storia delle istituzioni educative

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INSEGNAMENTO DI
STORIA DELLE ISTITUZIONI EDUCATIVE
LEZIONE XI
“GIOVANNI GENTILE”
PROF. CARMINE PISCOPO
Storia delle istituzioni educative
Lezione XI
Indice
1
Pedagogia di Giovanni Gentile -------------------------------------------------------------------------- 3
2
Superamento del positivismo ---------------------------------------------------------------------------- 4
3
L’attualismo gentiliano ----------------------------------------------------------------------------------- 6
4
La concezione agostiniana della verità ---------------------------------------------------------------- 8
5
Pedagogia /filosofia -------------------------------------------------------------------------------------- 10
6
Teorizzazione pedagogica ------------------------------------------------------------------------------ 13
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
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Storia delle istituzioni educative
Lezione XI
1 Pedagogia di Giovanni Gentile
Giovanni Gentile rappresenta il punto di riferimento teorico fondamentale per la
comprensione degli sviluppi neoidealistici della pedagogia italiana. Laureatosi presso la Scuola
Normale superiore di Pisa, amico e collaboratore di Croce, Gentile esprime già nel 1900, con il
concetto scientifico della pedagogia, una revisione polemica della concezione positivistica ed
herbartiana dell’educazione, che culminerà nel Sommario di pedagogia come scienza filosofica
(1913-1914).
Nel frattempo elabora il proprio sistema filosofico di tipo idealistico, che definirà
«attualismo» ed esplicherà in opere come Teoria generale dello spirito come atto puro (1914). Egli
era partito da una interpretazione in senso attivistico del marxismo – prassi come produzione
soggettiva dell’uomo , educazione dell’educatore (da una sua interpretazione della terza delle Tesi
su Feuerbach di Marx), unità di maestro e discepolo – per giungere ad una concezione più neofichtiana che neo-hegeliana, del movimento spirituale, e all’adesione al fascismo quale erede del
Risorgimento e antagonista dell’atomismo individualistico attribuito al liberalismo. In lui il
pensiero è un atto che non può mai completamente oggettivarsi, che deve necessariamente inglobare
l’alterità, consumando anche le scorie empiriche ed individualistiche. E’ energia che si scarica e si
degrada dopo ogni sosta e che tuttavia risorge dalle proprie ceneri1.
All’inizio degli anni Venti escono numerosi scritti a carattere pedagogico quali: La riforma
dell’educazione (1920) e Preliminari allo studio del fanciullo (1924). Vicino al fascismo, succederà
Croce nella guida del Ministero dell’Istruzione fra il 1922 e il 1924, portando a compimento la
riforma globale della scuola italiana che Croce aveva in parte progettato. Nel 1925 redige il
Manifesto degli intellettuali fascisti, in cui si schiera a favore di un’ideologia cui si manterrà fedele
anche negli anni più bui. Continua la propria opera filosofica e la riflessione pedagogica mentre
dirige la realizzazione dell’Enciclopedia Italiana, che seguirà fino a quando, avendo aderito alla
repubblica di Salò, verrà ucciso a Firenze da una formazione partigiana.
1
Cfr. M. Bodei; La filosofia nel novecento, Donzelli Editore, Roma 1997.
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Lezione XI
2 Superamento del positivismo
Secondo Gentile, per compiere un riesame della pedagogia di fronte agli evidenti limiti del
Positivismo occorre rifarsi ad Hegel, il quale, pur non avendo scritto direttamente di pedagogia, ha
individuato i concetti fondamentali su cui si regge l’opera educativa. Nell’educazione, insegna
Hegel, sono presenti le dimensioni della libertà, dello sviluppo e dell’autocoscienza, che nessun
tecnicismo metodologico potrà mai comprendere o guidare.
Sulla scia del pensiero di Hegel, Gentile formula una filosofia che considera il reale puro
Atto del pensiero ed autocoscienza del Soggetto universale. Libertà, sviluppo, autocoscienza non
vengono
considerate,
dunque,
solo
caratteristiche
dell’educazione
o
dell’uomo,
ma
contraddistinguono tutto il reale così come appariva nella Fenomenologia dello Spirito di Hegel.
L’unità di tutto il reale all’interno del Soggetto fa sì che tutto ciò che è considerato oggetto,
diverso da sé, non rappresenti che parte dell’attività del Soggetto stesso.
L’unità del reale nell’Atto Puro del Soggetto permette di risolvere molti problemi che,
mantenuti nei termini di una pedagogia di tipo empiristico, sarebbero irresolubili. Il maestro cessa
di essere una figura esterna la cui comunicazione educativa deve problematicamente farsi
acquisizione interna dell’alunno: un rapporto pedagogicamente profondo diviene immedesimazione
del maestro nello scolaro e dello scolaro nel maestro. Si realizza così la “sintesi a priori”
dell’attività educativa.
Ugualmente il problema del rapporto fra autorità e libertà cessa di esistere: nell’obbedire al
maestro lo scolaro obbedisce alla parte migliore di se stesso, a quell’Io ideale che il maestro incarna
e il discepolo cerca di diventare attraverso il rapporto educativo. Il cammino della conoscenza è
anche cammino verso la legge, senza la quale la libertà non esiste.
Secondo Gentile l’educazione naturale dell’uomo è anche culturale: l’educazione deve
essere intesa come libertà da pressioni diseducative esterne, non dalla cultura.
Inoltre, secondo Gentile, non vi può essere forma senza contenuto, e viceversa, l’educazione
formale, che punta allo sviluppo dell’intelligenza, non può essere disgiunta dall’educazione
contenutistica, incentrata sulla memoria. Del pari, l’istruzione è allo stesso tempo intellettuale e
morale, istruzione ed educazione: chi sceglie di istruirsi sceglie la disciplina, la tensione della
volontà verso un fine che non può che essere etico.
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Lezione XI
Gentile ritiene che l’educazione come atto spirituale corrisponda allo stesso processo storico
con cui lo spirito sottomette a sé il reale in un cammino di libertà, pertanto tutte le antitesi e i
problemi storici della pedagogia vengono assorbiti all’interno di una risoluzione della pedagogia
nella filosofia. Il Positivismo tendeva ad intrecciare: etica (cioè filosofia), psicologia e pedagogia,
considerando quest’ultima come applicazione dei valori filosofici mediata dai dati psicologici.
Gentile ritiene, per contro, che i fatti psichici altro non siano che atti del Soggetto, intesi come un
farsi, un divenire che non può essere ingabbiato in una classificazione.
È dunque un “pregiudizio pedagogico” la diversità del bambino rispetto all’uomo, un
pregiudizio che crea una «pedotecnica» che, in nome di questa diversità, si concretizza in una
precettistica didattica, in un “pedagogismo” astratto, fonte di ulteriori distinzioni e complessità
inutili e dannose.
Eliminata la possibilità di una didattica come sapere separato, Gentile può attuarne il
recupero all’interno della pedagogia filosofica, come momento interno di presa di coscienza
dell’educazione che si fa scuola. Essa mantiene però la sua unitarietà strutturale nel riconoscimento
della falsità di tutte le pretese di una divisione delle facoltà (per cui esisterebbe una didattica per la
formazione della volontà, una per la formazione dell’intelligenza), ma anche dei diversi ambiti
disciplinari: la didattica non può che essere generale, nell’unità dello spirito e del sapere.
Se la didattica è teoria della scuola, l’insegnamento è teoria in atto, “didattica speciale”, atto
vivo di cui non si possono fissare fasi, non si può prescrivere metodo: «il metodo è il maestro». Le
uniche distinzioni possibili sono all’interno della forma soggettiva (espressa nella formazione
mediante l’arte), di quella oggettiva (educata mediante la religione e la scienza) e dell’unità fra le
due (la cui realizzazione pedagogica, come autocoscienza, spetta alla filosofia).
‹‹In fondo all’Io c’è un Noi››: è questo il motivo costante, che si dispiega in numerose
variazioni e modulazioni. Alla base dell’Io si ritrova ‹‹una sorta di originaria socialità›› 2, che lo
ancora e lo stabilizza nella sua identità che diversamente sarebbe per assurdo incerta e mobile.
L’individuo è parte della societas, alla cui vita contribuisce. Ognuno ha in sé il proprio socius e
ogni pensare è un dialogare, simultaneamente, con sé e con l’altro da sé che non rappresenta
soltanto un nostro ospite passeggero, che non è soltanto in noi, ma è Noi3.
2
3
G. Gentile, Genesi e struttura della società, Sansoni, Firenze 1955, p. 32.
M. Bodei; La filosofia nel novecento, Donzelli Editore, Roma 1997, p. 31
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Lezione XI
3 L’attualismo gentiliano
L’attualismo è la filosofia elaborata da Giovanni Gentile, che si origina, fichtianamente
dall’atto del pensiero come principio unico e fondante di tutta la realtà. Per Gentile la pedagogia si
fa veramente scienza solo se diviene filosofia, poiché il processo di svolgimento della vita
spirituale, che rappresenta l’oggetto specifico dell’educazione, è definibile e comprensibile solo
fuori da ogni dualismo e meccanicismo, propri delle filosofie dell’educazione, insufficienti e
fuorvianti, che si ispirano alla lezione di Herbart e del positivismo. Infatti, la vera pedagogia
scientifica è quella che pensa l’educazione, e l’uomo che ne è protagonista, in termini di spirito, di
sviluppo dialettico e di unità, attraverso il principio della sintesi a priori. In tale modo la vera
scienza è solo la filosofia, come la vera educazione è solo l’autoeducazione4.
La centralità della questione educativa in Gentile si spiega con ragioni storiche e teoriche.
Per quanto riguarda le prime occorre ricordare che il filosofo siciliano non fu estraneo, come del
resto tutti gli intellettuali della sua generazione, all’insoddisfazione per gli esiti del processo di
unificazione nazionale, lamentando le responsabilità e le insufficienze delle élites dirigenti. Per
quanto esse si fossero preoccupate di promuovere una coscienza unitaria in grado di assicurare
l’esistenza di una vera nazione, avevano mancato l’obiettivo. La ragione era individuata da Gentile
nel tradimento del messaggio spirituale e religioso dei «profeti del rinascimento» (Gioberti e
Mazzini) e nel conseguente prevalere di una concezione empirica della nazione e di una visione
utilitaristica della politica
Si tratta, perciò, di invertire la rotta e ritessere il filo interrotto subito dopo l’Unità:
«riformulare l’educazione» voleva perciò dire non soltanto operare sul piano della organizzazione
degli studi, ma promuovere innanzi tutto quella «riforma morale degli Italiani».
A livello più strettamente teorico la riflessione educativa gentiliana fu tutt’uno con la sua
filosofia, non soltanto perché in tutti i tempi la filosofia si è trovata ad avere nel suo seno il
problema dell’educazione, ma soprattutto perché l’educazione è null’altro che «formazione dello
spirito», vale a dire ciò che costituisce la nostra esperienza più pura. Una teoria pedagogica scissa
dalla riflessione filosofica è per Gentile addirittura impensabile e soltanto per pura opportunità di
discorso la pedagogia può venire distinta dalla filosofia dello Spirito in atto alla quale risulta
4
Cfr. F. Cambi, Le pedagogie del novecento, Editori Laterza, Bari 2005.
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inestricabilmente connessa. Da qui scaturisce la cosiddetta risoluzione della pedagogia nella
filosofia o, per meglio dire, l’affermazione della pedagogia come scienza filosofica.
L’educazione è vista, dunque, come «farsi dello Spirito» e cioè formazione dell’uomo in
quanto realtà spirituale e come sviluppo storico dell’universale attività identica in tutti gli uomini.
Contro la riduzione dello spirito umano a fatto tra gli altri fatti, l’idealismo gentiliano rivendicò la
libertà dell’individuo ad autoeducarsi attraverso un processo infinito coinvolgente l’intera sua
esistenza. Quanto alla libertà dell’individuo essa non era da intendersi, per Gentile, in termini
individualistici secondo i modelli del razionalismo e dell’empirismo perché, se così fosse, l’uomo
sarebbe ridotto a nulla più che ad aspirazione, a puro e semplice dato sradicato dalla storia e dalla
società. L’individuo è invece sempre inserito nel flusso universale della storia in cui si manifesta
incessantemente lo Spirito, ovvero, per dirla con altra espressione, ciò che consente all’umanità di
percepirsi come tale.
Si pone qui uno dei nodi-chiave dell’analisi pedagogica gentiliana: la duplice
dell’educazione, d’un lato l’esigenza che si sviluppi nell’uomo la sua libertà, dall’altro la necessità
che tale libertà non si risolva in un evento individualistico, ma si compia nel riconoscimento
dell’universalità dello Spirito e, dunque, delle forme che scaturiscono dai processi storici attraverso
cui lo Spirito si manifesta. Il problema del rapporto tra libertà e autorità costituisce quella che
Gentile stesso definisce come «l’antinomia fondamentale dell’educazione», dalla quale egli esce
attraverso il riesame integrale del concetto stesso di libertà.
La libertà autentica, secondo il filosofo siciliano, non è soltanto un postulato della coscienza
morale, ma è nel medesimo tempo esperienza di essere liberi ed esperienza di essere parte di una
libertà più ampia che ci trascende (la manifestazione dell’umanità universale, cioè dello Spirito
Assoluto). Vera educazione è perciò quella che compie l’unificazione spirituale nella quale si
annullano gli individui come esseri particolari e si compie la piena partecipazione dell’io universale.
L’uomo, in altre parole è sintesi a priori di individuale e di universale, espressione dello Spirito che
nel processo della sua attività crea tutte le particolari esistenze, il loro essere e anche il loro dover
essere, la loro realtà, ma altresì l’esigenza nel superarla nell’attuazione di nuove forme ideali
emergenti dal seno della stessa concreta realtà storica.
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La concezione agostiniana della verità
Gentile nega con forza, richiamandosi ad Agostino, la dualità di educatore ed educando. Il
maestro non è fuori di noi, ma dentro di noi. L’apparente dualità scompare quando l’educando fa
propria la parola dell’educatore e a sua volta, fa proprie le attese dell’educando, ponendosi l’uno e
l’altro al cospetto della verità. Se il maestro è veramente tale e con le sue parole sa far rivivere il
processo culturale nella sua evidenza, lo scolaro comprende ed interiorizza le parole del maestro
senza violentare la sua libertà, ma aderendovi liberamente, riconoscendo in esse non qualcosa di
estraneo, ma qualcosa che sa nutrire la propria coscienza.
Nell’atto educativo, dunque, maestro e scolaro superano le differenze empiriche e si
ritrovano, quasi per contagio spirituale, parte della comune esperienza umana.
Non ha più senso perciò contrapporre educazione negativa: in cui al maestro tocca soltanto
un ruolo esterno rispetto al processo educativo affidato alla natura; ed educazione positiva: che
prevede invece la diretta iniziativa del maestro. Nella concezione gentiliana l’educazione è unica,
così come è unica la persona umana e unico è lo Spirito.
L’unità dell’educazione costituisce infatti, il motivo centrale della riflessione pedagogica di
Gentile, unità che consente di superare quelle che spesso sono apparse come caratteristiche
inconciliabili dell’evento educativo e a lungo hanno diviso la storia della cultura occidentale:
istruzione-educazione, educazione religiosa-educazione scientifica, educazione estetica-educazione
umanistica.
Questi diversi e contrastanti modi di guardare all’educazione hanno senso soltanto se si
accetta il principio realistico che consiste nella presunzione di una realtà esterna al pensiero alla
quale quest’ultimo non potrebbe far altro che conformarsi. Ma nel momento in cui l’idealismo
afferma l’impossibilità di concepire una realtà che non sia la realtà stessa del pensiero, queste
distinzioni non sono altro che apparenze astratte.
Il sapere quindi è un processo unitario infinito, ma è attuale nella coscienza che si fa in ogni
istante.
Si capisce come sia possibile il dialogo educativo, il rapporto docente-discente in questo
unificarsi dello spirito. Fra maestro e allievo, si attua una “compenetrazione d’anime”. come
afferma Giuseppe Lombardo Radice suo migliore discepolo. Ed ecco il nerbo del pensiero
gentiliano: il maestro ripercorre la storia della sua completezza, della sua autocoscienza e quindi
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della sua conoscenza piena laddove si incontra con l’allievo, gli trasmette le conoscenze e lo aiuta a
seguire il processo dello spirito.
In questo modo allievo e maestro sono unificati, in quanto seguono lo stesso percorso dello
spirito assoluto. In questo rapporto unificante del percorso dello spirito troviamo la preminenza
della parola così come è venuta articolandosi nel corso dei secoli.
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Pedagogia /filosofia
Gentile, in qualità di Ministro dell’Istruzione nel governo Mussolini, portò a compimento
un’organica riforma della scuola italiana che fu compiuta in poche mesi con l’aiuto di un ristretto
numero di allievi e collaboratori.
I motivi ordinatori della riforma sono facilmente identificabili.
In primo luogo va richiamato il fatto che la riforma fu concepita da Gentile come parte di
quella riforma morale degli italiani considerata condizione indispensabile per attingere la coscienza
di essere nazione e, in particolare, fu predisposta in funzione della formazione delle élites dirigenti
cui era affidato il compito di guida dello svolgimento del progetto nazionale. Soltanto per le élites
era dunque prospettato un itinerario formativo completo.
Il sistema scolastico fu quindi pensato a base molto larga (la scuola elementare finalizzata
all’alfabetizzazione dei ceti popolari) e con un ristretto vertice (l’istruzione liceale e, in particolare,
il ginnasio-liceo) cui si poteva accedere soltanto attraverso una rigorosa serie di prove che dovevano
verificare le capacità e la maturità del candidato ad entrare a far parte del ceto dirigente (il principio
educativo dell’esame). La scuola che stava più a cuore a Gentile era perciò la scuola secondaria che
cominciava subito dopo la scuola elementare (ed a cui si accedeva mediante un esame di
ammissione molto selettivo) e si concludeva otto anni dopo con l’esame di Stato.
Sul piano culturale la riforma gentiliana ebbe un doppio baricentro: l’affermazione dell’unità
del sapere e la consapevolezza che il sapere per eccellenza era quello classico-umanistico
(letterature classiche e moderne, filosofia, storia). Il ginnasio-liceo, il corso di studi posto ad
architrave del sistema scolastico, fu organizzato proprio alla luce di questi principi: ampio spazio
alla cultura umanistica e trattazione del sapere scientifico in forma culturale e non in termini di
acquisizione di abilità pratiche.
Tutti gli altri tipi di scuola, che via via si scostavano dal modello del liceo classico, furono
pensati come copie imperfette di quest’ultimo a partire dal liceo scientifico (senza il greco) e
dall’istituto magistrale (senza il greco e con un anno di corso in meno) fino ai vari corsi di
istruzione tecnica reputati funzionali soltanto alle attività professionali subalterne e, quindi,
praticamente posti ai margini della scuola formativa. In stretta coerenza con la sua aristocratica
concezione di scuola e cultura Gentile non considerò l’intero settore dell’istruzione professionale.
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I programmi furono predisposti, a loro volta, tenendo conto di una duplice esigenza: la
valorizzazione della cultura classica e il rispetto della libertà di insegnamento. Si trattava, nell’uno e
nell’altro caso, della traduzione operativa del principio teorico secondo cui il sapere non può essere
trasmesso, ma soltanto generato. In tal contesto Gentile riconobbe l’importanza della cultura
religiosa giudicata un aspetto irrinunciabile nella formazione dei giovani, pur individuando
comunque il vertice della coscienza personale nella conoscenza filosofica.
Un altro principio ordinativo della riforma fu quello della libertà di insegnamento intesa non
solo come libertà per l’insegnante (esplicito riconoscimento del ruolo e del valore del maestro non
soggetto ad altra regola che alla forza della sua cultura), ma come libera concorrenza tra scuola
privata e scuola dello Stato. In coerenza con i presupposti teorici posti alla base della ricerca
culturale, Gentile riconosceva la possibilità di una pluralità di vie formative (comprese quelle
confessionali): allo Stato, in qualità di garante dei livelli culturali della classe dirigente, spettava
soltanto di verificare la congruenza tra la preparazione del candidato e il valore legale del titolo di
studio. La verifica fu attribuita ad un apposito esame di Stato, uguale per tutti a prescindere dalla
scuola frequentata, posto a conclusione di ogni ciclo di studi e, in particolare, a quello degli studi
secondari.
Altri due tratti caratteristici della riforma relativi alla scuola elementare riguardano: la
creazione dell’Istituto magistrale, in sostituzione delle Scuole normali già previste dalla legge
Casati, per la preparazione dei maestri elementari. Anche nella scuola primaria, si trattava, per
quanto possibile, di far crescere coscienze disciplinate più che trasmettere nozioni e perciò il
maestro doveva essere più uomo di cultura (un piccolo intellettuale, meglio di estrazione popolare),
che un esperto di tecniche didattiche.
La
seconda
questione
concerne
l’introduzione
dell’insegnamento
religioso.
Nell’impossibilità, a livello di ceti popolari, di promuovere l’autocoscienza filosofica, prerogativa
delle élites, toccava ai valori religiosi svolgere quel ruolo normativo e ordinativo; ad essi era, infatti,
affidato il compito di far sentire anche agli strati sociali subalterni d’essere parte di una vita dagli
orizzonti più ampi, che storicamente s’inverava nella nazione italiana alla cui identità i valori del
cattolicesimo fornivano un irrinunciabile contributo.
La riforma del 1923, così compattamente coerente con l’impianto teorico della riflessione
gentiliana, ha segnato in profondità la storia della scuola italiana ed ha costituito, sotto più di un
aspetto, un caso a sé nella storia della cultura educativa occidentale per la brusca e netta
interruzione di ogni rapporto di continuità con gli apporti del positivismo. L’indagine storica, che
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spesso si è fermata ad una pura e semplice analisi ideologica dei rapporti tra la riforma e il
fascismo, ha invece generalmente posto scarsa attenzione alle ragioni della sua straordinaria
longevità.
Maturata infatti nella cultura di inizio secolo in un sistema sociale ancora abbastanza
impermeabile ai processi di modernizzazione, la riforma del 1923 ha saputo formare un ceto
dirigente che ha gradualmente consentito anche all’Italia di transitare, specie nel secondo
dopoguerra, verso la civiltà della piena modernità.
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Teorizzazione pedagogica
L’influsso del pensiero pedagogico di Gentile è stato enorme, anche se in parte favorito dalla
sua santificazione ad opera del fascismo e dal peso della grande riforma scolastica del 1923. A
questo bisogna aggiungere l’influenza di Gentile sul più grande pedagogista italiano della prima
metà del Novecento, Giuseppe Lombardo-Radice, che ha portato i principi della pedagogia
idealistica all’interno della pratica scolastica elementare, pur con una intonazione caratteristica e
personale che va oltre la teorizzazione gentiliana.
Bisogna osservare che in generale la spiritualizzazione dell’attività pedagogica attuata da
Gentile, che fa del maestro «il sacerdote, l’interprete, il ministro dell’essere divino, dello Spirito»,
apre le porte, nel ventennio fascista, ad una pratica pedagogica altamente selettiva, autoritaria e
indifferente ad una problematizzazione dei risultati e dei metodi.
In ogni caso la pedagogia e la scuola italiana fino alla fine della seconda guerra mondiale,
ma in parte anche oltre, sono state caratterizzate dal pensiero del filosofo siciliano. Certamente il
modello scolastico impostato nel 1923 ha condizionato fortemente la mentalità stessa di coloro che,
formatisi al suo interno, si sono trovati successivamente ad opera in una scuola, come quella
secondaria di secondo grado, che non ha più avuto riforme progettuali e globali sino ad oggi.
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