Uso di Isotopi nella datazione di sedimenti()

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Università degli studi di Torino
Corso SIS AA 2003-2004
Laboratorio di Fisica Nucleare
prof. Maina
Studio di isotopi nella variazione climatica e
datazione di core di sedimento
Specializzanda: Sandra Bramardi
[email protected]
1. Contesto della proposta didattica
La scelta didattica che intendo seguire consente di trattare due temi inerenti la fisica nucleare
analizzando in dettaglio una applicazione pratica attraverso la quale i ragazzi possono toccare con
mano l’importanza dei concetti studiati e analizzarli in maniera approfondita.
Il primo argomento comprende lo studio degli isotopi, traguardo di una unità didattica dedicata alla
struttura atomica degli elementi, legata all’analisi degli isotopi dell’ossigeno e del carbonio negli
studi climatici relativi agli ultimi secoli.
La seconda parte del progetto didattico proposto affronta il fenomeno della radioattività naturale
utilizzata nella datazione del core di sedimento utilizzato nello studio isotopico affrontato sopra.
I prerequisiti richiesti, elencati nel paragrafo successivo, non comprendono necessariamente il
programma dell’ultimo anno di Fisica. Infatti la trattazione quantistica è appena accennata nella
distribuzione orbitale degli elettroni negli atomi, ma ritengo che non sia indispensabile ai fini degli
obiettivi prefissati approfondire l’argomento. Questa osservazione permette di anticipare
l’argomento all’anno precedente. Dati i forti richiami su concetti legati alla chimica, ove possibile
può essere un collegamento e un ampiamento di questa materia attraverso la spiegazione fisica di
determinati comportamenti chimici degli elementi, in un’ottica interdisciplinare didattica. In questo
caso la scelta del periodo ideale in cui proporre ai ragazzi l’unità didattica, dipende dalla
programmazione inerente la chimica.
2. Prerequisiti richiesti
 Saper leggere a grandi linee la tavola periodica degli elementi
 Conoscere la differenza tra atomi e molecole
 Conoscere alcuni elementi chimici composti, come l’acqua
 Conoscere alcune semplici trasformazioni chimiche
 Saper leggere un grafico o costruirne uno in base all’andamento di una determinata funzione
 Conoscenze statistiche di base, in particolare sapere calcolare un fit lineare
3. Obiettivi didattici
 Conoscere i componenti del nucleo
 Conoscere il significato fisico di N, Z, A
 Conoscere il significato fisico di isotopo
 Saper valutare la presenza in natura di alcuni isotopi e capire le cause
 Studiare particolari problematiche fisiche sfruttando il frazionamento isotopico
 Conoscere le leggi fisiche legate alla radioattività naturale
 Conoscere le caratteristiche delle particelle alfa e beta
 Saper analizzare la catena radioattiva dell’uranio e analizzare in dettaglio alcuni dei
decadimenti intermedi, in base a esigenze sperimentali
 Capire il fenomeno del decadimento radioattivo legato alla datazione di core di sedimento
 Interpretare fisicamente la tavola periodica degli elementi
4. Progetto didattico: introduzione teorica
4.1 NUCLEI E ISOTOPI
L’atomo ipotizzato da Bohr presenta un nucleo attorno al quale ruotano gli elettroni. Gli elettroni
descrivono delle orbite chiuse attorno al nucleo, come succede per le orbite dei pianeti nel sistema
solare. Le orbite sono però quantizzate, cioè i loro raggi possono assumere soltanto un certo insieme
di valori prefissati. Inoltre su ogni orbita si possono trovare non più di due elettroni (principio di
esclusione di Pauli)
Attorno al nucleo centrale le orbite permesse per gli
elettroni seguono le leggi deterministiche della meccanica
quantistica.
La teoria quantistica, che per molti fenomeni può essere condensata nel semplice modello atomico
di Bohr, permette di spiegare gli spettri atomici e le proprietà chimiche degli elementi della tavola
periodica. In sostanza le regolarità osservate sono tutte dovute alla regolarità del comportamento
degli elettroni più esterni degli atomi.
I nuclei atomici sono corpuscoli carichi positivamente nei quali è concentrata la quasi totalità della
massa degli atomi corrispondenti. Essi sono individuati dai valori di due numeri interi: Z e A.
Z è il numero atomico del corrispondente atomo e rappresenta il numero di elettroni che si
muovono attorno al nucleo dell’atomo neutro; il prodotto +Ze del numero atomico per la carica
elementare e (presa consegno positivo) è la carica elettrica del nucleo.
A è il numero di massa, cioè il numero intero che meglio approssima la massa del nucleo nella scala
dei pesi atomici.
Il nucleo è un aggregato di corpuscoli di due diversi tipi: protoni con Z=1 e A=1 come il nucleo di
idrogeno, e neutroni, cioè corpuscoli neutri con Z =0 e A=1.
Ogni nucleo di un certo elemento si identifica per un preciso valore di Z ed A ed è quindi formato
da Z protoni e da N=A-Z neutroni.
Esempi:
16
8
O  ossigeno  Z  8; A  16
12
6
C  carbonio  Z  6; A  12
4
2
He  elio  Z  2; A  4
56
26
Fe  ferro  Z  26; A  56
Neutroni e protoni sono i costituenti nel nucleo, cioè sono dei nucleoni.
La maggior parte dei nuclei ha, con buona approssimazione, la forma di una sfera il cui raggio vale
R  r0 3 A con r0= 1,2 x 10-13 cm raggio del nucleo di idrogeno
Essi hanno quindi sempre dimensioni lineari dell’ordine di 10-12 cm, cioè 10000 volte più piccole
dei corrispondenti atomi, le cui dimensioni sono dell’ordine di 1 Å (=10-8 cm)
PARTICELLE
COMPOSTE
atomo
nucleoni
nucleo
•
elettrone
•
•
neutrone
N=A-Z
•
A=N+Z
protone
Z
PARTICELLE
ELEMENTARI
quark
ISOTOPI: due nuclei aventi lo stesso valore di Z e diversi valori di A, cioè costituiti dello stesso
numero di protoni ma da un numero diverso di neutroni, danno luogo a atomi che rappresentano lo
stesso elemento chimico nella tavola periodica e sono detti isotopi. Molti degli elementi presenti in
natura sono miscugli di due o più isotopi. Vediamo l’esempio dell’idrogeno:
Idrogeno 11 H
deuterio 12 H
trizio 13 H
4.2 RADIOATTIVITA’ NATURALE
La radioattività consiste nel fatto che i nuclei di alcuni elementi con Z>80 emettono, a un certo
istante, un corpuscolo, trasformandosi spontaneamente nel nucleo di un altro elemento.
I corpuscoli emessi sono, in alcuni casi, particelle alfa, cioè nuclei di atomi di elio ( 24 He ). Perciò,
quando un nucleo come quello del Ra emette una particella alfa, il suo peso atomico diminuisce di 4
unità e il numero atomico di due unità:
226
88
4
Ra  222
86 Rn  2 
In altri casi possono essere particelle beta, cioè elettroni. La radioattività beta ha origine dal fatto
che il neutrone libero non è stabile, ma si disintegra molto velocemente (la quantità di sostanza
interessata al fenomeno si dimezza in 12 min) secondo il processo
1
0
n11 p  e   
Esso si trasforma cioè in un protone, con la creazione di due corpuscoli, un elettrone e un neutrino,
cioè un corpuscolo di carica nulla e massa nulla che viaggia con velocità c. La forza che produce
questo fenomeno è la interazione debole introdotta da E. Fermi nel 1933. Il peso atomico Z
dell’elemento aumenta di un’unità mentre il peso atomico resta quasi invariato, dato che l’elettrone
emesso ha carica –e e massa piccolissima rispetto alla massa del nucleo.
Entrambe le particelle vengono emesse con energie molto elevate, sempre dell’ordine di alcuni
MeV (milioni di elettronvolt).
Una certa quantità di un corpo radioattivo essa diminuisce al passare del tempo, come conseguenza
del decadimento spontaneo subito dai suoi nuclei. La legge con cui varia è esponenziale decrescente
ed è la stessa per tutti i corpi radioattivi. Ha la proprietà caratteristica di ridursi alla metà in un
intervallo di tempo T1/2 costante.
N
N0
N0/2
T1/2
Ogni nucleo radioattivo è caratterizzato dal suo periodo di dimezzamento, T1/2 , ossia dalla durata
che è necessario attendere affinché una data massa del corrispondente elemento si riduca alla metà
del suo valore iniziale.
Gli elementi radioattivi che si osservano in natura (come il radio, il radon, ecc.) fanno parte di tre
famiglie radioattive, che sono indicate con i nomi dei loro capostipiti:
 famiglia dell’uranio (U)
 famiglia del torio (Th)
 famiglia dell’attinio (Ac)
Ciascun componente di una famiglia è prodotto dal decadimento del nucleo genitore e, essendo esso
stesso instabile, decade a sua volta dando luogo a un nucleo figlio. L’ultimo componente di
ciascuna famiglia è un isotopo stabile dell’elemento piombo (Pb, Z=82).
5. Progetto didattico: esempi sperimentali
5.1 Frazionamento isotopico dell’ossigeno.
L’ossigeno è l’elemento chimico più abbondante nella crosta terrestre e si può combinare con
l’idrogeno formando l’acqua. L’ossigeno ha tre isotopi stabili:
(~0.0375%) e
18
16
O (abbondanza ~99.63%),
17
O
O (~0.1995%). L’idrogeno ha due isotopi stabili, 1H e 2H. Le configurazioni
isotopiche che si possono allora ottenere per l’acqua sono nove con numeri di massa differenti in
base agli isotopi considerati. La pressione di vapore delle differenti molecole di acqua è
inversamente proporzionale alla massa della molecola stessa. Ad esempio, il H216O ha la pressione
di vapore maggiore del D218O. Per questo motivo il vapor d’acqua è arricchito di 16O e D.
La composizione isotopica dell’ossigeno è data in termini di differenza di
18
O/16O rispetto ad un
valore standard chiamato SMOW (Standard Mean Ocean Water), definito da Craig nel 1961.
Il frazionamento isotopico riferito allo standard si rappresenta allora così:





 18O /16O sample  18O /16O
 O
18
O /16O SMOW

18

SMOW

3
 * 10

Valori positivi di 18O indicano allora un arricchimento del campione di 18O rispetto allo standard e
viceversa.
Il valore di 18O ricavato dal vapore sopra gli oceani risulta essere negativo.
Il frazionamento isotopico del 18O negli oceani diminuisce all’aumentare della temperatura.
Dansgaard (1964) ha dimostrato che tra il valore annuale medio di 18O proveniente dalle
precipitazioni è strettamente collegato con la temperatura ottenendo una relazione lineare:
 18O  0.695T  13.6
Altre relazioni simili sono state ricavate da altri ricercatori attenendo valori simili. Quello che è
importante sottolineare è come il valore di 18O sia strettamente legato a variazioni di temperatura.
E’ allora importante studiare il frazionamento isotopico dell’ossigeno per avere utili informazioni
sul clima nel passato. Questo è possibile utilizzando carbonati (CaCO3), come avviene nel nostro
caso.
Si deve tenere conto anche del fatto che il 18O dipende dalla temperatura e dallo stato di
frazionamento isotopico dell’acqua di mare in cui i foraminiferi vivono. Un’influenza del livello di
16
O/18O può dipendere anche dalla salinità nelle varie parti del Globo.
Shackleton and Kennet (1975) hanno trovato una relazione che lega la temperatura della superficie
del mare e il frazionamento isotopico dell’ossigeno dell’acqua del mare con il 18O della calcite
precipitata in equilibrio con l’acqua. Essa è la seguente:
18O = 3.86 + 18Ow – 0.23 T
dove il valore di 18Ow proveniente dalla CO2 dell’acqua marina dipende dall’evaporazione e dalla
condensazione ed è correlata positivamente con la salinità del mare.
.
Sovrapposizione tra l’onda di temperatura atmosferica e l’onda dei 200 anni di δ 18O
5.2 Frazionamento isotopico nel carbonio.
Per quanto riguarda il carbonio si hanno tre isotopi: 12C, 13C e 14C. Lo standard di riferimento che si
utilizza è il PDB e la formula del frazionamento per il 13C è la seguente:





 13C /12C sample  13C /12C
 C
13
C /12C PDB

13

PDB

3
 * 10

Il frazionamento isotopico del carbonio ha variazioni generalmente anticorrelate con il 18O.
La variazione di 13C è direttamente proporzionale alla variazione dell’illuminamento a terra ΔI
(W/m2):
Δ13C (‰) = 0.02 ΔI (W/m2)
La dipendenza dalla temperatura non è diretta, ma mediata dal fatto che all’aumentare della
temperatura cresce l’attività fotosintetica dei simbionti che vivono sulle spine di alcuni gusci
calcarei e quindi, usando preferenzialmente
12
C per la costruzione dei loro tessuti, lasciano
nell’acqua e sui gusci, una maggiore quantità di 13C.
(a). La ricostruzione del ciclo degli 11 y dalla serie del δ13C è in fase con il numero di sunspot. (b). Confronto tra i
valori di δ13C del core GT90-3 e il numero annuo di giorni con pioggia > di 2 mm sulla piattaforma di Gallipoli. Si puó
notare come l’andamento sia confrontabile.
5.3 Funzionamento dello spettrometro di massa
In questo paragrafo si parlerà nello specifico dello spettrometro di massa presente all’ETH di
Zurigo.
In ogni run si misurano mediamente 25 campioni, gusci calcarei di carbonato di calcio, intercalando
ad essi 5 campioni di standard. Questi standard hanno lo scopo di verificare che non vi sia deriva
dallo strumento. Essi sono composti da polvere di marmo di Carrara puro di cui si conoscono bene i
frazionamenti isotopici e che quindi sono indicativi del comportamento della macchina durante il
run. Si ricorrerà infatti ad opportune correzioni e normalizzazioni in base alle misure dello standard.
Si tratta di uno spettrometro VG-PRISMA configurato con un sistema automatico ISOCARB per la
pirolisi del carbonato.
La quantità minima richiesta è di 20-40 g per campione e si possono porre in misura circa 30
campioni al giorno.
Il procedimento di misura si può così schematizzare:
1. trasformazione del campione di CaCO3 in fase gassosa
2. purificazione del gas
3. frazionamento isotopico del gas
Nella figura sotto è rappresentato il procedimento di misurazione dello spettrometro in uso presso
l’ETH di Zurigo.
Lo schema a blocchi mostra il processo che subisce il campione quando viene inserito nello spettrometro di massa. Il
funzionamento è spiegato di seguito.
I campioni vengono inseriti in una piattaforma girevole nella quale si possono alloggiare 36
contenitori con la polvere dei gusci calcarei al loro interno e quelli con lo standard. Tramite un
controllo gestito dal computer la piattaforma gira di un passo facendo cadere un campione alla volta
in una ampolla piena di acido fosforico iperpuro.
L’acido fosforico iperpuro si ottiene per ebollizione da acido puro al 80% circa.
L’ampolla è formata da due camere una includente l’altra; in quella più esterna circola acqua
riscaldata a 90°C che ha lo scopo di favorire la reazione mentre in quella più interna c’è l’acido.
All’interno è presente anche una barra magnetica che ruotando favorisce il discioglimento del
carbonato nell’acido.
I carbonati cadendo nell’acido generano la seguente reazione chimica:
CaCO3 + H3PO4 = CO2 + H2O + ...
Si ottiene così acqua e anidride carbonica; quest’ultima è la sostanza che serve per l’analisi
spettrometrica e pertanto si deve cercare di separarla dall’acqua.
Il sistema agisce in condizione di vuoto spinto (10-8 mbar) allo scopo di ottenere un buon ion
scattering ossia riducendo le interazioni tra ioni e molecole di gas residui e per evitare
contaminazioni di questi ultimi sulle misure. Le molecole inoltre non esercitano grossa influenza tra
di loro e il moto è fortemente casuale. Questo significa che non si può ottenere un flusso ordinato a
partire dalle molecole di gas libero. L’unico modo perchè ciò avvenga e che il gas sia in presenza di
vuoto spinto in modo da incrementare la probabilità che il moto molecolare muova il gas nella
pompa. Quest’ultima rimuove il gas dall’ampolla e la indirizza nello spettrometro.
In questa fase si elimina subito l’acqua sfruttando le diverse temperature di condensazione. Si
sottopone quindi l’H2O e la CO2 ad un trattamento termico a -90°C congelando di fatto la prima e
lasciando inalterata la seconda che viene pompata allo stadio successivo.
La CO2, in base al volume che occupa (che dipende dalla massa di carbonato del campione di
partenza), può venire raffreddata a -195°C oppure viene lasciata inalterata. Tutto ciò si fa in quanto
nello spettrometro vengono mandati il gas del campione e un gas di riferimento con condizioni di
pressione equivalenti. Si deve allora rendere lo stato della CO2 il più possibile prossimo come
condizioni al gas di riferimento.
Di quest’ultimo si conosce con precisione il suo frazionamento isotopico.
Questa misura, come è noto, non è possibile ottenerla per via diretta con un risultato assoluto ma
solo in modo relativo e quindi si deve porre il campione in relazione con un campione di
riferimento.
Si ottiene pertanto la seguente relazione:
 
Rsam  Rref
Rref
 1000 0 00
Si capisce allora come diventi fondamentale avere caratteristiche di pressione simili tra i due gas
proprio per fare misure nelle stesse condizioni.
Ultimata questa fase il gas è pronto per la misura vera e propria.
I due gas sono connessi alla ion source tramite sottili capillari e l’uguale pressione permette di
avere identici bersagli all’interno dello ion source.
Viene lasciato entrare solo un gas alla volta e questo per sei volte succesive per ogni campione.
Nella ion source la CO2 pura viene ionizzata a CO2+.
Il sistema ottico (elettrodi a diversa tensione) collima e accelera il fascio dirigendolo nel campo
magnetico sempre mantenendo le condizioni di vuoto spinto.
Il fascio viene allora deflesso e separato nelle componenti isotopiche principali in tre collettori di
Faraday:
44(12C16O16O)
45(13C16O16O)
46(12C16O18O)
Facendo sei prove per ogni campione si riesce a raggiungere una precisione analitica inferiore allo
0.01 0 00
a)
b)
c)
Le foto mostrano lo spettrometro e l’apparato che permette di porre in misura i carbonati provenienti dalle
Globigerinoides ruber. a. Visione complessiva dello spettrometro. b. Particolare del disco contenente i campioni da
misurare. Si nota sulla sinistra la cisterna blu dell’azoto liquido necessario a congelare l’acqua creata nella reazione
chimica. c. Schermo su cui vengono effettuati i conteggi in tre punti diversi.
Tutta la macchina è gestita da un software ad essa dedicato in grado di monitorare ogni parte dello
spettrometro e di bloccare il run se qualcosa non corrisponde alle specifiche di funzionamento.
5.4
Calibrazione delle misure
Le misure che lo spettrometro di massa fornisce non sono ancora il 18O e il 13C ma bensì un
44(CO2), 45(CO2), 46(CO2). Si deve allora rapportare i frazionamenti isotopici dell’anidride
carbonica a quelli dell’ossigeno e del carbonio, tenendo conto di opportune correzioni che sono
necessarie.
In prima approssimazione i valori si rapportano nel seguente modo:
45(12C16O16O)
R13 
44(12 C16 O16 O)
46(12 C16 O18 O)
R18 
44(12 C16 O16 O)
con R13 il rapporto tra 13C e 12C, R18 quello tra il 18O e il 16O.
Il tutto va riferito allo standard PDB ottenendo così i valori di frazionamento isotopico cercati:
 13C 
R13  RPDB
 1000
RPDB
 18 O 
R18  RPDB
 1000
RPDB
Il valore va inoltre corretto rispetto agli standard NBS18 che forniscono un possibile valore di drift
e dal fatto che altri elementi isobari vanno a sommarsi in fase di conteggio ai collettori di Faraday;
non si entra qui nei dettagli su queste correzioni comunque importanti che forniscono i dati finali
corretti e pronti per l’analisi statistica finale.
5.5 Datazione dei core di sedimento
Immagine del carotatore utilizzato per il prelievo dei core nel Golfo di Taranto.
Lo studio della climatologia nel passato si fonda sullo studio di core prelevati in reservoirs terrestri
quali i sedimenti marini e lacustri, ghiacci polari, ecc. Per questi studi è di fondamentale importanza
la datazione accurata in grado di rendere i dati ricavati affidabili dal punto di vista temporale.
I radioisotopi in gioco nelle misure di datazione radiometrica sono di tre tipi:
1. naturali, che si trovano in natura e che in genere hanno una vita media molto grande (es.
232
238
U,
Th)
2. cosmogenici, prodotti dall’interazione tra i raggi cosmici e i nuclidi presenti in atmosfera
trasportati in reservoirs terrestri. Esempi importanti sono il
10
Be che si può trovare nei ghiacci
polari e il 14C che si trova negli anelli degli alberi
3. antropogenici, prodotti principalmente da esplosioni nucleari in atmosfera (ad esempio il 137Cs).
5.6 Metodo del 210 Pb
Con il metodo del 210Pb (T1/2 = 22.3 y) in disequilibrio nella catena radioattiva dell’238U è possibile
datare direttamente un sedimento a circa 150 anni fa. Il metodo, tra i più usati in geocronologia, si
basa sulla valutazione del disequilibrio tra il 226Ra (T1/2 = 1600 y) e il 210Pb.
La catena del decadimento dell’238U è la seguente:
La catena radioattiva termina con il
206
Pb che è elemento stabile; ognuno dei radionuclidi della
catena ha vita media e tempo di dimezzamento propri.
La presenza del 210Pb nei sedimenti di recente estrazione ha due sorgenti principali:
a) fall out dall’atmosfera: il
210
Pb prodotto dal decadimento del
222
Rn emanato in atmosfera si
deposita nel sedimento
b) decadimento in situ del 226Ra
Il 222Rn, un precursore del 210Pb nella catena dell’238U, viene emanato dalla crosta terrestre, diffuso
in atmosfera nella quale decade rapidamente (T1/2 = 3.8 d) tramite una serie di nuclidi a vita breve in
210
Pb. Quest’ultimo viene rimosso dall’atmosfera principalmente dalle precipitazioni, raggiungendo
in breve tempo i sedimenti marini e lacustri poco profondi.
L’attività in eccesso (non supportato dal
226
Ra) dovuta alla precipitazione atmosferica Aecc(210Pb)
diminuisce in funzione della profondità del sedimento. Al contrario, l’attività in situ supportata dal
genitore 226Ra, Asup(210Pb), non dipende dalla profondità in quanto assunta in equilibrio ed è quindi
costante.
Assumendo che il fall-out P del
210
Pb sia costante per unità di tempo e di superficie e che la
diffusione del radionuclide all’interno del sedimento sia trascurabile, è possibile determinare il rateo
di sedimentazione s dalla misura dell’Aecc(210Pb) in funzione della profondità z:
P
  
exp z
s
 s 
Aecc ( 210 Pb) 
dove  è la costante di decadimento e  la densità in situ. Il coefficiente di correlazione fra i dati
sperimentali e la decrescita esponenziale forniscono ulteriore conferma dell’uniformità del rateo di
sedimentazione.
Sulla base dello schema di decadimento del
Pb, l’attività del radionuclide può essere valutata
210
attraverso la misura:
a) del  a bassa energia del 210Pb mediante uno scintillatore liquido,
b) del  di alta energia del figlio
210
Bi (T1/2 = 5.013 d) in equilibrio secolare, con rivelatore  a
basso fondo,
c) del  a 46.5 KeV del 210Pb
Il secondo metodo, che ha la più alta figura di merito, è preferibile. Per la misura viene usato un
contatore a gas Geiger-Muller con una finestra di mylar dorato, dotato di basso background (pochi
conteggi per ora) e un’efficienza per l’emissione  del
210
Bi di circa 30%. Sono state effettuate
misure su dieci campioni dello spessore di 1 cm presi a differenti profondità, opportunamente
preparati. La figura sotto riporta il risultato ottenuto nella misurazione di un core di sedimento
prelevato nel Golfo di Taranto.
Si noti che per profondità superiori a 17-18 cm l’attività risulta praticamente costante e corrisponde
all’attività del
210
Pb supportata in situ dal
226
Ra. La linea tratto-punto è il fit di Aecc(210Pb) rispetto
ad un decadimento esponenziale e il rateo di sedimentazione che fornisce è:
s = 0.064 cm/y
con un coefficiente di correlazione r2 = 0.98 e precisione entro il 5%.
L’andamento monotono di A in funzione della profondità e l’elevato coefficiente di correlazione
mostrano come la sedimentazione è costante almeno negli ultimi due secoli ossia fin dove il metodo
del 210Pb è applicabile direttamente.
Misura dell’attività del 210Pb nel core GT 14 in funzione della profondità del sedimento. Le linee tratteggiate e continue
indicano l’attività totale e quella in eccesso; la linea tratto-punto è il fit dell’attività in eccesso. Nell’angolo inferiore
sinistro viene riportata l’attività del 137Cs (Bonino el al., 1993).
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