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Università degli Studi di Lecce
Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali
Dipartimento di Fisica
Tesi di Laurea
Modelli Cosmologici
e Sottovarietà Spazio-Temporali
Laureanda: Emanuela Dimastrogiovanni
Relatore: Dr. Claudio Corianò
Anno Accademico 2002-2003
Ringraziamenti
Ringrazio mia madre e mio padre, Daniela, mia sorella e Mauro, mio fratello, per
l’affetto, la comprensione e il sostegno.
Grazie a Matteo, il mio ragazzo, che mi ha dato amore, forza e coraggio per superare
i momenti difficili.
Un grazie al Dott. Claudio Corianò, il mio relatore, per tutto quello che mi ha insegnato, per la disponibilità e l’impegno.
Grazie al mio amico e collega Marco Guzzi, il cui aiuto è stato importantissimo e dal
quale ho imparato molto.
Ringrazio Giovanni Chirilli, Alessandro Cafarella e i ragazzi della sala computer per
la disponibilità e la simpatia che mi hanno dimostrato.
Grazie di cuore ai miei amici: Berlinda, Roberto, Francesco, Antonio, Viviana, Tina,
Sara, Francesco, Michela, Elisa, Sabrina, con i quali sono cresciuta in questi quattro
anni e che hanno reso questa esperienza universitaria cosı̀ bella e indimenticabile.
Un grazie va a una persona purtroppo scomparsa, il Prof. Raimondo Anni, che è stato
una guida importante per me. Lo ringrazio per la sua generosità, per i suoi preziosi
consigli, per l’entusiasmo e l’amore per lo studio che è riuscito a trasmettermi.
Questa tesi è dedicata ai miei genitori, Maria e Carmine, che con grossi sacrifici
e grande fiducia mi hanno consentito di continuare gli studi e inseguire i miei sogni.
i
Indice
0.1 Modelli di Friedmann . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
3
0.2 Metrica di Robertson-Walker . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
4
0.3 Cinematica dell’Universo di Friedmann . . . . . . . . . . . . . . . . .
12
0.4 Dinamica dell’Universo di Friedmann . . . . . . . . . . . . . . . . . .
22
Capitolo 1.
1.1
Aspetti Matematici della Geometria Estrinseca
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.1.1
33
33
Immersione, Pull-back e Push-forward . . . . . . . . . . . . .
41
1.2 Metriche indotte su Sottovarietà . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
43
Capitolo 2.
Il problema ai valori iniziali nel formalismo ADM
2.1 Curvatura ed equazioni di Einstein . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
55
55
2.2 Caratteristiche generali del formalismo di Arnowitt-Deser-Misner (ADM) 59
2.2.1
Tensori di proiezione e derivate covarianti
. . . . . . . . . . .
61
2.2.2
La curvatura estrinseca e le equazioni di vincolo . . . . . . . .
62
2.2.3
Equazione di Klein-Gordon nel Formalismo 3 + 1 . . . . . . .
64
Capitolo 3.
Brane
71
3.1 Formalismo di Israel: il metodo della giunzione metrica . . . . . . . .
71
3.2 Modello di Randrall e Sundrum . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
75
3.3 Conclusioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
77
ii
iii
Introduzione al Lavoro di Tesi
Nell’ultimo decennio si è assistito ad uno sviluppo straordinario di settori della fisica
che, tradizionalmente, avevano avuto pochi riscontri fenomenologici e sperimentali
nel passato. Tra questi, senza alcun dubbio, sono da menzionare la cosmologia e
l’astrofisica particellare. La crescita, piu’ recente, di questi settori e’ legata alle nuove
disponibilita’ tecnologiche, che permettono di utilizzare satelliti e sistemi di rivelazione distribuiti a terra in correlazione per la identificazione di processi astrofisici di
vario tipo, ma anche ad un fruttuoso interscambio scientifico tra sottodiscipline fisiche
-quali l’astronomia e la fisica delle alte energie- che tradizionalemente seguivano strade di ricerca separate con pochi (e saltuari) punti di congiunzione. Pertanto possiamo
senz’altro dire che una nuova generazione di fisici guarda sempre di piu’ a queste intersezioni tra queste diverse branche della fisica con grande interesse e nutrendo forti
ambizioni. Uno dei problemi dove questa congiunzione è in atto è quello della materia
oscura o “dark matter”. Ne esistono degli altri, ovviamente, e tutti di straordinaria
importanza. Un secondo esempio, infatti, e’ dato dal cosiddetto problema dell’ “energia oscura”, detto anche “della quintessenza” (“quintessence” o “dark energy”) che
ancora non trova una giustificata spiegazione teorica. Il tentativo di soluzione teorica
di questi problemi si e’ sviluppato in una direzione caratterizzata dall’ introduzione di nuove metriche spaziotemporali, di un nuovo formalismo assai complesso che
richiede l’introduzione di dimensioni addizionali noncompatte (“extra dimensions”).
Ovviamente, in presenza di queste nuove teorie, le implicazioni fenomenologiche sono
molte, e non tutte sono state adeguatamente ancora studiate.
Dobbiamo altresı̀ dire che il problema della quintessenza sembra essere legato
molto di piu’ alla parte di materia (cioe’ al tensore energia impulso nelle equazioni di
Einstein) che alla scelta della metrica stessa (cioe’ alla sua forma canonica, del tipo
Freedman-Robertson-Walker, o alla sua forma di “brana”).
Con questi nuovi strumenti a disposizione e’ lecito chiedersi: e’ possibile discernere
1
Introduzione al Lavoro di Tesi
2
fra le varie teorie e formulare dei test stringenti che permettano di dirci quale è la
metrica giusta del nostro universo e quale tensore energia impulso guidi la dinamica
relativistica?
Ci chiediamo altresı̀ se sia possibile studiare numericamente la teoria delle perturbazioni per queste nuove metriche e per procedere in questa analisi e’ indispensabile
formulare un problema di Cauchy generalizzato -cioe’ diverso da quello ordinario usato per la decomposizione ADM- che permetta di separare adeguatamente la parte
ellittica (i vincoli) da quella evolutiva. Crediamo che per poter avere successo in questa analisi sia essenziale capire a fondo il concetto di immersione di sottovarieta’ nello
spazio-tempo e di f oliazione dello spazio-tempo medesimo. Solo dopo aver analizzato
esaustivamente questa tematica si puo’ pensare di procedere ad una analisi numerica
della teoria delle perturbazioni in questi nuovi ambienti geometrici. La ragione per
questo studio e’ ampiamente motivata da almeno due applicazioni -di natura diversama richiedenti lo studio di un formalismo matematico analogo.
Vediamo quali sono.
Supponiamo di prendere le equazioni di Einstein in presenza di materia e di volerle
risolvere numericamente. Le equazioni, scritte in forma tensoriale, sono covarianti.
Questo significa che la loro validita’ e’ conservata sotto un gruppo di trasformazioni
dette diffeomorfismi, o cambi di coordinate sulla varieta’ spaziotemporale in cui sono
definite. E’ evidente che per risolvere tali equazioni dobbiamo separare spazio e tempo e scrivere le equazioni in una decomposizione del tipo 3 + 1, cioe’ con 3 coordinate
spaziali ed una temporale. Questo formalismo prende il nome di “formalismo di Arnowitt Deser Misner” o ADM, e permette di formulare il problema a valori iniziali (o di
Cauchy) in modo consistente. Le equazioni vengono separate in parti ellittiche e parti
di evoluzione, le prime contenenti operatori differenziali puramente 3-dimensionali, le
seconde, invece, contenenti le derivate temporali. Se, ad esempio, si intende studiare
numericamente la collisione tra due buchi neri, la strada da seguire e’ la seguente: 1)
se scrivono le equazioni in 3 + 1; 2) si definiscono le condizioni iniziali e si risolvono
le equazioni di vincolo (ellittiche); 3) si risolvono le equaioni di evoluzione.
Nel caso di collisione di due buchi neri il punto 2) viene risolto prendendo due
metriche di buco nero singolo (ansatz prodotto) con un impulso relativo non nullo,
risolvendo le equazioni di vincolo per questo sistema a (t = 0) e poi procedendo
al punto 3). Questo corrisponde al caso in cui due buchi neri urtano o si fondono
partendo da due stati asintotici separati.
Come abbiamo gia’ accennato, questo formalismo e’ fortemente legato al concetto
di foliazione di varietà 3-dimensionali nello spaziotempo 4-dimensionale e richiede il
concetto di geometria estrinseca.
Il secondo esempio e’ dato dalla immmersione di brane in spazitempo di dimensione superiore a 4. Anche in questo caso va discusso come immergere tale sottovarietà
nella varietà ambiente e serve la nozione di curvatura estrinseca. Va ricordato altresi’
che, in questo ultimo caso, è necessario introdurre un formalismo speciale, dovuto
ad Israel, che porta ad una motifica delle equazioni di Einstein a causa delle discontinuità del tensore energia impulso. Anche in questo secondo caso studieremo gli
aspetti estrinseci o di immersione.
La nostra analisi, pertanto, sara’ innanzitutto geometrica. Avendo identificato
nei concetti di foliazione e di immersione geometrica i due punti cardine dell’analisi
noncovariante delle equazioni di vincolo e di evoluzione di queste nuove metriche,
dedicheremo ampio spazio alla descrizione della geometria delle foliazioni ADM ed all’
immersione di metriche di brana sia in uno spazio-tempo ordinario che generalizzato,
secondo quanto richiesto dalle nuove teorie con extra-dimensioni. La congiungente
di questi studi e’ la nozione di geometria estrinseca, su cui elaboreremo in gran
dettaglio.
0.1
Modelli di Friedmann
La formulazione di un modello cosmologico nell’ambito della teoria della relatività
generale si traduce nella ricerca di soluzioni delle equazioni di Einstein che producano una descrizione dell’Universo consistente con i dati astronomici. Le osservazioni
cosmologiche condotte finora (in particolare quelle riguardanti la distribuzione delle galassie nel cosmo, l’analisi del redshift della radiazione elettromagnetica da esse
prodotta e lo studio della radiazione di fondo cosmico) hanno rivelato un universo
spazialmente isotropo su scale di ordine non inferiore a un centinaio di Mpc, ovvero
molto grandi rispetto alle distanze tipiche tra le galasie. L’assunzione dell’omogeneità
e dell’isotropia spaziale dell’universo, ovvero il cosiddetto “Principio Cosmologico”,
che appare oggi una naturale estrapolazione dalle osservazioni sperimentali, fu invece
una scelta dettata dalla semplicità per Friedmann che nel 1922 propose dei modelli di
Universo le cui proprietà dovevano essere determinate da una distribuzione omogenea
3
Introduzione al Lavoro di Tesi
4
e isotropa delle materia in esso contenuta. Considerando una visione dell’universo
su larga scala e grazie all’ipotesi di omogeneità e isotropia, le galassie possono essere
pensate come le particelle di un fluido perfetto, ovvero di un sistema fisico caratterizzato da una quadrivelocità uα comune a tutte le particelle di fluido e da una
densità di energia ρ e una pressione p. In un generico sistema di riferimento il tensore
energia-impulso per il fluido cosmico assume la forma
T αβ = (ρ + p)uα uβ + g αβ ,
(1)
dove g αβ è il tensore metrico che descrive il campo cosmico.
0.2
Metrica di Robertson-Walker
Il punto di partenza per determinare una metrica appropriata per la decrizione di uno
spazio omogeneo e isotropo è la scelta di un sistema di riferimento in cui definire la
metrica stessa.
Prima di procedere alla definizione del sistema di coordinate, è utile però specificare
quali sono, dal punto di vista geometrico, le implicazioni delle proprietà di omogeneità e isotropia. Parlare di omogeneità equivale ad affermare che l’universo presenta
le stesse caratteristiche da qualunque punto lo si osservi in un determinato istante
di tempo. Questa definizione richiede però una precisazione del significato di tempo
poichè in relatività generale il concetto di “un dato istante di tempo” è assolutamente ambiguo. Per spiegare cosa si intende per “tempo” in cosmologia occorre
ricorrere al concetto di “ipersuperficie tridimensionale di tipo spazio”. Si tratta di
una regione dello spazio-tempo caratterizzata dalla proprietà che due punti qualsiasi
su di essa possono essere connessi da una curva di tipo spazio che giace interamente
sull’ipersuperficie. Ad ogni punto su quest’ultima è possibile associare un sistema
di riferimento di Lorentz, la cui superficie di simultaneità coincide localmente con
l’ipersuperficie. Dunque l’ipersuperficie è determinata dal’imsieme delle superfici di
simultaneità dei riferimenti localmente inerziali definiti nei vari punti. Lo spaziotempo quadridimensionale può essere pensato come una successione di ipersuperfici
di questo tipo, ciascuna delle quali dovrà essere etichettata da un parametro che è
il tempo. In relatività generale quanto appena descritto si traduce nell’affermazione
0.2. Metrica di Robertson-Walker
5
che lo spazio-tempo quadridimensionale può essere foliato in varietà differenziali a tre
dimensioni (spaziali) connesse da una quarta dimensione (temporale).
Se a un particolare istante di tempo corrisponde una determinata ipersuperficie di
tipo spazio, per ogni evento dell’universo è possibile tracciare un’ipersuperficie di tipo spazio omogenea, ovvero caratterizzata da condizioni fisiche identiche per tutti gli
eventi appattenenti ad essa. Anche il concetto di isotropia merita un’ulteriore precisazione. È chiaro che l’universo non può apparire isotropo a tutti gli osservatori.Un
osservatore solidale con un raggio cosmico, ad esempio, vedrà il fluido cosmico circostante allontanarsi in direzione opposta alla propria. Solo un osservatore solidale con
il fluido cosmico giudicherà l’universo spazialmente isotropo.
Sia (t = x0 , xi ) un sistema di coordinate in cui definiamo la metrica. Le coordinate
spaziali contrassegnate dall’indice i sono definite sulle ipersuperfici di tipo spazio, la
coordinata temporale definisce invece la quarta dimensione. L’elemento infinitesimo
di lunghezza nello spazio-tempo è
ds2 = gαβ dxα dxβ = g00 dt2 + 2g0i dtdxi + gij dxi dxj .
(2)
Per isotropia occorre porre le componenti g0i della metrica pari a zero : diversamente esse identificherebbero una particolare direzione nello spazio legata al vettore vi
di componenti g0i . La scelta di identificare le ipersuperfici di tipo spazio con t impone
g00 = 1; infatti in tal modo la distanza tra due punti caratterizzati dalle stesse coordinate spaziali e appartenenti a due ipersuperfici molto vicine (ovvero indicizzate da
parametri temporali che differiscono per una quantità infinitesima), è coerentemente
definita in termini di distanza temporale, ovvero dalla (2)
ds =
√
g00 dt.
(3)
L’intervallo spazio-temporale infinitesimo pertanto diventa
ds2 = dt2 − gij dxi dxj .
(4)
Dalle scelte fatte per la metrica seguono due importanti proprietà.
La prima è che le linee del tempo sono geodetiche dello spazio quadridimensionale.
Introduzione al Lavoro di Tesi
6
Questo può essere dimostrato verificando che le linee di universo caratterizzate da
xi = costante soddisfano l’equazione della geodetica
d(uα )
+ Γαβγ uβ uγ = 0,
ds
(5)
α
dove uα = d(xds ) e Γαβγ è la connessione affine, definita in termini di derivate della
metrica.
L’altra importante proprietà è l’ortogonalità delle linee del tempo rispetto alle ipersuperfici di tipo spazio. Lo si può verificare considerando un generico vettore sα
appartenente a un’ipersuperficie di tipo spazio, che avrà coordinate (0, si), e un vettore tangente alle linee del tempo tα , di coordinate t0 . Il prodotto scalare tra i due è
nullo
tα sβ gαβ = t0 si g0i = 0,
(6)
che è la condizione di ortogonalità definita nello spazio quadridimensionale.
Grazie a questi questi risultati è ragionevole assumere che le superfici di simultaneità del sistema di riferimento locale di ogni galassia coincidano localmente con le
ipersuperfici spaziali in modo tale che le linee di universo delle galassie siano definite
dalla relazione xi = costante e che la loro quadrivelocità sia ortogonale alle ipersuperfici stesse. Il sistema di riferimento introdotto corrisponde quindi a un riferimento
solidale con le galassie o, meglio, con quello che è stato definito come fluido cosmico. Un tale sistema di riferimento è detto sincrono, oltre che comovente, poichè la
coordinata temporale t corrisponde al tempo proprio lungo le linee con xi = costante.
Occorre adesso determinare esplicitamente le componenti tridimensionali gij della
metrica. Si supponga di conoscere la 3-geometria su una particolare ipersuperficie St0
di tipo spazio
γij (xi ) ≡ gij (t0 , xi )
(7)
e si considerino due linee di universo adiacenti del fluido cosmologico che intersecano St0 rispettivamente nei punti (x1 , x2 , x3 ) e (x1 + ∆x1 , x2 + ∆x2 , x3 + ∆x3 ). Al
tempo t0 , ovvero sulla superficie St0 , essi saranno separati da una distanza
0.2. Metrica di Robertson-Walker
7
1
∆st0 = (γij ∆xi ∆xj ) 2 .
(8)
Sia ∆st0 la distanza tra i due punti in un istante successivo t1 (sull’ipersuperficie
∆s
St1 ). È possibile verificare che il rapporto ∆stt0 risulta pari a una funzione che dipende
1
unicamente dal tempo. Infatti l’isotropia garantisce che il rapporto sia indipendente
dalla direzione di un punto rispetto all’altro sull’ ipersupersuperficie; l’omogeneità
assicura l’indipendenza del rapporto dalla scelta dei punti; infine, per una fissata
direzione, l’additività delle piccole separazioni garantisce che il rapporto sia indipendente anche dal valore della distanza. Pertanto si può introdurre una funzione del
tempo a(t), detta fattore di espansione, definita come coefficiente di proporzionalità
tra il valore della distanza tra due punti arbitrariamente fissati su un’ipersuperficie
tridimensionale di tipo spazio e il valore della distanza stessa in un istante succesivo,
e una metrica tri-dimensionale γij indipendente dal tempo definita sulle ipersuperfici,
per cui la (4) diventa
ds2 = dt2 − a(t)γij dxi dxj ≡ dt2 − dl2 .
(9)
Questo tipo di metrica descrive quindi un universo dinamico, in cui la separazione
spaziale tra le galassie o, equivalentemente, le distanze tra gli osservatori comoventi,
variano nel tempo proporzionalmente al fattore di scala, e risultano crescenti o decrescenti nel tempo dipendentemente dal segno di ȧ(t).
Se la distanza effettiva (detta anche “propria”) tra due punti del sistema comovente
tracciato su una generica ipersuperficie di tipo spazio varia in funzione del tempo,
risulta invece costante la distanza “comovente”, ovvero definita in termini della metrica γij .
Il tutto può essere visualizzato attraverso l’immagine di un palloncino su cui è stata
disegnata una maglia di coordinate e dei puntini in corrispondenza delle intersezioni dei fili della maglia; la superficie del palloncino è l’analogo bi-dimensionale delle
ipersuperfici di tipo spazio e i puntini rappresentano le galassie. Se il palloncino viene rigonfiato simulando un universo in espansione, la distanza effettiva tra i puntini
aumenta (cosı̀ come la separazione effettiva tra le galassie) mentre la stessa distanza espressa in termini di unità del sistema di coordinate tracciato resta costante (in
analogia con la distanza comovente).
Introduzione al Lavoro di Tesi
8
A questo punto il problema si riduce alla determinazione della metrica γij di uno
spazio tridimensionale omogeneo e isotropo [1].
Sia Rijkl il tensore di Riemann. Le caratteristiche di questo spazio impongono
per Rijkl una dipendenza dal tensore metrico e non dalle sue derivate e, unite alle
proprietà di simmetria del tensore di Riemann, ne determinano in modo univoco la
forma
Rijkl = q(γik γjl − γil γkj ),
(10)
dove q è una costante legata alla curvatura scalare. Il tensore di Ricci è
Rjl = γ ik Rijkl = 2qγjl ,
(11)
la curvatura scalare è data da
R = γ il Ril = 6q.
(12)
Dalla (12) è evidente che q è una costante poichè dalla geometria differenziale,
tale è la curvatura per uno spazio omogeneo e isotropo. È possibile verificare dalla
definizione più generale di tensore di Riemann che se le γij sono date dalla seguente
metrica
(dx1 )2 + (dx2 )2 + (dx3 )2
dl =
,
2
(1 + kb4 )
2
(13)
dove b2 = (x1 )2 + (x2 )2 + (x3 )2 e k è una costante, il tensore di curvatura assume
la forma che ci si aspetta nel caso di uno spazio omogeneo e isotropo, ovvero la (10).
Con il seguente cambio di coordinate
x1 = b sin θcosφ
x2 = b sin θsinφ
x3 = b cos θ
(14)
0.2. Metrica di Robertson-Walker
9
la (13) diventa
dl2 =
db2 + r 2 [dθ2 + (sin θ)2 dφ2]
1+
La trasformazione r =
b
2
1+ kb4
kb2
4
2
(15)
.
porta alla forma standard della metrica di Robertson-
Walker
2
2
ds = dt − a(t)
2
"
dr 2
+ r 2 (dθ2 + (sin θ)2 dφ2) .
1 − kr 2
#
(16)
La costante k può assumere i valori 1, 0, −1, dando tre diversi tipi di metrica
rispettivamente per un universo chiuso, piatto e aperto. Queste definizioni possono
essere giustificate studiando le tre-geometrie corrispondenti ai vari valori di k. Prima
però è opportuno effettuare un cambio di coordinate introducendo una variabile χ
cosı̀ definita

−1

(per k = 1)

Z
 sin r
dr
(17)
=
χ= √
r
(per k = 0)

1 − kr 2 

sinh−1 r
(per k = −1)
In termini di (χ, θ, φ) la metrica diventa
h
i
dl2 = a2 dχ2 + f (χ)2 (dθ2 + (sin θ)2 dφ2 ) ,
dove




sin χ
f (χ) =
χ



sinh χ
(per k = 1)
(per k = 0)
(per k = −1)
(18)
(19)
Per k = 1 la (24) rappresenta una tre-sfera di raggo a immersa in uno spazio
euclideo quadridimensionale. Per verificarlo fissiamo in questo spazio una terna di
coordinate (x1 , x2 , x3 , x4 ); l’equazione della tre-sfera è
(x1 )2 + (x2 )2 + (x3 )2 + (x4 )2 = a2
(20)
Introduzione al Lavoro di Tesi
10
e la distanza nello spazio quadridimensionale è definita da
dl2 = (dx1 )2 + (dx2 )2 + (dx3 )2 .
(21)
Dato il cambio di coordinate da (x1 , x2 , x3 , x4 ) a (r, χ, θ, φ)
x1 = r sin χ sin θ cos φ
x2 = r sin χ sin θ sin φ
x3 = r sin χ cos θ
x4 = r cos χ
(dove il range delle variabili angolari è 0 ≤ χ ≤ π, 0 ≤ θ ≤ π, 0 ≤ φ ≤ 2π),
valutando i differenziali delle xi in termini dei differenziali delle nuove coordinate
e utilizzando l’equazione della tre-sfera si otttiene per la distanza infinitesima sulla
tre-sfera l’espresione
h
i
dl2 = a2 dχ2 + (sin χ)2 (dθ2 + (sin θ)2 dφ2 ) ,
(22)
che corrisponde esattamente alla (24) nel caso k = 1. Il volume di questa tresuperficie risulta finito
V =
Z
0
2π
dφ
Z
0
π
dθ
Z
0
π
√
gdχ =
Z
0
π
4πa3 sin χdχ = 2π 2 a3 ,
dove g è il modulo del determinante della metrica. Le due superfici corrispondenti
a un fissato valore di χ sono delle due sfere di superficie 4πa2 (sin χ)2 . Al variare
di χ l’area di queste superfici aumenta rapidamente fino a raggiungere un massimo
in corrispondenza di χ = π2 (pari a 4πa2 ), per poi decrescere fino a zer per chi = π.
Queste sono esattamente le proprietà di uno spazio chiuso e senza confini, il che spiega
appunto la definizione di universo chiuso attribuita all’universo di Friedmann nel caso
k = 1.
0.2. Metrica di Robertson-Walker
11
Per k = 0, la (24) fornisce l’espressione della distanza in un’ordinario spazio
euclideo tridimensionale. Per verificarlo basta utilizzare la definizione di distanza
euclidea in termini di coordinate cartesiane dxi
dl2 = (dx1 )2 + (dx2 )2 + (dx3 )2
(23)
ed introdurre nuove coordinate χ, θ, φ
x1 = aχ sin θcosφ
x2 = aχ sin θsinφ
x3 = aχ cos θ
con (0 ≤ χ ≤ ∞, 0 ≤ θ ≤ π, 0 ≤ φ ≤ 2π) Esprimendo la (23) in termini delle
coordinate angolari si ottiene
h
dl2 = a2 dχ2 + χ2 (dθ2 + (sin θ)2 dφ2 )
i
(24)
che è equivalente alla (24) nel caso k = 0. L’omogeneità di questo spazio è
evidente. Il volume risulta infinito
V =
Z
0
∞
χ2 dχ
Z
0
π
sin θdθ
Z
0
2π
dφ = ∞.
In questo caso l’universo di Friedmann viene definito piatto.
Infine, per k = −1, la (24) costituisce la definizione di distanza su un’iperboloide
tridimensionale immerso in uno spazio di Minkowsky quadridimensionale. La distanza
definita su questo spazio è
dl2 = (dx1 )2 + (dx2 )2 + (dx3 )2 − (dx4 )2 .
L’equazione di un iperboloide tridimensionale in questo spazio è
(25)
Introduzione al Lavoro di Tesi
12
(x4 )2 − (x1 )2 − (x2 )2 − (x3 )2 = a2 .
(26)
Passando dalle coordinate xi a nuove coordinate (χ, θ, φ)
x1 = r sinh χ sin θ cos φ
x2 = r sinh χ sin θ sin φ
x3 = r sinh χ cos θ
x4 = r cosh χ
(con 0 ≤ χ ≤ ∞, 0 ≤ θ ≤ π, 0 ≤ φ ≤ 2π) e ridefinendo la distanza in termini delle
nuove coordinate si ottiene
h
i
dl2 = a2 dχ2 + (sinh χ)2 (dθ2 + (sin θ)2 dφ2 ) ,
(27)
ovvero la (24) nel caso k = −1. Anche in questo caso, come per k = 0, il volume
dell’ ipersuperficie è infinito. È interessante osservare che le due-superfici definite
per un fissato valore di χ sono delle sfere di area 4πa2 (sinh χ)2 , che cresce indefinitamente all’aumentare del valore di χ. Queste proprietà spiegano perchè l’universo di
Friedmann nel caso k = −1 è definito “aperto”.
0.3
Cinematica dell’Universo di Friedmann
Uno dei grandi successi del modello di Friedmann è legato alla possibilità di dare
una spiegazione, attraverso un’indagine sulle proprietà cinematiche, al fenomeno ben
noto in astrofisica, del redshift della radiazione emessa da galassie lontane dalla terra.
Consideriamo un osservatore in r = 0 (il sistema di coordinate è quello comovente)
che riceve al tempo t = t0 la radiazione emessa da una sorgente posta in r = r1 . La
radiazione è stata emessa in un istante t = t1 precedente a t = t0 . Nell’ipotesi che
l’onda elettromagnetica si propaghi dall’osservatore alla sorgente lungo la direzione
0.3. Cinematica dell’Universo di Friedmann
13
radiale, con θ e φ fissati, e sapendo che gli eventi (t1 , r1 ) e (t0 , 0) sono connessi da
una geodetica di lunghezza nulla, si ha
0 = ds2 = dt2 − a2
dr 2
.
1 − kr 2
Integrando questa equazione si ottiene la relazione tra r1 e t1
Z
t0
dt
=
a(t)
t1
Z
r1
√
0
dr
.
1 − kr 2
(28)
Se agli istanti t1 e t1 + δt1 , la sorgente emette due fotoni che sono ricevuti rispettivamente a t = t0 e t = t0 + δt0 dall’osservatore, essendo la parte destra della (28) la
stessa per i due fotoni, si ha
Z
t0
t1
dt
=
a(t)
Z
t0 +δt0
t1 +δt1
dt
a(t)
(29)
Questa equazione può essere scritta come
Z
t1 +δt1
t1
dt
=
a(t)
Z
t0 +δt0
t0
dt
a(t)
(30)
da cui si ha
dt0
a(t0 )
.
=
dt1
a(t1)
(31)
Si ottiene quindi la relazione tra la frequenza emessa ν1 (ovvero la frequenza
misurata da un osservatore solidale con la sorgente) e quella misurata ν0
a(t1 )
ν0
=
.
ν1
a(t0 )
(32)
Questa è convenientemente espressa in termmini di un parametro z di redshift cosı̀
definito
Introduzione al Lavoro di Tesi
14
z=
ν1 − ν0
.
ν1
(33)
Se ν0 > ν1 si parla di blue-shift, se viceversa ν0 > ν1 si parla di red-shift. Sperimentalmente, dal confronto tra le lunghezze d’onda della radiazione ricevuta da una
determinata sorgente, come una galassia ad esmpio, e la lunghezza d’onda prodotta
nel corso di una transizione atomica (osservata e misurata a terra) equivalente al fenomeno che ha prodotto la radiazione nella galassia lontana, si osserva uno spostamento
verso il rosso della radiazione ricevuta rispetto a quella prodotta a terra.
La (33) è spesso utilizzata per caratterizzare un particolare istante di tempo in cui
un determinato evento ha avuto luogo, ovvero si definisce una funzione z = z(t) con
a0
, dove a0 = a(t0 ), con t0 istante fissato (si sceglie di solito t0 uguale al
1 + z(t) = a(t)
tempo attuale).
Se la distanze in gioco relative a sorgente e osservatore sono piuttosto piccole il redshift cosmologico può essere interpretato in termini di effetto Doppler. Per dimostrarlo
si considerino due osservatori solidali con il sistema comovente caratterizzati da una
separazione comovente δr che supponiamo molto piccola. Se si indica con δl la distanza propria tra i due osservatori, ovvero δl = a(t)δr, ciascuno dei due osservatori
attribuirà all’altro una velocità pari a
d(δl)
ȧ
δv =
δl.
= ȧδr =
dt
a
(34)
Si consideri un segnale elettromagnetico che attraversa i due osservatori. Il tempo
necessario affinchè il segnale possa transitare da un osservatore all’altro è δt = δl
(avendo scelto il sistema di unità naturali in cui la velocità della luce è c = 1). Se ω è
la frequenza misurata dal primo osservatore, il secondo osservatore, che si allontana
dal primo con velocità δv, misurerà una frequenza caratterizzata da uno shift δω per
effetto Doppler dove
ȧ
ȧ
δa
δω
= −δv = − δl = − δt = − ,
ω
a
a
a
(35)
in cui si è valutato lo shift dovuto al Doppler applicando le leggi della relatività
speciale poichè per ipotesi i due osservatori sono cosı̀ vicini da poter introdurre un
sistema localmente inerziale in cui si trovano entrambi. Integrando la (35) si ottiene
0.3. Cinematica dell’Universo di Friedmann
a(t)ω(t) = costante.
15
(36)
Da questa relazione è evidente che se considero tutti gli osservatori comoventi che
in un dato istante t sono raggiunti da un segnale luminoso, essi misureranno per il
segnale una frequenza ω proporzionale al reciproco del fattore di espansione a(t) e
osserveranno un redshift rispetto al valore misurato dagli osservatori comoventi raggiunti dal segnale luminoso ad un tempo precedente se ȧ > 0, viceversa osserveranno
un blueshift se ȧ < 0.
Nel caso di sorgenti molto lontane un’interpretazione del redshift in termini di
effetto Doppler non risulta corretta. Sapendo che la frequenza della radiazione elettromagnetica è influenzata dal campo gravitazionale dell’universo, non è possibile
affermare che il redshift cosmologico è equivalente all’effetto Doppler in quanto è
l’espansione dello spazio, non la velocità relativa di osservatore ed emettittore, che
produce il redshift. L’espansione dello spazio corrisponde infatti a una variazione
continua della geometria dello spazio stesso (si può immaginare che non si tratta di
un’espansione dello spazio tridimensionale costituito dalla materia e dalla radiazione
in uno spazio preesistente, bensı̀ di una continua creazione dello spazio stesso). Nel
corso del tempo si ha quindi una diminuzione della curvatura dello spazio o, che è
equivalente, una variazione del campo gravitazionale cosmico e quindi dell’entità dell’influenza da questo esercitata sulla propagazione dei fotoni.
L’espansione dell’universo influenza anche il moto delle particelle materiali per
le quali è possibile ricavare una relazione analoga a quella ottenuta per i fotoni [?].
Detto p il modulo dell’impulso di una particella soggetta solo al campo gravitazionale
cosmico, in oto rispetto al sistema degli osservatori comoventi, si ha la seguente
relazione tra impulso e parametro di espansione
p(t)a(t) = costante.
(37)
Questa relazione può essere ricavata a partire dall’equazione della geodetica per
una particella in moto rispetto al sistema comovente soggetta soltanto al campo
gravitazionale cosmico
Introduzione al Lavoro di Tesi
16
d(uµ )
+ Γµαβ uα uβ = 0.
ds
(38)
Moltiplicando la (38) per gσµ e utilizzando la relazione gµν g νλ = δµλ insieme
all’espressione della connessione affine in termini del tensore metrico, si ottiene
duµ 1 dgσα dgσβ dgαβ α β
+ ( β +
+
)u u .
gσµ
ds
2 dx
dxα
dxσ
(39)
Dalle due relazioni precedenti si ottiene
duσ 1 dgαβ α β
−
u u = 0.
ds
2 dxσ
(40)
Questa equazione implica che se le componenti della metrica sono indipendenti
da una certa coordinata xσ allora la componente covariante uσ è costante lungo la
geodetica. Si consideri la componente σ = 3 ovvero x3 = φ. Poichè le componenti
3
= 0, quindi u3 è costante lungo la
della metrica sono indipendenti da φ, si ha du
ds
geodetica. Ma
u3 = g3λ uλ = g33 u3 = −a2 r 2 (sin θ)2 u3 ,
(41)
ovvero nel punto r = 0 u3 = 0, quindi u3 = dφ
= 0 lungo la geodetica e φ è
ds
costante lungo la geodetica. Si consideri la (40) per σ = 2
du2 1 dgαβ α β
−
u u = 0.
ds
2 dx2
(42)
L’unica componente di gαβ chen dipende da x2 = θ è g33 , ma u3 = 0 quindi si
ottiene u2 = g22 u2 = −a2 r 2 u2 , che si anulla in r = 0, quindi u2 = 0 lungo la geodetica
e di conseguenza θ = costante lungo la geodetica. Per σ = 1 dalla (40) si ha
du1 1 dgαβ α β
−
u u = 0.
ds
2 dx1
(43)
0.3. Cinematica dell’Universo di Friedmann
17
Essendo u2 = u3 = u0 e g00 e g11 indipendenti da r, si ha che u1 è costante lungo la
= costante. Per proseguire nella dimostrazione
geodetica, ovvero u1 = g11 u1 = −a2 dr
ds
è opportuno prendere in esame singolarmente i tre casi corrispondenti ai diversi valori
di k. Consideriamo ad esempio, il caso k = 0 (negli altri due casi si procede in modo
analogo con la differenza che è utile trasformare la coordinata r nella coordinata ψ
ponendo r = sin ψ e r = sinh ψ rispettivamente nei casi k = 1 e k = −1): ponendo
nell’espressione della distanza descritta dalla metrica di Robertson-Walker dθ = φ = 0
e k = 0 si ha
ds2 = dt2 − a2 dr 2 = dt2 − dl2 = dt2 (1 − v 2 ),
(44)
dove dl è l’elemento di distanza spaziale e v è la velocità della particella nel
sistema comovente. Assumendo che si tratti di una particella di massa m, l’impulso
della particella è
p=m
dl
1
= mv √
.
ds
1 − v2
(45)
Combinando le ultime tre relazioni si ottiene
pa = costante
(46)
che vale per ogni punto appartenente alla geodetica della particella. L’analisi
precedente può essere applicata anche al caso di una particella priva di massa. Per
far questo basta scrivere sostituire nell’equazione della geodetica al posto del tempo
proprio s un altro parametro dal momento che le particelle non massive viaggiano su
geodetiche di lunghezza nulla. Poichè l’impulso del fotone è proporzionale alla sua
energia e quindi alla sua frequenza, si ottiene
νa = costante
(47)
che è equivalente alla relazione (32) ricavata a partire dalla metrica di RobertsonWalker.
La (46) può essere ricavata a partire dalle formule relativistiche di composizione
delle velocità per un oggetto in moto visto da diversi osservatori comoventi, nel caso
Introduzione al Lavoro di Tesi
18
in cui la distanza che li separa risulta piuttosto piccola ([14]). Si considerino due
osservatori comoventi separati da una distanza propria δl e una particella materiale
in moto soggetta solo all’azione del campo gravitazionale cosmico. Se v è la velocità
della particella quando incrocia il primo osservatore e δt è il tempo impiegato dalla
particella a coprire la distanza δl tra i due osservatori, quando la particella incrocia
′
il secondo osservatore, questo misurerà una velocità v data da
′
v =
v − δu
,
1 − vδu
(48)
dove δu è la velocità relativa dei due osservatori, ovvero dalla (34)
ȧ
ȧ
δa
δu = δl = vdt = v .
a
a
a
(49)
Per la composizione delle velocità si è utilizzata la relatività speciale dal momento
che per ipotesi i due osservatori sono molto vicini e quind è possibile immaginare un
sistema di riferimento localmente inerziale a cui sono solidali entrambi. Sviluppando
la (48) al primo ordine in δu e utilizzando la (49) si ricava
′
v = v − (1 − v 2 )δu = v − (1 − v 2 )v
δa
.
a
(50)
′
Posto δv = v − v si ha
δv
δa
= −(1 − v 2 ) .
v
a
(51)
Integrando l’equazione precedente si ricava la (46).
Utilizzando la metrica di Robertson-Walker è possibile ricavare una relazione tra
distanza e redshift molto utile poichè contiene dei parametri fondamentali per determinare quale tra gli universi di Friedmann (aperto, chiuso o piatto) corrisponde al
nostro universo reale.
Le distanze in cosmologia sono spesso definite mediante misure fotometriche e spettroscopiche, ovvero è possibile determinare la distanza di una certa sorgente luminosa
0.3. Cinematica dell’Universo di Friedmann
19
misurando il flusso di radiazione che essa ci invia e confrontandolo con la sua luminosità intrinseca, nota a partire dall’analisi spettrale della radiazione prodotta a terra
nel corso di una transizione atomica equivalente a quella che, in una galassia lontana,
è responsabile della radiazione ricevuta.
Se la sorgente ha luminosità intrinseca L, allora emetterà una quantità di energia
Ldt1 in un intervallo di tempo dt1 . Questa energia sarà ricevuta in un intervallo
a(t0 )
1)
dall’osservatore e la sua frequenza sarà diminuita di un fattore a(t
e
dt0 = dt1 a(t
a(t0 )
1)
2 2
sarà distribuita su una sfera di raggio a(t0 ) r1 , avendo posto l’osservatore in r = 0 e
la sorgente in r = r1 . Il flusso osservato sarà quindi
F =L
dt1 a(t1 )
1
L
.
2 2 =
dt0 a(t0 ) 4πa(t0 ) r1
4πa(t0 )2 (1 + z)2
(52)
Se lo spazio fosse euclideo il flusso prodotto da una sorgente a distanza d dall’osL
servatore sarebbe dato da F = 4πd
2 , quindi si definisce una distanza di “luminosità”
L
dl attraverso la relazione F = 4πd 2 . Si ha dunque
l
dl (z) = a(t0 )r1 (t1 )(1 + z).
(53)
Un’altra definizione spesso utilizzata in cosmologia è quella di “diametro angolare”. Se D sono le dimensioni lineari di un oggetto che sottende un angolo δ rispetto
all’osservatore, allora per piccoli valori dell’angolo δ si ha D = r1 a(t1 )δ. In uno spazio
euclideo il diametro angolare di una sorgente di diametro D posta a una distanza d
è δ = Dd , pertanto si definisce una distanza di diametro angolare da
da (z) = r1 a(t1 ) = a(t0 )
r1 (t1 )
.
1+z
(54)
Le due definizioni di distanza sono legate dalla relazione dl = (1 + z)2 da .
Le quantità F e L sono sperimentalmente accessibili, per cui la distanza di luminosità può essere valutata. Nell’espressione di dl , compare però una quantità non
misurabile che è la distanza comovente r1 . Quest’ultima può essere espressa in funzione del pararmetro di redshift z e in termini di H0 e q0 , che sono rispettivamente la
costante di Hubble al tempo attuale e il parametro di decelerazione.
Introduzione al Lavoro di Tesi
20
Per far questo bisognerebbe conoscere l’espressione del parametro di espansione in
funzione di z dovendo utilizzare la (28); se tuttavia ci si limita a sorgenti non troppo lontane, ovvero a piccoli valori del redshift, si può risolvere il problema facendo
un’espansione della funzione a(z) in un intorno di z = 0, ovvero intorno al suo valore
attuale a0
1
a(t) = a0 + ȧ0 (t − t0 ) + ä0 (t − t0 )3 + ... = a0 + [1 + H0 (t − t0 )
2
− q0 H0 2 (t − t0 )2 + ...].
(55)
Sostituendo questa espansione nella (28) si ha
1
a0
Z
t0
dt
=
1 + H0 (t − t0 ) − 21 q0 H0 2 (t − t0 )2
t1
Z
r1
0
√
dr
.
1 − kr 2
(56)
Espandendo questa espressione al primo ordine in r e al secondo in (t − t0 ) si
ottiene
1
a0
Z
t0
t1
1
[1 − H0 (t − t0 ) + q0 H0 2 (t − t0 )2 ]dt =
2
Z
0
r1
dr.
(57)
Risolvendo questi integrali si ottiene l’espressione di r1 in funzione del tempo
r1 =
1
1
[(t0 − t1 ) + H0 (t0 − t1 )2 ].
a0
2
(58)
Invertendo la relazione (55) si ha
t − t0 = −
1
H0 [z − (1 +
.
q0
2]
)z
2
(59)
Infine sostituendo la relazione precedente nella (58) si ottiene l’espressione di r1
in termini di z
a0 r1 =
1
1
[z − (1 + q0 )z 2 ].
q0
2
(60)
0.3. Cinematica dell’Universo di Friedmann
21
Si può utilizzare questa relazione per esprimere dl (e quindi da ) in funzione del
redshift. Si ha ad esempio
dl (z) = a0 r1 (1 + z) =
1
1
[z + (1 + q0 )z 2 ].
H0
2
(61)
Nell’ambito del modello di Friedmann è possibile determinare la dipendenza funzionale della temperatura della radiazione cosmica dal tempo attraverso il parametro
di espansione, ovvero T ∼ a(t)−1 . Per ricavare questa relazione occorre sfruttare
le relazioni p(t)a(t) = costante e ν(t)a(t) = costante, dove p e ν già ricavate per
l’impulso di una particella e la frequenza di un fotone che viaggiano soggetto solo al
campo gravitazionale cosmico.
Si consideri un fascio di particelle che si propagano liberamente nello spazio. In un
dato istante t un osservatore comovente osserva dN particelle in un volume proprio
dV , che hanno un impulso con valori compresi nel range (~p, ~p + d3 ~p). La funzione
di distribuzione nello spazio delle fasi f (~x, p~, t) per il sistema di particelle è definita
dalla relazione dN = f dV d3 p~. In un istante successivo (t
+ δt)i il volume proprio
h
a(t+δt) 3
mentre il volume
occupato da queste particelle sarà aumentato di un fattore a(t)
h
i3
a(t)
nello spazio dei momenti avrà subito un redshift pari a a(t+δt)
. In questo modo il
volume nello spazio delle fasi ocupato dalle particelle non cambia nel corso della propagazione. Dal momento che il numero di particelle dN è conservato sarà conservata
anche f .
Queste considerazioni sono puramente classiche. Esse possono essere tuttavia estese
al caso in cui si consideri la propagazione non di particelle materiali bensı̀ di fotoni,
h
per i quali è nota la relazione tra energia e impulso E = 2π
ω = p. Se f (~x, p~, t) è la
funzione di distribuzione nello spazio delle fasi per i fotoni, allora la densità di energia
du dei fotoni nella banda di frequenze (ω, ω + dω) che attraversa l’angolo solido dΩ
è proporzionale a f (ω)p2 dpdΩ. La densità di energia spettrale I(ω) della radiazione
(ovvero la densità di energia per unità di ampiezza di banda), è definita dalla relazione
du ≡ I(ω)dωdΩ =
h 2
f p dpdΩ.
2π
(62)
Poichè p2 dp ∼ ω 2 dω per i fotoni si ha che I(ω) ∼ f ω 3 ; inoltre essendo f conservaI(ω)
ta durante la propagazione segue che anche la quantità omega
3 è conservata nel corso
Introduzione al Lavoro di Tesi
22
della propagazione della radiazione. Il flusso di energia di radiazione è definito come
e quindi varia come a−3 in un universo che in espansione.
F (ω) = I(ω)
4π
Se la radiazione presenta una distribuzione d’intensità di distribuzione della forma
I(ω = ω 3)G( Tω ), essa conserva la forma dello spettro nel corso dell’espansione e quindi il parametro T varia con l’espansione come T ∼ a−1 . Lo spettro di Plank ha
questa forma in cui T corrisponde alla temperatura; segue che la temperatura della
radiazione, che ha uno spettro di Plank, decresce con l’espansione secondo la relazione
T (t) ∼ a(t)−1 .
0.4
Dinamica dell’ Universo di Friedmann
La metrica di Friemann contiene una costante, k, e una funzione a(t) che possono
essere determinate attraverso le equazioni di Einstein
1
Gαβ ≡ Rαβ − gαβ R = 8πGTαβ ,
2
(63)
dove Tαβ è il tensore energia-impulso. La forma esatta del tensore energia-impulso
dipende dal tipo di materia o radiazione di cui è costituita la sorgente del campo
gravitazionale. Se si assume che l’universo sia omogeneo e isotropo, l’espressione del
tensore energia-impulso è quella di un fluido ideale nel riferimento di riposo del fluido
stesso, ovvero
Tβα = diag [ρ(t), −p(t), −p(t), −p(t)] ,
(64)
dove ρ(t) e p(t) sono rispettivamente densità di energia e pressione del fluido. La
natura della sorgente è completamente specificata se è data la rezione tra pressione e
densità nella forma di un’equazione di stato p = p(ρ). Il passo successivo per ricavare
le equazioni per k e a(t) è quello di calcolare le componenti del tensore di ricci e della
curvatura scalare. È possibile verificare che le componenti di Gαβ sono
G00 =
3 2
ȧ
+
k
a2
0.4. Dinamica dell’Universo di Friedmann
Gij =
23
1 2
2a
ȧ
+
ȧ
+
k
δji
a2
Gio = 0.
(65)
Dalle (0.4) si ottengono due equazioni indipendenti
ȧ2 + k
8πG
=
2
a
3
(66)
2ä2 ȧ + k
+
= −8πG.
a
a2
(67)
Queste due equazioni, combinate con l’equazione di stato p = p(ρ) determinano
completamente le tre funzioni a(t), ρ(t) e p(t).
Il valore di k, che determina la curvatura delle sezioni spaziali dell’universo, può essere
determinato a partire dalla (66). Questa equazione implica che al tempo attuale
(t = t0 )
k
8πG
=
ρ0 − H02 ≡ H0 (Ω − 1) .
2
a0
3
(68)
Sono state introdotte due importanti quantità
ρc ≡
Ω≡
3H02
8πG
(69)
ρ0
,
ρc
(70)
dove ρc è detta densità critica. Il valore di Ω è strettamente legato al particolare
modello di universo; attraverso l’analisi qualitativa dell’andamento funzionale di a(t) è
infatti possibile provare che valori di Ω maggiori, minori o pari all’unità corrispondono
ad un universo rispettivamente chiuso, aperto o piatto.
Le equazioni possono essere combinate per dare
4πG
ä
=−
(ρ + 3p) .
a
3
(71)
Introduzione al Lavoro di Tesi
24
È possibile ottenere alcune informazioni sulla funzione a(t) senza risolvere esplicitamente le equazioni, a partire da alcune assunzioni ragionevoli che riguardano pressione e densita’. Se ad esempio si assume che ρ + 3p sia positiva, allora dalla si ha che
ä è negativa (a(t) è positiva per definizione), per cui la curva a(t) deve essere concava
verso l’asse del tempo. Dalla figura è chiaro che questa curva deve raggiungere l’asse
t in un istante che può essere ragionevolmente definito come l’origine dell’universo e
che è più vicino al tempo attuale t0 rispetto all’istante in cui la tangente alla curva
nel punto (t0 , a(t0 )) interseca l’asse t. Se si pone a(0) = 0, il tempo in cui la tangente
incontra l’asse t corrisponde all’origine nel caso di un’espansione uniforme. Il tempo
trascorso da quel punto fino al tempo presente è pari a
ȧ(t0 )
= H0 .
a(t0 )
(72)
H0 è detto tempo di Hubble e risulta quindi maggiore dell’età dell’universo.
Dalla equazione (66) si ha che
ρa3 =
3
a(ȧ2 + k).
8πG
(73)
Differenziando questa espressione e usando l’equazione (67) si ha
d(ρa3 )
= −3ȧa2 p,
dt
(74)
da cui si ricava l’equazione differenziale che, risolta, determina la densità ρ in
funzione di a(t)
d(ρa3 )
= −3a2 p.
da
(75)
Per un’equazione di stato della forma p = ωρ, si ottiene
ρ
a
=
ρ0
a0
−3(1+ω)
.
(76)
In particolare, nel caso di materia non relativistica (ω = 0) e radiazione (ω = 31 )
si ha
0.4. Dinamica dell’Universo di Friedmann
ρM = ρ0
ρR = ρ0
−3
= ρc ΩM (1 + z)3
(77)
−4
= ρc ΩR (1 + z)4 ,
(78)
a
a0
a
a0
25
dove ΩM = ρρMc e ΩR = ρρRc .
Le osservazioni sperimentali rivelano che attualmente la materia domina sulla radiazione. Se si va indietro nel tempo si ha che ρM decresce più rapidamente rispetto a
ρR , per cui ci si aspetta che in un dato istante t = teq (corrispondente ad un valore
a = aeq e z = zeq ) le due densità abbiano avuto lo stesso valore. Per t ≫ teq il
contributo dominante alla densità di energia dell’universo è dovuto alla materia, per
t ≪ teq la densità di energia è dominata dalla radiazione.
Per studiare qualitativamente l’andamento funzionale di a(t), si riscrive la (66) specificando il valore di k (−1, 0, 1)
8πG 2
ρa + 1
3
8πG 2
ȧ2 =
ρa
3
8πG 2
ȧ2 =
ρa − 1.
3
ȧ2 =
(79)
(80)
(81)
(82)
gico aspettarsi: se il valore attuale della densita’ media del fluido cosmico supera
un certo valore critico, le forze gravitazionali dovute ad essa e che si oppongono al
moto di espansione dell’universo producono un rallentamento dell’espansione stessa e
saranno responsabili di un collasso dell’universo su se stesso. Se al contrario il valore
della densità attuale risulta inferiore a quello critico allora l’espansione, se pur rallentata dalle forze attrattive gravitazionali, non è efficacemente contrastata da una
densità di materia troppo bassa per generare un moto di contrazione dell’universo su
se stesso.
Per determinare l’espressione esatta di a(t) occorre utilizzare la (66), ma per semplificare la ricerca delle soluzioni è opportuno partire da alcuni casi particolari che
possono essere analizzati attraverso un confronto tra i vari termini che compaiono
nell’equazione.
Introduzione al Lavoro di Tesi
26
Si consideri, ad esempio, il confronto tra il termine di curvatura (ovvero quello contenente la costante k) e il termine in cui compare la densità di energia ρ, nei due casi
di universo dominato dalla radiazione e dalla materia.
Nel primo caso per il termine di densità si ha
8πG
8πG
ρ=
ρc ΩR (1 + z)4 = H0 2 ΩR (1 + z)4 ,
3
3
(83)
mentre il termine di curvatura a qualunque redshift risulta
k
k
=
(1 + z)2 .
a2
a0 2
(84)
Uguagliando queste due espressioni è possibile verificare che il termine di curvatura
è completamente trascurabile rispetto a quello di radiazione se il redshift risulta molto
maggiore di un valore z = zc dove
1−Ω
1 + zc =
ΩR
21
(85)
.
Questo redshift è molto piccolo rispetto a zeq , per cui si può ignorare il termine
di curvatura per t ≤ teq senza incorrere in alcun errore significativo.
Per quanto riguarda l’era dominata dalla materia, ovvero per t ≫ teq , occorre confrontare il termine di curvatura con la quantità
8πG
8πG
ρ=
ρc ΩM (1 + z)3 = H0 2 ΩR (1 + z)3 .
3
3
(86)
Dal confronto risulta che per z ≫ zf lat = zf il termine di materia domina su quello
di curvatura. Le osservazioni sperimentali suggeriscono per zf un valore inferiore a
tre. Pertanto, tranne che a reshifts molto piccoli (compresi tra 0 e 10), il termine di
curvatura è completamente trascurabile nelle equazioni di Einstein. Per valori di z
non appartenenti all’intervallo [0 − 10], la (66) può essere scritta come
ȧ2
k
ȧ2
8πG
8πG
+
≈
=
ρ=
ρeq
2
2
2
a
a
a
3
3
"
aeq
a
4
aeq
+
a
3 #
.
(87)
0.4. Dinamica dell’Universo di Friedmann
27
Questa equazione può essere facilmente risolta con la sostituzione x =
t
8πG
ρ
3
a
aeq
ey=
. Procedendo in questo modo si ottiene
dx
dy
!2
1
1
+ .
2
x
x
=
(88)
Integrando e usando le condizioni iniziali y(x = 0) = 0, si ha la soluzione seguente

√ 
!
!1
2
2 2 a
a
Heq t =
−2
+ 1 + 2 ,
3
aeq
aeq
(89)
ρeq . Dalla (89) è possibile ricavare delle soluzioni per a(t) valide
dove Heq 2 = 16πG
3
per t ≫ teq e t ≪ teq . Con opportuni sviluppi in serie, sfruttando le relazioni aaeq ≪ 1
e aaeq ≫ 1 rispettivamente per i due casi presi in considerazione, si ha
a
=
aeq
3
√
2 2
!2
(Heq t) 3
a
=
aeq
3
√
2
!2
(Heq t) 2
3
2
(90)
per t ≫ teq , e
3
1
(91)
per t ≪ teq .
Per valori del redshift molto piccoli (nell’intervallo [0 − 10]), le soluzioni appena
ricavate non possono essere utilizzate. In questo caso per ricavare l’espressione di a(t)
la (66) può essere semplificata assumendo ρ = ρM , dal momento che essendoz ≪
z
3 eq
a0
è possibile trattare l’universo come dominato dalla materia. Ponendo ρ = ρ0 a ed
esprimendo ρ0 e a0 in termini di H0 e q0 , ovvero
1
= (2q0 − 1)H02
2
a0
8πG
ρ0 = 2q0 H0 2 ,
3
(92)
(93)
Introduzione al Lavoro di Tesi
28
l’equazione (66) diventa
(
ȧ 2
a0
.
) = H02 1 − 2q0 + 2q0
a0
a
(94)
La soluzione può essere scritta attraverso una espressione del tempo in funzione
di a
1
t=
H0
Z
a
a0
0
q0
1 − 2q0 + 2
x
1
2
dx,
(95)
dove si è posto x = aa0 . Si può studiare la (95) analizzando separatamente i tre
casi corispondenti a k = 1, 0, −1.
Per k = 1, l’integrale può essere risolto introducendo una nuova variabile θ cosı̀
definita
1 − cos θ =
2q0 − 1
2q0 − 1 a
=
x.
q0 a0
q0
(96)
Con questa sostituzione la (95) produce l’equazione di una cicloide, infatti si
ottiene
H0 t = q0 (2q0 − 1)
−3
2
(θ − sin θ).
(97)
Da questa equazione si può vedere che a(t) si annulla per θ = 0 a t = 0, aumenta
3
0
fino a un valore massimo che si ha per θ = π e t = tmax = πq
(2q0 − 1) 2 , per poi
H0
decrescere annullandosi nuovamente in corrispondenza di θ = 2π.
L’attuale valore di θ è dato da
cos θ0 =
e quindi l’età dell’universo è
1
− 1,
q0
(98)
0.4. Dinamica dell’Universo di Friedmann
3
29


1
1
1
1 2 1
t0 =
q0
(2q0 − 1) 2  .
1 −
H0 (2q0 ) cos q0
q0
(99)
Nel caso k = 0, la (95) diventa
a = a0
2
3
H0 t
2
3
.
(100)
In caso a(t) aumenta indefinitamente e l’età dell’universo è pari a
t0 =
2 1
.
3 H0
(101)
Questo modello è noto come modello di Einstein-deSitter.
Per k = −1, si effettua un cambio di variabile simile a quello effettuato nel caso
k = 1 con la differenza che in questo caso l’angolo θ è imaginario, ovvero si definisce
χ = iθ e si ottiene
3
2
1
[sinh χ − χ] ,
H0 t = q0
(1 − 2q0 )
(102)
con χ dato da
cosh χ − 1 =
1 − 2q0 a(t)
.
q0
a0
(103)
Come per k = o, a aumenta indefinitamente nel tempo ma è possibile verificare
2
che, a differenza del caso precedente per cui a(t) è proporzionale a (t) 3 , nel caso
k = −1 per grandi valori di χ, ovvero per t tendente ad infinito, a(t) cresce linearmente
con t.
La soluzione a(t) per un universo dominato dalla materia può anche essere espressa e interpretata in un altro modo che può risultare piuttosto utile. Consideriamo una
regione dell’universo caratterizzata da un raggio (comovente r). A causa dell’espansione dell’universo il raggio proprio l(t) di questa regione aumenta proporzionalmente
al fattore di espansione a(t)
Introduzione al Lavoro di Tesi
30
l(t) = ra(t) =
a(t)
l0 ,
a0
(104)
dove l0 costituisce il valore di l ad un tempo fissato t = t0 che può essere ad
esempio il tempo attuale.
L’equazione differenziale a cui soddisfa a(t) segue dalla (66) che nel caso in cui la
densità media del fluido cosmico è dominata dalla materia diventa
l˙2 + k
l0
a0
!
8πG
l0
=
ρ0
3
l
!3
≡
2GM
,
l
(105)
ρ l3 è la massa contenuta in questa regione. È importante notare
dove M = 4π
3 0 0
che il valore di M non cambia nel corso dell’espansione in quanto ρ ∼ a− 3 e l3 ∼ a3 .
Dalla (68) si ha
8πG
8πG Ω − 1
k
= H02 (Ω − 1) =
ρc (Ω − 1) =
ρ0
.
2
a0
3
3
Ω
(106)
Da qui la (105) diventa
GM (Ω − 1)
l˙2 GM
−
=−
.
2
l
l0
Ω
(107)
Questa equazione ha un’ovvia interpretazione newtoniana in quanto rappresenta il
moto di una particella con energia E nel campo gravitazionale prodotto da una massa
M. L’energia risulta negativa per Ω > 1; in questo caso l(t) aumenta fino a un valore
massimo per poi decrecere. Se Ω < 1 allora E > 0 ed l(t) aumenta indefinitamente.
La soluzione esplicita per a(t) per un universo dominato dalla materia può essere
utilizzata per definire il concetto di “orizzonte”. Si consideri un osservatore la cui
posizione, descritta in termini di coordinate comoventi, è r = 0. Esso potrà ricevere
al tempo t segnali emessi ad un tempo precedente t = t1 solo da sorgenti le cui
coordinate radiali siano r < r1 . Dall’equazione che definisce l’elemento di lunghezza
invariante per la metrica di Robertson-Walker, si ha
0.4. Dinamica dell’Universo di Friedmann
ds2 = dt2 − dr 2 a(t)2
31
1
= 0,
1 − kr 2
(108)
dove si è posto dθ = φ = 0 supponendo che il segnale in questione si propaghi
radialmente dalla sorgente all’osservatore e ds = 0 poichè i segnali elettromagnetici
hanno linee di universo di lunghezza nulla.
Dalla (0.4) si ha
Z
t
t1
Z r1
1
1
√
dy =
dr.
a(y)
0
1 − kr 2
(109)
Se l’integrale in y diverge per t1 tendente a zero, allora r1 può in linea di principio
essere reso arbitrariamente grande scegliendo t1 sufficientemente piccolo. In tal caso
è possibile ricevere segnali emessi in tempi molto lontani da qualunque particella
comovente.
Se invece l’integrale converge per t1 tendente a zero allora r1 non può mai superare un
certo valore per un dato t. In questo caso al tempo t non è possibile ricevere segnali
emessi da sorgenti che hanno distanza radiale r > rH , dove rH è dato da
Z
rH
0
√
1
dr =
1 − kr 2
Z
0
t
1
dy.
a(y)
(110)
32
Capitolo 1
Aspetti Matematici della Geometria
Estrinseca
1.1
In questo capitolo introduciamo alcune nozioni di geometria differenziale che risultano
utili per una lettura piu’ agevole del lavoro di tesi. In particolare illustreremo il formalismo delle forme algebriche e quello delle forme differenziali su varieta’ differenziabili.
Nella nostra rassegna cercheremo di ricorrere ad una giustificazione qualitativa del
formalismo, inteso come strumento di calcolo senza alcuna pretesa di rigore formale.
Il metodo piu’ semplice per descrivere una varieta’ differenziabile e’ quello di introdurre delle carte locali, cioe’ sistemi di coordinate locali non singolari che etichettano
i punti della varieta’ (M). Ogni punto e’ dotato di uno spazio tangente T M(p) e di
uno spazio cotangente T ∗ M(p). Questi spazi sono degli spazi vettoriali a partire dai
quali si possono costruire i rilevanti prodotti tensoriali (covarianti e controvarianti).
Ogni spazio tangente puo’ essere introdotto in modo indipendente dal sistema di coordinate locali che caratterizzano la varieta’ e deve essere pensato come uno spazio sul
quale si possono definire basi di vettori (per TM) e di 1-forme (per T ∗ M) utilizzando
pure condizioni algebriche. In un secondo momento questi spazi vengono connessi al
sistema di coordinate locali introducendo la base dei derivatori (∂µ ) e delle 1-forme
differenziali dxµ . Ricordiamo che la descrizione algebrica puntuale in T M e T ∗ M e
quella legata ai derivatori e alle 1-forme differenziali e’ ovviamente collegata. Il modo
piu’ semplice per stabilire questo legame e’ mediante il formalismo di Cartan, che
riassume la geometria della varieta’ in termini di una base ortonormale (la Vielbein)
che “ruota” al variare del punto sulla varieta’. Le equazioni di struttura della varie33
Capitolo 1. Aspetti Matematici della Geometria Estrinseca
34
ta’ possono in tal modo essere riscritte utilizzando un formalismo del primo ordine
attraverso l’introduzione della cosiddetta connessione di spin.
Campi vettoriali su M sono espansi nella base tangente ~eµ = ∂µ come ~v = v µ eµ . La
base ~eµ e’ espressa in termini di derivatori. Sia ~v pertanto un vettore di V = T M(p)
ed α una 1-forma algebrica di V ∗ = T ∗ M. La 1-forma agisce su ~v generando uno
scalare, che supporremo essere un numero reale α(~v ). Su V ∗ si introduce la base duale
ω µ di 1-forme algebriche linearmente indipendenti e soddisfacenti la relazione
ω µ (~eν ) = δνµ .
(1.1)
α = αµ ω µ ,
(1.2)
Vale l’espansione
dove αµ = α(~eµ ).
Ricordiamo che α e’ una forma lineare e pertanto
α(~v ) = α(v µ~eµ ) = v µ α(~eµ ) = αµ v µ .
(1.3)
Prodotti tensoriali covarianti e controvarianti, definiti in modo indipendente dalle
coordinate possono essere introdotti in maniera analoga
R = Rµ1 µ2 ...µn eµ1 ⊗ eµ2 ⊗ ... ⊗ eµn ,
(1.4)
prendendo il prodotto tensoriale degli elementi costituenti la base ~eµ . In questo caso le
componenti trasformano come un tensore controvariante di rango n. Questo significa
che cambi lineari con una matrice (AT )−1 inducono una trasformazione caratterizzata
da una matrice A su ogni componente. Questo significa che formalmente, l’oggetto R
rimane il medesimo. Un’ analogia fisica di questo comportamento la si ha se pensiamo
ad un vettore come ad un ente assoluto, le cui componenti cambiano se cambia la
base, ma che rimane “passivo” sotto l’azione di una trasformazione. La descrizione
in termini di R e’ pertanto una descrizione passiva. Tra 1-forme algebriche e vettori
esistono semplici relazioni di dualita’, ad esempio se ~u = uµ~eµ e’ un vettore di V ,
allora
1.1.
35
~u(ω µ ) = uν ~eν (ω µ ) = uµ ,
(1.5)
~eν (ω µ ) = δνµ .
(1.6)
avendo usato
Questa relazione è “duale” alla relazione
ω ν (~eµ ) = δµν .
(1.7)
Vediamo degli esempi leggermente piu’ complessi
Siano ~u e ~v due vettori di V ed α e β due 1-forme algebriche di V ∗ . Usando il
prodotto tensoriale possiamo costruire gli enti ~u ⊗ ~v , α ⊗ ~v , α ⊗ β.
Il loro comportamento algebrico (sono applicazioni che generano scalari) e’ riassunto dalle seguenti relazioni
~u ⊗ ~v (ω µ , ω ν ) = uα~eα ⊗ v β ~eβ (ω µ , ω ν )
= uα v β ~eα ⊗ ~eβ (ω µ , ω ν )
= uα v β ~eα (ω µ )~eβ (ω ν )
= uα v β δαµ δβν
= uµ v ν .
(1.8)
In modo analogo otteniamo
α ⊗ ~v (~eµ , ω ν ) = αρ ω ρ ⊗ v τ eτ (eµ , ω ν )
= αρ v τ ω ρ(eµ )eτ (ω ν )
= αρ v τ δµρ δτν
= αµ v ν ,
(1.9)
e cosi’ via. Le relazioni di dualita’ e le proprieta’ di multilinearita’ sono indispensabili
per ottenere questi risultati.
36
Capitolo 1. Aspetti Matematici della Geometria Estrinseca
Passiamo adesso ad introdurre le forme multilineari alternanti aventi solo componenti antisimmetriche negli indici della espansione.
A tal fine introduciamo il prodotto (tensoriale) diretto di 1-forme
ω [µ1 ⊗ ...ω µp ] =
1 X
(−1)π(i) ω µ1 ⊗ ...ω µp ,
p! i
(1.10)
dove abbiamo preso combinazioni di prodotti diretti di 1-forme e moltiplicate per
la segnatura della permutazione degli indici 1, 2, ..., p.
Definiamo analogamente le basi alternanti costituite da vettori del tipo
ω µ1 ∧ ω µ2 ... ∧ ω µp = p!ω µ1 ⊗ ω µ2 ... ⊗ ω µp
(1.11)
che hanno la proprieta’ di essere completamente antisimmetriche. P-forme differenziali sono espanse in queste basi nel modo seguente
α=
1
αµ µ ...µ ω µ1 ∧ ω µ2 ... ∧ ω µp ,
p! 1 2 p
(1.12)
dove le componenti sono completamente antisimmetriche nei rispettivi indici. Un
modo per costruire induttivamente p-forme a partire da 1-forme algebriche e’ quello di
usare il prodotto esterno ∧ che abbiamo visto comparire nella equazione precedente.
Il modo piu’ semplice per farlo e’ di utilizzare la relazione definente
ω µ1 ⊗ ... ⊗ ω µp ∧ ω ν1 ⊗ ... ⊗ ω νq =
(p + q)! [µ1
ω ⊗ ... ⊗ ω µp ⊗ ω ν1 ⊗ ... ⊗ ω νq ] .
p!q!
(1.13)
Una delle proprieta’ fondamentali di questo prodotto e’ la sua associativita’
(α ∧ β) ∧ γ = α ∧ (βγ).
Il prodotto e’ anche multilineare e soddisfa la relazione
(1.14)
1.1.
37
α ∧ β = (−1)pq β ∧ α,
(1.15)
date due forme α (p-forma) e β (q-forma).
Introduciamo adesso la definizione di tensore metrico. Questa definizione puo’
essere formulata in due modi diversi: attraverso il prodotto tensoriale nello spazio
tangente T M ⊗ T M e con il prodotto definito nello spazio cotangente T ∗ M ⊗ T ∗ M
~g = g µν ~eµ ⊗ ~eν
(1.16)
g = gµν ω µ ⊗ ω ν .
(1.17)
e
Queste due definizioni determinano l’introduzione delle componenti covarianti e
controvarianti in modo consistente.
Un modo complementare (equivalente) e’ quello di ricorrere alla nozione di prodotto scalare, equipaggiando lo spazio tangente con questo prodotto.
In tal caso
gµν = ~eµ · ~eν ,
(1.18)
ed il collegamento tra prodotto scalare e descrizione intrinseca e’ dato da
gµν = g(~eµ , ~eν ),
(1.19)
dove abbiamo utilizzato la versione (1.17).
Campi vettoriali su varieta’ sono definiti in termini dei vettori tangenti (identificati
con i derivatori ∂µ ) come
X = xµ ∂µ = xµ eµ .
(1.20)
L’azione di un campo vettoriale su uno scalare f e’ del tipo
X(f ) = xµ ∂µ f.
(1.21)
Capitolo 1. Aspetti Matematici della Geometria Estrinseca
38
Dato un sistema di coordinate sulla varieta’, lo spazio tangente T M viene generato
dai derivatori ∂µ e le 1-forme dai differenziali dxµ . Formalmente avremo
dxµ (∂ν ) = δνµ .
(1.22)
Basi per i vari prodotti tensoriali (covarianti, controvarianti, misti) usando le
derivate ∂ e le 1-forme dx vengono costruiti in modo analogo al caso algebrico. In
particolare p-forme differenziali sono costruite usando opportune combinazioni lineari
di prodotti diretti di 1-forme dxµ1 ⊗ ... ⊗ dxµp . p-forme di base antisimmetriche sono
date dalle combinazioni dxµ1 ∧ dxµ2 ... ∧ dxµp e le generiche p-forme differenziali sono
pertanto espanse come
α=
1
αµ1 µ2 ....µp dxµ1 ∧ dxµ2 ... ∧ dxµp .
p!
(1.23)
Possiamo introdurre un operatore di differenziazione d di una p-forma e generare
una forma di grado p + 1 nel modo seguente
dα =
1
∂ν αµ1 µ2 ....µp dxν ∧ dxµ1 ∧ dxµ2 ... ∧ dxµp .
p!
(1.24)
Usando l’antisimmetria del prodotto esterno (∧) si vede chiaramente che ddα = 0.
Nella discussione che segue introdurremo il concetto di connessione usando un metodo detto “coordinate free” in cui proprieta’ formali dell’operatore (connessione di
Kozul) ∇ che designa la connessione vengono assunte a livello di definizione. Da queste seguono le proprieta’ solite della connessione simmetrica che e’ usata in relativita’
generale.
Si definisce connessione di Kozul ∇ una funzione che associa a due campi vettoriali
X ed Y definiti sulla varieta’ di base un campo vettoriale indicato con ∇X Y e che
soddisfa le seguenti proprieta’
∇X1 +X2 Y
= ∇X1 Y + ∇X2 Y
∇X (Y1 + Y2 ) = ∇X Y1 + ∇X Y2
∇f X Y
= f ∇X Y
∇X (f Y ) = f ∇X Y + X(f )Y.
(1.25)
1.1.
39
Se prendiamo come base proprio le direzioni individuate dalle derivate ordinarie (cioe’
~eν = ∂ν ), la proprieta’ fondamentale definente la connessione puo’ essere posta nel
modo seguente
∇ν ~eµ = Γαµν ~eα
(1.26)
che collega la derivata covariante dei vettori di base dello spazio tangente alla varieta’ ai vettori medesimi mediante una espansione lineare. Γ e’ la rappresentazione
dell’operatore di connessione in una metrica specifica.
Vedremo adesso come questa caratterizzazione formale assiomatica della connessione si puo’ estendere ad enti piu’ complessi come prodotti diretti di 1-forme, p-forme
vettoriali, ecc.
Iniziamo da funzioni scalari (f) su una varieta’. Definiamo
∇X f = X(f ).
(1.27)
Per 1-forme differenziali definiamo
(∇X α)(A) = ∇X (α(A)) − α(∇X A).
(1.28)
Le equazioni scritte sopra richiedono dei commenti. la prima equazione dice che
la derivata covariante secondo il campo vettoriale X = xµ~eµ = xµ ∂µ di uno scalare e’
data da xµ ∂µ f . La seconda equazione dice che
La derivata covariante di una 1-forma α secondo il campo vettoriale X e’ ancora una 1-forma (∇X α). Per caratterizzare tale oggetto analizziamo la sua azione
su un campo vettoriale A generico. A tal fine ricordiamo che α(A) e’ lo scalare
ottenuto contraendo la 1-forma α = αρ dxρ con le componenti di A = Aρ~eρ (cioe’
∇X (α(A)) = ∇X (Aρ αρ )) mentre α(∇X A) e’ il prodotto scalare tra la 1-forma α ed il
campo vettoriale ∇X A.
Applichiamo questa relazione ad un elemento ω µ della base duale
(∇α ω µ )(~eβ ) = −ω µ (∇α~eβ ) = −ω µ (Γλβα~eλ ) = −Γµβα ,
(1.29)
∇α ω µ = −Γµβα ω β .
(1.30)
cioe’
40
Capitolo 1. Aspetti Matematici della Geometria Estrinseca
Mettendo assieme questi risultati, per una 1-forma generica si ottiene
∇λ α = (∇λ αµ )ω µ + αµ ∇λ ω µ
= (~eλ (αν ) − αµ Γµνλ ) ω ν
= αν;λ ω λ ,
(1.31)
da cui deduciamo, come era da aspettarsi, la definizione di derivata covariante di un
tensore covariante ad un solo indice
αν;λ = ~eλ (αν ) − αµ Γµνλ .
(1.32)
Vediamo adesso come generalizzare questo formalismo a tensori generici in un
modo che sia “coordinate free”, cioe’ libero dalle coordinate locali scelte. Si definisce
la derivata covariante di un tensore generico T = A ⊗ B nel modo seguente
∇X (A ⊗ B) = (∇X A) ⊗ B + A ⊗ (∇X B).
(1.33)
Prendiamo come esempio il tensore metrico
g = gµν ω µ ⊗ ω ν .
(1.34)
Agendo con la derivata covariante di Kozul avremo
∇α g = ∇α gµν ω µ ⊗ ω ν + gµν ∇α ω µ ⊗ ω ν + gµν ω µ ⊗ ∇α ω ν
= ~eα (gµν ) − gβν Γβµα − gµβ Γβνα .
(1.35)
È possibile dimostrare che la connessione di Cristhoffel e’ l’unica connessione ad
essere compatibile con una data metrica g. Questo e’ sintetizzato nella relazione
∇u g = 0.
(1.36)
Come spiegavamo prima, vi sono altre entita’ che possono definirsi su una varieta’,
ad esempio p-forme vettoriali, costruite su basi del tipo ~eµ ⊗ ω µ1 ∧ ... ∧ ω µp . Tali forme
saranno antisimmetriche negli indici covarianti per costruzione.
Un operatore importante che adesso introduciamo e’ l’operatore di derivata esterna
d agente su una base (campo vettoriale) ~eµ . Definiamo la derivata esterna su questa
base nel modo seguente
1.1.
41
d~eµ ≡ Γνµα~eν ⊗ ω α
(1.37)
che fa comparire la connessione di Cristhoffel Γ.
Si puo’ usare questa definizione per calcolare la derivata esterna di un vettore A.
In tal caso conviene riscrivere innanzitutto il vettore nella forma A = eµ Aµ , cioe’
anteponendo la base alle componenti e poi agendo con l’operatore di derivata esterna
sia sulla base che sulle componenti
dA = d(~eµ Aµ ) = ~eµ ⊗ dAµ + Aµ d~eµ
= ~eµ ⊗ ~eλ (Aµ )ω λ + Aµ Γνµλ~en u ⊗ ω λ
=
1.1.1
~eλ (Aν ) + Aµ Γνµλ ~eν ⊗ ω λ .
(1.38)
Immersione, Pull-back e Push-forward
Per descrivere esaurientemente il concetto di immersione di una varieta’ N in una varieta’ ambiente M con M di dimensione m ed N di dimensione n = m−1, assumiamo
che sia M che N siano descritte da coordinate locali di Rn ed Rm rispettivamente.
Sia p un punto di N ed assumiamo che esista una mappa
φ : N → M,
ξ i | → xµ = φ(ξ i )
(1.39)
che, in particolare mappi l’intorno del punto p di N nell’intorno del punto φ(p) di M.
Legata alla mappa φ si definisce una seconda mappa, detta mappa di push-forward
φ∗ che “spinge in avanti” il campo vettoriale definito su Tp N sul campo vettoriale
Tφ (p)M, cioe’
φ∗ : Tp N → Tφ(p) M.
(1.40)
42
Capitolo 1. Aspetti Matematici della Geometria Estrinseca
Per definire tale funzione, introduciamo una terza funzione, detta di “pull-back”,
cioe’ che “tira indietro” la dipendenza sui punti della varieta’ di M verso N nel modo
seguente
φ∗ ≡ f (φ(p)),
(1.41)
dove la funzione f : M→R e’ un campo scalare definito sulla varieta’ M.
Sia v = v i ∂ξi un campo vettoriale su Tp N, l’immagine di questo campo vettoriale
in Tφ(p) M, denotato w µ ∂µ e’ ettenuta come segue. Per ogni f agente su M definiamo
w µ ∂xµ (f ) = φ∗ v i ∂ξi (f ) = v i ∂ξi (f (φµ (ξ i))),
(1.42)
cioe’, in componenti
wµ = vi
∂φµ
.
∂ξ i
(1.43)
∗
Per mappare lo spazio delle 1-forme da Tφ(p)
M a Tp∗ N usiamo la funzione di pull∗
M e sia
back φ∗ . Vediamo come si procede in questo caso. Sia α una 1-forma su Tφ(p)
v un campo vettoriale su Tp N,definiamo
φ∗ α(v) = α(φ∗~v ),
(1.44)
dove abbiamo prima “spinto in avanti” il campo vettoriale ~v usando φ∗~v, cioe’ il pushforward, e poi abbiamo calcolato la 1-forma α sulla varieta’ M. Ponendo α = αµ dxµ
e φ∗ α = αµ dξ i avremo in componenti
ai = αµ
∂φµ
.
∂ξ i
(1.45)
Allo stesso modo possiamo fare il pull-back di tensori prodotti diretti di 1-forme
(cioe tensori covarianti) e mapparli da uno spazio tangente ad un’altro usando la generalizzazione del pull-back. Diamo il risultato direttamente in termini di componenti
Ti1 i2 ...is = Tµ1 µ2 ...µs
∂φµ1 ∂φµs
...
.
∂ξ i1 ∂ξ is
(1.46)
1.2. Metriche indotte su Sottovarietà
43
Con queste nozioni di base, vediamo come introdurre in modo piu’ rigoroso il concetto
di immersione di una varieta’ in una varieta’ ambiente di dimensione superiore.
Cominciamo con l’introdurre il concetto di mappa iniettiva tra due varieta’ N ed
M. Una mappa φ : N → M e’ iniettiva se, dati due punti p 6= q di N, φ(p) 6= φ(q).
Richiediamo che anche la mappa di push-forward φ∗ sia iniettiva tra gli spazi tangenti
Tφ(p) M e Tp N. Se φ descrive una immersione di N dentro M con una mappa iniettiva,
si denota con ipersuperficie di M la regione Σ ≡ φ(N), cioe’ l’immagine di N in M.
Usando φ come mappa, associata a questa mappa avremo la corrispondente mappa
di pull-back e la mappa di push-forward, che ci servira’ per descrivere le proprieta’
metriche di Σ a partire da quelle della varietà ambiente M. Se g e’ una metrica su
M il pull-back di g, φ∗ g definisce una metrica su N, detta metrica indotta. Avremo
gij = gµν
1.2
∂φµ ∂φν
.
∂ξ i ∂ξ j
(1.47)
Metriche indotte su Sottovarietà
Per descrivere esaurientemente la metrica indotta e la curvatura estrinseca procederemo utilizzando le definizioni introdotte in precedenza. A tal fine introduciamo la
metrica
hµν = g ij
∂φµ ∂φν
.
∂ξ i ∂ξ j
(1.48)
Dimostremo che hµν nν = hνµ nν = 0, cioè che hµν nν non ha componenti nella
direzione normale a Σ. In termini della metrica su M e del vettore normale n possiamo
definire
hµν = g µν − ǫnµ nν ,
(1.49)
dove ǫ = ±1 è la norma di nµ . Occorre notare che hµν non è l’inverso di hµν ma
utilizziamo g µν e gµν rispettivamente per alzare e abbassare gli indici di hµν e hµν .
hµν = gαν hµα = δνµ − ǫnµ nν .
(1.50)
44
Capitolo 1. Aspetti Matematici della Geometria Estrinseca
Osserviamo la seguente relazione
hµα hαν = (δαµ − ǫnµ nα )(δνα − ǫnα nν )
= δνµ − ǫnµ nν − ǫnµ nν + ǫ2 nµ nν = hµν ,
(1.51)
cioè hµν è un operatore di proiezione.
Conviene fornire una semplice descrizione geometrica di queste relazioni usando come
analogia il caso di una superfcie bidimensionale immersa in M = R3 (per semplicità
~
prendiamo in esame una metrica euclidea). Sia R(u,
v) = (X(u, v), Y (u, v), Z(u, v))
una rappresentazione parametrica di una superficie Σ ⊂ M con coordinate locali
(u, v). I vettori
1
~ = ~eµ
∂µ R
N1
(1.52)
1
~ = ~eν ,
∂ν R
N2
(1.53)
~ e N2 = k∂ν Rk,
~ sono tangenti a Σ e normalizzati a 1. Sia gµν la
con N1 = k∂µ Rk
metrica intrinseca bidimensionale su Σ. Avremo
gµν = (e~µ · e~ν ),
(1.54)
dove il prodotto scalare è definito in R3 . Dati due punti su Σ a distanza (misurata
su Σ) ds2 , avremo
ds2 = guu du2 + guv dudv + gvu dvdu + gvv dv 2.
(1.55)
La stessa distanza si può esprimere mediante gµν = (e~µ · e~ν ), dove e~µ ed e~ν sono
versori nelle coordinate (curvilinee in genere) di R3 . Usiamo la relazione
ds2 = gµν dxµ dxν |Σ = gµν ∂i xµ ∂j xν dξ idξ j ,
(1.56)
1.2. Metriche indotte su Sottovarietà
45
dove le derivate parziali sono rispetto alle coordinate (ξ i , ξ j ) = (u, v) ed è ovvio
pertanto che
gij = gµν ∂i xµ ∂j xν .
(1.57)
Vediamo quindi che la metrica gij è bidimensionale ed è la metrica indotta su Σ
dalla metrica di R3 . Analizziamo adesso la forma e il significato dell’equazione
hµν = gij ∂i φµ ∂j φν .
(1.58)
È evidente che la metrica intrinseca sulla varietà N viene spinta (pushed-forward)
su M, specificatamente su Σ. È facile osservare che se n~µ è un vettore normale a Σ
si ha
∂i φµ nµ = 0,
dal momento che i vettori ∂i φµ sono tangenti a Σ. Pertanto avremo
nµ hµν = hνµ nµ = 0,
e la metrica funge da proiettore. Vogliamo ora mostrare che la forma di hµν è la
seguente
hµν = g µν − ǫnµ nν .
(1.59)
Sia e~i un vettore di N in Tp N . Possiamo mapparlo in Tφp M mediante un pushforward, ovvero
φ∗ e~i = ∂i φµ e~µ .
Avremo
(1.60)
46
Capitolo 1. Aspetti Matematici della Geometria Estrinseca
e~µ = aiµ φ∗ e~i + bµ~n.
(1.61)
Usiamo gµν = ~eµ · ~eν , pertanto
gµν =
aiµ φ∗ e~i + bµ~n, ajν φ∗ e~j + bν ~n
= aiµ ajν (φ∗ e~i ) · (φ∗ e~j ) + bµ bν ~n · ~n
= aiµ ajν ∂i φµ ∂j φν ~eµ · ~eν + ǫbµ bν .
(1.62)
Notiamo dalla (1.61) che ~n · e~µ = bµ~n · ~n, cioè bµ = 1ǫ nµ . Allo stesso modo, usando
la relazione
φ∗ e~i = ∂i φµ e~µ ,
(1.63)
otteniamo le seguenti relazioni
(φ∗ e~i ) · e~µ = ∂i φν e~µ · e~ν
= ∂i φν gµν
(1.64)
(φ∗ e~i ) · e~µ = (φ∗ e~i ) · ajµ φ∗ e~j + bµ~n
= (φ∗ e~i ) · (φ∗ e~j )ajµ
= gij ajµ .
(1.65)
In quest’ultimo passaggio abbiamo usato la relazione
(φ∗ e~i ) · (φ∗ e~j ) = ∂i φµ ∂j φν (~eµ ) · (~eν )
= gµν ∂i φµ ∂j φν = gij .
Confrontando (1.65) e (1.65) abbiamo
(1.66)
1.2. Metriche indotte su Sottovarietà
47
∂i φν gµν = gij ajµ ,
(1.67)
cioè (alzando e abbassando gli indici)
aµi = ∂i φµ .
(1.68)
1
gµν = aiµ ajν gij + nµ nµ ,
ǫ
(1.69)
Pertanto dalla relazione
avremo
1
g µν = aµi aνj g ij + nµ nµ
ǫ
1
= ∂i φµ ∂j φν g ij + nµ nν
ǫ
1
= hµν + nµ nν
ǫ
µν
= h + ǫnµ nν ,
(1.70)
dal momento che ǫ = ±1. Abbiamo dunque dimostrato che la metrica ottenuta
dal push-forward di g ij dentro M è scrivibile nella forma
hµν = g µν − ǫnµ nν .
Adesso introduciamo coordinate Gaussiane sulla varietà M , ovvero ~n = e~0 = ∂x0
e scegliamo xi = ξ i, pertanto generiamo una base (~n, ∂i ). Con la metrica data da
gµν

ǫ
=
gij

,
(1.71)
Capitolo 1. Aspetti Matematici della Geometria Estrinseca
48
dove gij rappresenta uma matrice 3 × 3. Per estendere questa metrica all’intera
varietà M conviene procedere con un breve lemma. Sia X µ = φµ (ξ i) l’equazione
dell’ipersuperficie che, riscritta in forma implicita, è data da f (xµ ) = 0. Sia n =
df = ∂µ dxµ = nµ dxµ la sua derivata esterna. Passiamo dalla 1 − f orma n al vettore
corrispondente nel modo seguente
~n = g µν nν ∂µ ,
(1.72)
nµ ∂i φµ = ∂µ f ∂i xµ = 0.
(1.73)
ed avremo
Non è difficile verificare che in coordinate gaussiane l’elemento di distanza infinitesimo si può porre nella forma
ds2 = ǫN 2 + gij (ξ, F )dξ idξ j ,
(1.74)
dove F = 0 è l’equazione implicita di Σ ed N = dF è la 1 − f orma normale
ad essa. Adesso vogliamo vedere come il tensore di Riemann su M e su N sono
collegati. A tal fine introduciamo il concetto di curvatura estrinseca che è alla base
del formalismo di Israel, utilizzato nella teoria delle brane. La curvatura estrinseca
è un tensore che descrive l’immersione di una sottovarietà in una varietà ambiente.
Tale tensore induce una seconda forma fondamentale su Σ. Sia ~n un campo normale
a Σ parametrizzato nelle coordinate (ξ i) di N . Definiamo la derivata assoluta del
campo normale
D~n
= ∂i φµ ∇µ~n.
∂ξ i
(1.75)
A questo punto ricordando che (~n) · (~n) = ǫ, è ovvio che la sua derivata ∇µ~n
risulta tangente a Σ. Avremo
D~n
= −Kij ~ej ,
∂ξ i
(1.76)
1.2. Metriche indotte su Sottovarietà
49
dove Kij è la curvatura estrinseca. Avremo
Kji
D~n
= −(~ej ) ·
∂ξ i
!
= −gjl Kil
= −(~ej ) · (∂i φµ )∇µ~n.
(1.77)
Kji = −(~ej ) · (∂i φµ )∇µ~n.
(1.78)
Avremo inoltre
Notiamo che la parte rilevante della curvatura estrinseca è legata alla derivata
covariante delle componenti di ~n, ovvero nα;β . Il collegamento tra nα;β e la curvatura
Kµν , proiettata su Σ è data da
Kµν = hαµ hβν nα;β ,
(1.79)
a cui segue un pull-back per riscrivere tale tensore in coordinate intrinseche
Kij = ∂i φµ ∂j φν Kµν .
(1.80)
Adesso proviamo a semplificare il calcolo. Prendiamo coordinate gausssiane
φ∗ e~i = e~i ,
(1.81)
D~n
= ∂i φµ ∇µ~n = δiµ~n = ∇i~n.
i
∂ξ
(1.82)
con
La simmetria del tensore Kij si nota subito se usiamo una base di coordinate su
Σ. Consideriamo due campi vettoriali ~u = uµ e~µ e ~v = v α e~α su M. Definiamo
Capitolo 1. Aspetti Matematici della Geometria Estrinseca
50
[~u, ~v] = ~u~v − ~v~u
= (uµ e~µ (v ν ) − v µ e~µ (uν )) e~ν + uµ v ν cρµν e~ρ ,
(1.83)
dove
[e~µ , e~ν ] = cρµν e~ρ .
(1.84)
In una base locale di coordinate avremo
[e~µ , e~ν ] = [∂µ , ∂ν ] = 0,
(1.85)
cioè nelle derivate direzionali non appaiono funzioni eccetto che le derivate medesime e pertanto
cρµν = 0.
(1.86)
Veniamo ad alcune definizioni riguardanti la curvatura dell’ipersuperficie Σ e di
M. Dalla nozione di trasporto parallelo
α
Rβγδ
e~α = [∇γ , ∇δ ] − ∇[e~γ ,e~δ ] e~β .
(1.87)
Se la base scelta è una base di coordinate, allora si ha
[e~β , e~γ ] = 0
α
Rβγδ
= Γαβγ,δ − Γαβδ,γ + Γλβγ Γαλδ − Γλβδ Γαλγ .
(1.88)
(1.89)
L’ultima equazione è ottenuta ponendo cρµν = 0. Questo equivale a richiedere che
la connessione Γ sia simmetrica, cioè a mettere a zero la sua torsione
1.2. Metriche indotte su Sottovarietà
51
cρµν = Γρµν − Γρνµ .
(1.90)
La definizione della connessione metrica su Σ è la seguente. Definiamo la derivata
covariante
∇Σ
~i ≡ (n) Γhij e~h .
je
(1.91)
La curvatura è
(n)
h
e~h =
Rijk
h
i
Σ
Σ
~i .
∇Σ
j , ∇k − ∇[e~j ,e~k ] e
(1.92)
Notiamo che queste derivate covarianti e la curvatura sono definite rispetto alle
coordinate intrinseche (ξ i) di Σ. Per definire la curvatura estrinseca mediante la
derivata covariante è conveniente introdurre
∇µ e~ν = Γαµν e~α + Kµν ~n,
(1.93)
dove (~n) · (e~µ ) = 0. Se pensiamo a Kµν come a un a una forma di rango 2, ovvero
K ≡ Kµν dxµ ⊗ dxν ,
(1.94)
K(~x, ~y ) = (~n) · (∇~x ~y ) = Kµν xµ y ν = Kij xi y j .
(1.95)
allora possiamo definire
La derivata covariante su Σ si ottiene sottraendo alla derivata covariante un
termine proporzionale alla curvatura estrinseca
∇yΣ
y − ǫ(∇~x ~y , ~n)~n,
x~
~ ≡ ∇~
(1.96)
Capitolo 1. Aspetti Matematici della Geometria Estrinseca
52
dove ~x e ~y sono campi vettoriali tangenti definiti su Σ e (∇~x ~y , ~n)~n = Kij xi y j ~n.
Per provare che quella appena definita è proprio la connessione metrica su N dobbiamo dimostrare che conserva la metrica.
Considerando come prima due campi vettoriali tangenti ~x e ~y su Σ e lavorando in
coordinate gaussiane, si ha
e~i (g(~x, ~y )) = ∇i g(~x, ~y) = g (∇i~x, ~y ) + g (~x, ∇i~y ) + (∇i g)(~x, ~y ).
(1.97)
L’ultimo termine è nullo poichè ∇ è una connessione, pertanto si ha
g (∇i~x, ~y ) + g (~x, ∇i~y ) = g ∇Σ
x + ǫ (∇i~x, ~n) ~n, ~y
i ~
+ g ~x, ∇Σ
y + ǫ (∇i~y , ~n) ~n ,
i ~
(1.98)
(1.99)
g è bilineare e g(~n, ~y ) = g(~x, ~n) = 0, pertanto
e~i (g(~x, ~y )) = g ∇Σ
x, ~y + g ~x, ∇Σ
y ,
i ~
i ~
(1.100)
∇Σ
i g = 0.
(1.101)
dalla quale si ha
Considerando la (1.96) in termini dei vettori di base e~i su N e utilizzando le
equazioni (1.95) e (1.91) si possono ricavare le equazioni di Gauss-Weingarten
Dφ∗ e~i (3) l
= Γij e~l + ǫKij ~n.
∂ξ j
(1.102)
Queste equazioni esprimono la decomposizione della derivata covariante rispetto
alla connessione su M dei vettori tangenti a Σ φ∗ e~i in termini dei vettori di base su
N e del vettore normale. Dalle (1.102) si ha che
e~h ·
Dφ∗ e~i (3)
= Γhij .
∂ξ j
(1.103)
1.2. Metriche indotte su Sottovarietà
53
Per un campo vettoriale ~x tangente a Σ si ha
D~x
= xi|j e~i + ǫKij xi~n,
∂ξ j
(1.104)
dove abbiamo indicato con il simbolo | la derivata covariante rispetto alla connessione intrinseca su Σ. A partire dalla relazione precedente è facile verificare
che
xi|j =
∂xi (3) i l
+ Γlj x .
∂ξ j
(1.105)
µ
. Esprimendo
Le componenti di ~x in M ed N sono legate dalla relazione xµ = xi ∂φ
∂ξ i
l’equazione (1.104) in termini dei vettori di base definiti su M si ottiene
Dxµ e~µ
=
∂ξ j
∂φµ i
x + ǫKij xi nµ e~µ .
∂ξ i |j
!
(1.106)
Possiamo adesso ricavare la relazione che collega le curvature.
Utilizziamo coordinate gaussiane normali. Con questa scelta, dalla (1.87) si ha
µ
Rijk
e~µ ≡ [∇j , ∇k ] e~i .
(1.107)
Dalle equazioni (1.96), (1.102) e (1.76) segue
[∇j , ∇k ] e~i =
h
i
Σ
∇Σ
~i
j , ∇k e
+ ǫ Kij Kkh − Kik Kjh ~eh
+ ǫ
Osserviamo inoltre che
(3) h
Γik Khj
+ Kik,j − (3) Γhij Khk + Kij,k ~n.
(1.108)
Capitolo 1. Aspetti Matematici della Geometria Estrinseca
54
Kij,k = ∇Σ
ei , e~j )]
k [K(~
= ∇Σ
ei , e~j ) + K(∇Σ
~i , e~j ) + K e~i , ∇Σ
~j
k (K)(~
ke
ke
= Kij|k + (3) Γhjk Khi + (3) Γhik Khj .
(1.109)
µ
Effettuiamo un pull-back sugli indici covarianti di Rβγδ
e~µ per ottenere
µ
Rijk
e~µ =
∂φβ ∂φγ ∂φδ µ
R e~µ .
∂ξ i ∂ξ j ∂ξ k βγδ
(1.110)
Questa relazione può essere estesa ad un sistema arbitrario di coordinate ottenendo
una relazione più generale tra le curvature di N ed M
∂φβ ∂φγ ∂φδ µ
R e~µ =
∂ξ i ∂ξ j ∂ξ k βγδ
(3)
h
Rijk
e~h
+ ǫ Kij Kkh − Kik Kjh e~h
− ǫ Kij|k − Kik|j ~n.
(1.111)
Questa è l’equazione di Gauss-Codazzi e può essere riscritta in due equazioni
prendendo il prodotto scalare rispettivamente con i vettori tangenti all’ipersuperficie
Σ φ∗ e~i e il vettore normale ~n. Si ottiene pertanto
∂φα
∂φβ ∂φγ ∂φδ µ
e
~
,
R e~µ =
α
∂ξ h
∂ξ i ∂ξ j ∂ξ k βγδ
!
∂φα ∂φβ ∂φγ ∂φδ
Rαβγδ = 3 Rhijk + ǫ (Kij Kkh − Kik Kjh )
∂ξ h ∂ξ i ∂ξ j ∂ξ k
(1.112)
∂φβ ∂φγ ∂φδ µ
~n, i
R e~µ =
∂ξ ∂ξ j ∂ξ k βγδ
!
nα
∂φβ ∂φγ ∂φδ
R
=
−
K
−
K
αβγδ
ij|k
ik|j .
∂ξ i ∂ξ j ∂ξ k
(1.113)
Capitolo 2
Il problema ai valori iniziali nel
formalismo ADM
Prima di affrontare il metodo ADM per la risoluzione delle equazioni di Einstein presentiamo una breve introduzione sui concetti fondamentali della Relatività Generale
e sulle equazioni di Einstein ([12],[1],[17]).
2.1
Curvatura ed equazioni di Einstein
La descrizione dello spazio-tempo richiede una varietà differenziale curva. Quando
la geometria è curva, un vettore dello spazio-tempo in un punto non può essere confrontato con un vettore in un altro punto semplicemente trasportando parallelamente
il primo nella posizione del secondo poichè il risultato di tale operazione dipende
dal percorso scelto per il trasporto. Dato un vettore ~v l’equazione per il trasporto
parallelo è
tµ ∇µ v ν = 0,
(2.1)
dove tµ è il vettore tangente al percorso e v ν è il vettore che si trasporta. L’operatore indicato è definito nel modo seguente
∇µ v ν = ∂µ v ν + Γνµσ v σ ,
55
(2.2)
56
Capitolo 2. Il problema ai valori iniziali nel formalismo ADM
dove con Γνµσ indichiamo i coefficienti della connessione. Possiamo fare in modo che
la lunghezza del vettore resti invariata nel corso del trasporto definendo l’operatore
di derivazione in modo tale che sia soddisfatta la condizione
∇λ gµν = 0.
(2.3)
Questo permette di ricavare la relazione tra la connessione e il tensore metrico
1
Γνµσ = g νλ (∂µ gσλ + ∂σ gλµ − ∂λ gµσ ).
2
(2.4)
Avendo introdotto una derivata covariante è possibile ora definire il concetto di
curvatura.
Consideriamo un vettore definito in punto P della varietà differenziale. Eseguiamo
il trasporto parallelo lungo un percorso chiuso fino alla sua posizione originale. Se
la varietà differenziale è curva il vettore dopo il trasporto avrà subito una rotazione.
La variazione subita è una misura della curvatura nel punto P. Questo porta alla
definizione del tensore di curvatura di Riemann
λ
Rµνσ
ωλ = (∇µ ∇ν − ∇ν ∇µ )ωσ .
(2.5)
In termini della connessione di Christoffel si ha
λ
Rµνσ
= ∂ν Γλµσ − ∂µ Γλνσ + Γαµσ Γλαν − Γανσ Γλαµ .
(2.6)
Questo tensore obbedisce alla seguenti relazioni
λ
λ
Rµνσ
= −Rνµσ
(2.7)
λ
=0
R[µνσ]
(2.8)
2.1. Curvatura ed equazioni di Einstein
57
e all’identità di Bianchi
λ
∇[µ Rνσ]
= 0.
(2.9)
A partire dal tensore di Riemann è posibile definire un tensore a due indici
ν
Rµσ = Rµνσ
.
(2.10)
Questo è il tensore di Ricci e può essere contratto con l’inverso della metrica per
dare lo scalare di Ricci
R = g µσ Rµσ = Rµµ .
(2.11)
Il tensore di Einstein è definito in questo modo
1
Gµν ≡ Rµν − gµν R.
2
(2.12)
Le equazioni di Einstein collegano la curvatura della geometria dello spazio-tempo,
rappresentata dal tensore di Einstein, alla distribuzione di energia e massa, rappresentata da un tensore a due indici Tµν che è il tensore energia-impulso, la cui legge di
conservazione è espressa dalla relazione
∇µ T µν = 0.
(2.13)
Possiamo ricavare la seguente proprietà per il tensore di Einstein
∇µ Gµν = 0,
per cui le equazioni di Einstein risultano essere
(2.14)
58
Capitolo 2. Il problema ai valori iniziali nel formalismo ADM
Gµν = kTµν ,
(2.15)
dove k è una costante pari a 8πG.
In presenza di costante cosmologica le equazioni di Einstein sono date da
1
Rµν − gµν R + Λgµν = 8πGTµν
2
(2.16)
Commentiamo brevemente la derivazione di queste equazioni.
Si introduce la lagrangiana L[gµν ] e l’azione
1
SG =
2k
Z
√
L[gµν ] −gd4 x,
dove k è una costante che vale 8πG.
variazionale
(2.17)
Le equazioni seguono da un principio
δSG = 0.
(2.18)
In presenza di una costante cosmologica Λ, l’azione assume la forma [16].
L[gµν ] = R − 2Λ.
(2.19)
Ricordiamo che in presenza di altri campi (di materia) il tensore energia-impulso
ha un’espressione del tipo
1 δSM
,
Tµν = √
−g δgµν
e si deriva l’azione SM , cioè il contributo di materia alla metrica.
Le equazioni del moto sono date da
(2.20)
2.2. Caratteristiche generali del formalismo di Arnowitt-Deser-Misner (ADM) 59
Rµν = Λgµν ,
(2.21)
e sono ancora ottenute applicando il principio variazionale, questa volta anche a
SM , oltre che a SG
δSM
1
=−
2
Z
√
Tµν −g δg µν d4 x.
(2.22)
Nel caso ordinario, cioè per Λ = 0, il tensore di Ricci si annulla generando le
equazioni del campo gravitazionale puro
Rµν = 0.
(2.23)
Il lato destro delle equazioni di Einstein è legato, come abbiamo visto, al contributo
di materia. Se prendiamo ad esempio il caso in cui si abbia un campo elettromagnetico
abbiamo le seguenti espressioni
1
1
LM = − F αβ Fαβ = − g αβ g µν Fαβ Fµν
4
4
√
2 ∂( −gLM )
Tµν = − √
−g
∂g µν
1
= Fµα Fαν − gµν Fαβ F αβ .
4
2.2
(2.24)
(2.25)
Caratteristiche generali del formalismo di Arnowitt-Deser-Misner
(ADM)
Risolvere le equazioni di Einstein significa trovare la metrica della varietà differenziale
dello spazio-tempo per una data distribuzione di massa ed energia.
Il formalismo ADM consente di mettere in evidenza la natura dinamica delle equazioni di Einstein attraverso una rottura della covarianza quadridimensionale. Esso
60
Capitolo 2. Il problema ai valori iniziali nel formalismo ADM
consiste infatti in una decomposizione della varietà dello spazio-tempo quadridimensionale in una famiglia infinita di tre-superfici tridimensionali di tipo spazio. In questa
decomposizione di tipo 3 + 1 ciascuna delle ipersuperfici tridimensionali è definita da
t = costante, dove t, il tempo, può essere considerato un campo scalare. Grazie
a questa decomposizione il problema della risoluzione delle equazioni di Einstein si
presenta come un problema di Cauchy. Infatti per determinare la geometria dello
spazio-tempo quadridimensionale si determina la tre-geometria di un’ipersuperficie e
poi se ne studia l’evoluzione temporale. Le (2.15) contengono le derivate spaziali e
temporali al secondo ordine della metrica e possono essere pensate come delle equazioni d’onda. Un’equazione d’onda del secondo ordine necessita per essere risolta di
un set di condizioni iniziali corrispondenti ai valori della metrica e della sua derivata
prima ad un fissato istante. Fissare questi valori ad un certo istante di tempo significa
definire la metrica su una certa ipersuperficie.
L’espressione (2.15) corrisponde a 10 equazioni di cui 4 costituiscono le cosiddette
equazioni di vincolo e le altre sei sono le equazioni di evoluzione. Le equazioni ai
valori iniziali forniscono delle condizioni su gij (dove gli indici i e j possono assumere
valori da 1 a 3)
G00 = 8πGT00
(2.26)
G0i = 8πGT0i .
(2.27)
La prima delle (2.27) è detta condizione sull’hamiltoniana poichè coinvolge la
densità di energia, mentre la seconda è la condizione sugli impulsi poichè a secondo
membro compare la densità di impulso.
Nel formalismo ADM, la relazione tra γij , la metrica definita sulla tre-superficie di
tipo spazio, e la metrica della varietà quadridimenionale dello spazio-tempo gµν è è
data da
ds2 = −α2 dt2 + γij (dxi + β idt)(dxj + β j dt),
(2.28)
dove α e la β i sono funzioni dette rispettivamente “lapse” e “shift”. La prima
determina il salto in termini di tempo proprio compiuto da un osservatore che si muove
tra due ipersuperfici vicine in direzione normale alle ipersuperfici stesse. Le seconde
2.2. Caratteristiche generali del formalismo di Arnowitt-Deser-Misner (ADM) 61
invece descrivono lo shift nelle coordinate spaziali tra le due ipersuperfici rispetto alla
propagazione normale. In ogni punto di una superficie di livello è possibile definire
una uno-forma
na = −α∇a t,
(2.29)
α = −tα nα ,
(2.30)
dove
e ∇a è la derivata covariante quadri-dimensionale.
2.2.1
Tensori di proiezione e derivate covarianti
La decomposizione 3 + 1 dello spazio-tempo implica la necessità di definire dei tensori
utili per proiettare un arbitrario vettore sull’ipersuperficie tri-dimensionale. Quindi
su ognuna di queste ipersuperfici si definiscono i tensori di proiezione
⊥ab ≡ δba + na nb
(2.31)
che proietta gli indici liberi di un dato tensore su Σt , e
Nba ≡ −na nb
(2.32)
che proietta gli indici liberi normalmente a Σt . Il tensore di proiezione ⊥ induce
sulla tre-superficie una tre-metrica a partire dalla quattro-metrica
γab = ⊥ca ⊥db gcd = gab + na nb ,
(2.33)
dove γ ab è l’inverso di γab e γab|c = 0, dove | denota la derivata covariante sulla
tre superficie Σt . La derivata covariante D indotta su Σt si ottiene proiettando ogni
indice del tensore prodotto da ∇ su Σt , ad esempio
Capitolo 2. Il problema ai valori iniziali nel formalismo ADM
62
2.2.2
Da f = ⊥ba ∇b f
(2.34)
Da v b = ⊥ca ⊥bd ∇c v d
(2.35)
Da Tcb = ⊥da ⊥be ⊥fc ∇d Tfe .
(2.36)
La curvatura estrinseca e le equazioni di vincolo
Per definire la curvatura estrinseca introduciamo due campi vettoriali v̂ e ŵ da proiettare sull’ ipersuperficie usando ⊥, ovvero v̂ a = ⊥ab v b e ŵ b = ⊥bc w c . La curvatura
estrinseca su Σt è definita da
K(v̂, ŵ) = −(∇a nb )vˆa ŵ b .
(2.37)
(4)
Per derivare le equazioni ai valori iniziali si sviluppa γ ac γ bd Rabcd in questo modo
(4)
(4)
ml ks
k l s
g ac g bd ⊥m
a ⊥b ⊥c ⊥d Rmkls = γ γ Rmkls =
(4)
(g ml + nm nl )(g ks + nk ns )Rmkls = R + 2Rab na nb = 2Gab na nb . (2.38)
La prima equazione di Gauss-Codazzi è
(4)
k l s
⊥m
a ⊥b ⊥c ⊥d Rmkls = Rdcba + Kac Kbd − Kbc Kad .
(2.39)
Usando le equazioni di Einstein (2.15) e la prima equazione di Gauss-Codazzi le
equazioni di vincolo sull’hamiltoniana possono essere scritte nel seguente modo
R + K 2 − Kab K ab = 16πρ,
dove
(2.40)
2.2. Caratteristiche generali del formalismo di Arnowitt-Deser-Misner (ADM) 63
ρ = Tab na nb
è la densità di energia locale.
Le equazioni di vincolo sull’impulso possono essere ricavate a partire dalla relazione
n
⊥m
a n Gmn =
=
1
n
(4)
⊥m
a n (Rmn − gnm R)
2
n (4)
⊥m
a n Rmn
(2.41)
e a partire dalla seconda equazione di Gauss-Codazzi
(4)
Nam ⊥nb ⊥oc ⊥pd Rmnop
= na (Dd Kcb − Dc Kdb ),
(2.42)
dove Nam è il tensore di proezione. Se si moltiplica la (2.42) per na g bc si ottiene
(4)
nm ⊥pd Rmp
= Dc Kdc − Dd Rcc
(2.43)
che può essere uguagliata con la (2.41) per ricavare le equazioni di vincolo sull’impulso
Dc Kdc − Dd Kcc = 8πnn ⊥m
d Tmn .
(2.44)
Se introduciamo la densità di impulso j i ≡ γ ik jk , dove jk ≡ −na Tak , le condizioni
sull’impulso possono essere scritte nella forma [3]
Dj (K ij − γ ij K) = 8πj i .
(2.45)
La derivazione delle equazioni di evoluzione per la metrica spaziale è piuttosto
laboriosa. Per completezza ne riportiamo l’espressione
dt γij = −2αKij + Di βj + Dj βi .
(2.46)
Capitolo 2. Il problema ai valori iniziali nel formalismo ADM
64
2.2.3
Equazione di Klein-Gordon nel Formalismo 3 + 1
Le espressioni della metrica e della sua inversa nel formalismo 3 + 1 sono date da
gµν
g µν


(2.47)

(2.48)
−α2 + β i βi βj 
=
βi
hij

− 12
=  βαj
α2
βi
α2
hij −
βiβj
α2

L’equazione di Klein-Gordon in forma covariante è
∇µ ∇µ φ = ∂φ V (φ),
(2.49)
dove V (φ) è il potenziale d’interazione. Esplicitando le derivate si ottiene
√
1
√ ∂µ ( −gg µν ∂ν φ) = ∂φ V (φ),
−g
(2.50)
dove g è il determinante della metrica. Moltiplicando entrambi i membri della
√
√
(2.50) per −g, otteniamo α h∂φ V dal lato destro dell’equazione. Dal lato sinistro
abbiamo
√
√
∂t α hg tν ∂ν φ + ∂i α hg iν ∂ν φ =
i
h √ i
h √ ∂t α h g tt ∂t φ + g ti ∂i φ + ∂i α h g it ∂t φ + g ij ∂j φ =
"√
#
"√
#
√ ij
h i
h i
j
∂t
β ∂i − ∂t φ + ∂i
β ∂t − β φ + α hh ∂j φ =
α
α
"
#
"√
#
√
h j
h i
i
∂t
β − ∂t φ + ∂i α hhij ∂j φ =
(β ∂i − ∂t )φ − ∂i β
α
α
√
α h∂φ V.
(2.51)
2.2. Caratteristiche generali del formalismo di Arnowitt-Deser-Misner (ADM) 65
Se definiamo quattro variabili ausiliarie
Π≡
√
h
(∂t − β i ∂i )φ
α
(2.52)
Φi ≡ ∂i φ,
(2.53)
e
allora possiamo scrivere la (2.51) come un’equazione di evoluzione per Π, ovvero
√ √
∂t Π = ∂i β i Π + α h hij Φj − α h∂φ V.
(2.54)
Differenziando la (2.54) otteniamo le equazioni di evoluzione per le tre variabili Φ
∂t Φi = ∂i
!
α
√ Π + β j Φj .
h
(2.55)
Le equazioni di Einstein nella forma 3 + 1 sono ([6],[3] )
R = K 2 − Kij K ij = 16πρH
(2.56)
Di Kji − Dj K = 8πSj
(2.57)
h
∂t Kji = −D i Dj α + α Rji + KKji − 8πSji + 4πδji (S − ρH )
∂t hij = −2αKij + Di βj + Dj βi
i
(2.58)
(2.59)
dove Rji èil tensore di Ricci e R è lo scalare di Ricci. I termini di sorgente per il
campo scalare sono
1
1
ρH = hij Φi Φj + Π2 + V (φ)
2
2h
(2.60)
66
Capitolo 2. Il problema ai valori iniziali nel formalismo ADM
Π
S i = − √ hij Φj
h
(2.61)
1
1
S ij = hij − hkl Φk Φl + Π2 − V (φ) + hik hjl Φk Φl
2
2h
(2.62)
1
3
S = − hij Φi P hij + Π2 − 3V (φ).
2
2h
(2.63)
Sostituendo i termini di sorgente nella (2.58) si ottiene ([3])
1
1
∂t − β k ∂k Kji = KKji − hik ∂j ∂k α − Γljk ∂l α
α
α
1 i
+Rji − 8π hik Φk Φj + δji V (φ) +
Kk ∂j β k − Kjk ∂k β i .
α
(2.64)
Allo stesso modo la(2.59) diventa
1
1
∂t − β k ∂k hij = −2Kij +
hki ∂j β k + hkj ∂i β k .
α
α
(2.65)
Le equazioni di vincolo sull’hamiltoniana (2.56) sono
1 ij
1
R + K − K Kij = 16π
h Φi Φj + Π2 + V (φ)
2
2h
2
ij
(2.66)
e le condizioni sull’impulso (2.57)diventano
Π
Di Kji − Dj K = −8π √ Φj .
h
(2.67)
Equazioni di Einstein-Klein-Gordon nel caso di Simmetria Sferica
La risoluzione del sistema di equazioni di Einstein-Klein-Gordon è notevolmente semplificata nel caso di simmetria sferica. Introduciamo il sistema di corodinate sferiche
(t, r, θ, φ). In questo sistema di coordinate, hij e Kji sono diagonali. Abbiamo
2.2. Caratteristiche generali del formalismo di Arnowitt-Deser-Misner (ADM) 67
hij = diag a2 (t, r), r 2b2 (t, r), r 2 b2 sin2 θ
Kji = diag Krr (t, r), Kθθ (t, r), Kθθ
(2.68)
(2.69)
β i = (β r (t, r), 0, 0) ≡ (β, 0, 0)
(2.70)
α = α(t, r)
(2.71)
φ = φ(t, r)
(2.72)
Φi = (Φr (t, r), 0, 0) ≡ (Φ, 0, 0) .
(2.73)
La connessione di Christoffel è data da
1
Γijk = hil (∂k hlj + ∂j hlk + ∂l hjk )
2
(2.74)
Nel caso di simmetria sferica le componenti diverse da zero sono
∂r a
a
∂r (br)
=
br
∂r (rb)
=
rb
Γrrr =
Γθrθ
Γφrφ
rb∂r (rb)
a2
rb∂r (rb)
= − sin2 θ
a2
Γrθθ = −
Γrφφ
Γθφφ = − sin θ cos θ
Γφφθ = − cot θ.
Le due componenti diverse da zero del tensore di Ricci sono
Rrr = −
Rθθ
2
∂r (rb)
∂r
arb
a
"
1
rb
a − ∂r
=
∂r (rb)
2
2
ar b
a
(2.75)
!#
.
(2.76)
Capitolo 2. Il problema ai valori iniziali nel formalismo ADM
68
Da questo punto in poi indicheremo ∂r con un apice e ∂t con un puntino. L’equazione (2.65) diventa
ȧ = −aαKrr + (αβ)
ḃ = −αbKθθ +
′
(2.77)
β
′
(rβ) .
r
(2.78)
Le (2.64) diventano
K̇rr
K̇θθ
′
1
= βKrr + αKrr K −
α
α
a
′
=
βKθθ
′
!′
α
1
K+
−
2
(rb)
a(rb)2
"
2α (rb)
−
arb
a
αrb
′
(rb)
a
!′
′
#′
Φ2
− πα
+ V (φ)
a2
!
− 8πV (φ).
(2.79)
(2.80)
Ridefiniamo Φ nel seguente modo
Π→
a
1
′
,
Π
=
φ̇
−
βφ
r 2 b2 sin θ
α
(2.81)
mentre la definizione di φ rimane la stessa, ovvero
′
Φ≡φ.
(2.82)
Utilizzando queste variabili la (2.54) e la (2.55) diventano rispettivamente
Le equazioni
Π̇ =
1
αΦ
2 2
βΠ
+
r
b
r 2 b2
a
Φ̇ =
αΠ
βΦ +
a
′
.
′
ḃ
− 2Π − αa∂φ V
b
(2.83)
(2.84)
2.2. Caratteristiche generali del formalismo di Arnowitt-Deser-Misner (ADM) 69

2  (rb)
−
arb
a
′
!′

1
rb
′
+ 
(rb)
rb
a
!′

2
− a + 4Krr Kθθ + 2Kθθ =
Φ2 + Π2
8π
+ 2V (φ)
a2
′
′
ΦΠ
(rb) θ
Kθ − Krr − Kθθ = −4π
rb
a
!
(2.85)
(2.86)
costituiscono rspettivamente le equazioni di vincolo sull’hamiltoniana e sull’impulso [3].
70
Capitolo 3
Brane
La cosmologia di brane è caratterizzata dalla presenza di una o più dimensioni spaziali
addizionali rispetto a quelle presenti nel modello standard. L’universo viene pensato
come una varietà tridimensionale, detta “brana”, immersa in uno spazio caratterizzato
da cinque o più dimensioni, il “bulk” [9], [10], [8].
Storicamente le prime teorie di tipo brana ad essere formulate furono quelle di KaluzaKlein, in cui le dimensioni addizionali, non essendo rivelate dagli esperimenti, erano
pensate molto piccole. Negli ultimi anni, con l’avvento delle nuove teorie della fisica
delle alte energie (come le strighe e le superstringhe), i modelli di tipo brana sono
stati ripresi e sviluppati in una direzione in cui si rinuncia alla compattificazione delle
dimensioni addizionali, pensate infinitamente estese, e la materia ordinaria è definita
unicamente sulla brana mentre la gravità “vive” anche nella quinta dimensione. In
questi nuovi modelli la ricerca delle soluzioni delle equazioni di Einstein è resa più
complessa dalla definizione di un tensore energia impulso nullo al di fuori della brana.
Il formalismo sviluppato da Israel è utilissimmo per studiare la geometria di uno
spazio in cui è presente una discontinuità nel tensore energia-impulso attraverso una
superficie.
3.1
Formalismo di Israel: il metodo della giunzione metrica
Per introdurre le equazioni di Einstein nel caso di modelli contenenti sottovarietà Σ
di tipo brana, procediamo come segue.
Siano M+ e M− le due varietà separate da Σ. Assumiamo che M = M+ UM− e che
T
Σ = ∂M+ ∂M− (cioè l’intersezione tra le due frontiere). Introduciamo coordinate
71
Capitolo 3. Brane
72
Gaussiane ottenute addizionando delle componenti normali alla metrica gab di Σ. Cioè
scegliamo
(~eµ · ~eν ) = gµν = (gab , gan , gna , gnn ).
(3.1)
In generale, se prendiamo la derivata covariante di ~eµ otteniamo
∇ν ~eµ = Γαµν ~eα ,
(3.2)
dove Γαµν ~eα è la connessione di Cristoffel. Se utilizziamo una metrica Gaussiana
che metta in evidenza la direzione normale e le direzioni tangenziali:
∇a~eb = Γcab~ec + Γnab~n
(3.3)
Rab ≡ Γnab .
(3.4)
e definiamo
Questo, ovviamente, ci fornisce la relazione definente
Kab = ~n · ∇a~eb ,
(3.5)
dove, ripetiamo, la ∇a è calcolata in questa metrica Gaussiana di M.
Il teorema egregio di Gauss , derivabile usando il formalismo di Cartan, è dato da
(n)
a
a
Rbcd
= (n+1) Rbcd
± 2K[ca Kd]b ,
(3.6)
dove il (±) si riferisce al tipo di ipersuperfici (spaziale o temporale). Lo stesso
teorema si può riscrivere utilizzando una metrica gαβ = hαβ + ǫnα nβ arbitraria suM.
Il risultato è
3.1. Formalismo di Israel: il metodo della giunzione metrica
(n)
73
α
λ
Rβµν
= (n+1) Rγσρ
hαλ hγβ hσµ hρν
+ǫ Kµα Kβν − Kνα Kβµ .
(3.7)
Lo stesso formalismo conduce all’equazione di Gauss-Codazzi
(n)
λ
∇α Kβµ − (n) ∇µ Kβα = (n+1) Rσρδ
nλ hσβ hρα hδµ ,
(3.8)
dove la derivata (n) ∇α , definita su Σ, è ottenuta proiettando la derivata in n + 1
dimensioni sull’ipersuperficie
(n)
∇α = hβα ∇β .
(3.9)
Consideriamo il tensore di Einstein
1
Eµν = Rµν − gµν R .
2
(3.10)
Dal teorema egregio, per contrazione, si ottengono le relazioni
±
1
1 2
K − Kαβ K αβ
Eµν nµ nν |± = − ǫ(3) R +
2
2
Eµν hµα nν |± = −
Eµν hµα hνβ |± =
(3)
3
∇µ Kαµ − 3 ∇α K
±
(3.11)
(3.12)
Eαβ + ǫnµ ∇µ (Kαβ − hαβ K)± − 3ǫKαβ K|±
±
1
+ 2ǫKαµ Kµβ |± + ǫhαβ K 2 + K µν Kµν .
2
(3.13)
Queste equazioni hanno la seguente interpretazione. Proiettando il tensore di
Einstein in direzione normale e tangente a Σ si ottengono delle equazioni che possono
essere espresse in termini di quantità definite solo su Σ
Eαβ = hδα hγβ Eδγ .
(3.14)
Capitolo 3. Brane
74
Nei modelli di brana la materia è vincolata a stare sulla ipersuperficie Σ, solo la
gravità può viaggiare nel bulk. Pertanto il tensore energia impulso è discontinuo
+
−
Tαβ = Sαβ δ(y) + Tαβ
θ(y) + Tαβ
θ(−y),
(3.15)
avendo scelto coordinate Gaussiane in cui la brana è descritta da y = 0 . Il tensore
energia impulso Sαβ della superficie può essere definito come
Sαβ = lim
τ →0
Z
τ
2
− τ2
Tαβ dy.
(3.16)
Introduciamo ora un set di coordinate tali che le xi sono le coordinate sull’ipersuperficie ed y è la coordinata nella direzione ortogonale (come prima). Dall’equazione
(3.13) otteniamo
lim
τ →0
Z
τ
2
− τ2
Eij dy = lim
τ →0
Z
τ
2
− τ2
[ǫnµ ∇µ (Kij − hij K) + Uij ] dy,
(3.17)
dove Uij contiene termini quadratici in Kab e la tre-curvatura. Si assume che
questo termine sia limitato per cui la parte dell’integrale contenente Uij si annulla
facendo il limite. Il resto dell’integrale è una derivata totale, per cui otteniamo
lim
Z
τ
2
τ →0 − τ
2
Eij dy = ǫ ([Kij ] − hij [K]) ,
(3.18)
dove abbiamo definito l’operazione di parentesi come
[T ] ≡ T + − T −
(3.19)
per un tensore generico T . Usando le equazioni di campo di Einstein otteniamo
[Kij ] − hij [K] = ǫkSij .
Questa equazione è detta equazione di Lanczos [11].
(3.20)
3.2. Modello di Randrall e Sundrum
3.2
75
Modello di Randrall e Sundrum
Nei modelli cosmologici di brane la discontinuità nel tensore energia-impulso implica
delle discontinuità nel tensore di Einstein e quindi nelle derivate del tensore metrico.
Le equazioni di Einstein nel bulk sono
Gµν = 0,
(3.21)
dove il tensore GAB è definito in uno spazio di dimensioni pari a quelle del bulk.
Un modo per risolvere le equazioni di Einstein è quello di considerarle dapprima nel
bulk, ovvero uguagliando a zero il tensore energia-impulso, imponendo successivamente delle condizioni al contorno in modo tale da prendere in considerazione la presenza
fisica della brana. Le condizioni al contorno possono essere espresse attraverso l’equazione di Lanczos ricavata nella sezione precedente, che costituisce una relazione tra il
salto di discontinuità nella curvatura estrinseca e il tensore energia-impulso definito
sulla brana.
I modelli di brana con dimensioni addizionali non compatte presentati sono numerosi
e differiscono tra loro per il tipo di metrica definita sulla brana oltre che per il numero
di dimensioni extra introdotte.
Nel 1999 Lisa Randall e Raman Sundrum proposero un modello con una brana a
tre dimensioni e un bulk di tipo anti-de-sitter (ovvero con una costante cosmologica
negativa) a cinque dimensioni [13],[4],[5]. L’universo quadri-dimensionale si presenta
quindi come un muro di dominio infinitamente sottile la cui curvatura deve essere
costante dal momento che l’obiettivo è descrivere un universo omogeneo sulla brana.
È utile considerare un sistema di coordinate detto di Poincarè [12]
ds2 = dy 2 + e−2µy [−dt2 + (dx1 )2 + (dx2 )2 + (dx3 )2 ].
(3.22)
Assumiamo che la brana corrisponde alla superficie quadridimensionale y = 0, e
che lo spazio è simmetrico rispetto a questa superficie. Pertanto la metrica nel bulk
può essere critta come
ds2 = dy 2 + e−2µ|y| [−dt2 + (dx1 )2 + (dx2 )2 + (dx3 )2 ].
(3.23)
Capitolo 3. Brane
76
Le regioni M± sono date dal segno di y.
Un vettore unitario normale alla brana è ~n = ~ey =
estrinseca sono
Kij±
∂
.
∂y
Le componenti della curvatura
1 ∂gij =±−
= ±µηij .
2 ∂y y=0
(3.24)
Quindi K = 4µ, e usando le equazioni di Lanczos otteniamo il tensore energiaimpulso sulla brana ([12])
Sij = −
6µ
ηij ,
k5
(3.25)
dove k5 è la costante gravitazionale in cinque dimensioni.
Consideriamo una brana di tipo Friedmann-Robertson-Walker con un tensore energiaimpulso dato da Tij = (p + ρ)ui uj + phij , dove gli indici i, j sono legati alle coordinate
della varietà quadridimensionale. Utilizzando il metodo in cinque dimensioni della
giunzione metrica di Israel [12], si può dimostrare che le equazioni di Friedmann
assumono la forma
k
ρ
2U
Λ k4
− 2+
.
H = + ρ 1+
3
3
2λ
a
k4 λ
2
(3.26)
L’equazione ottenuta può essere confrontata con quella ricavata nell’ambito del
modello standard osservando, nel caso delle brane, la presenza di due termini addizionali: un termine U che rappresenta una densità di energia non locale, ovvero
riconducibile all’esistenza di un campo scalare definito in modo tale da dipendere
contemporaneamente da due differenti coordinate, e un termine quadratico in ρ. Quest’ultimo termine diviene importante in prossimità della singolarità iniziale, ovvero
molto vicino al big-bang. Avvicinandosi alla singolarità iniziale, infatti, la densità
di energia diverge, pertanto il termine dominante è quello quadratico. Si può quindi
concludere che i modelli di brane diventano significativi ad energie molto elevate o
nello studio dell’universo nei suoi primi istanti di vita.
3.3. Conclusioni
3.3
77
Conclusioni
In questo lavoro di tesi abbiamo analizzato alcuni aspetti della cosmologia standard
in vista di alcune applicazioni future riguardanti lo studio delle perturbazioni in metriche non-canoniche come quelle di brane. Dopo aver passato in rassegna il modello
cosmologico standard, nella sua formulazione usuale, abbiamo introdotto le equazioni di immersione di sottovarieta’ al fine di descrivere la geometria corrispondente in
modo efficiente. Lo schema matematico utilizzato in questa analisi ha importanti
applicazioni. Infatti nella soluzione di problemi numerici (quali sono ad esempio le
perturbazioni in spazitempo FRW o brane), rimane essenziale la soluzione del corrispondente problema di Cauchy o del valore iniziale. Come abbiamo cercato di spiegare, tali analisi richiedono il concetto di foliazione dello spazio tempo. Nel caso della
teoria delle brane, per le quali lo studio delle perturbazioni e’ ancora agli inizi, sara’
necessario utilizzare il formalismo che abbiamo qui delineato per procedere poi ad
una eventuale soluzione numerica. Questo studio potrebbe essere molto importante,
giacche’ e’ dall’analisi delle perturbazioni che poi si procede ad una caratterizzazione
specifica delle varie metriche. La teoria delle brane richiede l’analisi in termini di
di sottovarieta’ in due stadi diversi: 1) quando la brana viene immersa nello spazio
tempo ambiente, 2) nella decomposizione 3+1 della brana medesima. Crediamo che
sara’ possibile definire un programma di ricerca coerente attorno a queste tematiche
che potrebbe portare a degli sviluppi molto interessanti.
Bibliografia
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[5] P.Binetruy, C.Deffayet, U. Ellwanger, D.Langlois, ”Brane Cosmological evolution
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British Columbia, July 1986.
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[13] D.Langlois, “Brane Cosmology: an introduction”, hep-th /0209261v1.
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