrattività penale (art. 24, comma 1, D.L.vo n. 507 del 1999), alla luce dell’art. 2 c.p. – tra il reato di irregolarità nella circolazione (art. 49 D.L.vo 26 ottobre 1995, n. 504) ed il reato di trasporto di oli minerali senza il prescritto certificato di provenienza (art. 15 legge n. 474 del 1957), avuto riguardo sia alla natura di testo unico del D.L.vo n. 504 del 1995 nonché alla permanente continuità di tutela del bene protetto dalla fattispecie originaria, sia alla corrispondenza del fatto contestato a quello che costituisce oggetto della nuova disciplina, sia alla immutata valutazione legislativa della fattispecie. * Cass. pen., sez. III, 19 luglio 2000, n. 8352 (ud. 9 maggio 2000), Giuliano G. [RV217133] f-10) Ricettazione. l In tema di ricettazione, la provenienza da delitto dell’oggetto materiale del reato è elemento definito da norma esterna alla fattispecie incriminatrice, di talchè l’eventuale abrogazione o le modifiche di tale norma non assumono rilevanza ai sensi dell’art. 2 c.p., e la rilevanza del fatto, sotto il profilo in questione, deve essere valutata con esclusivo riferimento al momento in cui è intervenuta la condotta tipica di ricezione della cosa od intromissione affinchè altri la ricevano. (Nella fattispecie è stata ritenuta la non revocabilità, ai sensi dell’art. 673 c.p.p., di una sentenza di condanna per il delitto di ricettazione, sebbene il reato nella specie presupposto, e cioè l’emissione di assegno senza autorizzazione della banca trattaria, fosse stato depenalizzato successivamente al passaggio in giudicato della sentenza stessa). * Cass. pen., sez. II, 22 settembre 2003, n. 36281 (c.c. 4 luglio 2003), P.M. in proc. Paperini. [RV228412] f-11) Adesione della Romania alla U.E. l In tema di successione di leggi penali, l’adesione di uno Stato all’Unione Europea non determina la non punibilità del delitto commesso anteriormente alla data di entrata in vigore del trattato di adesione, e consistente nel compimento di atti diretti a procurare l’ingresso nel territorio italiano dello straniero che sia cittadino di tale Stato. (Fattispecie relativa al reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina di cittadini rumeni in data antecedente all’ingresso della Romania nell’Unione Europea). * Cass. pen., sez. COM_218_CodicePenaleCommentato_2017_1.indb 69 Art. 2 I, 26 marzo 2015, n. 12918 (ud. 13 marzo 2015), Castiglia e altri. [RV263367] l L’adesione della Romania alla Unione Europea a decorrere dal 1° gennaio 2007 non comporta l’applicabilità delle disposizioni di cui all’art. 2, commi secondo e quarto, c.p. con riferimento al reato previsto dall’art. 22, comma dodicesimo, D.L.vo 25 luglio 1998 n. 286 commesso, prima di tale data, in relazione all’occupazione illecita di cittadini romeni. * Cass. pen., sez. I, 8 febbraio 2008, n. 6392 (ud. 30 ottobre 2007), Giampaolo. [RV239074] f-12) Reati doganali. l In tema di reati doganali, l’art. 562. lett. e) del regolamento CEE del 4 maggio 2001, n. 993, che ha esteso a 18 mesi il periodo di tempo durante il quale le imbarcazioni da diporto iscritte nei registri navali dei paesi, non facenti parte della Comunità Europea, possono restare nel territorio doganale comunitario una volta ammesse all’istituto della temporanea importazione per uso privato, previsto dalla Convenzione di Ginevra del 18 maggio 1956, ratificata e resa esecutiva con legge 3 novembre 1961, n. 1553, è norma integratrice di un elemento normativo della fattispecie di cui all’art. 216 T.U. n. 43 del 1973, la cui modifica non può essere sottratta all’applicazione del principio della successione delle leggi penali posto dall’art. 2 c.p. * Cass. pen., sez. III, 10 ottobre 2002, n. 33934 (c.c. 26 giugno 2002), P.M. in proc. Nanni. [RV222298] f-13) Falsità in valori di bollo. l In tema di falsità in valori di bollo, la legge sul bollo integra un elemento della norma incriminatrice solo per quanto riguarda la individuazione dei valori suddetti e non anche i casi in cui ne è richiesto l’uso; ne consegue che la modifica o la abrogazione di norme che disciplinano tali casi, non incidendo sulla struttura essenziale del reato ma comportando soltanto una variazione del contenuto del precetto, non configurano successione di leggi penali nel tempo, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 2 c.p. (Fattispecie relative all’uso di bollo contraffatto di tassa di concessione governativa per la patente, la cui apposizione sul documento di guida non è più richiesta dalla legge). * Cass. pen., sez. V, 13 maggio 2002, n. 18068 (ud. 3 marzo 2002), Versace D. [RV221917] f-14) Danneggiamento. l In tema di danneggiamento, il fatto già previsto come reato dall’art. 635, comma secondo, n. 3 cod. pen., in quanto commesso sulle cose indicate dall’art. 625 n. 7, conserva rilevanza penale anche nella vigenza del nuovo testo, introdotto dall’art. 2, comma primo, lett. i) D.Lgs. 15 gennaio 2016, n. 7, in quanto tra il nuovo ed il previgente testo della norma sussiste un nesso di continuità e di omogeneità, non avendo il D.Lgs. n. 7 del 2016 prodotto una generalizzata "abolitio 02/03/17 10:08 Art. 3 LIBRO I – DEI REATI criminis" della fattispecie, bensì solo la successione di una norma incriminatrice che ha escluso la rilevanza penale di alcune ipotesi, conservandola rispetto ad altre. * Cass. pen., sez. VII, 18 maggio 2016, n. 20635 (c.c. 16 febbraio 2016), Habou. [RV267750] l In tema di danneggiamento – poiché il D.Lgs. 15 gennaio 2016, n. 7, prevede a carico dell’imputato obblighi accessori e sanzioni per fatti commessi anteriormente all’entrata in vigore della legge di depenalizzazione – l’assoluzione con la formula perché "il fatto non costituisce reato" è più favorevole di quella "perché il fatto non è preveduto dalla legge come reato", per cui, assolto in primo grado l’imputato con la prima formula, il giudice dell’appello, intervenuta nelle more la depenalizzazione degli illeciti e in assenza di impugnazione del pubblico ministero, non può pronunciare proscioglimento mediante adozione della seconda, altrimenti violando il divieto di "reformatio in peius". * Cass. pen., sez. III, 14 aprile 2016, n. 15460 (ud. 10 febbraio 2016), Ingegneri. [RV267825] g) Associazione per delinquere. l Ai fini della individuazione del regime sanzionatorio applicabile ai reati permanenti, nella ipotesi di successione di leggi nel tempo, deve farsi riferimento alla data del decreto che dispone il giudizio e, ove questo manchi, trattandosi di rito abbreviato, alla data della richiesta di rinvio a giudizio.(Fattispecie in tema di reati di associazione per delinquere di stampo mafioso). * Cass. pen., sez. I, 9 novembre 2015, n. 44704 (ud. 5 maggio 2015), Iaria e altri. [RV265253] 3. Obbligatorietà della legge penale. – La legge penale italiana obbliga tutti coloro che, cittadini o stranieri, si trovano nel territorio dello Stato (42, 2423), salve le eccezioni stabilite dal diritto pubblico interno o dal diritto internazionale (10, 68, 90, 1224 Cost.) (1). La legge penale italiana obbliga altresì tutti coloro che, cittadini o stranieri, si trovano all’estero, ma limitatamente ai casi stabiliti dalla legge medesima (7 ss.) o dal diritto internazionale (1080 c.n.; 17, 18 c.p.m.p.) (1). (1) Le eccezioni previste dal diritto pubblico interno riguardano: a) il Capo dello Stato; b) i membri del Parlamento, i consiglieri regionali, i giudici della Corte costituzionale e i membri del Consiglio superiore della magistratura. Le eccezioni previste dal diritto internazionale riguardano: a) la persona del Sommo Pontefice; b) i Capi di Stato esteri e i reggenti; c) i Capi di governo e ministri di Stati esteri o rappresentanti di questi in conferenze o organizzazioni internazionali e i membri stranieri di tribunali arbitrali; d) gli Agenti diplomatici presso il Capo dello Stato, i membri della famiglia dell’agente conviventi, i membri delle missioni militari e tecniche e le loro famiglie, il personale amministrativo e le loro famiglie purché conviventi a carico e gli appartenenti al personale di servizio per gli atti compiuti nell’esercizio delle loro COM_218_CodicePenaleCommentato_2017_1.indb 70 70 funzioni salvo che non si tratti di cittadini dello Stato ospitante o di persone che abbiano fissato la loro residenza in Italia; e) i membri del Parlamento europeo; f) i Consoli, i vice consoli e gli Agenti consolari; g) i giudici della Corte dell’Aia; h) i membri delle istituzioni specializzate e i rappresentanti dell’O.N.U.; i) i corpi o reparti di truppe straniere, con particolare riferimento ai membri e alle persone al seguito delle forze armate della N.A.T.O. l In tema di immunità previste dal diritto internazionale, poiché alla Repubblica del Montenegro non spetta, nell’ambito della comunità internazionale, la qualifica di Stato sovrano e di soggetto autonomo e indipendente (che fa capo solo allo Stato Unione di Serbia e Montenegro), il presidente della Repubblica e il capo del governo del Montenegro non godono delle immunità dalla giurisdizione penale italiana riconosciute ai capi di Stato e di governo e ai Ministri degli esteri degli Stati sovrani e soggetti di diritto internazionale. (Fattispecie nella quale la Corte ha annullato l’ordinanza del tribunale del riesame che, a conferma della decisione del g.i.p., aveva rigettato, sul rilievo di tale immunità, una richiesta, avanzata nei confronti del Presidente della Repubblica del Montenegro, di misura cautelare per associazione per delinquere finalizzata al contrabbando di t.l.e.). * Cass. pen., sez. III, 28 dicembre 2004, n. 49666 (c.c. 17 settembre 2004), P.M. in proc. Djukanovic. [RV230222] l L’immunità, che comporta la sottrazione per taluni soggetti all’applicabilità delle sanzioni penali, costituendo un’eccezione al principio di obbligatorietà della legge penale, non può che derivare da disposizioni legislative ed è insuscettibile di interpretazioni estensive ed analogiche, come del resto avverte l’art. 3 c.p. nel limitarla ai soli casi stabiliti dal diritto pubblico interno e dal diritto internazionale. Il diritto internazionale riconosce l’immunità ai soli capi di Stato per il fatto che essi rappresentano i rispettivi Stati. Tutte le altre immunità non possono che sorgere da specifiche norme legislative, le quali non solo devono formulare il collegamento tra l’organo e la sua qualità di rappresentante dello Stato straniero, ma devono altresì indicare se l’esonero è generale, ovvero limitato ai fatti commessi nell’esercizio delle loro funzioni. Pertanto l’immunità non può essere riconosciuta al deputato alla sanità e sicurezza sociale del Congresso di stato di S. Marino. * Cass. pen., sez. III, 12 maggio 1998, n. 1011 (c.c. 17 marzo 1997), P.M. in proc. Ghiotti R. [RV210861] l Le immunità dalla giurisdizione previste dalle Convenzioni di Vienna sulle relazioni diplomatiche e consolari, ratificate e rese esecutive in Italia con L. 9 agosto 1967, n. 804, non sono limitate ai soli rappresentanti diplomatici veri e propri. L’art. 43 della Convenzione del 24 aprile 1963 02/03/17 10:08 71 TITOLO I – LEGGE PENALE sulle relazioni consolari, infatti, stabilisce, al primo comma, che anche i «funzionari consolari» e gli «impiegati consolari» non possono essere sottoposti a giudizio dalle autorità giudiziarie e amministrative dello Stato di residenza per gli atti compiuti nell’esercizio delle funzioni consolari. (Sulla scorta del principio di cui in massima la Cassazione ha ritenuto corretta la decisione del giudice di merito che aveva dichiarato l’improcedibilità dell’azione penale per il fatto compiuto dall’imputato – e ritenuto integrare la contravvenzione di cui all’art. 674 c.p. – nell’esercizio delle funzioni di sovrintendente del Cimitero militare americano di Nettuno e di membro della missione diplomatica degli Stati Uniti). * Cass. pen., sez. I, 19 gennaio 1994, n. 469 (ud. 12 novembre 1993), P.M. in proc. Bevilacqua. 4. Cittadino italiano. Territorio dello Stato (1). – Agli effetti della legge penale, sono considerati «cittadini italiani» i cittadini delle colonie, i sudditi coloniali (2), gli appartenenti per origine o per elezione ai luoghi soggetti alla sovranità dello Stato e gli apolidi residenti nel territorio dello Stato (2423). Agli effetti della legge penale, è «territorio dello Stato» il territorio «della Repubblica», quello delle colonie (3) e ogni altro luogo soggetto alla sovranità dello Stato. Le navi e gli aeromobili italiani sono considerati come territorio dello Stato, ovunque si trovino, salvo che siano soggetti, secondo il diritto internazionale, a una legge territoriale straniera (2, 3, 4 c.n.). (1) Si veda la L. 5 febbraio 1992, n. 91 recante nuove norme sulla cittadinanza italiana. (2) I riferimenti ai cittadini delle colonie ed ai sudditi coloniali devono ritenersi non più operanti. (3) Il riferimento al territorio delle colonie deve ritenersi non più operante. l È perseguibile in base alla legislazione italiana e davanti al giudice italiano la violazione di norme in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro accertata a bordo di una nave battente bandiera straniera, attraccata in un porto italiano, quando detta violazione, ed i conseguenti effetti lesivi, non abbiano interessato soggetti appartenenti alla c.d. «comunità navale» sottoposta, come tale, alla giurisdizione dello Stato cui la nave appartiene, ma bensì soggetti estranei alla detta comunità quali, nella specie, lavoratori italiani addetti alle operazioni di carico. (Fattispecie in cui delle lesioni colpose di un lavoratore, socio di una cooperativa, caduto dall’alto durante lo stivaggio di una nave è stato ritenuto responsabile il presidente della cooperativa). * Cass. pen., sez. IV, 24 giugno 2000, n. 7409 (ud. 2 maggio 2000), D’Este F. [RV216605] l In caso di perpetrazione di reato su nave mercantile che si trovi nelle acque territoriali di altro Stato, prevale la giurisdizione dello Stato di COM_218_CodicePenaleCommentato_2017_1.indb 71 Art. 4 bandiera allorché l’illecito concerna esclusivamente le attività e gli interessi della comunità nazionale cui appartiene il natante, mentre prevale quella dello Stato costiero ove le conseguenze del fatto compiuto a bordo si ripercuotano o siano idonee a ripercuotersi all’esterno incidendo su interessi primari della comunità territoriale. Tali interessi vanno valutati con riferimento non solo al bene giuridico tutelato dalla norma di cui si assume la violazione, ma anche alla situazione verificatasi in concreto che diviene rilevante per lo Stato costiero allorquando per le sue connotazioni realizzi una condizione di effettivo pericolo che, rendendo probabile l’offesa per la pace pubblica del paese o per il buon ordine del mare territoriale, imponga l’intervento dello Stato costiero. (Fattispecie relativa a ritrovamento su nave mercantile straniera nelle acque territoriali italiane di armi da guerra costituenti dotazione della nave stessa regolarmente iscritte nei libri di bordo e denunciate alle competenti autorità straniere. La Corte di cassazione ha escluso la giurisdizione del giudice italiano). * Cass. pen., Sezioni Unite, 26 gennaio 1990, n. 1002 (ud. 16 novembre 1989), Zaid Avraham. l La legge doganale 25 settembre 1940 n. 7424, art. 33, eleva a dodici miglia marine dalla costa la zona di vigilanza doganale, comprendendo in essa fino a sei miglia il vero e proprio mare territoriale, e da sei a dodici la zona contigua, così che, ai fini della giurisdizione dello Stato italiano, deve ritenersi commesso entro il territorio dello Stato italiano il reato di contrabbando commesso entro le dodici miglia dalla costa. * Cass. pen., Sezioni Unite, 19 gennaio 1952, Poitral. 5. Ignoranza della legge penale. – Nessuno può in- vocare a propria scusa l’ignoranza della legge penale (473) (1). (1) La Corte costituzionale, con sentenza 24 marzo 1988, n. 364, ha dichiarato l’incostituzionalità di questo articolo, nella parte in cui non esclude dall’inescusabilità dell’ignoranza della legge penale l’ignoranza inevitabile. SOMMARIO: a) Nozione e ratio; b) Ignoranza inevitabile – Errore scusabile; c) Buona fede nei reati contravvenzionali; d) Casistica. a) Nozione e ratio. l L’errore di diritto inevitabile esclude la colpevolezza anche quando cada sulla norma extrapenale integratrice. * Cass. pen., sez. VI, 24 novembre 2011, n. 43646 (ud. 22 giugno 2011), S. [RV251044] l La valutazione dell’inevitabilità dell’errore di diritto, rilevante ai fini dell’esclusione della colpevolezza, deve tenere conto tanto dei fattori esterni che possono aver determinato nell’agente l’ignoranza della rilevanza penale del suo com- 02/03/17 10:08 Art. 5 LIBRO I – DEI REATI portamento, quanto delle conoscenze e delle capacità del medesimo. (Fattispecie relativa al reato di concorso della madre dell’infante nel delitto di cui all’art. 348 c.p., avente ad oggetto la ritenuta rilevanza dell’ignoranza della natura medica della circoncisione praticata per motivi rituali e della conseguente necessità che ad effettuarla sia un soggetto abilitato all’esercizio della professione medica, e ciò per essere quella madre di recente immigrata da un paese straniero in cui tale pratica è diffusa per tradizione etnica, dalla quale la stessa è risultata essere fortemente influenzata in ragione del suo basso grado di cultura). * Cass. pen., sez. VI, 24 novembre 2011, n. 43646 (ud. 22 giugno 2011), S. [RV251045] l Non può essere invocata l’ignoranza della legge penale ex art. 5 c.p. – alla luce dell’orientamento della giurisprudenza costituzionale – da parte di chi, professionalmente inserito in un campo di attività collegato alla materia disciplinata dalla legge integratrice del predetto penale, non si uniformi alle regole di settore, per lui facilmente conoscibili a ragione dell’attività professionale svolta. (Nella fattispecie, la S.C. ha escluso che l’errore sulla qualifica demaniale di un’area o terreno, in riferimento al reato di occupazione abusiva di suolo demaniale marittimo, possa essere invocato da un soggetto, legale rappresentante di una società operante nell’ambito dei cantieri navali). * Cass. pen., sez. III, 14 maggio 2004, n. 22813 (ud. 15 aprile 2004), Ferri. [RV229228] l Deve escludersi che l’errore del pubblico ufficiale circa le proprie facoltà di disposizione del pubblico denaro per fini diversi da quelli istituzionali possa assumere qualsivoglia efficacia scriminante perché, pur essendo la destinazione delle somme determinata da una norma di diritto amministrativo, tale norma deve intendersi richiamata dalla norma penale, della quale integra il contenuto. Pertanto, l’illegittimità della destinazione, anche se imputabile ad ignoranza dell’agente sui limiti dei propri poteri, non si risolve in un errore di fatto su legge diversa da quella penale, ma costituisce errore o ignoranza della legge penale e, come tale, non vale ad escludere l’elemento soggettivo del reato di peculato che consiste nella coscienza e volontà di far proprie somme di cui il pubblico ufficiale ha il possesso per ragioni del suo ufficio. Né potrebbe essere utilmente richiamato il decisum della sentenza costituzionale n. 364 del 1988 che ha dichiarato illegittimo l’art. 5 c.p., nella parte in cui non esclude dall’inescusabilità dell’ignoranza della legge penale l’ignoranza inevitabile. Infatti, i soggetti che esplicano professionalmente una determinata attività rispondono anche in virtù della culpa levis nello svolgimento dell’indagine giuridica; da ciò deriva che per la scusabilità dell’ignoranza (e, dunque, anche dell’errore) occorre che da un comportamento degli organi amministrativi o da un complessivo pacifico orientamento giu- COM_218_CodicePenaleCommentato_2017_1.indb 72 72 risprudenziale venga tratto il convincimento della correttezza dell’interpretazione e, conseguentemente, della liceità del comportamento tenuto. * Cass. pen., sez. VI, 5 ottobre 1994, n. 10458 (ud. 30 giugno 1994), Diene ed altri. b) Ignoranza inevitabile – Errore scusabile. l La valutazione dell’inevitabilità dell’errore di diritto, rilevante ai fini dell’esclusione della colpevolezza, deve tenere conto tanto dei fattori esterni che possono aver determinato nell’agente l’ignoranza della rilevanza penale del suo comportamento, quanto delle conoscenze e delle capacità del medesimo. (Fattispecie relativa al reato di concorso della madre dell’infante nel delitto di cui all’art. 348 c.p., avente ad oggetto la ritenuta rilevanza dell’ignoranza della natura medica della circoncisione praticata per motivi rituali e della conseguente necessità che ad effettuarla sia un soggetto abilitato all’esercizio della professione medica, e ciò per essere quella madre di recente immigrata da un paese straniero in cui tale pratica è diffusa per tradizione etnica, dalla quale la stessa è risultata essere fortemente influenzata in ragione del suo basso grado di cultura). * Cass. pen., sez. VI, 24 novembre 2011, n. 43646 (ud. 22 giugno 2011), S. [RV251045] l La scusabilità dell’ignoranza della legge penale, può essere invocata dall’operatore professionale di un determinato settore solo ove dimostri, da un lato, di aver fatto tutto il possibile per richiedere alle autorità competenti i chiarimenti necessari e, dall’altro, di essersi informato in proprio, ricorrendo ad esperti giuridici, così adempiendo il dovere di informazione. (In applicazione di tale principio, la Corte ha ritenuto inescusabile l’ignoranza, da parte del titolare di uno stabilimento di depurazione e stabulazione di molluschi, delle procedure di rinnovo delle concessioni demaniali marittime, invocata per l’asserita "farraginosità " della disciplina tale da giustificare l’emanazione di una norma di interpretazione autentica, nonché" per la difficoltà di reperire corrette informazioni sul trasferimento di competenze alla Regione). * Cass. pen., sez. III, 3 ottobre 2011, n. 35694 (ud. 5 aprile 2011), Pavanati. [RV251225] l L’esclusione di colpevolezza per errore di diritto dipendente da ignoranza inevitabile della legge penale può essere giustificata da un complessivo e pacifico orientamento giurisprudenziale che abbia indotto nell’agente la ragionevole conclusione della correttezza della propria interpretazione del disposto normativo. Ne consegue che in caso di giurisprudenza non conforme o di oscurità del dettato normativo sulla regola di condotta da seguire non è possibile invocare la condizione soggettiva di ignoranza inevitabile, atteso che, in caso di dubbio, si determina un obbligo di astensione dall’intervento, con l’espletamento di qualsiasi utile accertamento volto a conseguire la corretta conoscenza della legislazione vigente in 02/03/17 10:08 73 TITOLO I – LEGGE PENALE materia. (Fattispecie in tema di coltivazione per uso personale di sostanze stupefacenti). * Cass. pen., sez. VI, 23 febbraio 2011, n. 6991 (ud. 25 gennaio 2011), Sirignano e altro. [RV249451] l Deve essere considerato errore sulla legge penale, come tale inescusabile, sia quello che cade sulla struttura del reato, sia quello che incide su norme, nozioni e termini propri di altre branche del diritto, introdotte nella norma penale ad integrazione della fattispecie criminosa, dovendosi intendere per «legge diversa dalla legge penale» ai sensi dell’art. 47 c.p. quella destinata in origine a regolare rapporti giuridici di carattere non penale e non esplicitamente incorporata in una norma penale, o da questa non richiamata anche implicitamente. (Nella specie, la Corte ha ritenuto che l’art. 76 D.L.vo n. 115 del 2002, che disciplina la materia del patrocinio a spese dello Stato ed è espressamente richiamato dalla norma incriminatrice di cui all’art. 95 stesso D.L.vo, non costituisca legge extrapenale). * Cass. pen., sez. IV, 21 ottobre 2010, n. 37590 (ud. 7 luglio 2010), P.G. in proc. Barba. [RV248404] l L’inevitabilità dell’errore sulla legge penale non si configura quando l’agente svolge una attività in uno specifico settore rispetto alla quale ha il dovere di informarsi con diligenza sulla normativa esistente. (In applicazione di questo principio la S.C. ha ritenuto legittima la decisione con cui il giudice di appello ha affermato la sussistenza del reato di cui all’art. 220, comma secondo, L. fall. nei confronti del socio accomandatario di una s.a.s. che aveva invocato l’ignoranza senza colpa del precetto penale, avendo assunto la qualifica di amministratore per fare un favore ad un amico). (Corte cost. n. 364 del 1988). * Cass. pen., sez. V, 3 giugno 2008, n. 22205 (ud. 26 febbraio 2008), Ciccone. [RV240440] l La esclusione di colpevolezza per errore di diritto dipendente da ignoranza inevitabile della legge penale può essere giustificata da un complessivo e pacifico orientamento giurisprudenziale che abbia indotto nell’agente la ragionevole conclusione della correttezza della propria interpretazione normativa; ma in caso di giurisprudenza non conforme o di oscurità del dettato normativo sulla regola di condotta da seguire non è possibile invocare la condizione soggettiva di ignoranza inevitabile, atteso che in caso di dubbio si determina l’obbligo di astensione dall’intervento e dell’espletamento di qualsiasi utile accertamento per conseguire la corretta conoscenza della legislazione vigente in materia. (Fattispecie relativa al regime vincolistico successivo alla scadenza temporale di validità dei programmi pluriennali di attuazione per le edificazioni in zone oggetto di pianificazione al momento di entrata in vigore della legge 8 agosto 1985 n. 431). * Cass. pen., sez. III, 24 giugno 2004, n. 28397 (ud. 16 aprile 2004), P.G. in proc. Giordano. Conforme, COM_218_CodicePenaleCommentato_2017_1.indb 73 Art. 5 Cass. pen., sez. VI, 23 febbraio 2011, n. 6991 (ud. 20 gennaio 2011), Sirignano e altro. [RV229060] l L’ignoranza della legge penale, l’agente abbia fatto tutto il possibile per adeguarsi al dettato della norma e questa sia stata violata per cause indipendenti dalla sua volontà. Ne consegue che non è sufficiente ad integrare gli estremi della scriminante il comportamento passivo dell’agente, essendo invece necessario che questi si attenga con l’ordinaria diligenza all’obbligo di informazione e di conoscenza dei precetti normativi. (In applicazione di tale principio la Corte ha ritenuto non scriminare l’agente dall’aver dichiarato falsamente alla Capitaneria di porto di essere in possesso dei requisiti morali richiesti dal D.P.R. 9 ottobre 1997, n. 431 per l’ammissione agli esami per il conseguimento della patente nautica, il fatto che sul modulo prestampato predisposto dalla P.A. fosse richiamato genericamente il suddetto regolamento, senza citarne gli estremi). * Cass. pen., sez. V, 31 ottobre 2003, n. 41476 (ud. 25 settembre 2003), Izzo. [RV227042] l L’errore di diritto scusabile, ai sensi dell’art. 5 c.p. è configurabile soltanto in presenza di una oggettiva ed insuperabile oscurità della norma o del complesso di norme aventi incidenza sul precetto penale. Ne consegue che non è scusabile l’errore riferibile al calcolo dell’ammontare degli interessi usurari sulla base di quanto disposto dall’art. 644 c.p., trattandosi di interpretazione che, oltre ad essere nota all’ambiente del commercio, non presenta in sé particolari difficoltà. * Cass. pen., sez. VI, 22 settembre 2003, n. 36346 (ud. 5 febbraio 2003), Delucca. [RV226911] l La esclusione della colpevolezza nelle contravvenzioni non può essere determinata dall’errore di diritto dipendente da ignoranza non inevitabile della legge penale, quindi, dal mero errore di interpretazione, che diviene scusabile quando è determinato da un atto della pubblica amministrazione o tragga la convinzione della correttezza dell’interpretazione normativa e, di conseguenza, della liceità della propria condotta. * Cass. pen., sez. III, 21 aprile 2000, n. 4951 (ud. 17 dicembre 1999), Del Cuore F. Conformi: Cass. pen., sez. III, 7 gennaio 2008, n. 172 (ud. 6 novembre 2007), Picconi; Cass. pen., sez. III, 30 dicembre 2009, n. 49970 (ud. 4 novembre 2009), Cangialosi ed altri. [RV216561] l L’errore su legge diversa da quella penale, idoneo ad escludere la punibilità, è solo quello che riguarda una norma destinata in origine a regolare rapporti giuridici di carattere non penale, non richiamata né esplicitamente né implicitamente nella norma penale. Non è perciò scusabile l’errore che incide su precetti e termini di altre branche del diritto, introdotti ad integrazione della norma penale, proprio perché essi determinano il contenuto del comando penale. (Nella fattispecie, relativo alla pretesa dell’imputato di veder riconosciuto l’errore sulle norme in tema 02/03/17 10:08 Art. 5 LIBRO I – DEI REATI di società, la Corte ha affermato che la figura dell’amministratore di una società è espressamente richiamata dagli artt. 2621 c.c. e 223 legge fallimentare che prevedono reati propri). * Cass. pen., sez. V, 23 febbraio 2000, n. 2174 (ud. 11 gennaio 2000), Di Patti ed altri. [RV215480] l In materia di tutela ambientale e in tema di ignoranza della legge penale, l’affittuario di un fondo sottoposto al vincolo di cui alla legge n. 431/1985, che agisca in violazione dello stesso, non può addurre la carenza dell’elemento soggettivo del reato per il modesto livello d’istruzione o per l’esecuzione, prolungata nel tempo, di lavori d’aratura, consistenti, nella fattispecie, nel completo sradicamento di macchia mediterranea, senza alcun controllo da parte delle autorità preposte alla tutela del vincolo; infatti, l’accertamento dello stato della legislazione è tanto più necessario, quanto minore è la preparazione tecnica dell’agente. * Cass. pen., sez. III, 18 giugno 1997, n. 5961 (ud. 3 giugno 1997), Piras ed altro, in Riv. pen. 1997, 821. l Il fondamento costituzionale della «scusa» della inevitabile ignoranza della legge penale vale prima di tutto per chi versa in condizioni soggettive di sicura inferiorità e non può certo essere strumentalizzato per coprire omissioni di controllo o atteggiamenti indifferenti di soggetti dai quali, per la loro elevata condizione sociale e tecnica, sono esigibili particolari comportamenti realizzativi di obblighi strumentali di diligenza nel conoscere le leggi penali; l’ipotesi di un soggetto sano e maturo di mente che commetta fatti criminosi ignorandone la antigiuridicità è concepibile soltanto quando si tratti di reati che, sebbene presentino un generico disvalore sociale, non siano sempre e dovunque previsti come illeciti penali, ovvero di reati che non presentino neppure un generico disvalore sociale. In relazione a tali categorie di reati possono essere prospettate due ipotesi: quella in cui il soggetto si rappresenti effettivamente la possibilità che il suo fatto sia antigiuridico e quella in cui tale possibilità non si rappresenti neppure; mentre nella prima di dette ipotesi esistendo, in concreto, più che la possibilità di conoscenza dell’effettiva illiceità del fatto, la concreta previsione di essa, non può ravvisarsi ignoranza inevitabile della legge penale (dovendo il soggetto risolvere il «dubbio eventuale» attraverso l’esatta conoscenza della specifica norma o, in caso di soggettiva invincibilità di esso, astenersi dall’azione), nella seconda ipotesi è riservato al giudice il compito di una valutazione attenta delle ragioni per le quali l’agente, che ignora la legge penale, non si è neppure prospettato un dubbio sulla illiceità del fatto e, se l’assenza di simile dubbio risulti discendere – in via principale – da personale ed incolpevole mancanza di socializzazione dello stesso, l’ignoranza della legge penale va, di regola, ritenuta inevitabile. * Cass. pen., sez. III, 12 giugno 1996, n. 2149 (c.c. 9 maggio 1996), Falsini. [RV205513] COM_218_CodicePenaleCommentato_2017_1.indb 74 74 l In tema di elemento soggettivo del reato, è configurabile l’inevitabilità dell’ignoranza della legge penale anche nei confronti di quei soggetti dotati di particolari conoscenze giuridiche o dediti ad attività professionali o mestieri, che presuppongono tali condizioni, qualora la normativa, attinente alla specifica disciplina, oggetto di regolamentazione, presenti rilevanti ed oggettivi connotati di equivocità, che rendano ragionevolmente oscuro il precetto, contenente il divieto d’agire ovvero l’ordine di operare. In tal caso non può essere mosso alcun addebito di rimproverabilità all’agente, qualunque sia il suo grado di «socializzazione», non potendosi pretendere dal singolo un’astensione (tra l’altro impossibile nelle ipotesi di ordine positivo) o una paralisi di attività della vita di relazione, non dovuta, perché ascrivibili non alla coscienza d’illiceità della condotta da parte del privato, ma al cattivo funzionamento dell’apparato ordinamentale. (Nella specie la S.C. ha ritenuto che trova piena applicazione il suddetto principio, reputata estremamente complessa la normativa. [legislazione vigente in materia di sussistenza dei vincoli paesistici con riferimento ai piani pluriennali di attuazione ed alla possibilità di inquadrare tra questi ultimi i piani di zona per l’edilizia economica e popolare – Peep] e, nella sua diversificata formulazione, oggettivamente oscura per gli stessi tecnici del diritto, come dimostrato dai contrasti interpretativi in sede cautelare ed in sede di cognizione, ciò in presenza di vari atti dell’assessore all’urbanistica, il quale si era ripetutamente espresso per la non necessità del nulla osta in riferimento agli interventi di edilizia residenziale pubblica). * Cass. pen., sez. III, 27 maggio 1996, n. 5244 (ud. 23 aprile 1996), Gatto. [RV205109] l Deve ritenersi inevitabile l’ignoranza della legge penale, quando l’agente sia incorso nella trasgressione nonostante si sia attenuto correttamente e con l’ordinaria diligenza all’obbligo di informazione e di conoscenza dei precetti normativi, posto a carico di tutti i consociati quale esplicazione dell’ampio dovere di solidarietà sociale e l’accertamento di tale diligenza deve essere particolarmente approfondito per chi esercita professionalmente in un determinato settore un’attività alla quale inerisce la disciplina predisposta dalle norme violate, sicché non è sufficiente ad integrare gli estremi della scriminante un comportamento meramente passivo dell’agente, mentre è necessario che si tratti di un reato di creazione legislativa e non di una norma corrispondente ad un’esigenza morale universalmente avvertita. (Fattispecie in tema di omessa annotazione sulle scritture contabili di cessioni di beni). * Cass. pen., sez. III, 3 maggio 1996, n. 4464 (ud. 20 marzo 1996), Stefanelli. [RV204431] l A seguito della sentenza 23 marzo 1988 n. 364 della Corte costituzionale, secondo la quale l’ignoranza della legge penale, se incolpevole a cagione della sua inevitabilità, scusa l’autore dell’il- 02/03/17 10:08 75 TITOLO I – LEGGE PENALE lecito, vanno stabiliti i limiti di tale inevitabilità. Per il comune cittadino tale condizione è sussistente, ogni qualvolta egli abbia assolto, con il criterio dell’ordinaria diligenza, al cosiddetto «dovere di informazione», attraverso l’espletamento di qualsiasi utile accertamento, per conseguire la conoscenza della legislazione vigente in materia. Tale obbligo è particolarmente rigoroso per tutti coloro che svolgono professionalmente una determinata attività, i quali rispondono dell’illecito anche in virtù di una culpa levis nello svolgimento dell’indagine giuridica. Per l’affermazione della scusabilità dell’ignoranza, occorre, cioè, che da un comportamento positivo degli organi amministrativi o da un complessivo pacifico orientamento giurisprudenziale, l’agente abbia tratto il convincimento della correttezza dell’interpretazione normativa e, conseguentemente, della liceità del comportamento tenuto. (Fattispecie relativa a reati urbanistici, in relazione ai quali la Suprema Corte ha confermato l’assoluzione pronunciata dal giudice di merito per mancanza dell’elemento soggettivo del reato, motivata dalla convinzione degli imputati dell’assenza del vincolo di inedificabilità, più volte affermata in provvedimenti del giudice amministrativo, nonché in specifici atti ufficiali del Ministero dei beni culturali e ambientali e del Comune interessato, e ha conseguentemente ritenuto assorbita, perché irrilevante, la questione della sindacabilità, da parte del giudice ordinario, della concessione «macroscopicamente illegittima»). * Cass. pen., Sezioni Unite, 18 luglio 1994, n. 8154 (ud. 10 giugno 1994), P.G. in proc. c. Calzetta ed altro. Conforme, Cass. pen., sez. IV, 18 agosto 2010, n. 32069 (c.c. 15 luglio 2010), P.M. in proc. Albuzza e altri. l L’incertezza che potrebbe derivare da contrastanti indirizzi giurisprudenziali, nell’interpretazione ed applicazione di una norma, non abilita da sola ad invocare la condizione soggettiva di ignoranza inevitabile della legge penale. Al contrario, il dubbio sulla liceità o meno, così originato, deve indurre il soggetto ad un atteggiamento più attento, fino, cioè (secondo l’esplicito pensiero espresso nella sentenza della Corte costituzionale 24 marzo 1988, n. 364) all’estensione dell’azione, se, nonostante tutte le informazioni assunte, permanga l’incertezza sulla liceità dell’azione stessa; e ciò, perché il dubbio, non essendo equiparabile allo stato di inevitabile ed invincibile ignoranza, non esclude la consapevolezza della illiceità. * Cass. pen., sez. III, 2 luglio 1994, n. 7550 (ud. 1 giugno 1994), Cherubini. Conforme, Cass. pen., sez. VI, 27 maggio 1995, n. 6175 (ud. 27 marzo 1995), Bando. l In tema di ignoranza scusabile della legge penale, su coloro che esercitano professionalmente un’attività incombe il dovere, nell’ipotesi di dubbio sulla liceità dell’azione, di astenersi dal compierla. * Cass. pen., sez. III, 23 giugno 1994, n. 7287 (ud. 6 maggio 1994), Bonsignore. COM_218_CodicePenaleCommentato_2017_1.indb 75 Art. 5 l Non può ritenersi inquadrabile nell’ambito delle situazioni soggettive che, solo eccezionalmente, alla stregua di quanto affermato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 364/1988 (dichiarativa della parziale incostituzionalità dell’art. 5 c.p.), consentono di ritenere inoperante il principio generale, tuttora valido, della inescusabilità della ignoranza della legge penale, la situazione di chi, sol perché straniero, adduca a sua giustificazione la diversità della legge italiana rispetto a quella del suo paese d’origine. (Nella specie, in applicazione di tale principio, la Corte ha escluso che potesse attribuirsi rilevanza, in un caso di violenza carnale presunta, in quanto commessa su soggetto infraquattordicenne, all’assunto difensivo dell’imputato, cittadino marocchino, secondo il quale in Marocco i rapporti sessuali con minori sarebbero considerati leciti dalla legge). * Cass. pen., sez. III, 15 marzo 1994, n. 3114 (ud. 7 dicembre 1993), Tabib. l Si verifica in ipotesi di ignoranza inescusabile della legge penale, nel caso in cui il soggetto, pur dimostrando di conoscere appieno il precetto penale non vi si conformi in base a mere notizie giornalistiche, inerenti alla eventuale imminente modifica della norma in senso più favorevole. In tal caso l’agente, deve accertare in modo irrefutabile l’avvenuto cambiamento, attenendosi fino a quel momento alla disposizione vigente. * Cass. pen., sez. III, 6 ottobre 1993, n. 9092 (ud. 18 giugno 1993), Santarelli. l Ai fini della configurabilità dell’ignoranza scusabile della legge penale, la scriminante della buona fede può trovare applicazione solo nell’ipotesi in cui l’agente abbia fatto tutto il possibile per adeguarsi al dettato della norma e questa sia stata violata per cause indipendenti dalla volontà dell’agente medesimo, al quale non può essere mosso alcun rimprovero, neppure di semplice leggerezza. Non è sufficiente ad integrare gli estremi dell’esimente un comportamento meramente passivo, essendo necessario che l’interessato si attivi per adeguarsi all’ordinamento giuridico. * Cass. pen., sez. III, 23 luglio 1993, n. 7161 (ud. 3 giugno 1993), Cardia. l L’inevitabilità dell’ignoranza della legge penale, che a seguito della sentenza n. 364 del 1988 della Corte costituzionale, rende scusabile la ignoranza stessa, non va valutata alla stregua di criteri esclusivamente soggettivi, ma si ricollega all’effettiva possibilità di conoscere la legge penale ed ai doveri di informazione o di attenzione sulle norme penali; doveri che sono alla base della convivenza civile. * Cass. pen., sez. VI, 20 maggio 1993, n. 5225 (ud. 12 marzo 1993), Sicurella. c) Buona fede nei reati contravvenzionali. l In tema di elemento psicologico del reato, la cosiddetta "buona fede" è configurabile ove la mancata coscienza dell’illiceità del fatto derivi non dall’ignoranza dalla legge, ma da un 02/03/17 10:08 Art. 5 LIBRO I – DEI REATI elemento positivo e cioè da una circostanza che induce nella convinzione della sua liceità, come un provvedimento dell’autorità amministrativa, una precedente giurisprudenza assolutoria o contraddittoria, una equivoca formulazione del testo della norma. * Cass. pen., sez. III, 8 luglio 2015, n. 29080 (c.c. 19 marzo 2015), P.M. in proc. Palau. [RV264184] l L’ignoranza della legge penale scusa l’autore dell’illecito qualora sia inevitabile, e quindi incolpevole, facendo venir meno l’elemento soggettivo del reato, anche se contravvenzionale. Tale condizione deve ritenersi sussistente per il cittadino comune, soprattutto se sfornito di specifiche competenze, allorché egli abbia assolto il dovere di conoscenza con l’ordinaria diligenza attraverso la corretta utilizzazione dei mezzi di informazione, di indagine e di ricerca dei quali disponga. (Fattispecie concernente la riconducibilità alla categoria delle armi di un apparecchio che trasmette impulsi elettrici). (V. Corte cost., 23 marzo 1988 n. 364). * Cass. pen., sez. I, 9 giugno 2004, n. 25912 (ud. 18 dicembre 2003), Garzanti. [RV228235] l In materia contravvenzionale è configurabile la buona fede ove la mancata coscienza della illiceità del fatto derivi non dall’ignoranza inescusabile della legge, ma da un elemento positivo, cioè da una circostanza che induce nella convinzione della sua liceità, come un comportamento dell’autorità amministrativa. (Nella specie l’imputato aveva ritenuto che l’autorizzazione di agibilità dei locali del suo insediamento produttivo rilasciatogli dal sindaco fosse comprensiva anche dell’autorizzazione allo scarico dei reflui provenienti dallo stesso insediamento, in tale erronea convinzione essendo stato indotto dal comportamento dell’autorità amministrativa). * Cass. pen., sez. III, 3 marzo 1992, n. 2336 (ud. 31 gennaio 1992), Santori. Conforme, Cass. pen., sez. III, 21 aprile 1989, n. 6160 (ud. 8 marzo 1989), Greco. u Si veda anche sub art. 42. d) Casistica. l Le partizioni sistematiche di una legge, in particolare titoli, capi e rubriche, non fanno parte né integrano il testo legislativo e quindi non vincolano l’interprete, in quanto la disciplina normativa sulla formazione delle leggi prevede che solo i singoli articoli siano oggetto di esame e di approvazione da parte degli organi legislativi. (Fattispecie in cui la Corte ha evidenziato la natura funzionale della competenza dei giudici della sorveglianza, pur rilevando che la rubrica dell’art. 677 c.p.p. recita: "Competenza per territorio"). * Cass. pen., sez. I, 20 aprile 2015, n. 16372 (c.c. 20 marzo 2015), P.G. in proc. De Gennaro. [RV263325] l In tema di reati contro il patrimonio, ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 2, L. 23 dicembre 1986, n. 898 (indebito conseguimen- COM_218_CodicePenaleCommentato_2017_1.indb 76 76 to di contributi a carico del Fondo europeo agricolo di orientamento e garanzia, cosiddetta frode comunitaria), l’eventuale ignoranza da parte del reo del contenuto della domanda e delle attestazioni effettuate e sottoscritte non esclude il dolo ex art. 5 c.p. in relazione alla sentenza della Corte cost. n. 364 del 1988, in quanto non si versa in tal caso in una ipotesi di ignoranza inevitabile della legge penale essendo noto il disvalore sociale della condotta. * Cass. pen., sez. III, 16 gennaio 2008, n. 2257 (ud. 30 novembre 2007), Di Stefano. [RV238627] l Ai fini della configurabilità del delitto di evasione dagli arresti domiciliari, ritenere che la notifica di un decreto di citazione per l’udienza autorizzi implicitamente ad allontanarsi dal luogo di restrizione, è un errore di diritto, in quanto afferisce alla disciplina degli arresti domiciliari che integra la fattispecie penale, e pertanto non può essere scusabile neppure per lo straniero, il quale, come il cittadino italiano, quando è destinatario di un regime di arresti domiciliari, deve osservare con la massima diligenza la regola fondamentale dell’assoluto divieto di allontanamento dal proprio domicilio, senza preventiva autorizzazione del giudice. * Cass. pen., sez. VI, 16 aprile 2004, n. 17687 (ud. 9 gennaio 2004), Caku. [RV228465] l Ai fini della sussistenza del reato di falso in scrittura privata non ha alcuna rilevanza il consenso o l’acquiescenza della persona di cui venga falsificata la firma, in quanto la tutela penale ha per oggetto non solo l’interesse della persona offesa, apparente firmataria del documento, ma anche la fede pubblica, la quale è compromessa nel momento in cui l’agente faccia uso della scrittura contraffatta per procurare a sè un vantaggio o per arrecare ad altri un danno; pertanto anche l’erroneo convincimento sull’effetto scriminante del consenso si risolve in una inescusabile ignoranza della legge penale. * Cass. pen., sez. II, 10 novembre 2003, n. 42790 (ud. 24 ottobre 2003), Del Miglio. [RV227615] l Nel reato di illegale detenzione di armi e munizioni l’elemento psicologico nel dolo generico, e cioè nella coscienza e volontà di avere a disposizione materialmente l’arma o le munizioni senza averne fatto denuncia, mentre a nulla rileva l’eventuale buona fede dell’agente ovvero l’erroneo convincimento circa l’obbligo della denuncia che si risolve in ignoranza della legge penale, inescusabile per il principio generale sancito dall’art. 5 c.p. * Cass. pen., sez. I, 2 aprile 2001, n. 12911 (ud. 19 dicembre 2000), Bortoluzzi. [RV218441] l Poiché lo scopo della L. 4 aprile 1956, n. 212 (norme per la disciplina della propaganda elettorale) è quello di tutelare la par condicio di coloro che concorrono nella competizione elettorale, l’art. 8, comma 3 della legge punisce non solo chiunque affigge manifesti elettorali fuori delle superfici globalmente destinate alla propaganda elettorale, ma a maggior ragione, punisce anche 02/03/17 10:08 77 TITOLO I – LEGGE PENALE chiunque affigge manifesti dentro quelle superfici globali e tuttavia fuori della specifica superficie assegnata alla lista o al concorrente uninominale propagandato dal manifesto affisso. (Nella specie, la Suprema Corte ha altresì osservato che «non può ritenersi errore scusabile sulla interpretazione della norma incriminatrice quello in cui sarebbero incorsi gli imputati: è nozione di comune esperienza che gli «attacchini» elettorali sono adeguatamente edotti sulle norme da osservare per le affissioni; e che se essi violano tali norme, le violano coscientemente o comunque per ignoranza non scusabile»). * Cass. pen., sez. III, 4 ottobre 1995, n. 10132 (ud. 27 giugno 1995), Sacco ed altro. [RV203086] l In tema di reato di maltrattamento di animali (art. 727 c.p.), il cosiddetto «dovere di informazione» cui il comune cittadino è tenuto, è esigibile anche dal cacciatore, che esercita un’attività normativamente disciplinata e condizionata dal rilascio di un’autorizzazione e non può, pertanto, invocare l’ignoranza scusabile della norma penale. (Fattispecie relativa alla detenzione di volatili, fungenti da richiamo, in minuscole gabbie, ossia in una condizione incompatibile con la loro natura). * Cass. pen., sez. III, 16 giugno 1995, n. 6897 (ud. 24 aprile 1995), Parussolo. [RV201787] l In tema di violazione degli obblighi di assistenza familiare, nella forma dell’omessa prestazione dei mezzi di sussistenza, non si può invocare l’errore di fatto, né l’ignoranza della legge penale sotto il profilo della sua inevitabilità, poiché l’obbligo sanzionato deriva da inderogabili principi di solidarietà, ben radicati nella coscienza della collettività, prima ancora che nell’ordinamento. (Fattispecie nella quale il difetto del dolo era stato sostenuto dall’imputato adducendo che l’udienza presidenziale di separazione tra i coniugi era stata rinviata, senza che alcun provvedimento fosse stato adottato riguardo al mantenimento). * Cass. pen., sez. V, 12 maggio 1995, n. 5447 (ud. 26 aprile 1995), De Padua. [RV201328] l L’ignoranza inevitabile della legge penale è configurabile solo se emerga che nessun rimprovero, neppure di leggerezza, possa essere mosso all’imputato per avere egli fatto tutto il possibile per uniformarsi alla legge. (Fattispecie relativa ad imputato che aveva scaricato nelle acque di un canale i reflui derivanti dalla propria attività produttiva ed era stato assolto dal giudice di merito per avere commesso il fatto in stato di ignoranza inevitabile della legge penale ingeneratogli dalla oscurità e difficoltà interpretativa della legislazione in materia e dai relativi contrasti giurisprudenziali circa la natura civile o produttiva degli insediamenti. La Corte di cassazione nell’annullare tale decisione ha osservato che quanto allegato avrebbe al più potuto ingenerare dubbio sulla qualifica dell’insediamento di cui l’imputato era a capo, risolvibile con l’ausilio di esperti, ma non dargli la certezza che si trattasse di un insedia- COM_218_CodicePenaleCommentato_2017_1.indb 77 Art. 6 mento civile al quale fosse consentito rimettere in acque superficiali scarichi inquinanti). * Cass. pen., sez. III, 5 aprile 1994, n. 3959 (ud. 31 gennaio 1994), Gualdi. l In materia di stupefacenti, è da escludere ogni ipotesi di ignoranza inevitabile (art. 5 c.p. a seguito della sentenza n. 364/1988 della Corte cost.), in considerazione degli interventi normativi del legislatore, ripetuti e risalenti nel tempo (L. 16 gennaio 1933, n. 130, che approvava la Convenzione di Ginevra del 13 luglio 1931 per limitare la fabbricazione e regolare la distribuzione degli stupefacenti; L.. 22 ottobre 1954, n. 1041, L. 22 dicembre 1975, n. 685, mod. dalla L. 26 giugno 1990, n. 162 e trasfusa nel T.U. 9 ottobre 1990, n. 309) e dell’enorme rilevanza della materia, con conseguente larghissima diffusione della comunicazione sociale intorno ad essa. (Fattispecie in tema di coltivazione di n. 991 piantine di papaver sonniferum, in cui era stata invocata l’ignoranza della legge da parte dell’imputato analfabeta). * Cass. pen., sez. VI, 28 giugno 1991, n. 6931 (ud. 22 febbraio 1991), La Porta. 6. Reati commessi nel territorio dello Stato. – Chiunque commette un reato nel territorio dello Stato (3, 42) è punito secondo la legge italiana (11). Il reato si considera commesso nel territorio dello Stato, quando l’azione o l’omissione, che lo costituisce, è ivi avvenuta in tutto o in parte, ovvero si è verificato l’evento che è la conseguenza dell’azione od omissione. SOMMARIO: a) Individuazione del reato commesso in territorio italiano – In genere; b) Reato concorsuale; c) Reati commessi via Internet. a) Individuazione del reato commesso in territorio italiano – In genere. l In relazione a reati commessi in parte anche all’estero, ai fini dell’affermazione della giurisdizione italiana, è sufficiente che nel territorio dello Stato si sia verificato l’evento o sia stata compiuta, in tutto o in parte, l’azione, con la conseguenza che, in ipotesi di concorso di persone, perché possa ritenersi estesa la potestà punitiva dello Stato a tutti i compartecipi e a tutta l’attività criminosa, ovunque realizzata, è sufficiente che in Italia sia stata posta in essere una qualsiasi attività di partecipazione ad opera di uno qualsiasi dei concorrenti, a nulla rilevando che tale attività parziale non rivesta in sè carattere di illiceità, dovendo essa essere intesa come frammento di un unico "iter" delittuoso da considerarsi come inscindibile. (In applicazione del principio, la Corte ha ritenuto sottoposto alla giurisdizione italiana il delitto di partecipazione ad associazione di tipo mafioso in riferimento a persona operante all’estero per conto di una consorteria la cui at- 02/03/17 10:08 Art. 6 LIBRO I – DEI REATI tività in Italia, posta in essere da altri sodali, era consistita esclusivamente nello sbarco di casse di tabacchi lavorati esteri e nella vendita di tali prodotti di contrabbando, senza esplicazione del metodo mafioso). * Cass. pen., sez. I, 3 ottobre 2014, n. 41093 (ud. 6 maggio 2014), Cuomo e altri. [RV260703] l In tema di mandato di arresto europeo, il motivo di rifiuto della consegna previsto dall’art. 18, comma primo, lett. p), L. 22 aprile 2005, n. 69, sussiste quando anche solo una parte della condotta si sia verificata in territorio italiano, purchè tale circostanza risulti con certezza, non potendosi ritenere sufficiente la mera ipotesi che il reato sia stato commesso in tutto o in parte in Italia. * Cass. pen., sez. VI, 10 maggio 2013, n. 20281 (ud. 24 aprile 2013), Vetro. [RV257025] l In tema di mandato di arresto europeo, quando la richiesta di consegna riguardi fatti commessi in parte nel territorio dello Stato ed in parte in territorio estero, la sussistenza del motivo di rifiuto previsto dall’art. 18, comma primo, lett. p), L. 22 aprile 2005, n. 69, deve essere valutata alla luce dell’art. 31, comma secondo, della Decisione quadro 2002/584/GAI del 13 giugno 2002, il quale fa salvi eventuali accordi o intese bilaterali o multilaterali, vigenti al momento della sua adozione e volti a semplificare o agevolare ulteriormente la consegna della persona richiesta. (Fattispecie relativa ad un m.a.e. emesso dall’autorità tedesca per reati in tema di stupefacenti, alcuni dei quali commessi in parte in Italia, in cui la S.C. ha ritenuto applicabile l’art. II dell’Accordo bilaterale italo-tedesco del 24 ottobre 1979, ratificato con legge 11 dicembre 1984, n. 969, con il quale le parti avevano limitato l’incidenza del motivo di rifiuto di cui all’art. 7 della Convenzione europea di estradizione del 1957, nell’ipotesi in cui la domanda di consegna avesse riguardato anche reati non soggetti alla giurisdizione dello Stato di rifugio, e fosse risultato opportuno far giudicare tutti i reati nello Stato richiedente). * Cass. pen., sez. VI, 10 maggio 2013, n. 20281 (ud. 24 aprile 2013), Vetro. [RV257024] l Sono punibili, secondo la legge italiana, come se commessi per intero in Italia, anche i reati la cui condotta sia avvenuta solo in parte nel territorio dello Stato o il cui evento si sia ivi verificato, ancorché si tratti di frammento di condotta privo dei requisiti di idoneità e inequivocità richiesti per il tentativo. (In applicazione del principio di cui in massima la S.C. ha ritenuto commesso in Italia il delitto di cui all’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990, sub specie di offerta, messa in vendita e cessione di sostanze stupefacenti, in quanto lo scambio della droga, ancorché materialmente avvenuto in territorio estero, era stato preceduto da contatti telefonici con i singoli acquirenti i quali percepivano la disponibilità alla cessione della droga in Italia da dove chiamavano). * Cass. COM_218_CodicePenaleCommentato_2017_1.indb 78 78 pen., sez. IV, 15 novembre 2012, n. 44837 (ud. 11 ottobre 2012), Pmt in proc. Krasniqi. [RV254968] l Il reato omissivo colposo si considera commesso nello Stato, in applicazione del principio di territorialità della legge penale, qualora abbia avuto luogo in tale territorio anche una sola parte della omissione causativa dell’evento. * Cass. pen., sez. IV, 1 giugno 2011, n. 22147 (ud. 10 marzo 2011), Bernard. [RV250701] l In tema di ricettazione, il reato deve ritenersi commesso nel territorio dello Stato qualora in Italia si sia proceduto alla sola predisposizione, mediante la creazione di un doppio fondo, del veicolo utilizzato per importare la merce illecita successivamente acquistata all’estero, non rilevando in proposito che l’originario programma criminoso prevedesse l’acquisto di beni, comunque di natura illecita, di genere diverso rispetto a quelli poi effettivamente acquisiti. (Fattispecie in tema di ricettazione di armi da guerra acquistate all’estero in luogo dell’originario programmato acquisto di una partita di stupefacente). * Cass. pen., sez. IV, 11 aprile 2008, n. 15280 (ud. 7 marzo 2008), Lentini. [RV239610] l Ai fini dell’affermazione della giurisdizione italiana in relazione a reati commessi in parte all’estero, è sufficiente che nel territorio dello Stato si sia verificata anche solo un frammento della condotta, intesa in senso naturalistico, e, quindi, un qualsiasi atto dell’iter criminoso. Connotazione che tuttavia non può essere riconosciuta ad un generico proposito, privo di concretezza e specificità, di commettere all’estero fatti delittuosi, poi lì integralmente realizzati, sotto il profilo soggettivo e oggettivo (fattispecie in tema di mandato di arresto europeo). * Cass. pen., sez. VI, 10 gennaio 2008, n. 1180 (c.c. 7 gennaio 2008), Lichtemberger, in Riv. pen. 2008, 502. Conformi: Cass. pen., sez. VI, 29 ottobre 2008, n. 40287 (c.c. 28 ottobre 2008), Erikci; Cass. pen., sez. IV, 22 aprile 2009, n. 17026 (ud. 17 dicembre 2008), Vigi. [RV238228] l In tema di stupefacenti, nel caso in cui il «corriere» della droga proveniente da uno Stato estero, sia sbarcato in un aeroporto italiano al solo fine di transitarvi verso una ulteriore destinazione estera, il delitto di importazione di sostanze stupefacenti deve ritenersi comunque consumato in Italia con conseguente attribuzione della giurisdizione al giudice italiano, individuato, sotto il profilo della competenza territoriale, in quello del luogo d’ingresso della droga entro il confine di Stato. * Cass. pen., sez. IV, 6 settembre 2007, n. 34116 (ud. 13 giugno 2007), Vilardell Bonadona. [RV236943] l In base al dettato dell’art. 6 c.p., il reato si considera commesso nel territorio dello Stato quando l’azione od omissione che lo costituisce è ivi avvenuta, in tutto od in parte, ovvero si è verificato nel territorio italiano l’evento che è conseguenza dell’azione od omissione; pertanto, la condotta del reato di frode in commercio che abbia avuto inizio in Italia, con la consegna della 02/03/17 10:08 79 TITOLO I – LEGGE PENALE merce da parte dell’imputato al vettore per la spedizione agli acquirenti, in territorio estero, radica la giurisdizione del giudice italiano. * Cass. pen., sez. III, 12 aprile 2005, n. 13151 (ud. 2 febbraio 2005), Vignola. [RV231828] l Per il principio della territorialità, previsto dall’art. 6 c.p., è sufficiente che un frammento dell’iter criminoso si sia verificato in Italia, purché risulti preordinato, con valutazione ex post, al raggiungimento dell’obiettivo criminoso. Ne consegue che la giurisdizione appartiene all’autorità giudiziaria italiana, anche se l’omicidio è stato commesso all’estero allorché l’arma del delitto e la benzina per bruciare il cadavere siano state procurate in Italia, in quanto si tratta di condotte preordinate a raggiungere l’obiettivo criminoso. * Cass. pen., sez. I, 27 settembre 2004, n. 38019 (ud. 12 maggio 2004), Selvaggi. [RV229734] l In caso di commissione di un reato su parte del territorio italiano successivamente ceduto ad altro Stato in virtù di un trattato di pace, la giurisdizione spetta all’autorità giudiziaria dello Stato cessionario, in quanto la cessione di un territorio sulla base di un atto legittimo dà luogo – salvo patto contrario – ad un immediato trasferimento della sovranità e delle connesse potestà già esercitate sui luoghi ceduti (in applicazione di tale principio la Corte ha ritenuto corretta la decisione dei giudici di merito che avevano dichiarato il difetto di giurisdizione dell’autorità giudiziaria italiana in relazione ad un reato commesso nel 1945 nella città di Fiume, ceduta dall’Italia alla Repubblica Jugoslava con il trattato di pace del 15 settembre 1947). * Cass. pen., sez. I, 4 maggio 2004, n. 20925 (ud. 6 febbraio 2004), P.O. in proc. Piskulic. [RV229180] l Agli effetti della legge penale non può considerarsi commesso, neanche in parte, nel territorio dello Stato il reato di favoreggiamento dell’immigrazione illegale di cittadini extracomunitari previsto dall’art. 12, primo e terzo comma, del D.L.vo n. 286 del 1998, così come modificato dall’art. 11 della L. n. 189 del 2002, allorché, essendosi la condotta concretata nel trasporto clandestino degli stranieri a mezzo di un autocarro traghettato su nave non battente bandiera italiana, la scopera del “carico umano” sia avvenuta in acque internazionali, in quanto in tale eventualità le persone trasportate, dal momento della scoperta, cessano di trovarsi nella disponibilità di fatto del trasportatore. (Nella specie, la Corte ha ritenuto che l’occultamento degli stranieri operato dal trasportatore sotto copertura di un apparente carico di merce era stato commesso per intero all’estero e che il risultato finale voluto, e cioè quello dell’introduzione dei clandestini in territorio italiano, non era ricollegabile allo stratagemma a tal fine escogitato dall’autore del fatto, bensì all’autonoma decisione del comandante della nave di adottare, in relazione al luogo e al momento dell’accertamento, le misure impostegli COM_218_CodicePenaleCommentato_2017_1.indb 79 Art. 6 dal dovere di condurla a destinazione per apprestare efficace soccorso a persone che, per le disumane condizioni di trasporto, versavano in concreto pericolo di danni all’integrità fisica). * Cass. pen., sez. I, 11 febbraio 2004, n. 5583 (ud. 28 ottobre 2003), P.G. in proc. Efstathiadis. [RV226953] l In considerazione della natura istantanea del reato di ricettazione, il quale si consuma nel momento in cui l’agente ottiene il possesso della cosa, nessun rilievo può essere attribuito, a fini della perseguibilità in Italia, al luogo in cui viene accertata la detenzione della res (in applicazione di tale principio, la Corte ha ritenuto commesso all’estero il delitto di ricettazione di un bene consegnato al ricettatore, cittadino italiano, in territorio estero, annullando senza rinvio la sentenza impugnata, difettando nella specie la condizione di procedibilità della richiesta del Ministero della giustizia prevista dall’art. 9 c.p.). * Cass. pen., sez. II, 5 maggio 2003, n. 20198 (ud. 14 aprile 2003), Torlo. [RV225725] l Il bene giuridico protetto dall’art. 9 della legge n. 497 del 1974 è la sicurezza interna dello Stato e la salvaguardia dell’ordine pubblico interno. Ne consegue che i reati in materia di armi previsti da tale norma sono rigorosamente soggetti al principio di territorialità della legge penale, potendo quindi essere commessi soltanto da chi abbia posto in essere almeno in parte la condotta vietata o abbia realizzato l’evento nel territorio italiano, nei termini specificati dal secondo comma dell’art. 6 c.p. (Nell’applicare tale principio con riferimento al trasferimento di armi da guerra da paesi dell’Est Europa alla Liberia in violazione di risoluzioni dell’Onu, la Corte ha tra l’altro escluso nel caso di specie l’applicabilità dell’art. 25 della legge 9 luglio 1990 n. 185, in quanto non estensibile a situazioni realizzate integralmente all’estero da chi, non iscritto nell’apposito registro, abbia effettuato esportazioni senza alcun transito nel territorio italiano e senza che in Italia siano state compiute attività finalizzate al movimento delle armi «estero su estero»). * Cass. pen., sez. I, 15 novembre 2002, n. 38401 (c.c. 17 settembre 2002), Minin. [RV222925] l La preparazione, in territorio italiano, di un prodotto destinato al mercato estero avente caratteristiche diverse da quelle dichiarate è qualificabile come tentativo punibile di frode nell’esercizio del commercio (artt. 56 e 515 c.p.) ed è perseguibile, per il principio di territorialità di cui all’art. 6 c.p., davanti al giudice italiano (nella specie, trattatasi di condotta costituita dall’imbottigliamento, in uno stabilimento sito in territorio italiano, di olio destinato al mercato britannico, descritto nelle etichette già applicate sulle bottiglie come proveniente esclusivamente dalla spremitura di olive di produzione italiana, mentre una parte di esso era in realtà ricavato dalla spremitura di olive di diversa provenienza). * Cass. pen., sez. III, 6 maggio 2002, n. 16386 (ud. 14 marzo 2002), Del Papa G. [RV221714] 02/03/17 10:08 Art. 6 LIBRO I – DEI REATI l Deve ritenersi commesso in Italia, ai sensi dell’art. 6 c.p., il reato di associazione per delinquere (nella specie, di tipo mafioso), e sussiste, quindi, la giurisdizione del giudice penale italiano, nell’ipotesi in cui gli associati acquistino in uno Stato straniero (nel quale l’importazione di tabacchi non sia soggetta ad alcuna imposta) tabacchi lavorati esteri prodotti in altro Stato straniero al fine di introdurli, per la vendita, nel territorio italiano, in violazione di norme doganali, se, in tale territorio, siano predisposte strutture stabili per lo scarico, il controllo e lo «stoccaggio» delle merci illecitamente introdotte e sia organizzata una rete di corrieri che trasportino in territorio estero a scopo di riciclaggio la valuta ricavata dalla vendita in Italia. (Nella specie, concernente un procedimento incidentale de libertate, la Corte Suprema ha confermato il provvedimento dei giudici di merito che, allo stato delle indagini, avevano ritenuto che il reato associativo fosse stato commesso in territorio italiano, essendo emerso che l’associazione acquistava in Montenegro tabacchi lavorati prodotti in Svizzera e li importava in Italia, trasportandoli con motoscafi attraverso il canale d’Otranto e sbarcandoli sul litorale pugliese). * Cass. pen., sez. VI, 1 agosto 2000, n. 2329 (c.c. 16 maggio 2000), Bossert F. [RV217564] l Deve ritenersi sussistente la giurisdizione del giudice italiano nei confronti del cittadino straniero che, pur senza essere mai stato in Italia, abbia collaborato, nella consapevolezza che si dava esecuzione ad un reato delibeato sul territorio della Repubblica, con un cittadino italiano per l’acquisto di sostanze stupefacenti all’estero in vista della importazione in Italia, atteso che una porzione del fatto giuridicamente ascrivibile allo straniero si è, in tal caso, svolta nello Stato, con conseguente applicabilità dell’art. 6 c.p., potendosi qualificare il comportamento della persona che abbia svolto l’indicata attività all’estero quale concorso nell’esecuzione di un delitto plurisoggettivo, in cui le singole azioni perdono la loro individuabilità e di esse ciascun agente risponde per l’intero. * Cass. pen., sez. VI, 2 giugno 2000, n. 6605 (ud. 11 maggio 2000), Valianos K. [RV217554] l In relazione a reati commessi in parte anche all’estero, ai fini dell’affermazione della giurisdizione italiana è sufficiente, a norma dell’art. 6 c.p., che nel territorio dello Stato si sia verificato l’evento o sia stata compiuta, in tutto o in parte, l’azione, con la conseguenza che, in ipotesi di concorso di persone, perché possa ritenersi estesa la potestà punitiva dello Stato a tutti i compartecipi e a tutta l’attività criminosa, ovunque realizzata, è sufficiente che in Italia sia stata posta in essere una qualsiasi attività di partecipazione da parte di uno qualsiasi dei concorrenti, a nulla rilevando che tale attività parziale non rivesta in sè carattere di illiceità, dovendo essa essere intesa come frammento di un unico iter delittuoso da considerarsi come inscindibile; la circostanza che l’auto- COM_218_CodicePenaleCommentato_2017_1.indb 80 80 re (o gli autori) del reato siano già stati giudicati all’estero per lo stesso fatto non è di ostacolo alla rinnovazione del giudizio in Italia, atteso che nel nostro ordinamento, salvo diversi accordi a livello internazionale, non vige il principio del ne bis in idem internazionale. (Nella specie, la Suprema Corte ha ritenuto possibile la rinnovazione del giudizio in Italia a carico di persone già giudicate in Germania, non essendo intervenuti, tra l’Italia e la Germania, accordi bilaterali di ratifica né in relazione alla Convenzione Europea sulla validità internazionale di giudizi repressivi, resa esecutiva in Italia con legge n. 305 del 1977, né in relazione alla Convenzione di Bruxelles resa esecutiva in Italia con legge n. 350 del 1989). * Cass. pen., sez. VI, 6 aprile 2000, n. 4284 (ud. 16 dicembre 1999), Pipicella ed altri. Conforme, quanto al principio, Cass. pen., sez. VI, 19 marzo 2009, n. 12142 (ud. 11 febbraio 2009), P.G. in proc. Porcacchia e altri. [RV216833] l In tema di abusiva organizzazione di scommesse su competizioni sportive svolgentisi in Stati esteri, il principio di ubiquità accolto dall’art. 6 c.p. comporta che quando nel territorio italiano si effettui anche solo una parte della organizzazione di pubbliche scommesse, come ad es. la raccolta delle puntate, trovano applicazione le disposizioni dell’art. 88 T.U.L.P.S. e della legge 13 dicembre 1989, n. 401, e pertanto l’esercizio senza licenza è punito ai sensi dell’art. 4 lett. c) L. cit., sebbene il resto dell’organizzazione faccia capo a società straniere e i giuochi e le competizioni oggetto delle scommesse si svolgano all’estero. * Cass. pen., sez. III, 13 gennaio 2000, n. 124 (c.c. 13 gennaio 2000), Foglia P. Conforme, Cass. pen., sez. III, 29 luglio 1999, n. 1963, Barbati. [RV216223] l In tema di territorialità della giurisdizione penale, a norma dell’art. 6, comma secondo, c.p., deve ritenersi commesso nel territorio dello Stato il delitto di favoreggiamento concretatosi nella consegna in territorio estero a un latitante di documenti falsificati, trattandosi di attività parzialmente maturatasi in Italia, da dove l’agente era partito per raggiungere il latitante, dopo avere concordato con quest’ultimo le modalità della consegna attraverso contatti telefonici. * Cass. pen., sez. VI, 11 gennaio 2000, n. 225 (ud. 15 novembre 1999), Moceri. [RV216402] l In virtù del principio di territorialità della legge penale di cui al secondo comma dell’art. 6 c.p., il reato si considera commesso nel territorio dello Stato anche quando l’azione o l’omissione, che ne costituisce la condotta, si è ivi realizzata soltanto in parte, dovendosi tale termine intendersi in senso naturalistico, come un momento dell’iter criminoso che, considerato unitariamente ai successivi atti compiuti all’estero, viene a integrare un’ipotesi di delitto tentato o consumato. Pertanto, con riferimento al reato di associazione per delinquere di tipo mafioso, l’adesione al sodalizio criminoso che si è formato e ha operato in 02/03/17 10:08 81 TITOLO I – LEGGE PENALE Italia, integra partecipazione a un reato commesso nel territorio dello Stato anche se l’aderente materialmente rimanga sempre all’estero, ove la sua condotta di partecipazione all’associazione si sia svolta per intero, con l’apporto di contributi apprezzabili alla organizzazione. * Cass. pen., sez. VI, 8 marzo 1999, n. 3089 (ud. 21 maggio 1998), Caruana G. e altri. [RV213572] l Per l’applicabilità del principio di territorialità, di cui all’art. 6 c.p., è sufficiente che in Italia sia avvenuta una parte dell’azione anche piccola, purché preordinata – secondo una valutazione ex post – al raggiungimento dell’obiettivo delittuoso. Ne consegue che, in tema di traffico internazionale di stupefacenti, se l’accordo tra i coimputati e la predisposizione dei mezzi occorrenti all’importazione e all’occultamento della droga, realizzati in Italia, appaiono preordinati all’acquisto e alla detenzione della stessa, poi effettivamente consumati all’estero, il reato deve ritenersi commesso in Italia. * Cass. pen., sez. IV, 23 luglio 1997, n. 7204 (ud. 22 maggio 1997), Franzoni. [RV208534] l A norma dell’art. 6 c.p., che è diretto ad affermare il principio di territorialità del diritto penale ed a privilegiare la giurisdizione italiana, è sufficiente, perché il reato si consideri commesso nel territorio dello Stato, che quivi si sia verificato anche solo un frammento della condotta, intesa in senso naturalistico, e, quindi, un qualsiasi atto dell’iter criminis. In conseguenza non è necessaria la richiesta del Ministro di grazia e giustizia per il delitto di tentata importazione di droga, sequestrata all’estero, ma diretta in Italia, qualora nel territorio italiano siano avvenuti atti preliminari e strumentali, quali la domanda di spedizione o il consenso, in qualsiasi forma espresso, all’inoltro o alla ricezione della droga, atti che incidono, in modo rilevante, sull’elemento psicologico del reato. * Cass. pen., sez. V, 5 febbraio 1997, n. 873 (ud. 14 ottobre 1996), P.M. Colecchia ed altri. [RV206903] l La regola posta al comma 2 dell’art. 6 c.p., secondo la quale, in applicazione del principio della territorialità della legge penale, il reato si considera commesso nel territorio dello Stato quando l’azione o l’omissione che lo costituisce è ivi avvenuta in tutto o in parte, va intesa nel senso che il reato si considera commesso in Italia anche quando sia stato posto in essere anche uno solo degli atti del processo criminoso essenziali per la configurabilità del reato medesimo; nel novero di tali atti, considerato sotto l’aspetto naturalistico, vale a dire come frammenti di un’azione più ampia preordinata al raggiungimento di un determinato obiettivo, rientra pertanto il conferimento di un mandato ad uccidere, accettato dal mandatario, direttamente o per interposta persona, in quanto costituente il momento iniziale della condotta produttiva dell’evento dannoso. * Cass. pen., sez. I, 11 marzo 1996, n. 2640 (ud. 7 dicembre 1995), D’Agostino ed altri. [RV204359] COM_218_CodicePenaleCommentato_2017_1.indb 81 Art. 6 l A norma dell’art. 6 c.p. sono punibili secondo la legge italiana, come fossero commessi per intero in Italia, anche i reati la cui condotta è avvenuta solo in parte nel territorio dello Stato o ivi si è verificato l’evento. Ne risulta che anche i reati commessi in parte all’estero, al pari di quelli realizzatisi soltanto nel territorio nazionale, assumono rilevanza penale per l’ordinamento italiano nella loro globalità, ivi compresa la parte della condotta realizzata all’estero e, pertanto, debbono essere valutati e puniti dai giudici italiani nella loro interezza, avendo riguardo pure alle modalità e alla gravità della parte dell’azione verificatasi al di fuori dello Stato. Ne consegue che deve tenersi conto di questa parte della condotta anche ai fini dell’individuazione dell’inizio della permanenza, non essendo consentito considerare isolatamente la frazione della condotta realizzatasi in Italia. (Nella specie, per un reato permanente la cui consumazione era iniziata all’estero la Corte ha escluso l’operatività, quale criterio di riparto fra i giudici italiani, dell’art. 8, terzo comma, c.p.p., dovendosi in tal caso la competenza determinare secondo il criterio suppletivo di cui all’art. 9 primo comma c.p.p., con riferimento all’ultimo luogo in cui è avvenuta una parte dell’azione o dell’omissione). * Cass. pen., sez. VI, 17 febbraio 1994, n. 1972 (ud. 17 dicembre 1993), Murdocca. l In tema di competenza per territorio in ordine a reati permanenti commessi in parte all’estero, si applica il criterio dettato dall’art. 8, terzo comma, c.p.p. quando la condotta criminosa ha avuto inizio in una individuata località nel territorio nazionale, proseguendo poi all’estero. Invece, il luogo d’inizio della permanenza non può fungere quale criterio di riparto fra i giudici italiani se è ubicato al di fuori dello Stato. In tal caso, la competenza si stabilisce secondo il criterio suppletivo di cui all’art. 9 primo comma c.p.p., con riferimento all’ultimo luogo in cui è avvenuta una parte dell’azione o dell’omissione. * Cass. pen., sez. VI, 17 febbraio 1994, n. 1972 (ud. 17 dicembre 1993), Murdocca. b) Reato concorsuale. l In relazione a reati commessi in parte anche all’estero, ai fini dell’affermazione della giurisdizione italiana, è sufficiente che nel territorio dello Stato si sia verificato l’evento o sia stata compiuta, in tutto o in parte, l’azione, con la conseguenza che, in ipotesi di concorso di persone, perché possa ritenersi estesa la potestà punitiva dello Stato a tutti i compartecipi e a tutta l’attività criminosa, ovunque realizzata, è sufficiente che in Italia sia stata posta in essere una qualsiasi attività di partecipazione ad opera di uno qualsiasi dei concorrenti, a nulla rilevando che tale attività parziale non rivesta in sé carattere di illiceità, dovendo essa essere intesa come frammento di un unico iter delittuoso da considerarsi come inscindibile. Ne consegue che anche per il cittadino straniero il quale, pur essendo stato sempre all’estero, abbia 02/03/17 10:08 Art. 7 LIBRO I – DEI REATI collaborato con un cittadino italiano per l’importazione in Italia di sostanza stupefacente, nella consapevolezza che si dava esecuzione a un reato quivi deliberato, il reato stesso deve considerarsi commesso nel territorio dello Stato. * Cass. pen., sez. VI, 16 luglio 2003, n. 29702 (ud. 10 aprile 2003), Dattilo ed altri. Conforme, Cass. pen., sez. V, 20 ottobre 2008, n. 39205 (ud. 9 luglio 2008), Di Pasquale e altro. [RV225486] l Ai fini della applicazione del principio di territorialità della legge penale (art. 6 c.p.), per azione deve intendersi il complesso dei comportamenti consapevolmente finalizzati al raggiungimento dello scopo o dell’evento delittuoso, sicché fra essi rientra, nel caso di accordo fra più persone che con le loro condotte partecipano concorsualmente al reato, anche tutto ciò che, pur essendo limitato all’elemento psicologico (il quale rientra tra quelli essenziali del reato), può essere ricondotto al determinismo volitivo coagulante o influente sulle condotte dei correi. Ne consegue che un’azione delittuosa ispirata o rafforzata nella volontà ovvero ordinata da concorrenti morali in Italia, deve essere considerata penalmente quivi realizzata ancorché l’esecuzione materiale, l’evento o l’omissione che costituisce il reato siano posti in essere all’estero da taluno dei concorrenti materiali. E ciò anche se i contatti organizzativi si siano verificati solo fra alcuni dei correi e non fra tutti, in quanto il reato è effetto del contributo di ciascun correo e di tutti insieme, attesa la comune finalizzazione partecipativa. * Cass. pen., sez. VI, 12 maggio 1994, n. 5617 (ud. 15 febbraio 1994), Di Matteo. l In tema di reati associativi, per determinare la sussistenza della giurisdizione italiana occorre verificare soprattutto il luogo dove si è realizzata, in tutto o in parte, la operatività della struttura organizzativa, mentre va attribuita importanza secondaria al luogo in cui sono stati realizzati i singoli delitti commessi in attuazione del programma criminoso, a meno che questi, per il numero e la consistenza, rivelino il luogo di operatività del disegno. Da ciò consegue che la partecipazione di un soggetto ad un sodalizio criminoso che ha diramazioni e centri operativi in varie parti del mondo acquista rilevanza ai fini della giurisdizione se uno o più dei centri sia operante in Italia perché in caso positivo il reato dovrà ritenersi interamente punibile secondo la legge italiana e ad opera dell’autorità giudiziaria dello Stato. Il tutto secondo quanto si desume dall’art. 6 c.p., una norma che interpreta e definisce l’interesse dello Stato a punire coloro che, in qualche modo, abbiano posto in essere un’attività illecita che abbia violato le norme penali, attribuendo così valenza espansiva ad una frazione di attività commessa nel territorio dello Stato anche da taluno che partecipi al sodalizio, in modo che l’applicazione della norma penale si estenda a tutti i compartecipi ed a tutta l’attività criminosa dovunque realizzata. * Cass. pen., sez. VI, 31 luglio COM_218_CodicePenaleCommentato_2017_1.indb 82 82 1993, n. 7478 (ud. 9 dicembre 1992), Carnana. Conforme, Cass. pen., sez. VI, 25 marzo 1998, n. 4378, Cao Len Hout. l Nell’ipotesi di concorso di più persone nel reato, alcune delle quali abbiano realizzato una parte della condotta in Italia ed una parte all’estero, oppure totalmente all’estero alcune e totalmente in Italia altre, coloro che attuarono una collaborazione nella esecuzione del fatto in territorio estero risponderanno del reato come se commesso in Italia, perché la loro condotta è considerata come un aspetto o come una frazione di un tutto che ha trovato la sua attuazione anche nel territorio dello Stato e, ai sensi dell’art. 6 c.p., suscita l’interesse punitivo dello Stato e ne determina l’intervento e la persecuzione in sede penale. * Cass. pen., sez. VI, 31 luglio 1993, n. 7478 (ud. 9 dicembre 1992), Carnana. c) Reati commessi via Internet. l Il giudice italiano è competente a conoscere della diffamazione compiuta mediante l’inserimento nella rete telematica (Internet) di frasi offensive e/o immagini denigratorie, anche nel caso in cui il sito web sia stato registrato all’estero e purché l’offesa sia stata percepita da più fruitori che si trovino in Italia; invero, in quanto reato di evento, la diffamazione si consuma nel momento e nel luogo in cui i terzi percepiscono la espressione ingiuriosa. * Cass. pen., sez. V, 27 dicembre 2000, n. 4741 (c.c. 17 novembre 2000), P.M. in proc. ignoti. [RV217745] 7. Reati commessi all’estero. – È punito secondo la legge italiana (112) il cittadino o lo straniero che commette in territorio estero taluno dei seguenti reati (10 c.p.p.): 1) delitti contro la personalità dello Stato italiano (1) (241 ss.); 2) delitti di contraffazione del sigillo dello Stato e di uso di tale sigillo contraffatto (467); 3) delitti di falsità in monete aventi corso legale nel territorio dello Stato, o in valori di bollo o in carte di pubblico credito italiano (453 ss.); 4) delitti commessi da pubblici ufficiali (357) a servizio dello Stato, abusando dei poteri o violando i doveri inerenti alle loro funzioni (61, n. 9, 314 ss.); 5) ogni altro reato per il quale speciali disposizioni di legge (2) (269, 5014, 537, 5912, 604, 6424; 17, 18 c.p.m.p.; 1080 c.n.) o convenzioni internazionali stabiliscono l’applicabilità della legge penale italiana (3). (1) La parola: «italiano» è stata aggiunta dall’art. 1, comma 2, del D.L. 18 ottobre 2001, n. 374, convertito, con modificazioni, nella L. 15 dicembre 2001, n. 438. (2) Si veda anche l’art. 48 della L. 24 gennaio 1979, n. 18, recante disposizioni in tema di elezione dei rappresentanti dell’Italia al Parlamento europeo, il quale stabilisce che per i reati, previsti dalla suindicata legge, commessi dal cittadino o dallo straniero in territorio estero, si applichi la legge italiana. (3) Si veda l’art. 22, primo comma, della L. 27 maggio 1929, n. 810 che ha reso esecutivo il trattato fra la Santa Sede e l’Italia 02/03/17 10:08 83 TITOLO I – LEGGE PENALE stipulato l’11 febbraio 1929, il quale stabilisce che a richiesta della Santa Sede, l’Italia provvederà nel suo territorio alla punizione dei delitti che venissero commessi nella Città del Vaticano, salvo quando l’autore del delitto si sia rifugiato nel territorio italiano, nel qual caso si procederà senz’altro contro di lui a norma delle leggi italiane. l È perseguibile secondo la legge italiana, ai sensi dell’art. 7, n. 4 c.p. l’appuntato dei carabinieri, in servizio presso una sede diplomatica italiana all’estero, che si attivi, dietro compenso, per procurare visti d’ingresso illegale in Italia a cittadini extracomunitari. * Cass. pen., sez. VI, 25 novembre 2008, n. 43848 (c.c. 24 settembre 2008), P.M. in proc. Di Nuzzo. [RV242230] l Il reato commesso all’estero non può rientrare nella giurisdizione del giudice italiano per il solo fatto che sia legato dal vincolo della continuazione con altro reato commesso in Italia, trattandosi di ipotesi non compresa tra quelle che, ai sensi degli artt. da 7 a 10 del c.p., comportano deroga al principio di territorialità sul quale si basa la giurisdizione dello Stato italiano. * Cass. pen., sez. VI, 25 luglio 2006, n. 25889 (ud. 23 giugno 2006), Manzato. [RV234843] l Ai fini della perseguibilità secondo la legge italiana dei reati commessi in territorio estero da parte di pubblici ufficiali a servizio dello Stato, con abuso dei poteri o con violazione dei doveri inerenti alla loro funzione, non è necessario un rapporto stabile di servizio con la pubblica Amministrazione, ben potendo rientrare nella previsione normativa anche lo svolgimento di compiti temporanei e/o di una missione occasionale. (Principio affermato con riferimento a concussione commessa all’estero da contrattiste dell’Amministrazione degli affari esteri). * Cass. pen., sez. VI, 5 maggio 2004, n. 21088 (ud. 10 febbraio 2004), Micheletti ed altro. [RV228872] l Ai fini della perseguibilità secondo la legge italiana dei reati commessi in territorio estero da parte di pubblici ufficiali a servizio dello Stato, abusando dei poteri o violando i doveri inerenti alla loro funzione, secondo quanto previsto dall’art. 4, comma 4, c.p. non è necessario un rapporto stabile di servizio con l’amministrazione, ben potendo rientrare nella previsione normativa anche lo svolgimento di una missione occasionale. (Fattispecie relativa a missione di aiuti in Albania). * Cass. pen., sez. VI, 29 novembre 2000, n. 4089 (c.c. 6 novembre 2000), Tenaglia L. [RV217909] l In tema di reati commessi all’estero e di rinnovamento del giudizio (artt. 7 e seguenti, 11 c.p.), la qualificazione delle fattispecie penali deve avvenire esclusivamente alla stregua della legge penale italiana, a nulla rilevando che l’ordinamento dello Stato nel cui territorio il fatto è stato commesso non preveda una persecuzione penale dello stesso fatto. Le norme in questione prevedono, infatti, limitatamente ai casi da esse contem- COM_218_CodicePenaleCommentato_2017_1.indb 83 Art. 8 plati e in presenza di alcune condizioni, la perseguibilità dei fatti penalmente rilevanti «secondo la legge italiana» al di là dei limiti territoriali, senza richiedere che tali fatti siano penalmente perseguiti anche nel territorio dello Stato in cui sono stati commessi. (Nella specie, relativa a rigetto di ricorso, premesso che il principio della doppia incriminazione, invocato dal ricorrente è sancito dalla legge penale esclusivamente in tema di estradizione, è stato ritenuto del tutto indifferente che l’evasione e il porto e detenzione illegale di armi siano o non siano perseguiti penalmente nell’ordinamento della Confederazione elvetica). * Cass. pen., sez. II, 16 marzo 1992, n. 2860 (ud. 6 dicembre 1991), Buquicchio. 8. Delitto politico commesso all’estero. – Il cittadi- no o lo straniero (3, 4), che commette in territorio estero un delitto politico non compreso tra quelli indicati nel n. 1 dell’articolo precedente, è punito secondo la legge italiana, a richiesta del Ministro della giustizia (112, 128, 129; 10, 342 c.p.p.). Se si tratta di delitto punibile a querela della persona offesa, occorre, oltre tale richiesta, anche la querela (120-127; 336 ss. c.p.p.). Agli effetti della legge penale, è delitto politico ogni delitto, che offende un interesse politico dello Stato, ovvero un diritto politico del cittadino (48-54 Cost.). È altresì considerato delitto politico il delitto comune determinato, in tutto o in parte, da motivi politici (241 ss.). l In tema di estradizione per l’estero, ai fini dell’individuazione dell’ambito di operatività del divieto di estradizione di cui agli artt. 10, comma quarto, e 26, comma secondo Cost., il reato va considerato politico anche quando, indipendentemente dal bene giuridico offeso dalla condotta illecita, vi sia fondata ragione di ritenere che, proprio per la "politicità" della condotta illecita, l’estradando possa essere sottoposto nello stato straniero richiedente ad un processo non equo o all’esecuzione di una pena discriminatoria ovvero ispirata da iniziative persecutorie per ragioni politiche che ledono diritti fondamentali dell’individuo quali il diritto al rispetto del principio di uguaglianza, il diritto ad un equo processo ed il divieto di trattamenti disumani o degradanti verso i detenuti. (Fattispecie in cui la Corte ha escluso il divieto di estradizione con riferimento a condanna pronunciata all’esito di processo celebrato nel rispetto dei diritti fondamentali per reati in materia di armi asseritamente commessi al fine di tutelarsi contro iniziative di appartenenti ad altri gruppi etnici all’interno di uno Stato democratico). * Cass. pen., sez. VI, 31 gennaio 2014, n. 5089 (c.c. 23 gennaio 2014), Suljejmani. [RV258148] l La qualificazione di un delitto come politico data dall’art. 8 c.p. va letta alla luce dell’art. 10 cost., secondo il quale l’ordinamento giuri- 02/03/17 10:08 Art. 8 LIBRO I – DEI REATI dico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale, tra le quali si pone in particolare la Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, che obbliga gli Stati al rispetto di alcuni diritti fondamentali nei confronti di ogni persona sottoposta alla loro giurisdizione. Ne consegue che vanno definiti come politici i delitti di oggettiva gravità, commessi in danno di cittadini italiani residenti in Argentina, in esecuzione di un preciso piano criminoso diretto all’eliminazione fisica degli oppositori al regime senza il rispetto di alcuna garanzia processuale e al solo scopo di contrastare idee e tendenze politiche delle vittime, iscritte a sindacati, o partiti politico o ad associazioni universitarie, in quanto tali delitti non solo offendono un interesse politico dello Stato italiano, che ha il diritto ed il dovere di intervenire per tutelare i propri cittadini, ma anche i diritti fondamentali delle stesse vittime. * Cass. pen., sez. I, 17 maggio 2004, n. 23181 (ud. 28 aprile 2004), Suarez. [RV228663] l Un reato comune è soggettivamente politico, ai sensi dell’art. 8, comma terzo, c.p., allorchè sia qualificato da un movente di natura politica, nel senso che l’agente sia stato determinato, in tutto o in parte, a delinquere al fine di incidere sull’esistenza, costituzione e funzionamento dello Stato ovvero favorire o contrastare idee o tendenze politiche proprie dello Stato, o anche offendere un diritto politico del cittadino, sì che non è sufficiente ad escludere la natura politica del delitto comune la circostanza che esso sia stato commesso per motivi in parte o non prevalentemente politici. (In applicazione di tale principio la Corte ha disposto l’annullamento con rinvio dell’ordinanza del Tribunale di Roma, costituito ex art. 309 c.p.p., rilevando che l’omicidio in territorio afgano della giornalista italiana Maria Grazia Cutuli, e degli altri che si trovavano con lei, era stato commesso non solo a scopo di rapina, ma anche per dimostrare all’opinione pubblica mondiale che la coalizione militare straniera, tra la quale l’Italia, che in vario modo si opponeva al regime dei talebani, non aveva acquisito il controllo del paese). * Cass. pen., sez. I, 8 aprile 2004, n. 16808 (c.c. 23 marzo 2004), P.M. in proc. Mohmmad ed altro. [RV228826] l Un reato comune è soggettivamente politico, ai sensi dell’art. 8, comma 3, c.p., allorché sia qualificato da un movente strettamente politico, il che si verifica quando il colpevole abbia agito per conseguire fini e scopi che investano la collettività sociale e incidano sull’esistenza, costituzione e funzionamento dello Stato o siano diretti a contrastare o consolidare idee e tendenze politiche e sociali, mentre non è sufficiente che il reato abbia ricadute sull’ordinamento italiano, se tali effetti non siano direttamente vouti e perseguiti. (In applicazione di tale principio la S.C. ha ritenuto che l’eccidio delle Fosse Ardeatine – per cui era stato condannato un ex ufficiale delle SS – COM_218_CodicePenaleCommentato_2017_1.indb 84 84 non ha connotazione politica, in quanto ordinato al fine di mantenere e rafforzare la supremazia militare dell’esercito tedesco sulle organizzazioni partigiane e sui resti dell’esercito italiano, così determinando un esito della guerra in atto (dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943) favorevole alla Germania, costituendo le ricadute della strage sulla costituzione e sul funzionamento dello Stato italiano un semplice effetto collaterale). * Cass. pen., sez. I, 12 settembre 2003, n. 35488 (c.c. 27 giugno 2003), Priebke. [RV226389] l La perseguibilità dei reati contro le leggi e gli usi della guerra commessi all’estero è prevista negli articoli 13 e 231 c.p.m., secondo cui per tali reati, ove commessi in danno dello Stato italiano o di un cittadino italiano o di uno Stato alleato o di un cittadino di questo, non esistono limiti territoriali e le relative norme si applicano anche ai militari stranieri. Ne consegue che al delitto di cui agli artt. 13 e 185 commi 1 e 2 c.p.m. guerra (concorso in violenza come omidicio aggravato e continuato in danno di cittadini italiani) non è applicabile la previsione dell’art. 8 c.p. e, di conseguenza, tale delitto non può essere ricondotto alla categoria dei delitti politici, ex art. 8, comma 3, c.p.. In applicazione di tale principio la S.C. ha ritenuto che non sia applicabile l’indulto, di cui all’art. 2 D.P.R. n. 922 del 1953 – previsto per i reati politici e connessi nonché «per i reati inerenti a fatti bellici commessi da coloro che abbiano appartenuto a formazioni armate» (e non agli appartenenti alle Forze armate, cfr. sent. Corte cost. n. 298 del 2000) – nei confronti di un ex ufficiale delle SS., condannato per l’eccidio delle Fosse Ardeatine. * Cass. pen., sez. I, 12 settembre 2003, n. 35488 (c.c. 27 giugno 2003), Priebke. [RV226388] l In tema di estradizione per l’estero, la nozione di reato politico a fini estradizionali trova fondamento non nell’art. 8 c.p., nel quale il reato politico è definito in funzione repressiva, bensì nelle norme costituzionali, che lo assumono in una più ampia funzione di garanzia della persona umana, finalizzata a limitare il diritto punitivo dello Stato straniero. Per quanto concerne il cittadino straniero in Italia, la Costituzione non fornisce una nozione rigida di reato politico, ma la subordina alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute. Tra tali norme si pongono le convenzioni internazionali sottoscritte e ratificate dallo Stato italiano, ed in particolare la Convenzione europea sul terrorismo del 1977, nella quale, indipendentemente dalle loro finalità, sono definiti non politici determinati atti delittuosi (in applicazione di tale principio, la Corte ha ritenuto corretta la decisione del giudice di merito con la quale veniva dichiarata l’estradabilità in favore della Francia di un cittadino tunisino con riferimento alla condotta di partecipazione ad associazione criminale diretta al compimento di atti terroristici diretti all’eversione dello Stato francese, con modalità violente comprensive 02/03/17 10:08 85 TITOLO I – LEGGE PENALE dell’uso di materie espodenti e attentati alla vita e all’integrità fisica di cittadini ignari). * Cass. pen., sez. VI, 23 luglio 2003, n. 31123 (c.c. 19 giugno 2003), Baazaoui. [RV226520] l Nell’evoluzione della normativa internazionale, approdata – come atto tra i più significativi – alla Convenzione europea contro il terrorismo, ratificata dall’Italia con L. 26 novembre 1985, n. 719, emerge l’intento di contemperare non tanto la nozione in sè di reato politico, quanto la sua rilevanza a fini estradizionali, con la necessità di tutelare valori umani universali che possono risultare gravemente offesi da delitti di ispirazione politica; il che si verifica o quando il delitto abbia determinato un pericolo collettivo per la vita, l’integrità fisica e la libertà delle persone ovvero quando abbia colpito o messo in pericolo persone estranee ai moventi politici che l’hanno ispirato, ovvero, ancora, quando è stato realizzato con mezzi crudeli e con perfidia. Elementi, tutti, che lo Stato italiano, nel formulare la riserva all’atto della ratifica riguardo alla convenzione dell’estradizione per reati politici, si è impegnato a considerare. Ne deriva che la nozione di reato politico a fini estradizionali trova la sua definizione nel bilanciamento tra il valore insito nel principio costituzionale del rifiuto di consentire alla persecuzione dei cittadini e dello straniero per motivi politici e quello dei valori umani primari – consacrati nella Carta costituzionale – quando l’aggressione di tali valori abbia quei caratteri di gravità individuabili alla stregua dei criteri ora ricordati. * Cass. pen., sez. I, 24 marzo 1992, n. 767 (c.c. 17 febbraio 1992), El Jassem. 9. Delitto comune del cittadino all’estero. – Il cit- tadino, che, fuori dei casi indicati nei due articoli precedenti, commette in territorio estero un delitto per il quale la legge italiana stabilisce [la pena di morte (1) o] l’ergastolo (22), o la reclusione (23) non inferiore nel minimo a tre anni, è punito secondo la legge medesima, sempre che si trovi nel territorio dello Stato (42; 10 c.p.p.). Se si tratta di delitto per il quale è stabilita una pena restrittiva della libertà personale di minore durata, il colpevole è punito a richiesta del Ministro della giustizia (128, 129; 342 c.p.p.), ovvero a istanza (130; 341 c.p.p.) o a querela (120-127; 336 ss. c.p.p.) della persona offesa. Nei casi preveduti dalle disposizioni precedenti, qualora si tratti di delitto commesso a danno delle Comunità europee, di uno Stato estero (2) o di uno straniero, il colpevole è punito a richiesta del Ministro della giustizia, sempre che l’estradizione (13; 697 ss. c.p.p.) di lui non sia stata conceduta, ovvero non sia stata accettata dal Governo dello Stato in cui egli ha commesso il delitto (112). (1) La pena di morte per i delitti contemplati nel codice penale, è stata soppressa e sostituita con l’ergastolo dal D.L.vo Lgt. 10 agosto 1944, n. 224. COM_218_CodicePenaleCommentato_2017_1.indb 85 Art. 9 L’art. 27, ultimo comma, della Costituzione, così come modificato dall’art. 1 della L. cost. 2 ottobre 2007, n. 1, ha stabilito che non è ammessa la pena di morte. Il D.L.vo 22 gennaio 1948, n. 21, ha soppresso la pena di morte per i delitti previsti da leggi penali speciali diverse da quelle militari, e l’art. 1 della L. 13 ottobre 1994, n. 589, ha abolito la pena di morte prevista dal codice penale militare di guerra e dalle leggi militari di guerra, sostituendola con la pena massima prevista dal codice penale. (2) Le parole: «a danno di uno Stato estero», sono state sostituite dalle attuali: «a danno delle Comunità europee, di uno Stato estero» dall’art. 5 della L. 29 settembre 2000, n. 300. SOMMARIO: a) In genere; b) Richiesta del Ministro di grazia e giustizia; c) Presenza nel territorio dello Stato. a) In genere. l In tema di estradizione per l’estero, la condizione di reciprocità, prevista dall’art. 7 della Convenzione europea di estradizione del 13 dicembre 1957, nel caso in cui il reato motivante la domanda d’estradizione sia stato commesso fuori del territorio della Parte richiedente, consente il rifiuto dell’estradizione se la legislazione della Parte richiesta non autorizza la «perseguibilità» di un reato dello stesso genere commesso fuori del suo territorio. Ne consegue che, facendo riferimento la norma alla sola punibilità, non rilevano le condizioni previste dal codice penale per la procedibilità dei reati commessi all’estero (in applicazione di tale principio la Corte ha ritenuto corretta la decisione della Corte d’appello che aveva ritenuto sussistenti le condizioni per l’accoglimento della domanda di estradizione avanzata dalla Repubblica di Germania per il reato di importazione di stupefacente commesso in Ecuador ed Olanda, non ritenendo rilevante che per tale reato in Italia l’art. 9 c.p. richiede, come condizione di reciprocità, la presenza del reo nel territorio). * Cass. pen., sez. VI, 14 maggio 2003, n. 21251 (c.c. 1 aprile 2003), Schumann. [RV226042] l Sono utilizzabili ai fini della decisione, perché non in contrasto con i principi fondamentali e inderogabili dell’ordinamento giuridico italiano, ed in particolare con le garanzie costituzionali del diritto di difesa e del contraddittorio, le prove dichiarative assunte all’estero nella fase dibattimentale mediante rogatoria internazionale, con l’assistenza e la rappresentanza defensionale, ma senza la presenza dell’imputato, detenuto in Italia, la cui istanza di trasferimento temporaneo, pur regolarmente inoltrata dallo Stato richiedente, sia stata respinta dallo Stato richiesto in base alla normativa pattizia. (Nella specie la Convenzione europea di assistenza giudiziaria in materia penale firmata il 20 aprile 1959). * Cass. pen., sez. I, 28 aprile 2003, n. 19678 (ud. 3 marzo 2003), Figini, in Riv. pen. 2003, 848. [RV225744] 02/03/17 10:08 Art. 9 LIBRO I – DEI REATI l L’iscrizione nei registri dello stato civile, quale cittadino italiano, in forza dell’art. 5 comma primo legge 21 aprile 1983 n. 123, ha efficacia meramente dichiarativa: dell’essersi cioè realizzata la fattispecie complessa, prevista dalla legge per l’acquisto, in forza di essa soltanto, della cittadinanza. Ove in sede penale si accerti che taluno si sia falsamente attribuita la qualità di figlio di madre o di padre italiano, ben può il giudice penale rilevarlo – per negare a costui la cittadinanza italiana, così fraudolentemente e solo apparentemente conseguita – nell’esercizio del potere-dovere posto dall’art. 2 comma primo c.p.p., il quale fissa la regola dell’autonoma cognizione del giudice penale per quanto concerne le questioni strumentali rispetto alla decisione finale, salva l’eventuale sospensione del processo a norma dell’art. 3 c.p.p. Ne consegue che, accertata la falsa attribuzione della cittadinanza italiana, per il caso di delitto comune commesso all’estero, non può farsi applicazione dell’art. 9 bensì, se ne ricorrono le condizioni, del successivo art. 10 c.p. * Cass. pen., sez. I, 4 aprile 1995, n. 3624 (ud. 12 gennaio 1995), Shoukry. [RV201931] l Ai fini della punibilità per reati commessi dal cittadino all’estero, al giudice penale non è consentito alcun sindacato, neanche in via incidentale, sulle ragioni di acquisto e di perdita della cittadinanza che avvengono secondo i casi e con le modalità prescritte dalla legge speciale in materia. * Cass. pen., sez. I, 16 gennaio 1991, n. (c.c. 31 ottobre 1990, n. 3699), Shoukry. b) Richiesta del Ministro di grazia e giustizia. l La richiesta di procedimento di cui agli artt. 9, terzo comma, c.p. e 342 c.p.p. – al pari del rifiuto di dar corso ad una rogatoria dall’estero o per l’estero e del decreto di estradizione – seppure connotata da una larga discrezionalità, riveste natura giuridica di atto amministrativo, sottoposto all’obbligo di motivazione e alla gerarchia delle fonti normative e perciò suscettibile di sindacato da parte del giudice amministrativo per i tipici vizi di legittimità propri del procedimento amministrativo. Tale provvedimento infatti non può essere definito come atto politico, in quanto non inerisce all’esercizio della direzione suprema degli affari dello Stato né concerne la formulazione in via generale e al massimo livello dell’indirizzo politico e programmatico del Governo, conseguendo invece essa ad una scelta vincolata al perseguimento dei fini determinati di politica criminale e connotata altresì dal requisito dell’irretrattabilità. Ne consegue che l’esercizio del potere di firma di tale provvedimento può essere delegato dal Ministro della giustizia al dirigente dell’articolazione ministeriale competente in materia – direttore generale o capo dipartimento – secondo le specifiche direttive dell’organo di vertice politico (ad es. quella di informare il Ministro della natura e del contenuto del singolo atto). * Cass. COM_218_CodicePenaleCommentato_2017_1.indb 86 86 pen., sez. I, 28 aprile 2003, n. 19678 (ud. 3 marzo 2003), Figini. [RV225745] l Qualora, a seguito di richiesta del Ministro di grazia e giustizia ai sensi dell’art. 9 c.p., si sia proceduto contro un soggetto per il delitto di cui all’art. 590 c.p. commesso in territorio estero e vi sia stata condannata del predetto a pena pecuniaria, è da escludere che sia venuta meno la condizione di punibilità prevista dall’art. 9 citato, rappresentata dall’irrogazione della pena detentiva; in quanto la pena restrittiva della libertà personale, dalla legge considerata per rendere perseguibile il delitto comune commesso dal cittadino all’estero, è quella astrattamente stabilita dal codice e non quella in concreto comminata. Pertanto, in caso di sanzioni alternative, la procedibilità dell’azione non può essere compromessa dall’avvenuta inflizione della sola pena pecuniaria. * Cass. pen., sez. IV, 7 febbraio 1995, n. 1179 (ud. 16 novembre 1994), Boldrini. l La condizione di procedibilità della richiesta del Ministro di grazia e giustizia, ex art. 9, secondo comma, c.p., non può ritenersi integrata nel caso in cui la richiesta non sia stata sottoscritta personalmente dal ministro bensì da un funzionario del suo dicastero, senza neppure il rilascio di una specifica delega. Tale soluzione è imposta sia dal tenore dell’art. 342 c.p.p., che espressamente richiede la sottoscrizione dell’autorità competente, sia dal carattere di discrezionalità politica dell’atto, la cui adozione non può, pertanto, che essere riservata all’organo politicamente responsabile indicato dalla legge o, al più, delegata ad altro soggetto politico quale un sottosegretario di Stato. * Cass. pen., sez. I, 23 maggio 1994, n. 1837 (c.c. 22 aprile 1994), Giraldi. l La condizione di procedibilità prevista dall’art. 9 c.p. (delitto comune del cittadino all’estero) si realizza con la richiesta del Ministro di grazia e giustizia: quest’ultimo, però, è preso in considerazione non già come persona, ma quale organo politico rappresentante del governo nella specifica materia. Sicché, non trattandosi di reati di natura politica o comunque aventi riferimento alla suprema direzione della cosa pubblica, la richiesta può essere effettuata, su delega, da altro organo della stessa amministrazione della giustizia. (Nella specie, relativa a rigetto di ricorso, era stata dedotta la violazione dell’art. 9 c.p. per esser stata la richiesta avanzata dal direttore generale degli affari penali del Ministero e non già dal Ministro di grazia e giustizia). * Cass. pen., sez. III, 27 maggio 1993, n. 5364 (ud. 15 aprile 1993), Albante. Conforme, Cass. pen., sez. II, 8 aprile 1999, n. 1117, D’Ambrosio. c) Presenza nel territorio dello Stato. l Ai fini della punibilità dei delitti comuni commessi dal cittadino in territorio estero, il requisito della presenza sul territorio dello Stato deve necessariamente sussistere al momento 02/03/17 10:08 87 TITOLO I – LEGGE PENALE dell’esercizio dell’azione penale, a nulla rilevando che venga meno in un momento successivo. * Cass. pen., sez. II, 10 giugno 2008, n. 23304 (ud. 19 marzo 2008), Dumas e altro. [RV242047] l La condizione di procedibilità prevista dall’art. 9, comma terzo, c.p. è realizzata quando l’Autorità giudiziaria estera, non avvalendosi della facoltà di chiedere l’estradizione, trasmetta all’autorità giudiziaria italiana tutti gli atti di indagine compiuti e chieda di dare seguito alla procedura penale in Italia. * Cass. pen., sez. I, 27 settembre 2004, n. 38019 (ud. 12 maggio 2004), Selvaggi. [RV229735] l La condizione della presenza nel territorio dello Stato posta, ai fini della punibilità dei delitti comuni del cittadino all’estero, dal primo comma dell’art. 9 del codice penale, è, a maggior ragione richiesta anche per i delitti previsti dal secondo comma che rispetto a quelli previsti dal primo comma sono di minor gravità, con la conseguenza che il termine per la richiesta di procedimento è quello di tre anni dal giorno in cui il colpevole si trova nel territorio dello Stato e non già quello di tre mesi dal giorno in cui l’autorità ha avuto notizia del fatto che costituisce reato. * Cass. pen., sez. IV, 25 ottobre 1991, n. 10743 (ud. 17 aprile 1991), Boccardo. l La presenza del cittadino nel territorio dello Stato, nel caso di delitto comune commesso dal medesimo cittadino all’estero è condizione di procedibilità e non di punibilità. La carenza dei requisiti obiettivi, siano essi sostanziali o processuali (tra questi ultimi, appunto, le condizioni di procedibilità) atti a legittimare l’esercizio dell’azione penale da parte del pubblico ministero, si traduce in infondatezza dell’azione la quale trova la sua naturale ed esclusiva sanzione non nella nullità formale dei singoli atti del procedimento già compiuti, ma nel rigetto, da parte del giudice della presenza punitiva che, mediante l’azione, il pubblico ministero ha inteso far valere, con l’unica differenza che, ove difettino i requisiti sostanziali, il rigetto sarà definitivo, mentre ove difettino quelli processuali l’azione penale potrà eventualmente essere riproposta. * Cass. pen., sez. I, 13 giugno 1991, n. 6698 (ud. 10 maggio 1991), Di Bella. l La sussistenza o meno della condizione di procedibilità richiesta dalla legge penale quale quella della presenza del cittadino nel territorio dello Stato in caso di delitto comune commesso all’estero, va valutata non in riferimento al momento in cui viene iniziata l’azione penale, ma con riferimento al momento della definizione del giudizio di merito, di primo o anche di secondo grado. È pertanto necessario e sufficiente che i presupposti sui quali la condizione si fonda sussistano in quel momento, a nulla rilevando la loro originaria carenza, una volta che quest’ultima non sia stata rilevata all’atto della definizione giurisdizionale di alcune delle fasi processuali, tanto da consentire la prosecuzione del procedimento. (Fattispecie di ritenuta illegittimità della COM_218_CodicePenaleCommentato_2017_1.indb 87 Art. 10 declaratoria di improcedibilità originaria dell’azione penale, pronunciata dal giudice d’appello, pur apparendo dagli atti che la condizione della presenza del cittadino, imputato di reato comune commesso all’estero, si era comunque verificata anteriormente alla sentenza di primo grado). * Cass. pen., sez. I, 13 giugno 1991, n. 6698 (ud. 10 maggio 1991), Di Bella. 10. Delitto comune dello straniero all’estero. – Lo straniero, che, fuori dei casi indicati negli articoli 7 e 8, commette in territorio estero, a danno dello Stato o di un cittadino, un delitto per il quale la legge italiana stabilisce [la pena di morte (1) o] l’ergastolo, o la reclusione non inferiore nel minimo a un anno, è punito secondo la legge medesima, sempre che si trovi nel territorio dello Stato (42), e vi sia richiesta del Ministro della giustizia (112; 128, 129; 342 c.p.p.), ovvero istanza (130; 341 c.p.p.) o querela (120-127; 336 ss. c.p.p.) della persona offesa. Se il delitto è commesso a danno delle Comunità europee, di uno Stato estero (2) o di uno straniero, il colpevole è punito secondo la legge italiana, a richiesta del Ministro della giustizia (112, 128, 129), sempre che: 1) si trovi nel territorio dello Stato (42, 1282); 2) si tratti di delitto per il quale è stabilita la pena [di morte (1) o] dell’ergastolo, ovvero della reclusione non inferiore nel minimo a tre anni; 3) l’estradizione (104 Cost.; 13; 697 ss. c.p.p.) di lui non sia stata conceduta, ovvero non sia stata accettata dal Governo dello Stato in cui egli ha commesso il delitto, o da quello dello Stato a cui egli appartiene. (1) La pena di morte per i delitti contemplati nel codice penale, è stata soppressa e sostituita con l’ergastolo dal D.L.vo Lgt. 10 agosto 1944, n. 224. L’art. 27, ultimo comma, della Costituzione, così come modificato dall’art. 1 della L. cost. 2 ottobre 2007, n. 1, ha stabilito che non è ammessa la pena di morte. Il D.L.vo 22 gennaio 1948, n. 21, ha soppresso la pena di morte per i delitti previsti da leggi penali speciali diverse da quelle militari e l’art. 1 della L. 13 ottobre 1994, n. 589, ha abolito la pena di morte prevista dal codice penale militare di guerra e dalle leggi militari di guerra, sostituendola con la pena massima prevista dal codice penale. (2) Le parole: «a danno di uno Stato estero» sono state sostituite dalle attuali: «a danno delle Comunità europee, di uno Stato estero» dall’art. 5 della L. 29 settembre 2000, n. 300. SOMMARIO: a) Condizioni di procedibilità; b) Casistica. a) Condizioni di procedibilità. l Nel caso di delitti commessi all’estero da uno straniero in danno di un cittadino italiano, la presenza del colpevole nel territorio dello Stato, richiesta dall’art. 10 c.p. per la loro perseguibilità in Italia, costituisce condizione di procedibilità la cui sussistenza è richiesta anche ai fini dell’applicazione di misure cautelari da adottarsi nella fase 02/03/17 10:08 Art. 10 LIBRO I – DEI REATI delle indagini preliminari. (Nella specie, in applicazione di tale principio, la Corte ha annullato senza rinvio il provvedimento del tribunale che, in accoglimento di gravame proposto dal pubblico ministero ai sensi dell’art. 310 c.p.p., aveva disposto l’applicazione della custodia in carcere nei confronti di taluni soggetti, non presenti nel territorio nazionale, cui si addebitava l’omicidio, commesso in Afghanistan, di una giornalista italiana). * Cass. pen., sez. I, 30 ottobre 2003, n. 41333 (c.c. 11 luglio 2003), Mohammad ed altri, in Arch. nuova proc. pen. 2004, 47. [RV225751] l In tema di reati commessi all’estero, al di fuori dei casi tassativamente indicati all’art. 7 c.p., è condizione indispensabile per il perseguimento dei reati commessi all’estero dallo straniero che questi risultino punibili come illeciti penali oltre che dalla legge penale italiana anche dall’ordinamento del luogo dove sono stati consumati, ancorché con nomen iuris e pene diversi (in applicazione di tale principio la Corte ha annullato senza rinvio il provvedimento coercitivo impugnato riguardante la cessione di armi da guerra avvenuta esclusivamente in territorio estero in violazione dell’embargo stabilito da risoluzioni dell’Onu, non tradottesi peraltro all’interno dell’ordinamento italiano in norme vincolanti). * Cass. pen., sez. I, 15 novembre 2002, n. 38401 (c.c. 17 settembre 2002), Minin. [RV222924] l La presenza dello straniero nel territorio dello Stato, richiesta dall’art. 10 c.p. ai fini della perseguibilità in Italia del delitto comune commesso all’estero dal medesimo straniero in danno dello Stato o di un cittadino italiano, è normativamente strutturata come condizione di procedibilità ed è quindi da considerare soggetta a tutte le regole proprie di siffatta condizione. * Cass. pen., sez. I, 8 marzo 1993, n. 377 (c.c. 29 gennaio 1993), Shoukry Tarek. l Per la perseguibilità in Italia di un reato commesso all’estero in danno di un cittadino italiano, in ordine al quale vi sia stata la richiesta di procedimento del Ministro della giustizia occorre anche la querela della persona offesa ove si tratti di reato che se commesso in Italia sarebbe procedibile a querela. * Cass. pen., sez. I, 13 gennaio 1993, n. 4144 (c.c. 19 ottobre 1992), Shoukry Tarek. l La richiesta, l’istanza e la querela risultano regolate nel sistema penalistico quali condizioni che non attengono alla struttura del fatto-reato o alla sua punibilità, bensì alla procedibilità dell’azione penale. Anche la presenza del colpevole nel territorio dello Stato, richiesta dall’art. 10 c.p. per la «punibilità» di taluni reati commessi all’estero dallo straniero è normalmente strutturata come condizione di procedibilità, soggetta quindi alle regole proprie di queste, e l’inizio di tale presenza costituisce, quindi, il dies a quo di decorrenza del termine (non soggetto a sospensioni o ad interruzioni) per l’esercizio dell’azione penale. * Cass. pen., sez. I, 13 gennaio 1993, n. 4144 (c.c. 19 ottobre 1992), Shoukry Tarek. COM_218_CodicePenaleCommentato_2017_1.indb 88 88 l L’art. 90, terzo comma, c.p.p., prevede che qualora la persona offesa sia deceduta in conseguenza del reato, le facoltà ed i diritti previsti dalla legge sono esercitati dai prossimi congiunti (art. 307, quarto comma, c.p.) della medesima. Tra tali diritti rientra anche quello di proporre l’istanza prevista dall’art. 10, primo comma, c.p., per la perseguibilità di taluni delitti comuni commessi all’estero da uno straniero. (Fattispecie in tema di omicidio pluriaggravato commesso da uno straniero in danno di una cittadina all’estero). * Cass. pen., sez. I, 13 gennaio 1993, n. 4144 (c.c. 19 ottobre 1992), Shoukry Tarek. l Non è configurabile alcuna improcedibilità nel caso in cui lo Stato estero, nel cui territorio siano stati commessi i reati non solo non si avvalga della facoltà di richiedere l’estradizione, ma porti a conoscenza dello Stato italiano, nel cui territorio si trovi il reo, l’esistenza dei delitti, collaborando alla raccolta delle prove e dimostrando così d’avere rinunciato a punire direttamente l’autore dei fatti. * Cass. pen., sez. I, 24 ottobre 1989, n. 13988 (ud. 14 luglio 1989), Hamdan. b) Casistica. l Integra il delitto di sequestro di persona (art. 630 c.p.), punibile secondo la legge italiana, la condotta di cittadini turchi di nazionalità curda che – superando con violenza gli agenti della questura – penetrino all’interno del Consolato Generale della Grecia, rinchiudendo il Console nel suo Ufficio, al fine di fargli spedire un fax al Primo Ministro della Repubblica Ellenica, in quanto la legge penale da osservare nei locali, ancorché inviolabili, di un consolato estero in Italia è, anche a seguito della Convenzione di Vienna, quella che si applica in qualsiasi parte del territorio italiano, qualunque siano le norme dello Stato ospitato e indipendentemente dall’immunità riconosciuta agli addetti ed all’inviolabilità dei locali strettamente riservati all’esercizio delle funzioni diplomatiche, le quali non implicano affatto l’extraterritorialità delle sedi diplomatiche. * Cass. pen., sez. V, 4 ottobre 2010, n. 35633 (ud. 25 giugno 2010), Taskiran e altri. [RV248894] l Nel caso di delitto commesso in territorio estero da uno straniero in danno di altro straniero, la presenza del colpevole nel territorio dello Stato, richiesta dall’art. 10 c.p. per la sua perseguibilità in Italia, deve essere sussistente prima della richiesta di rinvio a giudizio, a nulla rilevando l’eventuale allontanamento dello straniero in un momento successivo all’avveramento della citata condizione di procedibilità. * Cass. pen., sez. I, 25 gennaio 2006, n. 2955 (ud. 7 dicembre 2005), El Hallal. [RV233424] l In materia di falso, il concorso nel reato, che esclude la punibilità della diversa ipotesi criminosa prevista dall’art. 489 c.p. (uso di atto falso), deve configurarsi in termini di concreta punibilità. Ne consegue che, se la falsificazione è stata commessa all’estero e non vi sia la richiesta del 02/03/17 10:08 89 TITOLO I – LEGGE PENALE Ministro della giustizia ex art. 10 c.p., il soggetto che abbia prodotto o concorso a produrre l’atto falso risponde, ricorrendone le condizioni, del reato di uso dello stesso, ai sensi dell’art. 489 c.p. (Fattispecie relativa alla contraffazione dei dati anagrafici su un passaporto di Paese straniero e su un visto di ingresso in Italia, esibiti alla frontiera). * Cass. pen., sez. V, 4 gennaio 2006, n. 65 (c.c. 25 ottobre 2005), P.G. in proc. Hugi. [RV232714] l Poiché la competenza territoriale a conoscere di un reato associativo si radica nel luogo in cui la struttura criminosa destinata ad agire nel tempo diventa concretamente operante, a nulla rilevando il luogo di consumazione dei singoli reati oggetto del “pactum sceleris”, per determinare la sussistenza della giurisdizione italiana occorre verificare in quale luogo si è realizzata l’operatività della struttura medesima, dovendosi attribuire importanza secondaria al luogo in cui sono stati realizzati i singoli delitti commessi in attuazione del programma criminoso a meno che non rivelino essi stessi, per il loro numero e consistenza, il luogo di operatività predetto. (In applicazione di tale principio la Corte ha escluso la giurisdizione del giudice italiano con riferimento all’imputazione di associazione per delinquere elevata – in assenza di richiesta del Ministro di giustizia – a carico di un cittadino americano che, a mezzo di posta elettronica, offriva in vendita organi umani a scopo di trapianto). * Cass. pen., sez. II, 7 aprile 1999, n. 993 (c.c. 25 febbraio 1999), Cohan. [RV212974] l Il giudice dell’incidente de libertate non può rivalutare autonomamente una questione pregiudiziale e strettamente connessa alla definizione del merito già esaminata dal giudice della cognizione e da costui risolta con la relativa sentenza. Invero con il procedimento incidentale in materia cautelare non può porsi in discussione una questione che, pur attenendo anche alla legittimità della misura cautelare, sia stata, per la sua confluenza nel giudizio di merito, già decisa dal giudice competente, con possibilità di riforma ormai rimessa unicamente al giudice di cognizione del successivo grado. (Fattispecie relativa ad un reato di omicidio volontario commesso all’estero, in cui nel giudizio di merito di primo grado il giudice aveva escluso la necessità, per la procedibilità in ordine al reato suddetto, della richiesta o istanza di cui all’art. 10 c.p., avendo ritenuto che il prevenuto fosse cittadino italiano e che quindi fosse sufficiente la sua presenza nel territorio dello Stato, ai sensi dell’art. 9 stesso codice; la Cassazione ha ritenuto corretta la decisione del tribunale che, in sede di appello avverso l’ordinanza che aveva respinto la richieta di revoca della misura della custodia cautelare in carcere, aveva escluso che potesse addivenirsi alla richiesta di revoca, fondata sulla pretesa insussistenza della condizione di procedibilità di cui al comma 1 dell’art. 10 c.p., sul rilievo che appunto la questione era già stata affrontata e risolta in senso sfavorevole all’impu- COM_218_CodicePenaleCommentato_2017_1.indb 89 Art. 11 tato nel giudizio di merito). * Cass. pen., sez. I, 8 giugno 1994, n. 2128 (c.c. 9 maggio 1994), Tarek. 11. Rinnovamento del giudizio. – Nel caso indicato nell’art. 6, il cittadino o lo straniero è giudicato nello Stato, anche se sia stato giudicato all’estero (138, 201; 730 ss. c.p.p.). Nei casi indicati negli articoli 7, 8, 9 e 10, il cittadino o lo straniero, che sia stato giudicato all’estero, è giudicato nuovamente nello Stato, qualora il Ministro della giustizia ne faccia richiesta (128, 129; 342 c.p.p.). SOMMARIO: a) Reati commessi nel territorio dello Stato (comma primo); b) Delitti commessi all’estero (comma secondo). a) Reati commessi nel territorio dello Stato (comma primo). l Il processo celebrato all’estero nei confronti del cittadino non preclude la rinnovazione del giudizio in Italia per gli stessi fatti, in quanto nell’ordinamento giuridico italiano non vige il principio del "ne bis in idem" internazionale, prevedendo l’art. 11, comma primo, c.p. la rinnovazione del giudizio nei casi indicati dall’art. 6 c.p., cioè quando l’azione o l’omissione che costituisce il reato è avvenuta in tutto o in parte nel territorio dello Stato (La Corte ha, altresì, escluso l’applicabilità dell’art. 50 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, essendo stata la condanna emessa in Croazia ed avendo quel Paese sottoscritto il trattato di adesione all’Unione Europea in data 9 dicembre 2011 con decorrenza 1° luglio 2013, data successiva alla celebrazione del processo in Italia). * Cass. pen., sez. II, 1 ottobre 2013, n. 40553 (ud. 21 maggio 2013), Tropeano. [RV256469] l A seguito dell’entrata in vigore in data 26 ottobre 1997 delle disposizioni contenute nella Legge n. 388/93 attuativa dell’accordo di Schengen, il cui articolo n. 54 stabilisce che: «una persona che sia stata giudicata con sentenza definitiva in una parte contraente non può essere sottoposta ad un procedimento penale per i medesimi fatti in un’altra parte contraente, a condizione che, in caso di condanna, la pena sia stata eseguita o sia effettivamente in corso di sede di esecuzione attualmente o, secondo la Legge della parte contraente di condanna, non possa piú essere eseguita» trova applicazione il principio del ne bis in idem stabilito, con riguardo a sentenze penali pronunciate in Europa, sia dall’art. 53 della Convenzione europea sulla validità internazionale dei giudizi repressivi, resa esecutiva in Italia con Legge 16 maggio 1977, n. 305, che dalla Convenzione di Bruxelles del 25 maggio 1987, resa esecutiva in Italia con Legge 16 ottobre 1989, n. 350, sull’Accordo di Schengen del 14 giugno 1985, recepito con la Legge 30 settembre 1993, n. 388. (Fattispe- 02/03/17 10:08 Art. 11 LIBRO I – DEI REATI cie in cui la Corte ha annullato il provvedimento che dichiarava inapplicabile il principio del ne bis in idem, non riconoscendo allo stesso la natura di principio o consuetudine di carattere internazionale e per questo necessariamente recessivo nei casi in cui sia ravvisata la giurisdizione dell’A.G. in base alle norme di diritto interno, quando manchi una Convenzione depositata e ratificata tra gli Stati interessati). * Cass. pen., sez. I, 23 giugno 2004, n. 28299 (c.c. 3 giugno 2004), Desiderio. [RV228779] l Poiché nell’ordinamento italiano non vige il principio del ne bis in idem internazionale, la sentenza penale emessa in un Paese extra-europeo nei confronti di un cittadino italiano non impedisce la rinnovazione del giudizio in Italia per lo stesso fatto, sempre che il cittadino si trovi nel territorio italiano ed il Ministro della giustizia ne faccia richiesta ai sensi dell’art. 11, comma secondo c.p. Il pregresso riconoscimento della sentenza penale straniera sullo stesso fatto – eventualmente richiesto dal Ministro della giustizia nel caso in cui non esista trattato di estradizione con lo Stato estero ex art. 12, comma secondo, c.p. – non preclude il possibile esercizio dell’azione penale in Italia, in quanto l’istituto del riconoscimento non comporta il recepimento integrale della decisione straniera, ma produce i limitati effetti tassativamente indicati e non è in relazione di alternatività od incompatibilità con la rinnovazione del giudizio, soprattutto quando il Ministro della giustizia non abbia potuto esercitare contestualmente – per circostanze oggettive – l’eventuale opzione tra i due istituti. (Nel caso all’esame della S.C., il riconoscimento della sentenza penale emessa dalla Corte Suprema del Sud Africa era stato richiesto quando l’imputato si trovava ancora all’estero per l’espiazione della pena colà inflittagli, mentre le condizioni per richiedere il rinnovamento del giudizio, per il delitto di omicidio volontario commesso all’estero, erano divenute sussistenti solo in seguito al suo rientro in Italia). * Cass. pen., sez. I, 17 marzo 2004, n. 12953 (ud. 5 febbraio 2004), Di Blasi. [RV227852] l Il principio del ne bis in idem stabilito con riguardo alle sentenze penali pronunciate dai Paesi dell’Unione Europea dall’art. 54 della legge 30 settembre 1993, n. 388, attuativa della Convenzione di applicazione dell’Accordo di Schengen, presuppone l’identità del fatto. Nel caso di partecipazione all’estero ad un’associazione criminale (nella specie: delitto di banda armata, per la partecipazione alla struttura “estero” delle Brigate Rosse) formatasi ed operante in Italia, da parte di un cittadino italiano, tale condotta è rilevante ai fini della giurisdizione penale italiana, risultando il reato associativo non solo commesso in Italia ma caratterizzato dal programma criminoso di compiere atti di violenza con fini di eversione dell’ordine democratico dello Stato italiano. Ne consegue che non può ritenersi ostativa la sen- COM_218_CodicePenaleCommentato_2017_1.indb 90 90 tenza definitiva pronunciata nel Paese straniero a carico del predetto in relazione alla responsabilità per la fattispecie generale di delitto associativo (nella specie association de mailfaiteurs in quanto il fatto già giudicato è del tutto diverso da quello in relazione al quale viene esercitata la giurisdizione penale in Italia. * Cass. pen., sez. VI, 12 marzo 2004, n. 12098 (ud. 3 novembre 2003), Giunti. [RV228481] l Il ne bis in idem non costituisce principio né consuetudine di diritto internazionale e, pertanto, ove sia ravvisata la giurisdizione in base alle norme di diritto interno, queste devono cedere il passo a quelle internazionali solo in virtù di convenzione fra gli Stati, ratificata, resa esecutiva e depositata, la quale vincola unicamente gli Stati contraenti e nei limiti del patto tra essi raggiunto. La Convenzione europea tra gli Stati membri delle comunità europee, relativa all’applicazione del principio del ne bis in idem, firmata in Bruxelles il 25 maggio 1987 e ratificata dall’Italia con L. 16 ottobre 1989, n. 350, non è ancora in vigore sul piano internazionale, non essendo avvenuto il deposito degli strumenti di ratifica, di accettazione o di approvazione da parte di tutti gli Stati membri delle Comunità europee alla data dell’apertura della firma, così come previsto dall’art. 6, comma 2, della Convenzione. La predetta Convenzione trova tuttavia applicazione nelle relazioni tra Italia, Danimarca e Francia dal 16 giugno 1992, in quanto questi sono gli unici Stati che hanno depositato il proprio strumento di ratifica, come risulta dal comunicato del Ministero degli esteri, pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 135 del 10 giugno 1992. Ne consegue che la predetta Convenzione non può trovare applicazione nei rapporti con Stati diversi, quale la Confederazione Elvetica. * Cass. pen., sez. VI, 12 maggio 1994, n. 5617 (ud. 15 febbraio 1994), Di Matteo. l Nell’ordinamento giuridico italiano non esiste il principio del ne bis in idem rispetto a sentenze straniere, in quanto l’art. 11 c.p. impone espressamente di giudicare nello Stato il cittadino o lo straniero che ivi abbia commesso reato, anche se sia stato già giudicato all’estero. Di ciò è conferma nell’art. 138 stesso codice il quale, per l’ipotesi di giudizio seguito all’estero e rinnovato in Italia, prevede come legittima l’esecuzione della pena inflitta dall’autorità giudiziaria italiana, disponendo che vi venga sempre computata la pena scontata all’estero. * Cass. pen., sez. VI, 8 maggio 1993, n. 621 (c.c. 3 marzo 1993), Palazzolo. b) Delitti commessi all’estero (comma secondo). l Il processo celebrato all’estero nei confronti del cittadino non preclude la rinnovazione del giudizio in Italia per gli stessi fatti, in quanto nell’ordinamento giuridico italiano non vige il principio del "ne bis in idem" internazionale, prevedendo l’art. 11, comma primo, cod. pen. la rinnovazione del giudizio nei casi indicati dall’art. 6 02/03/17 10:08 91 TITOLO I – LEGGE PENALE cod. pen., cioè quando l’azione o l’omissione che costituisce il reato è avvenuta in tutto o in parte nel territorio dello Stato (La Corte ha, altresì, escluso l’applicabilità dell’art. 50 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, essendo stata la condanna emessa in Croazia ed avendo quel Paese sottoscritto il trattato di adesione all’Unione Europea in data 9 dicembre 2011 con decorrenza 1° luglio 2013, data successiva alla celebrazione del processo in Italia). * Cass. pen., sez. II, 1 ottobre 2013, n. 40553 (ud. 21 maggio 2013), Tropeano. [RV256469] l Un processo celebrato nei confronti di cittadino straniero in uno Stato con cui non vigono accordi idonei a derogare alla disciplina dell’art. 11 cod. pen. non preclude la rinnovazione del giudizio in Italia per gli stessi fatti, non essendo il principio del "ne bis in idem" principio generale del diritto internazionale, come tale applicabile nell’ordinamento interno. * Cass. pen., sez. I, 13 maggio 2013, n. 20464 (ud. 5 aprile 2013), N. [RV256162] l Non è ostativa alla celebrazione del giudizio, in base all’art. 54 della Convenzione di applicazione dell’Accordo di Schengen, la precedente condanna riportata per lo stesso fatto in uno Stato aderente alla suddetta Convenzione, quando la relativa pena non sia stata eseguita, né sia in corso di esecuzione, anche se sia ancora eseguibile. * Cass. pen., sez. VI, 2 ottobre 2006, n. 32609 (ud. 25 settembre 2006), Manieri. [RV234766] l Il processo celebrato all’estero nei confronti del cittadino italiano non preclude la rinnovazione del giudizio in Italia per lo stesso fatto, in quanto nell’ordinamento giuridico italiano non vige il principio del ne bis in idem internazionale. La richiesta del Ministro di grazia e giustizia, quale condizione di procedibilità in Italia, nei confronti del cittadino o dello straniero già giudicato all’estero, è imposta, a norma degli artt. 11, secondo comma, c.p., soltanto nelle ipotesi, espressamente richiamate dalla disposizione, previste dai precedenti artt. 7, 8, 9 e 10 che concernono il delitto commesso interamente all’estero. Ai sensi dell’art. 11, primo comma, c.p., non è richiesta, invece, alcuna condizione di procedibilità per la rinnovazione del giudizio in ordine al reato commesso in Italia. E, invero, il reato si considera commesso nel territorio dello Stato, ai sensi dell’art. 6, secondo comma, c.p., quando è ivi avvenuta, in tutto o in parte, l’azione o l’omissione che lo costituisce. * Cass. pen., sez. V, ord. 5 ottobre 1998, n. 3362 (c.c. 29 maggio 1998), Bortesi. [RV211504] l Il principio del ne bis in idem stabilito, con riguardo a sentenze penali pronunciate in Europa, dall’art. 53 della Convenzione europea sulla validità internazionale dei giudizi repressivi, resa esecutiva in Italia con legge 16 maggio 1977 n. 305, non trova applicazione con riguardo a sentenze pronunciate in Germania, giacché fra il detto Paese e l’Italia non è ancora intervenuta COM_218_CodicePenaleCommentato_2017_1.indb 91 Art. 12 ratifica della Convenzione summenzionata; né a tale lacuna può sopperirsi mediante richiamo alla Convenzione di Bruxelles del 25 maggio 1987, resa esecutiva in Italia con legge 16 ottobre 1989 n. 350 sull’Accordo di Schengen del 14 giugno 1985, recepito con legge 30 settembre 1993 n. 388, non essendosi formato, né per l’una né per l’altro, un incontro bilaterale di volontà fra l’Italia (che ha dato esecuzione all’Accordo di Schengen). Rimane, quindi, in tale situazione, applicabile la regola generale di cui all’art. 11 c.p., secondo cui è consentita la rinnovazione in Italia del giudizio relativo a fatti per i quali l’imputato sia stato già giudicato all’estero. * Cass. pen., sez. I, 10 settembre 1997, n. 4625 (c.c. 3 luglio 1997), Sesta. [RV208348] 12. Riconoscimento delle sentenze penali straniere. – Alla sentenza penale straniera pronunciata per un delitto può essere dato riconoscimento (730 ss. c.p.p.): 1) per stabilire la recidiva (99 ss.) o un altro effetto penale della condanna, ovvero per dichiarare l’abitualità (102-104) o la professionalità (105) nel reato o la tendenza a delinquere (108, 109); 2) quando la condanna importerebbe, secondo la legge italiana, una pena accessoria (28 ss.) (1); 3) quando, secondo la legge italiana, si dovrebbe sottoporre la persona condannata o prosciolta, che si trova nel territorio dello Stato (42), a misure di sicurezza personali (199 ss., 215 ss.); 4) quando la sentenza straniera porta condanna alle restituzioni o al risarcimento del danno (185 ss.; 2043 c.c.), ovvero deve, comunque, esser fatta valere in giudizio nel territorio dello Stato, agli effetti delle restituzioni o del risarcimento del danno, o ad altri effetti civili (185-198). Per farsi luogo al riconoscimento, la sentenza deve essere stata pronunciata dall’Autorità giudiziaria di uno Stato estero col quale esiste trattato di estradizione. Se questo non esiste, la sentenza estera può essere ugualmente ammessa a riconoscimento nello Stato, qualora il Ministro della giustizia ne faccia richiesta (128, 129; 342 c.p.p.). Tale richiesta non occorre se viene fatta istanza per il riconoscimento agli effetti indicati nel n. 4 (730 ss. c.p.p.). (1) Si veda l’art. 85 del D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, T.U. delle leggi sugli stupefacenti. l Ai fini delle notificazioni nel procedimento per il riconoscimento di una sentenza penale straniera, è irrilevante l’elezione di domicilio effettuata nel giudizio svolto dinanzi all’Autorità Giudiziaria estera, trovando invece applicazione le generali prescrizioni previste dall’art. 157 cod.proc. pen., che individuano la località dove effettuare la comunicazione nel luogo ove l’imputato ha dimora. * 02/03/17 10:08 Art. 12 LIBRO I – DEI REATI Cass. pen., sez. VI, 8 novembre 2013, n. 45207 (c.c. 23 ottobre 2013), Carbone. [RV257707] l La pronuncia con cui si provvede al riconoscimento di una sentenza penale straniera deve enunciare espressamente gli effetti che ne conseguono e non può limitarsi a richiamare l’art.12 del codice penale. * Cass. pen., sez. VI, 18 luglio 2013, n. 30831 (c.c. 27 giugno 2013), Ieva. [RV256756] l È legittimo il riconoscimento di una sentenza penale straniera anche nella parte relativa a pene accessorie i cui effetti si siano già esauriti. (Fattispecie relativa a riconoscimento di sentenza straniera contenente condanna alla interdizione legale ed alla sospensione della potestà dei genitori "per tutta la durata della pena). * Cass. pen., sez. VI, 24 giugno 2013, n. 27738 (ud. 11 giugno 2013), M. [RV255798] l La sentenza straniera che sia priva di motivazione per effetto dell’espressa rinuncia dell’imputato al diritto di ottenere l’esposizione scritta delle ragioni della decisione può essere riconosciuta, agli effetti di cui all’art. 12, comma primo, nn. 1 e 4, c.p., non essendo contraria ai principi fondamentali dell’ordinamento giuridico italiano. (Nella specie, la sentenza era stata emessa dalla Corte di assise correzionale di Lugano). * Cass. pen., sez. II, 27 marzo 2013, n. 14440 (ud. 19 dicembre 2012), P.G. in proc. Camerin. [RV255531] l L’imputazione per cui sia intervenuta sentenza penale straniera di condanna, riconosciuta in Italia, non può essere integrata dal giudice dell’esecuzione, neanche "sub specie" di interpretazione del giudicato attraverso il postumo riconoscimento di una circostanza aggravante (ostativa, nella specie, all’applicazione dell’indulto elargito con L. 31 luglio 2006 n. 241). * Cass. pen., sez. I, 29 ottobre 2009, n. 41597 (c.c. 13 ottobre 2009), P.G. in proc. Leobilla. [RV245061] l Poiché il riconoscimento delle sentenze penali straniere avviene su richiesta del P.G. presso la Corte d’appello che ha l’obbligo di specificare espressamente gli effetti per i quali è domandato, ne deriva che, se la richiesta viene formulata agli effetti previsti dall’art. 12 c.p.p., la parte non può chiederne l’utilizzo ai fini di procedere al cumulo giuridico, peraltro di competenza esclusiva del P.M. * Cass. pen., sez. I, 28 settembre 2004, n. 38278 (c.c. 16 settembre 2004), Staiti. [RV229740] l Poiché nell’ordinamento italiano non vige il principio del ne bis in idem internazionale, la sentenza penale emessa in un Paese extra-europeo nei confronti di un cittadino italiano non impedisce la rinnovazione del giudizio in Italia per lo stesso fatto, sempre che il cittadino si trovi nel territorio italiano ed il Ministro della giustizia ne faccia richiesta ai sensi dell’art. 11, comma secondo c.p. Il pregresso riconoscimento della sentenza penale straniera sullo stesso fatto – eventualmente richiesto dal Ministro della giustizia nel caso in cui non esista trattato di estradizione con lo Stato estero ex art. 12, comma secondo, c.p. – non pre- COM_218_CodicePenaleCommentato_2017_1.indb 92 92 clude il possibile esercizio dell’azione penale in Italia, in quanto l’istituto del riconoscimento non comporta il recepimento integrale della decisione straniera, ma produce i limitati effetti tassativamente indicati e non è in relazione di alternatività od incompatibilità con la rinnovazione del giudizio, soprattutto quando il Ministro della giustizia non abbia potuto esercitare contestualmente – per circostanze oggettive – l’eventuale opzione tra i due istituti. (Nel caso all’esame della S.C., il riconoscimento della sentenza penale emessa dalla Corte Suprema del Sud Africa era stato richiesto quando l’imputato si trovava ancora all’estero per l’espiazione della pena colà inflittagli, mentre le condizioni per richiedere il rinnovamento del giudizio, per il delitto di omicidio volontario commesso all’estero, erano divenute sussistenti solo in seguito al suo rientro in Italia). * Cass. pen., sez. I, 17 marzo 2004, n. 12953 (ud. 5 febbraio 2004), Di Blasi. [RV227852] l Non è applicabile in executivis la continuazione tra reato giudicato in Italia e reato giudicato all’estero, previo riconoscimento della relativa sentenza penale straniera, producendo quest’ultimo nell’ordinamento nazionale i soli effetti indicati nell’art. 12 c.p., tra i quali non è compreso, neanche sub specie di effetto penale della condanna ai sensi del primo comma n. 1 del citato articolo, il regime del reato continuato, che presuppone un giudizio di merito e, quindi, il riferimento a categorie di diritto sostanziale (reati e pene) che si qualificano soltanto in ragione del diritto interno. * Cass. pen., sez. I, 3 dicembre 2003, n. 46323 (c.c. 4 novembre 2003), Colombani. Conforme, Cass. pen., sez. I, 21 settembre 2006, n. 31422 (c.c. 11 maggio 2006), Moffa. [RV226623] l Non è applicabile l’istituto della continuazione (nella specie richiesto in sede esecutiva), tra fatti giudicati con sentenza straniera riconosciuta in Italia e fatti giudicati con sentenza pronunciata dal giudice italiano, non rientrando un tale effetto fra quelli, tassativamente indicati nell’art. 12 c.p., ai quali dà luogo il riconoscimento delle sentenze straniere. Ciò manifestamente, sulla scorta di quanto già ritenuto dalla Corte costituzionale con ordinanza 28 marzo 1997 n. 72, non determina alcun contrasto fra il detto art. 12 c.p. e gli artt. 3 e 24 della Costituzione. * Cass. pen., sez. I, 29 novembre 2000 (ud. 26 settembre 2000), Rasella. [RV217293] l Ai fini della revoca di benefici già concessi (sospensione condizionale o indulto), si deve tenere conto anche delle condanne riportate all’estero, se riconosciute in Italia. * Cass. pen., sez. I, 25 luglio 1996, n. 3876 (c.c. 3 giugno 1996), Rotterdam. [RV205346] l Poiché il termine sentenza contenuto nella formulazione dell’art. 12 c.p. riguarda qualsiasi provvedimento decisorio su un’accusa penale assunta da un’autorità giudiziaria straniera, una volta intervenuto il riconoscimento della sentenza straniera, il quale ha natura costitutiva, 02/03/17 10:08 93 TITOLO I – LEGGE PENALE da tale momento ed automaticamente, senza alcun condizionamento quanto al tipo di procedimento seguito presso lo Stato estero si producono nell’ordinamento nazionale gli effetti previsti dalla legge, in relazione ai quali il riconoscimento è stato richiesto, secondo la tassativa catalogazione di cui all’art. 12 citato. Poiché tra tali effetti rientra l’applicabilità dell’art. 29, comma 1, c.p., la sentenza straniera riconosciuta costituisce presupposto per l’applicazione della pena accessoria. (Nella fattispecie, il ricorrente aveva dedotto che, riguardando il riconoscimento una sentenza pronunciata dall’autorità giudiziaria spagnola con rito cosiddetto abbreviato, consistente nell’applicazione della pena concordata tra accusa e difesa, del tutto omologo a quello disciplinato dall’art. 444 c.p.p., non era consentita l’applicazione nei suoi confronti della pena accessoria dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici). * Cass. pen., sez. IV, 23 aprile 1996, n. 1077 (c.c. 10 aprile 1996), Fagnini. [RV204445] l Il riconoscimento di una sentenza straniera non può essere richiesto al fine di eventualmente ottenere l’applicazione dell’istituto della continuazione; invero quest’ultimo, che implica un giudizio di merito bilaterale tra la pronuncia all’estero e quella emanata in Italia, non può considerarsi «altro effetto penale della condanna» rilevante ai fini del suddetto riconoscimento ex art. 12, comma 1, n. 1, c.p. * Cass. pen., sez. VI, 17 aprile 1996, n. 1056 (c.c. 7 marzo 1996), Avogadro. [RV204519] 13. Estradizione. – L’estradizione (697 ss. c.p.p.) è re- golata dalla legge penale italiana, dalle convenzioni e dagli usi internazionali (10, 26 Cost.) (1). L’estradizione non è ammessa, se il fatto che forma oggetto della domanda di estradizione, non è preveduto come reato dalla legge italiana e dalla legge straniera. L’estradizione può essere conceduta od offerta, anche per reati non preveduti nelle convenzioni internazionali, purché queste non ne facciano espresso divieto. Non è ammessa l’estradizione del cittadino, salvo che sia espressamente consentita nelle convenzioni internazionali. (1) La legge costituzionale 21 giugno 1967, n. 1, in sede di interpretazione autentica delle disposizioni contenute negli artt. 10, ultimo comma, e 26, ultimo comma, della Costituzione, che escludono l’estradizione per reati politici, ha stabilito che esse non si applicano ai delitti di genocidio, sui quali si veda la L. 9 ottobre 1967, n. 962. Tra le numerose Convenzioni di estradizione si vedano quella europea di Parigi 13 dicembre 1957, ratificata dall’Italia con L. 30 gennaio 1963, n. 300 e il Trattato di estradizione fra Italia e Stati Uniti d’America ratificato con L. 26 maggio 1984, n. 225. SOMMARIO: a) La Convenzione europea di estradizione; b) Principio di reciprocità; c) Doppia incriminazione; COM_218_CodicePenaleCommentato_2017_1.indb 93 Art. 13 d) «Specialità» dell’estradizione; e) Limiti all’estradizione; e-1) Tutela dei diritti fondamentali; e-2) Reati politici; e-3) Minorenni; e-4) Litispendenza internazionale; e-5) Reati fiscali; f) Estradizione del cittadino. a) La Convenzione europea di estradizione. l In tema di estradizione, il principio di specialità, contenuto nel primo comma dell’art. 14 della convenzione europea di estradizione, resa esecutiva con legge 30 gennaio 1963, n. 300, pone precisi limiti alla giurisdizione del giudice procedente impedendogli di perseguire l’estradato per reati per i quali non è stata concessa l’estradizione, ma tali effetti preclusivi vengono meno se l’estradato, fuggito nuovamente all’estero venga arrestato in altro Stato e riconsegnato sulla base di una nuova e diversa procedura estradizionale. * Cass. pen., sez. I, 23 luglio 2004, n. 32356 (c.c. 6 luglio 2004), Gelli. [RV229288] l Il principio di specialità previsto dalla convenzione europea di estradizione e dall’art. 721 c.p.p. non opera in materia di misure di prevenzione, in quanto queste sono applicate sulla base di un giudizio di pericolosità attuale del soggetto, ai cui fini l’esistenza di precedenti fatti specifici, eventualmente costituenti reato, rappresenta soltanto uno degli elementi presi in considerazione. * Cass. pen., sez. I, 28 aprile 2004, n. 19900 (c.c. 4 marzo 2004), Giardino. [RV227976] l Il principio di specialità di cui all’art. 14 della Convenzione europea di estradizione firmata a Parigi il 13 dicembre 1957 non preclude in modo assoluto l’esercizio della giurisdizione da parte dello Stato richiesto, ma vi pone solo delle limitazioni, imposte dall’evidente necessità di impedire che si tragga occasione dalla presenza fisica dell’estradato nel territorio nazionale per sottoporlo a provvedimenti restrittivi della libertà personale diversi da quelli per i quali l’estradizione è stata concessa e anteriori alla consegna. Al di fuori di questa ipotesi, non sussiste alcun ostacolo normativo alla possibilità di procedere nei confronti del cittadino estradato per altri fatti, commessi in Italia in danno di cittadini, dovendosi solo prescindere dal compimento di qualsiasi atto che postuli la disponibilità della persona dell’imputato, e, quindi, anche dall’esecuzione di un’eventuale sentenza di condanna a pena detentiva fino a quando per tale diverso titolo, ricorrendone i presupposti, non sia richiesta e concessa un’estradizione suppletiva. * Cass. pen., sez. V, 13 settembre 1997, n. 8347 (ud. 3 luglio 1997), Bellanova ed altri. [RV208604] l Il principio di specialità, contenuto nel primo comma dell’art. 14 della Convenzione europea di estradizione – resa esecutiva con L. 30 gennaio 1963 n. 300 – non comporta una automatica e totale sospensione della giurisdizione del giudice procedente, ma pone dei limiti al suo potere, derivanti 02/03/17 10:08 Art. 13 LIBRO I – DEI REATI dalla necessità di impedire che si tragga occasione dalla presenza dell’estradato nel territorio nazionale per l’esecuzione di provvedimenti restrittivi della libertà personale relativi a fatti anteriori alla consegna, per i quali non è stata concessa l’estradizione. Tuttavia l’estradato, qualora – allontanandosi dal territorio nazionale – venga meno all’osservanza dell’obbligo relativo alla sua presenza coatta nel territorio dello Stato italiano, non può più innovare in suo favore l’applicazione del principio di specialità, atteso che in tal caso lo Stato richiedente, ai sensi dell’art. 14 secondo comma della convenzione citata, ha la facoltà di adottare tutte le misure necessarie ai fini dell’esercizio della giurisdizione. * Cass. pen., sez. I, 6 maggio 1994, n. 1183 (c.c. 10 marzo 1994), Mazzoleni. l Il principio di specialità di cui all’art. 14 della convenzione europea di estradizione firmata a Parigi il 13 dicembre 1957 non preclude in modo assoluto l’esercizio della giurisdizione da parte dello Stato richiesto, ma vi pone solo delle limitazioni, imposte dall’evidente necessità di impedire che si tragga occasione dalla presenza fisica dell’estradato nel territorio nazionale per sottoporlo a provvedimenti restrittivi della libertà personale diversi da quelli per i quali l’estradizione è stata concessa e anteriori alla consegna. Al di fuori di questa ipotesi, non sussiste alcun ostacolo normativo alla possibilità di procedere nei confronti del cittadino estradato per altri fatti, commessi in Italia in danno di cittadini, dovendosi solo prescindere dal compimento di qualsiasi atto che postuli la disponibilità della persona dell’imputato e, quindi, anche dall’esecuzione di un’eventuale sentenza di condanna a pena detentiva fino a quando per tale diverso titolo, ricorrendone i presupposti, non sia richiesta e concessa un’estradizione suppletiva. * Cass. pen., sez. I, 8 giugno 1993, n. 1507 (c.c. 7 aprile 1993), P.M. in proc. Russo. l Il principio di specialità, riaffermato nel primo comma dell’art. 14 della Convenzione europea di estradizione (firmata a Parigi il 13 dicembre 1957 e ratificata con legge n. 300 del 1963) non preclude in assoluto l’esercizio della giurisdizione da parte dello Stato richiedente per i fatti anteriori alla data dell’estradizione e diversi da quelli per i quali l’estradizione è stata concessa, ponendo solo una serie di limitazioni all’esercizio dei poteri giurisdizionali; in particolare, per espressa deroga contenuta nel secondo comma del citato art. 14, è consentito adottare «le misure necessarie in vista sia di un eventuale allontanamento dal territorio» dell’estradato, «sia di una interruzione della prescrizione... ivi compreso il ricorso ad un procedimento contumaciale». (Nella specie la Cassazione ha ritenuto legittimo che si fosse proceduto per fatti del tipo suddetto per evitare la prescrizione e per l’eventuale richiesta di estradizione suppletiva). * Cass. pen., Sezioni Unite, 4 giugno 1992, n. 6682 (ud. 4 febbraio 1992), Musumeci ed altri. COM_218_CodicePenaleCommentato_2017_1.indb 94 94 l Il principio di specialità contenuto nel primo comma dell’art. 14 della convenzione europea di estradizione non preclude qualsiasi esercizio della giurisdizione in riferimento a fatti anteriori alla data dell’estradizione e diversi da quelli per i quali l’estradizione venne concessa, ma costituisce soltanto una limitazione ai poteri sovrani che in materia giurisdizionale competono agli organi giudiziari del paese richiedente. Pertanto, senza violare il principio di specialità il giudice può prosciogliere dal reato addebitato se il fatto non sussiste o l’imputato non lo ha commesso, o il fatto non è preveduto dalla legge come reato, o se il reato è estinto o se l’azione penale non poteva essere iniziata o proseguita. All’applicazione della causa estintiva non è di ostacolo l’obbligo dell’interrogatorio dell’imputato, previsto dall’art. 376, c.p.p., perché questo obbligo deve ritenersi osservato anche attraverso il processo verbale giudiziario contenente le dichiarazioni dell’estradato che la convenzione riconosce indispensabile per la documentazione della procedura di estradizione supplettiva o attraverso le dichiarazioni rese dall’incolpato ai sensi dell’art. 14, lett. a) della convenzione stessa. È altresì possibile svolgere atti di polizia giudiziaria e di istruzione preliminare, nonché tutti quegli atti istruttori che sono indispensabili per accertare nelle sue reali caratteristiche il fatto e per qualificarlo giuridicamente in modo compiuto, nonché per assicurare tutti quegli elementi probatori che altrimenti potrebbero essere dispersi. Resta preclusa la possibilità di emettere atti che comportino una coazione nei confronti dell’estradando o di disporre il rinvio a giudizio dell’incolpato. Ma, al fine di impedire la prescrizione il giudice può emettere tutti gli atti di cui all’art. 160, comma secondo, c.p. e può anche ricorrere al giudizio contumaciale. Tale forma di giudizio può essere utilizzata anche per poter precostituire quel titolo di condanna esecutiva occorrente per richiedere l’estradizione supplettiva nei casi in cui non sia consentito emettere mandato di cattura o atto equipollente. * Cass. pen., Sezioni Unite, 21 aprile 1989, n. 2 c.c. (28 febbraio 1989, Nigro.) b) Principio di reciprocità. l In materia di estradizione il principio di reciprocità non ha valore generale, automaticamente applicabile, ma trova applicazione solo se sia previsto da specifiche norme dello Stato italiano, come negli artt. 300 c.p. o 16 disp. prel. c.c., oppure se sia inserita la relativa clausola nella Convenzione internazionale, oppure se sussista, in relazione a concreti rapporti, una reciprocità internazionale di fatto, indipendentemente da apposite clausole. Nella Convenzione europea di estradizione, aperta alla firma a Parigi il 13 dicembre 1957 e ratificata e resa esecutiva in Italia con L. 30 gennaio 1963, risulta accolto il principio apposto all’automatica applicazione della re- 02/03/17 10:08 95 TITOLO I – LEGGE PENALE gola della reciprocità. (La Corte di cassazione ha chiarito che nella suindicata Convenzione è consentito, unicamente come facoltà attribuita alle parti contraenti, di applicare tale regola per quanto concerne i reati esclusi dalle sue previsioni (art. 2, paragrafo 7); ed, in relazione alle riserve di una parte, è confermato che alle altre parti contraenti è attribuita una mera facoltà discrezionale di uniformarsi alle eventuali riserve (art. 26 paragrafo 3). * Cass. pen., sez. I, 16 marzo 1982, n. 301 (c.c. 12 febbraio 1982), Aharoni. c) Doppia incriminazione. l Ai fini della concedibilità dell’estradizione per l’estero, per soddisfare il requisito della doppia incriminabilità, di cui all’art. 13, secondo comma, cod. pen., non è necessario che lo schema astratto della norma incriminatrice dell’ordinamento straniero trovi il suo esatto corrispondente in una norma del nostro ordinamento, ma è sufficiente che lo stesso fatto sia previsto come reato da entrambi gli ordinamenti, a nulla rilevando l’eventuale diversità del titolo e la difformità del trattamento sanzionatorio. (Nella specie la Corte di merito aveva ritenuto irrilevante la circostanza che talune condotte oggetto dei reati ipotizzati dallo Stato estero non integrassero uno specifico reato per l’ordinamento italiano ma solo segmenti della truffa perpetrata ai danni della J.P. Morgan Bank). * Cass. pen., sez. VI, 5 aprile 2013, n. 15927 (c.c. 28 marzo 2013), D’Angelantonio. [RV254818] l In tema di estradizione verso l’estero, non sussiste la violazione del principio della doppia incriminabilità previsto dall’art. II del Trattato di estradizione tra Italia e Stati Uniti d’America, ratificato con L. 26 maggio 1984, n. 225, in relazione ad una domanda di estradizione fondata su un titolo di arresto emesso per il reato di inosservanza di un provvedimento del tribunale (contempt of Court), al fine di consentire la celebrazione del giudizio in relazione a reati previsti da entrambi gli ordinamenti penali. (Nel caso di specie, la persona richiesta in estradizione, dopo la scarcerazione su cauzione, si era sottratta alla celebrazione del processo per l’imputazione di associazione finalizzata al narcotraffico). * Cass. pen., sez. VI, 5 febbraio 2008, n. 5668 (c.c. 14 novembre 2007), Adamson. [RV238388] l L’estradizione verso la Romania non può essere concessa se per il reato di truffa (art. 640, comma primo, c.p.), posto a fondamento della richiesta, non sia stata presentata querela, giacché l’art. 33, comma primo, lett. c) della Convenzione di estradizione tra la Repubblica italiana e la Repubblica di Romania, conclusa a Bucarest l’11 novembre 1971 e ratificata con legge 20 febbraio 1975 n. 127, prevede che l’estradizione non è concessa se per il reato per il quale è richiesta, sussistano cause che impediscono l’esercizio dell’azione penale secondo la legislazione di una delle parti COM_218_CodicePenaleCommentato_2017_1.indb 95 Art. 13 contraenti. * Cass. pen., sez. VI, 9 marzo 2005, n. 9260 (c.c. 1 febbraio 2005), Neagu. [RV230945] l Ai fini della concedibilità dell’estradizione per l’estero, per soddisfare il requisito della doppia incriminabilità, di cui all’art. 13, secondo comma, c.p., non è necessario che lo schema astratto della norma incriminatrice dell’ordinamento straniero trovi il suo esatto corrispondente in una norma del nostro ordinamento, ma è sufficiente che lo stesso fatto sia previsto come reato da entrambi gli ordinamenti, a nulla rilevando l’eventuale diversità, oltre che del trattamento sanzionatorio, anche del titolo e di tutti gli elementi richiesti per la configurazione del reato (in applicazione di tale principio, la Corte ha ritenuto corretta la sentenza favorevole all’estradizione richiesta dalla Romania sulla base della convenzione europea del 1957 di un soggetto condannato per tentato omicidio, ancorchè per la configurazione di tale delitto secondo l’ordinamento italiano siano richiesti elementi costitutivi non del tutto analoghi a quelli previsti dall’ordinamento rumeno). * Cass. pen., sez. VI, 12 dicembre 2003, n. 47614 (c.c. 1 ottobre 2003), Buda. Conforme, Cass. pen., sez. VI, 4 febbraio 2009, n. 4965 (c.c. 13 gennaio 2009), Mihai. [RV227818] l In materia di estradizione, ai fini del principio della doppia incriminazione (art. 13 c.p.) non rilevano le eventuali condizioni di procedibilità né le eventuali cause di estinzione del reato maturate secondo la legislazione dello Stato richiesto, rilevando unicamente, a tal fine, la conformità del fatto ad una fattispecie astratta che sia prevista come reato da entrambi gli ordinamenti. Ne consegue che l’art. VIII del Trattato tra Italia e Stati Uniti d’America, ratificato con legge 26 maggio 1984, n. 225, per il quale l’estradizione non è consentita «nel caso in cui l’azione penale o l’esecuzione della pena sono prescritte per decorso del tempo secondo le leggi della Parte richiedente», deve essere necessariamente inteso nel senso che non viene riconosciuta rilevanza all’eventuale prescrizione del reato secondo le leggi dello Stato richiesto. * Cass. pen., sez. VI, 27 giugno 2002, n. 24717 (c.c. 16 maggio 2002), Parretti. [RV222193] l Il requisito della doppia incriminazione, di cui all’art. 13 c.p. e all’art. 11 del trattato di estradizione fra l’Italia e gli Stati Uniti d’America del 13 ottobre 1983, ratificato con L. 26 maggio 1984, n. 225, non postula l’esatta corrispondenza della configurazione normativa e del trattamento della fattispecie, ma solo la applicabilità della sanzione penale, in entrambi gli ordinamenti, ai fatti per cui si procede. * Cass. pen., sez. VI, 29 marzo 1999, n. 297 (c.c. 29 gennaio 1999), Sardinas AH. [RV214137] l Il principio della «doppia incriminabilità», stabilito in materia di estradizione dall’art. 13, comma 2, c.p., non si estende anche ai mezzi di prova ed è perciò ammissibile che l’incriminazione da parte dello Stato richiedente si basi su prove che non sarebbero utilizzabili nel nostro 02/03/17 10:08 Art. 13 LIBRO I – DEI REATI ordinamento, salva restando la valutazione della loro pertinenza. (Nella specie, enunciato tale principio, la Corte ha peraltro osservato che, vertendosi in caso di decisione favorevole all’estradizione negli Usa di soggetto accusato di reati in materia di stupefacenti e lamentandosi nel ricorso da costui proposto avverso la detta decisione che l’accusa sarebbe stata basata su elementi acquisiti mediante l’opera di un agente provocatore, non poteva neppure dirsi che detta opera avesse travalicato i limiti previsti dalla normativa italiana, essendosi l’agente provocatore limitato a ritardare, a fini investigativi, l’esecuzione del possibile sequestro di un quantitativo di sostanza stupefacente, analogamente a quanto consentito, nell’ordinamento nazionale, dall’art. 98, comma 2, del D.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309). * Cass. pen., sez. I, 4 ottobre 1995, n. 4407 (c.c. 14 settembre 1995), Aramini. [RV202383] l Ai fini della concedibilità dell’estradizione per l’estero, per soddisfare il requisito della doppia incriminabilità, di cui all’art. 13, comma 2, c.p., non è necessario che lo schema astratto della norma incriminatrice dell’ordinamento straniero trovi il suo esatto corrispondente in una norma del nostro ordinamento, ma è sufficiente che lo stesso fatto sia previsto come reato da entrambi gli ordinamenti, a nulla rilevando l’eventuale diversità del titolo e la difformità del trattamento sanzionatorio. (Nella specie, in applicazione di tale principio, la Corte ha ritenuto che legittimamente fosse stata pronunciata, ai sensi dell’art. 705 c.p.p. ed in conformità all’art. 2, comma 2, del trattato di estradizione ratificato con L. 26 maggio 1984 n. 225, sentenza favorevole all’estradizione negli Usa di un soggetto accusato, fra l’altro, sotto il titolo di conspiracy – ancorché esprimente un concetto astrattamente diverso da quello dell’associazione per delinquere – di comportamenti concretamente riconducibili anche alla figura dell’associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti, quale delineata nell’art. 74 del D.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309). * Cass. pen., sez. I, 4 ottobre 1995, n. 4407 (c.c. 14 settembre 1995), Aramini. [RV202384] l Ai fini dell’estradizione del cittadino straniero dall’Italia allo Stato estero il principio della necessità della doppia incriminazione va inteso nel senso che sono escluse dagli elementi oggetto di verifica le condizioni di procedibilità. (Affermando siffatto principio la Cassazione ha ritenuto infondato un ricorso col quale si deduceva che la richiesta di estradizione per il reato di uso di atto falso era inaccoglibile per difetto di querela). * Cass. pen., sez. VI, 4 gennaio 1995, n. 4298 (c.c. 4 novembre 1994), P.M. e Parretti. d) «Specialità» dell’estradizione. l In materia di estradizione, il principio di specialità non comporta una sospensione della giurisdizione del giudice italiano, che resta piena, COM_218_CodicePenaleCommentato_2017_1.indb 96 96 ma determina soltanto una limitazione ai poteri sovrani in materia giurisdizionale attribuiti agli organi giudiziari del Paese richiedente, limitazione che automaticamente viene meno quando il Paese richiesto, con suo provvedimento insindacabile nell’ordinamento interno, rimuove il limite posto alla sovranità del Paese procedente. * Cass. pen., sez. VI, 5 marzo 1992, n. 2402 (ud. 15 gennaio 1992), Unzamo. l La regola della specialità dell’estradizione, per cui la persona consegnata non può essere sottoposta a giudizio per un «fatto diverso» anteriore all’estradizione, importa l’obbligo dello Stato richiedente di attenersi al fatto per il quale l’estradizione fu concessa, ma non implica né il divieto di modificare il titolo delittuoso, né il divieto di completare ed integrare l’imputazione con elementi e circostanze di contorno nel rispetto delle norme processuali interne: sempre che sia lasciato immutato il fatto-reato nella sua materialità e struttura essenziale. * Cass. pen., sez. VI, 29 novembre 1991, n. 12211 (ud. 1 luglio 1991), Sancakli ed altri. e) Limiti all’estradizione. e-1) Tutela dei diritti fondamentali. l Ai fini della concedibilità dell’estradizione per l’estero, non assume rilievo l’eventuale difformità del trattamento sanzionatorio previsto nello Stato richiedente, potendo l’aspetto sanzionatorio rientrare tra le condizioni ostative alla pronuncia favorevole alla estradizione solo qualora sia del tutto irragionevole e si ponga manifestamente in contrasto con il generale principio di legalità e proporzionalità delle pene. * Cass. pen., sez. VI, 10 gennaio 2005, n. 121 (c.c. 21 settembre 2004), Cosa. [RV230647] l In tema di estradizione per l’estero, poiché l’art. 11 comma secondo della Costituzione di Bosnia-Erzegovina stabilisce che saranno rispettati i diritti e le libertà fondamentali definiti nella Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, con priorità su tutte le altre leggi, e poiché l’art. 1 del Protocollo n. 6 di detta Convenzione stabilisce che la pena di morte è abolita, è concedibile l’estradizione richiesta dalla Repubblica di BosniaErzegovina nei confronti di un cittadino accusato di omicidio, reato per il quale, ricorrendo determinate aggravanti, è applicabile astrattamente, in base al codice penale di tale Stato, la pena di morte, dovendo ritenersi verificata la condizione posta dalla sentenza della Corte cost. n. 223 del 1996, che, nel dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’art. 698, comma secondo, c.p.p., ha affermato che per la concedibilità della estradizione è necessaria la garanzia assoluta che lo Stato richiedente non applichi la pena di morte. * Cass. pen., sez. VI, 24 febbraio 1998, n. 1 (c.c. 9 gennaio 1998), Mehanovic. [RV210836] 02/03/17 10:08 97 TITOLO I – LEGGE PENALE l Il giudizio di garanzia giurisdizionale previsto dal nostro sistema in tema di estradizione passiva ha per oggetto non solo l’osservanza delle disposizioni di diritto oggettivo che regolano il rapporto, ma anche la tutela dei diritti fondamentali dell’individuo riconosciuti dall’ordinamento italiano, i quali, attraverso la cooperazione prestata con l’estradizione, potrebbero essere violati. * Cass. pen., sez. I, 13 novembre 1987, n. 2189 c.c. (25 maggio 1987, Sciacca.). e-2) Reati politici. l In tema di estradizione per l’estero, la nozione di reato politico a fini estradizionali trova fondamento non nell’art. 8 c.p., nel quale il reato politico è definito in funzione repressiva, bensì nelle norme costituzionali, che lo assumono in una più ampia funzione di garanzia della persona umana, finalizzata a limitare il diritto punitivo dello Stato straniero. Per quanto concerne il cittadino straniero in Italia, la Costituzione non fornisce una nozione rigida di reato politico, ma la subordina alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute. Tra tali norme si pongono le convenzioni internazionali sottoscritte e ratificate dallo Stato italiano, ed in particolare la Convenzione europea sul terrorismo del 1977, nella quale, indipendentemente dalle loro finalità, sono definiti non politici determinati atti delittuosi (in applicazione di tale principio, la Corte ha ritenuto corretta la decisione del giudice di merito con la quale veniva dichiarata l’estradabilità in favore della Francia di un cittadino tunisino con riferimento alla condotta di partecipazione ad associazione criminale diretta al compimento di atti terroristici diretti all’eversione dello Stato francese, con modalità violente comprensive dell’uso di materie espodenti e attentati alla vita e all’integrità fisica di cittadini ignari). * Cass. pen., sez. VI, 23 luglio 2003, n. 31123 (c.c. 19 giugno 2003), Baazaoui. [RV226520] l L’art. 3, comma 2 della Convenzione europea di estradizione prevede la possibilità per lo Stato richiesto di rifiutare la estradizione per sospetto di processo politico. Il giudizio sulla eventuale sussistenza di una estradizione cosiddetta mascherata o di altra situazione idonea ad incidere negativamente sui diritti fondamentali dell’estradando deve peraltro basarsi su elementi idonei a far ritenere fondato il pericolo in questione e detti elementi debbono potersi ricavare dagli atti ovvero debbono essere prospettati dall’interessato secondo un preciso onere di allegazione: l’esercizio, in via esclusiva, di un potere di iniziativa officioso del giudice, in assenza di concreti ed apprezzabili sospetti, costituirebbe fatto non amichevole e non corretto nei confronti dello Stato richiedente. * Cass. pen., sez. VI, 27 novembre 1995, n. 3281 (c.c. 27 settembre 1995), Celik. [RV203308] l Ai fini dell’individuazione dei limiti di operatività del divieto di estradizione per reati politi- COM_218_CodicePenaleCommentato_2017_1.indb 97 Art. 13 ci, la determinazione dei connotati del reato politico deve trarsi anche dal contesto costituzionale, cioè dai principi fondamentali enunciati dalla Costituzione a tutela dei diritti fondamentali della persona umana; tra tali principi devono comprendersi anche quelli fissati nelle norme che, seppur inserite nella parte relativa ai diritti e doveri dei cittadini, ineriscono ai diritti fondamentali quali la libertà di espressione del proprio pensiero, la libertà di associazione, la libertà sindacale etc., nonché quelli sanciti negli artt. 24 e 27 Cost. relativi al diritto di difesa ed alla natura e finalità della pena. * Cass. pen., sez. I, 12 dicembre 1990, n. 3768 c.c. (7 novembre 1990, Checchini.). l In tema di divieto di estradizione per reati politici, ai fini dell’individuazione del «reato politico», oltre che all’oggetto dell’incriminazione, al bene giuridico tutelato ed ai motivi della condotta criminosa, che hanno indubbia rilevanza come elementi sicuramente sintomatici della possibilità che la richiesta di estradizione mascheri un attentato alla personalità dell’estradando, bisogna fare riferimento, ampliando il concetto di reato politico, a quei fattori di natura collettiva e sociale dai quali possa emergere il pericolo di inquinamento della funzione repressiva, come concepita dalla nostra Carta costituzionale. * Cass. pen., sez. I, 12 dicembre 1990, n. 3768 c.c. (7 novembre 1990, Checchini.). l La nozione di reato politico, quale limite all’estradizione, può trarsi soltanto dal contesto costituzionale e, perciò, dai principi fondamentali da questo posti a tutela dei fondamentali diritti della persona umana. Tra questi primeggia quello stabilito dall’art. 27, comma terzo, Cost. sull’essenza, natura e consistenza della pena, dal quale discende la conclusione che scopo delle norme costituzionali vietanti l’estradizione per reati politici è essenzialmente quello di vietare che lo Stato italiano collabori a rendere possibile lo scatenarsi di vendette guidate da passioni di parte, o da interessi privi di valore al di fuori di una determinata cerchia politica. Ciò che conta per l’individuazione della natura politica del delitto è l’esistenza – o l’inesistenza – di fattori di natura collettiva o sociale, dai quali emerga il pericolo che possa restare inquinata la funzione repressiva, come concepita dalla Corte costituzionale. Nell’individuazione di tale natura devono inoltre confluire anche i valori fissati dalla Costituzione per il riconoscimento del diritto d’asilo (ossia le libertà democratiche fondamentali garantite costituzionalmente), in quanto integratori dell’aspetto generale dello spirito informatore della Costituzione, in relazione alla tutela della personalità umana. * Cass. pen., sez. I, 23 gennaio 1990, n. 3329 (ud. 15 dicembre 1989), Van Anraat. e-3) Minorenni. l Non può essere concessa l’estradizione di un imputato minorenne nell’ipotesi in cui l’ordinamento dello Stato richiedente preveda che lo 02/03/17 10:08 Art. 14 LIBRO I – DEI REATI stesso sarà giudicato come se fosse un adulto, la sua imputabilità sarà presunta senza alcun previo accertamento e la pena eventualmente inflittagli sarà eseguita negli ordinari istituti per adulti. (Nella specie si trattava di un minore imputabile che aveva commesso un delitto negli U.S.A. e la Cassazione ha ritenuto che la sorte assicurata allo stesso non è compatibile né con i principi che regolano nella Costituzione italiana la tutela della gioventù, né, soprattutto, con i principi fondamentali della penale responsabilità e della funzione della pena, contemplati nella Costituzione stessa). * Cass. pen., sez. I, 13 novembre 1987 (c.c. 25 maggio 1987, n. 2189), Sciacca. e-4) Litispendenza internazionale. l La cosiddetta litispendenza internazionale di cui all’art. 8 della Convenzione europea di estradizione firmata a Parigi il 13 dicembre 1957 e ratificata con L. 30 gennaio 1963 n. 300, non esplica nessuna influenza nel procedimento di competenza della sezione istruttoria di cui agli artt. 664 e seguenti del c.p.p., poiché l’esercizio della facoltà di rifiuto di concessione dell’estradizione, ai sensi del predetto art. 8, è riservato in via esclusiva agli organi del Governo e per essi al Ministero di grazia e giustizia che è il titolare del relativo potere. Pertanto, in caso di litispendenza internazionale, la sezione istruttoria, qualora ricorrano tutte le altre condizioni richieste, deve esprimere parere favorevole all’estradizione onde non pregiudicare i poteri discrezionali dell’Autorità amministrativa riconosciuti dall’art. 8 sopra citato. * Cass. pen., sez. I, 7 aprile 1982, n. 310 (c.c. 15 febbraio 1982), Batrouni. e-5) Reati fiscali. l In materia di estradizione tra lo Stato italiano ed il Regno del Belgio la Convenzione bilaterale sottoscritta a Roma il 15 gennaio 1875 che disciplina i relativi rapporti non contempla i reati fiscali per cui deve escludersi che la frode fiscale sia reato per il quale possa farsi luogo all’estradizione richiesta dal Governo del Belgio. Nella suddetta convenzione le parti contraenti hanno indicato all’art. 2 n. 16, tra i reati per cui è ammessa l’estradizione, l’escroquerie e la tromperie; con tali termini essi peraltro hanno voluto chiaramente riferirsi a figure di reati contro il patrimonio commessi mediante frode, previsti in entrambi gli ordinamenti del diritto penale comune. La semplice assonanza non è sufficiente a far ritenere che la frode fiscale rientri tra tali reati; la sua natura di «reato fiscale» lo pone fuori dell’area di criminalità comune che i contraenti hanno inteso reprimere e ciò d’altra parte si ricava dal fatto che ai reati fiscali non si fa alcun cenno nella convenzione in questione pur essendo stata la lista dei reati più volte aggiornata. L’estradizione per i «reati fiscali» è invero ammessa solo nelle ipotesi in cui sia espressamente prevista, mentre un’ulterio- COM_218_CodicePenaleCommentato_2017_1.indb 98 98 re conferma, relativamente ai rapporti italo-belgi della volontà a suo tempo espressa dai contraenti escludente dall’applicazione della estradizione i detti reati si ravvisa nella convenzione firmata a Bruxelles il 20 novembre 1978, ratificata con L. 15 agosto 1981, n. 500, non ancora in vigore solo per il mancato scambio delle ratifiche, la quale all’art. 22 prevede che «in materia di tasse, di imposte e di dogane e di cambio, l’estradizione sarà accordata alle condizioni previste dalla presente convenzione nella misura in cui sarà stato deciso mediante scambio di lettere per ciascun reato o categoria di reati specificatamente indicati». * Cass. pen., sez. VI, 29 agosto 1994, n. 2293 (c.c. 13 maggio 1994), Verdoet. f) Estradizione del cittadino. l I provvedimenti di espulsione di un soggetto verso l’Italia da parte di un Stato estero, ovvero di consegna allo Stato italiano a seguito di espulsione, non pongono limiti all’esercizio dell’azione penale in Italia e non comportano l’applicazione della procedura di estradizione, trattandosi di atti che, troncano ogni rapporto di ospitalità o di residenza con lo Stato che provvede alla consegna e dimostra, in tal modo, il proprio disinteresse ad attivare forme di protezione nei confronti di tale soggetto. * Cass. pen., sez. IV, 13 luglio 2016, n. 29628 (ud. 21 giugno 2016), Pugliese e altri. [RV267465] l L’art. 6 L. 30 gennaio 1963, n. 300, che ha reso esecutiva la Convenzione europea di estradizione del 13 dicembre 1957, accorda alle parti contraenti la facoltà di rifiutare l’estradizione dei propri cittadini, per cui anche l’estradabilità del cittadino deve considerarsi la regola e non l’eccezione. Infatti, il moderno fondamento dell’estradizione consiste nel riconoscimento internazionale del dovere reciproco degli Stati di consegnare gli imputati e i condannati, che si trovano nel loro territorio, a quello Stato che ha il maggior interesse alla punizione del colpevole, salvo espresso divieto, preveduto dalle convenzioni internazionali. In tal senso dispone anche l’art. 26 della Costituzione, che consente l’estradizione del cittadino quando essa sia prevista dalla convenzione internazionale, e tale previsione è contenuta nel citato art. 6 della Convenzione europea, che formula una mera facoltà di rifiuto, come tale demandata alla discrezionalità dell’organo di governo e, quindi, sottratta alla deliberazione dell’autorità giudiziaria. * Cass. pen., sez. I, 3 febbraio 1987 (c.c. 3 novembre 1986, n. 3574), Richter. 14. Computo e decorrenza dei termini. – Quando la legge penale fa dipendere un effetto giuridico (124, 157, 163, 172, 173, 217) dal decorso del tempo, per il computo di questo si osserva il calendario comune (1722 c.p.p.). 02/03/17 10:08 99 TITOLO I – LEGGE PENALE Ogni qual volta la legge penale stabilisce un termine per il verificarsi di un effetto giuridico, il giorno della decorrenza non è computato nel termine (1724 c.p.p.). l La regola della proroga di diritto al giorno successivo del termine che scade in giorno festivo non opera con riferimento al termine per la presentazione della querela. * Cass. pen., sez. V, 16 giugno 2010, n. 23281 (ud. 26 marzo 2010), Ciani. [RV247962] l Poiché le pene detentive temporanee si applicano a giorni, mesi e anni, il giorno va computato nella durata di ventiquattro ore – fermo restando il principio per cui quello di inizio della detenzione deve essere compreso nella durata di essa – mentre, per gli anni e per i mesi deve calcolarsi la durata che essi hanno in concreto secondo il calendario comune, di modo che il periodo stabilito a mesi deve considerarsi scaduto nel giorno del mese corrispondente a quello del suo inizio. * Cass. pen., sez. I, 1 dicembre 2009, n. 46149 (c.c. 4 novembre 2009), P.M. in proc. Di Giorgio. [RV245506] l Il compimento dei 18 anni di età, ai fini del raggiungimento della piena imputabilità penale, va fissato secondo le regole stabilite dall’art. 14, comma secondo, c.p. e dall’art. 172, comma quarto, c.p.p. e, quindi, trattandosi di termine da computarsi ad anni, allo scadere delle ore 24 del giorno del diciottesimo compleanno del soggetto. (Nella specie, in applicazione di tale principio, è stato ritenuto che fosse da considerare ancora minorenne un soggetto che aveva commesso un reato intorno alle ore 23,40 del giorno del suo diciottesimo compleanno). * Cass. pen., sez. I, 11 febbraio 1999, n. 158 (c.c. 7 gennaio 1999), confl. in proc. A. [RV212280] l Il decorso del termine di prescrizione inizia, per i reati consumati, dal giorno in cui si è esaurita la condotta illecita e, quindi, il computo incomincia con le ore zero del giorno successivo a quello in cui si è manifestata compiutamente la previsione criminosa e termina alle ore ventiquattro del giorno finale calcolato secondo il calendario comune. * Cass. pen., sez. VI, 21 aprile 1998, n. 4698 (ud. 16 marzo 1998), Carpinteri G. [RV211066] l Ai termini di durata massima della custodia cautelare fissati dall’art. 303 c.p.p. si applica la regola generale dell’art. 14 c.p., secondo cui nel computo non si comprende il giorno in cui è iniziata la decorrenza. In quanto stabiliti a mesi e ad anni, infatti, occorre far riferimento al calendario comune, sicché essi scadono nel giorno del mese o dell’anno corrispondente a quello del suo inizio. * Cass. pen., sez. VI, 29 settembre 1995, n. 2838 (c.c. 6 luglio 1995), Buonanuova ed altri. Conforme: Cass. pen., sez. V, 14 aprile 2010, n. 14317 (c.c. 10 febbraio 2010), Libertella. [RV203082] l Ai fini del computo della detenzione espiata, i giorni vanno calcolati per intero e non ad ore. COM_218_CodicePenaleCommentato_2017_1.indb 99 Art. 15 (Nella specie la Corte ha rigettato il ricorso che deduceva violazione di legge per avere il giudice di sorveglianza erroneamente escluso un intero giorno dal computo della detenzione espiata, in relazione alla revoca di un permesso concesso per 13 ore). * Cass. pen., sez. I, 22 giugno 1992, n. 2122 (c.c. 14 maggio 1992), Dini. 15. Materia regolata da più leggi penali o da più disposizioni della medesima legge penale. – Quando più leggi penali o più disposizioni della medesima legge penale regolano la stessa materia, la legge o la disposizione di legge speciale deroga alla legge o alla disposizione di legge generale, salvo che sia altrimenti stabilito (1). (1) Si veda l’art. 9 della L. 24 novembre 1981, n. 689, in tema di depenalizzazione, di cui si riporta il testo, come modificato dall’art. 95 del D.L.vo 30 dicembre 1999, n. 507.: «9. (Principio di specialità). Quando uno stesso fatto è punito da una disposizione penale e da una disposizione che prevede una sanzione amministrativa, ovvero da una pluralità di disposizioni che prevedono sanzioni amministrative, si applica la disposizione speciale. «Tuttavia quando uno stesso fatto è punito da una disposizione penale e da una disposizione regionale o delle province autonome di Trento e di Bolzano che preveda una sanzione amministrativa, si applica in ogni caso la disposizione penale, salvo che quest’ultima sia applicabile solo in mancanza di altre disposizioni penali. «Ai fatti puniti dagli articoli 5, 6 e 12 della legge 30 aprile 1962, n. 283, e successive modificazioni ed integrazioni, si applicano soltanto le disposizioni penali, anche quando i fatti stessi sono puniti con sanzioni amministrative previste da disposizioni speciali in materia di produzione, commercio e igiene degli alimenti e delle bevande.». SOMMARIO: a) Concorso di norme; b) Concorso apparente di norme; c) Principio di specialità; d) Principio di assorbimento; e) Reato progressivo; f) Casistica; f-1) Concorso fra reati associativi; f2) Concorso di norme nei delitti contro la persona; f-3) Concorso di norme nei delitti contro il patrimonio; f-4) Concorso di norme nei delitti contro la pubblica amministrazione; f-5) Ipotesi di concorso con l’illecito amministrativo; f-6) Concorso di norme nei reati contro la pubblica fede; f-7) Varie. a) Concorso di norme. l Perché si verifichi il concorso di norme (con la conseguente necessità di individuare la norma speciale che deroga a quella generale) è necessaria, in primo luogo, l’identità della natura delle norme, che devono essere, tutte, norme penali, e, successivamente, l’identità dell’oggetto di tali norme, che devono regolare, tutte la stessa materia; devono esser, perciò, caratterizzate dall’identità del bene alla cui tutela sono finalizzate. (Fattispecie relativa a inosservanza delle prescrizioni 02/03/17 10:08 Art. 15 LIBRO I – DEI REATI inerenti alla libertà controllata con violazione di quella avente ad oggetto la sospensione della patente di guida, in ordine alla quale la S.C. ha ritenuto insussistente il concorso di norme disciplinate dall’art. 15 c.p., sul rilievo che, se la disposizione che prevede e punisce la guida di un veicolo con patente sospesa è di indubbia natura penale, non lo è la norma dell’art. 108 della legge n. 689 del 1981, la quale ha carattere esclusivamente procedimentale, nell’ambito del procedimento che concerne l’esecuzione delle sentenze di condanna a pena pecuniaria nell’ipotesi in cui l’esecuzione ordinaria di tali sentenze abbia esito negativo per insolvibilità del condannato). * Cass. pen., Sezioni Unite, 13 settembre 1995, n. 9568 (ud. 21 aprile 1995), La Spina. [RV202011] l Ove una stessa materia sia regolata da più leggi penali o da più disposizioni della medesima legge penale, l’applicazione della disciplina speciale non esclude quella della disciplina generale quando quest’ultima possa integrare la prima per gli aspetti in cui difetti di norme regolanti la stessa materia. (Fattispecie in tema di disciplina antinfortunistica in miniere, cave e torbiere). * Cass. pen., sez. IV, 13 maggio 1980, n. 5936 (ud. 5 dicembre 1979), Ceschia. l Per aversi concorso di norme ed applicazione della legge speciale rispetto a quella generale ai sensi dell’art. 15 c.p. è necessario che le disposizioni plurime regolino la stessa materia, abbiano la stessa obiettività giuridica e che la norma speciale, considerata nella sua fattispecie legale e nei suoi elementi costitutivi, abbracci interamente l’altra. * Cass. pen., sez. V, 9 gennaio 1980, n. 373 (ud. 11 ottobre 1979), Murdaca. b) Concorso apparente di norme. l Sussiste concorso apparente di norme tra il delitto di violenza privata (art. 610 c.p.) e quello di abuso di autorità mediante ingiurie nei confronti di inferiore di grado (art. 196 c.p.m. p.), che rimane dunque assorbito nel primo. Nel delitto di cui all’art. 610 c.p., infatti, il soggetto attivo, con violenza o minaccia, mira a costringere la vittima a fare, tollerare od omettere qualche cosa, mentre, nel reato militare, la minaccia di ingiusto danno, formulata dal superiore nei confronti dell’inferiore, è fine a sé stessa, poiché la norma non specifica lo scopo che l’agente intende raggiungere. * Cass. pen., sez. V, 29 dicembre 1999, n. 14718 (ud. 18 novembre 1999), Simionato M. ed altri. [RV215194] l Poiché il concorso apparente di norme coesistenti postula che una determinata norma incriminatrice speciale presenti in sè tutti gli elementi costitutivi di un’altra generale oltre che un elemento ulteriore cosiddetto specializzante, non può ravvisarsi alcun concorso di norme quando il giudice di merito escluda, in fatto, la presenza di un elemento costitutivo di una di esse, anche se tale esclusione riguardi un reato diverso COM_218_CodicePenaleCommentato_2017_1.indb 100 100 da quelli cui si riferiscono le norme in concorso. (Nella specie, i giudici di merito, nell’affermare la responsabilità degli imputati per il reato di cui all’art. 1, comma primo, della legge 7 agosto 1982, n. 516, avevano escluso che gli imputati stessi avessero compiuto «artifici e raggiri» atti a indurre in errore lo Stato, essendosi limitati a non presentare le prescritte dichiarazioni dei redditi e dell’Iva. Oltre ad aver pronunciato condanna per tale reato, avevano anche dichiarato gli imputati responsabili del delitto di cui all’art. 4, comma primo, lett. b), della legge 7 agosto 1982, n. 516 per avere distrutto o comunque occultato la contabilità di alcune società di comodo da loro create, al fine di impedire la ricostruzione del volume di affari e l’individuazione dei clienti e fornitori, dichiarando assorbito in tale reato quello di truffa, pure contestato, per avere i prevenuti – con artifici e raggiri consistiti nella creazione di società di comodo e altre attività illecite – indotto in errore la pubblica amministrazione non versando l’Iva fatturata e riscossa. La Corte Suprema, enunciando il principio di cui sopra, ha annullato la sentenza impugnata nella parte in cui i giudici di merito avevano dichiarato assorbito il reato di truffa, chiarendo che – dopo l’affermazione che gli imputati non avevano compiuto «artifici e raggiri» – avrebbero dovuto dichiarare insussistente il reato di truffa). * Cass. pen., sez. VI, 25 novembre 1998, n. 12345 (ud. 23 ottobre 1998), Baudini D.L. e altro. [RV212322] l Tra l’art. 586 c.p. (morte o lesioni come conseguenza di altro delitto) e l’art. 589 stesso codice (omicidio colposo) esiste un concorso apparente di norme, che va risolto ex art. 15 c.p. con l’applicazione esclusiva della norma speciale. La quale è proprio quella dell’art. 586 c.p., che prevede alcuni elementi comuni con la norma dell’art. 589 citato (condotta umana che cagiona l’evento della morte di una persona) e alcuni elementi aggiuntivi esclusivi (colpa consistente nella commissione di un delitto doloso, pena aggravata). Ne deriva che quando la morte è conseguenza di altro delitto non può applicarsi la norma dell’art. 589 c.p., ma deve applicarsi soltanto quella dell’art. 586 stesso codice. * Cass. pen., sez. III, 9 febbraio 1996, n. 1602 (ud. 6 dicembre 1995), Sonderegger. [RV204470] c) Principio di specialità. l In caso di concorso tra disposizione penale incriminatrice e disposizione amministrativa sanzionatoria in riferimento allo stesso fatto, deve trovare applicazione esclusivamente la disposizione che risulti speciale rispetto all’altra all’esito del confronto tra le rispettive fattispecie astratte. * Cass. pen., Sezioni Unite, 21 gennaio 2011, n. 1963 (c.c. 28 ottobre 2010), P.G. in proc. Di Lorenzo. [RV248722] l In caso di concorso di norme penali che regolano la stessa materia, il criterio di specialità (art. 15 c.p.) richiede che, ai fini della individua- 02/03/17 10:08 101 TITOLO I – LEGGE PENALE zione della disposizione prevalente, il presupposto della convergenza di norme può ritenersi integrato solo in presenza di un rapporto di continenza tra le norme stesse, alla cui verifica deve procedersi mediante il confronto strutturale tra le fattispecie astratte configurate e la comparazione degli elementi costitutivi che concorrono a definirle. * Cass. pen., Sezioni Unite, 19 gennaio 2011, n. 1235 (c.c. 28 ottobre 2010), Giordano ed altri. [RV248864] l In ipotesi di concorso delle imputazioni di oltraggio e di lesioni volontarie aggravate dalla qualità di pubblico ufficiale, ai sensi dell’art. 61, n. 10, c.p., devono trovare applicazione entrambe le norme, in considerazione dei differenti beni giuridici protetti dalle due previsioni legislative. Non può, infatti, operare, in tal caso il principio di specialità di cui all’art. 15 c.p., perché la disposizione presuppone che più norme incriminatrici regolino la stessa materia, abbiano, cioè la stessa obiettività giuridica, intesa nel senso di identità del bene protetto. * Cass. pen., sez. VI, 24 giugno 1998, n. 7516 (ud. 26 maggio 1998), Izzo P. [RV211250] l L’ordinamento positivo è ispirato, in materia di concorso apparente di norme, al principio della specialità, consacrato nell’art. 15 c.p. Detto principio postula che una determinata norma incriminatrice (speciale) presenti in sé tutti gli elementi costitutivi di un’altra (generale), oltre a quelli caratteristici della specializzazione; è necessario, cioè, che le due disposizioni appaiano come due cerchi concentrici, di diametro diverso, per cui quello più ampio contenga in sé quello minore, ed abbia, inoltre, un settore residuo, destinato ad accogliere i requisiti aggiuntivi della specialità (nella specie si è rilevata l’assenza di un rapporto di specialità tra il reato di sfruttamento della prostituzione e quello di concussione, osservandosi che nel primo delitto non rientra – se non come mera circostanza e quindi non come elemento essenziale – l’abuso di un pubblico potere o di una pubblica funzione, mentre nel secondo non è compreso il requisito della provenienza del denaro, consapevolmente e reiteratamente ricevuto dal colpevole, dal meretricio del soggetto passivo). * Cass. pen., sez. VI, 26 marzo 1993, n. 3018 (ud. 12 gennaio 1993), Costarelli. Conforme quanto al principio di diritto, Cass. pen., sez. VI, 19 aprile 1969, n. 922, Bruni. d) Principio di assorbimento. l Il delitto di violenza sessuale (nella specie, di gruppo: art. 609 octies c.p.), considerato come circostanza della forma aggravata dell’omicidio, se commesso in un unico contesto temporale, non concorre formalmente con esso, ma in esso resta assorbito, confluendo nella figura del reato complesso in senso stretto di cui all’art. 84, comma primo, c.p., punibile con la pena dell’ergastolo. * Cass. pen., sez. I, 22 febbraio 2005, n. 6775 (ud. 28 gennaio 2005), P.G. in proc. Erra ed altri. [RV230149] COM_218_CodicePenaleCommentato_2017_1.indb 101 Art. 15 l Deve ammettersi il concorso tra il reato di illecita detenzione di sostanza stupefacente commesso da persona armata ed il reato di illecita detenzione di arma; in senso contrario non potrebbe invocarsi né il principio di specialità in quanto il bene giuridico protetto (ordine pubblico e salute pubblica) è diverso nelle rispettive norme incriminatrici, né il principio dell’assorbimento mancando identità degli elementi costitutivi tra l’aggravante predetta ed il reato di detenzione illecita di arma posto che l’aggravante in questione non postula illiceità della detenzione e pertanto non può dirsi costituito da un fatto che integrerebbe per sé stesso reato. * Cass. pen., sez. VI, 4 maggio 1994, n. 5213 (c.c. 13 gennaio 1994), Guarneri. [RV197792] l L’elemento materiale del reato di attentato contro i diritti politici del cittadino, previsto dall’art. 294 c.p., consiste in una condotta esplicantesi in violenza, minaccia o inganno che si traduce nell’impedimento all’esercizio di un diritto politico o nella determinazione del cittadino stesso ad esercitarlo in maniera difforme dalla sua volontà. L’art. 610 c.p., che prevede il reato di violenza privata, delinea una fattispecie generica e sussidiaria, sicché questa è destinata ad essere assorbita in quella specifica di cui all’art. 294 c.p., in virtù del principio di specialità fissato dall’art. 15 c.p. (Fattispecie connotata dalla minaccia nei confronti di un candidato alla carica di consigliere comunale, al fine di costringerlo a ritirare la candidatura, con la prospettazione del rigetto della domanda di assunzione come giardiniere del comune, dallo stesso presentata. La S.C. ha statuito che correttamente il giudice di merito aveva ravvisato il delitto ipotizzato dall’art. 294 c.p.). * Cass. pen., sez. I, 2 dicembre 1993, n. 11055 (ud. 14 ottobre 1993), Renna. l Non si verifica assorbimento della contravvenzione di cui all’art. 684 c.p. nel delitto di rivelazione dei segreti di ufficio previsto dall’art. 326 dello stesso codice. Invero il concorso apparente di norme non è configurabile sulla base della identità del bene giuridico protetto dalle disposizioni apparentemente confliggenti, presupponendo, invece, un medesimo fatto. (Nella specie si è precisato che i fatti vennero realizzati con azioni diverse, distinte anche nel tempo: con la comunicazione all’estraneo della notizia segreta fu consumato il reato di cui all’art. 326 c.p.; successivamente, con la pubblicazione degli atti, fu consumata la contravvenzione indicata nell’art. 684 dello stesso codice). * Cass. pen., Sezioni Unite, 19 gennaio 1982, n. 420 (ud. 28 novembre 1981), Emiliani. e) Reato progressivo. l Il metodo mafioso costituisce l’elemento specializzante della fattispecie di cui all’art. 416 bis c.p., introdotta con la L. 13 settembre 1982 n. 646, rispetto all’associazione per delinquere di 02/03/17 10:08 Art. 15 LIBRO I – DEI REATI tipo comune (art. 416 c.p.). La condotta riferita a gruppo delinquenziale costituito ed operante da tempo, nella quale la riscontrata adozione del metodo mafioso era penalmente indifferente prima di tale data (salvo che essa non avesse realizzato da parte degli associati altri reati nei quali l’intimidazione o la minaccia fossero elemento costitutivo o circostanza aggravante), ha assunto rilievo specializzante a decorrere dalla suddetta data, nel senso che l’accertato impiego del metodo in questione determina la punibilità dei partecipanti al sodalizio nei termini della nuova ipotesi edittale. In tale ipotesi, l’effetto di assorbimento, in applicazione dell’art. 15 c.p., del reato meno grave in quello più grave deriva non dall’applicazione delle norme sul reato progressivo – giacchè la progressione tra le due fattispecie penali di cui agli artt. 416 e 416 bis c.p. è nella successione delle leggi e non nelle condotte penalmente punibili – bensì dalla considerazione della loro comune natura permanente e degli elementi comuni e specializzanti della più grave figura di reato rispetto a quella relativamente meno grave. * Cass. pen., sez. I, 6 giugno 1992, n. 6784 (ud. 1 aprile 1992), Bruno ed altri. f) Casistica. f-1) Concorso fra reati associativi. l Qualora il delitto di cui all’art. 73 D.P.R. n. 309/90 sia commesso anche avvalendosi della forza intimidatrice dell’appartenenza ad una associazione mafiosa, la collaborazione prestata per evitare che l’attività criminosa sia portata a conseguenze ulteriori individua una attenuante che si colloca in rapporto di specialità rispetto a quella prevista per la dissociazione sia perché specifica in relazione ai reati in materia di stupefacenti sia perché più favorevole prevedendo una riduzione della pena dalla metà ai due terzi. * Cass. pen., sez. II, 16 aprile 2003, n. 18100 (ud. 25 novembre 2002), Stanganelli ed altri. [RV224678] l È possibile il concorso fra i reati associativi di cui agli artt. 416 bis c.p. e 74 D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 quando si sia in presenza, da una parte, di un organismo (quello di stampo mafioso) a carattere federalistico e verticistico, raggruppante l’intera massa degli associati, dall’altro di organismi che, operando nello specifico campo del traffico degli stupefacenti, fruiscano, pur sotto la sorveglianza e con il contributo logistico dell’organizzazione di stampo mafioso, di una certa libertà operativa e siano (eventualmente) differenziati soggettivamente dallo schema strutturale di detta ultima organizzazione. Ne consegue che proprio per la pur limitata autonomia dell’associazione finalizzata al traffico degli stupefacenti e la possibile, almeno parziale, differenza nella componente soggettiva, l’affiliazione all’organizzazione mafiosa non è da sola sufficiente a dimostrare la partecipazione all’altra, per la cui COM_218_CodicePenaleCommentato_2017_1.indb 102 102 sussistenza occorre verificare se il soggetto risulti inserito e partecipe della particolare, autonoma finalità dell’illecita circolazione dello stupefacente. * Cass. pen., sez. I, 6 giugno 1996, n. 2620 (c.c. 24 aprile 1996), Marsano. [RV204902] l In tema di associazione per delinquere e di associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, al fine di distinguere le ipotesi di concorso apparente di norme da quelle di concorso formale di reati occorre far riferimento al principio di specialità di cui all’art. 15 c.p., fondato sul rapporto logico formale fra le norme incriminatrici, mentre gli altri criteri (sussidiarietà, assorbimento, progressione degli illeciti) basati su giudizi di valore, risolti con la prevalenza della sola sanzione prevista per l’ipotesi più grave, non sono utilizzabili, in quanto i due eventi di pericolo che le predette associazioni realizzano (pericolo di diffusione di sostanze stupefacenti l’una, prevalente pericolo di commissione di delitti contro il patrimonio e le persone l’altra) non si pongono in rapporto di graduazione di dignità e gravità di offesa ai medesimi beni, bensì in rapporto di diversità di beni giuridici tutelati. * Cass. pen., sez. VI, 25 novembre 1995, n. 11413 (ud. 14 giugno 1995), Montani ed altri. [RV203644] l Il delitto previsto dall’art. 74 D.P.R. n. 309/1990 costituisce norma speciale rispetto all’art. 416 c.p., perché a tutti gli elementi costitutivi della associazione per delinquere – a) vincolo tendenzialmente permanente o comunque stabile; b) indeterminatezza del programma criminoso; c) esistenza di una struttura organizzativa adeguata allo scopo – aggiunge quello specializzante della natura dei reati fini programmati, che devono essere quelli previsti dall’art. 73 D.P.R. cit. In forza del principio di specialità (art. 15 c.p.) la costituzione di un’associazione finalizzata al solo traffico di stupefacente non potrà essere punita a doppio titolo (ex art. 416 c.p. e art. 73 T.U. 309/90), mentre la costituzione di una associazione finalizzata alla commissione, sia di reati di stupefacente che di reati diversi, potrà essere punita, oltre che dal citato art. 73, anche dall’art. 416 c.p., con riferimento a quell’ulteriore evento giuridico, lesivo del bene tutelato, ravvisabile nella costituzione di una seconda situazione di pericolo, autonomamente ravvisabile, con particolare riferimento a quegli elementi del reato associativo indicati sub b) e c) che, rientrando nella previsione di carattere generale, si sottraggono a quella speciale e, perciò, sfuggono, alla disposizione dell’art. 15 c.p. * Cass. pen., sez. VI, 25 novembre 1995, n. 11413 (ud. 14 giugno 1995), Montani ed altri. [RV203643] l La disposizione di cui all’art. 74, D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, che punisce l’associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, non si pone in rapporto di specialità con l’art. 416 bis c.p. (associazione per delinquere di stampo mafioso) in quanto i due reati si distinguo- 02/03/17 10:08 103 TITOLO I – LEGGE PENALE no nettamente, essendo caratterizzato il secondo dal metodo mafioso, assente nel primo, il quale contiene un elemento costituito dalla natura dei reati-fine, specializzante, solo rispetto al delitto di cui all’art. 416 c.p.; ciò significa che fra le predette norme incriminatrici esiste un rapporto di specialità reciproca, che non consente l’applicazione del principio sancito dall’art. 15 c.p., ma rende configurabile il concorso formale fra i due reati. Pertanto, se l’esistenza di un sodalizio criminoso non mafioso finalizzato al traffico di sostanze stupefacenti configura il reato di cui all’art. 74, D.P.R. n. 309/1990 e non anche quello di cui all’art. 416 c.p., il fatto di una organizzazione mafiosa che si dedichi a detto traffico rientra nell’ambito applicativo di entrambe le fattispecie criminose. * Cass. pen., sez. II, 29 settembre 1995, n. 478 (ud. 4 maggio 1995), Allegretto ed altri. [RV202811] l Il delitto di partecipazione alla associazione per delinquere finalizzata all’esercizio abusivo del giocodel lotto, in quanto reato-mezzo, non può ritenersi assorbito, ex art. 15 c.p., nel delitto di esercizio del gioco del lotto clandestino, con premi in danaro, ordinato in modo simile al lotto pubblico, che è un reato fine. L’applicazione del principio di specialità di cui alla ricordata norma del codice presuppone, infatti, che una delle norme (quella cosiddetta speciale) presenti nella sua struttura tutti gli elementi propri dell’altra (cosiddetta generica), oltre a quelli caratteristici propri della specialità; una situazione, invece, non riscontrabile con riguardo alle fattispecie in questione, che prevedono reati distinti ed aventi diverse obiettività giuridiche. * Cass. pen., sez. I, 23 luglio 1993, n. 1560 (c.c. 14 aprile 1993), Manna. f-2) Concorso di norme nei delitti contro la persona. l Il delitto di illecita concorrenza con violenza o minaccia concorre e non è assorbito nel reato di estorsione, trattandosi di fattispecie preordinate alla tutela di beni giuridici diversi: la disposizione di cui all’art. 513 bis cod. pen. ha come scopo la tutela dell’ordine economico e, quindi, del normale svolgimento delle attività produttive a esso inerenti, mentre il reato di estorsione tende a salvaguardare prevalentemente il patrimonio dei singoli. * Cass. pen., sez. II, 6 febbraio 2014, n. 5793 (ud. 24 ottobre 2013), Campolo. [RV258200] l I reati di sequestro di persona, rapina e tentato omicidio possono concorrere tra loro non sussistendo alcun rapporto di consunzione o sussidiarietà tra gli stessi, attesa la diversità dei beni giuridici tutelati che, da un lato, non consente di ritenere assorbiti tra loro gli interessi tutelati dalle fattispecie di sequestro di persona e rapina e, dall’altro, esclude che tali ultime condotte costituiscano il necessario antefatto del delitto di tentato omicidio. (In motivazione la Corte ha aggiunto che non è applicabile il criterio della consunzione, in quanto il tentato omicidio non comprende COM_218_CodicePenaleCommentato_2017_1.indb 103 Art. 15 in sè i fatti di rapina e sequestro di persona, né esaurisce l’intero disvalore del fatto concreto). * Cass. pen., sez. I, 12 agosto 2010, n. 31735 (ud. 1 luglio 2010), Samuele. [RV248094] l L’omicidio volontario di donna in stato di gravidanza non assorbe il reato di procurato aborto, trovando applicazione in simile ipotesi la disposizione sul concorso formale di reati e non quella sul concorso apparente di norme. * Cass. pen., sez. I, 17 maggio 2010, n. 18514 (ud. 17 marzo 2010), D.G. [RV247203] l Per il principio di specialità di cui all’art. 15 c.p. non è configurabile il delitto di violenza privata qualora la violenza (fisica o morale) sia stata usata direttamente ed esclusivamente per uno dei fini particolari previsti da altre ipotesi di reato, quale il sequestro di persona, allorché la violenza esercitata sulla vittima sia stata unicamente rivolta a privarla della libertà. * Cass. pen., sez. II, 10 dicembre 2004, n. 47972 (ud. 1 ottobre 2004), Caldara ed altri. [RV230710] l Non sussiste rapporto di specialità (art. 15 c.p.) tra il delitto di maltrattamenti in famiglia (art. 572 c.p.) e quello di riduzione in schiavitù (art. 600 c.p.), trattandosi di reati che tutelano interessi diversi – la correttezza dei rapporti familiari nella prima ipotesi, lo status libertatis dell’individuo nella seconda – e che presentano un diverso elemento materiale, in quanto nell’ipotesi dell’art. 572 c.p. è necessario che un componente della famiglia sottoponga un altro a vessazioni, mentre nel caso di riduzione in schiavitù è necessario che un soggetto eserciti su un altro individuo un diritto di proprietà, con la conseguenza che le due ipotesi di reato, sussistendone i presupposti, possono concorrere. * Cass. pen., sez. V, 30 settembre 2002, n. 32363 (ud. 1 luglio 2002), Dimitrijevic Dragojub. [RV222621] l Sussiste concorso materiale tra i reati previsti dalle norme relative alla prevenzione degli infortuni sul lavoro ed i reati di omicidio colposo e lesioni personali colpose, atteso che la diversa natura dei reati medesimi (i primi di pericolo e di mera condotta, i secondi di danno e di evento), il diverso elemento soggettivo (la colpa generica nei primi, la colpa specifica nei secondi, nell’ipotesi aggravate di cui al comma 2 dell’art. 589 e al comma 3 dell’art. 590), i diversi interessi tutelati (la prevalente finalità di prevenzione dei primi, e lo specifico bene giuridico della vita e dell’incolumità individuale protetto dai secondi), impongono di ritenere non applicabile il principio di specialità di cui all’art. 15 del codice penale. * Cass. pen., sez. IV, 3 ottobre 2001, n. 35773 (ud. 6 giugno 2001), Vizioli A. [RV219970] l Per il principio di specialità di cui all’art. 15 c.p., non è configurabile il delitto di violenza privata qualora la violenza (fisica o morale) sia stata usata per uno dei fini particolari previsti da altre ipotesi di reato, come un sequestro di persona, posto che il reato di cui all’art. 610 c.p., avente 02/03/17 10:08 Art. 15 LIBRO I – DEI REATI carattere sussidiario, non è applicabile se il fatto ricade sotto altro titolo delittuoso specificamente previsto dalla legge. (Nel caso di specie, la violenza esercitata sulla vittima era stata diretta immediatamente a privarla della libertà personale per alcune ore, costringendola a salire, mediante minaccia con una pistola, su una autovettura: la S.C. ha ritenuto il reato di violenza privata assorbito in quello di sequestro di persona, enunciando il principio di cui in massima). * Cass. pen., sez. I, 26 marzo 1995, n. 4522 (ud. 24 marzo 1995), Di Bella. Conforme, Cass. pen., sez. V, 11 novembre 1999, n. 12851, Barbieri F. [RV201138] l In tema di rapina, la violenza, consistita nel porre taluno in stato d’incapacità d’intendere e di agire, non può ritenersi assorbita nell’elemento costitutivo del delitto di tentato omicidio trattandosi di condotta relativa alla commissione di distinte fattispecie criminose, che mantengono la loro autonomia e tra le quali è ammissibile il concorso. Infatti, rispetto alla identità della condotta (nella specie avere tramortito una donna con pugni e calci), nel tentato omicidio è rilevabile il dolo diretto, cioè l’intenzione di uccidere, mentre nella rapina c’è il quid pluris di porre la vittima in stato d’incapacità d’intendere e di agire proprio per meglio eseguire il reato, sicché non trova applicazione il principio di specialità (art. 15 c.p.), in virtù del quale l’una fattispecie criminosa sarebbe assorbita nell’altra, ma ricorre, invece, un tipico caso di concorso formale di reati. (Fattispecie relativa a rigetto del ricorso con cui si era lamentata l’errata contestazione dell’aggravante di cui all’art. 628, comma 3, n. 2 c.p.). * Cass. pen., sez. I, 17 giugno 1994, n. 7196 (ud. 10 maggio 1994), Tilev. l Il reato di violenza contro un inferiore previsto dall’art. 195 c.p.m.p., è plurilesivo, dal momento che offende la vita o l’integrità fisica del militare di grado inferiore e l’interesse alla coesione, al servizio e all’ordine delle forze armate. Pertanto, non è ravvisabile una ipotesi di concorso formale tra il predetto reato e quello di lesioni volontarie, di cui all’art. 582 c.p., bensì un concorso apparente di norme avuto riguardo all’obiettività giuridica del reato militare, che comprende anche quella del reato comune, e alla struttura normativa del primo, che è assorbente rispetto a quella del secondo, perchè nel reato militare sono compresi anche gli elementi obiettivi e subiettivi propri del reato comune. (Nella specie la S.C. ha risolto il conflitto positivo, dichiarando la giurisdizione del tribunale militare). * Cass. pen., sez. I, 5 dicembre 1991 (c.c. 31 ottobre 1991, n. 4069), Pergolesi. f-3) Concorso di norme nei delitti contro il patrimonio. l L’art. 642 cod. pen., strutturato come una norma penale mista del tutto peculiare, prevede nei suoi commi primo e secondo cinque diverse fattispecie di reato – in particolare, il danneggiamento dei beni assicurati e la falsificazione o COM_218_CodicePenaleCommentato_2017_1.indb 104 104 alterazione della polizza, nel comma primo; la mutilazione fraudolenta della propria persona, la denuncia di un sinistro non avvenuto e la falsificazione o alterazione della documentazione relativi al sinistro, nel comma secondo – che, ove ricorrano gli estremi fattuali, possono concorrere fra loro. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto configurabile il concorso di reati nel caso di fraudolenta distruzione della cosa propria e di fraudolenta esagerazione del danno). * Cass. pen., sez. II, 17 gennaio 2014, n. 1856 (ud. 17 dicembre 2013), Unipol Assicurazioni Spa e altro. [RV258012] l I reati di cui agli artt. 629 cod. pen. e 12, comma quinto, D.Lgs. 25 luglio 1998 n. 286 possono concorrere, in quanto le relative fattispecie incriminatrici sono poste a tutela di beni diversi (rispettivamente l’inviolabilità del patrimonio e della libertà personale il primo, la sicurezza interna il secondo) ed integrate da condotte differenti (in particolare, integrate quelle del primo delitto da violenza e minacce finalizzate a procurarsi un ingiusto profitto, quella del secondo da condotta di favoreggiamento della permanenza sul territorio di stranieri extracomunitari irregolari). * Cass. pen., sez. II, 13 gennaio 2014, n. 933 (ud. 11 ottobre 2013), Debbiche Helmi e altri. [RV258008] l La fattispecie criminosa di cui all’art. 316 ter c.p. (inserito dall’art. 4 della legge 29 settembre 2000, n. 300) che sanziona l’indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato costituisce norma sussidiaria rispetto al reato di truffa di cui all’art. 640 bis c.p. il quale esaurisce l’intero disvalore del fatto ed assorbe l’interesse tutelato dalla prima previsione. Ne consegue che il reato di cui all’art. 316 ter può trovare applicazione solo ove non ricorra la fattispecie di cui all’art. 640 bis c.p. * Cass. pen., sez. VI, 23 novembre 2001, n. 41928 (ud. 24 settembre 2001), P.M. in proc. Tammerle. [RV220200] l Tra la fattispecie di cui all’art. 611 e quella di cui all’art. 629 c.p., nella forma consumata o tentata, non sussiste alcun rapporto di specialità che si presenti riconducibile alla nozione accolta nell’art. 15 dello stesso codice, in quanto – a parte la diversità di beni giuridici tutelati dalle due fattispecie – nel primo reato la condotta presa in considerazione dalla legge è quella diretta a costringere altri a commettere un reato, mentre nel secondo reato la condotta incriminata è quella diretta a conseguire – in coerenza con la natura di reato contro il patrimonio che è propria della figura dell’estorsione – un ingiusto profitto con altrui danno patrimoniale, sicché si riscontra in ciascuna delle due ipotesi criminose una diversità di condotte finalistiche, una diversità di beni aggrediti ed una diversità di attività materiali che non lascia sussistere tra esse quella relazione di omogeneità che le rende riconducibili ad unum nella figura del reato speciale ex art. 15 c.p. (In applicazione di detto principio la Corte ha rigettato il motivo con il quale il ricorrente, sulla base di 02/03/17 10:08 105 TITOLO I – LEGGE PENALE un asserito rapporto di specialità bilaterale e reciproca tra le due fattispecie, sosteneva l’avvenuto assorbimento nel delitto di estorsione di quello previsto dall’art. 611 c.p.). * Cass. pen., sez. II, 21 marzo 1997, n. 2704 (ud. 7 marzo 1997), Bonaiuto ed altri. [RV207315] l In applicazione del principio di specialità sancito dall’art. 15 c.p. e del principio secondo cui lo stesso fatto non può essere posto a carico dell’agente una seconda volta, la violenza o minaccia adoperata dopo la sottrazione di una cosa mobile altrui, per assicurare a sé o ad altri il possesso della cosa sottratta, o per procurare a sé o ad altri l’impunità, è elemento costitutivo del reato di rapina impropria, di cui all’art. 628, primo capoverso, c.p. valutato dal legislatore per configurare tale fattispecie di reato, e pertanto non può essere valutata una seconda volta a titolo di circostanza aggravante del nesso teleologico prevista dall’art. 576, n. 1, c.p. in relazione all’art. 61, n. 2, c.p. * Cass. pen., sez. I, 25 maggio 1996, n. 5189 (ud. 18 marzo 1996), Semeraro ed altro. [RV204666] l Il delitto di furto di materiale inerte sottratto dall’alveo di un torrente mediante escavazione dello stesso non rimane assorbito nel reato di cui agli artt. 133, 142 R.D. 25 luglio 1904, n. 523, e 374 L. 20 marzo 1865, n. 2248 ma concorre con questo. Il principio di specialità previsto dall’art. 15 c.p. non può infatti, operare, in quanto la contravvenzione punisce comportamenti dal legislatore ritenuti pericolosi per l’assetto idrogeologico del territorio e, quindi, lesivi di un interesse essenzialmente pubblico, che può risultare in concreto vulnerato anche senza che abbiano luogo l’impossessamento e l’asportazione del materiale, mentre l’essenza giuridica del delitto di furto è costituita dalla violazione del diritto di proprietà, pubblica o privata, e la sua materialità postula necessariamente la sottrazione e l’impossessamento della cosa. * Cass. pen., sez. IV, 20 ottobre 1995, n. 10453 (ud. 25 settembre 1995), Aligliò. [RV202278] l Il reato di fraudolenta distruzione della cosa propria (art. 642 c.p.) costituisce un’ipotesi criminosa speciale rispetto al reato di truffa (art. 640 c.p.); nel primo, infatti, sono presenti gli stessi elementi della condotta caratterizzanti il secondo ed, in più, come elemento specializzante, il fine di tutela del patrimonio dell’assicuratore. * Cass. pen., sez. II, 2 maggio 1995, n. 4828 (ud. 12 dicembre 1994), P.M. in proc. Bonnato. [RV201184] f-4) Concorso di norme nei delitti contro la pubblica amministrazione. l Il delitto di turbata libertà degli incanti (art. 353 c.p.) ha natura plurioffensiva, tutelando la norma non solo la libertà di partecipare alle gare nei pubblici incanti, ma anche la libertà di chi vi partecipa ad influenzarne l’esito, secondo la libera concorrenza ed il gioco della maggiorazione delle offerte. Ne consegue che, in base al principio di specialità espresso dall’art. 15 c.p., tale delitto COM_218_CodicePenaleCommentato_2017_1.indb 105 Art. 15 non può concorrere con quello di estorsione (art. 629 c.p.), con la conseguenza che quest’ultimo deve ritenersi assorbito nel primo. * Cass. pen., sez. VI, 28 aprile 2004, n. 19607 (c.c. 3 marzo 2004), P.M. in proc. Del Regno. [RV228964] l Atteso il carattere residuale del reato di abuso di ufficio previsto dall’art. 323 c.p., anche dopo la novella della L. 16 luglio 1997, n. 234, deve escludersi, in applicazione della regola della specialità sancita dall’art. 15 c.p., il concorso formale di tale reato con quelli, più gravi, di violenza privata e lesioni, aggravati entrambi ex art. 61, n. 9 c.p. * Cass. pen., sez. VI, 31 dicembre 2003, n. 49536 (ud. 1 ottobre 2003), Donno ed altri. [RV228859] l Tra il reato di istigazione alla corruzione propria di cui all’art. 322, secondo comma, c.p. e quello di subornazione, previsto dall’art. 377 c.p., nel testo risultante dall’art. 11, sesto comma, del D.L. 8 giugno 1992, n. 306, convertito nella L. 7 agosto 1992, n. 356, qualora l’attività illecita dell’agente si rivolga nei confronti del consulente tecnico del pubblico ministero, intercorre un rapporto di specialità ai sensi dell’art. 15 c.p. in virtù del quale deve trovare applicazione solo l’art. 377 c.p., sia in relazione al profilo soggettivo, per la specificità della persona coinvolta (sempre che abbia già assunto la veste di testimone per effetto di citazione a comparire), sia al profilo oggettivo, per la specificità dell’atto contrario ai doveri di ufficio, mirante, in sostanza, alla manipolazione dell’accertamento tecnico. * Cass. pen., sez. VI, 30 marzo 1999, n. 4062 (ud. 7 gennaio 1999), Pizzicaroli G. [RV214146] l Tra il reato di corruzione e quello di finanziamento illecito dei partiti, deve ritenersi ammissibile il concorso formale in quanto diverse sono le condotte e diversi i beni giuridici tutelati dalle rispettive norme incriminatrici: il buon andamento della Pubblica Amministrazione, per quanto attiene alla corruzione, ed il metodo democratico, con riguardo all’altro reato. * Cass. pen., sez. VI, 25 marzo 1999, n. 3926 (ud. 16 ottobre 1998), Moscano. [RV212995] l In base al principio di specialità deve escludersi concorso formale tra il reato di abuso di ufficio di cui all’art. 323 comma 2 c.p.p. e quello di corruzione di cui all’art. 319 c.p.; ciò peraltro non comporta che non possa aversi un concorso materiale tra i predetti: il che si verifica quando sussistano distinte condotte accompagnate dall’elemento psicologico previsto dalle citate norme incriminatrici. (Principio affermato con riguardo a fattispecie nella quale il pubblico ufficiale non si era limitato solo agli atti contrari ai doveri di ufficio, oggetto della corruzione e costituiti dalla redazione di atti pubblici falsi e dalla soppressione di atti pubblici, ma aveva anche ordinato fraudolentemente, ai suoi collaboratori ignari, di redigere siffatti atti così dovendo rispondere del fatto abusivo da questi ultimi posto in essere). * Cass. pen., sez. VI, 26 marzo 1996, n. 3030 (ud. 16 febbraio 1996), Travaglione. [RV204792] 02/03/17 10:08 Art. 15 LIBRO I – DEI REATI f-5) Ipotesi di concorso con l’illecito amministrativo. l Il delitto di frode in commercio di cui all’art. 515 c.p. non viene assorbito, ma concorre con l’illecito amministrativo previsto dall’art. 44 della legge 4 luglio 1967 n. 580 sulla produzione di pasta alimentare di grano duro. Le due norme, infatti, riguardano due oggetti giuridici diversi, in quanto la norma di cui all’art. 515 c.p. tutela l’interesse degli acquirenti alla correttezza ed alla lealtà degli scambi commerciali, mentre le disposizioni della legge 580 del 1967 tutelano la salute pubblica e l’interesse pubblico alla regolarità nell’impiego di ingredienti destinati all’alimentazione. * Cass. pen., sez. III, 11 novembre 1998, n. 11640 (ud. 14 luglio 1998), Sinito N. [RV212050] l A seguito dell’entrata in vigore del nuovo codice della strada, approvato con il decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, l’inottemperanza all’invito impartito dalla competente autorità di presentarsi, entro il termine stabilito nell’invito medesimo, ad uffici di polizia per fornire informazioni o esibire documentazione ai fini dell’accertamento di violazioni amministrative previste dal detto codice, non è punibile ai sensi dell’art. 650 c.p., poiché il comma ottavo dell’art. 180 del nuovo codice della strada sanziona tal genere di inottemperanze con pena pecuniaria amministrativa, di tal che detta condotta non costituisce più illecito penale, in applicazione del principio di specialità di cui all’art. 9, comma primo, della legge 24 novembre 1981 n. 689, ma mero illecito amministrativo. * Cass. pen., sez. I, 23 aprile 1998, n. 4796 (ud. 25 marzo 1998), Angeli. [RV210477] l La disposizione di cui all’art. 15, lettera a) del nuovo codice della strada, che punisce con una sanzione amministrativa il danneggiamento di opere, piantagioni ed impianti appartenenti alle strade ed alle loro pertinenze, è norma speciale rispetto all’art. 635, n. 3, c.p., perché detta la disciplina relativa ad una specifica categoria di beni; né rileva a tal fine l’eventuale diversa oggettività giuridica delle due disposizioni, dovendosi avere riguardo per configurare il rapporto di specialità, ai sensi dell’art. 9 della L. 24 novembre 1981, n. 689, non agli interessi tutelati dalle norme ma alla fattispecie concreta che in tutti i suoi elementi materiali potrebbe essere ricondotta ad entrambe le disposizioni in questione. (Nella specie la Corte ha ritenuto integrato l’illecito amministrativo de quo nel danneggiamento di lampioni facenti parte dell’impianto di illuminazione di una strada). * Cass. pen., sez. II, 2 ottobre 1995, n. 4491 (c.c. 20 ottobre 1994), P.M. in proc. Zamattio. [RV202763] l Il concorso apparente tra una norma che commina una sanzione penale ed una norma che commina una sanzione amministrativa va risolto alla stregua dell’art. 9 della L. 24 novembre 1981, n. 689, con la conseguente applicazione del principio di specialità ancorato non ad una previsione COM_218_CodicePenaleCommentato_2017_1.indb 106 106 astratta di divieti, ma ad una realtà di fatto valutata sulla base della concreta emergenza di dati giuridicamente rilevanti. (Applicazione in tema di – ipotetico – concorso tra sanzione penale e sanzione amministrativa per la somministrazione ad animali da stalla di sostanze estrogene diverse dagli stilbenici e dalle sostanze ad azione tireostatica). * Cass. pen., sez. VI, 14 dicembre 1993, n. 11395 (ud. 1 ottobre 1993), Bellone. f-6) Concorso di norme nei reati contro la pubblica fede. l Il delitto di sostituzione di persona non è assorbito in altra figura criminosa, in presenza di un unico fatto, contemporaneamente riconducibile sia alla previsione di cui all’art. 494 cod. pen. sia a quella di altra norma a tutela della fede pubblica. (In applicazione di tale principio, la Corte ha escluso il concorso apparente di norme tra i reati di sostituzione di persona e falsità in certificati nella condotta dell’imputato, che aveva falsificato la carta d’identità del soggetto, cui successivamente si era sostituito per commettere ulteriori reati). * Cass. pen., sez. II, 12 febbraio 2014, n. 6597 (ud. 19 dicembre 2013), Brizzi. [RV258536] l L’art. 2, primo comma, legge 23 dicembre 1986, n. 898 punisce chiunque, mediante l’esposizione di dati o notizie falsi, consegue indebitamente per sé o per altri, aiuti, premi, indennità, restituzioni, contributi o altre erogazioni a carico totale o parziale del Fondo Europeo Agricolo di Orientamento e Garanzia. Data la struttura della norma, risulta che “l’esposizione di dati o notizie falsi” è requisito essenziale per la configurazione della fattispecie; ne deriva che detto reato non può concorrere con il delitto di falso previsto dall’art. 483 c.p., sussistendo concorso apparente di norme, ai sensi dell’art. 15 c.p., in quanto tutti gli elementi previsti dall’art. 483 c.p. sono ricompresi (e quindi assorbiti) nella fattispecie di cui all’art. 2 della legge citata, sicché quest’ultima risulta avere come elemento specializzante, rispetto al falso, l’indebita percezione del contributo del Fondo Europeo sopra citato. * Cass. pen., sez. V, 23 marzo 2000, n. 2752 (ud. 16 febbraio 2000), Falcone. [RV215723] l In tema di falsità materiale in atto pubblico, si realizza concorso apparente di norme tra le disposizioni degli artt. 469 c.p. (contraffazione delle impronte di pubblica autenticazione e certificazione) e 476 stesso codice (falsità materiale commessa da pubblico ufficiale in atti pubblici) nel caso in cui la falsificazione concerna un atto notarile. Invero, la fattispecie ex art. 476 c.p., avendo carattere più generale, coinvolge quella di cui all’art. 469 c.p. che ha per oggetto solo un aspetto del documento falsificato e cioè l’impronta del sigillo notarile. * Cass. pen., sez. V, 19 novembre 1999, n. 13299 (ud. 20 ottobre 1999), La Porta ed altri. [RV214854] l Sussiste concorso apparente di norme tra il reato previsto dall’art. 483 c.p. (falsità ideologica 02/03/17 10:08 107 TITOLO I – LEGGE PENALE commessa dal privato in atto pubblico) e quello di cui all’art. 2 legge 23 dicembre 1986 n. 898; invero tutti gli elementi presenti nella fattispecie criminosa di cui all’art. 483 c.p. sono compresi (e quindi assorbiti) nella fattispecie di cui alla legge del 1986, che presenta l’elemento «specializzante» dell’indebita percezione del contributo del Fondo europeo. (Fattispecie in cui il ricorrente, assolto perché il fatto non è previsto dalla legge come reato con riferimento al delitto di frode comunitaria – in quanto i contributi erogabili a seguito delle mendaci dichiarazioni non avrebbero superato i 20 milioni di lire – era stato condannato, in relazione al medesimo episodio, per il reato ex art. 483 c.p. La Suprema Corte, enunciando il principio di cui sopra, in applicazione dell’art. 15 c.p., ha annullato senza rinvio la sentenza del giudice di merito). * Cass. pen., sez. V, 12 ottobre 1999, n. 11568 (ud. 23 settembre 1999), Catania Cerro A. [RV214600] l Il bene giuridico che il reato di falso protegge è l’interesse di garantire la pubblica fede, mentre il bene giuridico protetto nel delitto di truffa è l’interesse concernente l’inviolabilità del patrimonio; i due cennati reati, oltre ad obiettività giuridiche distinte, presentano elementi strutturali diversi in riferimento ai quali non v’è alcun rapporto di specificità, per il quale occorre il necessario presupposto della esistenza di una norma generale e di una norma speciale, ambedue destinate a disciplinare la stessa materia. (Fattispecie in tema di esposizione sul parabrezza di un veicolo di disco – contrassegno, relativo al pagamento della tassa di circolazione alterato). * Cass. pen., sez. II, 15 gennaio 1990, n. 297 (ud. 14 novembre 1989, n. 2675), Scarcelli. f-7) Varie. l Il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina di una prostituta è assorbito in quello, più grave, di favoreggiamento della prostituzione, qualora la condotta sia unica dal punto di vista storico e naturalistico, in virtù della clausola di riserva contenuta nell’art. 12, comma quinto, del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286. * Cass. pen., sez. III, 19 novembre 2013, n. 46223 (ud. 2 ottobre 2013), Maloku. [RV257858] l Sussiste un rapporto di specialità tra le disposizioni della legge n. 248 del 2000, in materia di diritto di autore, relativamente all’ipotesi di acquisto di supporti audiovisivi, fotografici, informatici o multimediali non conformi alle prescrizioni di legge, e il reato di ricettazione, atteso che l’estrema specificità della disciplina speciale a tutela del diritto di autore rende tali condotte illecite del tutto ricomprensibili nella più generica previsione di cui all’art. 648 c.p., tutelando la legge n. 248 del 2000 anche gli interessi patrimoniali, alla pari del delitto di ricettazione. * Cass. pen., sez. II, 1 febbraio 2005, n. 03286 (ud. 19 gennaio 2005), Abate. [RV230730] COM_218_CodicePenaleCommentato_2017_1.indb 107 Art. 16 l Non esiste alcun rapporto di sussidiarietà tra il reato di cui all’art. 3, comma primo, n. 6, L. 20 febbraio 1958 n. 75 (induzione di taluno a recarsi nel territorio di altro Stato per esercitare la prostituzione) ed il reato di cui all’art. 12, comma terzo D.L.vo 25 luglio 1998 n. 286 (favoreggiamento all’ingresso clandestino di stranieri), essendo diversi gli interessi tutelati e le condotte sanzionate dalle due norme, atteso che la prima è eclusivamente finalizzata ad impedire l’induzione e la diffusione della prostituzione e sanziona la condotta di colui che induce taluno a recarsi nel territorio di altro Stato, o comunque in luogo diverso da quello della residenza abituale, per esercitarvi la prostituzione, mentre la seconda tutela i beni giuridici della sicurezza interna e della disciplina del mercato del lavoro e sanziona la condotta di colui che favorisce l’ingresso «clandestino» di stranieri nel territorio dello Stato italiano, sicchè quest’ultima fattispecie criminosa non può ritenersi compresa nella prima. * Cass. pen., sez. VI, 4 gennaio 2005, n. 00081 (ud. 23 novembre 2004), Tahiri ed altri. [RV230776] l La disposizione dell’art. 20, comma quinto, della legge n. 40 del 1998 (oggi trasfusa in quella dell’art. 22, comma 10, D.L.vo 286 del 1998), la quale punisce il fatto del datore di lavoro che occupa alle proprie dipendenze cittadini extracomunitari privi del permesso di soggiorno, non è speciale rispetto a quella di cui all’art. 10, comma quinto, della stessa legge (oggi art. 12, comma 5, D.L.vo citato) che prevede il reato di favoreggiamento della permanenza di stranieri nel territorio dello Stato in condizioni di illegalità. Ne consegue che i due reati possono concorrere tra di loro. * Cass. pen., sez. I, 28 maggio 2003, n. 23438 (ud. 8 aprile 2003), Pratticò. [RV224595] l In tema di detenzione e diffusione abusiva di codici di accesso a sistemi informatici o telematici, la detenzione di una scheda contraffatta (pic card) per la decrittazione delle trasmissioni a pagamento (pay-tv) configura il reato di cui all’art. 615 quater c.p., ma non rientra nella previsione di cui all’art. 171 octies della L. n. 248 del 2000 che invece concerne la tutela del diritto di autore, con la conseguenza che tra le due previsioni non sussiste alcun rapporto di specialità. * Cass. pen., sez. V, 27 giugno 2002, n. 24847 (c.c. 29 maggio 2002), Mammoliti D. [RV222064] 16. Leggi penali speciali. – Le disposizioni di questo codice si applicano anche alle materie regolate da altre leggi penali, in quanto non sia da queste stabilito altrimenti (1). (1) Si veda l’art. 9 della L. 24 novembre 1981, n. 689, in tema di depenalizzazione, il cui testo è riportato nella nota (1) dell’art. 15 di questo codice. l L’art. 16 c.p. regola i rapporti tra il codice penale e le altre leggi penali, le quali, limitandosi a prevedere, nella normalità dei casi, particolari fi- 02/03/17 10:08 Art. 17 LIBRO I – DEI REATI gure di reati in corrispondenza di particolari e contingenti interessi da tutelare, in virtù dell’art. 16 si rimettono al codice penale in ordine all’applicazione di norme di carattere generale o di interi istituti giuridici. Così, la facoltà riconosciuta al giudice dagli artt. 24, ultimo comma, e 26, ultimo comma c.p., di triplicare rispettivamente la pena della multa o quella dell’ammenda, quando ritenga che tali sanzioni pecuniarie, per le condizioni economiche dell’imputato, sarebbero inefficienti anche se irrogate nella misura massima edittale, permane pure in relazione alle pene pecuniarie comminate dalle leggi speciali posteriori all’emanazione del codice penale, sempre che queste non dispongano diversamente. * Cass. pen., sez. III, 4 febbraio 1981, n. 739 (ud. 10 dicembre 1980), Lauringer. TITOLO II DELLE PENE (1) (1) Per i reati di competenza del giudice di pace si vedano le sanzioni applicabili dal medesimo giudice previste dal titolo II (artt. 52-62) del D.L.vo 28 agosto 2000, n. 274. CAPO I DELLE SPECIE DI PENE, IN GENERALE 17. (1) Pene principali: specie. – Le pene principali stabilite per i delitti (5, 6 coord.) sono: 1) [la morte (2)] (21; 27 Cost.); 2) l’ergastolo (22); 3) la reclusione (23); 4) la multa (24). Le pene principali stabilite per le contravvenzioni (5, 6 coord.) sono: 1) l’arresto (25); 2) l’ammenda (26). (1) La Corte costituzionale, con sentenza n. 168 del 28 aprile 1994, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di questo articolo nella parte in cui non esclude l’applicazione della pena dell’ergastolo al minore imputabile. (2) La pena di morte per i delitti contemplati nel codice penale, è stata soppressa e sostituita con l’ergastolo dal D.L.vo Lgt. 10 agosto 1944, n. 224. L’art. 27, ultimo comma, della Costituzione, così come modificato dall’art. 1 della L. cost. 2 ottobre 2007, n. 1, ha stabilito che non è ammessa la pena di morte. Il D.L.vo 22 gennaio 1948, n. 21, ha soppresso la pena di morte per i delitti previsti da leggi penali speciali diverse da quelle militari, e l’art. 1 della L. 13 ottobre 1994, n. 589, ha abolito la pena di morte prevista dal codice penale militare di guerra e dalle leggi militari di guerra, sostituendola con la pena massima prevista dal codice penale. 18. (1) Denominazione e classificazione delle pene principali. – Sotto la denominazione di «pene detentive» o «restrittive della libertà personale» la legge comprende: l’ergastolo, la reclusione e l’arresto. Sotto la denominazione di «pene pecuniarie» la legge comprende: la multa e l’ammenda. (1) Si veda, l’art. 53 della L. 24 novembre 1981, n. 689, in tema di depenalizzazione, in virtù del quale alle pene di questo articolo devono ritenersi aggiunte le sanzioni sostitutive di pene detentive brevi. COM_218_CodicePenaleCommentato_2017_1.indb 108 108 19. Pene accessorie: specie. – Le pene accessorie (20, 77, 166; 662 c.p.p.; 1082 c.n.) per i delitti sono: 1) l’interdizione dai pubblici uffici (28, 29; coord. 14, 15, 16); 2) l’interdizione da una professione o da un’arte (30, 31); 3) l’interdizione legale (32); 4) l’interdizione dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese (32 bis); 5) l’incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione (32 ter, 32 quater); 5 bis) l’estinzione del rapporto di impiego o di lavoro (1); 6) la decadenza o la sospensione dall’esercizio della responsabilità genitoriale (2) (34) (3). Le pene accessorie per le contravvenzioni sono: 1) la sospensione dall’esercizio di una professione o di un’arte (35); 2) la sospensione dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese (35 bis) (3). Pena accessoria comune ai delitti e alle contravvenzioni è la pubblicazione della sentenza penale di condanna (36; 543 c.p.p.) (4). La legge penale determina gli altri casi in cui le pene accessorie stabilite per i delitti sono comuni alle contravvenzioni (6712). (1) Questo numero è stato inserito dall’art. 5, comma 1, della L. 27 marzo 2001, n. 97, sugli effetti del giudicato penale per i dipendenti pubblici. (2) Le parole: «potestà dei genitori» sono state così sostituite dalle attuali: «responsabilità genitoriale» dall’art. 93, comma 1, lett. a), del D.L.vo 28 dicembre 2013, n. 154, a decorrere dal trentesimo giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale (G.U. n. 5 dell’8 gennaio 2014). (3) Questo comma è stato così sostituito dall’art. 118 della L. 24 novembre 1981, n. 689, in tema di depenalizzazione. (4) Si veda il R.D.L. 9 luglio 1936, n. 1539 in tema di pubblicazione delle sentenze penali nei giornali. l Sono riconducibili al novero delle pene accessorie non espressamente determinate dalla legge quelle per le quali sia previsto un minimo e un massimo edittale ovvero uno soltanto dei suddetti limiti, ragione per la quale la loro durata deve essere dal giudice uniformata, ai sensi dell’art. 37 cod. pen., a quella della pena principale inflitta. * Cass. pen., Sezioni Unite, 12 febbraio 2015, n. 6240 (c.c. 27 novembre 2014), Basile. [RV262328] l La pubblicazione della sentenza prevista dall’art. 186 c.p. ha natura di sanzione civile che può disporsi a carico del colpevole qualora essa costituisca un mezzo per riparare il danno, diversamente dalla pubblicazione della sentenza prevista dall’art. 19 c.p. che ha la natura di pena accessoria. Trattasi, pertanto, di istituto ontologicamente appartenente al processo civile, dal quale mutua la sua disciplina, pur quando l’a- 02/03/17 10:08 109 TITOLO II – DELLE PENE zione civile venga proposta nel processo penale. Ne consegue che la pubblicazione della sentenza prevista dall’art. 186 citato non può essere disposta d’ufficio in mancanza della domanda della parte istante. (Nella specie la Corte ha annullato sul punto la pronuncia dei giudici di merito che avevano ordinato la pubblicazione della sentenza senza che la parte civile ne avesse fatto domanda, in ipotesi, tra l’altro, in cui il procedimento riguardava il reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare – ex art. 570, comma secondo – ritenuta non suscettiva di danni non patrimoniali, escludendo, tra l’altro, la reciproca soccombenza e la legittimità, totale o parziale, della compensazione delle spese). * Cass. pen., sez. VI, 6 luglio 1998, n. 7917 (ud. 15 giugno 1998), Maniero B. [RV211384] 20. Pene principali e accessorie. – Le pene princi- pali sono inflitte dal giudice con sentenza di condanna; quelle accessorie conseguono di diritto alla condanna, come effetti penali di essa (77, 139, 140; 662 c.p.p.). SOMMARIO: a) Condono; b) Erronea o omessa applicazione di pene accessorie; c) Applicazione. a) Condono. l La pena accessoria temporanea è condonata per intero quando corrisponde ad una pena principale interamente condonata; altrimenti rimane in vita per un periodo di tempo uguale a quello della pena principale residua ed eseguibile, quale effetto penale di questa. La pena accessoria consegue di diritto alla condanna come effetto penale di essa e quando è predeterminata dalla legge sia nella specie che nella durata, può essere applicata di ufficio in sede esecutiva anche se è stata omessa dal giudice che ha pronunciato la condanna. * Cass. pen., sez. V, 5 luglio 1976, n. 7578 (ud. 26 febbraio 1976), Giardina. b) Erronea o omessa applicazione di pene accessorie. l L’assoluto automatismo nell’applicazione delle pene accessorie, predeterminate per legge sia nella specie che nella durata e sottratte, perciò, alla valutazione discrezionale del giudice, comporta, da un lato, che l’erronea applicazione di una pena accessoria da parte del giudice di cognizione può essere rilevata, anche dopo il passaggio in giudicato della sentenza, dal giudice dell’esecuzione, e dall’altro che, quando alla condanna consegue di diritto una pena accessoria così dalla legge stabilita, il P.M. ne può chiedere l’applicazione al giudice dell’esecuzione qualora si sia omesso di provvedere con la sentenza di condanna. * Cass. pen., sez. I, 23 novembre 2004, COM_218_CodicePenaleCommentato_2017_1.indb 109 Art. 20 n. 45381 (c.c. 10 novembre 2004), P.G. in proc. Tinnirello ed altro. Conforme: Cass. pen., ord. 30 aprile 2010, n. 16634 (ud. 15 aprile 2010), Drago. [RV230129] l Ai fini dell’applicazione di una sanzione accessoria, si deve avere riguardo alla pena principale irrogata in concreto, come risultante a seguito della diminuzione effettuata sia per l’applicazione delle circostanze attenuanti che per la scelta del rito. (Nel caso di specie, la Corte ha annullato la sentenza impugnata limitatamente all’applicazione dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici, sostituendola con quella di carattere temporaneo, in quanto in grado di appello la pena detentiva era stata rimodulata rispetto a quella irrogata in primo grado – all’esito di un giudizio abbreviato – in misura inferiore a cinque anni). * Cass. pen., sez. IV, 29 gennaio 2004, n. 3538 (c.c. 23 dicembre 2003), Maisto. [RV230305] c) Applicazione. l Le pene accessorie, in quanto conseguenti di diritto alla sentenza di condanna come effetti penali della stessa ai sensi dell’art. 20 cod. pen., possono essere eseguite in qualsiasi momento dalla formazione del giudicato e, diversamente dalle pene principali, non sono soggette a prescrizione. (In motivazione, la Corte ha escluso l’esistenza di un obbligo di immediata esecuzione delle pene accessorie dal cui inadempimento, mantenuto per un arco temporale pari alla durata delle stesse, discenda la loro estinzione). * Cass. pen., sez. I, 1 agosto 2016, n. 33541 (c.c. 6 luglio 2016), Altamura. [RV267463] l L’applicazione della causa di non punibilità della ritrattazione, in un procedimento per falsa testimonianza a carico di un avvocato, non impedisce al giudice di appello di comunicare al consiglio dell’ordine di appartenenza dell’imputato l’esito del processo, con la trasmissione della relativa sentenza, in quanto si tratta di un adempimento di natura procedurale, diretto ad investire il titolare dell’azione disciplinare delle valutazioni in ordine alla rilevanza disciplinare del fatto già oggetto del giudizio penale, dovendosi, pertanto, escludere che una tale comunicazione possa qualificarsi come pena accessoria, non essendo, peraltro, prevista da alcuna norma di legge (la Corte ha anche precisato che la natura non sanzionatoria della comunicazione e la sua funzione strumentale rispetto all’esercizio del potere disciplinare, concorrente con quello giurisdizionale, escludono che l’adempimento informativo possa incidere sul divieto di reformatio in pejus). * Cass. pen., sez. VI, 7 aprile 2003, n. 16244 (ud. 5 dicembre 2002), Fontana. [RV224954] l Poiché l’art. 597, terzo comma, c.p.p. non contempla, tra i provvedimenti peggiorativi inibiti al giudice d’appello nell’ipotesi di impugnazione proposta dal solo imputato, quelli concernenti le pene accessorie – le quali, secondo il disposto 02/03/17 10:08 Art. 21 LIBRO I – DEI REATI dell’art. 20 c.p., conseguono di diritto alla condanna come effetti penali di essa – al giudice di secondo grado è consentito applicare d’ufficio le pene predette qualora non vi abbia provveduto quello di primo grado, e ciò ancorché la cognizione della specifica questione non gli sia stata devoluta con il gravame del pubblico ministero. (Fattispecie in tema di interdizione dai pubblici uffici). * Cass. pen., Sezioni Unite, 17 luglio 1998, n. 8411 (ud. 27 maggio 1998), P.M. in proc. Ishaka. [RV210979] l L’assoluto automatismo nell’applicazione delle pene accessorie, predeterminate per legge sia nella specie che nella durata e sottratte, perciò, alla valutazione discrezionale del giudice, comporta che l’erronea applicazione di una pena accessoria da parte del giudice di cognizione può essere rilevata, anche dopo il passaggio in giudicato della sentenza, dal giudice dell’esecuzione ovvero, qualora venga dedotta con ricorso per cassazione, anche dal giudice di legittimità che, sul punto relativo, può direttamente dichiarare l’ineseguibilità della sentenza, stante la sua evidente contrarietà alla legge. * Cass. pen., sez. II, 10 gennaio 1997, n. 4492 (c.c. 13 novembre 1996), P.M. in proc. Kenzi. [RV206850] l Gli effetti penali della condanna, dei quali il codice penale non fornisce la nozione né indica il criterio generale che valga a distinguerli dai diversi effetti di natura non penale che pure sono in rapporto di effetto a causa con la pronuncia di condanna, si caratterizzano per essere conseguenza soltanto di una sentenza irrevocabile di condanna e non pure di altri provvedimenti che possono determinare quell’effetto; per essere conseguenza che deriva direttamente, ope legis, dalla sentenza di condanna e non da provvedimenti discrezionali della pubblica amministrazione, ancorché aventi la condanna come necessario presupposto; per la natura sanzionatoria dell’effetto, ancorché incidente in ambito diverso da quello del diritto penale sostantivo o processuale. * Cass. pen., Sezioni Unite, 8 giugno 1994, n. 7 (c.c. 20 aprile 1994), Volpe. CAPO II DELLE PENE PRINCIPALI, IN PARTICOLARE 21. [Pena di morte. – (Omissis)] (1). (1) La pena di morte per i delitti contemplati nel codice penale, è stata soppressa e sostituita con l’ergastolo dal D.L.vo Lgt. 10 agosto 1944, n. 224. L’art. 27, ultimo comma, della Costituzione, così come modificato dall’art. 1 della L. cost. 2 ottobre 2007, n. 1, ha stabilito che non è ammessa la pena di morte. Il D.L.vo 22 gennaio 1948, n. 21, ha soppresso la pena di morte per i delitti previsti da leggi penali speciali diverse da quelle militari, e l’art. 1 della L. 13 ottobre 1994, n. 589, ha abolito la pena di morte prevista dal codice penale militare di guerra e dalle leggi militari di guerra, sostituendola con la pena massima prevista dal codice penale. COM_218_CodicePenaleCommentato_2017_1.indb 110 110 22. (1) Ergastolo. – La pena dell’ergastolo è perpetua, ed è scontata in uno degli stabilimenti a ciò destinati (2), con l’obbligo del lavoro e con l’isolamento notturno (29, 32, 36; 1 coord.; 642 c.p.p.). Il condannato all’ergastolo può essere ammesso al lavoro all’aperto (3) (4). (Omissis) (5). (1) La Corte costituzionale, con sentenza n. 168 del 28 aprile 1994, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di questo articolo nella parte in cui non esclude l’applicazione della pena dell’ergastolo al minore imputabile. (2) Per l’individuazione dei relativi istituti penitenziari si vedano gli artt. 59 e 61 della L. 26 luglio 1975, n. 354, recante norme sull’ordinamento penitenziario e gli artt. 110 e 111 del D.P.R. 30 giugno 2000, n. 230. (3) Questo comma è stato così sostituito dall’art. 1 della L. 25 novembre 1962, n. 1634. (4) Si veda l’art. 8 del D.L. 24 novembre 2000, n. 341, convertito, con modificazioni, nella L. 19 gennaio 2001, n. 4, che così dispone: «8. 1. Nei processi penali in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto legge, nei casi in cui è applicabile o è stata applicata la pena dell’ergastolo con isolamento diurno, se è stata formulata la richiesta di giudizio abbreviato, ovvero la richiesta di cui al comma 2 dell’articolo 4 ter del decreto legge 7 aprile 2000, n. 82, convertito, con modificazioni, dalla legge 5 giugno 2000, n. 144, l’imputato può revocare la richiesta nel termine di trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto. In tali casi il procedimento riprende secondo il rito ordinario dallo stato in cui si trovava allorché era stata fatta la richiesta. Gli atti di istruzione eventualmente compiuti sono utilizzabili nei limiti stabiliti dall’articolo 511 del codice di procedura penale. «2. Quando per effetto dell’impugnazione del pubblico ministero possono essere applicate le disposizioni di cui all’articolo 7, l’imputato può revocare la richiesta di cui al comma 1 nel termine di trenta giorni dalla conoscenza dell’impugnazione del pubblico ministero o, se questa era stata proposta anteriormente alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, nel termine di trenta giorni da quest’ultima data. Si applicano le disposizioni di cui al secondo ed al terzo periodo del comma 1. «3. Nelle ipotesi di cui ai commi 1 e 2 si applicano le disposizioni del comma 2 dell’articolo 303 del codice di procedura penale.». (5) Il terzo e il quarto comma di questo articolo sono stati abrogati dall’art. 1 della L. 25 novembre 1962, n. 1634. SOMMARIO: a) Inapplicabilità dell’indulto; b) Isolamento notturno; c) Imputato infraventicinquenne. a) Inapplicabilità dell’indulto. l La pena dell’ergastolo, in quanto pena detentiva perpetua, non è condonabile in parte, ma soltanto, per eventuale volontà del legislatore, in toto ovvero, sempre in forza della medesima volontà, convertibile in pena di altra specie, di guisa che ad essa non può essere applicato, in mancanza di una specifica norma, l’indulto previsto in via generale soltanto per le pene detentive 02/03/17 10:08 111 TITOLO II – DELLE PENE temporanee. * Cass. pen., sez. I, 16 giugno 2000, n. 2128 (c.c. 22 marzo 2000), Araniti. Conformi: Cass. pen., sez. I, 4 marzo 1993, n. 44, Pau; Cass. pen., sez. I, 17 gennaio 1995, n. 3258, Rovelli; Cass. pen., sez. I, 20 settembre 2007, n. 35209 (c.c. 15 giugno 2007) Andriotta; Cass. pen., sez. I, 25 ottobre 2007, n. 39531 (c.c. 4 ottobre 2007). [RV216194] l Il condono è incompatibile con l’ergastolo che non può essere considerato una pena temporanea neanche sotto il limitato profilo dell’accesso alla liberazione condizionale o a misure alternative alla detenzione. * Cass. pen., sez. I, 8 marzo 1993, n. 536 (c.c. 10 febbraio 1993), Di Guardo. b) Isolamento notturno. l L’isolamento notturno del condannato all’ergastolo, a differenza di quello diurno, che è una vera e propria sanzione penale, si configura come modalità di esecuzione della pena in termini di maggiore afflittività, che può non essere applicato ove sussistano gravi ragioni ostative, sicché non è configurabile un interesse giuridicamente apprezzabile del detenuto a instare per l’inasprimento del proprio trattamento penitenziario e a dolersi, mediante ricorso per cassazione, del provvedimento del magistrato di sorveglianza che ne abbia respinto il reclamo per l’omessa attuazione. * Cass. pen., sez. I, 23 aprile 2007, n. 16400 (c.c. 27 febbraio 2007), Stilo. Conforme, Cass. pen., sez. I, 30 dicembre 2009, n. 50005 (c.c. 1 dicembre 2009), Cantarella. [RV236158] c) Imputato infraventicinquenne. l La pena dell’ergastolo applicata all’imputato infraventicinquenne che abbia commesso il delitto in età maggiore degli anni diciotto non può essere modificata dal giudice dell’esecuzione in pena temporanea, in quanto trattasi di sanzione legittimamente irrogabile a tutti i soggetti maggiorenni anche dopo le modifiche apportate dalla legge 11 agosto 2014 n. 117 all’art. 24, comma primo D.Lgs. 28 luglio 1989 n. 272, le quali incidono esclusivamente sulla fase dell’esecuzione della pena. * Cass. pen., sez. I, 4 agosto 2015, n. 34111 (c.c. 29 aprile 2015), Rosmini. [RV264600] 23. Reclusione. – La pena della reclusione si estende da quindici giorni a ventiquattro anni (1), ed è scontata in uno degli stabilimenti a ciò destinati (2), con l’obbligo del lavoro (3) e con l’isolamento notturno (29, 32, 64, 66, 78, 132 ss.; 1 coord.; 656, 6911 c.p.p.). Il condannato alla reclusione, che ha scontato almeno un anno della pena, può essere ammesso al lavoro all’aperto (1422). Sono applicabili alla pena della reclusione le disposizioni degli ultimi due capoversi dell’articolo precedente (4). (1) Si veda l’art. 442, secondo comma c.p.p., il quale, in caso di condanna a seguito di giudizio abbreviato, stabilisce che la pena COM_218_CodicePenaleCommentato_2017_1.indb 111 Art. 23 che il giudice determina tenendo conto di tutte le circostanze sia diminuita di un terzo. (2) Per l’individuazione dei relativi istituti penitenziari si vedano gli artt. 59 e 61 della L. 26 luglio 1975, n. 354, recante norme sull’ordinamento penitenziario e gli artt. 110 e 111 del D.P.R. 30 giugno 2000, n. 230. Si veda inoltre l’art. 95 del D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, T.U. delle leggi sugli stupefacenti, il quale stabilisce che la pena detentiva comminata al condannato per reati commessi in relazione al proprio stato di tossicodipendenza deve essere scontata in istituti idonei allo svolgimento di programmi terapeutici e socioriabilitativi. (3) Gli artt. 20 e 21 della L. 26 luglio 1975, n. 354, sull’ordinamento penitenziario, prevedono rispettivamente l’obbligo del lavoro negli istituti penitenziari e la possibilità per i detenuti di essere assegnati al lavoro all’esterno. (4) Questo comma deve ritenersi implicitamente abrogato dall’art. 1 della L. 25 novembre 1962, n. 1634, recante modificazioni alle norme del codice penale relative all’ergastolo e alla liberazione condizionale. SOMMARIO: a) Limite minimo di quindici giorni; b) Minimo edittale e patteggiamento; c) Casistica. a) Limite minimo di quindici giorni. l Il limite minimo di quindici giorni, stabilito per la durata della reclusione dall’art. 23 cod. pen., è inderogabile per il giudice e non può essere ridotto, in difetto di espressa previsione di legge, neppure in conseguenza della diminuzione operata per un rito speciale. (Fattispecie in cui la S.C. ha dichiariato inammissibile il ricorso di imputato che lamentava la mancata riduzione, oltre la soglia minima normativa, della pena irrogata all’esito di giudizio abbreviato). * Cass. pen., sez. VII, 6 luglio 2016, n. 27674 (c.c. 15 marzo 2016), Diop. [RV267536] l Il limite minimo di quindici giorni stabilito per la reclusione deve essere osservato sia ai fini del computo finale della pena da irrogare, sia ai fini delle operazioni intermedie di calcolo. (Nel caso di specie, la pena irrogata era stata determinata in misura inferiore a detto limite a seguito dell’applicazione delle circostanze attenuanti generiche e della circostanza prevista dall’art. 62 n. 4 c.p.). * Cass. pen., sez. II, 16 giugno 2009, n. 24864 (ud. 29 maggio 2009), P.M. in proc. Taccola. [RV244341] l In tema di reato continuato, l’art. 81 c.p., mentre pone un duplice sbarramento al massimo di pena irrogabile (triplo della pena prevista per la violazione più grave) nonché, nel rispetto del principio del favor rei, il divieto di infliggere, comunque, una pena superiore a quella applicabile di base al cumulo materiale, nulla dice in ordine al minimo, che deve ritenersi perciò applicabile anche nella misura di un giorno di pena detentiva, purché il giudice del merito assolva il duplice obbligo di carattere generale: di non richiedere nel minimo di quindici giorni di reclusione, sancito 02/03/17 10:08 Art. 24 LIBRO I – DEI REATI dall’art. 23 c.p., la pena inflitta a titolo di continuazione; di motivare ai sensi dell’art. 132 c.p., oltre che in ordine alla determinazione della pena base, in relazione all’aumento per la continuazione. * Cass. pen., sez. VI, 11 maggio 1995, n. 5419 (ud. 29 marzo 1995), P.M. in proc. Pani. [RV201646] l Il limite minimo di quindici giorni previsto dalla legge per la reclusione (art. 23 c.p.) non è suscettibile di riduzione sia ai fini del computo della pena da infliggere in concreto sia ai fini dei calcoli intermedi consistenti anch’essi in un aumento o in una diminuzione della pena. Infatti la portata dell’art. 132 cpv. c.p., secondo cui, nell’aumento o nella diminuzione della pena, non si possono oltrepassare i limiti stabiliti per ciascuna specie di pena, salvo i casi espressamente determinati dalla legge, non può essere limitata al risultato finale del calcolo ma investe anche gli aumenti di pena. Ne consegue che il limite legale della reclusione di quindici giorni non può essere vulnerato dalla diminuzione delle attenuanti o diminuenti eventualmente concesse, mentre deve essere aumentato nel minimo consentito per effetto, in ipotesi, della ritenuta continuazione. * Cass. pen., sez. VI, 19 ottobre 1993, n. 9442 (ud. 11 maggio 1993), P.M. in proc. Vicedomini. b) Minimo edittale e patteggiamento. l Il limite minimo di quindici giorni stabilito per la reclusione dell’art. 23, comma primo, c.p., è assoluto e, per ciò, irriducibile, sia ai fini della pena da infliggersi in concreto sia ai fini dei calcoli intermedi. Né il predetto limite può essere superato, in caso di pena patteggiata, per effetto dell’applicazione della diminuente di cui all’art. 444 c.p.p. * Cass. pen., sez. VI, 24 gennaio 1997, n. 487 (ud. 3 dicembre 1996), P.M. in proc. Scanio. Conformi: Cass. pen., sez. II, 16 febbraio 2000, n. 702, P.M. in proc. Miccichè; Cass. pen., sez. V, 18 maggio 1999, n. 1743, P.M. in proc. Fracasso A; Cass. pen., sez. VI, 3 marzo 1993, n. 1994, P.G. in proc. Del Bosco; Cass. pen., sez. V, 1 febbraio 1993, n. 842, P.M., in proc. Pelaia; Cass. pen., sez. VI, 24 giugno 1992, n. 7222, Ingenito. [RV207735] l In sede di patteggiamento non è in ogni caso possibile quantificare la pena detentiva della reclusione in misura inferiore al minimo di 15 giorni fissato dall’art. 23 c.p. indipendentemente dalla circostanza che, per effetto della successiva sostituzione, si pervenga ad una misura della multa in sè non illegale. * Cass. pen., sez. VI, 5 settembre 1996, n. 8301 (ud. 11 giugno 1996), P.G. in proc. Galipò C. [RV206138] l Anche in tema di patteggiamento, il limite di giorni quindici di reclusione stabilito per la pena detentiva concernente i delitti (art. 23 c.p.) è irriducibile, sia ai fini del computo della pena da infliggere in concreto, sia ai fini dei calcoli intermedi. (Nella specie, la Suprema Corte ha ritenuto di poter porre rimedio all’errore, in applicazione dell’art. 620, lett. l, c.p.p., senza necessità di annullare con rinvio, rideterminando la pena deten- COM_218_CodicePenaleCommentato_2017_1.indb 112 112 tiva adeguandosi ai criteri di valutazione espressi per la pena irrogata dal giudice di merito e sostanzialmente escludendo la necessità di apprezzamento di fatto). * Cass. pen., sez. II, 7 ottobre 1993, n. 9140 (ud. 3 febbraio 1993), Barbon. c) Casistica. l Agli effetti dell’applicazione di misura cautelare per tentativo di delitto punito con la pena dell’ergastolo, si ha riguardo non alla pena minima di dodici anni di reclusione prevista dall’art. 56, comma secondo, c.p., ma a quella massima di ventiquattro anni di reclusione, desumibile dall’art. 23, comma primo, stesso codice. (Fattispecie relativa a pretesa decorrenza del termine di durata massima della custodia cautelare per tentato omicidio pluriaggravato, in relazione al quale la Suprema Corte ha escluso la rilevanza delle aggravanti non ad effetto speciale, né comportanti una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato, ma ha ritenuto doversi far riferimento non alla pena edittale minima per il tentativo di delitto punito con l’ergastolo, bensì alla pena edittale massima, da individuare a norma dell’art. 23, comma primo, c.p.). * Cass. pen., sez. I, 4 dicembre 1996, n. 5531 (c.c. 24 ottobre 1996), Borriello. [RV206187] l In caso di contestazione dell’ipotesi di reato prevista dall’art. 74 D.P.R. n. 309 del 1990, al fine di stabilire il termine massimo di custodia cautelare, la pena massima secondo la regola generale dettata dall’art. 23 c.p., va individuata in ventiquattro anni di reclusione. * Cass. pen., sez. IV, 20 settembre 1996, n. 2119 (c.c. 14 settembre 1996), Fazio. [RV205571] 24. (1) Multa. – La pena della multa consiste nel paga- mento allo Stato di una somma non inferiore a euro 50 (2), né superiore a euro 50.000 (3) (133 bis). Per i delitti determinati da motivi di lucro, se la legge stabilisce soltanto la pena della reclusione, il giudice può aggiungere la multa da euro 50 a euro 25.000 (4). (1) Questo articolo è stato sostituito dall’art. 101 della L. 24 novembre 1981, n. 689, in tema di depenalizzazione. (2) Le parole: «non inferiore a euro 5» sono state così sostituite dalle attuali: «non inferiore a euro 50» dall’art. 3, comma 60, della L. 15 luglio 2009, n. 94. (3) Le parole: «né superiore a euro 5.164» sono state così sostituite dalle attuali: «né superiore a euro 50.000» dall’art. 3, comma 60, della L. 15 luglio 2009, n. 94. (4) Le parole: «da euro 5 a euro 2.065» sono state così sostituite dalle attuali: «da euro 50 a euro 25.000» dall’art. 3, comma 60, della L. 15 luglio 2009, n. 94. SOMMARIO: a) Aggiunta della multa per i delitti determinati da fini di lucro; b) Sanzione espressa in Euro. a) Aggiunta della multa per i delitti determinati da fini di lucro. l L’art. 24, comma 2, c.p. nel prevedere l’aggiunta della pena della multa nei delitti determi- 02/03/17 10:08 113 TITOLO II – DELLE PENE nati da motivi di lucro è applicabile non solo nei casi in cui il fine di lucro operi come uno dei motivi più o meno remoti del reato, ma altresì quando detto fine operi come motivo unico ed integrativo della fattispecie criminosa (dolo specifico) ovvero come elemento materiale del reato stesso; la contraria soluzione sarebbe in contrasto con la lettera e lo spirito della norma suddetta la quale non distingue tra tali estremi, dovendosi d’altro canto convenire che, a maggior ragione, l’aggiunta della multa trovi giustificazione quando il fine in questione sia elemento connaturato della fattispecie criminosa. (Fattispecie in tema di corruzione). * Cass. pen., sez. VI, 2 luglio 1994, n. 7505 (ud. 25 marzo 1994), Caputo. l Il principio di legalità della pena è vincolante non solo quando venga applicata una pena non prevista o diversa da quella contemplata dalla legge, ma anche quando venga applicata una pena che esula dalle singole fattispecie legali penali perché pena legale è anche quella risultante dalle varie disposizioni incidenti sul trattamento sanzionatorio, tra le quali rientrano le norme sulle circostanze aggravanti. (Affermando tale principio la Cassazione ha eliminato la pena della multa inflitta per il reato di corruzione ai sensi dell’art. 24, comma 2, c.p. che consente l’aggiunta della pena della multa per i delitti determinati da motivi di lucro puniti con la sola reclusione: all’uopo ha considerato che il reato ascritto all’epoca dei fatti era punito con la pena congiunta della reclusione e della multa e che pertanto, per il principio di legalità della pena, esso rimaneva fuori della previsione aggravatoria di cui al suddetto articolo). * Cass. pen., sez. VI, 2 luglio 1994, n. 7505 (ud. 25 marzo 1994), Caputo. b) Sanzione espressa in Euro. l Fino alla data del 31 dicembre 2001 ogni sanzione pecuniaria, penale o amministrativa, espressa in lire si intende espressa anche in euro, secondo il tasso di conversione fissato dal Trattato, ma solo a decorrere dall’1 gennaio 2002 ogni sanzione pecuniaria dovrà essere tradotta in euro, secondo la previsione di cui all’art. 51, comma 2, del D.L.vo 24 giugno 1998, n. 213. Ne consegue che attualmente non è possibile fissare la sanzione pecuniaria solo in euro. (Nella specie, in applicazione del principio di cui in massima, la S.C. ha rettificato la sentenza impugnata, rideterminando in lire la pena della multa che era stata espressa in euro). * Cass. pen., sez. III, 3 novembre 1999, n. 4718 (c.c. 6 ottobre 1999), P.G. in proc. Giancola. [RV215103] l Non è legale la sanzione pecuniaria espressa in euro, sia perché le pene pecuniarie, ai sensi degli artt. 24 e 26 c.p., sono sempre indicate in lire, sia in quanto, allo stato, l’euro esiste solamente come valuta di conto, ma non anche come moneta fisica. (Nella fattispecie, la Corte, ai sensi dell’art. 619 comma 2 c.p.p., ha rettificato, con- COM_218_CodicePenaleCommentato_2017_1.indb 113 Art. 25 vertendo in lire la pena pecuniaria, la sentenza del pretore, che aveva condannato l’imputato ad una multa in euro). * Cass. pen., sez. V, 4 agosto 1999, n. 2678 (c.c. 2 giugno 1999), P.M. in proc. Giancola R. [RV214179] 25. Arresto. – La pena dell’arresto si estende da cin- que giorni a tre anni, ed è scontata in uno degli stabilimenti a ciò destinati (1) o in sezioni speciali degli stabilimenti di reclusione, con l’obbligo del lavoro (2) e con l’isolamento notturno (66, 78, 134; 1, 12 coord.). Il condannato all’arresto può essere addetto a lavori anche diversi da quelli organizzati nello stabilimento, avuto riguardo alle sue attitudini e alle sue precedenti occupazioni. (1) Per una più precisa individuazione dei relativi istituti di pena si vedano gli artt. 59 e 61 della L. 26 luglio 1975, n. 354, recante disposizioni sull’ordinamento penitenziario e gli artt. 110 e 111 del D.P.R. 30 giugno 2000, n. 230. Si veda inoltre l’art. 95 del D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, T.U. delle leggi sugli stupefacenti, il quale stabilisce che la pena detentiva comminata al condannato per reati commessi in relazione al proprio stato di tossicodipendenza deve essere scontata in istituti idonei allo svolgimento di programmi terapeutici e socioriabilitativi. (2) Gli artt. 20 e 21 della L. 26 luglio 1975, n. 354, sull’ordinamento penitenziario prevedono rispettivamente l’obbligo del lavoro negli istituti penitenziari e la possibilità per i detenuti di essere assegnati ad un lavoro all’esterno. 26. (1) Ammenda. – La pena dell’ammenda consiste nel pagamento allo Stato di una somma non inferiore a euro 20 (2) né superiore a euro 10.000 (3) (133 bis; 8 coord.) (4). (1) Questo articolo è stato così sostituito dall’art. 101 della L. 24 novembre 1981, n. 689, in tema di depenalizzazione. (2) Le parole: «non inferiore a euro 2» sono state così sostituite dalle attuali: «non inferiore a euro 20» dall’art. 3, comma 61, della L. 15 luglio 2009, n. 94. (3) Le parole: «né superiore a euro 1.032» sono state così sostituite dalle attuali: «né superiore a euro 10.000» dall’art. 3, comma 61, della L. 15 luglio 2009, n. 94. (4) L’art. 10 della L. 24 novembre 1981, n. 689, in tema di depenalizzazione, così come modificato dall’art. 3, comma 63, della L. 15 luglio 2009, n. 94, prevede che: «La sanzione amministrativa pecuniaria consiste nel pagamento di una somma non inferiore a € 10 e non superiore a € 15.000. Le sanzioni proporzionali non hanno limite massimo. «Fuori dei casi espressamente stabiliti dalla legge, il limite massimo della sanzione amministrativa pecuniaria non può, per ciascuna violazione, superare il decuplo del minimo». SOMMARIO: a) Limitazione quantitativa; b) Sanzione espressa in Euro. a) Limitazione quantitativa. l Nel caso di oblazione nelle contravvenzioni per le quali la legge stabilisce la sola ammenda, di cui all’art. 162 c.p., quando la pena edittale è indeterminata nel massimo – come nella specie 02/03/17 10:08 Art. 27 114 LIBRO I – DEI REATI per la contravvenzione prevista dall’art. 677, primo comma, c.p. – occorre fare riferimento al disposto dell’art. 26 c.p., secondo il quale la pena dell’ammenda pura non può essere superiore a due milioni di lire. Pertanto, in tal caso, la somma da pagare deve essere pari alla terza parte del detto importo di lire due milioni, cioè lire seicentosessantaseimila. * Cass. pen., sez. I, 23 giugno 1994, n. 7317 (ud. 27 aprile 1994), P.M. in proc. Cavaleri. Conforme, Cass. pen., sez. I, 20 maggio 1994, n. 5794, Gaglione. l La limitazione quantitativa della pena dell’ammenda, stabilita dall’art. 26 c.p., non si estende alle sanzioni disposte dalle leggi speciali. * Cass. pen., sez. III, 23 ottobre 1986, Rinaldi. tà della normativa sulla continuazione dato che questa non prevede la proporzionalità della pena in rapporto all’entità o al numero delle violazioni che vengono a confluire nel reato continuato ed atteso che il giudice non ha il potere di sovvertire il meccanismo della proporzionalità sostituendovi – quando la pena proporzionale inerisca alla violazione meno grave – quello dell’aumento fino al triplo della pena base pecuniaria ovvero detentiva. * Cass. pen., sez. VI, 4 settembre 1992, n. 9361 (ud. 11 giugno 1992), Orofino ed altro. b) Sanzione espressa in Euro. l Fino alla data del 31 dicembre 2001 ogni sanzione pecuniaria, penale o amministrativa, espressa in lire si intende espressa anche in euro, secondo il tasso di conversione fissato dal Trattato, ma solo a decorrere dall’1 gennaio 2002 ogni sanzione pecuniaria dovrà essere tradotta in euro, secondo la previsione di cui all’art. 51, comma 2, del D.L.vo 24 giugno 1998, n. 213. Ne consegue che attualmente non è possibile fissare la sanzione pecuniaria solo in euro. (Nella specie, in applicazione del principio di cui in massima, la S.C. ha rettificato la sentenza impugnata, rideterminando in lire la pena della multa che era stata espressa in euro). * Cass. pen., sez. III, 3 novembre 1999, n. 4718 (c.c. 6 ottobre 1999), P.G. in proc. Gullotto. Conforme, Cass. pen., sez. V, 4 agosto 1999, n. 2678, P.M. in proc. Ginanola. [RV215103] 28. Interdizione dai pubblici uffici. – L’interdizione dai pubblici uffici (191) è perpetua o temporanea (77, 79; 662 c.p.p.; 14 ss. coord.). L’interdizione perpetua dai pubblici uffici, salvo che dalla legge sia altrimenti disposto, priva il condannato: 1) del diritto di elettorato o di eleggibilità in qualsiasi comizio elettorale, e di ogni altro diritto politico; 2) di ogni pubblico ufficio, di ogni incarico non obbligatorio di pubblico servizio, e della qualità ad essi inerente di pubblico ufficiale (357) o di incaricato di pubblico servizio (358); 3) dell’ufficio di tutore (346 ss. c.c.) o di curatore (48, 392, 424, 486, 528 c.c.; 78 ss., 780 c.p.c.), anche provvisorio, e di ogni altro ufficio attinente alla tutela o alla cura (31, 564, 569, 609 nonies) (1); 4) dei gradi e delle dignità accademiche, dei titoli, delle decorazioni o di altre pubbliche insegne onorifiche; 5) degli stipendi, delle pensioni e degli assegni che siano a carico dello Stato o di un altro ente pubblico (2) (3); 6) di ogni diritto onorifico, inerente a qualunque degli uffici, servizi, gradi o titoli e delle qualità, dignità e decorazioni indicati nei numeri precedenti; 7) della capacità di assumere o di acquistare qualsiasi diritto, ufficio, servizio, qualità, grado, titolo, dignità, decorazione e insegna onorifica, indicati nei numeri precedenti. L’interdizione temporanea priva il condannato della capacità di acquistare o di esercitare o di godere, durante l’interdizione, i predetti diritti, uffici, servizi, qualità, gradi, titoli e onorificenze (2). Essa non può avere una durata inferiore a un anno, né superiore a cinque (79; 14-16 coord.). La legge determina i casi nei quali l’interdizione dai pubblici uffici è limitata ad alcuni di questi (512, 564, 569, 609 nonies) (4). 27. (1) Pene pecuniarie fisse e proporzionali. – La legge determina i casi nei quali le pene pecuniarie sono fisse e quelli in cui sono proporzionali. Le pene pecuniarie proporzionali non hanno limite massimo. (1) L’art. 115 della L. 24 novembre 1981, n. 689, in tema di depenalizzazione stabilisce che gli artt. 113 e 114 non si applicano alle pene e sanzioni amministrative pecuniarie quando l’ammontare delle stesse o della pena base che viene assunta per la loro determinazione non è fissato direttamente dalla legge ma è diversamente stabilito. l Le pene pecuniarie proporzionali non sono soggette, per loro natura, ad alcun limite massimo, come espressamente disposto dall’art. 27, seconda parte, c.p. Ne deriva che, in caso di concorso di reati, le norme sulla continuazione (art. 81, comma secondo, c.p.) e quelle sul cumulo giuridico (art. 78 c.p.) non possono trovare applicazione limitatamente a quella parte delle violazioni che siano punite con pene pecuniarie proporzionali. In particolare, per quel che attiene alla continuazione, la legge, allorquando stabilisce che una pena sia proporzionale all’entità o al numero delle infrazioni, esclude implicitamente l’applicabili- COM_218_CodicePenaleCommentato_2017_1.indb 114 CAPO III DELLE PENE ACCESSORIE, IN PARTICOLARE (1) L’art. 6 della L. 20 febbraio 1958, n. 75, recante norme in tema di abolizione della regolamentazione della prostituzione, prevede per i colpevoli dei reati previsti dalla suddetta legge, un’ipotesi specifica di interdizione dall’esercizio della tutela e della curatela. 02/03/17 10:08 115 TITOLO II – DELLE PENE (2) La Corte costituzionale, con sentenza n. 3 del 13 gennaio 1966, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale, del secondo comma, n. 5 e del terzo comma di questo articolo limitatamente alla parte in cui i diritti in essi previsti traggono titolo da un rapporto di lavoro. (3) La Corte costituzionale, con sentenza n. 13 del 19 luglio 1968, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del secondo comma, n. 5 di questo articolo per quanto attiene alle pensioni di guerra. (4) L’art. 12 del D.L.vo 10 marzo 2000, n. 74, prevede casi particolari di pene accessorie in materia tributaria. SOMMARIO: a) Valutazione delle riduzioni di pena; b) Decorrenza; c) Durata. a) Valutazione delle riduzioni di pena. l La pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici produce effetti diversi sugli obblighi concernenti il servizio militare a seconda che sia temporanea o perpetua. In entrambi i casi l’interdizione, secondo il combinato disposto dei commi secondo e terzo dell’art. 28 c.p., non riguarda gli incarichi di pubblico servizio obbligatori, salvo che la legge non disponga altrimenti. Una deroga è prevista solo dal disposto degli artt. 28 e 33 c.p.m. di pace e dell’art. 6 del D.P.R. 14 febbraio 1964, n. 237 (in materia di leva e reclutamento), che preclude il servizio militare e l’appartenenza alle forze armate per coloro cui sia stata applicata la pena della interdizione perpetua dai pubblici uffici. Ne consegue che l’interdizione temporanea, quando riferita ad obblighi concernenti il servizio militare, non libera l’interessato dal dovere di darvi osservanza. (Fattispecie relativa al delitto di diserzione impropria aggravata, riconosciuto a carico di militare di leva che, riportata durante il servizio la condanna all’interdizione temporanea dai pubblici uffici per un reato comune, aveva omesso di ripresentarsi al corpo di appartenenza). * Cass. pen., sez. I, 3 febbraio 2004, n. 4044 (ud. 25 novembre 2003), Cammarata. [RV230013] l Ai fini dell’irrogazione della pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici il giudice deve tenere conto dell’entità della pena quale risulta dalla condanna, senza poter distinguere tra attenuanti di merito, che incidono sulla effettiva gravità del reato, ed attenuanti meramente processuali o premiali, che costituiscono l’incentivo per la collaborazione dell’imputato alla definizione del giudizio, e ciò in quanto, come risulta palese dall’art. 29 c.p., non è consentito scindere la riduzione premiale dalla pena principale determinata in relazione alla gravità del reato. (Fattispecie in tema di patteggiamento in appello). * Cass. pen., sez. II, 13 novembre 2003, n. 43604 (c.c. 7 ottobre 2003), D’Angelo. [RV227608] l La diminuente prevista per la celebrazione del processo con rito abbreviato ha genesi e COM_218_CodicePenaleCommentato_2017_1.indb 115 Art. 28 finalità che la rendono non assimilabile a una circostanza attenuante. Ne consegue che qualora venga inflitta per il reato di concussione una pena inferiore a tre anni di reclusione in conseguenza della applicazione di detta diminuente, la condanna importa l’interdizione perpetua dai pubblici uffici, derivando l’applicazione della interdizione temporanea solo da una riduzione di pena conseguente al riconoscimento di una circostanza attenuante. * Cass. pen., sez. VI, 25 febbraio 2000, n. 2383 (ud. 26 gennaio 2000), Fadda G. [RV215643] l Ai fini dell’irrogazione della pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici, il giudice deve tener conto dell’entità della pena così come risulta dalla condanna, senza poter distinguere tra attenuanti di merito e riduzioni di pena meramente processuali o premiali, non essendo consentito scindere la riduzione premiale dalla pena principale. (Fattispecie nella quale era stata richiesta in executivis dal P.M. l’interdizione legale a norma dell’art. 32 c.p. in relazione a condanna a pena complessiva di anni quattro di reclusione, per la quale la pena-base superava i cinque anni di reclusione, ridotti per la scelta del rito abbreviato). * Cass. pen., sez. I, 14 maggio 1997, n. 2650 (c.c. 10 aprile 1997), P.G. in proc. Zinghini. [RV207445] l Ai fini dell’applicazione della pena accessoria nell’ipotesi di reato continuato, occorre tener conto della pena principale inflitta per il reato più grave e non anche dell’aumento per la continuazione. (Fattispecie in tema di interdizione dai pubblici uffici). * Cass. pen., sez. II, 7 maggio 1987, n. 5495 (ud. 21 novembre 1986), Iatino. b) Decorrenza. l La pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici si attua per effetto del giudicato, e quindi con decorrenza dal giorno in cui la sentenza di condanna diviene irrevocabile; un’attività propriamente esecutiva della relativa pronuncia non è concepibile, poiché nessun atto ulteriore potrebbe togliere o comunque modificare quella capacità che il condannato ha già perduto per effetto della sentenza. Per conseguenza, la sospensione dell’esecuzione della pena accessoria, disposta dal giudice dell’esecuzione in sede di incidente, deve considerarsi nulla siccome abnorme; e di un simile provvedimento non può tenersi conto nel computare la durata della pena accessoria, dovendosi in tale computo comprendere anche il periodo di tempo durante il quale l’esecuzione è stata in apparenza sospesa. * Cass. pen., sez. II, 7 febbraio 1966, n. 391, P.M. in proc. Serra. c) Durata. l In materia di reati previsti dal codice penale, nel caso di generica previsione, senza indicazione di durata, della pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici, essa deve intendersi come in- 02/03/17 10:08 Art. 29 LIBRO I – DEI REATI terdizione temporanea con durata uguale a quella della pena principale inflitta, e, comunque, non inferiore a un anno. (Fattispecie relativa alla ritenuta inapplicabilità ai reati previsti dal codice penale dell’art. 4 del R.D. 28 maggio 1931 n. 601 – disposizioni di coordinamento e transitorie al codice penale,– applicabile soltanto alle ipotesi di interdizione prevista da leggi – che prevedono l’interdizione perpetua – decreti e convenzioni internazionali). * Cass. pen., sez. VI, 10 novembre 1997, n. 10108 (ud. 29 maggio 1997), D’Ambrosio ed altri. [RV208815] 29. Casi nei quali alla condanna consegue l’inter- dizione dai pubblici uffici (1). – La condanna all’ergastolo (22) e la condanna alla reclusione (23) per un tempo non inferiore a cinque anni importano l’interdizione perpetua del condannato dai pubblici uffici; e la condanna alla reclusione per un tempo non inferiore a tre anni importa l’interdizione dai pubblici uffici per la durata di anni cinque (31, 33, 98, 139, 140, 317 bis, 389; 662 c.p.p.; 15 coord.; 2282 l. fall.). La dichiarazione di abitualità (102 ss.) o di professionalità nel delitto (105), ovvero di tendenza a delinquere (108), importa l’interdizione perpetua dai pubblici uffici (33). (1) Casi particolari di interdizione dai pubblici uffici sono previsti dalle seguenti disposizioni: a) art. 2, quinto comma, della L. 20 giugno 1952, n. 645, recante norme di attuazione della XII disposizione transitoria e finale della Costituzione, in tema di reati concernenti la ricostituzione del disciolto partito fascista; b) art. 6, della L. 20 febbraio 1958, n. 75, in tema di reati concernenti la prostituzione; c) art. 12 del D.L.vo 10 marzo 2000, n. 74, recante nuova disciplina sui reati fiscali; d) art. 2, della L. 25 gennaio 1982, n. 17, in tema di reati inerenti le associazioni segrete. SOMMARIO: a) Interdizione perpetua; a-1) Limiti di pena; a2) Dichiarazione di abitualità, professionalità o di tendenza a delinquere; b) Interdizione temporanea; c) Entità della pena irrogata ai fini dell’applicazione della pena accessoria. a) Interdizione perpetua. a-1) Limiti di pena. l Sia l’art. 9, D.P.R. 16 dicembre 1986, n. 865 e sia l’art. 2, D.P.R. 22 dicembre 1990, n. 394 prevedono la concessione dell’indulto solo per le pene accessorie temporanee. È, quindi, esclusa da tale beneficio, la pena accessoria della interdizione perpetua dai pubblici uffici, perché consegue di diritto, ai sensi dell’art. 29, primo comma, c.p., alle condanne alla reclusione per un tempo non inferiore a cinque anni. * Cass. pen., sez. V, COM_218_CodicePenaleCommentato_2017_1.indb 116 116 12 maggio 1992, n. 5558 (ud. 25 marzo 1992), Fabbrocini. a-2) Dichiarazione di abitualità, professionalità o di tendenza a delinquere. l La pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici consegue ope legis – a norma dell’art. 29 in relazione all’art. 20 c.p. – alla dichiarazione di delinquente abituale, senza necessità di alcuna statuizione del giudice di cognizione il quale, con la sentenza di condanna, non è tenuto ad applicare le pene accessorie conseguenti alla condanna stessa, dovendo ad esse provvedere in executivis il giudice competente. * Cass. pen., sez. II, 17 febbraio 1971, n. 945, Piccottini. b) Interdizione temporanea. l L’interdizione temporanea dai pubblici uffici, ai sensi dell’art. 29 c.p., consegue a condanna alla reclusione per tempo non inferiore a tre anni di reclusione. Detta pena, in caso di reati unificati per continuazione, è quella irrogata per quello ritenuto più grave, non dovendosi tenere conto dell’aumento per continuazione, e, in caso di applicazione della diminuente per il rito abbreviato di cui all’art. 442 c.p.p., la pena da prendersi in continuazione è quella risultante dopo la diminuzione di un terzo imposta dallo speciale giudizio abbreviato. * Cass. pen., sez. I, 29 dicembre 1995, n. 12741 (ud. 9 novembre 1995), Triolo. [RV203336] c) Entità della pena irrogata ai fini dell’applicazione della pena accessoria. l Deve essere annullata senza rinvio la sentenza di patteggiamento ad una pena superiore a due anni di reclusione in cui sia omessa la condanna al pagamento delle spese processuali e l’applicazione della pena accessoria obbligatoria per legge della interdizione dei pubblici uffici per anni cinque. * Cass. pen., sez. VI, 9 maggio 2013, n. 20108 (24 gennaio 2013), Pg in proc. Derjaj. [RV256224] l Ai fini dell’applicazione della pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici, il giudice deve tener conto dell’entità della pena principale irrogata dalla sentenza di condanna, anche all’esito delle eventuali diminuzioni processuali. * Cass. pen., sez. V, 16 dicembre 2008, n. 46340 (c.c. 26 novembre 2008), Giometti. [RV242322] l In tema di pene accessorie, nel caso di condanna per reato continuato, nel commisurare la durata della pena accessoria a quella principale deve farsi riferimento alla pena base inflitta per la violazione più grave, come determinata in concorso delle circostanze attenuanti e aggravanti e del relativo bilanciamento, e non a quella complessiva, comprensiva cioè dell’aumento per la continuazione. * Cass. pen., sez. IV, 9 aprile 1999, n. 4559 (ud. 25 febbraio 1999), Lubrano V. Conforme, Cass. pen., sez. II, 13 settembre 1991, n. 9329, Maidecchi. [RV213149] 02/03/17 10:08 117 TITOLO II – DELLE PENE l Ai fini dell’applicazione dell’interdizione dai pubblici uffici, nel caso di condanna conseguente a giudizio abbreviato, poiché le pene accessorie assumono carattere di automatismo in rapporto all’entità del trattamento sanzionatorio, il limite di pena di cui all’art. 29 c.p. non può prescindere dagli effetti su di esso del procedimento speciale del rito abbreviato e, quindi, della conseguente diminuente sulla pena da infliggersi in concreto. * Cass. pen., sez. VI, 13 maggio 1998, n. 5567 (ud. 16 febbraio 1998), Di Francesco. [RV210996] l Qualora più reati per i quali intervenga condanna siano legati dal vincolo della continuazione, l’entità della pena, ai fini dell’applicazione di una pena accessoria, va determinata non con riferimento alla pena complessiva, compreso l’aumento per la continuazione, ma unicamente con riferimento alla pena-base. * Cass. pen., sez. I, 24 settembre 1997, n. 8605 (ud. 11 luglio 1997), Panetta e altro. [RV208580] l Ai fini dell’applicazione della pena accessoria dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici, occorre far riferimento alla pena alla quale l’imputato è stato condannato e cioè a quella in concreto comminata dopo il computo di tutte le attenuanti e le diminuenti previste dalla legge senza distinzione di merito o di rito. Ne consegue che in caso di applicazione della diminuente per il rito abbreviato di cui all’art. 442 c.p.p., la pena applicata in concreto è quella risultante dopo la diminuzione di un terzo imposta dallo speciale giudizio abbreviato. * Cass. pen., sez. I, 11 settembre 1997, n. 8263 (ud. 19 maggio 1997), Cinà. [RV208328] l Ai fini della applicazione della interdizione dai pubblici uffici, nel caso di condanna conseguente a giudizio abbreviato, il limite di pena di cui all’art. 29 c.p. va individuato non con riguardo alla pena irrogata in concreto, dopo la riduzione conseguente alla diminuente ex art. 442, comma secondo, c.p.p., ma a quella stabilita dal giudice prima dell’applicazione di detta diminuente, data la natura meramente processuale di essa e tenuto conto del logico collegamento della pena accessoria alla negativa valutazione sostanziale del fattoreato riflessa nella pena principale. * Cass. pen., sez. VI, 28 maggio 1997, n. 4951 (ud. 7 marzo 1997), Marchese ed altri. [RV208909] l Ai fini dell’applicazione dell’interdizione dai pubblici uffici i limiti di pena fissati dagli artt. 29 e 32 c.p., nel caso di giudizio abbreviato, vanno individuati non con riguardo alla pena irrogata in concreto, ma a quella stabilita dal giudice prima dell’applicazione della diminuente del rito: invero detta diminuente ha genesi e finalità meramente processuali che non consentono la sua assimilazione ad una normale circostanza attenuante. * Cass. pen., sez. VI, 24 giugno 1996, n. 6321 (ud. 29 marzo 1996), Buonanno. [RV205090] l Al fine di stabilire se alla condanna debba conseguire o meno l’interdizione dai pubblici COM_218_CodicePenaleCommentato_2017_1.indb 117 Art. 30 uffici, e se questa debba essere perpetua o soltanto temporanea, occorre considerare l’entità della pena irrogata in concreto, come risultante a seguito del computo dell’eventuale diminuente per il rito abbreviato; l’art. 29 c.p., infatti, riferendosi genericamente alla «condanna», ha riguardo esclusivamente alla pena irrogata, in sè considerata, a prescindere dagli elementi del calcolo aritmetico che concorrono a determinarla. * Cass. pen., sez. II, 16 aprile 1996, n. 3716 (ud. 18 ottobre 1995), Costa. [RV204745] l Ai fini dell’irrogazione della pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici il giudice deve tenere conto dell’entità della pena quale risulta dalla condanna, senza poter distinguere tra attenuanti di merito, che incidono sulla effettiva gravità del reato, ed attenuanti meramente processuali o premiali, che costituiscono l’incentivo per la collaborazione dell’imputato alla definizione del giudizio, e ciò in quanto, come risulta palese dall’art. 29 c.p., che si riferisce alla condanna inflitta comprensiva delle singole parti componenti, non è consentito scindere la riduzione premiale dalla pena principale determinata in relazione alla gravità del reato. (Fattispecie in tema di patteggiamento in appello). * Cass. pen., sez. II, 31 gennaio 1995, n. 4914 (c.c. 16 novembre 1994), P.M. in proc. Fagiano. l Poiché la diminuente prevista per la celebrazione del processo con il rito abbreviato ha genesi e finalità meramente processuali che la rendono non assimilabile ad una circostanza attenuante del reato, i limiti di pena fissati dall’art. 29 c.p. per stabilire la durata dell’interdizione dai pubblici uffici vanno individuati non sulla pena irrogata in concreto e in maniera definitiva ma in un momento anteriore vale a dire prima di operare la diminuzione per il rito prescelto. Ne deriva che qualora venga inflitta una pena inferiore ai cinque anni di reclusione in conseguenza dell’applicazione della detta diminuente, la condanna importa l’interdizione perpetua dai pubblici uffici. * Cass. pen., sez. IV, 13 aprile 1994, n. 4327 (ud. 1 marzo 1994), Belleri. 30. Interdizione da una professione o da un’arte (1). – L’interdizione da una professione o da un’arte priva il condannato della capacità di esercitare, durante l’interdizione, una professione, arte, industria, o un commercio o mestiere, per cui è richiesto uno speciale permesso o una speciale abilitazione, autorizzazione o licenza dell’Autorità e importa la decadenza dal permesso o dall’abilitazione, autorizzazione, o licenza anzidetti. L’interdizione da una professione o da un’arte non può avere una durata inferiore a un mese, né superiore a cinque anni, salvi i casi espressamente stabiliti dalla legge (31, 33, 79, 139, 140; 15 ss. coord.; 662 c.p.p.; 216, 217 l. fall.; 11 T.U. di P.S.). (1) Casi particolari d’interdizione da una professione o da un’arte sono previsti dalle seguenti disposizioni: 02/03/17 10:08 Art. 31 LIBRO I – DEI REATI a) art. 20, quarto comma, della L. 31 dicembre 1982, n. 979, recante disposizioni per la difesa del mare, in tema di reati d’inquinamento delle acque marine; b) art. 186 del D.L.vo 24 febbraio 1998, n. 58, Testo Unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria; c) art. 22 della L. 1 aprile 1999, n. 91, recante disposizioni in materia di trapianti di organi e tessuti. l In tema di pene accessorie, qualora sia applicata dal giudice di merito erroneamente la sanzione disciplinare dell’interdizione dalla professione prevista dall’art. 8 della legge n. 175 del 1992 (che attribuisce espressamente agli ordini e collegi professionali sanitari la facoltà di promuovere ispezioni presso gli studi professionali degli iscritti ai rispettivi albi provinciali, al fine di vigilare sul rispetto dei doveri inerenti alle rispettive professioni) in luogo della pena accessoria prevista dall’art. 30 c.p., ben può la Corte di cassazione provvedere a rilevare d’ufficio l’erronea applicazione dell’art. 8 suddetto, trattandosi di errore non determinante annullamento e rettificabile ai sensi dell’art. 619 c.p.p. * Cass. pen., sez. VI, 24 maggio 2001, n. 21212 (ud. 11 aprile 2001), Brussato. [RV219839] l La sospensione cautelare dall’esercizio della professione forense adottata dall’Ordine degli avvocati e procuratori non ha alcuna comunanza con la pena accusatoria dell’interdizione dall’esercizio di una professione di cui all’art. 30 c.p.: mentre la prima costituisce estrinsecazione di una funzione amministrativa, la seconda rappresenta una sezione penale perché consegue di diritto alla condanna come effetto penale della stessa. Le due sanzioni pertanto operano in ambiti e su basi diverse, per cui possono concorrere e le sorti dell’una non sono influenzate da quelle subite dall’altra. (Affermando siffatto principio la Cassazione ha escluso che, essendo stata dichiarata estinta per indulto ex D.P.R. 16 dicembre 1986 n. 865 la pena accessoria dell’interdizione dalla professione, del pari potesse ritenersi estinta la sospensione cautelare; con riguardo ad una siffatta fattispecie è stata pertanto ritenuta la configurabilità del reato di esercizio abusivo della professione). * Cass. pen., sez. VI, 23 febbraio 1996, n. 2066 (ud. 9 novembre 1995), Torregrossa. [RV204155] 31. Condanna per delitti commessi con abuso di un pubblico ufficio o di una professione o di un’arte. Interdizione. – Ogni condanna per delitti commessi con l’abuso dei poteri, o con la violazione dei doveri inerenti a una pubblica funzione, o ad un pubblico servizio, o a taluno degli uffici indicati nel n. 3 dell’articolo 28, ovvero con l’abuso di una professione, arte, industria, o di un commercio o mestiere, o con la violazione dei doveri ad essi inerenti, importa l’interdizione temporanea dai pubblici uffici o dalla professione, arte, industria, o dal commercio o mestiere (332, 37, 79, COM_218_CodicePenaleCommentato_2017_1.indb 118 118 982, 140, 323, 328, 334, 357, 358, 360, 3664, 373; 14 ss. coord.). SOMMARIO: a) Condizioni di applicabilità; b) Abuso della professione. a) Condizioni di applicabilità. l La pena accessoria dell’interdizione temporanea dai pubblici uffici è applicabile in caso di condanna per un reato di falso commesso da un pubblico ufficiale, anche se non sia stata contestata la circostanza aggravante dell’abuso di pubblica funzione di cui all’art. 61, n. 9, c.p., trattandosi di pena accessoria relativa "ope legis" a tutti i reati commessi in violazione dei doveri inerenti a una pubblica funzione. * Cass. pen., sez. V, 19 gennaio 2011, n. 1450 (ud. 4 novembre 2010), Antoci e altro. [RV249095] l Il delitto di violazione dei sigilli commesso dal custode rientra nella categoria dei delitti perpetrati con abuso di poteri o con la violazione dei doveri inerenti ad una pubblica funzione o ad un pubblico servizio, sicché alla condanna segue l’applicazione della pena accessoria dell’interdizione temporanea dai pubblici uffici. * Cass. pen., sez. III, 21 aprile 2006, n. 14238 (ud. 8 marzo 2006), Calise. [RV234118] l La pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici ex art. 31 c.p. consegue alla condanna per il delitto di falsa testimonianza, rientrando questo tra i delitti commessi con la violazione dei doveri inerenti ad una pubblica funzione. * Cass. pen., sez. VI, 20 novembre 2003, n. 44758 (ud. 29 ottobre 2003), Continisio. [RV227323] l La pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici ex art. 31 c.p. consegue ad ogni condanna per il delitto di violazione dei sigilli commesso dal custode, rientrando questo tra i delitti commessi con l’abuso dei poteri o con la violazione dei doveri inerenti ad una pubblica funzione o ad un pubblico servizio per i quali l’art. 31 c.p. prevede la detta interdizione. * Cass. pen., sez. III, 9 febbraio 1998, n. 1508 (ud. 4 dicembre 1997), Perone V. Conforme, Cass. III, 8 marzo 2010, n. 9169 (c.c. 28 ottobre 2009), Risi. [RV209824] l La sospensione dall’esercizio del commercio ex art. 15 d.l.c.p.s. 15 settembre 1947, n. 896, non ha alcuna comunanza con la pena accessoria ex art. 31 c.p. Invero, mentre la prima ha natura amministrativa sul piano soggettivo ed oggettivo, essendo la sua operatività indipendente dall’accertamento giudiziale della responsabilità per il reato previsto dall’art. 14 del citato decreto n. 896/1947, la seconda costituisce una sanzione penale, poiché consegue di diritto alla condanna come effetto penale della stessa giusto il disposto dell’art. 20 c.p. (Nella specie, nell’affermarsi – sulla base dell’enunciato principio – la legittimità del cumulo delle sanzioni indicate, si è esclusa la possibilità di far luogo al principio di specialità, invo- 02/03/17 10:08 119 TITOLO II – DELLE PENE cato dal ricorrente, precisandosi che elemento indefettibile del ricordato principio è che più leggi o più disposizioni della medesima legge regolino la stessa materia: di qui l’esigenza che le fattispecie legali, gli elementi accessori, le sanzioni previste dalle norme apparentemente concorrenti abbiano carattere penale e costituiscano delle entità omogenee). * Cass. pen., Sezioni Unite, 28 febbraio 1984, n. 1719 (ud. 28 gennaio 1984), Fantolino. b) Abuso della professione. l In tema di pena accessoria della interdizione da una professione, la locuzione «abuso della professione», utilizzata dall’art. 31 c.p., va intesa nel senso di uso abnorme del diritto all’esercizio di una determinata professione, con l’intento di conseguire uno scopo diverso da quello al quale l’abilitazione è strumentale. (Fattispecie nella quale è stato ritenuto sussistere tale presupposto nella condotta di un medico che aveva reiteratamente consentito a soggetto non abilitato di utilizzare il suo nome e la sua posizione fiscale per l’esercizio abusivo della professione di dentista). * Cass. pen., sez. VI, 20 dicembre 1999, n. 14368 (ud. 17 novembre 1999), Rotondo. [RV216829] l La condanna per il delitto di frode in commercio importa la pena accessoria della pubblicazione della sentenza e dell’interdizione da una professione o arte, in applicazione degli artt. 30, 31 e 518 c.p. Tali pene vanno inflitte anche con riferimento all’ipotesi del tentativo, poiché le predette norme non differenziano quest’ultimo dal reato consumato. * Cass. pen., sez. III, ord. 17 settembre 1996, n. 2196 (c.c. 14 maggio 1996), Volpe. [RV206268] l L’interdizione temporanea dall’esercizio della professione, conseguente ad ogni condanna per delitti commessi con l’abuso di una professione riguarda nel suo complesso l’attività il cui legittimo esercizio esige una speciale abilitazione e non soltanto il settore specializzato in cui essa viene in concreto espletata. (Nella specie è stato rigettato il ricorso di un medico odontoiatra – condannato per il reato di cui agli artt. 110-348 c.p., per avere consentito ad un odontotecnico l’attività di medico odontoiatra presso il proprio studio dentistico – il quale deduceva in violazione dell’art. 31 c.p. per essere stata inflitta l’interdizione temporanea dalla professione di medico-chirurgo anziché dall’attività di odontoiatra). * Cass. pen., sez. VI, 1 settembre 1995, n. 9297 (ud. 6 marzo 1995), Bignardi. [RV203078] 32. Interdizione legale. – Il condannato all’ergastolo è in stato di interdizione legale. La condanna all’ergastolo importa anche la decadenza dalla responsabilità genitoriale (1) (316 c.c.) (2). Il condannato alla reclusione per un tempo non inferiore a cinque anni è, durante la pena, in stato d’interdizione legale; la condanna produce altresì, durante la pena, la sospensione dall’esercizio della responsabilità genitoriale (3), salvo che il giudice disponga altrimenti (33) (2). COM_218_CodicePenaleCommentato_2017_1.indb 119 Art. 32 Alla interdizione legale si applicano, per ciò che concerne la disponibilità e l’amministrazione dei beni, nonché la rappresentanza negli atti ad esse relativi, le norme della legge civile sulla interdizione giudiziale (424, 425 ss. c.c.; 662 c.p.p.). (1) Le parole: «potestà dei genitori» sono state così sostituite dalle attuali: «responsabilità genitoriale» dall’art. 93, comma 1, lett. b), del D.L.vo 28 dicembre 2013, n. 154, a decorrere dal trentesimo giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale (G.U. n. 5 dell’8 gennaio 2014). (2) Questo comma è stato così sostituito dall’art. 119 della L. 24 novembre 1981, n. 689, in tema di depenalizzazione. (3) L’art. 93, comma 1, lett. b), del D.L.vo 28 dicembre 2013, n. 154, a decorrere dal trentesimo giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale (G.U. n. 5 dell’8 gennaio 2014), ha sostituito le parole: «potestà dei genitori» con le attuali: «responsabilità genitoriale» nel secondo comma di questo articolo. Si ritiene che anche in questo comma vada apportata la modifica e lo si segnala in attesa di rettifica in G.U. l La condanna alla reclusione per un tempo non inferiore a cinque anni produce, durante la pena, la sospensione dall’esercizio della potestà dei genitori, salvo che il giudice disponga altrimenti con specifica motivazione. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha ritenuto erronea la conclusione della Corte territoriale, secondo la quale, non essendosi il giudice di primo grado pronunciato sulla pena accessoria della sospensione della potestà genitoriale, sarebbe stata infondata la richiesta di revoca contenuta nell’atto di gravame). * Cass. pen., sez. II, 21 gennaio 2014, n. 2661 (ud. 15 ottobre 2013), Braunè. [RV258548] l Al condannato, ancorché ammesso al programma di protezione per i collaboratori di giustizia, legalmente interdetto ai sensi dell’art. 32 c.p., è inibita l’iscrizione presso la Camera di commercio per lo svolgimento di un’attività di impresa. (Nell’applicare tale principio, la Corte ha precisato che a diversa soluzione non può condurre né la disposizione di cui all’art. 17 L. 26 luglio 1975, n. 354, come modificato dall’art. 5, comma secondo, L. 22 giugno 2000, n. 193, la quale esclude l’operatività dell’incapacità derivante dall’interdizione ai soli casi di costituzione di rapporti di lavoro ed assunzione della qualità di socio in cooperative sociali, né la disciplina di cui all’art. 8 della L. 13 febbraio 2001, n. 45, secondo la quale dal rifiuto del collaborante di accettare adeguate opportunità di lavoro o di impresa deriva la revoca del programma di protezione, atteso che tale condotta negativa non può equipararsi al fenomeno normativo ostativo all’esercizio dell’attività di impresa, costituito dagli effetti preclusivi derivanti dalle pene accessorie). * Cass. pen., sez. I, 13 febbraio 2002, n. 5960 (c.c. 17 dicembre 2001), Mazza. [RV221134] l Nell’ipotesi di condanna con rito abbreviato per stabilire se il giudice debba o meno applicare la pena accessoria dell’interdizione legale di cui all’art. 32 c.p. deve aversi riguardo alla pena de- 02/03/17 10:08 Art. 32 bis LIBRO I – DEI REATI terminata per il reato giudicato, quale risultante prima della riduzione per la diminuente prevista dall’art. 442, comma secondo, c.p.p. * Cass. pen., sez. IV, 28 dicembre 1996, n. 11238 (ud. 12 dicembre 1996), Gallo ed altro. [RV207331] l Al cosiddetto «patteggiamento in appello», previsto dall’art. 599, comma 4, c.p.p. non sono applicabili le norme che regolano l’applicazione della pena su richiesta prevista dall’art. 444 c.p.p. (Affermando siffatto principio la Cassazione ha ritenuto che nel caso in cui il giudizio di appello si sia svolto ai sensi del suddetto art. 599, comma 4, c.p.p. non possa escludersi l’applicazione di pene accessorie ed in particolare che sia applicabile l’interdizione legale durante la pena, disposta nel giudizio di primo grado). * Cass. pen., sez. VI, 20 luglio 1995, n. 17680 (c.c. 3 maggio 1995), P.M. in proc. D’Amato. [RV202218] 32 bis. (1) Interdizione temporanea dagli uffici di- rettivi delle persone giuridiche e delle imprese (2). – L’interdizione dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese priva il condannato della capacità di esercitare, durante l’interdizione, l’ufficio di amministratore, sindaco, liquidatore, direttore generale e dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili societari (3), nonché ogni altro ufficio con potere di rappresentanza della persona giuridica o dell’imprenditore. Essa consegue ad ogni condanna alla reclusione non inferiore a sei mesi per delitti commessi con abuso dei poteri o violazione dei doveri inerenti all’ufficio. (1) Questo articolo è stato aggiunto dall’art. 120 della L. 24 novembre 1981, n. 689, in tema di depenalizzazione. (2) Si veda l’art. 186 del D.L.vo 24 febbraio 1998, n. 58, Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria. (3) Le parole: «e direttore generale» sono state così sostituite dalle attuali: «, direttore generale e dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili societari» dall’art. 15, comma 3, lett. a), della L. 28 dicembre 2005, n. 262. 32 ter. (1) Incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione. – L’incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione importa il divieto di concludere contratti con la pubblica amministrazione, salvo che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizio (2). Essa non può avere durata inferiore ad un anno né superiore a cinque (3) anni. ( ) Questo articolo è stato aggiunto dall’art. 120 della L. 24 novembre 1981, n. 689, in tema di depenalizzazione. (2) Si veda l’art. 186 del D.L.vo 24 febbraio 1998, n. 58, Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria. (3) La parola: «tre» è stata così sostituita dall’attuale: «cinque» dall’art. 1, comma 1, lett. a), della L. 27 maggio 2015, n. 69. 1 120 mancanza di autorizzazione. * Cass. pen., sez. III, 31 ottobre 1992, n. 10422 (ud. 25 settembre 1992), Albert. 32 quater. (1) Casi nei quali alla condanna consegue l’incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione. – Ogni condanna per i delitti previsti dagli articoli 316 bis, 316 ter (2), 317, 318, 319, 319 bis, 319 quater, (3) 320, 321, 322, 322 bis (2), 353, 355, 356, 416, 416 bis, 437, 452 bis, 452 quater, 452 sexies, 452 septies, (4) 501, 501 bis, 640, numero 1) del secondo comma, 640 bis, 644 (5), nonchè dall’articolo 260 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni, (6) commessi in danno o in vantaggio di un’attività imprenditoriale o comunque in relazione ad essa importa l’incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione. (1) Questo articolo, aggiunto dall’art. 120 della L. 24 novembre 1981, n. 689, in tema di depenalizzazione, è stato da ultimo così sostituito dall’art. 3 del D.L. 17 settembre 1993, n. 369, recante disposizioni urgenti in tema di delitti contro la pubblica amministrazione, convertito, con modificazioni, nella L. 15 novembre 1993, n. 461. (2) Le parole: «, 316 ter» e «, 322 bis» sono state inserite dall’art. 6, comma 1, della L. 29 settembre 2000, n. 300. (3) Le parole: «319 quater,» sono state inserite dall’art. 1, comma 75, lett. a), della L. 6 novembre 2012, n. 190. (4) Le parole: «452 bis, 452 quater, 452 sexies, 452 septies,» sono state inserite dall’art. 1, comma 5, della L. 22 maggio 2015, n. 68. (5) La parola: «644,» è stata inserita dall’art. 7 della L. 7 marzo 1996, n. 108. (6) Le parole: «, nonchè dall’articolo 260 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni» sono state inserite dall’art. 1, comma 5, della L. 22 maggio 2015, n. 68. 32 quinquies. (1) Casi nei quali alla condanna con- segue l’estinzione del rapporto di lavoro o di impiego. – Salvo quanto previsto dagli articoli 29 e 31, la condanna alla reclusione per un tempo non inferiore a due (2) anni per i delitti di cui agli articoli 314, primo comma, 317, 318, 319, 319 ter, 319 quater, primo comma, (3) e 320 importa altresì l’estinzione del rapporto di lavoro o di impiego nei confronti del dipendente di amministrazioni od enti pubblici ovvero di enti a prevalente partecipazione pubblica. (1) Questo articolo è stato inserito dall’art. 5, comma 2, della L. 27 marzo 2001, n. 97, sugli effetti del giudicato penale per i dipendenti pubblici. (2) La parola: «tre» è stata così sostituita dall’attuale: «due» dall’art. 1, comma 1, lett. b), della L. 27 maggio 2015, n. 69. (3) Le parole: «, 319 quater, primo comma,» sono state inserite dall’art. 1, comma 75, lett. b), della L. 6 novembre 2012, n. 190. 33. Condanna per delitto colposo. – Le disposizio- l In tema di tutela delle acque dall’inquinamento, la pena accessoria della incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione va inflitta solo in caso di condanna per scarico eccedente i limiti di accettabilità e non anche nell’ipotesi di COM_218_CodicePenaleCommentato_2017_1.indb 120 ni dell’articolo 29 e del secondo capoverso dell’articolo 32 non si applicano nel caso di condanna per delitto colposo (43) (1). Le disposizioni dell’articolo 31 non si applicano nel caso di condanna per delitto colposo, se la pena inflitta 02/03/17 10:08 121 TITOLO II – DELLE PENE è inferiore a tre anni di reclusione, o se è inflitta soltanto una pena pecuniaria. (1) Questo comma è stato così sostituito dall’art. 121 della L. 24 novembre 1981, n. 689, in tema di depenalizzazione. l Le pene accessorie non possono essere inflitte in caso di condanna per delitto commesso per eccesso colposo di legittima difesa, trattandosi di reato a tutti gli effetti colposo. * Cass. pen., sez. I, 22 gennaio 1982 (c.c. 14 dicembre 1981, n. 1946), Gualandi. 34. (1) Decadenza dalla responsabilità genitoriale (2) e sospensione dall’esercizio di essa. – La legge determina i casi (32, 38, 982, 564, 569, 609 nonies) nei quali la condanna importa la decadenza dalla responsabilità genitoriale (2) (316 c.c.) (3). La condanna per delitti commessi con abuso della responsabilità genitoriale (2) importa la sospensione dall’esercizio di essa (287, 288 c.p.p.) per un periodo di tempo pari al doppio della pena inflitta (139). La decadenza dalla responsabilità genitoriale (2) importa anche la privazione di ogni diritto che al genitore spetti sui beni del figlio in forza della responsabilità genitoriale (4) di cui al titolo IX del libro I del codice civile (315 ss. c.c.). La sospensione dall’esercizio della responsabilità genitoriale (2) importa anche l’incapacità di esercitare, durante la sospensione, qualsiasi diritto che al genitore spetti sui beni del figlio in base alle norme del titolo IX del libro I del codice civile (315 ss. c.c.). Nelle ipotesi previste dai commi precedenti, quando sia concessa la sospensione condizionale della pena, gli atti del procedimento vengono trasmessi al tribunale dei minorenni, che assume i provvedimenti più opportuni nell’interesse dei minori (5). (1) Questo articolo è stato così sostituito dall’art. 122 della L. 24 novembre 1981, n. 689, in tema di depenalizzazione. (2) Le parole: «potestà dei genitori» sono state così sostituite dalle attuali: «responsabilità genitoriale» dall’art. 93, comma 1, lett. c), del D.L.vo 28 dicembre 2013, n. 154, a decorrere dal trentesimo giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale (G.U. n. 5 dell’8 gennaio 2014). (3) Si veda l’art. 71, terzo comma, della L. 4 maggio 1983, n. 184, recante disciplina dell’adozione e dell’affidamento dei minori, in tema di violazione delle norme di legge in materia d’adozione. (4) La parola: «potestà» è stata così sostituita dalle attuali: «responsabilità genitoriale» dall’art. 93, comma 1, lett. c), del D.L.vo 28 dicembre 2013, n. 154, a decorrere dal trentesimo giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale (G.U. n. 5 dell’8 gennaio 2014). (5) Questo comma è stato aggiunto dall’art. 5 della L. 7 febbraio 1990, n. 19, recante modifiche in tema di circostanze, sospensione condizionale della pena e destituzione dei pubblici dipendenti. l La mancata indicazione di durata della sospensione dell’esercizio della potestà genitoriale COM_218_CodicePenaleCommentato_2017_1.indb 121 Art. 34 non ne comporta la nullità, data la sua predeterminazione legislativa in un periodo di tempo pari al doppio della pena inflitta, senza possibilità alcuna di determinazione da parte del giudice. * Cass. pen., sez. I, 9 maggio 1992, n. 5432 (ud. 13 marzo 1992), Atria. 35. Sospensione dall’esercizio di una professio- ne o di un’arte. – La sospensione dall’esercizio di una professione o di un’arte priva il condannato della capacità di esercitare, durante la sospensione, una professione, arte, industria, o un commercio o mestiere, per i quali è richiesto uno speciale permesso o una speciale abilitazione, autorizzazione o licenza dell’Autorità (14 ss. coord.). La sospensione dall’esercizio di una professione o di un’arte non può avere una durata inferiore a tre mesi (1), né superiore a tre anni (2) (79, 139, 140). Essa consegue a ogni condanna per contravvenzione, che sia commessa con abuso della professione, arte, industria, o del commercio o mestiere (689, 691, 7274), ovvero con violazione dei doveri ad essi inerenti, quando la pena inflitta non è inferiore a un anno d’arresto. (1) Le parole: «quindici giorni» sono state così sostituite dalle attuali: «tre mesi» dall’art. 1, comma 1, lett. c), della L. 27 maggio 2015, n. 69. (2) Le parole: «due anni» sono state così sostituite dalle attuali: «tre anni» dall’art. 1, comma 1, lett. c), della L. 27 maggio 2015, n. 69. l Le pene accessorie dell’interdizione temporanea o sospensione dalla professione, arte, industria, commercio o mestiere non sono applicabili nei confronti di colui che abbia venduto o messo in vendita merci ovvero che abbia offerto od eseguito servizi o prestazioni a prezzi superiori a quelli stabiliti dal Comitato interministeriale prezzi (Cip). La normativa vigente in materia riserva infatti all’esclusiva competenza del ministro e del presidente del comitato il potere di sospendere il denunciato dall’attività che abbia dato luogo all’infrazione o di escluderlo dalle assegnazioni di determinate materie, prodotti e di contingenti di esportazione e di importazione e dalla concessione dei relativi permessi, nonché dalle gare previste dal regolamento per la contabilità generale dello Stato. * Cass. pen., sez. VI, 22 ottobre 1984, n. 8951 (ud. 21 giugno 1984), Surra. l La sospensione dall’esercizio di una professione o di un’arte costituisce una pena accessoria, essendo una conseguenza ex lege della condanna; alla sua applicazione non osta, pertanto, la circostanza che, a seguito del fatto per cui è processo, il questore abbia comminato la sospensione della licenza. Quest’ultima misura, ha, infatti, solo natura cautelare. * Cass. pen., sez. I, 7 luglio 1978, n. 9053 (ud. 20 gennaio 1978), Runci. 02/03/17 10:08