LE IDEOLOGIE POLITICHE OTTOCENTESCHE
Fin dai primi decenni dell’Ottocento, tra gli avversari della Restaurazione, si trovano già le grandi
ideologie che hanno animato il dibattito politico fino ai nostri giorni.
Il liberalismo, che nacque dalla lotta contro l’Antico Regime condotta dalle Rivoluzioni inglese,
americana e francese, affermava il valore della libertà individuale contro il privilegio tipico delle
società aristocratiche, nelle quali nobiltà e clero godevano di vantaggi irraggiungibili per le altre
fasce della popolazione.
Il liberalismo si basa sul concetto di diritto naturale che consiste in alcuni diritto appartenenti
all’uomo in quanto tale: tra questi rientra appunto la libertà, che pone un limite preciso all’autorità
politica.
In realtà il concetto di libertà è piuttosto vago, ed è stato definito in diverse maniere.
- secondo autori come Rousseau, ogni uomo deve partecipare alla definizione di quelle leggi
che regoleranno i suoi comportamenti. Tale libertà trova espressione nella possibilità di
partecipare alla vita politica dello Stato attraverso il diritto di voto. Questa posizione
(uguaglianza politica) fu sostenuta nell’Ottocento dai democratici.
- Secondo altri, un uomo è libero se è concretamente in grado di praticare le possibilità che la
legge gli garantisce. Quindi non è sufficiente la garanzia astratta del diritto: un uomo è
veramente libero se non è oppresso dal bisogno. Ognuno deve disporre di beni sufficienti a
condurre un’esistenza dignitosa. Questa concezione della libertà implica l’uguaglianza
sociale. E’ la posizione sostenuta dai rivoluzionari settecenteschi più radicali e,
nell’Ottocento, dai socialisti.
- Il liberalismo classico sostiene invece che libertà consiste nella possibilità di fare ciò che le
leggi non impediscono. Esiste cioè una sfera di libertà private su cui non può agire nessun
potere, nemmeno quello dello Stato.
I liberali
In sintesi il pensiero liberale classico propone un modello di Stato che può essere schematizzato
così:
-
-
-
il potere dello Stato è limitato. I liberali respingono l’assolutismo e intendono porre limiti
al potere. La Costituzione, che indica con precisione i limiti del sovrano, è il principale
degli obiettivi dei liberali. Un’altra garanzia contro i rischi del dispotismo è la divisione dei
poteri.
Lo Stato garantisce le libertà pubbliche (di opinione, di stampa, di insegnamento, di
iniziativa economica…)
Lo Stato garantisce l’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge.
Lo Stato non interviene sulla diseguaglianza sociale. LO Stato non deve cercare di
attenuare le diseguaglianze tra ricchi e poveri. I liberali considerano la diseguaglianza
sociale come una conseguenza della diseguaglianza naturale tra gli uomini: non tutti hanno
le stesse capacità, la stessa intraprendenza, la stessa voglia di lavorare. Chiunque, attraverso
l’istruzione e la propria iniziativa economica, può (teoricamente) migliorare la propria
condizione.
Il suffragio non è universale. Per i liberali il voto non è un diritto, ma lo strumento
attraverso il quale si partecipa alla vita dello Stato. Chi non possiede nulla, e quindi non ha
nulla da amministrare, perché dovrebbe votare? Il diritto di voto è quindi garantito solo a chi
raggiunge un certo livello di ricchezza (suffragio censitario)
I democratici
Il pensiero democratico deriva, come detto, dalle idee di Rosseau.
La democrazia moderna, a differenza di quella antica, è rappresentativa (o parlamentare). Il
cittadino ateniese infatti esercitava direttamente il potere politico recandosi personalmente
all’assemblea.
La principale critica che i democratici rivolsero ai liberali è la seguente: come può lo Stato
rappresentare tutti i cittadini e tutelare in egual misura i loro diritti se alcuni sono esclusi dal diritto
di voto?
Secondo i democratici, quindi, lo Stato deve essere fondato sul suffragio universale, perché solo
così sarà rappresentante della volontà del popolo.
Per esercitare i oro diritti è necessario che i cittadini siano istruiti. Spetta quindi allo Stato garantire
a tutti la necessaria istruzione.
LO Stato democratico, inoltre, non può essere indifferente di fronte alla miseria. Deve cercare di
moderare le ingiustizie sociali attraverso lo strumento fiscale (imporre tasse in proporzione ai
redditi: se i ricchi pagano più tasse, lo Stato potrà prendere iniziative a favore dei più deboli).
Per questa impostazione il movimento democratico fu osteggiato dalle elite economiche e politiche
e sostenuto piuttosto dalla media e piccola borghesia.
I socialisti
Liberali e democratici avevano dedicato la loro analisi soprattutto all’organizzazione politica dello
Stato.
Nei decenni che seguirono la Rivoluzione Industriale, però, il problema più appariscente divenne
quello che riguardava le condizioni miserabili e inumane in cui viveva la maggioranza della gente:
la cosiddetta questione sociale.
Se davvero, come avevano sostenuto gli illuministi, gli uomini sono naturalmente uguali, come si
può giustificare un divario così enorme tra ricchezza e povertà e la terribile miseria della
maggioranza degli uomini?
I socialisti proposero l’ideale di una società fondata sulla giustizia sociale, cioè su una
distribuzione della ricchezza che non condannasse nessuno alla povertà e allo sfruttamento.
IN genere i socialisti:
- misero in discussione il diritto di proprietà, proponendone l’abolizione o, per lo meno, la
limitazione;
- criticarono l’individualismo liberale contrapponendogli il valore della solidarietà.
Robert Owen
La caratteristica del socialismo inglese fu il riformismo: i socialisti inglesi accettarono infatti i
principi liberali della libertà di iniziativa e dell’economia di mercato, ma rivendicarono la ecessità
di attuare riforme radicali per mitigarne le conseguenze sociali. Questa scelta fu influenzata dal
pensiero e dall’azione di Robert Owen (1771-1858)Owen era direttore e socio di una filanda a New Lanark in Scozia, nella quale tentò di mettere in
pratica i sui ideali filantropici: scelse di rinunciare a parte dei profitti per
- aumentare i salari
- diminuire l’orario di lavoro
- dare agli operai un’abitazione decente e generi di prima necessità a costi accesibili
Owen cercò anche di eliminare l’aumento del costo delle merci nella sua fase di
commercializzazione, sforzandosi di creare le condizioni affinchè gli scambi avvenissero non per
mezzo del denaro, ma attraverso dei buoni lavoro che certificavano la quantità di lavoro
effettivamente svolta dall’operaio. Cercò anche di creare una Banca di scambio dove, al posto del
denaro venivano depositate le merci prodotte per essere scambiate. Tutte queste idee però non
ebbero successo.
Fallì anche l tentativo di fondare in America una città operaia chiamata New Harmony.
Nonostante gli insuccessi Owen viene considerato il padre del movimento operaio inglese, in
quanto aveva indicato ai lavoratori la strada da percorrere per tutelare i propri interessi: la creazione
di associazioni di tipo sindacale.
Il socialismo utopistico francese
In Francia apparvero, attorno al 1830, le prime dottrine socialiste, comunemente definite con il
termine di socialismo utopistico. Esse immaginavano, infatti, utopiche società future nelle quali la
disuguaglianza sarebbe stata abolita.
Tra i maggior rappresentanti del socialismo utopistico francese:
- Charles Fourier immaginò una società composta da piccoli nuclei di circa 1800 persone,
economicamente e politicamente indipendenti, i falansteri. I falansteri si occupavano
soprattutto di agricoltura e allevamento; le attività erano svolte a rotazione e assegnate agli
individui in base alle inclinazioni individuali.
- Louis Blanc individuò nella proprietà privata una delle principali cause della miseria degli
operai. Come rimedio propose la creazione di fabbriche gestite dagli stessi operai (atelier
sociaux) con salari dapprima graduati secondo una gerarchia degli incarichi, ma che
progressivamente avrebbero dovuto diventare uguali per tutti.Secondo Blanc non c’era
bisogno di un atto rivoluzionario. Lo Stato avrebbe dovuto favorire la creazione degli atelier
sociaux, i quali, progressivamente avrebbero soppiantato le industrie private grazie ai
migliori risultati garantiti dal coinvolgimento diretto degli operai.
Marx ed Engels
L’elaborazione della dottrina socialista raggiunse il suo risultato più maturo con la riflessione di due
filosofi tedeschi Karl Marx e Friedrich Engels.
Costretto ad abbandonare la Prussia a causa delle sue idee politiche, Marx si recò a Parigi nel 1843
dove entrò in contatto con gli ambienti socialisti (conobbe Blanc). Qui strinse amicizia con Engels,
figlio di un ricco industriale, che reduce da un lungo soggiorno in Inghilterra, doveb il padre
possedeva una fabbrica, aveva avuto modo di osservare i drammatici costi sociali
dell’industrializzazione.
Engels convinse Marx a stabilirsi definitivamente a Londra, nel 1849 e a dedicarsi, insieme
all’amico che lo sostenne economicamente, allo studio del sistema capitalistico. Così, nel 1867,
Marx pubblicò l primo volume della sua opera principale: Il Capitale.
Già nel 1848, su incarico della Lega dei comunisti, un’associazione di profughi tedeschi residenti a
Londra, i due amici pubblicarono il Manifesto del Partito Comunista, un’opera nel quale
rifiutavano l’utopismo del socialismo precedente per proporre un’analisi, a loro avviso, scientifica
della società.
Secondo i due autori era illusorio credere di poter cambiare la società con un’idea o con le leggi.
Marx ed Engels sostengono la dottrina del materialismo storico: non sono le idee degli uomini a
determinare il tipo di società in cui vivono; è vero piuttosto il contrario – è la società a determinare
il tipo d idee.
Infatti l’organizzazione della società è determinata dal modo in cui gli uomini producono ciò che è
loro necessario e questa attività è a sua volta condizionata dai mezzi di produzione di cui gli
uomini dispongono.
Per esempio la società industriale non è nata da un’idea, ma dalla rivoluzione dell’organizzazione
produttiva determinata dall’introduzione della macchina a vapore.
In sintesi, M & E chiamano struttura della società la sua organizzazione produttiva, mentre fanno
parte di una sovrastruttura la cultura, le leggi, la politica, lo Stato…
Quindi la storia non è determinata completamente dalla volontà dell’uomo, ed è inutile inventare
belle utopie. Bisogna studiare scientificamente il presente per comprendere il senso della storia.
Per questo M & E sostenevano di aver elaborato un socialismo scientifico.
Secondo i due autori la storia della civiltà umana è passata attraverso quattro fasi caratterizzate
ognuna da u diverso sistema produttivo (comunità primitiva, società schiavistica, società feudale,
società capitalistico-borghese).
Tutte queste fasi sono caratterizzate dallo scontro tra oppressi e oppressori a cui gli uomini
partecipano non come individui ma come gruppi sociali (classi) tuta la storia, quindi, è storia
della lotta di classe.
La classe degli pressi contrasta gli oppressori e, quando ne maturano le condizioni, abbatte il loro
dominio. Il passaggio da uno stadio all’altro è infatti determinato dallo sviluppo dei mezzi di
produzione: quando si affermano modalità produttive che non possono essere sfruttate all’interno di
un certo tipo di società, se ne afferma un altro.
Per esempio, la borghesia ha combattuto la nobiltà ed è giunta alla vittoria quando, con la
rivoluzione industriale si sono affermate le condizioni che hanno favorito la sua ascesa. Ma ora, con
la società capitalistico-borghese, questa classe ha imposto il proprio dominio al proletariato, cui
spetta il compito storico di rovesciarlo.
Nella società capitalistica il proletario è sfruttato dai borghesi che sono proprietari dei mezzi di
produzione (macchine, fabbriche…). Infatti il salario corrisposto al proletario non corrisponde alla
ricchezza che esso crea con il proprio lavoro, ma ad una somma di denaro assai inferiore. La
differenza tra la ricchezza prodotta e il salario è chiamata da Marx plusvalore e rappresenta il
profitto del capitalista.
Per superare questa situazione di asservimento, in cui il proletario diventa un semplice strumento
utile alla valorizzazione del capitale, è necessario un sovvertimento violento e rivoluzionario della
società capitalistica, che ponga fine allo sfruttamento dell’uomo sull’uomo.
Secondo Marx ed Engels è il proletariato stesso che deve essere protagonista di questa rivoluzione,
prendendo coscienza del suo ruolo storico di antagonista della classe dominane borghese. Lo scopo
finale è giungere alla fine della divisione della società in classi, realizzando l’obiettivo finale del
comunismo1, caratterizzato dall’abolizione della proprietà privata e dalla scomparsa di ogni forma
di sfruttamento.
1
L’ideale di una società in cui non esiste la proprietà privata ebbe il suo primo teorico nel filosofo greco Platone che ne
La Repubblica espose l’idea di una città in cui gli uomini non fossero corrotti dal denaro. L’ideale di una società in cui
non ci fossero né ricchi, né poveri è presente anche nel cristianesimo delle origini. Thmas More, nel XVI sec, nella sua
celebre Utopia, descrive una società in cui la proprietà privata è completamente abolita. Ma è solo nel Settecento che il
comunismo cessa d essere un’utopia filosofica o un ideale religioso per trasformarsi in una concreta proposta politica.
Ciò avviene negli anni della Rivoluzione Industriale per mezzo dell’incontro con le teorie socialiste. All’inizio
socialismo e comunismo sono presocchè sinonimi. Solo nel Novecento le due teorie si distinguono: il comunismo indica
il socialismo più radicale e rivoluzionario; il termine socialismo indica invece posizioni più moderate e riformiste.
Documento:
K. Marx e F. Engels, Il Manifesto del Partito Comunista, 1848 (breve estratto)
La storia di ogni società finora esistita è storia di lotte di classi. Liberi e schiavi, patrizi e plebei,
baroni e servi della gleba,membri di corporazioni e garzoni di bottega, insomma oppressori e
oppressi, sono stati sempre in reciproco antagonismo, conducendo una lotta senza fine, a volte
nascosta, a volte dichiarata, che portò in ogni caso o a una trasformazione rivoluzionaria di tutta
la società o alla totale rovina delle classi in competizione.
(…)
La moderna società borghese, nata dalla rovina della società feudale, non ha fatto sparire gli
antagonismi di classe. Essa ha solo creato, al osto delle vecchie, nuove classi, nuove condizioni di
oppressione, nuove forme di lotta.
La n ostra epoca, tuttavia, l’epoca della borghesia, si distingue in quanto ha reso più semplice
questi antagonismi. Tutta la società si va dividendo sempre più in due grandi campi nemici, in
grandi classi direttamente contrapposte tra loro: borghesia e proletariato.