Cartolarizzazione - CFA Society Italy

UNIVERSITA' DEGLI STUDI DI MODENA E REGGIO EMILIA
Facoltà di Economia Marco Biagi
Corso di Laurea Specialistica in Analisi Consulenza e Gestione Finanziaria
Curriculum Analisi Finanziaria
Cartolarizzazione: il pricing,
la regolamentazione e l’evidenza nel caso italiano
Relatore:
Laureanda:
Prof.ssa Costanza Torricelli
Francesca Baraldi
Anno Accademico 2008-2009
Indice
Introduzione
5
PARTE 1 – LE OPERAZIONI DI CARTOLARIZZAZIONE
1. Aspetti introduttivi delle operazioni di cartolarizzazione
10
1.1 Introduzione
10
1.2 Cartolarizzazione tradizionale
10
1.2.1 Cartolarizzazione dei crediti nonperforming
17
1.2.2 Cartolarizzazione dei crediti futuri (future flow securitisation)
17
1.3 Cartolarizzazione sintetica
19
1.4 Cartolarizzazione revolving
23
1.5 Cartolarizzazione tramite conduit
23
1.6 Cartolarizzazione repackaging
25
1.7 I soggetti partecipanti all’operazione di cartolarizzazione
26
1.7.1 I soggetti preposti alle attività di base
27
1.7.2 I soggetti preposti alle attività complementari
28
1.8 Credit and liquidity enhancement e prepayment risk mitigation
31
1.9 Storia ed evoluzione della cartolarizzazione
37
2. Titoli collegati alle operazioni di cartolarizzazione
45
2.1 Introduzione
45
2.2 Classificazione delle Asset Backed Securities (ABS)
45
2.3 Asset Backed Securites (ABS)
47
a) Mortgage Backed Securities (MBS)
48
b) Credit Card Receivable–Backed Securities
50
c) Auto–Loan Backed Securities
51
2.4 Collateralized Debt Obligations (CDO)
51
2.4.1 Classificazione dei CDO
52
a) Balance sheet CDO e Arbitrage CDO
53
b) Cash flow CDO e Market value CDO
54
c) Cash CDO e Synthetic CDO
55
d) CDO di ultima generazione
60
1
3. Effetti delle operazioni di cartolarizzazione: rischi e potenziali benefici
65
3.1 Introduzione
65
3.2 Potenziali benefici derivanti dalle operazioni di cartolarizzazione
65
3.3 I profili di rischio dell’operazione di cartolarizzazione
69
3.4 I profili di rischio delle ABS
70
4. La regolamentazione
79
4.1 Introduzione
79
4.2 Il Nuovo Accordo sul Capitale
80
4.3 La disciplina delle operazioni di cartolarizzazione secondo Basilea 2
84
4.3.1 Primo pilastro: ambito di applicazione e regole generali
86
4.3.2 Primo pilastro: l’approccio standard (SA)
89
4.3.3 Primo pilastro: l’approccio basato sui rating interni (IRB)
93
a) L’approccio Rating Based (RBA)
94
b) L’approccio della valutazione interna (IAA)
95
c) L’approccio della formula prudenziale (SF)
96
4.3.4 Confronto tra approccio standard e approccio basato sui rating interni
100
4.3.5 Secondo pilastro
103
4.3.6 Terzo pilastro
105
4.4 Interazione tra rischio di credito e rischio di mercato
106
4.5 I rafforzamenti a Basilea 2
110
4.5.1 Primo pilastro
115
4.5.2 Secondo pilastro
118
4.5.3 Terzo pilastro
122
PARTE 2 – IL CASO ITALIANO
5. Le operazioni di cartolarizzazione in Italia
127
5.1 Introduzione
127
5.2 Il mercato italiano della cartolarizzazione
127
5.3 Legge n. 130 del 30 Aprile 1999
141
5.4 L’applicazione di Basilea 2 in Italia
147
2
6. Analisi dei Residential Mortgage Backed Securities italiani
155
6.1 Introduzione
155
6.2 Caratteristiche dei Residential Mortgage Backed Securities italiani
155
6.3 Analisi empirica
161
6.3.1 Il mercato immobiliare residenziale
162
6.3.2 Il mercato dei finanziamenti immobiliari
167
7. Analisi del rischio dei mutui concessi alle famiglie italiane
177
7.1 Introduzione
177
7.2 Il dataset: la SHIW
177
7.3 Analisi descrittive dei dati sull’indebitamento delle famiglie italiane
180
7.4 Analisi econometrica della probabilità di ritardo
199
Conclusioni
207
Glossario
211
Bibliografia
213
3
4
Introduzione
La presente tesi verterà su uno dei più importanti strumenti finanziari frutto del processo di
innovazione che ha caratterizzato i mercati finanziari negli ultimi decenni: la cartolarizzazione
(o securitisation).
Il meccanismo alla base della cartolarizzazione, nella sua versione tradizionale, è
relativamente semplice: un soggetto (originator), cede crediti (o altre attività) non negoziabili
a una società creata ad hoc (Special Purpose Vehicle, SPV) la quale finanzia l’acquisto
mediante l’emissione di titoli negoziabili sul mercato secondario (Asset Backed Securities,
ABS). Si tratta di un’operazione ben diversa dalla semplice cessione di crediti poiché i flussi
finanziari per il pagamento degli investitori in ABS sono assicurati dai flussi finanziari di
incasso relativi agli attivi ceduti. Dalla definizione qui presentata risultano chiare le
potenzialità offerte dalla cartolarizzazione ai fini del trasferimento del rischio di credito dal
soggetto originator all’interno del sistema economico e finanziario.
Sebbene l’originator possa essere un’impresa, un’amministrazione pubblica o, ancora, un
intermediario finanziario il presente studio privilegia l’esame delle operazioni dal punto di
vista degli intermediari bancari. Le banche, infatti, in base alle loro competenze e obiettivi
possono intervenire in un’operazione di securitisation nel ruolo di originator, come servicer,
come credit enhancer, come arranger o, infine, come investitore acquistando le ABS emesse a
fronte dei portafogli di crediti cartolarizzati. Inoltre, proprio le banche hanno fatto largo
ricorso a questo strumento contribuendo all’espansione del mercato, all’evoluzione delle
strutture adoperate, all’allargamento della gamma di attivi collateralizzabili nonché allo
sviluppo di nuovi strumenti finanziari emessi.
I benefici derivabili dalla cartolarizzazione per gli originator bancari sono molteplici. In
primis, la cartolarizzazione permette di diversificare le tradizionali fonti di provvista
secondariamente, consente la gestione attiva del rischio di credito, permette alle banche di
specializzarsi nell’attività di origination (rispetto alla quale detengono un vantaggio
competitivo) infine realizza risparmi di capitale regolamentare. Numerosi sono i vantaggi
della cartolarizzazione anche per il sistema economico nel suo complesso: la cartolarizzazione
realizza la distribuzione del rischio di credito tra soggetti disposti a sostenerlo, può migliorare
l’efficienza allocativa del sistema finanziario e accresce la gamma di strumenti finanziari a
disposizione degli investitori fino al punto di permettere la creazione di prodotti tailor-made.
L’argomento trattato non è nuovo infatti, la tecnica della cartolarizzazione ha avuto origine
alla fine degli anni Settanta negli Stati Uniti. Tuttavia, in Europa la securitisation si è diffusa
a partire dai primi anni Novanta ma il mercato ha raggiunto dimensioni significative
soprattutto nell’ultimo decennio quando si sono registrati tassi di crescita nei volumi delle
emissioni più elevati di quelli registrati negli Stati Uniti. L’interesse verso il tema della
cartolarizzazione discende dalle vicende più recenti che vedono questo strumento finanziario
tra i principali protagonisti della crisi finanziaria iniziata nel comparto subprime statunitense
nella seconda metà del 2007. Nonostante l’esistenza di tutti quei benefici derivanti dalla
cartolarizzazione prima decantanti, la cartolarizzazione si è rilevata “un’arma a doppio
taglio”. È infatti opinione di molti che la cartolarizzazione abbia contribuito alla recente crisi
finanziaria distribuendone gli effetti così come aveva distribuito i rischi e favorendo il
passaggio di molti intermediari finanziari verso il nuovo modello di business originate-to5
distribute (OTD) che, portato all’esasperazione, ha favorito l’accesso al credito di fasce di
popolazione più rischiose nella consapevolezza che poi il credito sarebbe stato ceduto. La
crisi finanziaria ha, dunque, colpito duramente il mercato della cartolarizzazione al punto tale
che, per ora, è ragionevole attendersi un futuro solo per le strutture di cartolarizzazione più
semplici. È importante, invece, una riattivazione del mercato della cartolarizzazione proprio
per le potenzialità offerte da questo tipo di strumento e, altrettanto importante, è la previsione
di una migliore regolamentazione a livello globale che ne eviti l’uso distorto.
La tesi si concentrerà soprattutto sul mercato della cartolarizzazione in Italia. L’Italia, infatti,
sebbene abbia introdotto una disciplina in materia di cartolarizzazione solo nel 1999, in netto
ritardo rispetto agli altri paesi europei, si è ben presto affermata come uno dei principali
mercati della securitisation assieme al Regno Unito e alla Spagna. In particolare, il presente
lavoro si occuperà dei Residential Mortgage Backed Securities (RMBS) italiani. I RMBS
appartengono alla famiglia delle ABS e sono titoli emessi a fronte di cartolarizzazioni di
portafogli di mutui ipotecari residenziali. I titoli RMBS, oltre a rappresentare il principale
titolo cartolarizzato emesso dalle banche italiane, hanno mostrato una buona tenuta, alla luce
della crisi finanziaria, in termini di allargamento degli spread e di declassamenti da parte delle
agenzie di rating. Le buone performance dei RMBS italiani assumono ancora più rilevanza se
comparate ai RMBS spagnoli e inglesi perché danno un forte segnale che le operazioni di
cartolarizzazione portate a termine in Italia non sono state strutturate sulle bolle immobiliari.
Nonostante l’importanza del mercato italiano della cartolarizzazione nel contesto europeo
pochi studi si sono occupati di indagare il caso italiano, soprattutto per quel che riguarda le
cartolarizzazioni poste in essere dalle banche. La presente tesi si occuperà pertanto di
dimostrare la buona qualità del collateral sottostante i titoli RMBS italiani dal momento che
da esso dipende, in estrema sintesi, la rischiosità del titolo stesso. L’analisi dei RMBS
fornisce, inoltre, l’occasione di occuparsi di un altro argomento collegato di attualità e di
particolare interesse: l’indebitamento delle famiglie italiane per l’acquisto dell’abitazione di
residenza. Infatti, l’housing finance è particolarmente importante perché i prestiti concessi per
l’acquisto dell’abitazione costituiscono la principale passività finanziaria delle famiglie e, al
contempo, la maggior quota dell’attività di lending delle banche. Inoltre, l’abitazione è un
elemento determinante della qualità della vita degli individui, genera una maggiore sicurezza
nella disponibilità di un alloggio, costituisce la quota preponderante della ricchezza familiare
e, in genere, rappresenta l’acquisto più importante e gravoso per la famiglia. L’indebitamento
per l’acquisto dell’abitazione di residenza è cresciuto molto e rapidamente dagli inizi degli
anni Duemila e, probabilmente, proprio la cartolarizzazione ha contribuito a finanziare la forte
espansione dei prestiti delle banche italiane. Sebbene il grado di indebitamento delle famiglie
italiane è relativamente basso nel confronto internazionale la recente crisi finanziaria ha
alimentato le preoccupazioni circa la capacità delle famiglie di onorare i propri debiti.
La tesi sarà organizzata in due parti. La prima parte introduce i principali aspetti delle
operazioni di cartolarizzazione ed è organizzata in quattro capitoli. Il primo capitolo fornisce
una panoramica delle principali strutture di cartolarizzazione esistenti, elenca gli operatori che
intervengono in un’operazione di securitisation nonché presenta l’evoluzione del mercato
della cartolarizzazione statunitense ed europeo. Il secondo capitolo è, invece, dedicato ai titoli
emessi a seguito di un’operazione di cartolarizzazione da quelli più “tradizionali” a quelli più
esotici e complessi come i CDO-squared e i single tranche CDO. Il terzo capitolo si occupa
6
di analizzare i benefici e rischi connessi con le operazioni di cartolarizzazione. Poiché le
operazioni di securitisation sono fonte di rischi si crea il fabbisogno di controlli e di una
regolamentazione ad hoc; il quarto capitolo sarà pertanto dedicato al trattamento riservato alle
esposizioni da cartolarizzazione nel Nuovo Accordo sul Capitale meglio conosciuto come
Basilea 2. Nel quarto capitolo troveranno spazio anche le revisioni più recenti apportate a
Basilea 2 alla luce delle criticità emerse con la crisi finanziaria. Infatti, la crisi ha posto in
evidenza la necessità di rafforzare la regolamentazione finanziaria e l’azione di vigilanza al
fine di porre le condizioni per lo sviluppo di un sistema finanziario più solido e prudente. La
seconda parte sarà dedicata al caso italiano. Il capitolo cinque presenterà le principali
caratteristiche del mercato italiano della cartolarizzazione, la Legge n. 130 del 1999 che ha
introdotto in Italia l’istituto della cartolarizzazione e gli elementi peculiari dell’applicazione di
Basilea 2 in Italia. Il sesto e settimo capitolo saranno, invece, interamente dedicati all’analisi
dei RMBS italiani e, attraverso un’analisi empirica, si cercherà di dimostrare la buona qualità
del collateral sottostante dal quale dipendono le buone performance dei titoli RMBS italiani
nel confronto europeo. I microdati dell’Indagine sui bilanci delle famiglie italiane della Banca
d’Italia (Survey on Household Income and Wealth, SHIW) saranno fonte di preziose
informazioni in merito all’evoluzione del grado di indebitamento delle famiglie italiane. Nello
specifico, il campione di famiglie indebitate per l’acquisto dell’abitazione di residenza
estrapolato dalla SHIW sarà utilizzato per delineare un identikit delle famiglie indebitate
nonché per verificare l’esistenza di elementi di vulnerabilità finanziaria al fine di ottenere
informazioni sulla rischiosità dei mutui concessi dalle banche ai household italiani. Sarà,
inoltre, presentata una stima econometrica utilizzando una nuova informazione sui ritardi nel
pagamento delle rate di rimborso dei prestiti introdotta nell’ultima indagine SHIW
disponibile. Verranno, pertanto, ricercati i fattori che incidono sulla probabilità di verificarsi
situazioni di ritardo, contribuendo, in tal modo, allo studio delle determinanti dell’household
distress.
7
8
PARTE 1
LE OPERAZIONI DI CARTOLARIZZAZIONE
9
10
1. Aspetti introduttivi delle operazioni di cartolarizzazione
1.1 Introduzione
La cartolarizzazione (o securitisation) dei crediti rappresenta una delle più importanti
operazioni di finanza strutturata 78 avviata negli ultimi decenni da intermediari finanziari.
Il meccanismo alla base di un’operazione di securitisation tradizionale è piuttosto semplice: la
banca originator cede un portafoglio di crediti (o altre attività finanziarie) non negoziabili a
una società creata ad hoc (Special Purpose Vehicle, SPV) la quale provvede alla conversione
di tali crediti (o attività) in titoli negoziabili sul mercato (Asset Backed Securities, ABS). In
sostanza viene a cadere la caratteristica di non-marketable asset di gran parte delle attività
possedute dalle banche poiché grandi quantitativi di crediti tipicamente illiquidi sono
trasformati in strumenti finanziari collocati e negoziati sul mercato mobiliare. Aspetto
peculiare della cartolarizzazione è lo stretto collegamento che si instaura tra i flussi derivanti
dal pool di asset cartolarizzato e i pagamenti spettanti ai sottoscrittori di ABS: le somme
derivanti dal rimborso dei crediti vengono destinate in via esclusiva agli investitori che hanno
sottoscritto le ABS. Le prime operazioni di cartolarizzazione hanno avuto origine negli Stati
Uniti alla fine degli anni Settanta, solo successivamente, a partire dagli anni Novanta, la
tecnica si è diffusa anche in Europa. Dalla sua nascita il fenomeno ha vissuto un continuo
sviluppo, non solo sotto il profilo delle emissioni, ma anche sul piano delle varianti tecniche e
degli strumenti finanziari emessi.
Il capitolo fornirà una panoramica delle strutture di cartolarizzazione a disposizione delle
banche partendo dalla versione tradizionale passando poi alla cartolarizzazione sintetica fino
ad arrivare alle modalità di cartolarizzazione più sofisticate come quelle revolving, tramite
conduit o le repackaging. Saranno, inoltre, presentati i principali soggetti che partecipano
all’operazione di cartolarizzazione e i loro compiti. L’ultimo paragrafo è, invece, dedicato alla
storia e all’evoluzione del mercato della cartolarizzazione statunitense ed europeo e, in
particolare, l’attenzione verrà concentrata sulle vicende dell’ultimo decennio; non
mancheranno, inoltre, richiami gli avvenimenti più recenti connessi alla crisi subprime.
1.2 Cartolarizzazione tradizionale
La cartolarizzazione tradizionale (detta anche: classica, cash o true sale) è un’operazione
finanziaria con la quale la banca originator elimina una parte dei suoi attivi dal proprio
bilancio e li trasferisce a una terza società (Special Purpose Vehicle, SPV) appositamente
creata la quale emette titoli (Asset Backed Securities, ABS) garantiti dalle attività cedute (vd.
Figura 1.1).
Il trasferimento degli attivi avviene mediante una cessione pro soluto – l’originator/cedente
non garantisce il veicolo/cessionario dal buon fine del credito – inoltre, deve essere realizzata
la cosiddetta “vendita effettiva” – true sale. La true sale è indispensabile per realizzare la
segregazione patrimoniale dei crediti ceduti. Il portafoglio di asset trasferito dà vita, infatti, a
78
Nel linguaggio comune il termine “finanza strutturata” è utilizzato come sinonimo di cartolarizzazione
(Fabozzi et al, 2007).
11
un patrimonio separato rispetto ai beni che compongono il patrimonio dell’originator con la
conseguenza che qualunque vicenda che colpisca l’originator non travolgerà mai i beni nel
veicolo, che non potranno, quindi, essere aggrediti dai sui creditori personali.
Figura 1.1: Schema di un’operazione di cartolarizzazione tradizionale e operatori coinvolti
Trustee
D
E
B
I
T
O
R
I
Crediti
€€€
O
R
I
G
I
N
A
T
O
R
Portafoglio
di asset
€€€
Arranger
Agenzie
di rating
Servicer
Credit
enhancer
ABS
S
P
V
€€€
Controparti
di hedging
L’originator cede un portafoglio di
asset alla società veicolo creata ad
hoc
Autorità di
Vigilanza
I
N
V
E
S
T
I
T
O
R
I
Lo SPV finanzia l’acquisizione
dei crediti mediante l’emissione di
titoli ABS
Fonte: elaborazione propria su schema Galiani et al (2003)
Il concetto di patrimonio separato opera anche qualora il veicolo presta la sua attività in più
operazioni di cartolarizzazione, in tal caso, i crediti relativi a ciascuna operazione
costituiscono patrimonio separato a tutti gli effetti sia da quello dell’originator sia da quello
relativo alle altre operazioni. Gli investitori, a questo punto, valuteranno solamente la qualità
degli asset e non l’originator.
Lo SPV emette sul mercato titoli ABS garantiti dalle attività cedute il cui ricavato fornisce le
risorse necessarie per il pagamento del portafoglio di attività acquistato dall’originator. La
caratteristica fondamentale dell’operazione che distingue la tecnica della securitisation dalla
semplice cessione dei crediti è che i flussi finanziari per il pagamento agli investitori in ABS
sono assicurati dai flussi finanziari di incasso relativi agli attivi ceduti.
Generalmente, ma non necessariamente, l’emissione viene suddivisa in tranche caratterizzate
da una rischiosità differente e da una diverso grado di subordinazione.
A dispetto della relativa semplicità del concetto di cartolarizzazione le potenzialità offerte per
le banche sono notevoli, in primis la securitisation si configura come una valida alternativa
alle operazioni di raccolta fondi tradizionali.
Nell’ambito di un’operazione di cartolarizzazione tradizionale si possono distinguere tre fasi.
Prima fase: analisi preliminare dell’operazione
Si tratta di una fase cruciale in quanto è finalizzata all’individuazione degli obiettivi da
perseguire attraverso l’operazione di cartolarizzazione. Tali obiettivi possono essere:
- gestire in modo attivo il bilancio;
- trasformare attività illiquide in fondi liquidi disponibili per ulteriori impieghi;
- incrementare la redditività operativa;
- ridurre il patrimonio detenuto ai fini regolamentari;
- trasferire agli investitori una parte del rischio di credito e conseguire in tal modo una
riduzione della rischiosità dell’attivo.
12
Sulla base degli obiettivi stabiliti si procede all’analisi delle caratteristiche qualitative degli
asset dell’originator volta a verificarne l’adeguatezza ad essere oggetto di cartolarizzazione.
In linea generale è possibile affermare che gli asset individuati per l’operazione di
cartolarizzazione devono garantire alcuni elementi peculiari, in modo che le caratteristiche dei
titoli emessi siano funzione della struttura finanziaria dei crediti ceduti in termini di durata,
flussi di rimborso, rendimento ecc. (Giannotti, 2004).
Si procede, di conseguenza, alla formazione del portafoglio di attivi composto da quegli asset
che soddisfano determinati criteri di eleggibilità (eligibility criteria). L’idea di formare un
portafoglio di asset è basata sul concetto che la probabilità che parecchi debitori ceduti
risultino insolventi è molto bassa 79. Poichè gli attivi ceduti sono legati con uno stretto
rapporto ai titoli emessi la fase di definizione del pool da cedere è l’attività che impegna più
tempo e risorse aziendali, dal momento che essa influenza in modo significativo l’intera
operazione.
È possibile tracciare un identikit del portafoglio di asset ideale per la tecnica della
cartolarizzazione tradizionale:
- omogeneità giuridica e tecnica degli asset al fine di ridurre i problemi in sede di due
diligence legale e omogeneità circa la natura e le caratteristiche dei debitori al fine di
stimare con maggiore facilità il rischio di credito dell’operazione;
- il pool di asset deve essere in grado di produrre dei flussi di cassa continui e
prevedibili al fine di assicurare il miglior servizio del debito (omogeneità economica e
finanziaria);
- deve essere dotato di un certo grado di trasparenza relativamente al grado di rischio;
- deve essere di ammontare complessivo rilevante per conseguire economie di scala sui
costi fissi iniziali, che sono normalmente piuttosto elevati;
- deve essere effettivamente realizzabile la separazione giuridica dal patrimonio del
cedente.
Tra le caratteristiche desiderabili degli attivi da cedere non è stata menzionata la loro buona
qualità infatti tale particolarità, seppur auspicabile, non è essenziale per la strutturazione
dell’operazione poiché intervengono le tecniche di credit enhancement (Kothari, 2006)80.
Certo è, che peggiore è la qualità degli asset ceduti maggiori saranno i costi, in termini di
commissioni, da sostenere per la strutturazione dell’operazione. La qualità del portafoglio di
attività viene attestata dall’analisi di una serie di parametri, tra i quali: la granularità
(espressione della concentrazione del rischio), diversificazione geografica, diversificazione
settoriale, rating medio del portafoglio (espressione della rischiosità media degli attivi) e,
infine, rating minimo di ogni attivo.
È possibile classificare il portafoglio sottostante in due tipologie in base alle modalità di
gestione (Jobst, 2008):
- portafoglio statico (static pool): gli asset che compongono il portafoglio sono fissi e
non è consentita la loro sostituzione. Ad esempio il portafoglio può essere composto
da mutui ipotecari o corporate loan;
- portafoglio revolving: è ammessa la sostituzione degli asset che compongono il
portafoglio soggetto a cartolarizzazione nel rispetto delle caratteristiche previste nel
79
Nel caso in cui, invece, si è esposti a un solo attivo si è di fronte a due possibilità: o c’è default o non c’è
default. Se si verifica l’evento di default la perdita sarà pari a (1 – tasso di recupero) se non si verifica la perdita
è zero (Fabozzi et al, 2007)
80
Le tecniche di credit enhancement saranno trattate nel testo al paragrafo 1.8.
13
prospetto dell'operazione medesima. Questo tipo di gestione del portafoglio è adottata
nella cartolarizzazione di tipo revolving.
Una volta definito il pool viene avviata la cosiddetta due diligence legale, ovvero un controllo
di tipo legale, sul pool di asset selezionati che mira ad accertare la veridicità delle
informazioni fornite dall’originator. Nello specifico si procede a un controllo sull’effettiva
esistenza dei crediti, sui diritti del cedente su di essi, sulla validità e sulla qualità delle
garanzie collegate ai crediti ceduti, sull’esistenza o meno di procedure esecutive in atto, sul
valore delle garanzie e infine viene verificata la fattibilità della vendita pro soluto delle
attività.
L’analisi preliminare comporta anche la definizione del target di investitori a cui si rivolgerà
l’emissione di titoli ABS e soprattutto la stima dei costi legati all’operazione.
Un aspetto cruciale per poter dar avvio a un’operazione di cartolarizzazione è quello che
riguarda la disponibilità di dati storici indispensabili per valutare l’emissione. Sarà necessario,
quindi, che l’originator disponga di adeguate potenzialità informatiche che permettano la
predisposizione di un ampio volume di dati storici attinenti le performance di un portafoglio
di asset simile a quello oggetto di cartolarizzazione. In altri termini si cerca di comprendere la
possibile dinamica dei flussi che deriveranno dal pool selezionato tramite la stima delle
probabilità di insolvenza dei singoli crediti e del portafoglio complessivo.
Seconda fase: strutturazione dell’operazione
Strutturare un’operazione di securitisation significa definire l’entità dei rischi che si
trasferiranno agli investitori tenedendo ben presente che, da un lato, maggiore è il rischio
trasferito maggiore sarà il costo del finanziamento e, dall’altro, maggiore è l’utilizzo delle
tecniche di credit enhancement per ridurre i rischi in capo ai sottoscrittori maggiori saranno i
costi dell’operazione espressi sotto forma di commissioni.
Con la collaborazione dell’arranger è possibile procedere a un’analisi costi-benefici delle
diverse modalità di perfezionamento dell’operazione che dovrà tenere conto delle esigenze di
natura legale, fiscale, contabile dell’originator nonché del rating che i titoli ABS riusciranno
ad ottenere.
La definizione della struttura dell’operazione comporta una serie di considerazioni in merito
ai seguenti aspetti:
- la costituzione del veicolo deve garantire l’indipendenza dall’originator ossia rendere
effettivo il distacco del complesso di asset oggetto di cartolarizzazione dal bilancio del
cedente con il fine ultimo di assicurare la protezione degli investitori dal rischio di
controparte relativo all’originator. Con l’obiettivo di istituire efficacemente il veicolo
vengono richieste una serie di consulenze fornite da esperti legali volte a garantire sia
l’effettiva indipendenza del veicolo dall’originator – true sale opinion – sia
l’impossibilità del portafoglio di asset di essere compreso nell’eventuale massa
fallimentare del cedente – non consolidation opinion.
- predisposizione delle tecniche di credit enhancement ritenute necessarie dall’agenzia
di rating che valuta l’emissione.
Terza fase: pre-marketing, lancio e closing dell’operazione
Il processo di cartolarizzazione si conclude con il collocamento dei titoli ABS al termine del
quale il ricavato dell’operazione verrà trasferito all’originator. L’iter di collocamento titoli
prevede una fase di pre-marketing in cui l’operazione di cartolarizzazione viene descritta e
pubblicizzata agli investitori in una serie di incontri organizzati nelle maggiori piazze
14
finanziarie e, infine, viene definito il prezzo di collocamento solitamente sulla base delle
manifestazioni di interesse acquisite durante la fase di pre-marketing.
A seconda del target di investitori a cui si rivolge l’emissione è possibile operare una
distinzione tra procedura di offerta privata e procedura di offerta pubblica rivolte
rispettivamente a un selezionato gruppo di investitori istituzionali o a un più ampio pubblico
di risparmiatori. In base alle caratteristiche proprie delle due modalità è possibile affermare
che (Galiani, 2003):
- l’offerta pubblica si addice meglio a emissioni caratterizzate da un elevato valore
nominale e da asset sottostanti noti e facilmente apprezzabili in termini di valore e
grado di rischio. Questa forma di emissione è più onerosa in quanto è necessario
produrre tutta una serie di informative (tra cui il prospetto informativo per l'offerta e la
quotazione dei titoli) per ottenere l’autorizzazione all’emissione. Tuttavia i titoli ABS
collocati presso il pubblico generale degli investitori sono dotati di una maggiore
liquidità e questo permette di poterli vendere a tassi di rendimento minori;
- l’offerta privata, invece, si addice meglio alle emissioni di ABS “esotiche” a quelle
cosiddette tailor-made. Le prime sono sottoscritte da investitori istituzionali che
possiedono un certo livello di conoscenze e capacità necessarie per comprendere gli
aspetti più peculiari di questi titoli. Le seconde, invece, sono confezionate su misura in
base alle esigenze dell’investitore quindi la loro scarsa standardizzazione non le rende
idonee ad essere offerte a un vasto pubblico. Inoltre, la minore necessità di produrre
informazioni rende tale procedura particolarmente indicata in tutti quei casi in cui non
si desideri un’eccessiva diffusione al mercato dei dati aziendali.
La diffusione della tecnica della cartolarizzazione è avvenuta in modo poco standardizzato e
ha portato alla nascita di differenti strutture operative, riconducibili ad altrettante differenti
tipologie di ABS, al fine di soddisfare le molteplici esigenze dei soggetti coinvolti nelle
securitisation. Nell’ambito di questa varietà di soluzioni è, tuttavia, possibile identificare tre
strutture fondamentali che verranno presentate nel seguito:
- la struttura pass through;
- l’asset backed bond structure;
- la struttura pay through.
Tali strutture differiscono principalmente in relazione a due variabili (Damilano, 2001):
- la proprietà degli attivi smobilizzati (che, a seconda dei casi, può essere dell’emittente
o degli investitori finali);
- le modalità dei pagamenti effettuati agli investitori finali in quanto, i suddetti
pagamenti possono essere più o meno strettamente correlati a quelli generati dal
portafoglio di attività sottostanti.
La scelta della struttura da adottare dipende da vari fattori, tra cui gli obiettivi dell’originator,
nonché i limiti e le opportunità del mercato in cui avviene l’operazione di cartolarizzazione.
Le strutture pass through e pay through trovano maggiore diffusione nel mercato delle
cartolarizzazioni statunitense mentre le cartolarizzazioni anglosassoni adottano normalmente
la struttura pass through o l’asset backed bond.
15
Struttura pass through
Nella cartolarizzazioni pass through l’originator trasferisce un portafoglio di attività illiquide
attraverso un deposito al veicolo, il quale assume la forma di trust. Il trust 81 è una società a
gestione passiva priva di capitale proprio che finanzia l’acquisizione dei crediti attraverso
l’emissione di quote indivise di proprietà. La caratteristica peculiare di questa struttura risiede
nel fatto che il veicolo non acquista la titolarità degli attivi poiché il trasferimento non
avviene tramite un contratto di cessione bensì sono gli investitori, che sottoscrivono i titoli
ABS emessi dal trust, i proprietari degli attivi ceduti in quanto detengono un diritto di
proprietà sugli attivi cartolarizzati. Dal momento che i titoli emessi conferiscono la proprietà
di una quota parte degli attivi ceduti, esiste una stretta correlazione tra la scadenza degli
interessi e delle quote capitale dei primi e quella dei secondi. Questo comporta che le ABS
pass through presentano la stessa configurazione finanziaria per quanto concerne gli interessi
e le quote capitali del pool di attivi ceduti. Tuttavia, la correlazione tra pagamenti provenienti
dal pool e quelli dovuti agli investitori finali non può ritenersi perfetta, sia in termini di
ammontare sia per scadenze. Infatti, con riferimento al primo aspetto, occorre considerare la
presenza delle commissioni di servicing che l’originator deduce dai flussi derivanti dal pool
quindi le somme a disposizione degli investitori risultano minori. Con riferimento al secondo
aspetto c’è da considerare la presenza di un fisiologico sfasamento temporale connesso alla
materiale impossibilità di effettuare un trasferimento istantaneo dei flussi (Galiani, 2003).
Il principale limite della struttura è rappresentato dal fatto che espone gli investitori a un
rischio di rimborso anticipato. Considerata la stretta correlazione esistente tra pagamenti sui
titoli ABS e flussi originati dal pool cartolarizzato la presenza del prepayment risk determina
un’aleatorietà nella sequenza temporale dei cash flow.
Asset backed bond structure
A differenza della cartolarizzazione pass through nelle operazioni di securitisation che
impiegano la struttura asset backed bond è il veicolo ad essere il proprietario degli attivi
trasferiti. Quindi gli investitori in titoli emessi dallo SPV sono detentori di un diritto di credito
limitato al portafoglio posto in garanzia di tale credito, ma la loro posizione non è quella di
creditore diretto verso il pool di prestiti ceduto, ma quello di creditore nei confronti
dell’emittente dei titoli.
I pagamenti relativi alle ABS non sono correlati per scadenze alle caratteristiche e ai flussi dei
crediti ceduti e proprio in virtù di questo mancato collegamento il veicolo può ristrutturare i
cash flow derivanti dai crediti cartolarizzati in più tranche di titoli con scadenza diversa.
Struttura pay through
Gli asset oggetto di cartolarizzazione sono ceduti allo SPV, che può assumere la forma di
società di capitali, di società di persone o di trust, il quale emette propri titoli che
costituiscono un’obbligazione dell’emittente garantita dal portafoglio di asset (come nel caso
dell’asset backed bond structure). Per quanto riguarda i pagamenti nei confronti dei detentori
dei titoli ABS non necessariamente vi è una coincidenza nella tempistica tra i flussi dei
pagamenti relativi alle ABS e ai flussi derivanti dai crediti ceduti. Lo SPV esegue i pagamenti
in linea interesse e capitale in base a un piano di pagamento ben definito a prescindere dal
momento in cui riceve i rimborsi dai debitori ceduti.
81
Il trust nelle strutture pass through può assumere la forma di: grantor trust, owner trust o master trust (Rumi,
2001).
16
1.2.1 Cartolarizzazione di crediti nonperfoming
Gli intermediari finanziari possono cedere crediti verso la clientela performing o
nonperforming. Con il termine nonperforming ci si riferisce a quei crediti concessi a
prenditori di fondi che in passato hanno già registrato sintomi di anomalia e normalmente
sono stati già classificati dall’originator in una delle categorie di crediti dubbi. Le prime
operazioni di securitisation effettuate in Italia hanno riguardato proprio i crediti in sofferenza
in quanto la tecnica della cartolarizzazione ha rappresentato per gli intermediari finanziari un
valido strumento per la gestione dei crediti problematici.
Essendo il pool di asset composto da crediti nonperforming la stabilità del portafoglio stesso è
messa fortemente a rischio dalla maggiore probabilità di verificarsi eventi di default che
provocano pericolosi mismatching tra i flussi di cassa attesi e gli importi da corrispondere ai
sottoscrittori dei titoli. Assumono, perciò, importanza primaria per la buona riuscita
dell’operazione le tecniche di credit enhancement impiegate e le capacità del servicer di
recuperare i crediti ceduti. In questo contesto la probabilità di incorrere in scompensi di cassa
è piuttosto elevata perciò può essere previsto l’intervento di un Saf provider che fornisce al
servicer una linea di liquidità (Saf – servicer’s advance facility) qualora in un determinato
periodo si registrino deficit di cassa.
Contrariamente alla cartolarizzazione di crediti in bonis, ossia di finanziamenti concessi alla
clientela performing per i quali ci si attende un regolare rimborso del debito alle scadenze
contrattuali, la securitisation dei crediti anomali si configura come una tecnica contingente
che ha come unico obiettivo l’eliminazione dal bilancio dei crediti indesiderati. La prima,
invece, è una pratica di gestione attiva del portafoglio crediti adottata nell’ambito di una
strategia di lungo periodo. La cartolarizzazione dei crediti in sofferenza potrebbe sortire,
inoltre, l’effetto opposto a quello desiderato (miglioramento del portafoglio crediti) a causa
degli incentivi in capo all’originator ad attuare un’attività di lending più azzardata mossa dalla
consapevolezza di poter poi cartolarizzare i crediti in un secondo momento. Le conseguenze
dirette di questo comportamento opportunistico sono l’aumento del livello di rischio
dell’attivo dell’intermediario finanziario e la maggiore instabilità dei rendimenti ad esso
collegati. Infine, la cartolarizzazione dei crediti in sofferenza può pregiudicare la possibilità
per l’originator di avviare nuove operazioni e più genericamente può provocare effetti
negativi sulla sua reputazione.
Sebbene non vi siano particolari vincoli concernenti la qualità degli attivi da sottoporre a
cartolarizzazione per i suddetti aspetti critici relativi alla securitisation di crediti
nonperforming è possibile affermare che i crediti ottimali da smobilizzare sono quelli in
bonis.
1.2.2 Cartolarizzazione di crediti futuri (future flow securitisation)
Fino ad ora si è assunto implicitamente che gli asset che vengono ceduti per mezzo della
cartolarizzazione siano esistenti al momento del trasferimento, invece, è possibile
cartolarizzare anche attivi attesi di esistere in futuro. La cartolarizzazione di cash flow futuri
prende il nome di future flow securitisation ed è una tecnica molto utilizzata nei paesi
17
emergenti come fonte di finanziamento 82. La determinante principale della cartolarizzazione
di crediti futuri è il fuding che può essere inteso come:
- possibilità di ottenere maggiori fondi rispetto a operazioni di finanziamento
alternative;
- possibilità di ottenere fondi a un costo minore rispetto a quello praticato da altre forme
di finanziamento.
I flussi futuri più idonei ad essere cartolarizzati sono: crediti derivanti dalla vendita di petrolio
greggio, crediti derivanti dalla vendita di biglietti aerei, credit card receivable, crediti da
esportazioni, gas royalties (Ketkar et al, 2001).
I future receivable essendo un credito che si manifesterà in futuro sono per definizione incerti,
altamente imprevedibili e, soprattutto, dipendono dalla capacità dell’originator di condurre la
sua attività. Oltre all’incertezza dei flussi futuri legata alla presenza del performance risk, la
cessione di crediti non esistenti comporta un rischio operativo, connesso all’esecuzione della
prestazione, che potrebbe non essere svolta secondo gli accordi contrattuali, non facendo
sorgere il relativo credito, che è stato già cartolarizzato. Inoltre, il rischio di insolvenza
dell’originator assume un’importanza decisiva, dal momento che i crediti futuri potrebbero
essere attratti nella massa fallimentare del cedente.
Whole business securitisation
Un particolare tipo di cartolarizzazione di future receivable è rappresentato dalla whole
business securitisation (WBS). In questo paragrafo viene solo accennata la WBS e vengono
fornite le informazioni di base a causa della scarsa diffusione di tale tecnica sebbene le sue
origini risalgano alla metà degli anni Novanta 83. Infatti, ad oggi, la quasi totalità delle
operazioni di WBS ha avuto origine nel Regno Unito facendo supporre che si tratta di una
tecnica che ha difficoltà ad affermarsi pienamente.
La whole business securitisation è una tecnica finanziaria che prevede l’emissione di titoli a
fronte di flussi (esistenti e futuri) generati da un’impresa nel suo complesso (o da una sua area
di business) 84. Si tratta di un’operazione ibrida, a metà strada tra la cartolarizzazione classica
e il prestito garantito poiché tipicamente l’impresa cui fanno capo i flussi futuri ottiene risorse
finanziarie a titolo di debito erogate sotto forma di mutuo garantito. La forma più semplice di
WBS si articola su tre fasi:
- l’operating company (mutuatario) cede allo SPV i diritti sui cash flow futuri generati
dalla propria gestione ordinaria. Il mutuatario è la società cui fa capo il business su cui
si fonda l’operazione e mediante la WBS intende reperire risorse finanziarie a titolo di
capitale di debito. Inoltre, esso è il soggetto deputato a gestire attivamente gli asset
affinché producano cash flow;
- lo SPV (mutuante) concede il prestito al mutuatario tramite l’emissione di titoli e il
loro successivo collocamento sul mercato;
82
In una tipica transazione di future flow l’originator, residente in un paese in via di sviluppo, vende i receivable
futuri a uno SPV offshore che emette le note. L’originator individua una serie di debitori i quali versano le
somme dovute sulle merci importate in un apposito conto offshore gestito dal trustee. Il trustee successivamente
cura la fase di pagamento degli interessi e di rimborso del capitale sulle note attingendo la liquidità direttamente
dal conto; eventuali fondi rimasti vengono trasferiti all’originator (Ketkar et al, 2001).
83
Per approfondimenti sul tema si veda Mazzuca (2007a).
84
La WBS viene definita anche operating-assets securitisation proprio ad evidenziare che gli asset oggetto di
cartolarizzazione rimangono nel portafoglio dell’impresa sponsor che continua a gestirli attivamente al fine di
rimanere sul mercato e di produrre flussi futuri (Mazzuca, 2007a).
18
-
i sottoscrittori dei titoli emessi dallo SPV sono i finanziatori indiretti del mutuatario.
Essi acquisiscono i diritti tipici degli obbligazionisti che risultano però rafforzati da
speciali diritti di priorità di rimborso del capitale e degli interessi e dalla presenza di
supporti strutturali (credit enhancement e/o liquidity enhancement).
Una delle caratteristiche principali della WBS è l’elevata flessibilità, soprattutto sul piano
della tecnica, e quindi della capacità di adattarsi alle esigenze dei soggetti che la pongono in
essere. Le principali finalità economiche che lo sponsor si prefigge di conseguire sono: la
raccolta di risorse finanziarie (a titolo di debito) e l’accesso privilegiato al mercato dei capitali
in quanto il rating medio delle note è migliore del rating dell’impresa originator che desidera
finanziarsi. Gli obiettivi raggiungibili fanno si che la WBS non presenti differenze
significative con la cartolarizzazione tradizionale. La differenza principale, invece, riguarda la
modalità con cui gli asset oggetto di cartolarizzazione vengono ceduti: in una
cartolarizzazione cash viene impiegata la true sale mentre nel caso della WBS gli attivi non
vengono ceduti ma si ricorre ad altre varianti tecniche (ad esempio la charge) al fine di
ottenere l’effetto di isolamento. La ragione per cui il trasferimento degli asset non ha luogo è
legata al fatto che nella WBS oggetto della cartolarizzazione è l’intero business che deve
essere gestito attivamente al fine di generare i cash flow futuri destinati a pagare il servizio di
debito sulle note (e quindi di assicurare il successo dell’operazione).
Le motivazioni che inducono l’originator a implementare la WBS piuttosto che una
cartolarizzazione cash risiedono nell’esistenza di eventuali limiti di natura legale che
impediscono una cessione effettiva e/o nell’impossibilità di segregare un pool di asset
dall’attivo dell’originator. Il limite principale di questa tecnica è rappresentato dalla difficoltà
di stimare con un certo livello di precisione i futuri flussi che deriveranno dall’intero business;
per questa ragione le imprese più adatte alla WBS sono quelle che presentano alcuni
prerequisiti (presenza di barriere all’entrata nel mercato in cui opera l’originator, prevedibilità
delle dinamiche di lungo periodo del settore di appartenenza, fatturato e reddito positivi e
stabili e chiara definizione della strategia di lungo periodo) che favoriscono la produzione di
flussi futuri relativamente prevedibili e poco volatili. Le suddette condizioni determinano una
della specificità del mercato della WBS ossia l’elevata concentrazione settoriale; gran parte
delle operazioni di WBS riguarda specifici settori come quello dei pub in franchising, delle
public utilities e dei servizi legati all’erogazione dell’acqua.
1.3 Cartolarizzazione sintetica
La cartolarizzazioni sintetica rappresenta la principale struttura di securitisation alternativa
alla cartolarizzazione tradizionale. Le differenze principali tra strutture cash e sintetiche
risiedono essenzialmente nella natura sintetica e nell’utilizzo dei derivati creditizi nelle
operazioni di synthetic securitisation. Infatti, la cartolarizzazione tradizionale comporta la
cessione pro soluto di un portafoglio di attivi dall’originator al veicolo mentre con la
cartolarizzazione sintetica gli attivi sono mantenuti nel bilancio dell’originator e viene
trasferito il loro effetto economico per mezzo di credit derivative. È comunque opportuno
ribadire che esistono anche delle analogie tra le due strutture riferibili principalmente al fatto
che entrambe si fondano sul medesimo concetto ovvero l’esposizione da parte degli investitori
al rischio di credito associato al pool di attivi, concetto che determina l’esistenza di finalità
economiche comuni.
19
La cartolarizzazione sintetica promuove, dunque, il trasferimento del solo rischio di credito
relativo a un portafoglio di asset e non anche della proprietà degli stessi. Esistono vari modi
per spiegare in cosa consiste la cartolarizzazione sintetica: può essere vista come una sintesi
tra la cartolarizzazione e i derivati creditizi o come la cartolarizzazione di derivati creditizi o
ancora come l’unione dei credit derivative con la securitisation. Tutte le precedenti
spiegazioni aiutano a formulare un’idea sul tema ma la definizione che va direttamente alla
radice del termine è quella di creare sinteticamente un titolo ABS da uno scambio di credit
derivative (Kothari, 2006).
Poiché manca il passaggio di proprietà del portafoglio di asset non si realizza la cessione pro
soluto degli attivi, ma il trasferimento del relativo rischio di credito totale o parziale,
dall’originator agli investitori (via SPV), avviene mediante derivati su crediti, quali i CDS
(credit default swap), i TRS (total return swap) e le CLN (credit-linked note) (vd. Riquadro
1). Le attività soggette a cartolarizzazione, pertanto, restano nel bilancio dell’originator,
mentre lo SPV detiene un pool di derivati creditizi riferiti alle suddette attività. Il risultato in
termini di trasferimento del rischio di credito è uguale a quello realizzabile con la
cartolarizzazione true sale infatti, lo SPV ricrea la stessa esposizione sugli asset cartolarizzati
sottoscrivendo CDS, come controparte protection seller, riferiti agli attivi il cui rischio
l’originator desidera trasferire.
Quanto detto fino ad’ora permette di comprendere il duplice significato dell’aggettivo
“sintetica”: da un lato enfatizza un processo di cartolarizzazione più breve finalizzato al
trasferimento dell’essenziale (il solo rischio di credito) dall’altro è un preciso riferimento
verso quel processo artificiale che permette ai sottoscrittori degli strumenti emessi di ottenere
un’esposizione nei confronti del rischio di credito sottostante.
È palese che in assenza della cessione degli asset la securitisatiom non genera liquidità, per
questo motivo tali strutture sono idonee per realizzare obiettivi di capital relief o più in
generale per essere utilizzate come strumenti di risk management.
In base all’obiettivo primario perseguito dall’originator discende la struttura adottata per
portare a termine l’operazione di cartolarizzazione. Le strutture tradizionali si qualificano
come opzioni valide qualora l’obiettivo della cartolarizzazione è la raccolta di fondi, infatti, le
strutture cash consentono sempre e comunque di raccogliere liquidità e rappresentano quindi
una forma di finanziamento per il soggetto che le pone in essere. Le strutture synthetic non
permettono all’originator di raccogliere risorse finanziarie bensì consentono la liberazione di
capitale inoltre, rispetto alle cartolarizzazioni classiche, sono meno onerose e permettono di
cartolarizzare anche gli attivi non cedibili.
Rispetto alle cartolarizzazioni tradizionali quelle di natura sintetica presentano una serie di
vantaggi significativi di ordine pratico ed economico raggiungibili dall’originator. Dal punto
di vista operativo il trasferimento del solo rischio creditizio permette di superare i limiti
presenti in certi ordinamenti, europei in primis, connessi alla possibilità di trasferire la
proprietà di certi asset. Tali limiti possono comportare l’irrealizzabilità dell’operazione o
complicazioni di ordine burocratico che determinano un prolungamento dei tempi necessari
per strutturare l’operazione nonché il sostenimento di maggiori costi. In definitiva uno dei
vantaggi di natura operativa è la possibilità di costruire schemi di cartolarizzazione con
maggiore facilità superando le complessità giuridiche e amministrative proprie delle strutture
cash partendo dal fatto che è possibile porre in essere cartolarizzazioni multigiurisdizione85.
85
Si realizza una cartolarizzazione multigiurisdizione quando nel portafoglio di attivi compaiono asset facenti
capo a soggetti con sede legale in paesi diversi.
20
Inoltre, in mancanza di una vendita effettiva, è possibile cartolarizzare un’ampia varietà di
attivi purché incorporino un rischio di credito e a prescindere dalla disponibilità e/o liquidità
degli asset. Per meglio comprendere le potenzialità delle synthetic securitisation si pensi che
proprio grazie alla loro flessibilità in Italia è stato possibile realizzare la prima CDO sintetica
di tipo (Finconsumo Banca-Golden Bar (Synthetic) in cui il reference portfolio era composto
da crediti al consumo, anche in un contesto in cui mancava una previsione normativa ad hoc
riguardante questo tipo di cartolarizzazioni. Oltre ai vantaggi di natura operativa il successo
delle strutture sintetiche è riconducibile anche a motivazioni economiche. Innanzitutto la
cartolarizzazione sintetica è meno onerosa rispetto a quella cash inoltre, permette di non
pregiudicare le relazioni con la clientela la quale non viene nemmeno informata dell’avvenuta
cessione del rischio da essa originato. Si tratta di un vantaggio essenziale per le banche che
intrattengono rapporti di ordine fiduciario con i propri clienti finalizzato al consolidamento
della relazione nel lungo periodo con la possibilità di offrire ulteriori servizi finanziari. È
evidente che questi obiettivi con una cartolarizzazione classica non possono essere perseguiti,
infatti, come minimo il trasferimento della proprietà del prestito deve essere notificato al
debitore ceduto con la possibilità di minare quel rapporto fiduciario che si era instaurato
pregiudicandolo per il futuro. Infine, le strutture sintetiche permettono l’ottimizzazione del
profilo di rischiosità del proprio portafoglio in modo semplice e diretto infatti, tali strutture
possono essere concepite come veri e propri strumenti di gestione del rischio di credito a 360
gradi nel senso che, non solo, consentono il trasferimento del rischio a terzi ma permettono
anche di acquisire esposizioni creditizie nei confronti di soggetti con i quali non sono
intrattenute relazioni di clientela.
Riquadro 1: I derivati creditizi (credit derivative)
Tradizionalmente le banche hanno svolto la funzione di prestare denaro e di assumersi il
rischio di credito legato alla possibile insolvenza dei debitori invece, con l’introduzione dei
derivati creditizi, è possibile negoziare il rischio di credito (Hull, 2006).
I credit derivative sono strumenti finanziari che consentono il trasferimento degli effetti
economici del rischio di credito relativo a un determinato soggetto – reference entity – verso
cui si detiene un’esposizione nelle forme di affidamento creditizio o valori mobiliari con la
particolarità di non intaccare la relazione debitore-creditore. In sostanza le banche che
utilizzano credit derivative sono in grado di gestire attivamente i loro portafogli mantenendo
l’esposizione verso alcuni rischi di credito ed entrando in derivati creditizi che li proteggano
da altri.
I soggetti coinvolti nel contratto sono il protection buyer – colui che acquista protezione dagli
effetti economici del rischio – e il protection seller – la controparte che vende protezione.
L’utilizzo dei derivati su crediti ha assunto negli ultimi anni una crescente importanza
favorendo sempre più l’utilizzo di questi strumenti per fini di copertura o per la negoziazione
delle aspettative sul merito creditizio. Le banche, solitamente, sono state tra i maggiori
compratori di protezione creditizia e le compagnie di assicurazione tra i maggiori venditori 86.
Qui di seguito verranno presentati i derivati creditizi più impiegati per trasferire il rischio in
una cartolarizzazione sintetica.
86
Il settore assicurativo non è regolamentato nello stesso modo di quello bancario e tende a vedere i rischi di
credito da un punto di vista attuariale piuttosto che da un punto di vista finanziario. Di conseguenza, le
compagnie di assicurazione sono più propense delle banche ad assumersi i rischi di credito.
21
Credit Default Swap (CDS): strumento derivato in base al quale un soggetto (protection
seller), a fronte del versamento di un premio periodico, si impegna a corrispondere ad un altro
soggetto (protection buyer) un pagamento qualora, entro una certa data, un terzo soggetto
diventi insolvente. I CDS offrono, quindi, protezione contro il rischio di insolvenza (credit
event) di una specifica società denominata reference entity ovvero proteggono contro il
rischio di credito insito in un singolo asset o in un pool di asset detenuti in portafoglio.
Le parti di un contratto CDS specificano quale tipologia di credit event può essere considerata
default. Infatti, esistono varie tipologie di credit event: mancato pagamento del dovuto,
fallimento, dichiarazione di insolvenza o riconosciuta incapacità a pagare i debiti per quanto
dovuto, ammissione a procedure concorsuali, nomina di un amministratore o liquidatore per
tutte le attività e ristrutturazione del debito. Inoltre, le parti possono accordarsi in modo tale
che l’obbligazione del protection seller sia dovuta al verificarsi del credit event solo al
superamento di un determinato livello di perdita.
Nel contratto di CDS viene individuato il capitale nozionale, pari al valore nominale delle
obbligazioni o del pool di asset il cui rischio si intende trasferire, in base al quale viene
calcolato l’ammontare del premio periodico espresso in punti base annui versato dal
protection buyer fino alla scadenza del contratto o fino al verificarsi dell’evento creditizio.
In caso d’insolvenza lo swap viene liquidato con le modalità di settlement previste dal
contratto. Tipicamente esistono due tipi di settlement:
- modalità cash: prevede che il venditore di protezione effettui un pagamento alla
controparte pari alla differenza tra il valore iniziale e quello finale del reference bond;
- modalità physical: prevede l’acquisto da parte del protection seller a un prezzo
prestabilito all’inizio del contratto (o con modalità prestabilite di determinazione del
prezzo) del reference bond interessato dal credit event.
Total Return Swap (TRS): il contratto di TRS prevede lo scambio del tasso di rendimento di
una specifica attività di riferimento con un altro tipo di cash flow (in genere il Libor
maggiorato di uno spread).
Colui che si impegna a pagare il tasso di rendimento dell’attività di riferimento è detto
protection buyer mentre la controparte è il protection seller.
Il tasso di rendimento complessivo (total return) che viene scambiato include i pagamenti in
linea interesse e capitale contrattualmente previsti nonché gli apprezzamenti del valore di
mercato del reference asset rilevati durante la vita dello swap. Il protection seller, invece,
corrisponde alla controparte dei flussi periodici tipicamente agganciati al Libor maggiorato di
uno spread più gli eventuali deprezzamenti dell’attività di riferimento.
Credit Linked Notes (CNL): le CLN sono strumenti legati al rischio di credito di una
reference entity dalla cui performance (in termini di deterioramento della qualità del credito
e/o di default) dipende l’entità dei pagamenti degli interessi sulle note nonché del loro
rimborso a scadenza.
Il protection buyer è colui che emette le note che verranno sottoscritte dal protection seller il
quale effettuerà un pagamento al compratore di protezione pari al valore nominale delle note
(sottoscrizione alla pari). Se, entro la scadenza delle note, non si verifica l’evento creditizio il
compratore di protezione rimborsa alla pari le note; al contrario, in caso credit event, il
protection buyer si limita a ridurre il valore di rimborso del titolo, senza quindi essere
soggetto ad alcun rischio di credito. L’ammontare del rimborso dipenderà dalla riduzione di
valore subita dall’entità di riferimento per effetto del deterioramento della qualità del credito.
22
1.4 Cartolarizzazione revolving
La cartolarizzazione con struttura revolving comporta l’emissione di ABS con importo e
scadenza definiti a fronte di un portafoglio di attività con ammontare e scadenza variabili.
La struttura revolving prevede due periodi distinti: il revolving period e l’amortization period.
Nel periodo revolving i sottoscrittori di ABS ricevono una serie di cash flow a titolo di
interessi mentre i rimborsi in linea capitale di loro competenza vengono utilizzati dal veicolo
per acquistare nuovi crediti con analoghe caratteristiche, al fine di mantenere un livello
costante di attivi a supporto degli investitori. Nel successivo periodo di ammortamento –
amortization period - i flussi di interesse sui crediti continuano a essere utilizzati per il
pagamento degli interessi sulle ABS e delle spese operative; le quote capitale di competenza
degli investitori sono utilizzate per rimborsare i titoli.
L’amortization period potrebbe essere preceduto dall’accumulation period, della durata di un
anno circa, durante il quale i pagamenti dei debitori sottostanti sono trasferiti a un conto di
riserva in modo da accantonare le risorse necessarie per il rimborso dei titoli ABS. Il rimborso
del capitale ai sottoscrittori dei titoli ABS può avvenire mediante il pagamento di una serie di
rate di uguale importo – controlled amortization – oppure mediante versamento in un'unica
soluzione – bullet.
Le operazioni revolving sono utili quando la scadenza dei crediti ceduti è di breve periodo e
diversa da quella delle ABS (ad esempio carte di credito). Tali strutture possono essere
utilizzate anche per crediti con scadenza oltre il breve periodo e, anche in questo caso, viene
previsto un periodo revolving in cui le quote capitale versate dai debitori originari sono
utilizzate per acquistare nuovi crediti e una fase di ammortamento in cui si procede anche al
rimborso del capitale.
Nelle cartolarizzazioni revolving le caratteristiche iniziali del portafoglio possono peggiorare
a seguito di modifiche nelle politiche di erogazione dei crediti perseguite dall’originator a
danno della qualità delle ABS emesse. Per consentire il mantenimento dell'originario merito
creditizio dell'operazione e, quindi, dell'eventuale rating inizialmente assegnato ai titoli assetbacked lo SPV acquista crediti fungibili ed omogenei rispetto a quelli scaduti e che rispettino
le caratteristiche previste nel prospetto dell'operazione medesima. Inoltre, per limitare tale
rischio, risulta utile l’uso di scenari di stress che considerino ipotesi di deterioramento della
qualità del portafoglio nonché la predisposizione di trigger event che facciano scattare il
rimborso anticipato del capitale evitando, in tal modo, ulteriori deterioramenti. La
predisposizione di trigger event è comune alle strutture di cartolarizzazione revolving e ha la
funzione di salvaguardare gli investitori in ABS.
1.5 Cartolarizzazioni tramite conduit
Negli ultimi anni si sono affermate nuove tecniche di cartolarizzazione basate sulla creazione
di società veicolo denominate conduit. Tali tecniche di cartolarizzazione prevedono la
cessione degli attivi al conduit il quale finanzia l’acquisto attraverso l’emissione di una
particolare tipologia di strumento finanziario denominato asset backed commercial paper
(ABCP) con scadenza pari o inferiore all’anno (di solito 1, 3 o 6 mesi). Gli attivi
collateralizzabili che compongono il portafoglio possono essere prestiti al consumo (sia alla
23
clientela prime sia a quella subprime), prestiti o leasing per l’acquisto dell’auto, obbligazioni
(tra cui high yield bonds) o ABS.
I conduit come i tradizionali SPV sono progettati come entità a basso rischio di fallimento,
tuttavia al di là di questa caratteristica comune i conduit presentano una serie di elementi
distintivi:
- gli acquisti degli attivi, tipicamente a medio-lungo termine, sono finanziati attraverso
l’emissione di commercial paper (CP) a breve scadenza garantita dagli asset
sottostanti. Inoltre, frequentemente, le ABCP in scadenza vengono rimborsate
mediante l’emissione di nuove ABCP;
- il servizio sui titoli emessi dipende principalmente dai flussi di cassa del portafoglio
sottostante e dalla capacità del conduit di emettere nuove CP.
Le operazioni di cartolarizzazione in esame possono essere strutturate tramite lo schema
single-seller o tramite lo schema multi-seller. Lo schema più diffuso è multi-seller e in base ai
valori forniti da Criado et al (2008) alla fine di marzo 2007 negli Stati Uniti i conduit multiseller rappresentavano il 54% del totale. In caso di struttura single-seller il conduit emette
ABCP a fronte della cessione di un portafoglio da parte di un unico cedente; al contrario,
nelle strutture multi-seller, intervengono diverse banche originator che trasferiscono i propri
attivi al conduit (vd. Figura 1.2). I coundit multi-seller investono, quindi, in asset di più
originator sfruttando in tal modo l’opportunità di formare portafogli composti da più asset
type e quindi molto diversificati. La varietà dei pool è assicurata da una serie di limiti alla
concentrazione che riguardano gli asset type, i settori e la localizzazione geografica; in tal
modo i portafogli saranno meno dipendenti dalle performance di uno specifico asset.
Figura 1.2: Schema di cartolarizzazione con conduit multi-seller
Fonte: FitchRatings (2001)
Oltre ai conduit single-seller e multi-seller è possibile individuarne un altro tipo: lo structured
investment vehicle (SIV) specializzato nell’acquisto di prodotti di finanza strutturata.
In aggiunta alle tecniche di credit enhancement comunemente impiegate in operazioni di
securitisation classica nelle cartolarizzazioni tramite conduit assumono particolare rilievo i
supporti alla liquidità. Infatti, la presenza di una serie di rischi associati al possibile
24
sfasamento temporale tra i cash flow delle attività cedute e dei titoli emessi e all’eventualità
che il conduit sia incapace di emettere nuove CP implica la predisposizione di una serie di
fondi di liquidità a favore del conduit. Oltre al rischio di liquidità altrettanto importante in una
emissione di ABCP è il rischio di deterioramento della qualità degli asset sottostanti. Un
eventuale deterioramento della qualità degli attivi sottostanti provoca una duplice
ripercussione sulla società veicolo: da un lato, diminuisce il valore del patrimonio e,
dall’altro, vi è il rischio di non riuscire a collocare i commercial paper di nuova emissione a
causa della diffidenza dei potenziali investitori. Allo scopo di minimizzare le perdite in caso
di deterioramento della qualità degli asset, di frequente, le emissioni di ABCP incorporano dei
sistemi di protezione denominati CP stop-issuance. Tali sistemi entrano in funzione in caso di
insolvenza di uno specifico asset o dell’intero portafoglio e causano l’arresto immediato delle
nuove emissioni di CP. L’intervento del liquidity provider e del credit enhancement provider
consente ai titoli emessi dai conduit di godere di un rating molto elevato (nella prassi, infatti,
gran parte delle tranche di ABCP ha il rating più alto assegnato a strumenti a breve termine
dalle agenzie di rating).
1.6 Cartolarizzazione repackaging
Uno degli sviluppi più recenti nel panorama delle cartolarizzazioni è rappresentato dalla
strutturazione di operazioni in cui il portafoglio di asset è costituito da prodotti di finanza
strutturata (ABS). Queste operazioni prendono il nome di cartolarizzazioni repackaging o
resecuritisation. Le prime operazioni di resecuritisation risalgono alla fine degli anni Novanta
quando le principali strutture utilizzate erano tipicamente cash con un collateral composto da
un numero elevato di tranche mezzanine di high yield Collateralized Bond Obligation (CBO).
La diffusione dei repackaging è probabilmente un fenomeno naturale, conseguenza della
crescita straordinaria del mercato delle cartolarizzazioni e quindi dell’aumento progressivo
della disponibilità di tranche che costituiscono il collateral.
Le cartolarizzazioni repackaging vengono definite anche two-layer securitisation ovvero
operazioni di cartolarizzazione il cui sottostante è formato da titoli che a loro volta sono frutto
di operazioni di cartolarizzazione e si contrappongono alle one-layer securitisation ossia le
cartolarizzazioni tradizionali (vd. Figura 1.3).
Sicuramente uno dei driver più significativi dello sviluppo di queste particolari forme di
cartolarizzazione è il maggior grado di personalizzazione degli strumenti emessi, se comparati
con gli ABS tradizionali. Gli investitori che sottoscrivono titoli emessi a seguito di una
ricartolarizzazione beneficiano di un’immediata esposizione diversificata a un mix di
strumenti di finanza strutturata altrimenti non accessibile. Infatti, per mezzo delle
resecuritisation, è possibile formare pool di asset altamente diversificati composti da diversi
prodotti di finanza strutturata (al contrario è altrettanto possibile formare portafogli con un
minore livello di diversificazione ad esempio composti da prodotti riconducibili al settore
real-estate). Inoltre, solitamente, le emissioni di repackaging presentano un profilo di
rimborso in un’unica soluzione a scadenza e ciò ne aumenta il mercato potenziale data la
conseguente semplificazione della gestione dal punto di vista dell’investitore. Altro fattore da
non trascurare, che ha aumentato l’appetibilità dei titoli ricartolarizzati, è la possibilità di
realizzare spread relativamente maggiori rispetto ai titoli tradizionali in un contesto di bassi
tassi di interesse. Un maggiore spread è comunque sintomo della presenza di un premio
25
richiesto dagli investitori giustificato dalla maggiore complessità del prodotto, dalla struttura
che incorpora un doppio leverage, dalla maggiore esposizione al rischio sistematico e dallo
scarso sviluppo di un mercato secondario per i titoli repackaging.
Le cartolarizzazioni repackaging proprio per la loro caratteristica di essere composte da due
cartolarizzazioni pongono una serie di difficoltà nella valutazione del rischio dei titoli emessi.
Tuttavia è possibile affermare che, se il portafoglio di prodotti di finanza strutturata è ben
diversificato allora l’esposizione al rischio idiosincratico, ovvero il rischio determinato da
improvvisi peggioramenti del merito creditizio di singoli emittenti all’interno del portafoglio,
è pressoché eliminato. Pertanto la performance del pool di asset dipenderà in larga parte dal
rischio sistematico; piccole variazioni nei driver di rischio sistematico causeranno ingenti
perdite per le varie tranche. In particolare, in periodi caratterizzati da gravose pressioni
sistemiche, le tranche senior saranno colpite da perdite di entità notevole (cliff effect); per
questo motivo è possibile sostenere che le tranche senior tendono ad essere maggiormente
sensibili agli shock sistemici.
In aggiunta, il principale punto di debolezza dei prodotti repackaging è la possibilità che
possano riprodurre l’esposizione nei confronti di singoli asset (overlapping) con la
conseguenza di moltiplicare le perdite in caso di default di questi attivi 87.
Figura 1.3: Esempio di cartolarizzazione two layer: creazione di un Collateralized Debt
Obligation (CDO) basato su un pool di Residential Mortgage Backed Securities (RMBS)
Fonte: Criado et al (2008)
1.7 I soggetti partecipanti all’operazione di cartolarizzazione
In un’operazione di cartolarizzazione è possibile suddividere le attività in due categorie: le
attività primarie e le attività complementari. Le prime possono essere individuate nella
cessione dei crediti e nell’emissione dei titoli; le seconde svolgono un fondamentale ruolo di
87
Si supponga per esempio che nel pool sottostante a una CDO sia presente un’obbligazione Fiat e si ipotizzi che
la CDO emessa venga successivamente selezionata per formare, insieme ad altre, il collateral di una seconda
CDO (CDO2); a questo punto il nome Fiat potrebbe ricorrere diverse volte. Ebbene in caso di default
dell’obbligazione Fiat, è evidente che le perdite cui sono esposte le tranche emesse del secondo CDO risultano
moltiplicate.
26
sostegno alle attività primarie fornendo input, tecnologie, risorse e altri servizi a elevato
valore aggiunto.
Sulla base della precedente distinzione, nel paragrafo si fornisce una descrizione delle
principali funzioni degli operatori coinvolti in un’operazione di securitisation distinguendo i
soggetti che svolgono le attività di base - orginator, Special Purpose Vehicle, investitori - dai
soggetti che effettuano le attività complementari - servicer, trustee, arranger, lead manager,
asset manager, sponsor, studi legali e fiscali, agenzie di rating, controparti di hedging, credit
enhancer, liquidity provider, underwriter, autorità di vigilanza.
1.7.1 I soggetti preposti alle attività di base
Originator
L’originator 88 è colui che provvede a generare gli asset sottostanti l’operazione di
cartolarizzazione mediante la concessione di un prestito o l’estensione di un finanziamento al
prenditore di fondi.
In base ai propri obiettivi da conseguire l’originator definisce i criteri di selezione e
aggregazione dei crediti iscritti nel proprio bilancio e trasferisce il portafoglio individuato allo
Special Purpose Vehicle (SPV), con una transazione che di norma si configura come una
cessione pro soluto, ricevendo a titolo di corrispettivo risorse liquide. Il veicolo può versare il
controvalore dovuto per intero, al momento della cessione, oppure in parte al momento del
trasferimento dei crediti e in parte dopo l’integrale rimborso di tutti i titoli emessi.
Special Purpose Vehicle (SPV)
Il veicolo, detto anche Special Purpose Entity (SPE), acquisisce le attività dell’originator
finanziandosi mediante l’emissione, sul mercato dei capitali, di titoli ABS garantiti dalle
attività stesse. Considerato il ruolo centrale del veicolo un suo eventuale fallimento può
compromettere in modo significativo il servizio sul debito delle ABS secondo i tempi e le
modalità previste. Al fine di scongiurare questa ipotesi lo SPV si configura come un’entità
bankruptcy-remote ossia come una società a ridotto rischio di fallimento. Questa peculiarità è
garantita dal fatto che le uniche risorse dello SPV sono costituite dal pool di attività e dai titoli
emessi; in aggiunta esso è sottoposto a regole definite in anticipo che hanno lo scopo di
circoscrivere la sua attività, come ad esempio limiti all’indebitamento, impossibilità di
avviare operazioni straordinarie, priorità assoluta degli investitori in ABS per il pagamento
degli interessi e il rimborso del capitale ecc.
Il veicolo può assume la forma di società di capitali o di trust 89 e in genere presenta le
seguenti caratteristiche:
- è scarsamente capitalizzato;
- non ha un management né dipendenti;
- la sua struttura è concepita per realizzare la neutralità fiscale;
- lo SPV è strutturato in maniera tale da non essere sottoposto a fallimento.
88
Il nome deriva dal fatto che l’originator è l’entità che ha dato vita al credito che verrà cartolarizzato (Kothari,
2006).
89
Esistono anche operazioni di securitisation adottate mediante cessione del portafoglio crediti a fondi comuni
di investimento. In tal caso il fondo comune di investimento sarà costituito unicamente dal pool di attività e dalle
somme via via incassate dai debitori ceduti; i titoli sottoscritti dagli investitori saranno rappresentati da quote di
partecipazione al fondo che verrà amministrato da una società di gestione (Giannotti, 2004).
27
L’originator assieme allo sponsor, se presente, devono compiere una scelta in merito alla
domiciliazione del veicolo in base agli obiettivi che intendono perseguire con l’operazione di
securitsation. Esso può essere domiciliato nel medesimo paese dell’originator e/o del mercato
nel quale si intende collocare le note sia in un paese estero. La decisione di domiciliare lo
SPV in un paese all’estero è determinata soprattutto da ragioni di natura fiscale, infatti in
molti casi il veicolo è costituito in paesi con un ordinamento giuridico favorevole (in Europa i
centri offshore più graditi sono il Lussemburgo e l’Irlanda) e secondariamente per ovviare a
gap normativi che potrebbero impedire a una speciale categoria di strumenti di prendere vita
in un determinato paese.
Investitori
Al termine delle operazioni di aggiustamento e ricomposizione dei clash flow generati dal
portafoglio ceduto le ABS vengono collocate sul mercato.
Le ABS possono essere sottoscritte da un pubblico molto vasto di investitori che comprende:
hedge fund, fondi pensione, fondi comuni, istituzioni bancarie, compagnie di assicurazione e
infine i risparmiatori. Fondi pensione ed hedge fund hanno beneficiato in modo particolare
dalle emissioni di ABS tranched. I primi, limitati nella loro operatività da una serie di vincoli
sugli investimenti, hanno prediletto le tranche dotate dei rating più elevati (AAA o AA)
mentre i secondi, dotati della massima libertà nella scelta delle attività oggetto di
investimento, hanno preferito le tranche mezzanine o equity che offrono rendimenti più
elevati. Gli investitori possono acquistare i titoli ABS al momento della loro emissione o in
seguito nel mercato secondario.
1.7.2 I soggetti preposti alle attività complementari
Servicer
Il servicer cura l’amministrazione dei rapporti di tipo finanziario con i debitori ceduti ossia si
occupa della riscossione dei pagamenti in conto interesse e capitale e dell’avvio delle
eventuali azioni legali nei confronti dei debitori insolventi. Inoltre, è incaricato di controllare
le garanzie prestate, di provvedere al pagamento degli investitori in ABS e di gestire la
liquidità in eccesso. Da quanto esposto è facile comprendere il ruolo cruciale del servicer al
fine di assicurare la remunerazione ai sottoscrittori dei titoli ABS; infatti, in particolare, dovrà
verificare che:
- i flussi derivanti dal pool di attività affluiscano nei conti dello SPV e che siano
specificatamente riservati a quella operazione di cartolarizzazione;
- l’affluenza dei flussi avvenga secondo le scadenze originariamente concordate.
Un ulteriore compito demandato al servicer consiste nell’attività di reporting; esso infatti
deve comunicare periodicamente l’andamento dell’operazione di securitisation al trustee e
allo SPV nonché alle agenzie di rating le quali potranno rivedere il proprio giudizio sui titoli
in caso di variazioni sostanziali negli elementi che le avevano portate a formulare gli originari
rating.
L’importanza dell’attività del servicer e della buona solidità finanziaria dello stesso aumenta
al peggiorare della qualità dei crediti sottostanti in quanto aumenta l’esigenza di limitare i
danni derivanti dal possibile inadempimento dei debitori ceduti.
La struttura dell’operazione può prevedere, a volte, la presenza anche di un back up servicer
che, in caso di insolvenza del servicer, si sostituisca ad esso garantendo continuità allo
svolgimento delle funzioni previste.
28
Il servicer a titolo di remunerazione per l’attività prestata percepisce una servicing fee, in
genere annuale, calcolata in percentuale dei volumi raccolti.
L’attività di servicing è sovente svolta dall’originator stesso in modo tale da ridurre i costi
dell’operazione di cartolarizzazione e da mantenere i rapporti con i debitori ceduti facilitando
così la riscossione dei crediti.
Trustee
Il trustee è di norma un’istituzione specializzata (ad esempio una banca) che agisce per conto
degli investitori assicurando il corretto pagamento degli interessi, vigilando su qualsiasi
evento che possa ledere i loro interessi e informandoli tempestivamente di qualsiasi
accadimento legato all’operazione di cartolarizzazione. Normalmente dispone di un mandato
fiduciario che gli permette di intraprendere iniziative legali necessarie per la protezione degli
interessi dei sottoscrittori di ABS. La presenza di un soggetto posto a tutela degli investitori
consente una maggiore fiducia da parte di chi acquista titoli, considerando che tali strutture
includono spesso un’asimmetria informativa, tra chi genera e chi acquista, che può aumentare
con il trascorrere del tempo (Galiani, 2003).
Arranger
Banca d'investimento (o un’istituzione specializzata nei servizi di investment banking come
ad esempio la divisione investment banking di una banca o talvolta una Società di
Intermediazione Mobiliare, SIM) si occupa di definire la struttura dello schema di
cartolarizzazione per conto dell’originator e fornisce assistenza nelle diverse fasi di
realizzazione dell’operazione. Si avvale di consulenti legali nell’esecuzione del controllo di
tipo legale (due diligence) sui crediti che saranno oggetto di cartolarizzazione, inoltre cura i
rapporti con le agenzie di rating e con gli altri soggetti coinvolti nell'operazione. In genere
l'arranger si occupa, tra l'altro, dell'acquisizione di informazioni relative ai crediti da
cartolarizzare (attraverso una analisi qualitativa ed una valutazione della performance storica
degli stessi) e verifica le capacità tecnico-operative del servicer.
Normalmente l’arranger, se istituto bancario, coincide con il lead manager ovvero con colui
che si occupa dell’emissione, collocamento e quotazione in borsa delle ABS. Infatti, nel caso
in cui i titoli vengano offerti al pubblico, l'arranger è anche responsabile della preparazione
del prospetto informativo necessario per l'offerta e la quotazione dei titoli, ed assicura la
conformità dell'operazione alle eventuali disposizioni della legge che regolamenta l'emissione
dei titoli.
Lead manager
Il lead manager è una banca d'investimento o un intermediario finanziario incaricato della
vendita delle attività cartolarizzate e della stesura del prospetto informativo per il
collocamento dei titoli.
Asset manager
L’asset manager, a seguito di un apposito accordo con lo SPV, è la figura deputata a costituire
e/o gestire il collateral. Esso assume un ruolo rilevante nel caso di gestione dinamica del
collateral mentre negli altri casi, o la figura non esiste in quanto è la stessa banca originator
che gestisce il portafoglio di attivi ceduti, oppure assume un ruolo marginale.
29
Sponsor
Lo sponsor è il soggetto che ha interesse a porre in essere l’operazione di cartolarizzazione.
Quindi, può essere l’originator, l’entità a cui fanno capo gli underlying asset, l’arranger o
l’asset manager.
Studi legali e fiscali
Si tratta di consulenti che offrono il loro supporto in materia legale e fiscale, valutano i rischi
legali e predispongono la base contrattuale di tutte le operazioni. Il loro intervento è
indispensabile soprattutto nelle operazioni di cartolarizzazione più complesse che prevedono
il coinvolgimento di normative di diversi paesi.
Underwriter
L’underwriter è un operatore in titoli che si impegna ad acquistare, interamente o in parte,
un'emissione ad un prezzo prestabilito; esso, quindi, si assume il rischio di mercato della
collocazione delle nuove emissioni presso gli investitori, in cambio di una commissione di
sottoscrizione. Esso ha, inoltre, la funzione di fornire indicazioni circa la strutturazione
dell’operazione in modo da realizzare un efficiente collocamento dei titoli presso gli
investitori (la consulenza riguarda ad esempio il realizzo del tranching).
Agenzie di rating
Le agenzie di rating attribuiscono un rating creditizio ai titoli emessi a seguito dell’operazione
di cartolarizzazione. Nel caso delle ABS il rating viene assegnato sulla base dell’analisi circa
l’attitudine delle attività sottostanti ai titoli emessi a produrre i cash flow necessari al puntuale
servizio del debito. Tuttavia, le agenzie di rating non si limitano alla valutazione del rischio di
credito del portafoglio cartolarizzato ma analizzano anche la struttura di pagamento, la
struttura legale, il rischio connesso ai vari partecipanti all’operazione e, infine, assistono la
banca originator nelle fasi di strutturazione della cartolarizzazione (suggeriscono la
ripartizione dell’importo complessivo di ogni singola emissione fra le diverse tranche, le
forme e l’entità del supporto al credito e delle linee di liquidità ottimali per facilitare il
collocamento delle ABS presso gli investitori finali). Il ruolo dell’agenzia di rating non si
esaurisce con l’assegnazione della propria valutazione al momento dell’emissione dei titoli
ABS ma continua con un attento monitoraggio dell’andamento dell’intera operazione teso a
verificare l’incidenza sul merito di credito iniziale di ogni evento significativo procedendo,
eventualmente, a una modifica del punteggio assegnato.
La presenza di un giudizio di rating è importante sia per gli investitori sia per l’emittente. Il
rating fornisce ai primi un’informazione sintetica concernente la rischiosità delle ABS anche a
coloro che non sono in grado di effettuare autonomamente l’analisi del rischio di credito; ai
secondi, invece, fornisce un contributo alla riduzione dei costi legati all’emissione poiché
definisce il rendimento minimo da garantire ai sottoscrittori.
Controparti di hedging
Nelle operazioni di cartolarizzazione, per ottenere il rating desiderato sui titoli da emettere è
spesso necessario coprire il rischio di tasso, in capo alla società veicolo emittente, che deriva
dal mismatch tra tasso di interesse riveniente dai crediti ceduti e tasso di interesse da pagarsi
sui titoli. Per questo motivo è fondamentale l’intervento di una controparte di hedging che
fornisca copertura per i rischi di tasso di interesse e se necessario anche di cambio.
30
Credit enhancer
Il credit enhancer è un soggetto che rilascia o predispone determinate garanzie atte a ridurre il
livello complessivo del rischio creditizio caratterizzante i titoli emessi allo scopo di ottenere
un miglior rating e, conseguentemente, di aumentare il prezzo ed il grado di liquidabilità dei
titoli.
Molto spesso accade che il credit enhancement venga fornito sia dall’originator (credit
enhancement interno) sia da uno o più soggetti terzi (credit enhancement esterno).
Liquidity Provider
Istituto che mette a disposizione uno strumento di liquidità per onorare i pagamenti di capitale
ed interessi a fronte di titoli in caso di momentanea carenza di liquidità generata dalle attività
sottostanti.
Autorità di vigilanza
Le Autorità di Vigilanza autorizzano la costituzione dello SPV, definiscono le ponderazioni
relative al calcolo del requisito patrimoniale e, infine, autorizzano il collocamento dei titoli
presso il pubblico.
1.8 Credit and liquidity enhancement e prepayment risk mitigation
Una delle fasi critiche del processo di cartolarizzazione è la selezione delle attività da
sottoporre a securitisation poiché dalla capacità degli asset di generare dei flussi di cassa
idonei a consentire il pagamento periodico degli interessi e il rimborso dei titoli emessi
dipende il merito di credito attribuito alle ABS. Considerato che il buon esito dell’operazione
dipende in larga parte dal merito di credito riferibile ai titoli cartolarizzati e che gli investitori
non sono, di norma, preparati ad assumere tutti i rischi connessi a un pool di crediti vi è,
quindi, l’esigenza di adottare garanzie di supporto capaci di migliorare il rating attribuibile
all’emissione. Al fine di offrire ai sottoscrittori di ABS un supporto a copertura del rischio di
credito vengono adottate una o più tecniche di credit enhancement. Siccome la valutazione
della società di rating prende in considerazione, oltre al rischio di credito, una serie rischi
ulteriori quali il rischio di liquidità e il prepayment risk è probabile che nella strutturazione
della cartolarizzazione vengano impiegate anche tecniche di liquidity enhancement e di
prepayment risk mitigation (le tecniche di credit and liquidity enhancement e le tecniche di
prepayment risk mitigation saranno esposte nel teso di seguito). Di norma tali meccanismi
vengono impiegati congiuntamente e, in caso di perdite, quest’ultime vengono ripartite tra tali
meccanismi secondo un ordine predeterminato. Oltre alle garanzie a supporto dell’emissione
trattate nel presente paragrafo nelle operazioni di cartolarizzazione sono di norma utilizzati
strumenti derivati (interest rate swap, currency swap ecc.) con finalità di hedging inoltre,
vengono previste delle back-up counterparties che intervengono in sostituzione delle
controparti garanti in caso di downgrading o nel caso meno probabile di fallimento.
▪ Credit enhancement
Il credit enhancement è uno strumento che migliora la qualità del cash flow di una o più
attività rispetto alla qualità intrinseca del credito inoltre, prevede elementi di tutela degli
investitori dalle perdite subite dalle attività sottostanti.
31
Il credit enhancement interviene proprio a copertura del rischio principale rilevabile nel
portafoglio cartolarizzato: il rischio di credito ossia il rischio che il debitore ceduto non
assolva anche solo in parte ai suoi obblighi di rimborso del capitale e di pagamento degli
interessi. Le garanzie offerte si distinguono in interne o esterne a seconda che il garante sia
rispettivamente l’originator o una terza controparte e, normalmente, sono utilizzate
congiuntamente. Di norma, la banca originator si assume l’onere relativo alle insolvenze che
si manifestano sul pool di asset fino a concorrenza della percentuale normale degli insoluti
calcolata su dati storici delle insolvenze e/o ritardi di pagamento sperimentati su attivi simili a
quelli che si intende cartolarizzare. Il credit enhancer esterno, invece, dietro il pagamento di
un premio assicura la copertura del rischio creditizio per insolvenze superiori al normale, di
solito sino ad un multiplo di 7-8 volte la percentuale standard assunta quale base (Monti et al.,
1991). L’originator, grazie al credit enhancement, ottiene un incremento del rating assegnato
alle ABS collocate sul mercato sino al livello di rating dell’entità garante (proprio per questo
motivo di norma il credit enhancer è dotato di rating AAA). Nello specifico, le garanzie
accessorie, consentono la creazione di titoli con rating più elevato di quello medio del
sottostante pool di asset ovvero di generare titoli dotati di rating partendo da attività che ne
sono prive ottenendo, in questo modo, un più efficace classamento dei titoli sul mercato con
un risparmio in termini di costo del finanziamento.
La scelta di quali tecniche di supporto adottare e la loro ampiezza dipende in larga parte
dall’obiettivo che l’originator intende perseguire attraverso la cartolarizzazione oltre che dalle
attività presenti nel portafoglio cartolarizzato e dall’investitore target di ABS. Se l’obiettivo
che l’originator si è prefissato è il funding, allora si cercherà si spuntare le migliori condizioni
di tasso possibili predisponendo strutture di credit enhancement molto solide, con forme di
protezione ampie e sicure. Diversamente, se l’obiettivo è la liberazione di capitale (capital
relief) ed un miglioramento dei coefficienti di redditività e di solvibilità, allora si tenderà ad
utilizzare solo le forme di garanzia strettamente necessarie, così da avere strutture snelle che
non immobilizzino molto capitale. Altri driver che guidano la scelta di quali forme di credit
enhancement utilizzare sono (Kothari, 2006):
- la perdita attesa sul pool di asset;
- la deviazione standard della perdita attesa;
- il grado di correlazione tra le diverse attività che compongono il portafoglio;
- la perdita in caso di insolvenza (loss given default, LGD).
Le garanzie interne (internal credit enhancement) si propongono di ridurre il profilo di rischio
di credito e permettono di ottenere una serie di vantaggi quali la riduzione delle commissioni
e degli oneri finanziari dovuti a terzi, la semplicità di strutturazione e il sostenimento di un
recupero puntuale ed efficiente dei crediti ceduti.
È possibile distinguere all’interno della categoria trattata diverse tipologie:
Credit tranching: si tratta della forma di credit enhancement più utilizzata. Il tranching
consiste nella suddivisione dell’emissione di titoli ABS in due o più classi caratterizzate da un
diverso livello di seniority ossia da un diverso grado di priorità di pagamento. In tal modo si
realizzano più tranche ognuna caratterizzata da un diverso profilo di rischio-rendimento.
La versione classica del tranching prevede la creazione di tre tranche90 (vd. Figura 1.4):
90
Nella pratica il numero di tranche è di solito molto superiore: le tranche possono essere, a loro volta, ripartire
in sotto-tranche che spesso hanno il medesimo rating ma scadenze distinte per tenere meglio conto delle diverse
preferenze degli investitori.
32
-
tranche senior (classe A) caratterizzata dal massimo livello di rating, dalla più elevata
priorità nel pagamento dei cash flow e da un rendimento piuttosto basso;
tranche mezzanine (classe B) caratterizzata da un livello di subordinazione intermedio
e da un rating piuttosto elevato che, normalmente, rientra nell’investment grade;
tranche junior o equity (classe C). I sottoscrittori di questa tranche percepiscono una
remunerazione solamente eventuale a condizione che a ogni data di pagamento, dopo
che i detentori delle altre tranche sono stati integralmente rimborsati, rimane una
disponibilità residua. Pertanto su di essi gravano le perdite dei crediti ceduti e/o i
ritardi di incasso dai debitori originali. Generalmente questi titoli sono privi di rating e
vengono sottoscritti interamente dall’originator per segnalare la qualità delle attività
cartolarizzate e per mantenere un forte incentivo a monitorare nel tempo il merito
creditizio delle attività sottostanti. In tal caso, il valore complessivo della tranche
equity non viene più iscritto in bilancio alla voce crediti verso clientela, ma a quella
delle attività finanziarie da negoziare sul mercato o da detenere fino a scadenza. Negli
ultimi anni, tuttavia, le tranche equity sono state spesso collocate sul mercato e
sottoscritte da hedge fund (BCE, 2008).
Figura 1.4: Esempio di credit tranching
Fonte: elaborazione propria su schema Hull (2006)
Note: La tranche junior copre il 5% del valore nominale del portafoglio e assorbe il primo 5% delle perdite per
insolvenza. La tranche mezzanine copre il 10% del valore nominale del portafoglio e assorbe il successivo 10%
delle perdite per insolvenza. La tranche senior copre l’85% del valore nominale del portafoglio e assorbe le
residue perdite per insolvenza. I tassi di rendimento si applicano sul saldo di capitale che resta nella tranche dopo
aver tenuto conto delle perdite. Ad esempio se si verificano perdite pari all’1% del valore nominale del
portafoglio queste interesseranno solo i possessori della tranche junior e rappresenteranno il 20% del loro
investimento (1/5 x 100). Il tasso di rendimento del 35% verrà pagato solo sul capitale residuo ovvero l’80% di
quello originale. Le perdite per insolvenza devono superare il 15% del valore nominale dell’intero portafoglio
per interessare i possessori della tranche senior. (Hull, 2006)
Utilizzando un gergo in uso presso gli operatori ogni tranche è individuata da due limiti
espressi in percentuale del capitale che costituisce il portafoglio di asset (Drago, 2007):
- attachment point (limite inferiore): indica la soglia a partire dalla quale le perdite del
collateral si traducono in perdite per la tranche stessa;
33
-
detachment point (limite superiore): indica la soglia a partire dalla quale le perdite del
collateral non interessano più la tranche considerata.
È evidente che il detachment point di una tranche coincide con l’attachment point della
tranche di grado immediatamente superiore nella scala di priorità. La differenza tra i due
limiti individua il nominale della tranche sempre in percentuale dell’asset pool.
Esprimendo nuovamente il concetto, i cash flow derivanti dal pool di asset cartolarizzati, dopo
aver coperto i costi operativi e le varie commissioni derivanti dall’operazione di
cartolarizzazione stessa, vengono utilizzati per i pagamenti delle cedole e/o rimborsi in via
prioritaria dei titoli senior e a seguire dei titoli mezzanine e equity. Tale impostazione implica
una cascata di pagamenti – cash flow waterfall - dove i cash flow generati dal pool di asset
sono retrocessi agli investitori in base alle priorità di pagamento.
Il credit tranching permette di ottenere una tranche (la senior), che rappresenta la quota più
corposa dell’emissione totale, dotata di un rating molto elevato poiché essa riceve in via
prioritaria i pagamenti rispetto alle classi mezzanine o equity. Quindi uno dei vantaggi del
tranching è dato dal fatto che il manifestarsi di eventi di credito sul portafoglio sottostante
non comporta necessariamente delle perdite per gli investitori; ciò è dovuto alla presenza della
subordinazione che ciascuna tranche genera per le tranche ad essa senior.
Overcollateralization: consiste nella detenzione da parte dello SPV di un portafoglio crediti
con valore superiore al valore nominale dei titoli emessi in modo tale da ridurre
significativamente la probabilità che i flussi prodotti dal portafoglio di attività siano
insufficienti a remunerare i sottoscrittori di ABS. Ad esempio, un'emissione di titoli di 75
milioni di Euro può essere garantita da un portafoglio di attività valutate per 100 milioni di
Euro; nel qual caso l'overcollateralization dei titoli sarebbe pari al 33%.
In presenza di overcollateralization le perdite causate dall’insolvenza di uno o più debitori
originari vengono assorbite primariamente dai crediti in eccesso.
Nonostante la semplicità di strutturazione questa forma di garanzia presenta alcuni svantaggi
non trascurabili (Giannotti, 2004):
- il peggioramento della qualità dei crediti ceduti comporta un deterioramento anche
della garanzia, dal momento che essa è data da crediti dello stesso tipo;
- l’originator dall’operazione di cartolarizzazione ottiene un ammontare di liquidità
inferiore a quello potenziale (una parte del valore dei crediti non è convertito in titoli),
con un utilizzo del capitale poco efficiente.
Excess spread: è la differenza positiva tra il rendimento degli attivi oggetto di
cartolarizzazione e il rendimento riconosciuto ai sottoscrittori di titoli ABS al netto dei costi
operativi. In altri termini esso rappresenta il valore aggiunto effettivamente generato
dall’operazione e può essere utilizzato per vari scopi tra i quali alimentare il conto di riserva
(spread account).
Nelle prime fasi della cartolarizzazione lo spread account è costituito attraverso le risorse
fornite dall’originator, successivamente, invece è finanziato dall’excess spread prodotto. In
caso di perdite o ritardi nei pagamenti lo SPV garantisce la puntualità di erogazione dei
pagamenti agli investitori attingendo alla riserva. Qualora le ABS siano state completamente
rimborsate ovvero qualora il fondo raggiunga il limite superiore prefissato, la riserva in
eccesso viene retrocessa all’originator a titolo di provento addizionale.
34
Reserve account: è una forma di credit enhancement richiesta soprattutto nella
cartolarizzazione di crediti nonperforming. Il reserve account altro non è che una riserva di
liquidità infatti, la liquidità derivante dal collocamento dei titoli anziché essere totalmente
retrocessa all’originator viene in parte trattenuta all’interno del veicolo a costituzione del
fondo a garanzia degli investitori.
Cash collateralization: il supporto creditizio consiste nell’erogazione, da parte dell’originator,
di un finanziamento subordinato a favore dello SPV il quale lo investirà in attività finanziarie
caratterizzate da pagamenti con scadenze che ricalcano quelle dei flussi di competenza degli
investitori in ABS. I cash flow provenienti dagli investimenti garantiranno i pagamenti anche
in caso di default degli asset sottostanti.
Alle strutture di credit enhancement di tipo interno si contrappongono le tecniche di external
credit enhancement. Quest’ultime sono forme di supporto creditizio fornito da terze
controparti che possono essere banche o compagnie di assicurazione. La garanzia viene
prestata dietro il pagamento di un premio perciò il loro utilizzo sarà subordinato ad una
attenta analisi costi-benefici, andando a comparare il costo della copertura con il risparmio in
termini di minor interesse da corrispondere agli investitori in ABS. Al fine di ottenere un
significativo miglioramento del rating è bene disporre di una controparte dotata di un alto
standing creditizio poiché il rating degli ABS non può essere superiore a quello assegnato alla
controparte in questione. Le tecniche di credit enhancement esterno più in uso sono:
Lettere di credito: si tratta di un obbligo assunto da una banca di intervenire finanziariamente
secondo l'ammontare del credit enhancement concesso. Le lettere di credito possono essere
strutturate in modo tale da assicurare una copertura in relazione all’intero ammontare degli
attivi cartolarizzati oppure in relazione agli attivi che sono via via presenti nel portafoglio (il
livello di garanzia si riduce progressivamente).
Monoline insurance: il supporto è fornito da un compagnie di assicurazione (monoline
insurer) specializzate in questo tipo di servizi che si impegnano, dietro versamento di un
premio, a garantire parzialmente o totalmente il rimborso dei titoli emessi, accollandosi il
rischio d’insolvenza degli asset sottostanti. La garanzia può coprire solamente il rischio di
credito dell’operazione oppure anche gli altri rischi tipici di un’operazione di
cartolarizzazione (legale, operativo, ecc.) ma comunque nel rispetto del vincolo statutario che
grava sulle monoline insurer che le permette di stipulare polizze per una sola tipologia di
rischi. Le monoline insurer si sono sviluppate inizialmente negli Stati Uniti per poi
successivamente diffondersi anche in Europa. L’utilizzo della monoline insurance come
forma di credit enhancement è aumentato sempre più negli anni contemporaneamente alla
diffusione delle operazioni di cartolarizzazione infatti, come riportato dall’AFGI (Association
of Financial Guaranty Insurers),91 il valore nominale di ABS assicurati in tutto il mondo da
parte dei membri AFGI ammonta ormai a oltre 800 miliardi di Dollari a fronte di 92 miliardi
Dollari nel 1996.
Multiline insurance: sono le normali compagnie di assicurazione che si impegnano a coprire
un ammontare determinato di perdite. Ad esempio possono garantire le perdite fino a certo
91
L’AFGI è l'associazione di categoria degli assicuratori e riassicuratori di obbligazioni municipali e di asset
backed securities.
35
ammontare espresso in percentuale dell’intero pool dismesso (first loss o stop loss insurance)
o al contrario garantire le perdite che eccedono un determinato valore.
Trigger event: i trigger event sono specifici eventi la cui manifestazione mostra un segnale
che l’operazione sta andando deteriorandosi. Esistono vari tipi di trigger event. Possono
essere collegati a fattori finanziari e, in tal caso, possono dipendere da un deterioramento delle
performance del pool, dall’insufficienza di flussi di cassa o dall’incapacità dell’excess spread
di coprire le perdite. In altri casi i trigger event possono riferirsi a fattori non finanziari come
ad esempio il declassamento di una controparte coinvolta nell’operazione o l’aumento dei
rischi di controparte. Solitamente gli eventi sono definiti nella documentazione
dell’operazione di securitisation che, a sua volta, regola le azioni da intraprendere nel caso in
cui “scatti” un trigger event (come ad esempio il rimborso anticipato del capitale).
Credit default swap (CDS): è un derivato del credito che permette il trasferimento del rischio
di credito relativo all’underlying pool. Prevede il coinvolgimento di due soggetti il
compratore di protezione, tipicamente lo SPV, e il venditore protezione tipicamente una
compagnia di assicurazione o un altro intermediario finanziario.
▪ Liquidity enhancement
Importanti per la buona riuscita dell’operazione di cartolarizzazione oltre alle tecniche di
credit enhancement precedentemente elencate vi sono anche le tecniche di liquidity
enhancement. Quest’ultime si propongono di affrontare temporanei deficit di disponibilità
liquide al fine di garantire la puntualità dei pagamenti dovuti agli investitori coprendo il
rischio che i debitori paghino in ritardo o che le scadenze previste per i pagamenti non
combacino con le scadenze dei pagamenti dovuti agli investitori in ABS nonché che si
verifichino ritardi dovuti ad inefficienza del servicer.
Di seguito vengono elencate le principali strutture di liquidity enhancement che trovano
applicazione in operazioni di securitisation:
Anticipi del servicer (servicer advance): il servicer rappresenta la prima fonte di liquidity
enhancement in quanto fornisce periodicamente anticipi al fine di garantire il puntale
pagamento di interessi e capitale agli investitori in ABS. I pagamenti ricevuti dai debitori
vengono trattenuti dal servicer stesso a titolo di rimborso per gli anticipi garantiti.
Linee di liquidità: il liquidity provider (in genere un istituto creditizio) assicura la
disponibilità di liquidità tramite un’apertura di credito alla quale attingere solo eventualmente
nell’ipotesi in cui si manifestino temporanei gap di liquidità.
▪ Prepayment risk mitigation
Il rischio di rimborso anticipato insorge qualora il debitore originario decide di rimborsare il
debito prima della scadenza originaria. Una tipica tecnica di mitigazione del rischio di
prepagamento utilizzata soprattutto nelle cartolarizzazioni di mutui ipotecari consiste nel
destinare in modo differenziato il capitale rimborsato in anticipo alle diverse tranche in modo
da creare tranche più esposte al prepayment risk (Fabozzi et al, 2007). Altrimenti, è possibile
adottare una serie di contromisure – prepayment penalties - sui crediti sottostanti che
scoraggino gli eventuali rimborsi anticipati.
36
1.9 Storia ed evoluzione della cartolarizzazione
La tecnica della cartolarizzazione si è sviluppata inizialmente nei paesi di common law e in
particolare ha avuto origine negli anni Settanta negli Stati Uniti. Si trattava di un periodo
caratterizzato dall’incapacità del sistema creditizio di far fronte alla domanda di mutui
finalizzati all’acquisto di un’abitazione. Infatti, nella seconda metà degli anni Settanta gli
individui appartenenti alla cosiddetta baby boom generation erano giunti all’età matrimoniale
e quindi si era posta la necessità di accedere al credito ipotecario per acquistare un’abitazione.
Di conseguenza il timore che le disponibilità esistenti non fossero abbastanza capienti per
soddisfare la domanda dilagava. Al fine di acquisire nuove fonti di raccolta di fondi nel 1977
la Bank of America strutturò la prima operazione di cartolarizzazione su un portafoglio di
mutui immobiliari emettendo il primo titolo mortgage – backed (Mortgage Backed Security,
MBS) garantito dall’organo federale Ginnie Mae. Inizialmente i primi MBS non riscontrarono
un gran successo tra gli investitori a causa della durata molto lunga (30 anni) e dei pagamenti
mensili. Il mercato, infatti, non decollò fino a quando negli anni Ottanta Fannie Mae emise il
primo Collateralized Mortgage Obligation (CMO) che consentì di incontrare le esigenze di
una più vasta base di investitori. Successivamente questi titoli riscossero un tale successo
presso alcune fasce di investitori che le banche si precipitarono ad emetterne di simili. Il
processo cominciò via via ad estendersi ad una gamma sempre più ampia di attività
collateralizzabili: prestiti industriali e commerciali, prestiti concessi per l’acquisto di
automobili, credito al consumo, leasing fino a coinvolgere in epoche più recenti i crediti
inerenti i diritti di proprietà intellettuale e di sfruttamento dell’immagine. Il processo di
innovazione ha riguardato anche le tecniche impiegate per la cartolarizzazione: dai
tradizionali schemi pass-through si è giunti a strutture più complesse, come ad esempio le
repackaging, in cui gli asset sottostanti sono rappresentati da strumenti a loro volta già emessi
nell’ambito di operazioni di cartolarizzazione.
Fino agli anni Novanta la diffusione della securitisation a livello internazionale è stata
piuttosto lenta a causa di una serie di ostacoli quali i limiti posti dalle diverse
regolamentazioni, la mancanza di omogeneità nel finanziamento dei prestiti e la carenza di
infrastrutture istituzionali che rallentarono lo sviluppo di un mercato per i titoli derivanti dalla
cartolarizzazione. Successivamente, nel decennio scorso, il successo della cartolarizzazione
nei mercati finanziari e più in generale delle tecniche di trasferimento del rischio di credito
esplose coinvolgendo paesi al di fuori degli Stati Uniti e determinando un’eccezionale
aumento dei volumi di attività cartolarizzate.
Con particolare riferimento all’Europa il primo titolo mortgage-backed fu emesso nel Regno
Unito nel 1987. È bene sottolineare che, nello scenario europeo, il Regno Unito è il paese che
ha conosciuto, grazie alla comunanza degli istituti di common law e ad una adeguata
flessibilità del sistema giuridico, la più rilevante diffusione del fenomeno e rappresenta
tutt’oggi il primo mercato, per livello di emissioni, in Europa (Rumi, 2001). Infatti, l’attività
di cartolarizzazione negli altri paesi europei ha accelerato solo alla fine degli anni Novanta
quando banche e investitori apprezzarono le potenzialità di tale operazione.
Lo sviluppo in Europa di questa tecnica è stata favorita dalla creazione di un mercato unico
dei capitali, culminato con l’introduzione dell’Euro, che ha permesso ad investitori
istituzionali di accrescere la propria esposizione transfrontaliera e agli emittenti di accedere a
un insieme più ampio di investitori potenziali. Esistono, inoltre, una serie di altri fattori
sottostanti lo sviluppo impetuoso della securitisation :
37
-
la globalizzazione dei mercati finanziari;
l’aumento della domanda di ABS proveniente da investitori che perseguono obiettivi
di diversificazione e/o rendimento. In particolare la domanda è stata sostenuta da un
ampliamento della base di investitori interessati ai prodotti cartolarizzati che include
hedge fund, fondi pensione e gli stessi istituti bancari;
- l’innovazione tecnologica e finanziaria che ha permesso significativi miglioramenti
nella conservazione e nell’elaborazione dei dati finanziari;
- il generale miglioramento del quadro normativo che ha meglio definito le modalità
operative di svolgimento delle transazioni generando fiducia negli investitori e
definendo meglio le regole di condotta da seguire da parte degli emittenti e degli
intermediari finanziari;
- la riduzione dei tassi di interesse e l’andamento negativo dei mercati azionari nel
periodo dopo lo scoppio della bolla delle dot-com e della crisi successiva all’11
Settembre 2001 hanno incrementato l’interesse degli investitori per i titoli
cartolarizzati.
La Figura 1.5 mostra la rapida crescita che il mercato della cartolarizzazione europeo ha
registrato a partire dal 2000, sostenuta da condizioni di mercato favorevoli e dalla necessità
delle banche di diversificare le proprie fonti di finanziamento in un contesto sempre più
competitivo. Tuttavia è il mercato delle cartolarizzazioni americano (vd. Tabella 1.1) a
detenere la leadership per importi di emissioni a livello mondiale.
Figura 1.5: Volumi di emissioni nel mercato europeo della securitisation (2000-2009a)
800,00
700,00
€ miliardi
600,00
500,00
Q4
400,00
Q3
Q2
300,00
Q1
200,00
100,00
0,00
2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009
anni
a
i dati del 2009 si riferiscono ai primi due trimestri.
Fonte: elaborazione propria su dati European Securitisation Forum (anni vari)
Tale primato è determinato, oltre che da una maggiore maturità del mercato americano, anche
da una serie di specificità che hanno favorito lo sviluppo delle operazioni di cartolarizzazione:
in particolare un sistema di leggi e norme in grado di disciplinare il mercato della
securitisation offrendo, in tal modo, quel contesto istituzionale necessario per accogliere
38
soggetti economici interessati a tali strumenti. Inoltre, il mercato statunitense si compone di
soggetti economici in possesso di quelle competenze e capacità finanziarie che consentono di
poter strutturare operazioni di cartolarizzazione di asset, apprezzandone il valore; in altri
termini, sia dal lato della domanda che dell’offerta sono presenti soggetti in possesso di quelle
competenze tecniche necessarie per realizzare la gestione di tali operazioni.
Nonostante l’indiscussa superiorità del mercato americano a livello di dimensioni; le
percentuali di crescita del mercato europeo sono superiori rispetto a quelle registrate dal
mercato statunitense soprattutto per quanto riguarda gli anni 2003-06; ciò indica che il
mercato europeo agli inizi degli anni 2000 era ancora un mercato giovane che ha poi
registrato una crescita repentina e vigorosa (vd. Tabella 1.1).
Il mercato delle ABS europee è estremamente diversificato per tipologia di asset sottostanti,
infatti le ABS presenti sul mercato possono essere raggruppate in quattro diverse grandi
famiglie, in funzione del collateral dal quale derivano:
1) Immobiliare:
- RMBS: mutui a privati (fetta principale del mercato);
- CMBS: mutui commerciali.
2) Corporate:
- SME: finanziamenti a piccole imprese;
- leasing;
- CLO: prestiti garantiti ad imprese per operazioni di leverage buyout;
3) Finanziamenti al consumo:
- Auto loan: finanziamenti per acquisto di auto;
- Credit card: finanziamenti al consumo attraverso carte di credito.
4) Altri attivi finanziari:
- CDO: cartolarizzazioni di obbligazioni corporate, ABS, ecc.
Tabella 1.1: Confronto volumi di emissioni mercato europeo e statunitense 2000-2009a
Q1
2000
2001
2002
2003
2004
2005
2006
2007
2008
2009
Q2
Emissioni Europee
Emissioni US
(miliardi di Euro)
(miliardi di Euro)
Q3
14,10 16,40 21,40
20,50 43,20 22,70
24,30 42,60 35,70
43,30 51,90 39,70
55,80 59,00 53,20
47,80 94,40 41,50
69,00 114,30 112,80
128,74 152,00 98,26
40,00 169,60 134,07
123,20 81,20
Q4
TOTALEb
26,30
66,20
55,10
82,40
75,50
143,30
184,90
74,71
367,61
78,20
152,60
157,70
217,30
243,50
327,00
481,00
453,71
711,30
204,40
a
Δ%
TOTALE c
Δ%
95,14%
3,34%
37,79%
12,06%
34,29%
47,09%
-5,67%
56,77%
1.088,0
2.308,4
2.592,7
2.914,5
1.956,6
2.650,6
2.455,8
2.147,1
933,6
732,7
112,17%
12,32%
12,41%
-32,87%
35,47%
-7,35%
-12,57%
-56,52%
i dati del 2009 si riferiscono ai primi due trimestri.
la somma dei dati trimestrali potrebbe differire dal totale a causa di arrotondamenti.
c
tutti i volumi sono espressi in Euro. I volumi degli Stati Uniti sono stati convertiti da Dollari a Euro, sulla base
dei tassi di cambio ($/€) alla fine di ogni trimestre.
Fonte: elaborazione propria su dati European Securitisation Forum (anni vari)
b
39
L’evoluzione del mercato della cartolarizzazione nell’Area dell’Euro può essere analizzato
sotto vari profili (BCE, 2008):
a) volumi di emissioni
La securitisation di asset italiani, olandesi e spagnoli ha coperto nel periodo 2005-2008 più
della metà di tutto il mercato dell’Area dell’Euro delle cartolarizzazioni. Le cause alla base
del diverso grado di diffusione delle operazioni di cartolarizzazione possono essere ricercate
negli andamenti delle Residential Mortgage Backed Security (RMBS) e nei fattori di ordine
giuridico, amministrativo e regolamentare. In relazione al primo aspetto, le RMBS
rappresentano la quota principale delle emissioni totali e, di norma, sono più elevate in quei
paesi dove i mutui ipotecari richiesti per l’acquisto dell’abitazione sono cresciuti più
rapidamente dei depositi (come Spagna e Olanda). Con riferimento al secondo punto, invece,
l’assenza di una disciplina specifica negli ordinamenti civili di alcuni paesi dell’Europa
continentale ha influito negativamente sui volumi delle emissioni disincentivando il ricorso
alla cartolarizzazione o imponendo agli operatori costi economici relativamente elevati.
b) rilevanza di RMBS e CDO
Tra i prodotti emessi a seguito di operazioni di securitisation si registra il predominio dei
titoli garantiti da mutui residenziali (RMBS) che hanno costituito fin dall’inizio la quota
principale delle cartolarizzazioni effettuate in Europa (vd. Figura 1.6).
Figura 1.6: Il mercato europeo della cartolarizzazione per classi di attivo (2005-2007)
100%
90%
80%
70%
Altri
60%
RMBS
50%
Prestiti
40%
CMBS
CDO
30%
20%
10%
0%
2005
2006
2007
Fonte: elaborazione propria su dati European Securitisation Forum (anni vari)
Note: La voce CDO comprende solo gli strumenti finanziari emessi in euro. La voce Prestiti comprende i prestiti
a leva finanziaria, quelli commerciali, i prestiti alle famiglie, alle imprese e quelli di altro tipo. La voce Altri
include i prestiti per l’acquisto di auto, i crediti derivanti dall’utilizzo di carte di credito, canoni di leasing,
anticipi in conto corrente, crediti relativi a polizze sanitarie e assicurative o di altra natura, crediti per erogazione
di servizi di pubblica utilità e altri.
Si rileva, inoltre, l’importanza delle Collateralized Debt Obligation (CDO) che, specialmente
in epoca recente, hanno registrato un rilevante trend di espansione sia in termini di numero di
emissioni che di dimensione. L’espansione del segmento delle CDO è determinata
40
dall’interesse mostrato verso questa categoria di prodotti sia dagli investitori, attratti dalle
elevate possibilità di personalizzazione, sia dagli originator in quanto, queste emissioni
possono essere attivate anche per importi non elevatissimi a differenza delle altre operazioni
di cartolarizzazione. La diffusione delle CDO in Europa è stata più lenta rispetto agli Stati
Uniti, in particolare, ha avuto avvio solo quando si sono diffuse le competenze necessarie per
gestire strumenti finanziari complessi e articolati come le CDO. Nello specifico, come è
possibile notare dalla Figura 1.6, il boom di emissioni di CDO si è registrato nel 2006 con un
aumento della quota di mercato del 20% circa rispetto all’anno precedente; nel 2007 il livello
è leggermente aumentato e, sicuramente, se la crisi finanziaria non avesse causato il blocco
delle emissioni nel secondo semestre dell’anno, si sarebbe registrato un ulteriore record.
c) livello modesto di cartolarizzazioni aventi per oggetto prestiti a piccole e medie imprese
(PMI)
L’incidenza delle ABS, in particolare di quelle garantite da prestiti alle PMI, rimane ridotta e
la loro emissione rimane concentrata in Spagna e Germania dove è stata alimentata da
programmi di sostegno specifici allo scopo di promuovere il finanziamento al settore delle
PMI. Nel resto dell’Unione Europea non si è registrata la stessa crescita di mercato come in
Spagna e Germania a causa della scarsa standardizzazione dei prestiti e della mancanza di
serie storiche significative sull’andamento dei prestiti alle PMI.
d) ruolo svolto dalla cartolarizzazione sintetica
Dall’inizio degli anni Duemila la quota di emissioni di prodotti collegati alle cartolarizzazioni
sintetiche è aumentata notevolmente grazie anche alla parallela diffusione dei derivati
creditizi. Tale crescita riflette la grande attenzione mostrata verso tali prodotti da investitori
che comprendono società di assicurazione, hedge fund, fondi pensione ecc.
È difficile stimare le dimensioni di questo mercato poiché gran parte delle transazioni è
costituita da collocamenti privati e non sono disponibili dati completi. Dalla Tabella 1.2, in
cui sono esposti i volumi delle emissioni mondiali di CDO sintetiche di tipo funded (sono un
tipo di CDO che utilizzano le CLN per trasferire il rischio di credito, vd. paragrafo 2.3), si
evince la notevole crescita registrata dal mercato delle CDO sintetiche dal 2004 al 2005 (le
emissioni sono passate da 37.237 milioni di Dollari a 64.957 milioni di Dollari). Nonostante
la tipologia prevalente siano le cash flow CDO (vd. paragrafo 2.3) durante gli ultimi anni le
synthetic CDO sono state le determinanti più importanti del cambiamento strutturale e dello
sviluppo dell’intero mercato delle CDO. Secondo i dati forniti nel bollettino mensile della
BCE nel solo 2006 sono stati emessi CDO sintetici (di tipo fundend e unfunded) per oltre 124
miliardi di Euro (BCE, 2008).
Con l’avvio della turbolenza sui mercati finanziari a partire dalla seconda metà del 2007 e a
causa dell’assorbimento improvviso di liquidità nel mercato delle ABS e dell’aumento
dell’avversione al rischio degli investitori, il mercato delle cartolarizzazioni globale ha subito
una battuta d’arresto. La recente crisi finanziaria, innescata da un aumento del numero di
insolvenze nel segmento subprime USA dei mutui ipotecari, ha poi contagiato il mercato della
cartolarizzazione poiché molti mutui subprime erano stati “impacchettati” e venduti agli
investitori attraverso i MBS. Le emissioni in Europa quindi, dopo aver toccato livelli record
nei primi mesi del 2007, scendono al livello minimo di 74 miliardi di Euro nel quarto
trimestre, ben al di sotto dei livelli registrati un anno prima di 184,9 miliardi di Euro (vd.
Tabella 1.1).
41
Tabella 1.2: Emissioni globali di CDO 2004-2008 (milioni di Dollari)
cash flow
e ibridi
%
synthetic
funded
%
market
value
%
Totale
2004
119.531,30
75,93%
37.237,20
23,65%
650,00
0,41%
157.418,50
2005
206.225,90
75,87%
64.957,40
23,90%
620,00
0,23%
271.803,30
2006
410.503,60
78,85%
66.503,10
12,77%
43.637,90
8,38%
520.644,60
2007
340.375,80
70,68%
48.470,50
10,06%
92.754,40
19,26% 481.600,70
2008
43.595,80
70,44%
1.340,60
2,17%
16.950,40
27,39%
61.886,80
Fonte: elaborazione propria su dati SIFMA (2009)
Note: le emissioni di CDO unfunded non sono comprese. I CDO “ibridi” combinano la struttura di finanziamento
dei cash flow CDO e dei CDO sintetici.
Parallelamente al blocco del mercato primario delle nuove emissioni, anche il mercato
secondario ha vissuto un tracollo di dimensioni mai sperimentate prima d’ora. In particolare,
si è assistito a una drastica riduzione delle condizioni di liquidità con la scomparsa della
domanda a cui si contrapponeva una crescente pressione alle vendite da parte di investitori
costretti a smontare i propri portafogli. La conseguenza è stato un generalizzato aumento degli
spread che ha colpito in maniera indifferenziata le varie asset class, le diverse aree
geografiche, i diversi titoli, prescindendo totalmente da considerazioni fondamentali, pur
molto diverse da asset ad asset, da area a area, da titolo a titolo. Nei primi mesi del 2009, in
corrispondenza a una maggiore razionalità nel comportamento degli operatori (si è diffusa la
consapevolezza che il gap tra prezzi del mercato secondario e fondamentali era così ampio da
scontare fenomeni di deterioramento dei fondamentali alquanto implausibili anche in scenari
altamente pessimisti) la situazione ha mostrato segnali di progressivo miglioramento.
Considerando la gravità della crisi finanziaria che ha sconvolto l’intera economia mondiale la
ripresa delle emissioni europee nel 2008 nei primi due trimestri del 2009 (vd. Figura 1.5)
appare paradossale. In realtà tale crescita è solo apparente e le dimensioni reali del mercato
sono ben diverse (vd. Figura 1.7).
Figura 1.7: Emissioni nette globali (2007-2008)
Fonte: International Financial Services London (2009)
42
Infatti, il volume delle emissioni europee nel 2008 risulta essere gonfiato dalle cosiddette
autocartolarizzazioni finalizzate a ottenere attività utilizzabili come garanzia per accedere alle
operazioni Repo (repurchase agreement) gestite dalla Banca Centrale Europea e dalla Bank
of England. Nelle autocartolarizzazioni, a differenza delle cartolarizzazioni tradizionali, i titoli
emessi dal veicolo a fronte del portafoglio crediti ceduto dalla banca non vengono collocati
sul mercato, ma sono interamente sottoscritti dalla banca stessa. Le autocartolarizzazioni,
pertanto, non comportano il trasferimento del rischio di credito, che rimane interamente in
capo alla banca che ha effettuato l’operazione; esse sono dettate unicamente dall’obiettivo di
accedere alle operazioni di rifinanziamento presso le Banche Centrali al fine di rafforzare la
liquidità degli istituti di credito e conseguentemente accrescere la disponibilità di fondi da
destinare all’attività di prestito. Considerando le emissioni nette ovvero quelle collocate sui
mercati e sottoscritte dagli investitori finali è possibile calcolare nel 2008 un calo dell’82%
rispetto al 2007 (International Financial Services London, 2009). Inoltre, le operazioni
concluse negli ultimi due anni sono state caratterizzate da una struttura più semplice, da una
più prudente individuazione degli asset collateralizzabili con l’adozione di criteri più
stringenti e da una riduzione del leverage.
Appaiono chiari, quindi, gli effetti che la recente crisi finanziaria ha prodotto sul mercato
globale della cartolarizzazione al punto tale che oggi è difficile ipotizzare un futuro per le
operazioni di cartolarizzazione, soprattutto per quelle più innovative. Le incertezze circa una
possibile ripresa del mercato della securitisation derivano dai punti di debolezza delle
cartolarizzazioni e del modello di business originate to distribuite (OTD) messi in luce dalla
crisi subprime. Le principali criticità riguardano: (i) l’elevata complessità degli strumenti; (ii)
le difficoltà di valutazione delle ABS; (iii) l’eccessivo affidamento sui rating da parte di
alcuni investitori; (iv) l’inadeguatezza delle informazioni sull’esposizione delle istituzioni
finanziarie verso strumenti strutturati e verso posizioni off-balance sheet, che rende molto
difficile monitorare le esposizioni finali attraverso il sistema finanziario; (v) la presenza di
asimmetrie informative lungo tutta la catena delle cartolarizzazioni. In particolare l’utilizzo
esasperato delle cartolarizzazioni ha favorito l’adozione di comportamenti opportunistici da
parte di alcuni intermediari che hanno deciso di finanziare soggetti molto rischiosi affidandosi
sulla possibilità di trasferire il rischio ad essi associato allentando in tal modo le attività di
screening e monitoring dei prenditori di fondi. Tuttavia, le diverse forme di cartolarizzazione,
se condotte nel modo dovuto, rappresentano un processo necessario per equilibrare il mercato
e per perseguire obiettivi di stabilità finanziaria dal momento che costituiscono uno dei
principali canali di finanziamento per le banche. Un rilancio del mercato della
cartolarizzazione tuttavia, non può avvenire in assenza di interventi che vadano a correggere
le criticità sopra esposte al fine di attirare nuovamente gli investitori che hanno abbandonato il
comparto. Le principali aree di intervento riguardano (Fender et al, 2009):
- riduzione della complessità dei titoli cartolarizzati. La crescente complessità dei
strumenti finanziari e delle strutture di cartolarizzazione ha, infatti, reso via via sempre
più difficile comprendere il profilo di rischio-rendimento dell’investimento. La
riduzione della complessità può essere raggiunta attraverso l’emissione di un numero
minore di tranche e l’adozione di strutture più standardizzate; quest’ultime inoltre
avrebbero certamente un effetto positivo sulla liquidità del mercato secondario;
- maggiore trasparenza. Lungo la filiera della cartolarizzazione vi è una costante perdita
di informazioni che crea lo spazio per comportamenti opportunistici a danno di chi si
trova a valle della catena (investitori). L’opacità può essere ridotta attraverso catene di
43
cartolarizzazione più corte e, di importanza fondamentale, attraverso un periodico
flusso di informazioni concernenti sia gli asset sottostanti sia l’evoluzione delle loro
performance nel tempo;
- migliorare l’utilizzo dei rating. Il rating non deve costituire l’unica variabile
sottostante la decisione di investimento bensì, esso fornisce un ottimo punto di
partenza ma deve essere accompagnato con altre informazioni riguardanti i rischi non
considerati dal rating stesso;
- allineare gli incentivi tra gli operatori che partecipano all’operazione, in particolare,
tra originator e investitori. Si tratta di un intervento necessario per restituire solidità al
modello delle cartolarizzazioni e per infondere nuova fiducia nei titoli ABS. Una
possibile soluzione è quella di imporre all’originator e/o all’arranger di trattenere una
quota dell’emissione di ABS in modo tale che anch’essi siano direttamente esposti a
una quota di rischio per quanto riguarda le possibili perdite sugli attivi sottostanti la
cartolarizzazione. La partecipazione al rischio da parte dei soggetti promotori
dell’operazione di cartolarizzazione li incentiverebbe ad adottare comportamenti
prudenti. La quota dell’emissione trattenuta può coincidere con la tranche first loss o
può rappresentare una quota verticale dell’emissione al fine di ottenere un
bilanciamento tra gli interessi per tutte le tranche. La soluzione prospettata ha una
portata innovativa altamente ridotta: è prassi, infatti, che l’originator trattenga la
tranche equity per segnalare al mercato la buona qualità degli attivi cartolarizzati.
Tuttavia il clima di euforia che ha caratterizzato gli anni precedenti lo scoppio della
crisi subprime, la crescente expertise acquisita dagli originator, la maggiore
propensione al rischio degli investitori e le infinite possibilità offerte dai credit
derivative hanno portato all’emissione della tranche equity sul mercato la quale veniva
sottoscritta dal pubblico di investitori indebolendo di conseguenza l’incentivo
all’assunzione di un comportamento prudente.
È possibile affermare che, almeno nel breve termine, il mercato della cartolarizzazione sarà
caratterizzato dal “back to basic” ossia un ritorno delle strutture di cartolarizzazione
tradizionali mentre la ripresa delle ricartolarizzazioni appare più remota. È importante per la
ripresa del mercato della securitisation, oltre agli interventi diretti al ripristino della fiducia
degli investitori, la consapevolezza che la tecnologia alla base della cartolarizzazione è
tutt’oggi valida, ciò che invece è sbagliato è il suo uso distorto.
44
2. Titoli collegati alle operazioni di cartolarizzazione
2.1 Introduzione
Fino ad ora il termine ABS è stato utilizzato genericamente per indicare qualunque titolo
emesso a fronte della cessione degli asset dal veicolo il cui rimborso, per capitale ed interessi,
è assicurato dalla serie dei pagamenti derivanti dai prestiti che compongono il portafoglio
cartolarizzato. Negli Stati Uniti dove la tecnica della securitisation è nata circa trent’anni or
sono nell’ambito della finanza ipotecaria si è soliti distinguere tra: titoli MBS per i quali il
sottostante è rappresentato da mutui ipotecari e titoli ABS per i quali il sottostante è
rappresentato da qualunque attività diversa dai mortgage. Nel resto del mondo, viceversa, in
considerazione del fatto che la tecnica si è diffusa quasi contemporaneamente in tutti i
principali comparti di attività cartolarizzabili con l’acronimo ABS si identificano tutte le
operazioni di securitisation, indipendentemente dal tipo di sottostante (Damilano, 2001).
Nella realtà esistono una moltitudine di strumenti finanziari emessi dallo SPV a fronte di una
vasta gamma di asset che costituiscono il collateral dell’operazione. Il presente paragrafo
quindi, dopo aver presentato i principali criteri di classificazione delle ABS, ha come
obiettivo l’approfondimento delle caratteristiche dei singoli strumenti finanziari emessi a
fronte di operazioni di cartolarizzazione.
2.2 Classificazione delle Asset Backed Securities (ABS)
Gli strumenti finanziari emessi a seguito di operazioni di securitsation sono, in genere, dotati
delle seguenti caratteristiche:
- marketability: devono essere negoziabili. Presupposti indispensabili per assicurare la
negoziazione dei titoli cartolarizzati sono: (i) l’esistenza di un quadro giuridico che ne
permetta la commercializzazione; (ii) l’esistenza di un mercato organizzato, meglio se
spesso ed elastico, dove possono essere scambiati i titoli;
- devono possedere un livello di qualità tale da poter essere commercializzati o, in altre
parole, tale da poter soddisfare le esigenze degli investitori. La qualità, per i titoli
offerti in sottoscrizione a un vasto pubblico di investitori, è misurata dal rating che
guida le scelte di investimento poiché, normalmente, non tutti i risparmiatori
possiedono le competenze necessarie per valutare il rischio connesso allo strumento
finanziario.
Una prima classificazione dei titoli cartolarizzati si basa sulla durata, in questo contesto è
possibile distinguere i titoli emessi in:
- titoli con scadenza a breve termine: Asset Backed Commercial Paper (ABCP). Le
ABCP sono titoli emessi a seguito di un programma di cartolarizzazione tramite
conduit i cui pagamenti in linea capitale e interesse derivano dai cash flow di un
portafoglio di attività sottostanti. Le ABCP sono titoli con scadenza a breve termine
perciò in genere, ma non obbligatoriamente, sono garantite da un pool di asset
anch’essi a breve termine (ad esempio prestiti per l’acquisto dell’auto, saldi attivi delle
carte di credito, prodotti di finanza strutturata ecc.). L’originator che organizza
45
un’emissione di ABCP è intenzionato a procurarsi risorse liquide in base a un
programma di finanziamento a lungo termine per questo motivo spesso a scadenza
l’emissione viene rinnovata;
- titoli con scadenza a lungo termine. Essi costituiscono la quota maggiore del mercato
dei titoli cartolarizzati; a sua volta è possibile suddividerli in:
Asset Backed Securities (ABS);
Collateralized Debt Obligatios (CDO).
Una seconda classificazione, invece, permette la distinzione dei titoli sulla base del grado di
omogeneità del portafoglio sottostante. Si distingue di conseguenza tra:
ABS: se il portafoglio ceduto è omogeneo;
CDO: se il sottostante è misto.
Le ABS sono garantite da un collateral ampio e omogeneo e gli asset che lo compongono
possono essere considerati indipendenti sotto il profilo dell’esposizione al rischio. Inoltre, in
portafoglio non compaiono posizioni individuali rilevanti rispetto alla dimensione
dell’operazione di cartolarizzazione; di conseguenza i rischi relativi alle singole attività (rischi
idiosincratici) risultano limitati al punto che l’investitore non è interessato a conoscere i
nominativi che compongono il pool. L’omogeneità degli attivi raggruppati nel pool tende da
un lato a garantire il matching delle scadenze e dall’altro ad assicurare una certa coerenza tra
il profilo di rischio del collateral e quello delle note emesse.
I CDO, invece, sono garantiti da un pool di attività costituito da un basso numero di
nominativi e di importi elevati, non standardizzati o concessi una tantum in occasioni
particolari (come ad esempio i levereged loan, le obbligazioni ad alto rendimento o le tranche
mezzanine di altri ABS). In generale, nel caso dei CDO, si cerca di costituire pool formati da
attività eterogenee sotto il profilo dell’emittente, del settore e delle aree geografiche con la
finalità ultima di ottenere un beneficio di diversificazione e quindi di ridurre la volatilità dei
rendimenti attesi. In entrambi i casi il portafoglio rimane comunque esposto ai rischi
macroeconomici come la riduzione dei prezzi delle abitazioni o le crisi di fiducia dei mercati
che, come è apparso evidente durante la recente crisi dei mercati del credito, possono influire
notevolmente sul valore dei titoli (BCE, 2008).
La composizione dell’underlying pool costituisce la differenza più evidente tra ABS e CDO,
tuttavia esistono altri fattori che contribuiscono a definire le peculiarità dei due titoli. Le
ulteriori differenze, qui di seguito elencate, riguardano:
- le tecniche impiegate per la cartolarizzazione. I CDO in base alle tecniche impiegate
per la cartolarizzazione si distinguono, di solito, in cash flow e market value CDO. Per
le ABS, invece, non è possibile adottare la stessa classificazione essendo le operazioni
di emissione di ABS tutte assimilabili alla tecnica cash flow;
- le motivazioni economiche. L’originator che intende perfezionare un’emissione di
ABS o di CDO persegue obiettivi definibili “tradizionali” ovvero la riduzione
dell’esposizione al rischio di credito e l’approvvigionamento di liquidità. Alle
motivazioni sopra citate, per i CDO, si aggiunge un ulteriore obiettivo ossia la
possibilità di sfruttare opportunità di arbitraggio derivanti dallo spread esistente tra il
rendimento del collateral e quello delle note;
- il fulcro dell’operazione. Nel caso delle ABS il ruolo centrale dell’operazione è svolto
dagli asset che si intende cartolarizzare e di riflesso dagli obiettivi che l’originator si
prefigge di raggiungere. Il profilo finanziario dei titoli emessi passa in secondo piano e
per lo più (e con gli opportuni aggiustamenti) rispecchierà quello degli underlying
46
-
asset. Nel caso delle CDO, invece, l’attenzione è rivolta allo strumento stesso che si
intende emettere e al suo profilo finanziario al fine di renderlo appetibile sul mercato.
Quindi, nel caso dei CDO, sono gli asset sottostanti che passano in secondo piano;
il ruolo riservato alla tranche equity. Premesso che il ricorso al tranching è una
caratteristica comune ai processi di emissione di ABS e CDO è opportuno sottolineare
come non tutte le ABS implichino l’emissione di più tranche. La tranche equity delle
ABS viene emessa con l’obiettivo di assorbire per prima le perdite e, qualora venga
sottoscritta dall’originator, di segnalare il coinvolgimento dell’originator
nell’operazione stessa. Nelle CDO, invece, l’equity tranche oltre a fungere da
cuscinetto per le prime perdite testimonia la buona riuscita o meno dell’operazione in
quanto il rendimento ex post che le spetta è funzione dell’abilità dell’asset manager
(soprattutto nelle manged CDO).
2.3 Asset Backed Securities (ABS)
Come i comuni titoli a reddito fisso (ad esempio le obbligazioni corporate), le ABS pagano al
detentore una serie di cedole a intervalli periodici durante la vita dello strumento finanziario
per un ammontare determinato sulla base di tassi di interesse fissi o variabili e, a scadenza,
rimborsano il nozionale (valore nominale). La particolarità che distingue le ABS dai comuni
bond risiede nella stretta correlazione esistente tra pagamento cedole e rimborso delle
obbligazioni a scadenza con le somme incassate dai crediti ceduti. Infatti, le ABS vengono
emesse con la clausola limited recourse (esigibilità limitata poiché non tutelate dal patrimonio
dell’emittente) che consente al veicolo di pagare gli interessi e rimborsare il capitale nella
misura in cui si incassano i flussi finanziari dai crediti ceduti; l’emittente è responsabile verso
gli investitori nei limiti del portafoglio cartolarizzato. Ulteriore elemento che differenzia le
ABS dalle obbligazioni tradizionali si riferisce alla loro rischiosità in quanto, per le ABS, non
dipende dal core business dell’originator bensì dipende unicamente dalla qualità dei crediti
ceduti nel pool.
Il portafoglio di asset può essere composto idealmente da qualsiasi attività che genera un
flusso di pagamenti e l’esperienza internazionale ci mostra che, dopo i mutui ipotecari, che
hanno rappresentato il primo e ancora oggi più importante genere di attivo sottoposto a
cartolarizzazione molte altre tipologie di attività si sono prestate con successo alla
realizzazione di tale tecnica. Le asset class maggiormente cartolarizzate sono:
- mutui ipotecari;
- crediti da utilizzo di carte di credito;
- prestiti per l’acquisto dell’auto;
- prestiti agli studenti;
- prestiti concessi alle imprese;
- crediti derivanti da contratti di leasing.
Il collateral di un ABS può essere classificato come amortizing (“ad ammortamento”) o
nonamortizing; la tipologia influisce sui flussi di cassa che gli investitori ricevono. Il debitore
di un prestito amortizing rimborsa periodicamente un certo ammontare a titolo di capitale e di
interesse durante uno specifico arco di tempo. Un prestito nonamortizing (o rotativo), al
contrario, non richiede pagamenti del capitale a scadenze prefissate ma solo un versamento
minimo periodico che viene rapportato all’entità del saldo a debito esistente (se il pagamento
47
è minore degli interessi calcolati sullo scoperto allora la differenza viene incrementata al saldo
a debito, in caso contrario il debito viene ridotto). Normalmente rientrano nella prima
categoria i mutui ipotecari e i prestiti concessi per l’acquisto dell’auto mentre i crediti per
l’utilizzo di carte di credito revolving rappresentano l’esempio più classico di prestiti
nonamortizing. Per gli amortizing asset diventa critica la previsione delle probabilità di
rimborso anticipato.
Le ABS possono essere emesse a tasso fisso o a tasso variabile, di solito, nelle operazioni
avviate in Italia e più in generale in Europa, le ABS sono emesse a cedola variabile, con
parametro di riferimento pari al tasso Euribor a 3/6/12 mesi a cui viene aggiunto uno spread
che dipende dal rating assegnato e dalla scadenza ed assume il significato di premio per il
rischio.
Il piano di rimborso delle ABS può essere di tipo progressivo – amortizing - oppure in
un’unica soluzione a scadenza – bullet. Le ABS emesse con struttura bullet sono
caratterizzate da due periodi separati di gestione del flusso di cassa:
- il revolving period: durante il quale il capitale rimborsato viene trattenuto dal veicolo
con lo scopo di finanziare l’acquisto di ulteriori crediti;
- il periodo di accumulo: durante il quale i pagamenti in conto capitale confluiscono in
un deposito a garanzia del rimborso bullet.
Il rimborso in un’unica soluzione può essere garantito alla data prevista – hard bullet – e ciò è
possibile grazie a un periodo di accumulo più lungo, a una garanzia di terzi o entrambe le
soluzioni oppure, nel caso in cui non sia garantito alla scadenza prevista, la struttura prende il
nome di soft bullet.
Frequentemente i titoli ABS sono strutturati in modo tale da prevedere una clean up call
esercitabile dall’originator o dal trustee. La più diffusa, soprattutto per gli attivi di tipo
amortizing, è la percent of collateral call. Essa consiste in un’opzione di riacquisto dei titoli
esercitabile prima che tutte le esposizioni sottostanti siano state rimborsate nel momento in
cui l’ammontare del collaterale in essere è inferiore ad una soglia prestabilita (ad esempio,
10% del suo ammontare originario).
Qui di seguito verranno presentati i principali strumenti finanziari che rientrano nella famiglia
delle ABS; ai Mortgage Backed Securities (MBS) sarà riservata maggiore attenzione in
quanto saranno oggetto dell’analisi empirica esposta nella Parte 2 del presente lavoro.
a) Mortgage Backed Securities (MBS)
I MBS sono titoli garantiti da un pool di prestiti ipotecari concessi da istituzioni creditizie per
finanziare l’acquisto di una casa o di un’altra proprietà immobiliare. Nel caso in cui il
pacchetto di prestiti sia costituito esclusivamente da prestiti immobiliari concessi per
l’acquisto di costruzioni non residenziali (uffici, fabbriche, centri commerciali...) i titoli
prendono il nome di Commercial Mortgage Backed Securities (CMBS) altrimenti, se
composto solo da prestiti immobiliari concessi per l’acquisto di edifici residenziali avremo i
Residential Mortgage Backed Securities (RMBS). I mutui ipotecari che formano il reference
portfolio sottostante l’emissione di titoli MBS possono essere di tipo prime o subprime, a
seconda del merito creditizio del debitore, o una combinazione di essi.
I mutui ipotecari rappresentano il primo e, ancora oggi, più diffuso genere di attivo sottoposto
a securitisation grazie all’elevata omogeneità e standardizzazione della struttura tecnica (in
termini di durata, piano di rimborso e condizioni di tasso) inoltre, essi rilevano un rischio di
48
insolvenza piuttosto contenuto a ragione della presenza di una garanzia reale costituita
dall’ipoteca sull’immobile.
Proprio per la stretta correlazione esistente tra pagamenti ricevuti dai debitori originari e
pagamenti effettuati a favore dei sottoscrittori di MBS, mano a mano che i debitori
rimborsano il loro debito gli investitori ricevono il rimborso del capitale durante la vita del
MBS. Il rischio di rimborso anticipato che interessa i MBS determina una certa irregolarità
nei cash flow derivanti dallo strumento finanziario. Per questo motivo, i titoli MBS offrono
agli investitori un tasso di rendimento maggiore rispetto ai tradizionali strumenti a reddito
fisso. A causa della presenza del rischio di rimborso anticipato non è possibile determinare
con certezza la scadenza del titolo MBS. Per questo motivo i titoli vengono negoziati secondo
la loro vita media presunta - Weighted Average Maturity o WAM – ovvero quel periodo di
tempo medio che intercorrerà dalla data di acquisto del MBS al momento in cui il capitale
verrà ripagato o, in altri termini, il periodo di tempo medio durante il quale un euro di capitale
viene investito in un pool di MBS.
1 n t (principal received at t )
WAM  
12 t 1 total principal received
(2.1)
dove n è il numero di mesi rimanenti.
Un’altra misura delle durata è costituita dalla duration (o Macaulay duration 92) però, dal
momento che è richiesto il calcolo del valore attuale ponderato dei cash flow attesi, è
necessario ipotizzare un prepayment rate.
Parimenti viene calcolato un unico tasso di interesse medio dei mutui compresi nel collateral
- Weighted Average Coupon o WAC 93 – che fornisce, anche, un’indicazione circa la presenza
del prepayment risk. Nello specifico, qualora il WAC sia notevolmente superiore ai tassi
vigenti dei mutui ipotecari, preavvisa una probabile serie di rimborsi anticipati. Altrettanto
importante è la varianza del WAC poiché i prestiti con i più alti tassi compresi nel portafoglio
cartolarizzato sono, in media, più esposti alla possibilità di essere rimborsati in anticipo.
I MBS più diffusi sono i pass-through MBS. Gli investitori in questo tipo di strumenti
finanziari hanno diritto di ricevere i flussi di cassa derivanti dai debitori ceduti (interessi e
capitale compresi i rimborsi anticipati). Tuttavia, una piccola parte dei pagamenti provenienti
dai debitori originati è trattenuta nella struttura di cartolarizzazione per far fronte alle spese
richieste dall’operazione stessa. Per le ragioni appena descritte i MBS sono caratterizzati dal
cosiddetto "pass-through rate" ossia il tasso netto in base al quale l’investitore riceve gli
interessi sul saldo in essere dei mutui sottostanti l’operazione di cartolarizzazione. Quindi, ad
esempio, se i mutui sottostanti sono caratterizzati da un tasso di interesse del 6,5% il passthrough rate potrebbe essere del 6% (la differenza, 0,5%, copre le spese dell’operazione di
cartolarizzazione).
n
92
La duration è definita dalla seguente formula D 
tC
 (1  r )
t 1
t

VN
(1  r ) n
P
93
Il WAC può essere indicato su base lorda o su base netta. Il WAC lordo esprime, semplicemente, la media
ponderata dei tassi di interesse dei mutui inseriti nel pool di asset oggetto di securitisation. Il WAC netto, invece,
tiene conto dei costi per commissioni spettanti ai vari operatori che intervengono nell’operazione (Davidson et
al., 2003).
49
Oltre ai titoli pass-through, che rappresentano la versione “base” dei MBS, esistono anche
strutture più esotiche come ad esempio i stripped MBS. Nei stripped MBS i rimborsi di
capitale sono separati dai pagamenti per interessi permettendo la creazione di due diversi
strumenti finanziari: PO-bond e IO-bond. L’investitore di PO-bond (principal only) riceve un
flusso di pagamenti prefissato che corrisponde ai rimborsi di capitale derivante dal pool di
prestiti cartolarizzato. Al contrario, nei IO-bond (interest only) il reddito complessivo
dell’investitore è incerto poiché dipende esclusivamente dai pagamenti per interessi dei
debitori ceduti ed inoltre questi titoli sono molto sensibili al rischio di rimborso anticipato.
Infatti, al crescere dei tassi di estinzione anticipata il valore dei PO-bond cresce – il capitale
viene incassato prima – mentre quello dei IO-bond diminuisce –il reddito complessivo per
l’investitore sarà minore. Al diminuire dei tassi di estinzione anticipata, succede il contrario
(Hull, 2006).
b) Credit card receivable – Backed Securities
In questo tipo di ABS il portafoglio a garanzia dei titoli emessi è formato dai crediti derivanti
dall’utilizzo delle carte di credito per gli importi che eccedono la disponibilità sul conto
corrente nei limiti della linea di fido accordata. A differenza degli altri tipi di ABS non vi è un
asset materiale sottostante i titoli, bensì solo una promessa di pagamento del proprio debito.
Come detto in precedenza, dato che i titolari della carta non devono rispettare un piano di
rimborso del capitale definito, il debito da carta di credito si configura come un prestito
nonamortizing. Nelle operazioni di cartolarizzazione più recenti, avviate soprattutto nel
Regno Unito, il veicolo prende la forma di master trust ovvero di una sorta di serbatoio in cui
è possibile aggiungere crediti di volta in volta e di conseguenza emettere nuovi strumenti
finanziari. Secondo questo arrangiamento l’originator consegue un rilevante risparmio di costi
connessi alla creazione di un nuovo trust nel momento in cui si desidera realizzare una nuova
emissione.
Poiché i debiti da utilizzi di carte di credito vengono rimborsati mediamente in tempi molto
brevi (nell’ordine di mesi) le ABS emesse che si basano esclusivamente sul collegamento
diretto pagamenti dei debitori – pagamenti dei sottoscrittori non riscuoterebbero molto
successo tra gli investitori. Al fine di assicurare alle ABS una durata più lunga l’operazione di
cartolarizzazione viene effettuata con la struttura revolging e con la separazione dei cash flow
in quote di oneri finanziari e quote di capitale. Nel periodo detto revolving i rimborsi a titolo
di capitale effettuati dai debitori sono trattenuti dal veicolo e reinvestiti in nuovi crediti in
modo da mantenere le dimensioni iniziali del pool; agli investitori vengono dirottati solo i
pagamenti a titolo di oneri finanziari. Solo al termine del periodo revolving i rimborsi di
capitale vengono trasferiti ai sottoscrittori delle ABS gradualmente o in un’unica soluzione a
scadenza.
I titoli garantiti da credit card receivable sono soggetti al rischio di ammortamento anticipato
(early amortization o rapid amortization) al verificarsi del quale il periodo rotativo viene
interrotto ed ha inizio il rimborso anticipato della quota capitale dei titoli. Vengono fissati,
quindi, una serie di eventi – ad esempio pagamenti insufficienti da parte del debitore ceduto,
excess spread insufficiente, fallimento dello sponsor o del servicer ecc. – al verificarsi dei
quali azionano le disposizioni di ammortamento anticipato le quali fungono da ulteriore
protezione per gli investitori. Quando si verifica un evento di ammortamento anticipato tutto
il capitale e gli interessi sugli asset sottostanti vengono utilizzati per rimborsare gli investitori
50
secondo le priorità di pagamento a prescindere dalle scadenze previste per la restituzione del
capitale.
c) Auto-Loan Backed Securities (Auto-ABS)
Come il nome suggerisce, le Auto-ABS, sono titoli di debito emessi a seguito della
cartolarizzazione di un portafoglio di prestiti concessi per l’acquisto di auto. I prestiti concessi
per l’acquisto di auto sono di tipo amortizing e hanno scadenze inferiori rispetto a quelle dei
mutui ipotecari. Le ABS possono essere emesse con struttura pass through o pay through; le
prime sono le più diffuse. I prestiti accordati per l’acquisto di auto sono meno sensibili
rispetto ai mutui ipotecari a variazioni nei tassi di interesse conseguentemente il debitore
raramente estingue prima della scadenza il prestito; per questo motivo gli investitori in titoli
cartolarizzati con sottostante un pool di auto loan hanno una minore esposizione al rischio di
rimborso anticipato. Tuttavia, in caso di insolvenza dei debitori ceduti, i livelli dei tassi di
recupero possono essere molto bassi a causa del costante deprezzamento dell’auto anno dopo
anno.
2.4 Collateralized Debt Obligations (CDO)
I CDO sono titoli garantiti da un pool di crediti emessi da una società appositamente creata
(SPV) a cui vengono cedute le attività poste a garanzia. I CDO sono solitamente garantiti da
un portafoglio diversificato composto da prestiti, titoli obbligazionari o credit default swap e
suddivisi in più categorie (tranche), a seconda della loro priorità di rimborso. Come le ABS i
proventi necessari per soddisfare le obbligazioni di pagamento degli interessi e del capitale
nei confronti degli investitori derivano direttamente dai cash flow prodotti dagli asset
cartolarizzati o dalla loro vendita.
Le CDO rappresentano la naturale evoluzione del processo di conversione, già iniziato con la
tecnica di cartolarizzazione classica, del rischio di credito in merce negoziabile poiché questi
strumenti offrono opportunità più ampie di trasferimento del rischio rispetto alle ABS. I CDO,
dall’introduzione sul mercato avvenuta alla fine degli anni Ottanta negli Stati Uniti, hanno
registrato (soprattutto a partire dalla seconda metà degli anni Novanta) i più alti livelli di
crescita tra i prodotti di finanza strutturata diffondendosi anche in Europa e in Asia (Jobst,
2008).
Nei processi di securitisation che si concludono con l’emissione di CDO è frequente la
presenza dell’asset manager incaricato della gestione del portafoglio di asset sottostante.
Le motivazioni alla base del successo sono riconducibili ai vantaggi conseguibili dagli
originator che avviano operazioni di cartolarizzazione, tra i quali:
- grande flessibilità in ordine alla scelta degli asset cartolarizzabili. In particolare è
possibile emettere CDO a fronte di portafogli sottostanti eterogenei – ad esempio
diviene possibile cartolarizzare i prestiti alle PMI caratterizzati da una scarsa
standardizzazione e omogeneità;
- elevate potenzialità, soprattutto in riferimento alle strutture sintetiche, in merito al
trasferimento e gestione del rischio di credito.
51
Specularmente è possibile individuare una serie di vantaggi in capo ai sottoscrittori di CDO
che, con molte probabilità, hanno alimentato la crescita straordinaria di questo tipo di
strumenti finanziari:
- migliore profilo di rendimento a parità di rischio rispetto alle ABS tradizionali;
- elevate possibilità di personalizzazione del profilo di rischio-rendimento, della
scadenza, delle cedole fino alla possibilità di strutturare emissioni tailor-made;
- notevoli opportunità di diversificazione in quanto i CDO si qualificano come
investimenti alternativi rispetto alle tradizionali obbligazioni poiché offrono
l’opportunità di accedere indirettamente a classi di prestiti meno convenzionali.
Tuttavia le CDO non sono prive di elementi di criticità che sono stati messi in luce dalla
recente turbolenza sui mercati finanziari. Le CDO si presentano come operazioni più
complesse rispetto alle ABS tradizionali e di conseguenza più difficili da valutare. La
difficoltà di valutazione emerge dalle numerose varianti che ne esistono (balanche sheet vs
arbitrage, cash flow vs market value, cash vs synthetic), dalla vasta gamma di attivi che
compongono l’asset pool e infine dalla connaturata complessità dell’operazione che
contribuisce a rendere la cartolarizzazione più opaca con la possibilità di favorire conflitti di
interesse difficilmente individuabili a causa dell’opacità stessa. Ulteriori vulnerabilità che
caratterizzano l’universo delle CDO riguardano lo scarso sviluppo dei mercati secondari,
soprattutto in Europa, a causa della difficoltà ad effettuare valutazioni corrette sulle tranche
già sottoscritte e la scarsa standardizzazione delle operazioni che di volta in volta vengono
concluse.
2.4.1 Classificazione dei CDO
Esistono diverse classificazioni delle CDO in funzione dei criteri che vengono impiegati per
distinguerle. Sebbene non sempre esista una linea di demarcazione netta tra le varie
operazioni che effettivamente vengono realizzate sul mercato e nonostante le continue
innovazioni di processo e di prodotto cui è stato interessato l’universo delle cartolarizzazioni,
gli operatori tendono a distinguere le CDO in base a (Mazzuca, 2007b):
- la natura dell’operazione e, quindi, lo scopo primario, la finalità economica principale
per cui esse prendono vita (balance sheet CDO e arbitrage CDO);
- le modalità di gestione del collateral, nonché il rapporto che esiste tra questo e le
CDO emesse, in termini di flussi di capitale e di interessi (cash flow CDO e market
value CDO);
- la struttura mediante la quale l’operazione viene realizzata (cash CDO e synthetic
CDO). I CDO cash e i CDO sintetici si suddividono a loro volta in funzione delle
modalità di selezione e gestione del sottostante (static CDO e managed CDO). I
synthetic CDO vengono classificati in funzione delle modalità di funding (funded,
unfunded e partially funded synthetic CDO).
Anche i CDO, come gli ABS, possono essere classificati in base alle asset class oggetto di
cartolarizzazione. Pertanto è possibile distinguere le seguenti operazioni:
- Collateralised Loan Obligation (CLO) in cui l’attività oggetto della cartolarizzazione
è un portafoglio di prestiti concessi dalle banche alle imprese. Una sottocategoria è
rappresentata dalle CLO di PMI;
- Collateralised Bond Obligation (CBO) in cui l’attività oggetto di cartolarizzazione è
un portafoglio di obbligazioni emesse sia dal governo che dalle imprese;
52
Collateralised Mortgage Obligation (CMO) in cui l’attività oggetto di
cartolarizzazione è un portafoglio costituito da mutui ipotecari. A differenza dei MBS
i CMO suddividono gli investitori in classi; ogni classe è regolata diversamente per
quanto riguarda l’attribuzione dei flussi di pagamento ed è contraddistinta da una
diversa maturity e da un diverso livello di rischio.
Altre possibili asset class delle CDO sono: obbligazioni ad alto rendimento, crediti
nonperforming, prestiti a PMI, derivati del credito ecc. L’underlying portfolio, oltre ad essere
costituito da attività convenzionali, può essere composto anche da asset più esotici come i
prodotti di finanza strutturata ovvero prodotti che a loro volta sono frutto di operazioni di
cartolarizzazione. Si parla in questo caso di CDO di quarta generazione 94 i cui esempi più
tipici sono i seguenti: CDO di ABS, CDO di MBS, CDO di CDO, single tranche CDO.
I principali tipi di CDO inseriti in Tabella 2.1 e i CDO di ultima generazione, a causa del
ruolo di primo piano svolto nel determinare le dinamiche della diffusione della crisi subprime,
saranno presentati nel testo qui di seguito.
-
Tabella 2.1: Classificazione dei CDO
Criterio di classificazione delle CDO
Tipo di CDO
Natura dell’operazione
Balance Sheet CDO
Arbitrage CDO
Gestione del collateral e suo rapporto con le note
Cash flow CDO
Market value CDO
Struttura
Cash CDO
Synthetic CDO
Criterio di classificazione dei Synthetic CDO
Tipo di Synthetic CDO
Modalità di funding
Funded synthetic CDO
Unfunded synthetic CDO
Partially funded synthetic CDO
a) Balance sheet CDO e Arbitrage CDO
Le balance sheet CDO sono operazioni che vengono poste in essere dall’originator che, in tal
modo, intende comprimere l’ammontare dei crediti in bilancio al fine ridurre il patrimonio
detenuto ai fini di vigilanza.
Le balance sheet CDO presentano caratteristiche tali da essere assimilate alle
cartolarizzazioni tradizionali infatti, esse possono essere solo di tipo cash flow quindi
implicano sempre il trasferimento fisico degli asset allo SPV. Il pool di asset è statico ovvero
non è gestito attivamente da un asset manager; a differenza delle ABS, nella maggior parte dei
94
La crescente sofisticazione dei CDO e l’aumento della complessità degli asset costituenti il portafoglio
sottostante hanno ampliato la gamma di CDO esistenti sul mercato a tal punto che è possibile individuarne
quattro generazioni: cash flow CDO (prima generazione), synthetic balance sheet CDO (seconda generazione),
synthetic arbitrage CDO (terza generazione), infine i CDO di ultima generazione (CDO di ABS, CDO 2, single
tranche CDO) (Banque de France, 2005).
53
casi, il rimborso del capitale dei CDO avviene in un'unica soluzione a scadenza – struttura
bullet - senza, quindi, pagamenti intermedi.
Nelle balance sheet CDO esiste sempre un cap (un valore massimo) al rimborso della tranche
equity, viceversa non esiste un floor in quanto in caso di default i sottoscrittori dell’equity
possono anche perdere tutto 95 (Mazzuca, 2007b).
Le arbitrage CDO vengono realizzate con l’obiettivo di conseguire un extrarendimento o
excess spread derivante dalla differenza positiva tra il rendimento del pool di asset e quello
delle senior note. L’arbitraggio deriva dalla possibilità di finanziare a basso costo (attraverso
le senior note che hanno un profilo rischio-rendimento relativamente non elevato) un
investimento destinato a produrre rendimenti elevati (il collateral è composto
prevalentemente da high yield bond o prestiti alle imprese). Gli asset che compongono il
portafoglio da cartolarizzare possono essere individuati tra quelli presenti nel bilancio
dell’originator oppure essere acquisiti sul mercato secondario. La seconda ipotesi implica la
verifica dell’effettiva possibilità di acquisire il pool di asset sul mercato pagando un prezzo
inferiore rispetto a quello rinveniente dal collocamento delle CDO. Poiché si persegue un
interesse di arbitraggio lo sponsor, ossia colui che promuove l’operazione di
cartolarizzazione, può essere un soggetto diverso dall’originator degli asset. L’excess spread
realizzato viene tipicamente distribuito ai sottoscrittori della tranche equity (in genere lo
stesso originator o sponsor), tuttavia in tutto o in parte può essere destinato ad aumentare la
protezione offerta alle altre tranche e viene depositato in un’apposita riserva come tipica
forma di credit enhancement. Quindi, in un CDO di tipo arbitrage, la tranche equity non solo
riveste il ruolo di “cuscinetto” per le altre tranche bensì costituisce la ragion d’essere delle
arbitrage CDO dal momento che a essa vengono indirizzati gli eventuali extrarendimenti
derivanti dall’esistenza di opportunità di arbitraggio.
Riassumendo le principali differenze individuabili tra arbitrage CDO e balance sheet CDO
sono:
- nelle strutture arbitrage è frequente la presenza dello sponsor (che può coincidere con
l’asset manager) il cui obiettivo prioritario è di beneficiare, se sottoscrittore della
tranche equity, dell’excess spread generato dall’operazione;
- gli asset tipici, che compongono il collateral nelle balance sheet, sono prestiti bancari
mentre nelle arbitrage in linea teorica il pool può essere costituito da qualunque asset,
anche disponibile sul mercato, adatto a generare flussi ma di norma è formato da
obbligazioni ad alto rendimento e prestiti corporate;
- tipicamente le balance sheet sono cash flow CDO mentre le arbitrage possono essere
indifferentemente cash flow o market value CDO.
b) Cash flow CDO e Market value CDO
Le cash flow CDO condividono, rispetto alle market value, una serie caratteristiche tipiche
delle ABS tradizionali. Infatti, i flussi di interesse e di capitale derivanti dal pool di asset
vengono destinati alle tranche secondo il loro ordine di priorità e il collateral è formato da
amortizing asset (in genere high-yield bond che assicurano flussi di pagamenti periodici ben
definiti). Inoltre il portafoglio cartolarizzato non è soggetto a negoziazione da parte dell’asset
manager e pertanto l’incertezza relativa ai flussi di interesse e di capitale del collateral è
95
La considerazione vale anche per le cash flow CDO mentre per le market value CDO, essendo il collateral
valutato a valori di mercato, non esiste un cap per l’equity.
54
legata solo al numero di default che interessano gli asset che lo compongono e al momento in
cui essi si verificano.
In un market value CDO i flussi destinati alle tranche dipendono essenzialmente dai
rendimenti mark to market del collateral determinati, in via principale, dalle performance
dell’attività di negoziazione svolta dall’asset manager. Quindi, una sostanziale differenza
rispetto al cash flow CDO riguarda la presenza di un asset manager che gestisce in modo
dinamico il collateral. Proprio l’attiva svolta dall’asset manager risulta determinante per la
buona riuscita dell’operazione; da un lato egli è responsabile della negoziazione continua del
portafoglio di asset e dall’altro, dalle sue scelte dipende l’entità dei flussi destinati ai
sottoscrittori delle varie tranche.
Come il nome può suggerire, il valore del portafoglio cartolarizzato è attribuito in base a un
processo di marking to market continuo degli attivi che lo compongono e, per questo motivo,
vengono privilegiati asset adatti a essere valutati sul mercato dei capitali con riferimento sia al
loro valore corrente che alla volatilità dei loro prezzi. L’asset manager monitora il rapporto tra
il valore di mercato del collateral e il valore delle note e si impegna a mantenerlo su valori al
di sopra di una certa soglia minima; in questo modo le tranche dotate di rating risultano
coperte dal rischio di mercato associato al pool sottostante tramite la protezione offerta dalla
tranche equity pari alla differenza positiva tra il valore di mercato del collateral e quello delle
rated tranche. Ulteriore differenza tra market value e cash flow CDO è il ruolo attribuito alla
tranche equity: nel market value CDO la tranche equity funge da cuscinetto contro perdite
associate a una riduzione del valore di mercato del collateral mentre nel cash flow CDO
assorbe le eventuali perdite associate ad eventi di default negli underlying asset.
In base a quanto detto appare chiara la centralità della figura dell’asset manager il quale
esegue il proprio compito di negoziazione del collateral godendo di ampia discrezionalità
seppur nel rispetto di una serie di linee guida predeterminate, come ad esempio il
mantenimento di un certo livello di diversificazione all’interno del pool. L’asset manager,
inoltre, è chiamato anche a massimizzare il rendimento della tranche equity96 (che di sovente
sottoscrive) cogliendo le opportunità di arbitraggio che gli si presentano.
Al momento dell’emissione dei titoli CDO la liquidità generata dalla sottoscrizione delle note
non viene investita nell’operazione bensì ha inizio il periodo di ramp up durante il quale
l’asset manager prende le decisioni di investimento e acquista il collateral. Al termine del
suddetto periodo inizia il revolving period nel quale il pool di asset viene gestito attivamente
dall’asset manager dopodiché segue una fase più statica in cui il collateral non è soggetto a
negoziazione. Alla scadenza delle note gli asset del collateral vengono liquidati e il ricavato
viene impiegato per rimborsare le tranche, tipicamente in un’unica soluzione (bullet).
I market value CDO si rivelano particolarmente adatti in situazioni in cui le attività sottostanti
non sono particolarmente idonee a generare flussi facilmente prevedibili o quando si intende
soddisfare le esigenze di investitori che manifestano un’attitudine più marcata nei confronti di
contesti mark to market (come ad esempio gli hedge fund).
c) Cash CDO e Synthetic CDO
La struttura cash è del tutto simile alle cartolarizzazioni tradizionali ossia un pacchetto di
attività viene ceduto a uno SPV il quale emette tranche di CDO supportate dal pool di attivi
stesso.
96
Il rendimento della tranche equity dipende dallo spread tra il rendimento del collateral e quello delle note.
55
La differenza principale esistente tra strutture cash e strutture sintetiche riguarda la modalità
impiegata per trasferire il rischio di credito relativo a un pool di asset. In una struttura
sintetica il rischio viene trasferito dall’originator agli investitori mediante l’utilizzo di uno
strumento derivato del credito anziché mediante una vendita effettiva degli attivi. I credit
derivative più utilizzati per la realizzazione di CDO sintetici sono i CDS e le CLN. Quindi, un
synthetic CDO può essere visto come una combinazione tra una posizione corta su un derivato
creditizio (CDS o CLN), con la quale viene trasferito il rischio creditizio riferito a un pool di
asset e una posizione lunga su un pacchetto di attività (Choudhry, 2004.).
Una prima classificazione dei synthetic CDO è basata sulla modalità di funding la quale, a sua
volta, deriva dalla diversa qualificazione tra funfend e unfunded riferita ai derivati creditizi
impiegati per il trasferimento del rischio. É possibile distinguere dunque tra: funded, unfunded
e partially funded CDO. Se nell’operazione di cartolarizzazione sintetica si utilizzano
esclusivamente CDS, allora la struttura che si configura è definita unfunded poiché non dà
luogo a pagamenti iniziali a carico del protection seller. Viceversa, l’utilizzo delle CLN può
dare vita a strutture totally o partially funded in funzione, rispettivamente, dell’emissione di
titoli pari al valore del pool di asset il cui rischio di credito si intende trasferire o di un volume
di titoli inferiore al valore degli underlying asset. Le CLN sono derivati del credito funded
poiché il protection seller deve sempre sostenere un esborso iniziale all’inizio
dell’operazione; mentre nei contratti CDS il pagamento da parte del protection seller è solo
eventuale.
Oltre alla classificazione presentata l’innovazione finanziaria e la flessibilità che caratterizza
le strutture sintetiche hanno permesso l’introduzione di nuove configurazioni tra cui quelle
ibride, a metà strada tra le partially funded e le totally funded.
A loro volta i synthetic CDO possono essere di tipo arbitrage o balance sheet. Le synthetic
arbitrage CDO vengono impostate dall’originator o dallo sponsor qualora intendano sfruttare
un’opportunità di arbitraggio, mentre le synthetic balance sheet CDO sono impiegate dalle
banche originator che intendono gestire il capitale regolamentare.
Fully funded synthetic CDO
La struttura fully funded (vd. Figura 2.1) è la configurazione più semplice tra le strutture
sintetiche e anche quella meno rischiosa per via della costituzione del deposito di garanzia.
Nonostante i vantaggi appena richiamati i CDO fully funded sono poco diffusi perché,
generalmente, risultano più onerosi per l’originator se comparate con le altre CDO sintetiche
che impiegano modalità di funding differenti. La cartolarizzazione sintetica fully funded è
organizzata in modo tale che il trasferimento del rischio di credito, relativo a un portafoglio di
attività, dal protection buyer al protection seller (SPV) avvienga attraverso un CDS. In
cambio della protezione offerta lo SPV riceve premi periodici dall’originator e,
successivamente, colloca sul mercato delle CLN per un importo pari al valore del reference
portfolio. Le note vengono emesse in più tranche con profili rischio-rendimento differenti e di
conseguenza rating differenti, in aggiunta viene emessa anche la tranche equity priva di rating
solitamente sottoscritta dall’originator.
Dal momento che gli investitori sottoscrivono le CLN, di fatto, diventano protection seller in
quanto le note sono agganciate alla performance del pool di asset inoltre, sono esposti anche
al rischio di credito relativo all’emittente delle note. Al verificarsi di uno o più credit event
(ad esempio peggioramento della qualità del credito della reference entity o insolvenza) che
fanno scattare l’obbligazione del protection seller il nozionale sulle note emesse viene ridotto
56
così come i pagamenti in conto interesse spettanti agli investitori in relazione alle priorità di
pagamento.
I proventi derivanti dalla sottoscrizione delle note vengono investiti in un collateral composto
da asset di qualità elevata (come i titoli di Stato) o depositato sotto forma di liquidità in un
apposito conto. Il collateral ha una doppia funzione: genera i cash flow necessari alla
remunerazione e rimborso delle note e garantisce il pagamento al protection buyer in caso di
credit event.
Figura 2.1: Configurazione tipica di un Synthetic CDO fully funded
Fonte: Mazzuca (2007c)
Unfunded synthetic CDO (o fully synthetic CDO)
Le strutture unfunded funzionano come un semplice swap e trasferiscono il rischio di credito
relativo a un reference portfolio per mezzo di più CDS (basket of CDS). Similarmente
all’emissione delle note anche i CDS vengono offerti suddivisi in più tranche a cui
corrisponde un determinato profilo di rischio e quindi di rating. In tal modo viene emessa,
tipicamente, una tranche di CDS senior, una di CDS mezzanine e una tranche first loss;
talvolta è presente anche un super senior CDS al quale è associato un rischio inferiore rispetto
a quello proprio del senior CDS siccome gode di una maggiore protezione. I CDO sintetici
unfunded, a causa del loro funzionamento, sono difficilmente riconducibili a una tipologia ben
precisa di strumento finanziario. Essi, infatti, possono essere classificati come strumenti
prodotti da cartolarizzazioni o, come derivati creditizi o, ancora, come strumenti ibridi. In
questo contesto i synthetic CDO unfunded sono intesi come strumenti derivanti da operazioni
di cartolarizzazione ma che incorporano elementi che li accomunano ai credit derivative.
I premi pagati dal protection buyer (originator) sono suddivisi tra i vari sottoscrittori delle
tranche di CDS e costituiscono l’unica remunerazione. Gli investitori, in qualità di protection
seller, devono effettuare un pagamento a favore del compratore di protezione solo se si
verifica l’evento creditizio. Gli investitori della tranche senior eseguono il pagamento solo
quando le perdite del portafoglio superano la tranche first loss e mezzanine.
Dal momento che non si ha alcuna emissione di note i sottoscrittori delle tranche di CDS non
sono tenuti ad effettuare alcun pagamento iniziale, di conseguenza viene a mancare la
costituzione del collateral o del deposito. A causa della mancanza del collateral che assicura
il pagamento a favore del protection buyer al verificarsi di un credit event l’attenzione è posta
sulla solvibilità del protection seller e sulle ulteriori tecniche di credit enhancement
normalmente impiegate nelle cartolarizzazioni.
57
Tipicamente lo scopo perseguito dal soggetto che decide di allestire una securitisation
sintetica di tipo unfunded consiste nell’ottimizzazione della gestione del rischio di credito
incorporato negli asset di un portafoglio. Il fatto che per trasferire il rischio di credito, invece,
di ricorrere semplicemente ai CDS venga installato una CDO sintetica è legato alle maggiori
potenzialità che le unfunded CDO offrono rispetto alle CDS in termini di:
- possibilità di diversificazione del portafoglio di asset;
- possibilità di cartolarizzare in maniera sintetica portafogli revolving che permettono di
variare la composizione portafoglio;
- flessibilità e grandi libertà concessi all’originator prima fra tutte la possibilità di
trasferire il rischio di credito relativo a un portafoglio di attivi senza dovere esplicitare
il nome dei singoli asset che la compongono. Infatti i CDS normalmente non sono
single-name swap bensì sono scritti su una classe di debito.
A differenza delle altre strutture e, in particolare di quelle fully funded, le CDO unfuded non
prevedono l’emissione di titoli da destinare al pubblico evitando in questo modo i controlli e
gli obblighi informativi finalizzati alla tutela dell’investitore.
Partially funded synthetic CDO
Le CDO partially funded (vd. Figura 2.2) sono le strutture sintetiche più diffuse sul mercato.
La loro costruzione è frutto di una combinazione delle strutture precedentemente trattate e, in
tal modo, consentono all’originator dell’operazione di beneficiare sia dei vantaggi offerti dalle
totally funded – riduzione del rischio di controparte per effetto della presenza di un
collateral/deposito e possibilità di conseguire un capital relief – sia dei vantaggi delle
strutture unfunded – benefici in termini di facilità di implementazione. I partially funded CDO
trasferiscono il rischio di credito relativo a un portafoglio di asset attraverso l’utilizzo
congiunto di CDS e di CLN; si tratta, pertanto, di strutture ibride la cui liability side è
composta da una parte funded (riconducibile alle CLN) e da una parte unfunded (riconducibile
al CDS). Nella struttura più comune il compratore di protezione trasferisce il rischio di credito
relativo al reference portfolio a due controparti attraverso la sottoscrizione di due CDS 97. Il
primo venditore di protezione – la controparte del CDS definito junior – è tipicamente uno
SPV che implementa la parte funded dell’operazione attraverso l’emissione di CLN. Il
secondo protection seller – la controparte del CDS definito senior - è tipicamente un
intermediario finanziario (ad esempio una banca OECD o una compagnia di assicurazione) il
quale è incaricato dell’implementazione della parte unfunded dell’operazione. Entrambi
ricevono premi in cambio di protezione sul rischio di credito con l’unica differenza che la
controparte del junior CDS (SPV) riceve un premio che, oltre ad essere destinato alla
remunerazione della protezione offerta, è destinato anche alla remunerazione delle CLN.
Quindi le CNL sono remunerate in parte dal premio e in parte dai cash flow prodotti dal
collateral. Per quanto riguarda la capital structure dal lato del passivo è presente la quota
unfunded (detta super senior tranche ad indicare che è sovraordinata rispetto alla senior
tranche) e la quota funded a sua volta suddivisa in più tranche caratterizzate da una diversa
priorità di pagamento. Tipicamente la quota funded rappresenta solo una piccola parte (non
superiore al 30%) dell’intera operazione; la restante fetta (almeno il 70%) si sviluppa su base
unfunded tramite la super senior tranche. Se paragonate alle fully funded le strutture partially
97
Non in tutte le cartolarizzazioni partially funded sono previsti protection seller diversi infatti si può verificare
che i due CDS, senior e junior, vengano sottoscritti dalla medesima controparte (Mazzuca, 2007c)
58
funded sono meno onerose poiché, grazie al meccanismo della subordinazione, il premio
pagato sulla super senior tranche risulta inferiore rispetto alla tranche funded.
Figura 2.2: Configurazione di una Synthetic CDO partially funded
Fonte: Mazzuca (2007c)
In sostanza la super senior tranche risulta meno rischiosa della migliore tra le tranche funded
in quanto gode di una maggiore protezione. Sebbene i CDO partially funded incorporino una
serie di benefici per l’originator e nonostante la loro predominanza nel mercato dei CDO
sintetici è bene sottolineare alcuni elementi di criticità:
- la scelta della controparte del senior CDS deve essere portata a termine con grande
attenzione;
- la composizione e la natura del reference portfolio deve essere adeguata al fine di
ottenere il rating desiderato; qualora tale condizione non fosse verificata è meglio
servirsi di una struttura totally funded che offre maggiori garanzie.
I CDO cash e i CDO sintetici, in funzione delle modalità di selezione e gestione del
sottostante sono distinti in static CDO e managed CDO. Il reference portfolio dei primi è
destinato a non subire alcuna modifica, né per effetto di reinvestimento, né per effetto di
sostituzione durante la vita delle CDO mentre quello dei secondi è gestito in maniera attiva
dall’asset manager che ha, tipicamente, ampi margini di discrezionalità in termini di
variazione della composizione del pool di asset. Con riferimento ai synthetic CDO l’aggettivo
“managed” si riferisce ai CDS che possono essere gestiti attivamente dall’asset manager nel
corso dell’operazione. Infatti, l’asset manager di una managed synthetic CDO è autorizzato a
svolgere un’attività di trading di CDS nel rispetto dei limiti imposti dalle linee guida
dell’operazione. L’attività di negoziazione dei CDS può comportare la riduzione dei CDS in
portafoglio (ad esempio per effetto della risoluzione di contratti precedentemente sottoscritti)
o al contrario il loro aumento che si realizza tramite la sottoscrizione di nuovi CDS. Il trading
può essere svolto perseguendo finalità di hedging di una o più reference entity presenti nel
59
pool tramite la sottoscrizione di nuovi CDS in cui lo SPV assume il ruolo di protection buyer
(short CDS)98.
d) CDO di ultima generazione
Qui di seguito verranno presentate due tipologie di CDO di “ultima generazione”: i CDOsquared e le single tranche CDO.
CDO-squared (CDO di CDO, CDO 2)
I CDO-squared (vd. Figura 2.3) sono emessi in seguito a cartolarizzazioni repackaging e il
loro nome deriva dal fatto che il reference portfolio è formato prevalentemente da altri CDO
di tipo cash e/o synthetic. Se il portafoglio è composto esclusivamente da CDO allora lo
strumento finanziario in questione prende il nome di CDO-squared pure. Tuttavia, spesso,
accade che il collateral sia composto solo in misura prevalente da CDO mentre la restante
quota è riferibile ad altri prodotti di finanza strutturata (tipicamente ABS).
Figura 2.3: Configurazione tipica di una CDO-squared
Fonte: Mazzuca (2007d)
I CDO-squared sono comparsi la prima volta sul mercato nel 1999 e venivano realizzati, nella
maggior parte dei casi, mediante l’impiego di strutture cash. I CDO che formavano il pool
erano acquistati sul mercato secondario sotto la pari mentre, la raccolta di risorse liquide
avveniva sul mercato primario tramite il collocamento dei CDO-squared alla pari; si
realizzava così un premio di liquidità. Tuttavia, la forte domanda degli investitori di attività ad
alto rendimento ha fatto crescere progressivamente la complessità dei CDO-squared a tal
punto che le prime strutture cash sono state progressivamente rimpiazzate dalle strutture
sintetiche e le esposizioni sottostanti sono diventate più rischiose e opache. La capital
structure di un CDO-squared implica la presenza di CDO sia dal lato dell’attivo sia dal lato
del passivo: l’attivo è composto da un insieme di CDO definiti inner CDO di cui viene
98
Di norma le linee guida dell’operazione fissano una serie di limiti alla sottoscrizioni di short CDS al fine di
limitare le perdite associate ai premi poiché, il veicolo in quanto protection buyer, è tenuto a versare i premi alla
propria controparte.
60
utilizzata solo una tranche99 per ognuno di essi, il passivo è, invece, costituito da più tranche
di un’unica CDO detta outer CDO.
L’aspetto interessante dei CDO-squared è che le tranche del CDO-squared ricevono un rating
maggiore rispetto a quello delle tranche delle inner CDO. Questo fenomeno dipende dal fatto
che la correlazione tra le varie tranche delle inner CDO è minore rispetto alla correlazione
delle attività del portafoglio della prima cartolarizzazione (Banco de España, 2008).
La complessità dei CDO-squared in confronto alle CDO plain vanilla dipende dal legame che
si instaura tra inner e outer CDO e sempre quest’ultimo determina il valore del prodotto
finanziario. Nello specifico il valore della CDO-squared dipende, soprattutto, dalle
caratteristiche delle inner tranche in termini di:
- livello di protezione di cui esse godono: maggiore è il livello di seniority delle inner
tranche maggiore sarà il livello di protezione di cui essa gode e minore sarà la
rischiosità;
- nozionale ossia quanta parte delle inner CDO viene impiegata ai fini della
realizzazione dell’outer CDO: a parità di perdite, maggiore è il nozionale impiegato
per il repackaging minore è la rischiosità delle inner tranche.
Ulteriori caratteristiche peculiari dei CDO-squared che, peraltro, ne accrescono la complessità
sono: la doppia subordinazione e il doppio leverage. La doppia subordinazione offre alle
tranche dotate di rating un maggiore livello di protezione conferito dalla subordinazione delle
inner CDO, indicato dall’attachment point, e dalla subordinazione della outer CDO, pari alla
tranche equity unrated. In altri termini, per meglio spiegare il concetto di doppia
subordinazione: affinché le rated tranche dei CDO-squared vengano intaccate dalle perdite le
perdite prima devono erodere una parte delle inner CDO, ovvero la parte oltre l’attachment
point, e poi deve essere totalmente intaccata la tranche equity dei CDO-squared. Il beneficio
della doppia subordinazione viene eroso quando le inner CDO si riferiscono al rischio di
credito sottostante ai medesimi asset/nomi. Nel caso appena descritto si crea un maggiore
livello di concentrazione che, in caso di perdite, determina un processo di erosione delle outer
CDO più veloce. Se da un lato, grazie ai benefici della doppia subordinazione, i CDOsquared risultano meno rischiosi dei CDO classici dall’altro, il livello di rischiosità è ampliato
per effetto del doppio leverage che moltiplica il rischio sistemico. Difatti i CDO-squared sono
più sensibili, rispetto ai CDO tradizionali, all’incidenza di eventuali perdite poiché l’effetto
complessivo delle perdite sui CDO-squared risulta maggiore rispetto all’effetto complessivo
sulle inner CDO. Dalle considerazioni fin qui svolte appare chiaro come i CDO-squared siano
sottoposti a un effetto contrapposto in termini di rischiosità: l’effetto positivo dato dalla
doppia subordinazione e l’effetto negativo conseguenza del doppio leverage. La Figura 2.4
mostra il confronto tra i CDO-squared e i CDO plain vanilla e permette di comprendere come
la doppia subordinazione offre una maggiore resistenza iniziale alle perdite e come, al
contrario, il doppio leverage innesca una rischiosità maggiore a causa della maggiore velocità
di erosione delle tranche in caso di perdite che superano i livelli di protezione determinati
dalla doppia subordinazione (Mazzuca, 2007d).
L’evoluzione dei CDO-squared sono i CDO-cubed ossia CDO-squared garantiti da altri
CDO.
99
Tipicamente le tranche oggetto di resecuritisation sono quelle mezzanine poiché meglio di altre consentono di
ottenere i profili di rischio-rendimento desiderati.
61
Figura 2.4: CDO-squared e CDO tradizionali: benefici a confronto
Fonte: Mazzuca (2007d)
Single tranche CDO
Le single tranche CDO sono un particolare tipo di CDO sintetico che, come il nome
suggerisce, sono strutturate in modo tale che l’emissione sia articolata su un’unica tranche di
CDO. Esse rappresentano un esempio lampante della capacità delle strutture sintetiche di
produrre prodotti finanziari cuciti addosso alle esigenze degli investitori.
Infatti, le sigle tranche CDO sono il prodotto di cartolarizzazioni tailor-made, altrimenti dette
investor driven, avviate al fine di soddisfare le esigenze in termini di profilo rischiorendimento di uno specifico investitore il quale può scegliere la composizione del portafoglio,
il grado di subordinazione e la dimensione della tranche nonché cedola e maturity delle note.
Il sottoscrittore o venditore di protezione, quindi, risulta esposto solo a una tranche (di solito
quella mezzanina) di rischio di credito relativo al portafoglio sottostante. In questa struttura di
cartolarizzazione non è presente la figura del veicolo perciò la diretta controparte
dell’investitore è l’originator o l’arranger stesso in qualità di protection buyer.
Dal momento che viene emessa un’unica tranche di note il trasferimento del rischio di credito,
relativo al reference portfolio, all’investitore è solo parziale e comporta necessariamente che
la parte di rischio non trasferita rimanga in capo all’originator. Quindi, il portafoglio
dell’originator, in seguito dell’emissione di una single tranche CDO, è formato da due
componenti: la parte che dà origine alla single tranche CDO il cui rischio è coperto in quanto
è trasferito al protection seller e la restante parte che rimane esposta al rischio. A causa
dell’esistenza di una parte di rischio che rimane in capo all’originator quest’ultimo dovrà
adottare una strategia di hedging che riduca totalmente o parzialmente il rischio derivante
dalla posizione aperta. Le single tranche CDO, essendo di natura sintetica, possono essere di
tipo funded o unfunded.
Dai caratteri distintivi dell’operazione è facile comprendere che uno dei vantaggi principali, in
capo all’investitore, consiste nelle infinite possibilità di personalizzazione dell’emissione.
L’investitore assume un ruolo attivo nella costruzione della cartolarizzazione al fine di
ottenere rendimenti relativamente maggiori, a parità di rating, con altri investimenti e in linea
con le proprie esigenze e strategie in termini di diversificazione e/o copertura del proprio
portafoglio. L’originator a sua volta realizza dei benefici legati alla relativa semplicità di
62
impostazione della cartolarizzazione con un conseguente risparmio di costi e tempo. Infatti la
semplificazione rispetto a una struttura di CDO classica è giustificata, oltre dall’assenza del
veicolo, anche, trattandosi prevalentemente di emissioni private, dal venir meno degli
obblighi in capo all’originator di preparazione di tutta quella serie di prospetti informativi che
sarebbero invece necessari per le emissioni pubbliche.
63
64
3. Effetti delle operazioni di cartolarizzazione: rischi e potenziali
benefici
3.1 Introduzione
Le operazioni di securitisation offrono numerosi vantaggi e opportunità sia agli intermediari
finanziari che assumono il ruolo di originator di tali operazioni sia agli investitori che
scelgono di sottoscrivere i titoli emessi a fronte delle stesse sia al sistema economico nel suo
complesso. Tuttavia, esse comportano dei rischi, alcuni sono già esistenti prima
dell’operazione altri, invece, nascono proprio a seguito dell’avvio della cartolarizzazione.
Nel presente paragrafo si parlerà quindi dei principali benefici derivabili dalle
cartolarizzazioni (sia per l’originator, per gli investitori e per il sistema economico) nonché
dei rischi che esse comportano in capo all’originator; spazio sarà dato, anche, alla trattazione
dei profili di rischio dei titoli ABS.
3.2 Potenziali benefici derivanti dalle operazioni di cartolarizzazione
I vantaggi derivabili dalle operazioni di cartolarizzazione sono molteplici sia per i soggetti
partecipanti all’operazione sia per l’intero sistema economico. Di seguito sono elencati i
principali vantaggi che la securitisation comporta per la banca originator, per gli investitori in
ABS e per il sistema economico.
L’analisi dei vantaggi conseguibili dall’originator permette di cogliere le potenzialità di tale
strumento e di comprendere in parte le motivazioni che stanno alla base del grande successo
che le cartolarizzazioni hanno avuto tra gli intermediari finanziari.
I benefici che la cartolarizzazione comporta per l’originator sono:
a) la cartolarizzazione si configura come una forma alternativa di raccolta di fondi che
comporta una diversificazione delle proprie fonti di finanziamento e rende l’attività di funding
più stabile ed efficace in termini di costi. Tale effetto è evidente, soprattutto, nelle
cartolarizzazioni cash che comportano un’entrata di liquidità a fronte della cessione degli
asset; tale liquidità sarà a disposizione della banca originator per diversi impieghi;
b) la cartolarizzazione rappresenta una tecnica innovativa di risk-trasnfer che conduce a
un’efficiente condivisione del rischio tra soggetti intenzionati ad assumerlo. Gli intermediari
finanziari che avviano cartolarizzazioni hanno la possibilità di ridurre in modo significativo
l’esposizione al rischio degli asset cartolarizzati con effetti positivi sul risk management100.
L’effettivo trasferimento totale del rischio è limitato dalla diffusa pratica tra gli originator di
sottoscrivere la tranche più rischiosa (equity) al fine di fornire un forte segnale al mercato
della buona qualità dei titoli emessi dal veicolo. Ulteriori benefici per il risk management
possono derivare dall’impiego della liquidità generata dalla securitisation (tradizionale) e/o
della porzione di capitale di vigilanza resasi disponibile per modificare il profilo di rischio del
100
Le banche con un alto grado di leverage o con attivi composti da crediti rischiosi risultano più attive nel
mercato delle cartolarizzazioni (Cardone-Riportella et al, 2009).
65
proprio attivo, ad esempio operando una diversificazione geografica o settoriale del
portafoglio prestiti;
c) la cartolarizzazione permette un risparmio di capitale regolamentare, il cosiddetto capital
relief. Con tale termine si indica la possibilità per gli intermediari bancari di ridurre il capitale
allocato per i rischi imposto dalle norme di vigilanza prudenziale. Poiché in base al Nuovo
Accordo di Basilea (Basilea 2) il coefficiente patrimoniale minimo è fissato all’8% (dato dal
rapporto tra patrimonio di vigilanza e attività ponderate per il rischio) la cartolarizzazione
offre la strada per la liberazione di capitale attraverso la vendita delle attività rischiose a un
soggetto terzo (SPV) che consente poi il reinvestimento della liquidità ottenuta in ulteriori
attività con un profilo di rischio inferiore (quindi un coefficiente di ponderazione più basso)
rispetto a quello associato alle attività prima presenti nel portafoglio. Tuttavia, Basilea 2 va a
limitare le possibilità di arbitraggio regolamentare, rispetto al precedente Accordo del 1988,
siccome in base alla nuova disciplina la liberazione di capitale dipende dalla: (i) qualità del
portafoglio sottostante; (ii) tranche first loss che viene trattenuta dalla banca (maggiore è la
posizione sulla tranche equity trattenuta dall’originator minore sarà il risparmio di capitale
detenuto ai fini regolamentari). Con l’entrata in vigore, quindi, del Nuovo Accordo sul
Capitale gli incentivi agli arbitraggi regolamentari si riducono notevolmente. Indubbiamente
le possibilità di “circumnavigare” la regolamentazione incrementando in tal modo i capital
ratio senza, tuttavia, incrementare la solvibilità e solidità patrimoniale ai tempi di Basilea 1
hanno permesso il conseguimento di notevoli benefici dal punto di vista regolamentare;
d) la cartolarizzazione consente di svincolare il costo della raccolta dal merito di credito
dell’emittente e più precisamente ne riduce il costo poiché generalmente i titoli emessi dallo
SPV hanno un rating maggiore rispetto ai bond emessi direttamente dall’originator;
e) in un ottica di Asset - Liability Management (ALM) la cartolarizzazione permette di ridurre
il mismatching tra attivo e passivo. Normalmente la scadenza del passivo (depositi bancari,
finanziamenti interbancari ecc.) è a breve termine a cui si contrappone l’attivo con scadenza a
medio-lungo termine. Questo disallineamento può essere in parte ridimensionato adattando le
scadenze dei finanziamenti al profilo degli impieghi, realizzando una migliore gestione del
rischio di tasso di interesse;
f) la cartolarizzazione dei crediti può essere vista come uno strumento che permette il
miglioramento delle performance della banca in termini di indici di redditività: ROE, ROA
ecc. Il capitale liberato e/o la liquidità incamerata a seguito dell’emissione di ABS possono
essere successivamente riallocati in altre forme di impiego. Ad esempio i fondi ottenuti a
fronte di un’operazione di cartolarizzazione potrebbero essere utilizzati per erogare ulteriori
finanziamenti. Un ampliamento dell’offerta di credito, a sua volta, permette alla banca
originator, da un lato, di aumentare il tasso di rotazione del portafoglio prestiti e, dall’altro, di
beneficiare di un vantaggio informativo che si manifesta nell’attività di lending. In questo
modo aumenta il rendimento del patrimonio informativo e di conseguenza anche il
rendimento del capitale. L’erogazione di nuovi prestiti ha, inoltre, un effetto positivo di natura
commerciale poiché permette alla banca di ampliare la propria penetrazione sul mercato
aumentando i clienti affidati;
g) la cartolarizzazione permette la specializzazione infatti, la banca si può specializzare
nell’attività in cui riesce a sviluppare un vantaggio competitivo tra origination, servicing, o
66
credit enhancement. La specializzazione permette, inoltre, di incrementare e diversificare i
propri introiti da commissioni e interessi.
I primi tre vantaggi (punti a), b), c)) sopra esposti costituiscono le principali motivazioni che
hanno spinto gli istituti di credito a cartolarizzazione gran parte dei loro attivi e che hanno
contribuito alla crescita del mercato nei recenti anni di queste operazioni. Sebbene la
decisione di cartoralizzare parte dell’attivo bancario dipenda da più fattori che non si
escludono a vicenda, la possibilità di convertire attività illiquide in fondi liquidi disponibili
per ulteriori impieghi risulta essere il principale incentivo che ha spinto le banche ad entrare
nel mercato della cartolarizzazione. Infatti, grazie ai meccanismi di rafforzamento del credito,
il rating dei titoli garantiti da attività è spesso superiore a quello dell’originator, il quale è
pertanto in grado di attingere a fonti di finanziamento che gli sono di norma precluse.
In linea generale, qualora l’obiettivo delle banca sia il funding, la struttura di cartolarizzazione
da adottare deve essere quella di tipo tradizionale. Al contrario, se la banca desidera ottenere
un beneficio da capital relief o una migliore gestione del rischio di credito le strutture
sintetiche permettono di raggiungere l’obiettivo a un costo minore rispetto le operazioni
tradizionali.
Anche gli investitori sottoscrivendo i titoli ABS possono conseguire una serie di benefici
legati ai due principali punti di forza di questi strumenti finanziari ossia la varietà e la
flessibilità. Mediante l’investimento in titoli ABS essi possono:
a) diversificare il portafoglio investimenti: quando il mercato è incompleto l’introduzione di
nuovi strumenti può rivelarsi vantaggiosa poiché la nuova offerta diversifica le opportunità di
investimento. Il mercato delle ABS è notevolmente diversificato dal punto di vista delle
strutture, dei rendimenti e delle scadenze; inoltre gli asset che garantiscono i titoli
rappresentano molti settori dell’attività commerciale. Acquistando titoli ABS di diverse
operazioni di cartolarizzazione gli investitori ottengono pertanto un beneficio dal punto di
vista della diversificazione del proprio portafoglio investimenti; infatti gli attivi ceduti
rappresentano attività operative, settori economici, aree geografiche molto diverse tra loro
difficilmente raggiungibili con modalità alternative;
b) ottenere un miglior profilo rischio-rendimento rispetto ai corporate bond e ai titoli di Stato:
gli ABS valutati tripla A offrono rendimenti allettanti rispetto ad altri titoli a reddito fisso a
parità di rischio e scadenza;
c) accedere a prodotti altamente personalizzati (tailor-made): grazie all’ampia varietà di attivi
sottostanti congiuntamente alla possibilità di definire la scadenza, la struttura dei pagamenti e
il rendimento dei titoli gli investitori possono disporre di strumenti finanziari personalizzati
sulle proprie esigenze.
Considerando il clima di euforia che aveva caratterizzato il mercato delle ABS prima dello
scoppio della crisi finanziaria è opportuno sottolineare alcuni aspetti peculiari delle ABS che
le differenziano dalle obbligazioni tradizionali e che devono essere tenuti in considerazione
ogni qualvolta si decida di investire negli strumenti cartolarizzati:
- l’illusione di un grado di liquidità maggiore rispetto a quello di cui realmente godono
(liquidity illusion);
67
-
-
l’illusione del rating AAA: il rating non deve costituire l’unico criterio su cui basare le
scelte di investimento. Per quanto un titolo ABS con rating AAA possa essere un
investimento appetibile occorre tenere presente che il rating rispecchia solo alcuni
aspetti del rischio insito nei titoli emessi a fronte di un’operazione di cartolarizzazione
(ad esempio il design proprio dei CDO implica una maggiore sensibilità al rischio
sistematico rispetto ai tradizionali bond ma questo aspetto non è catturato nel giudizio
di rating). In particolare, poiché gli eventi estremi hanno una probabilità maggiore di
verificarsi rispetto agli strumenti tradizionali con uguale merito di credito, un
eccessivo affidamento sui rating da parte degli investitori può indurli ad assumere
inconsapevolmente esposizioni a perdite inattese (Fender et al, 2005);
l’illusione dell’alto rendimento rispetto a titoli similari non deve trarre in inganno
l’investitore in quanto le ABS possono presentare livelli di rischiosità diversi, anche a
parità di spread.
In termini più generali è possibile affermare che la cartolarizzazione offre numerosi vantaggi
per il sistema economico nel suo complesso. Ad esempio la cartolarizzazione migliora
l’efficienza allocativa, favorisce la diffusione di specializzazioni nelle varie fasi del processo
di cartolarizzazione, completa il mercato, permette di abbassare il costo dei finanziamenti,
consente una distribuzione del rischio di credito ad altri soggetti disposti a sostenerlo ecc.
Sul tema la National Economic Research Associates (NERA) su richiesta dell’American
Securitisation Forum ha analizzato l’impatto della cartolarizzazione su consumatori,
investitori e mercato dei capitali ottenendo i seguenti risultati principali (NERA Economic
Consulting, 2009):
a) la cartolarizzazione ha un effetto positivo sull’accesso al credito, aumenta la disponibilità
di finanziamenti per i prenditori di fondi soprattutto nei segmenti/aree sottoservite. Lo studio,
infatti, dimostra che, tenendo costanti tutti gli altri fattori, la cartolarizzazione ha un notevole
impatto positivo sulla crescita dei prestiti delle banche. Tale risultato è confermato anche
dallo studio di Altunbas et al (2007) in cui si riscontra che le banche che adoperano in modo
rilevante le tecniche di cartolarizzazione riescono ad accordare maggiori prestiti e tale effetto
è maggiore in presenza di una crescita economica. Inoltre, la ricerca dimostra che la
cartolarizzazione ha esercitato un ruolo fondamentale sui livelli di crescita record dei prestiti
raggiunti negli anni pre-crisi infatti, tali risultati non sarebbero stati raggiunti senza la
securitisation.
b) la cartolarizzazione abbassa il costo del credito per i consumatori. Lo studio ha analizzato i
prestiti ipotecari su immobili residenziali (compresi prestiti conforming, prestiti jumbo, e
prestiti subprime), i prestiti concessi per l’acquisto dell’auto e i crediti derivanti dall’utilizzo
di carte di credito. Il risultato ottenuto è un’effettiva diminuzione del costo del credito
associato a un aumento dell’attività di cartolarizzazione (ad esempio un aumento del 10%
delle cartolarizzazioni è associato a una diminuzione dello spread applicato ai mutui ipotecari
subprime nell’ordine di 24-38 bp).
68
3.3 I profili di rischio dell’operazione di cartolarizzazione
Nonostante i potenziali benefici derivanti dall’operazione di cartolarizzazione trattati nel
paragrafo precedente, un’emissione di ABS può comportare degli effetti negativi legati al
sostenimento di costi di diversa natura e all’insorgere di nuove tipologie di rischi.
Uno degli ostacoli principali alla strutturazione di uno progetto di securitisation è il
sostenimento di una serie di costi di entità rilevante. Si tratta, in particolare, di costi
amministrativi, costi derivanti dall’attività di emissione e costi derivanti dalla richiesta di
garanzie esterne i quali sono conseguenza diretta della presenza di molti soggetti nonché del
procedimento laborioso che richiede un’operazione di cartolarizzazione. Per tali ragioni,
quando l’originator intende cartolarizzare un pool di asset con l’obiettivo del funding, diviene
indispensabile valutare preventivamente la convenienza economica dell’intera operazione
mediante una corretta analisi costi-benefici derivanti da un’operazione di securitsation
rispetto a una forma di finanziamento tradizionale (emissioni di obbligazioni, finanziamenti
interbancari ecc.). Inoltre, è desiderabile che il portafoglio da cartolarizzare abbia dimensioni
rilevanti in modo da conseguire economie di scala.
Come è stato anticipato l’operazione di cartolarizzazione comporta numerosi rischi; alcuni
sono già presenti prima della trasformazione dei crediti in ABS, altri nascono proprio a
seguito di tale operazione.
L’originator tramite un’operazione di cartolarizzazione si espone a un rischio spesso poco
considerato ossia quello reputazionale. Il reputational risk è quel rischio che può derivare, in
primis da fallimenti di tipo operativo, ma anche da altre molteplici fonti che possono incidere
sulla reputazione della banca e minare il rapporto di fiducia con i clienti e con il mercato in
generale. Si tratta di un tipo di rischio, presente anche qualora il portafoglio di attività sia
stato effettivamente trasferito, che spinge la banca originator a proteggere la propria
reputazione riacquistando il pool di crediti ceduti, anche in mancanza di un’obbligazione di
questo tipo a suo carico, nel caso in cui gli asset cessino di essere produttivi (tale eventualità è
tanto più probabile quanto più lo schema di cartolarizzazione è complesso). Inoltre, è bene
sottolineare che l’originator, per mezzo di una securitisation, difficilmente otterrà come
risultato la totale eliminazione dei rischi associati al portafoglio di crediti sottostante, se non
altro nella misura in cui ha prestato delle forme di garanzia. Infatti il rischio principale in cui
può incorrere una banca con uno schema di cartolarizzazione sorge nel momento in cui non ha
avuto luogo la vendita effettiva – true sale – e la banca cedente è costretta ad addossarsi in
tutto o in parte le perdite che eventualmente si determinino nel portafoglio cartoralizzato. In
presenza di una delle seguenti situazioni l’originator non ha eliminato totalmente il rischio di
credito relativo al pool di asset cartoralizzato quindi è esposto a potenziali perdite che
possono verificarsi nel reference portfolio (BCBS, 1992):
- vincolo di riacquisto o di scambio di attività;
- clausola di rivalsa per cui il rischio di perdite a fronte delle attività cedute resta a
carico della banca cedente o viene trasferito a quest’ultima;
- obbligo verso una qualsiasi parte di effettuare i pagamenti in conto capitale o interessi
sulle attività cedute (al di là di quelli derivanti dalla funzione di gestore);
- la banca originator è proprietaria dello SPV oppure esercita su di esso un controllo o è
tenuta a consolidare nel proprio bilancio lo SPV;
- l’originator presta una serie di garanzie a supporto dell’operazione di
cartolarizzazione;
69
-
l’originator sottoscrive una qualsiasi categoria subordinata di tranche.
3.4 I profili di rischio delle ABS
Gli investitori che sottoscrivono titoli ABS si espongono a tutti i rischi tipici che attengono ai
valori mobiliari più a una serie di altri rischi peculiari dei titoli cartolarizzati. Di seguito si
presentano i principali tipi di rischio che riguardano i titoli ABS.
Rischio di credito
Il rischio di credito è il rischio di incorre in possibili perdite dovute al default dei debitori
originari o al deterioramento del merito creditizio. In pratica il rischio di credito deriva dalla
capacità del portafoglio di crediti selezionato e ceduto, di generare redditi nella misura e nei
tempi necessari al rimborso del capitale e degli interessi. Un indicatore a disposizione degli
investitori che fornisce un’opinione sulla capacità relativa di un soggetto di onorare alle
scadenze prefissate i propri impegni finanziari è il rating assegnato da agenzie specializzate.
Il rischio di credito delle ABS risente:
- del grado di correlazione degli attivi che compongono il portafoglio cartolarizzato. Il
rischio di credito del pool di asset può essere ridotto ricorrendo alla diversificazione
dei crediti presenti nel portafoglio. Infatti, l’inclusione di attività non correlate ha un
effetto positivo sul rischio di credito che si riduce nelle componente non sistematica.
Tuttavia l’esigenza di ridurre il profilo di rischiosità del portafoglio si scontra con la
necessità di avere portafogli composti da un’unica tipologia di attività con l’intento di
facilitare la previsione dei flussi di cassa e le analisi statistiche. Negli ultimi anni lo
sviluppo di operazioni più complesse quali le cartolarizzazioni multi-seller ha favorito
la riduzione dei profili di rischio del portafoglio di attività;
- della quota di rischio trasferita a terzi e supporti contrattuali ed extracontrattuali.
Correlation risk
Il rischio di correlazione in un portafoglio di asset riguarda la possibilità di avere fallimenti
congiunti degli obbligati compresi nel pool.
Il correlation risk è rilevante per i CDO 101, infatti uno dei fattori chiave che incidono sulla
valutazione della distribuzione delle perdite nei portafogli di CDO è proprio la correlazione
fra le insolvenze degli asset nel pool. Quindi il rischio delle tranche di CDO deve essere
analizzato in riferimento alla probabilità di default (PD) di ciascun debitore ceduto ma anche
considerando la distribuzione delle perdite del reference portfolio basata sulla stima del
livello di correlazione. In base alle assunzioni sul livello di correlazione la distribuzione delle
perdite varia in modo considerevole. Per valori bassi di correlazione la distribuzione tipica
delle perdite del pool avrà una forma campanulare asimmetrica approssimata nel modo
migliore dalla distribuzione binomiale (vd. Figura 3.1 grafico di sinistra). Livelli elevati di
correlazione modificano la forma della distribuzione rendendola ancora più asimmetrica con
un aumento delle probabilità in corrispondenza di eventi estremi - tutti i debitori falliscono
oppure nessuno debitore fallisce (vd. Figura 3.1 grafico centrale e di destra).
101
I CDO presentano un basso “frazionamento” rispetto alle ABS tradizionali e generalmente contengono, o
prendono a riferimento, un numero relativamente ristretto di attività non omogenee. Pertanto, nel caso delle
CDO la performance del portafoglio risente sia del rischio specifico sia del rischio sistematico (Fender et al.,
2005).
70
Figura 3.1: Distribuzione delle perdite nei portafogli di CDO: raffronto tra correlazioni
diverse
Bassa correlazione (1%)
Correlazione media (45%)
Alta correlazione (99%)
Fonte: Banque de France (2005)
Gli studi in materia hanno dimostrato che un’elevata correlazione influisce positivamente sul
valore della tranche equity. Infatti, come in parte è possibile notare dalla Figura 3.1, la
probabilità che il pool origini perdite prossime allo zero aumenta rispetto al caso di bassa
correlazione. Questa situazione è positiva per i sottoscrittori della tranche equity, i quali sono
indifferenti al contemporaneo spostamento di massa di probabilità che l’aumento della
correlazione genera verso la coda destra della distribuzione. La tranche senior, ovviamente, ha
un comportamento opposto all’aumentare della correlazione. Ogni tranche ha quindi un
diversa sensibilità alla correlazione.
Formulare assunzioni sul livello di correlazione è molto complicato, per questo motivo
frequentemente ci si basa su dei modelli anche se rimane comunque il rischio che le
assunzioni siano sbagliate. A seconda, quindi, delle diverse metodologie/ipotesi utilizzate per
calcolare la correlazione fra le insolvenze degli obbligati compresi nel pool sottostante si
possono avere stime del rischio differenti; ciò origina un rischio di modello.
Model risk
Il rischio di modello è il rischio di subire possibili perdite, a cui sono esposti soprattutto gli
investitori in prodotti complessi, dovute a eventuali difetti del modello di valutazione
utilizzato per stimare e gestire il rischio, oppure a errori nella determinazione dei parametri
del modello. Il rischio, per i prodotti di finanza strutturata di recente costruzione, è accresciuto
anche dalla mancanza di dati storici. Sulla base di quanto detto nella sezione del correlation
risk il rischio di modello appare essere particolarmente importante per le CDO.
Rischio di liquidità
Il rischio di liquidità è il rischio di subire perdite legate alle difficoltà di vendita di un ABS in
tempi brevi, a un prezzo equo e con bassi costi di transazione. Lo spread bid-ask costituisce
uno dei più importanti indicatori della presenza del rischio di liquidità poiché indica il
differenziale tra il prezzo bid (denaro) e il prezzo ask (lettera) praticato da un dealer. Il prezzo
bid è il prezzo al quale il dealer è disposto ad acquistare uno strumento finanziario mentre il
prezzo ask è quello al quale il dealer è disposto a vendere. Maggiore è lo spread maggiore è il
rischio di liquidità. La liquidità dei titoli ABS, rispetto alle emissioni statali o societarie di
pari rischiosità, è molto inferiore quindi può risultare difficile per l’investitore vendere a terzi
71
i titoli. Il rischio di liquidità risulta essere ancora maggiore per i prodotti personalizzati infatti,
sarà difficile per l’investitore che desidera vendere il proprio titolo bespoke trovare una
controparte disposta ad acquistarlo.
Per gli investitori che si pongono come obiettivo di investimento di trattenere in portafoglio il
titolo ABS fino a scadenza il rischio di liquidità è trascurabile.
Cash flow risk
Il cash flow risk è il rischio collegato alle modalità con cui i flussi di cassa generati dal
portafoglio di attività sottostanti vengono trasferiti ai sottoscrittori dei titoli ABS. La struttura
di pagamento di un ABS può essere di tipo pass-through o pay-through e la decisione in
merito a quale utilizzare spetta all’originator. La prima distribuisce i cash flow ai sottoscrittori
su base pro-quota mentre la seconda segue uno schema di rimborso ben definito ex ante. Il
rischio di subire perdite per gli investitori sorge nel momento in cui i cash flow originati dai
crediti ceduti non riescono a soddisfare tutte le obbligazioni di pagamento dei ABS.
Prepayment risk
Il prepayment risk attiene alla possibilità che il debitore originario decida di estinguere
anticipatamente il proprio debito rimborsando tutto il capitale dovuto in un’unica soluzione
prima della scadenza contrattuale. Gli investitori sono preoccupati per quanto riguarda la
probabilità e l’entità del rimborso anticipato perché questo tipo di rischio influisce sui cash
flow del bond e quindi sul rendimento del loro investimento. È difficile conoscere quando
avverrà un rimborso anticipato; tuttavia l’investitore può farsi un idea preventiva del
momento in cui un prepagamento è più probabile che avvenga tramite una valutazione di un
insieme di fattori quali: il tasso corrente sui prestiti, le ipotesi sull’evoluzione dei tassi nel
periodo successivo e, infine, le previsioni sull’evoluzione delle condizioni macroeconomiche
in generale. Infatti, è più probabile che l’estinzione anticipata avvenga quando i tassi di
interesse sono bassi piuttosto che quando sono alti oppure quando il tasso del prestito è molto
alto; in quest’ultimo caso per il debitore ci saranno maggiori occasioni di rifinanziare il
proprio mutuo a tassi più convenienti. Tuttavia, non tutti i prestiti che possono fungere da
collateral in una cartolarizzazione sono caratterizzati in egual misura dal rischio di rimborso
anticipato. Gli asset in cui la presenza del prepayment risk è preponderante sono i mutui
ipotecari; di conseguenza la presenza di questo tipo di rischio è maggiore nei MBS rispetto
agli ABS supportati dalle voci attive di carte di credito o dai prestiti per l’acquisto dell’auto.
Il rischio di rimborso anticipato può comportare il rischio di reinvestimento poiché la maggior
quota di capitale rimborsato deve essere reinvestito; il problema può essere ampliato in caso
di tassi di interesse in calo poiché potenzialmente più debitori potrebbero optare per il
rimborso anticipato inoltre la liquidità verrà reinvestita a tassi più bassi di quelli esistenti al
momento di sottoscrizione delle ABS.
L’entità del problema in Europa è relativamente minore rispetto agli Stati Uniti poiché in
Europa la maggior parte dei contratti di prestito include penali di rimborso anticipato che
scoraggiano l’estinzione del debito prima della scadenza 102. Negli Stati Uniti, invece, i
mutuatari hanno la facoltà di estinguere il prestito in qualsiasi momento senza l’applicazione
102
Come nel resto d’Europa, anche in Italia, fino all’entrata in vigore del Decreto Legge. n. 7 del 31 gennaio
2007 (cosiddetto Decreto Bersani), in caso di estinzione anticipata veniva applicata una penale espressa come
percentuale da commisurare alla somma anticipatamente estinta. Il Decreto Bersani ha stabilito la nullità di
qualsiasi clausola che preveda l’applicazione di penali per rimborso anticipato. Le nuove disposizioni del
Decreto Bersani hanno fatto registrare in Italia il più alto livello di rimborsi anticipati di mutui dal 2000.
72
di penali; in sostanza essi possiedono un’opzione di tipo americano con durata pari alla durata
del mutuo sottoscritto che gli consente di estinguere il mutuo al suo valore nominale durante
la vita del contratto103 (Hull, 2006).
Il rischio di rimborso anticipato nei MBS viene considerato dagli operatori di mercato
ipotizzando un prepayment rate – ossia il “ritmo” in base al quale i debitori rimborsano
anticipatamente il debito - fisso al momento dell’emissione in modo tale da calcolare i cash
flow attesi e la durata dello strumento finanziario. L’assunzione di un prepayment rate tuttavia
rappresenta una semplificazione, infatti nella realtà il prepayment rate varia al variare di una
serie di variabili che influiscono su di esso (come ad esempio i tassi e le condizioni
macroeconomiche). L’approccio comune a molti analisti è, quindi, quello di considerare un
constant prepayment rate (CPR) che fornisce una misura dei rimborsi anticipati (su base
annua) sottoforma di percentuale dell’attuale saldo dei prestiti in essere. Un CPR del 10%
significa che il 10% dell’attuale saldo dei prestiti del pool probabilmente subirà un rimborso
anticipato nel corso dell’anno successivo. La misura mensile della percentuale della quota di
rimborso anticipato è conosciuta come constant monthly repayment (CMR) o anche single
monthly mortality (SMM).


Rimborsi anticipatit
CMRt  100  

 Saldo inizialet  Rimborsi previstit 
(3.1)
Il CMR esprime in percentuale l’ammontare atteso, sull’attuale saldo dei prestiti in essere al
netto dei rimborsi previsti, che sarò ripagato in anticipo in ogni mese.
Supponendo un CMR pari al 2%, un saldo in essere all’inizio del mese di Euro 72.200 e
rimborsi attesi per un totale di Euro 223 allora il 2% di Euro 71.977 (72.200 – 223) sarà
rimborsato anticipatamente in quel mese.
Dato il CMR è possibile poi calcolare l’ammontare atteso dei rimborsi anticipati
semplicemente esplicitando dalla (3.1) la variabile rimborsi anticipati.
Il CPR non è altro che il CMR annualizzato
CPR  100  (1  (1 
CMR 12
) )
100
(3.2)
Negli Stati Uniti è convenzione utilizzare tassi di prepagamento standard fissati dal Public
Securities Association 104 (PSA). Il PSA benchmark (100%PSA) ipotizza un aumento costante
ogni mese del prepayment rate fino al raggiungimento del trentesimo mese dopodiché il
prepayment rate è fisso al 6%. Il prepayment rate iniziale è pari allo 0,2% e aumenta dello
0,2% ogni mese. Il benchmark può essere variato al variare delle condizioni di mercato così,
ad esempio, con il 200%PSA il prepayment rate iniziale è dello 0,4% (il doppio rispetto al
100%PSA) che aumenta ogni mese dello 0,4% fino al raggiungimento del 12% trascorsi i
103
Al fine di capire le MBS può essere utile comporre idealmente il mutuo ipotecario in due componenti: il bond
e l’opzione. La componente bond corrisponde all’obbligazione in capo al debitore di pagare una serie di rate
(composte da quota capitale e quota interessi) durante la vita del contratto. In altre parole, la componente bond
altro non è che un flusso di pagamenti di cui sia l’ammontare sia la periodicità sono noti. La componente data
dall’opzione, invece, corrisponde alla facoltà in capo al debitore di estinguere anticipatamente il proprio debito.
Adottando il gergo in uso nel comparto delle opzioni, il debitore ha il diritto di “acquistare” la componente bond
al prezzo pari al saldo in essere al momento dell’esercizio dell’opzione. Il valore del mutuo ipotecario, quindi, è
pari alla combinazione del valore della componente bond e della componente opzione.
104
Il PSA è stato rinominato successivamente Bond Market Association e nel 2006 a seguito della fusione con il
Securities Industry Association si è formato il Securities Industry and Financial Markets Association.
73
trenta mesi. Ancora, con il 50%PSA il prepayment rate iniziale è dello 0,1% che aumenta
ogni mese dello 0,1% fino al raggiungimento del 3% trascorsi i trenta mesi.
La presenza di rimborsi anticipati durante la vita di un prestito va ad impattare sui cash flow
attesi (vd. Figura 3.3 e Figura 3.4). Come mostrato in Figura 3.2 quando il prepayment rate è
nullo allora i flussi di cassa sono costanti durante la vita del titolo.
Figura 3.2: Flussi di cassa di un titolo MBS pass through con CPR=0%
1200000,00
1000000,00
800000,00
600000,00
400000,00
200000,00
0,00
1
2
3
4
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8
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Anni
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Interessi
Fonte: Stone C. A. et al (2005)
Note: L’andamento dei flussi di cassa totali assume un andamento leggermente crescente al trascorrere del
tempo. Tale andamento è dovuto alla presenza di costi nell’operazione di cartolarizzazione (come ad esempio i
costi di servicing); nel caso in cui i costi siano nulli allora i flussi di cassa sarebbero tutti dello stesso importo e
formerebbero nel grafico una riga orizzontale.
Figura 3.3: Flussi di cassa di un titolo MBS pass through con CPR=15%
4500000,00
4000000,00
3500000,00
3000000,00
2500000,00
2000000,00
1500000,00
1000000,00
500000,00
0,00
1
2
3
4
5
6
7
8
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15
16
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Fonte: Stone C. A. et al (2005)
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Quando i mutui sono a tasso fisso e il piano di ammortamento è “alla francese” la proporzione
tra pagamenti in conto capitale e in conto interessi varia man mano che i debitori rimborsano
il proprio debito, quindi con il passare del tempo la quota capitale aumenta, viceversa la quota
interessi decresce. Quando il prepayment rate è elevato (vd. Figura 3.4) allora i flussi iniziali
sono molto elevati nelle epoche iniziali, poiché molti debitori rimborsano anticipatamente il
proprio debito, e convergono rapidamente verso lo zero. Con un prepayment rate intermedio
(vd. Figura 3.3), invece, i cash flow iniziali seppur elevati, decrescono meno velocemente
rispetto al caso CPR=30%. Per elevati tassi di rimborso anticipato la quota interessi decresce
considerevolmente poiché il saldo in essere si riduce velocemente nelle epoche iniziali. Per
quanto riguarda la quota capitale essa a livello aggregato è la medesima indipendentemente
dal livello del prepayment rate; ciò che varia è l’epoca in cui viene rimborsato il capitale.
Figura 3.4: Flussi di cassa di un titolo MBS pass through con CPR=30%
4500000,00
4000000,00
3500000,00
3000000,00
2500000,00
2000000,00
1500000,00
1000000,00
500000,00
0,00
1
2
3
4
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Fonte: Stone C. A. et al (2005)
Rischio di credito e operativo dei soggetti partecipanti
Si tratta di due categorie di rischio connesse alla presenza di terzi soggetti nello svolgimento
dell’operazione di securitisation, i quali nell’esecuzione delle loro mansioni possono essere
fonte di ulteriori rischi. Di notevole importanza per il successo dell’operazione è la solvibilità
dei soggetti partecipanti, soprattutto del servicer, dello SPV e del credit enhancer. In
particolare, la presenza di soggetti terzi che prestano supporto esterno del credito espone i
sottoscrittori ad un rischio controparte aggiuntivo dovuto al fatto che il rating delle ABS
dipenderà dall’affidabilità creditizia dei soggetti stessi con la conseguenza diretta che un
eventuale downgrading del garante sarà seguito dall’altrettanto declassamento dei titoli. In
genere, per ridurre il rischio di insolvenza di terzi soggetti, vengono scelte controparti con un
elevato standing creditizio e sono previste, inoltre, sostituzioni qualora una controparte
fallisca o subisca un abbassamento del rating.
La presenza di diversi soggetti comporta non solo rischi di insolvenza ma anche rischi di
conflitti di interesse e rischi operativi. Il rischio di conflitti di interesse nasce nel momento in
cui un soggetto svolge più di una funzione. Ad esempio nella prassi il servicer coincide con
l’originator il quale, in momenti di crisi di liquidità, potrebbe essere incentivato a condurre
75
una gestione degli incassi poco trasparente non accreditando le somme riscosse sui conti
dell’operazione di cartolarizzazione.
Un altro tipo di rischio presente in un processo di securitsation è il rischio operativo dei
soggetti partecipanti all’operazione. Il rischio operativo si riferisce alla possibilità di subire
perdite legate a comportamenti illegali o inappropriati delle risorse umane, a carenze
tecnologiche, a errori o lacune nei processi produttivi e a fattori esterni.
Rischio legale
Il rischio legale si riferisce al rischio derivante da violazioni o dalla mancanza di conformità
con leggi della documentazione dell’operazione di cartolarizzazione. Considerare la presenza
del rischio legale è di fondamentale importanza poiché dalle problematiche legali dipende il
trasferimento effettivo del rischio di credito nonché la definizione del ru olo dei terzi soggetti
coinvolti nell’operazione. Proprio al fine di limitare il rischio legale è presente, nell’iter di
strutturazione della cartolarizzazione, una fase di due diligence legale volta a verificare
l’efficacia della cessione dei crediti allo SPV, l’opponibilità della cessione ai debitori ceduti e
ai terzi, i profili legali delle garanzie esterne e la natura del terzo garante nonché assicurare il
trasferimento delle garanzie accessorie connesse agli attivi sottostanti. La principale
conseguenza legata alla presenza del rischio legale, che deve essere evitata per assicurare la
buona riuscita dell’operazione, è il coinvolgimento dei crediti ceduti nel patrimonio
fallimentare del cedente o del suo gruppo aziendale. Infatti, se da un punto di vista giuridico
la cartolarizzazione non ha realizzato l’isolamento degli attivi ceduti un eventuale fallimento
dell’originator comprometterebbe il pagamento dei sottoscrittori di ABS o potrebbe rendere
retroattivamente nulla la cessione dei crediti o i pagamenti già effettuati.
Con riferimento alle cartolarizzazioni sintetiche di fondamentale importanza per l’efficacia
del contratto derivato sul credito è la precisa definizione di cosa si intende per credit event
poiché proprio al verificarsi dell’evento assicurato l’obbligazione del protection seller è
dovuta. In linea generale, è possibile affermare che al crescere della complessità di
un’operazione aumentano parallelamente i rischi legali.
Rischi informativi
I profili informativi assumono importanza con riferimento alla trasparenza informativa ai fini
del collocamento dei titoli ABS sul mercato finanziario. Affinché i sottoscrittori possano
prendere una decisione di investimento consapevole è necessaria una corretta informazione il
cui livello e qualità sia in grado di assicurare una conoscenza adeguata anche delle strutture
più complesse a prescindere dal mercato nel quale le ABS sono emesse e dalla natura
dell’originator. La informazioni, inoltre, devono essere fornite in modo chiaro e
comprensibile anche per i soggetti non professionali, lasciando agli investitori un tempo
sufficientemente congruo per poter effettuare le necessarie analisi. Il flusso di informazioni
deve essere garantito sia in fase di sottoscrizione sia in fase di negoziazione dello strumento
finanziario. I prospetti informativi ex ante devono riportare le informazioni sulla struttura di
pagamento e sugli altri elementi rilevanti – ad esempio il rating assegnato, la descrizione delle
tranche di ABS emesse e del relativo rischio, il rapporto tra i vari soggetti ecc. – tuttavia,
anche dopo l’emissione devono essere assicurate informazioni periodiche rivolte agli
investitori e ai potenziali investitori in merito a qualsiasi cambiamento che abbia un impatto
potenziale sulla performance dei titoli. Assumono importanza anche le modalità di rilevazione
dell’operazione nel bilancio individuale e consolidato dei soggetti partecipanti all’operazione
76
al fine di comprendere i profili di rischio assunti o mantenuti da ogni partecipante. Le
considerazioni fin qui sviluppate possono essere estese a qualsiasi prodotto finanziario
negoziato sui mercati ma assumono una rilevanza particolare se riferite agli strumenti
cartolarizzati. Infatti, la struttura stessa della cartolarizzazione implica una perdita di
informazioni lungo la catena dell’operazione dovuta alla separazione tra l’originator, che
genera gli asset che poi saranno cartolarizzati, e gli investitori finali. La scarsità di
informazioni disponibili presso il pubblico di investitori rende incerta la determinazione dei
pay-off del prodotto soprattutto se esso è complesso e altamente sensibile a lievi cambiamenti
delle condizioni creditizie come lo sono i prodotti di finanza strutturata. L’incompletezza
delle informazioni causa un eccessivo affidamento degli investitori sui rating inoltre spesso
gli investitori non sono coscienti del proprio investimento a tal punto che le perdite subite dai
sottoscrittori di titoli ABS in seguito alla crisi subprime hanno superato le loro aspettative.
77
78
4. La regolamentazione
4.1 Introduzione
I market failure – imperfezioni di mercato che lo rendono incapace di raggiungere condizioni
soddisfacenti di efficienza autonomamente – nonché l’importanza per la collettività delle
funzioni del sistema finanziario rendono quest’ultimo uno degli ambiti economici più soggetti
a regolamentazione in tutti i paesi. Nello specifico la gestione del sistema dei pagamenti, il
pericolo della corsa agli sportelli e del rischio sistemico e l’obiettivo di protezione dei
consumatori pongono la necessità di una vigilanza che riguardi il comparto bancario. Le
vicende degli anni Sessanta-Settanta (crescente sviluppo dell’operatività cross-border,
insorgere di crisi bancarie, assunzione di crescenti rischi da parte degli intermediari creditizi,
preoccupazioni circa la trasmissione delle situazioni di crisi a livello sovranazionale)
evidenziarono la necessità di una maggiore integrazione e coordinamento tra le politiche di
regolazione, controllo e vigilanza in ambito internazionale con l’obiettivo di prevenire
possibili eventi di difficoltà a livello sistemico. È proprio per queste ragioni che gli
intermediari bancari rappresentano la prima categoria di istituzioni a essere soggetta a una
articolata regolamentazione del capitale, coordinata a livello internazionale. In questo
contesto nasce il Comitato di Basilea per la Vigilanza Bancaria 105 (Basel Committee on
Banking Supervision, BCBS) il quale si pone come obiettivo “to ensure that banks operate in
a safe and sound manner and that they hold capital and reserves sufficient to support the risks
that arise in their business” proponendosi come guida sia per le Autorità di Vigilanza che per
le banche stesse. Uno dei lavori più importanti del Comitato di Basilea è rappresentato dal
Nuovo Accordo di Basilea sui requisiti patrimoniali (Basilea 2), che succede al precedente
Accordo del 1988 (Basilea 1), il cui obiettivo è quello di accrescere nelle banche e nelle
imprese di investimento la sensibilità al rischio, la capacità di gestirlo e di comunicare
correttamente al mercato le informazioni su come viene valutato. Basilea 2, riprendendo
Basilea 1, individua un livello minimo di patrimonializzazione come requisito per una sana e
prudente gestione dell’impresa bancaria, infatti entrambi gli Accordi fissano un ammontare
minimo di capitale (regulatory capital) che un intermediario bancario deve detenere quale
vincolo imposto dalla regolamentazione.
È proprio il Nuovo Accordo ad essere oggetto di questo capitolo. Dopo un paragrafo
introduttivo in cui verranno fornite informazioni di base su Basilea 2 riguardanti genesi,
obiettivi e struttura seguirà la trattazione della disciplina specifica riservata alle
cartolarizzazioni. Infatti, sebbene la cartolarizzazione consenta il frazionamento e la
distribuzione del rischio di credito a terzi disposti a sostenerlo essa comporta la nascita di
nuovi rischi e crea quindi il fabbisogno di controlli per garantire la stabilità e l’efficienza
degli intermediari finanziari che partecipano all’operazione e al mercato nel suo complesso. Il
Nuovo Accordo, a differenza di Basilea 1, regola con una disciplina organica le operazioni di
105
Il Comitato di Basilea per la Vigilanza Bancaria o Basel Committee on Banking Supervision o,
semplicemente, Comitato di Basilea è un organismo creato nel 1974 dai Governatori delle Banche Centrali
appartenenti al Gruppo dei Dieci (G-10). Esso è costituito in seno alla BRI (Banca dei Regolamenti
Internazionali) e, non avendo alcun potere legiferante, si occupa di formulare standard di vigilanza, linee guida e
raccomandazioni di best practice in attesa che esse verranno recepite dalle singole Autorità di Vigilanza
nazionali nei tempi e con i metodi che meglio si adattano alle specificità del singolo paese.
79
cartolarizzazione dal punto di vista prudenziale. Tale disciplina era necessaria, innanzitutto,
per contrastare le operazioni di cartolarizzazione avviate al solo scopo di aggirare la
regolamentazione Basilea 1 e, secondariamente, per adeguare il quadro normativo ai processi
di innovazione finanziaria. Il paragrafo 4.3 si propone di analizzare lo schema regolamentare
riservato alle esposizioni derivanti da cartolarizzazione nel banking book, nello specifico
verrà esaminato il calcolo del requisito patrimoniale a fronte del rischio di credito, il processo
di controllo prudenziale e la disciplina di mercato. Il paragrafo 4.4 sarà incentrato sul
problema dell’interazione tra rischio di credito e rischio di mercato. È evidente che la
cartolarizzazione rende il rischio di credito una merce negoziabile trasformando di fatto il
rischio di credito in rischio di mercato. Lo straordinario sviluppo delle tecniche di
securitisation rende, quindi, necessario soffermarsi sugli aspetti di interazione tra rischio di
credito e di mercato che, peraltro, conducono a interrogativi sulla corretta valutazione del
capitale regolamentare in Basilea 2 dal momento che essa prevede procedure di calcolo del
requisito di capitale differenziate per il rischio di credito e di mercato. Spazio sarà dato,
infine, nel paragrafo 4.5 alle recenti revisioni del Nuovo Accordo rese necessarie dalle
criticità della regolamentazione messe in rilievo dalla crisi finanziaria.
4.2 Il Nuovo Accordo sul Capitale
Basilea 2 è stata ratificata il 26 Giugno 2004 e la versione definitiva è stata resa pubblica nelle
direttive dell’Unione Europea (UE): Direttiva 2006/48/CE – cosiddetta CAD 3- e la Direttiva
2006/49/CE le quali circoscrivono l’ambito di applicazione delle nuove regole agli istituti di
credito e alle imprese di investimento.
In tutti i paesi dell’Unione Europea Basilea 2 è entrata nell’ordinamento con il recepimento
delle suddette Direttive e ha valore per tutto il sistema bancario; mentre l’applicazione negli
altri paesi extra-UE avviene con modalità diverse. Sebbene la normativa internazionale
nell’Unione Europea sia entrata in vigore il 1 Gennaio 2007 è stata concessa alle banche
un’opzione di rinvio al 1 Gennaio 2008 e di fatto la maggior parte della banche ha iniziato a
operare con le nuove regole di Basilea 2 solo a partire dal 2008.
Basilea 2 va a sostituire il primo Accordo di Basilea del 1988 (Basilea 1) il quale, alla luce
della crescente internazionalizzazione dell’operatività bancaria, dei rilevanti casi di crisi
bancarie e della maggiore instabilità del sistema bancario internazionale, ha segnato il
passaggio da una vigilanza di tipo strutturale a una vigilanza prudenziale106 mediante
l’introduzione dei coefficienti patrimoniali minimi obbligatori. La definizione di un rapporto
minimo tra il cosiddetto patrimonio di vigilanza e i rischi sostenuti dalla banca persegue gli
obiettivi di tutela della stabilità e della solidità del sistema bancario internazionale e, al
contempo, permette la creazione di uno scenario competitivo internazionale uniforme (level
the playing field). L’evoluzione del quadro economico-finanziario in cui si trovarono ad
operare le banche, lo sviluppo delle tecniche innovative di risk management e i punti critici di
Basilea 1 determinarono l’esigenza di rivedere l’Accordo del 1988.
106
La vigilanza di tipo strutturale incide sulla morfologia del comparto bancario dal momento che si fonda su
autorizzazioni per l’esercizio di certe attività e per l’ingresso nel mercato. La vigilanza prudenziale, invece, si
fonda su norme volte a limitare il rischio complessivo di specifiche categorie di operatori generalmente per
mezzo di coefficienti patrimoniali.
80
Nell’ottica di affrontare le carenze di Basilea 1 il Comitato di Basilea ha dato inizio al
processo di revisione dell’impianto regolamentare nel 1999 pubblicando il primo documento
ai fini di consultazione (a cui sono seguiti i documenti del 2001 e del 2003); i lavori sono
culminati con la stesura del documento definitivo nel 2004. Basilea 2 si prospetta di
raggiungere alcuni obiettivi quali: (i) la salvaguardia della sicurezza e della solidità delle
banche; (ii) il rafforzamento della stabilità dell’intero sistema finanziario; (iii) la definizione
del patrimonio di vigilanza più vicina al concetto di patrimonio economico allo scopo di
rinforzare la stabilità del settore bancario.
Basilea 2 riprende il principio base di Basilea 1 ossia che il capitale della banca deve essere
adeguato al rischio assunto ed adotta una struttura fondata su tre pilastri che operano
congiuntamente per mantenere la stabilità del sistema bancario internazionale:
a) Primo pilastro:requisiti patrimoniali minimi
Il requisito minimo di patrimonializzazione (8% del totale attività ponderate per il rischio)
rimane invariato rispetto al primo Accordo (vd. Figura 4.1). Significativi miglioramenti sono
stati apportati al calcolo delle attività ponderate per il rischio: al rischio di credito e al rischio
di mercato107 viene aggiunto il rischio operativo.
Figura 4.1: Calcolo del coefficiente patrimoniale complessivo (o coefficiente di solvibilità)
Patrimonio di vigilanza
 8%
Attività ponderate per il rischio
Rischio di credito
Rischio di mercato
Rischio operativo
Note: Il patrimonio di vigilanza si compone a sua volta di due aggregati principali: il patrimonio di base e il
patrimonio supplementare. Il patrimonio di base o Tier 1 comprende elementi patrimoniali di qualità primaria: il
capitale versato, le riserve palesi, gli strumenti innovativi di capitale e gli utili non distribuiti. Il patrimonio
supplementare o Tier 2 è composto, invece, da poste patrimoniali di qualità secondaria: le riserve occulte, le
riserve da valutazione, gli strumenti innovativi di capitale non computati nel patrimonio di base, gli strumenti
ibridi di patrimonializzazione, le passività subordinate. Si tratta, quindi, di voci che, pur non essendo assimilabili
a patrimonio in senso stretto, svolgono una funzione di protezione nei confronti dei terzi dagli effetti di eventuali
perdite, e sono dunque ammessi nella misura del 50% del patrimonio complessivo nel computo del patrimonio.
Per il calcolo del capitale regolamentare a fronte del rischio di credito il Nuovo Accordo
introduce due metodi:
- l’approccio standardizzato (Standardized Approach): concettualmente identico a
quello del primo Accordo, infatti la misurazione del rischio si fonda su procedure di
valutazione esterne, i rating, definiti da società specializzate (ECAI, External Credit
Assessment Institution), a cui è associato uno schema standard di ponderazioni per il
grado di rischio. Il metodo standardizzato in Basilea 2 viene in parte innovato grazie
all’introduzione di ponderazioni più dettagliate che consentono una maggiore
differenziazione del rischio. Il meccanismo di calcolo del requisito patrimoniale è
estremamente semplice e si articola su un numero esiguo di passaggi:
(4.1)
APRi  E *W
107
Nella versione del 1988 dell’Accordo il patrimonio di vigilanza era rapportato alle attività ponderate per il
rischio credito; l’Emendamento del 1996 introduce i requisiti patrimoniali per i rischi di mercato.
81
dove:
APRi = attivo ponderato per il rischio di credito relativo all’esposizione i-esima
E = esposizione creditizia
W = coefficiente di ponderazione assegnato dallo schema regolamentare
all’esposizione creditizia i-esima
Successivamente si moltiplica l’attivo ponderato per il rischio di credito relativo alla
singola esposizione, per l’8%, percentuale che indica l’effettivo assorbimento
patrimoniale dell’esposizione:
(4.2)
Ki  8%* APRi
dove:
Ki = assorbimento patrimoniale provocato dall’esposizione i-esima
-
Il requisito patrimoniale complessivo non è altro che la somma algebrica dei requisiti
patrimoniali Ki riferiti alle singole esposizioni:
(4.3)
K   Ki
i
dove:
K = requisito patrimoniali complessivo
l’approccio basato sui rating interni (Internal Rating-Based Approach, IRB):
disponibile nelle versioni “di base” o “avanzato” consente alle banche ritenute idonee
dalle Autorità di Vigilanza nazionali di quantificare alcuni fattori fondamentali
necessari al calcolo dei requisiti patrimoniali. Le banche, quindi, possono misurare
internamente i driver del rischio di credito ossia la probabilità di default (PD) (per il
metodo IRB “base”) e la loss-given-default (LGD) e l’exposure at default (EAD) (per
il metodo “avanzato”). Tali componenti vengono inseriti nelle funzioni di
ponderazione del rischio, predisposte dal Comitato di Basilea, che le convertono in
coefficienti di ponderazione da impiegare per il calcolo delle attività ponderate per il
rischio. Il metodo IRB si basa sul concetto che il patrimonio detenuto ai fini
regolamentari deve essere destinato alla copertura della perdita inattesa (unexpected
losses, UL) (vd. Figura 4.2). Infatti, la perdita che si manifesta a causa del rischio di
insolvenza su un determinato orizzonte temporale è formata da due componenti:
- la perdita attesa (expected losses, EL) su una singola posizione o su un
portafoglio. In quanto “attesa” è stimabile anticipatamente e quindi può essere
coperta mediante l’accantonamento di risorse a riserva o può essere traslata sul
cliente con il pricing del credito;
- la perdita inattesa (UL) ossia la quota di perdita totale che supera EL di cui
però non è noto né l’entità né il momento in cui si manifesterà.
Aspetto rilevante del primo pilastro è costituito dall’introduzione del rischio operativo come
nuova forma di rischio tipico dell’attività bancaria. Per tale ragione Basilea 2 richiede
un’apposita copertura patrimoniale e prevede la possibilità di ricorrere a tre diverse
metodologie di misurazione caratterizzate da un grado di complessità crescente:
- metodo dell’indicatore di base (Basic Approach, BIA);
- metodo standardizzato (Standardized Approach, ASA);
- metodo avanzato di misurazione (Advanced Measurement Approach, AMA).
82
Per quanto riguarda la misurazione del rischio di mercato i metodi fissati nell’Emendamento
del 1996 rimangono sostanzialmente invariati.
L’aspetto innovativo del Nuovo Accordo consiste nella possibilità in capo all’intermediario di
articolare nel tempo l’accesso a metodologie e processi progressivamente più avanzati (ad
esempio migrando dal metodo standardizzato al metodo dei rating interni di base sino al
metodo IRB avanzato) in relazione alle specificità operative, organizzative e ambientali.
Figura 4.2: Distribuzione delle perdite per insolvenza
Fonte: BCBS (2005)
Note: L’UL può essere definita come la differenza tra la massima perdita potenzialmente calcolata sulla base di
un determinato livello di confidenza (Value at Risk, VaR) e l’EL; entrambi riferiti a un determinato arco
temporale. L’area annerita invece rappresenta la probabilità che le perdite non solo siano maggiori di EL ma
anche di UL e di conseguenza indica la probabilità che la banca non sia in grado di adempiere alle sue
obbligazioni. In sintesi, se l’EL è adeguatamente coperta dal pricing del credito e da accantonamenti a riserva e
il patrimonio regolamentare corrisponde all’UL allora la probabilità che sull’orizzonte temporale di riferimento
la banca rimarrà solvente è pari all’intervallo di confidenza.
b) Secondo pilastro: processo di controllo prudenziale (o supervisory review process)
In base al secondo pilastro le banche devono essere dotate di un patrimonio coerente con il
proprio profilo complessivo di rischio; l’attività di supervisione è affidata alle Autorità di
Vigilanza. Infatti, è possibile scomporre il secondo pilastro in due fasi:
- processo interno di determinazione dell’adeguatezza patrimoniale (Internal Capital
Adequacy Assessment Process, ICAAP): la banca esegue una sorta di autovalutazione
dell’adeguatezza patrimoniale sulla base delle proprie metodologie interne di gestione
del rischio;
- processo di revisione e valutazione prudenziale (Supervisory Review and Evaluation
Process, SREP): di competenza dell’Autorità di Vigilanza la quale riesamina l’ICAAP
controllando se il patrimonio della banca è commisurato al suo profilo di rischio
complessivo e alla sua strategia; ove necessario attiva misure correttive108.
Il processo di controllo prudenziale riguarda tutti i rischi rilevanti e, quindi, anche quelli non
coperti dal primo pilastro (ad esempio: concentrazione dei crediti, rischio di tasso di interesse
per il trading book, rischio di business ecc.) e, per tale ragione, la banca è tenuta a detenere
108
Si completa in questo modo il processo evolutivo che ha caratterizzato la funzione di vigilanza bancaria
nell’ultimo quarto di secolo, il cui ruolo di è trasformato da quello di fissare regole e principi di comportamento
vincolanti, a quello di controllare l’applicazione delle linee operative e metodologiche fissate in ambito
internazionale, garantendo circa la loro corretta implementazione in seno alle singole realtà bancarie (Iacopozzi,
2009).
83
capitale aggiuntivo. In tal modo Basilea 2 promuove lo sviluppo di migliori tecniche di risk
management che siano in linea con il profilo di rischio della banca e con il contesto operativo
in cui opera.
c) Terzo pilastro: disciplina di mercato
Lo scopo del terzo pilastro è il miglioramento della disciplina di mercato ossia garantire una
maggiore trasparenza e comunicazione al pubblico di una serie di informazioni rilevanti che
permettano ai partecipanti al mercato di valutare l’adeguatezza patrimoniale di ogni banca col
fine ultimo di incoraggiare le banche a mantenere un livello adeguato di capitale. Pertanto
Basilea 2 prevede una gamma di informazioni qualitative e quantitative che le banche devono
divulgare al fine di consentire una valutazione adeguata delle condizioni finanziarie e
reddituali delle banche nonché di garantire la comparabilità delle informazioni tra
intermediari diversi. Il terzo pilastro è molto importante soprattutto perché Basilea 2 lascia
ampia discrezionalità nella determinazione dei requisiti patrimoniali a quelle banche che
adottano i modelli interni di valutazione. Le Autorità di Vigilanza dispongono di una gamma
di strumenti, che vanno dalla moral suasion alle penalità, per incoraggiare e garantire la
disclosure.
4.3 La disciplina delle operazioni di cartolarizzazione secondo Basilea 2
Considerata la rapidità con cui il mercato delle cartolarizzazioni è cresciuto alla fine degli
anni Novanta il Comitato di Basilea ha riconosciuto l’importanza di tale strumento per il
comparto bancario prevedendo nel Nuovo Accordo una disciplina specifica per le operazioni
di cartolarizzazione, circa i requisiti patrimoniali, il controllo prudenziale e la disciplina di
mercato. Ciò è coerente con gli obiettivi del Nuovo Accordo di adeguare i requisiti minimi
patrimoniali delle banche ai cambiamenti intervenuti nel sistema finanziario grazie
all’innovazione finanziaria e di limitare le possibilità di arbitraggio regolamentare. La
mancanza di un trattamento riservato alla cartolarizzazione in Basilea 1 aveva, infatti,
incentivato molte banche a cartolarizzare attivi di buona qualità (basso rendimento) e a
trattenere gli attivi più rischiosi (alto rendimento) dal momento che il requisito patrimoniale
non sarebbe variato. In assenza, quindi, di un articolato trattamento delle cartolarizzazioni le
banche avrebbero continuato, attraverso alcune operazioni di securitisation, a mantenere una
dotazione patrimoniale inferiore a quella commisurata ai rischi in cui esse incorrono.
Lo schema di regolamentazione delle cartolarizzazioni è frutto di un lungo lavoro (iniziato nel
1999 e concluso nel 2004) comprendente la pubblicazione di documenti ai fini di
consultazione, colloqui con gli operatori del settore e studi di impatto (Quantitative Impact
Studies, QIS) (vd. Figura 4.3).
Il Nuovo Accordo introduce un importante principio per le operazioni di cartolarizzazione in
base al quale l’applicazione del trattamento prudenziale del rischio di credito deve essere
dettata dal contesto economico della transazione e non dalla forma giuridica. In questo modo
lo schema per le operazioni di cartolarizzazione si estende a tutte le operazioni analoghe che
presentano caratteristiche comuni alle securitisation tradizionali o sintetiche. Inoltre, uno dei
principali obiettivi che lo schema di regolamentazione per le operazioni di cartolarizzazione si
prefigge di raggiungere è la neutralità tra i coefficienti patrimoniali applicati a un pool di
84
attività non cartolarizzato e quelli applicati alle esposizioni derivanti dalla cartolarizzazione
del medesimo portafoglio.
Figura 4.3: L’evoluzione dello schema di regolamentazione delle cartolarizzazioni
Fonte: Jobst (2005)
Tale obiettivo si basa sul principio che la cartolarizzazione non cambia l’ammontare del
rischio riferito al pool di attività perciò il requisito patrimoniale calcolato per il portafoglio di
attività deve essere uguale allo stesso calcolato per l’intera struttura di cartolarizzazione. In un
mondo in cui vige questa neutralità le scelte in merito alle operazioni di cartolarizzazione non
sono dettate da ragioni di tipo regolamentare bensì da una convenienza di tipo economico.
Tuttavia il conseguimento della neutralità perfetta è un’impresa ardua minata da vari fattori
(ad esempio imperfezioni nella stima interna del rischio degli asset sottostanti e nella
determinazione dei rating ecc.) che comportano una certa disparità tra il capital charge sul
pool di asset e quello totale risultante dalla struttura di cartolarizzazione 109.
I paragrafi successivi saranno dedicati all’esposizione dello schema di calcolo dei requisiti
patrimoniali minimi (primo pilastro) a fronte del rischio di credito per le posizioni derivanti
da cartolarizzazione nel banking book110, del processo di controllo prudenziale (secondo
pilastro) 111 e della disciplina di mercato (terzo pilastro) 112. L’esposizione si basa sul
documento “Convergenza internazionale della misurazione del capitale e dei coefficienti
patrimoniali - Nuovo schema di regolamentazione” del Comitato di Basilea per la vigilanza
109
Sul tema FitchRatings ha condotto uno studio confrontando il capital charge totale per un pool di attivi in
bilancio con il capital charge totale per la cartolarizzazione dei medesimi asset ipotizzando che la banca
trattenga tutte le tranche emesse (si veda Drilling Down Into the Basel II Securitisation Charges in FitchRatings
2009b).
110
BCBS, 2006, Parte 2, Sezione IV Rischio di credito – Schema per le operazioni di cartolarizzazione.
111
BCBS, 2006, Parte 3, Sezione V Processo di controllo prudenziale per la cartolarizzazione.
112
BCBS, 2006, Parte 4, Sezione II, Tabella 9 Cartolarizzazioni: informazioni relative ai metodi standardizzato e
IRB.
85
bancaria di Giugno 2006; le revisioni e le proposte di aggiornamento al Nuovo Accordo alla
luce della crisi del 2007 saranno prese in considerazione separatamente nel paragrafo 4.5.
4.3.1 Primo pilastro: ambito di applicazione e regole generali
Basilea 2, allo scopo di tenere in considerazione la crescente innovazione nelle tecniche di
cartolarizzazione, applica il principio di prevalenza della sostanza economica sulla forma
giuridica in base al quale il trattamento ai fini prudenziali deve essere determinato in base non
tanto alla forma giuridica quanto alla sostanza economica della transazione. Per questo
motivo le banche devono osservare le disposizioni in materia di cartolarizzazione per
determinare i requisiti patrimoniali sulle esposizioni derivanti da:
- cartolarizzazioni tradizionali o sintetiche per le quali sia previsto la segmentazione del
profilo di rischio di credito (struttura con almeno due differenti posizioni di rischio o
tranche stratificate che riflettono differenti livelli di rischiosità);
- operazioni analoghe che presentino caratteristiche comuni a entrambe le tipologie. Si
tratta di operazioni che, in base alla prevalenza della sostanza economica sulla forma
giuridica, devono essere trattate alla stregua delle operazioni di cartolarizzazioni
(classiche e/o sintetiche).
L’Accordo, inoltre, prevede l’esistenza di cartolarizzazioni “virtuali”, basate sulla copertura
per tranche (tranched cover), alle quali, a fini regolamentari, si applicano le stesse regole
delle cartolarizzazioni tradizionali e sintetiche. Si definisce copertura per tranche
un’operazione in cui una banca trasferisce parte del rischio di un’esposizione in una o più
tranche a uno o più fornitori di protezione, accollandosi essa stessa una quota di rischio, e le
due parti (quella trasferita e quella mantenuta) hanno un diverso grado di prelazione (BCBS,
2006, paragrafo 199). Invece, coerentemente con la specificazione della segmentazione del
profilo di rischio, non rientrano nello schema della cartolarizzazione le operazioni ricomprese
nelle categorie dello Specialised Lending (ad esempio il Project Finance) per le quali non vi è
il ricorso al tranching.
Le esposizioni derivanti da cartolarizzazione possono includere: detenzione di ABS, forme di
supporto al credito, linee di liquidità, swap di tasso di interesse o di valuta, derivati su crediti,
tranched cover, acquisto di tranche subordinate e i conti di riserva.
La regolamentazione prevede un trattamento specifico dell’esposizione creditizia distinto in
relazione al ruolo che gli intermediari vigilati assumono nell’ambito di un’operazione di
securitisation. In particolare, Basilea 2 contempla i casi in cui le banche partecipano a un
programma di cartolarizzazione in qualità di originator, investitori, credit enhancer,
sponsor 113 o partecipano a programmi di ABCP come gestori, consulenti o collocatori dei
titoli.
In base all’applicazione del primo pilastro del Nuovo Accordo le banche devono detenere
capitale regolamentare a fronte di tutte le loro esposizioni derivanti da cartolarizzazione.
Basilea 2 riconosce che la cartolarizzazione comporta, per sua stessa natura, il trasferimento a
terzi della proprietà e/o del rischio associato alle esposizioni creditizie; di conseguenza il
calcolo dei requisiti patrimoniali si basa sull’entità del rischio che rimane o viene trasferito
nella/alla banca.
113
Il trattamento della banca sponsor viene equiparato a quello della banca originator (Giannotti, 2004).
86
Alla banca originator è consentita la facoltà di escludere le esposizioni cartolarizzate dal
calcolo delle attività ponderate per il rischio purché siano soddisfatte simultaneamente una
serie di condizioni applicabili sia al metodo standardizzato sia al metodo IRB (BCBS, 2006,
paragrafo 554):
a) trasferimento significativo del rischio di credito a terzi;
b) le attività cedute sono giuridicamente isolate dal cedente in modo che le esposizioni
siano poste al di fuori del suo potere di intervento o di quello dei suoi creditori, anche
in caso di fallimento o di altre procedute concorsuali. Sulla base di quanto esposto nei
capitoli precedenti questa condizione può essere soddisfatta dalla realizzazione della
true sale;
c) l’originator non detiene un il controllo effettivo o indiretto sulle esposizioni
trasferite114;
d) i titoli emessi non sono obbligazioni del cedente, quindi i sottoscrittori di ABS possono
vantare diritti unicamente sul portafoglio cartolarizzato;
e) il cessionario è uno SPV e i titolari dei diritti relativi a detta entità hanno la facoltà di
impegnarli o scambiarli senza restrizioni;
f) l’esercizio della clean-up call115 da parte dell’originator è facoltativo, la clausola non è
strutturata in modo da evitare l’allocazione delle perdite destinate ad essere assorbite
da garanzie addizionali o da posizioni detenute dagli investitori, o in altro modo
concepita allo scopo di fornire supporto al credito infine, la clausola si attiva solo
quando il valore del portafoglio originario scende al di sotto del 10% 116;
g) non sono presenti clausole che: (i) obbligano l’originator a modificare
sistematicamente la composizione del portafoglio sottostante al fine di migliorarne la
qualità; (ii) aumentano la posizione di first loss trattenuta o il credit enhancement a
carico dell’originator dopo l’avvio dell’operazione; (iii) aumentano il reddito pagabile
a parti diverse dall’originator a seguito di deterioramento della qualità creditizia del
portafoglio sottostante.
In base ai suddetti requisiti l’originator, per poter escludere le attività cartolarizzate dal
calcolo del coefficiente patrimoniale, deve strutturare l’operazione in modo tale da escludere
categoricamente ogni forma di intervento a sostegno dell’operazione stessa. Le condizioni
imposte dal Nuovo Accordo mirano, infatti, ad accertare l’isolamento effettivo dell’originator
dal rischio di credito riferito alle attività cartolarizzate e ad evitare che esso possa assumere
obblighi (direttamente o indirettamente) nei confronti degli investitori in ABS attraverso i
suoi rapporti con lo SPV.
Per quanto concerne, invece, le cartolarizzazioni sintetiche l’uso delle tecniche di
attenuazione del rischio di credito (credit risk mitigation, CRM) per la copertura
dell’esposizione sottostante può essere riconosciuto ai fini patrimoniali solo se vengono
114
Il mantenimento da parte del cedente dei diritti inerenti al servicing non costituirà necessariamente una forma
di controllo indiretto sulle esposizioni.
115
Una clean-up call è un’opzione che consente di chiudere anticipatamente le esposizioni derivanti da
cartolarizzazione prima che tutte le esposizioni sottostanti o quelle derivanti da cartolarizzazione siano state
rimborsate (BCBS, 2006, paragrafo 545)
116
Ove venga accertato che l’esercizio di una clausola di clean-up call sia stato utilizzato come una forma di
protezione creditizia, esso sarà considerato una forma di supporto implicito fornito dalla banca e, come tale, la
banca dovrà assicurare un’apposita dotazione patrimoniale a fronte di tutte le esposizioni associate a tale
operazione come se non fossero state cartolarizzate.
87
soddisfatti i seguenti requisiti operativi (le condizioni a) e f) per le cartolarizzazioni
tradizionali sono valide anche per le synthetic securitisation) (BCBS, 2006, paragrafo 555):
a) gli strumenti di CRM devono rispettare i criteri minimi di documentazione legale
contenuti nella sezione II.D (in sostanza i CRM riconosciuti sono le garanzie reali, le
garanzie personali e i derivati su crediti);
b) le garanzie reali rientrino in quelle indicate ai paragrafi 145-146. Sono riconosciute
anche le garanzie prestate dallo SPV;
c) i garanti rientrino in quelli indicati al paragrafo 195. Le banche non possono
riconoscere lo SPV come garanti ammessi nello schema per la cartolarizzazione;
d) gli strumenti usati per trasferire il rischio non devono prevedere termini o condizioni
che limitino l’ammontare trasferito;
e) esistenza di un parere legale che attesti l’efficacia giuridica dei contratti in tutte le
giurisdizioni pertinenti.
Passando al calcolo del requisito patrimoniale esso si fonda sul principio che il rischio di
credito non possa essere eliminato con un’operazione di cartolarizzazione, ma soltanto
trasferito, ed è pertanto necessario individuare la banca che subisce il rischio delle prime
perdite del portafoglio ceduto, in veste di originator, investitore o sponsor.
Il rischio di credito originato da un’esposizione derivante da cartolarizzazione è determinato
da due fattori:
- il rischio di credito incorporato negli attivi oggetto di cartolarizzazione;
- il rischio di credito determinato dalle modalità di distribuzione del rischio adoperate
dalla struttura dell’operazione.
Il primo è riconducibile alla natura dei titoli emessi, mentre il secondo alla natura delle forme
di supporto al credito previste.
Coerentemente con quanto stabilito dal Nuovo Accordo per il calcolo dei requisiti
patrimoniali a fronte del rischio di credito anche la misurazione del capital charge collegato a
esposizioni da cartolarizzazione avviene applicando due approcci alternativi (vd. Figura 4.4):
- l’approccio standardizzato (SA): basato sull’utilizzo di rating esterni assegnati da
agenzie specializzate (ECAI) riconosciute dall’Autorità nazionale di vigilanza 117;
- l’approccio basato sui rating interni (IRB): il quale a sua volta si articola su tre diverse
metodologie:
- l’approccio Rating Based (RBA): basato sui rating, applicabile ogni qual volta
esista, o è possibile desumere, un rating 118;
- l’approccio della Supervisory Formula (SFA): applicabile alle tranche prive di
rating, permette di calcolare i requisiti usando la formula fornita dal Nuovo
Accordo;
- l’approccio Internal Assessment (IAA): basato sulle valutazioni interne alla
banca della qualità creditizia, è applicabile alle esposizioni derivanti da
117
I rating esterni per poter essere utilizzati ai fini della ponderazione del rischio devono rispettare i requisiti
operativi espressi nel Nuovo Accordo al paragrafo 565. La disciplina della cartolarizzazione prevede
un’eccezione per quanto riguarda i criteri di idoneità che devono possedere le ECAI: una valutazione creditizia è
ritenuta idonea se è disponibile al pubblico in una forma accessibile. Di conseguenza, le valutazioni comunicate
unicamente alle parti coinvolte in una transazione non soddisfano questo requisito.
118
I rating esterni per poter essere utilizzati ai fini della ponderazione del rischio devono rispettare i requisiti
operativi espressi nel Nuovo Accordo al paragrafo 565.
88
cartolarizzazione assunte nell’ambito dei programmi ABCP. Il processo
interno di valutazione del merito creditizio deve soddisfare un’ampia serie di
requisiti operativi fissati dal Comitato.
La scelta del metodo è oggettiva dal momento che dipende dal metodo applicato al
portafoglio sottostante pertanto, il metodo SA è applicato dalle banche che utilizzano il
metodo standard per misurare i requisiti minimi relativi al rischio di credito delle tipologie di
attivo cartolarizzate, il metodo IRB, invece, deve essere utilizzato dalle banche che applicano
il metodo dei rating interni per la tipologia di attivi sottostanti oggetto di cartolarizzazione.
Nel caso in cui una banca debba dedurre dal patrimonio di vigilanza un’esposizione derivante
da cartolarizzazione la deduzione dovrà essere imputata al 50% al patrimonio di base (Tier 1)
e al 50% al patrimonio supplementare (Tier 2).
Figura 4.4: I metodi per il calcolo dei requisiti patrimoniali da esposizioni derivanti da
cartolarizzazione in Basilea 2
Fonte: La Torre (2004)
4.3.2 Primo pilastro: l’approccio standard (SA)
Le banche che applicano il metodo standard per la stima del rischio di credito dell’esposizione
sottostante devono utilizzare il metodo standard relativo alla disciplina sulle cartolarizzazioni,
che si fonda sul merito di credito espresso dalle agenzie specializzate (Giannotti, 2004). Le
esposizioni derivanti da cartolarizzazione prive di rating devono essere dedotte dal patrimonio
di vigilanza salvo i tre casi, esposti in seguito, per i quali si applica un trattamento specifico.
Qui di seguito verrà presentato il trattamento riservato alle esposizioni in bilancio, alle
esposizioni fuori bilancio, alle CRM e, infine, saranno prese in rassegna le eccezioni alle
regole generali.
Esposizioni in bilancio (on balance) derivanti da cartolarizzazione
Le attività ponderate per il rischio relative a un’esposizione in bilancio derivante da
cartolarizzazione sono calcolate moltiplicando l’ammontare nozionale della posizione per il
corrispondente fattore di ponderazione determinato in funzione del rating esterno della
posizione stessa. In sostanza, si applica la formula (4.1) dove W S è la ponderazione di rischio
appropriata al rating esterno attribuito all’esposizione.
APRS  E *WS
89
I fattori di ponderazione da utilizzare per il calcolo di APR S sono riportati in Tabella 4.1
distinti per categoria di rating a lungo o a breve termine. Come è intuibile le ponderazioni
aumentano al diminuire del rating al fine di riflettere la maggiore rischiosità.
Tabella 4.1: Fattori di ponderazione nel metodo standard
Categoria di rating a lungo termine
Rating esterno
da AAA ad AA-
da A+ ad A-
da BBB+ a
BBB-
Fattori di
ponderazione
20%
50%
100%
da BB+ a BB350% (investitore)
Deduzione (originator)
B+ e inferiore o
senza rating
Deduzione
Categoria di rating a breve termine
Rating esterno
A-1/P-1
A-2/P-2
A-3/P-3
Altri rating oppure senza
rating
Fattori di
ponderazione
20%
50%
100%
Deduzione
Fonte: BCBS (2006, paragrafo 567)
Esposizioni fuori bilancio (off balance) derivanti da cartolarizzazione
Per le esposizioni off-balance sheet derivanti da cartolarizzazione affinché la banca possa
utilizzare la formula (4.1) deve applicare alle esposizioni stesse un fattore di conversione
creditizia (FCC) e quindi ponderare per il rischio l’ammontare di “equivalente creditizio”
risultante.
(4.4)
APREFB  EFB * FCC *WS
dove:
EFB = esposizioni fuori bilancio
FCC = fattore di conversione creditizia
EFB*FCC = equivalente creditizio
I fattori di conversione creditizia FCC costituiscono uno strumento che permette di stimare il
valore on-balance sheet di un’esposizione fuori bilancio; valori di FCC bassi sono assegnate a
quelle esposizioni off-balance sheet considerate meno rischiose.
Ai fini dei requisiti patrimoniali le banche devono determinare se un’esposizione fuori
bilancio connessa con una cartolarizzazione abbia o meno le caratteristiche di “linea di
liquidità ammessa” o di advance facility per cassa da parte del servicer. Tutte le altre
esposizioni fuori bilancio della stessa natura ma considerate non ammissibili da Basilea 2
riceveranno un FCC del 100%.
Nel caso in cui siano soddisfatti i requisiti 119 che individuano una linea di liquidità ammessa
(eligible liquidity facility) la banca potrà applicare all’ammontare della linea di liquidità un
FCC del 20%, se la durata originaria è inferiore o pari ad un anno, altrimenti, se la durata è
superiore, si applica un FCC del 50%. Tuttavia, se si utilizza un rating esterno per la
determinazione del fattore di ponderazione, si applicherà un FCC del 100%. Per le linee di
liquidità ammesse e per le quali non sia possibile ricorrere a un rating esterno per individuare
il coefficiente di ponderazione, la ponderazione di rischio da applicare all’equivalente
119
Per i requisiti minimi che individuano le linee di liquidità ammesse si veda BCBS, 2006, paragrafo 578.
90
creditizio coincide con quella più elevata assegnata a una qualunque delle singole esposizioni
sottostanti coperte dalla linea di liquidità.
L’applicazione di un FCC inferiore al 100% opera anche in presenza di linee di liquidità che
risultano disponibili solo in caso di una generale turbativa dei mercati (ad esempio più SPV
non sono in grado di rinnovare le commercial paper in scadenza per ragioni non legate al
deterioramento delle attività sottostanti) e che soddisfano i requisiti minimi richiesti dal
Nuovo Accordo. In tal caso le banche possono applicare un FCC pari allo 0%.
Tra le funzioni riservate al servicer rientra anche la fornitura di anticipazioni di liquidità
qualora sia necessario per assicurare il corretto pagamento degli investitori in ABS. Le
advance facility del servicer accordate che risultano revocabili incondizionatamente e senza
preavviso possono beneficiare di un fattore di conversione dello 0% se il servicer ha titolo al
pieno rimborso e in via prioritaria rispetto agli altri diritti sui flussi di cassa del portafoglio
sottostante.
Infine, nel caso di esposizioni sovrapposte (linee di credito per le quali l’utilizzo di una
preclude in parte l’utilizzo di una linea alternativa) offerte dalla medesima banca quest’ultima
non è tenuta a detenere una dotazione patrimoniale aggiuntiva a fronte della sovrapposizione.
Quando le linee di credito sovrapposte sono soggette a diversi FCC, la banca deve attribuire la
parte sovrapposta alla linea con il fattore di conversione più alto.
Trattamento della CRM per le esposizioni derivanti da cartolarizzazione
Per CRM si intendono:
- le garanzie reali (come ad esempio: depositi in contante, oro, strumenti di capitale,
titoli di debito dotati di livello di rating minimo ecc.);
- i derivati su crediti;
- le garanzie personali;
- netting delle poste in bilancio.
Per i derivati su crediti e per le garanzie personali sono riconosciuti dall’Accordo come
garanti idonei a fornire protezione: soggetti sovrani, banche, altri enti con rating pari o
superiore ad A- ecc. (vd. paragrafo 195).
Le banche diverse dall’originator che offrono una protezione creditizia a un’esposizione
derivante da cartolarizzazione devono calcolare il requisito patrimoniale sull’esposizione
coperta utilizzando le regole dettate per le banche investitrici 120. La situazione in cui sia
l’originator stesso a fornire supporto al credito non è contemplata. La forma tipica di supporto
al credito fornito dall’originator è la sottoscrizione di una quota delle tranche subordinate; in
tal caso si applicano le regole previste per la detenzione di esposizioni on balance derivanti da
cartolarizzazione. Nel caso in cui l’originator dovesse prestare supporti al credito alternativi
alla detenzione di ABS, sembrerebbe desumersi che, per la posizione garantita, il trattamento
prudenziale debba corrispondere a quello previsto nel caso in cui si detenessero in portafoglio
i titoli della tranche per la quota corrispondente all’esposizione garantita (La Torre, 2004).
Qualora le garanzie personali o i derivati su crediti soddisfino i requisiti operativi minimi
specificati nei paragrafi 189-194, le banche possono tener conto di tale protezione creditizia
nel calcolo dei requisiti patrimoniali sulle esposizioni derivanti da cartolarizzazione.
Accanto alle regole generali appena descritte si affiancano alcune eccezioni che riguardano
specifiche esposizioni:
120
Il supporto al credito si configura come un’esposizione fuori bilancio e quindi è soggetto a un FCC del 100%.
91
a) Esposizioni prive di rating con il più alto grado di prelazione: la banca che detiene o
garantisce esposizioni prive di rating con il più alto grado di priorità nel rimborso
(senior) può determinare il fattore di ponderazione applicando l’approccio lookthrough, a condizione che sia nota in ogni momento la composizione del portafoglio
sottostante. L’approccio look-through prevede l’applicazione di un fattore di
ponderazione medio delle esposizioni sottostanti; se la banca non è in grado di
determinare tale fattore allora la posizione priva di rating deve essere dedotta dal
patrimonio di vigilanza. In pratica, il trattamento look-through considera la
sottoscrizione di ABS come un investimento indiretto nelle attività sottostanti: il
rischio per l’investitore non è legato all’insolvenza dell’emittente ma alla performance
del portafoglio sottostante.
b) Esposizioni in seconda perdita o in posizione migliore nei programmi ABCP. Le
banche a fronte di esposizioni prive di rating provenienti da programmi di ABCP
(linee di credito) che soddisfino le seguenti condizioni:
- l’esposizione è in seconda perdita o in posizione migliore;
- la posizione prima perdita fornisce un’adeguata protezione creditizia alla
seconda perdita;
- il rischio di credito associato è almeno equivalente all’investment grade;
- la banca che detiene l’esposizione priva di rating non detenga o assuma a vario
titolo la posizione in first loss.
possono applicare un fattore di ponderazione pari al massimo tra 100% o quello
maggiore, in assoluto, assegnato a una qualunque delle singole esposizioni sottostanti
coperte dalla linea di liquidità.
c) Clausole di rimborso anticipato (early amortization provisions121): la banca originator
che cede attività con natura rotativa 122 in una struttura che prevede clausole di
ammortamento anticipato deve detenere una dotazione di capitale a fronte delle
ragioni di credito totali o parziali vantate dagli investitori (ossia, a fronte sia
dell’esposizione per cassa utilizzata sia dei margini disponibili relativi alle esposizioni
derivanti da cartolarizzazione). In tal caso, il requisito patrimoniale dell’originator per
le ragioni di credito degli investitori è pari al prodotto di tre fattori: l’ammontare
nozionale delle ragioni di credito dell’investitore, il FCC e il fattore di ponderazione
applicabile al tipo di esposizione sottostante come se non fosse stata cartolarizzata. In
ogni modo il requisito patrimoniale non potrà essere superiore al maggiore tra due
valori dati dal requisito per le esposizioni assunte in relazione alla cartolarizzazione e
il requisito che si applicherebbe se l’underlying portfolio non fosse stato
cartolarizzato. La determinazione dei FCC differisce a seconda che
- l’ammortamento anticipato sia controllato 123 o non controllato;
121
L’ammortamento anticipato (o early amortisation) è un meccanismo che, una volta attivato, consente
all’investitore di ottenere il pagamento del debito prima della scadenza originariamente stabilita per i titoli
emessi. Ai fini del calcolo dei requisiti patrimoniali una clausola di ammortamento anticipato può essere
considerata come “controllata” o “non controllata”.
122
Per natura rotativa (revolving) si intende che il debitore ha la facoltà di variare l’ammontare utilizzato e i
rimborsi all’interno di un limite concordato nell’ambito di una linea creditizia (ad esempio attivi con natura
revolving sono: esposizioni a fronte di carte di credito e impegni a erogare prestiti aziendali).
123
Il Nuovo Accordo al paragrafo 548 definisce le condizioni necessarie affinché una clausola di ammortamento
anticipato possa essere definita controllata. Una clausola che non soddisfa i requisiti richiesti è considerata non
controllata.
92
-
il portafoglio cartolarizzato comprenda linee di credito revocabili (ad esempio
carte di credito), ossia quando può essere annullata incondizionatamente e
senza preavviso da parte della banca, di altro tipo (ad esempio linee aziendali
rotative).
Il meccanismo per il calcolo del requisito patrimoniale, in entrambi i casi, prevede che
l’excess spread medio trimestrale venga comparato con il livello al quale la banca è
tenuta da contratto a bloccare l’excess spread (trapping point124). Nel caso in cui
l’operazione non preveda il blocco dell’excess spread il trappin point è fissato al
4,5%.
Per determinare gli FCC nel caso di ammortamento anticipato controllato occorre
dividere l’excess spread medio trimestrale per il trapping point dell’operazione; in
questo modo sarà utilizzato l’FCC corrispondente all’intervallo in cui ricade il valore
del rapporto (vd. BCBS, 2006, paragrafo 599). Questo meccanismo è valido per tutte
le esposizioni retail revocabili mentre per le altre esposizioni (quelle non revocabili e
quelle non al dettaglio) saranno soggette a un FCC del 90%.
Il meccanismo di calcolo in caso di operazioni soggette ad ammortamento anticipato
non controllato è il medesimo ma in tal caso si applicano gli FCC previsti al paragrafo
604 del Nuovo Accordo. Tutte le esposizioni rotative cartolarizzate non revocabili e
tutte quelle non al dettaglio con meccanismi di ammortamento anticipato non
controllato sono soggette a un FCC del 100%.
In sintesi, Basilea 2, per catturare il rischio che entri in azione una clausola di
rimborso anticipato prevista nell’operazione di cartolarizzazione, richiede alle banche
di detenere una quota maggiore di capitale regolamentare man mano che l’excess
spread diminuisce. Infatti un excess spread che diminuisce, se comparato con il
trapping point, richiede dei fattori di conversione (FCC) via via maggiori.
d) Clausole di clean up call: le operazioni di cartolarizzazione tradizionali che
comprendono una clausola di clean up call che non rispetti tutte le condizioni elencate
al paragrafo 557 del Nuovo Accordo innescano un trattamento altamente prudenziale;
infatti le esposizioni sottostanti devono essere trattate come se non fossero state
cartolarizzate.
4.3.3 Primo pilastro: l’approccio basato sui rating interni (IRB)
L’adozione del metodo IRB per il calcolo del capitale regolamentare da detenere a fronte di
esposizioni relative a operazioni di cartolarizzazione è consentito alle banche che utilizzano
tale metodo per il calcolo dei requisiti patrimoniali a fronte del rischio di credito relativo agli
attivi compresi nel pool cartolarizzato.
Il metodo IRB si articola su tre differenti metodologie:
- Approccio basato sui rating (Rating Based Approach, RBA);
- Formula Prudenziale (Supervisory Formula Approach, SF);
- Approccio della valutazione interna (Internal Assessment Approach, IAA).
In via prioritaria l’approccio RBA dovrà essere applicato alle esposizioni dotate di rating
esterno o per quali può essere desunto; qualora non siano disponibili si dovrà applicare la
124
I meccanismi di trapping dell’excess spread sono specifiche previsioni contrattuali – normalmente introdotte
nella priorità dei pagamenti delle operazioni – che inibiscono al veicolo la remunerazione o il pagamento di
controparti che hanno un livello di seniority più basso rispetto ai portatori dei titoli con rating.
93
formula prudenziale (SF) o il metodo IAA. Il metodo IAA è disponibile unicamente per le
esposizioni connesse a programmi ABCP. Le esposizioni derivanti da cartolarizzazione per le
quali non sia possibile applicare nessuno di questi metodi dovranno essere dedotte dal
patrimonio di vigilanza. In base a questa gerarchia degli approcci il Comitato ha deciso di
dare la prevalenza al rating esterno (quando esiste).
a) L’approccio Rating Based (RBA)
Il metodo RBA si applica alle esposizioni derivanti da cartolarizzazione dotate di rating
esterno o per le quali può essere desunta una valutazione analoga 125. In questo caso il
Comitato di Basilea ha disposto che il calcolo dei requisiti di capitale a fronte del rischio di
credito collegato alle esposizioni da cartolarizzazioni dovrà basarsi su rating esterni anche per
le banche più sofisticate ossia quelle idonee all’uso di modelli IRB.
Il calcolo delle attività ponderate per il rischio si basa sulla formula (4.1) con l’unico
accorgimento di applicare i fattori di ponderazione (W RBA) fissati dal Comitato per il metodo
RBA (vd. Tabella 4.2).
APRRBA  E *WRBA
I fattori di ponderazione (W RBA) dipendono dal:
- livello del rating esterno (o desunto);
- riferimento temporale dei rating (breve o lungo termine);
- frazionamento del portafoglio sottostante (granularity, N);
- grado di priorità nel rimborso dell’esposizione.
Sebbene il meccanismo di calcolo delle attività ponderate per il rischio sia sostanzialmente
identico a quello presentato per l’approccio standard, nel metodo RBA i fattori di
ponderazione in corrispondenza dei vari rating sono calibrati diversamente.
Le banche possono applicare i fattori di ponderazione per le posizioni senior (vd. Tabella 6
seconda colonna) che, per valutazioni creditizie elevate, comportano un minor assorbimento
di capitale se126:
- il numero effettivo delle esposizioni sottostanti (N) è uguale o superiore a 6. N è
calcolato per mezzo della formula seguente:
( EADi )2
(4.5)
N i
2
 EADi
i
-
dove EADi (exposure at default) è l’esposizione al momento dell’inadempienza
associata con l’i-esimo strumento in portafoglio. Le esposizioni multiple nei confronti
dello stesso debitore devono essere consolidate ossia trattate come un unico strumento.
la posizione è senior quando gode del più alto grado di priorità sull’intero ammontare
delle attività del portafoglio cartolarizzato. In questo modo è considerata senior la
tranche dotata del rating più elevato o la prima ad essere rimborsata in base alla cash
flow waterfall applicata nell’operazione o, ancora, la tranche super senior in una
securitisation sintetica. Se in un’emissione vengono collocate più tranche con rating
125
Il rating desunto deve essere attribuito a una posizione priva di rating purché siano rispettati vari requisiti
operativi (vd. paragrafo 618, BCBS, 2006). Il rispetto di questi requisiti assicura che la posizione priva di rating
goda, sotto ogni aspetto, di una prelazione maggiore di quella di un’esposizione derivante da cartolarizzazione
cui è stato assegnato un rating esterno – esposizione di riferimento (Giannotti, 2004).
126
Le condizioni elencate si applicano sia per i rating a breve termine sia per quelli a lungo termine.
94
AAA solo la tranche che per prima riceve i flussi di pagamento (most senior tranche)
è idonea per l’applicazione del fattore di ponderazione più basso (7%) tra quelli
disponibili per il metodo RBA.
Nel caso in cui N sia inferiore a 6, si applicano le ponderazioni di rischio della quarta colonna
della Tabella 4.2; in tutti gli altri casi si applicano i fattori di ponderazione di base riportati
nella terza colonna.
Tabella 4.2: Fattori di ponderazione nel metodo Rating Based
Categoria di rating esterno (o desunto) a lungo termine
Ponderazioni per
posizioni senior ed
esposizioni senior
idonee per l'IAA
Ponderazioni di base
Ponderazioni per
tranche relative a
portafogli non
diversificati
AAA
AA
A+
A
7%
8%
10%
12%
12%
15%
18%
20%
20%
25%
35%
35%
ABBB+
BBB
BBB-
20%
35%
60%
100%
35%
50%
75%
100%
35%
50%
75%
100%
250%
425%
650%
deduzione
250%
425%
650%
deduzione
250%
425%
650%
deduzione
Rating esterno
BB+
BB
BB< BB- e senza rating
Categoria di rating esterno (o desunto) a breve termine
Rating esterno
A-1/P-1
A-2/P-2
A-3/P-3
Altri rating/senza rating
Ponderazioni per
posizioni senior ed
esposizioni senior
idonee per l'IAA
Ponderazioni di base
Ponderazioni per
tranche relative a
portafogli non
diversificati
7%
12%
60%
deduzione
12%
20%
75%
deduzione
20%
35%
75%
deduzione
Fonte: BCBS (2006)
Qualora non siano disponibili rating esterni o non possa essere desunta una valutazione
(quindi non è possibile utilizzare il metodo RBA) si dovrà applicare il metodo della
valutazione interna (IAA) o la Supervisory Formula (SF).
b) L’approccio della valutazione interna (IAA)
Il metodo IAA è applicabile unicamente alle esposizioni derivanti dalla partecipazione a
programmi di ABCP (linee di liquidità, supporto al credito o altre esposizioni) di cui non si
dispone di rating esterni o non è possibile ricavare una valutazione desunta. Il metodo si fonda
sulle valutazioni in merito allo standing creditizio delle esposizioni derivanti da operazioni in
ABCP interne alle banche, purché il processo interno di valutazione soddisfi una serie di
95
requisiti. Per questo motivo, affinché una banca possa applicare il metodo IAA, il processo di
valutazione interna deve basarsi su criteri stabiliti da una ECAI, ad ogni valutazione interna
deve corrispondere un livello di rating esterno, le valutazioni interne devono essere
costantemente monitorate nel corso del tempo da parte della banca ecc. I requisiti appena
descritti sono stati forniti a titolo di esempio, Basilea 2 al paragrafo 620 richiede la
rispondenza del processo interno di valutazione a una corposa lista di requisiti operativi. Per
tale ragione, appare chiara l’intenzione del Comitato di Basilea di ridurre al minimo la
possibilità di utilizzare l’approccio IAA circoscrivendo l’applicazione del metodo a casi ben
specifici.
La banca una volta giunta alla determinazione della valutazione interna delle esposizioni
assunte nell’ambito di programmi ABCP deve convertire tali valutazioni sulla base dei
corrispondenti livelli di rating esterni elaborati da una ECAI i quali sono utilizzati per
determinare i fattori di ponderazione (nel metodo RBA) allo scopo di calcolare le attività
ponderate per il rischio.
Le Autorità di Vigilanza possono vietare l’applicazione del metodo della valutazione interna
qualora lo ritengano inadeguato ai fini del corretto calcolo del requisito patrimoniale; in tal
caso la banca applicherà la Supervisory Formula (SF), se possibile, oppure la deduzione dal
capitale.
c) L’approccio della formula prudenziale (SF)
L’approccio della Supervisory Formula consente il calcolo della ponderazione da applicare a
posizioni di cartolarizzazione prive di rating per le banche che adottano il metodo IRB. Il
metodo SF permette di determinare il requisito patrimoniale in funzione delle caratteristiche
dell’underlying portfolio e della struttura delle tranche e, nello specifico, il calcolo del
patrimonio di vigilanza si basa sul capitale che una banca dovrebbe accantonare a fronte delle
attività cartolarizzate se queste fossero tenute in bilancio (K IRB).
La Supervisory Formula richiede cinque input:
- KIRB: requisito patrimoniale, espresso in forma decimale, calcolato secondo il metodo
IRB previsto per il rischio di credito come se le esposizioni sottostanti non fossero
state cartolarizzate. È pari al rapporto tra: il requisito patrimoniale, calcolato secondo
il metodo IRB (compresa anche la perdita attesa 127), sulle esposizioni sottostanti
incluse nel portafoglio e l’ammontare delle esposizioni in portafoglio che è stato
cartolarizzato. Per calcolare il KIRB serve la valutazione interna della probabilità di
default (PD) e la LGD per ogni asset sottostante compreso nel portafoglio.
requisito patrimoniale IRB calcolato sulle esposizioni sottostanti in portafoglio
(4.6)
ammontare delle esposizioni in portafoglio
-
Il numeratore del rapporto deve essere calcolato come se le esposizioni sottostanti
fossero detenute direttamente dalla banca e deve tenere conto degli effetti di tutte le
forme di CRM applicate alle esposizioni sottostanti;
L: livello di supporto al credito o livello di credit enhancement. L è definito dal
rapporto tra l’ammontare di tutte le esposizioni derivanti da cartolarizzazione
127
Se per le esposizioni “tradizionali”, il patrimonio di vigilanza è inteso a coprire solo le perdite inattese (UL),
per le cartolarizzazioni i requisiti calcolati con il metodo SFA servono a coprire sia le perdite attese (EL) sia
quelle inattese (UL) (Giaccherini et al., 2008).
96
subordinate a quella oggetto di valutazione e l’ammontare delle esposizioni in
portafoglio; è anch’esso espresso in forma decimale.
ammontare di tutte le esposizioni subordinate alla tranche in questione
ammontare delle esposizioni in portafoglio
-
Le banche devono calcolare L a prescindere dagli effetti di forme di sostegno del
credito che favoriscono specifiche tranche;
T (thickness): spessore dell’esposizione/tranche. T è dato dal rapporto tra l’ammontare
nominale della tranche oggetto di valutazione e il totale delle esposizioni nel
portafoglio cartolarizzato. È palese che L+T = 1.
ammontare nominale della tranche in questione
ammontare delle esposizioni in portafoglio
-
-
(4.7)
(4.8)
N: numero effettivo delle esposizioni in portafoglio calcolato in base alla formula
(4.5). Nel caso in cui il portafoglio sia composto da poche grandi esposizioni
(portafoglio non granulare) allora N sarà inferiore rispetto al numero di esposizioni
comprese nel pool in modo da riflettere il rischio di concentrazione;
LGD media ponderata del portafoglio:
 LGD * EAD
LGD 
 EAD
i
i
i
(4.9)
i
i
In questo contesto la LGD ha la mera funzione di catturare la variabilità potenziale tra
i vari valori della LGD delle diverse esposizioni comprese nel pool.
Il requisito patrimoniale IRB della tranche è determinato moltiplicando l’ammontare delle
esposizioni cartolarizzate per il valore maggiore tra:
- 0,0056*T
- (S[L+T] - S[L])
Il calcolo del requisito IRB della tranche è dato dall’applicazione della seguente formula:
ammontare delle esposizioni cartolarizzate*MAX(0,0056*T; S[L+T]-S[L])
tranche capital charge  MAX (0,0056*T ; S[ L  T ]  S[ L])
dove la funzione S[.] rappresenta la formula prudenziale ed è definita dalla seguente
espressione:
(4.10)
dove:
97
τ e ω sono parametri determinati dalle Autorità di Vigilanza e sono pari a: τ = 1000 e ω = 20.
In queste espressioni Beta[L; a, b] identifica la distribuzione cumulativa Beta con parametri a
e b. Per una descrizione dei suddetti parametri si veda la Tabella 4.3.
Tabella 4.3: Descrizione dei parametri del metodo SF
Parametro
Descrizione
h
Esprime la probabilità che tutti gli asset contemporaneamente sopravvivano
dopo un anno, date condizioni economiche sfavorevoli corrispondenti al 99,9esimo percentile della distribuzione128.
c
Esprime la media della distribuzione condizionata delle perdite.
v
f
Esprime la varianza della distribuzione condizionata delle perdite. Nella
formula 0,25 esprime il fattore scalare129.
È un’approssimazione della varianza della beta fitting function. Il primo
termine tende a prevalere per pool composti da pochi asset; al contrario il
secondo è dominante per portafoglio granulari.
g
È un parametro di precisione della distribuzione Beta il cui valore dipende
essenzialmente da (c) e da (f).
a
È il primo parametro che definisce la distribuzione Beta.
b
È il secondo parametro che definisce la distribuzione Beta.
τ
È un parametro che permette di graduare il grado di violazione della regola
strict loss prioritization (SLP). Per τ  ∞ la regola SLP è valida. Per τ  0 le
perdite sono distribuite con uguale probabilità tra tutte le tranche. Il valore di τ
è fisso ed è pari a 1000 e crea uno scenario intermedio tra i due casi estremi.
Fonte: FitchRatings (2009a)
La Supervisory Formula è il risultato della combinazione di un modello teorico e di interventi
regolamentari che hanno lo scopo di colmare le lacune del modello.
128
Per le cartolarizzazioni che riguardano crediti retail potrà essere applicata la SF utilizzando le semplificazioni
h=0 e v=0 (previo controllo dell’Autorità di Vigilanza).
129
Idem.
98
Il modello teorico approssima la distribuzione delle perdite da rischio di credito a una
distribuzione Beta basata sulle caratteristiche del portafoglio sottostante e, in base ad esse,
giunge al calcolo della probabilità che un certo livello di perdite, corrispondente al livello di
credit enhancement (L) della specifica tranche, sia raggiunto. Il modello teorico da cui deriva
la SF è il cosiddetto modello ULP (uncertainty in losses prioritization) di Gordy e Jones
(2002) che a sua volta generalizza la regola SLP (strict losses priorization) di Pykhtin e Dev
(2002). Il modello SLP, parsimonioso e semplice, assume che le perdite sul pool di asset
cartolarizzato siano allocate deterministicamente; in sostanza sia L sia T sono noti agli
operatori di mercato e ogni tranche emessa assorbe le perdite che superano il livello di L fino
a concorrenza dell’ammontare espresso da T. Prendendo come punto di partenza la regola
SLP, il modello ULP aggiunge elementi stocastici alla distribuzione delle perdite tra le varie
tranche per tenere conto dell’incertezza che circonda l’allocazione dei flussi finanziari del
pool, essendo questi governati dalla struttura dei pagamenti specifica alle diverse
operazioni 130. Per tale ragione possono realizzarsi delle divergenze rispetto alla regola SLP
poiché, a causa della complessità che generalmente governa la cascata dei pagamenti, risulta
impossibile conoscere con certezza il livello di protezione goduto da ogni tranche.
A titolo di esempio tali discrepanze possono derivare da:
- circostanze in cui le tranche subordinate hanno il diritto di ricevere pagamenti prima
che i sottoscrittori della tranche senior siano interamente rimborsati;
- dal fatto che durante la durata dell’operazione di cartolarizzazione il livello di credit
enhancement (L) sottovaluta la capacità delle tranche più subordinate di assorbire le
perdite nella misura in cui il loro tasso di rendimento è maggiore del tasso di interesse
degli attivi compresi nel pool cartolarizzato.
Riassumendo la regola ULP di Gordy e Jones aggiunge una nuova fonte di rischio che riflette
il gap potenziale tra il design delle tranche, in termini di seniority e spessore, e la loro
vulnerabilità alle perdite.
Il Comitato di Basilea ha apportato dei correttivi (i cosiddetti supervisory overrides) al
modello ULP puro per colmare alcune lacune; in primis ha introdotto il requisito patrimoniale
del 100% (dollar-for-dollar) quando L è inferiore o uguale a K IRB inoltre ha previsto un floor
al capital charge pari a 56 bp (che equivale a un fattore di ponderazione del 7%) da applicare
al valore delle tranche (espresso da T) più sicure al fine di garantire requisiti patrimoniali
superiori a zero.
Lo scopo della Supervisory Formula consiste nel calcolo del requisito patrimoniale, a fronte
di esposizioni di cartolarizzazione prive di rating, altamente sensibile al rischio assunto dalla
banca.
È evidente che la SF è complessa ed altamente sensibile a piccole variazioni nei valori degli
input, inoltre è di difficile implementazione soprattutto per le banche investitrici che
raramente dispongono di informazioni dettagliate sugli asset sottostanti.
Così come il metodo SA e il metodo RBA, anche il SFA non considera le categorie di asset
presenti nel portafoglio cartolarizzato. Infine, il modello non cattura alcuni elementi della
struttura come ad esempio la presenza di swap, conti di riserva, strutture revolving ecc.
130
Sebbene L indichi ex ante il livello di protezione contro le perdite, la protezione effettiva conferita dai diversi
livelli di seniority è casuale (Gordy et al, 2002).
99
Le attività ponderate per il rischio generate dall’impiego della formula prudenziale,
analogamente a quanto disposto per il metodo IRB, sono calcolate moltiplicando il requisito
patrimoniale per 12,5 (ossia il reciproco del coefficiente patrimoniale minimo dell’8%).
4.3.4 Confronto tra approccio standard e approccio basato sui rating interni
In questo paragrafo si cercherà di riassumere le principali differenze e analogie che
scaturiscono dall’applicazione del metodo SA e del metodo IRB. Pertanto, a tal fine, si
riassumono le principali caratteristiche del metodo standard e del metodo RBA.
L’approccio standard (SA):
- comporta una scarsa differenziazione dei fattori di ponderazione per i vari notch dei
rating (ad esempio il fattore di ponderazione del 20% si applica alle esposizioni che
hanno rating AAA, AA+, AA, AA-);
- scorrendo verso il basso la scala dei rating è possibile notare una notevole differenza
(cliff) tra il trattamento riservato alle esposizioni con rating investment grade rispetto a
quelle con rating noninvestment grade (ad esempio una banca originator per
un’esposizione da cartolarizzazione con rating BB+ deve accantonare patrimonio di
vigilanza pari al 100% del valore dell’esposizione mentre per un’esposizione con
rating BBB- il patrimonio da detenere è solamente pari all’8%);
- Basilea 2 propone un diverso trattamento per le esposizioni con rating inferiore
all’investment grade (BBB-) a seconda che la banca sia originator o investitrice. Nel
caso in cui la banca sia originator il trattamento applicato è maggiormente
penalizzante poiché essa è tenuta a dedurre tutte le esposizioni derivanti da
cartolarizzazione mantenute in portafoglio. Nel caso in cui la banca sia investitrice,
invece, può riconoscere a fini prudenziali le valutazioni esterne del merito di credito
comprese tra BB+ e BB– mentre è tenuta a dedurre quelle con rating inferiore 131. Il
meccanismo di calcolo, quindi, tende ad evitare una concentrazione del rischio
dell’operazione sulla banca originator;
- non vi è nessuna differenziazione dei fattori di ponderazione in base all’asset class;
- i fattori di ponderazione sono altamente conservativi. Infatti, basti osservare che in
corrispondenza della valutazione AAA, che implica una probabilità di default
prossima allo zero, la ponderazione richiesta è del 20% ossia un capital charge
dell’1,6%.
- dal confronto tra le ponderazioni dell’approccio standard e quelle previste per i crediti
corporate emerge un approccio altamente prudenziale per il calcolo dell’assorbimento
patrimoniale da esposizioni derivanti da cartolarizzazione. Nello specifico emerge un
trattamento penalizzante riservato alle esposizioni derivanti da cartolarizzazione per la
fascia di rating al di sotto dell’investment grade132. La ratio di questo trattamento
131
Per esempio, si ipotizzi una cartolarizzazione di 1000 euro la quale prevede l’emissione di cinque tranche di
titoli tra cui figura la tranche junior con rating pari a BB+ del valore di 10 euro. Nel caso in cui i titoli in
questione venissero sottoscritti dalla banca investitrice il fattore di ponderazione da applicare è di 350% che
implica un patrimonio di vigilanza da accantonare pari a 2,8 (10*3,5*0,08). Nel caso in cui i titoli venissero
riacquistati dall’originator il patrimonio di vigilanza da accantonare risultereste pari a 10 (l’intero valore della
tranche). Da ciò si evince il differente assorbimento di capitale tra la banca originator e quella investitrice pari a
7,2 euro, dovuta alla tranche con rating BB+ (Adamo, 2007).
132
Una banca investitrice che decide di investire in ABS con valutazioni comprese tra BB+ e BB- deve applicare
un fattore di ponderazione pari al 350% mentre per investimenti con valutazioni inferiori a BB- o prive di rating
deve dedurre le esposizioni. Una banca, invece, che presenta in bilancio crediti verso imprese applica una
100
risiede nella considerazione che in un’operazione di cartolarizzazione le posizioni al di
sotto dell’investment grade o prive di rating sono di solito destinate ad assorbire tutte
le perdite sul portafoglio sottostante fino ad una certa soglia; di conseguenza a fronte
di una concentrazione di rischio maggiore il Nuovo Accordo prevede un innalzamento
dei requisiti patrimoniali.
Il metodo RBA:
- i fattori di ponderazione sono ben differenziati sulla scala dei rating infatti, per la
maggior parte dei notch corrisponde un fattore di ponderazione diverso. Tale
caratteristica è espressione di una maggiore sensibilità al rischio rispetto al metodo
SA;
- comparando i fattori di ponderazione per i rating investment grade con quelli
speculative grade è presente, anche per il metodo RBA, il medesimo effetto cliff che si
era sottolineato per il metodo standard. Tuttavia, i fattori di ponderazione
dell’approccio RBA aumentano più gradualmente al peggiorare della valutazione di
rating;
- rispetto all’approccio SA non è presente nessuna distinzione tra banche originator e
banche investitrici; tuttavia i fattori di ponderazione per rating superiori alla
valutazione BBB sono differenziati in base alla seniority dell’esposizione derivante da
cartolarizzazione nonché in base al frazionamento del portafoglio sottostante espresso
dalla granularity (N);
- la granularity (N) esprime la concentrazione del portafoglio cartolarizzato 133; per pool
granular i fattori di ponderazione, a parità di rating, sono più bassi rispetto a quelli
indicati per i pool non diversificati (Tabella 4.2, colonna 3) composti da pochi asset di
ammontare elevato;
- non è prevista nessuna differenziazione dei fattori di ponderazione in base ai tipi di
asset che compongono il portafoglio sottostante la cartolarizzazione.
Le banche che adottano il metodo IRB beneficiano di un risparmio di capitale regolamentare
rispetto a quelle che applicano il metodo SA infatti, a parità di rating, i coefficienti di
ponderazione sono sistematicamente più bassi per il metodo IRB. Tale situazione comporta
un trattamento diverso della medesima esposizione derivante da cartolarizzazione a seconda
della banca che la detiene134.
Come è già stato in parte accennato il metodo RBA è strutturato su una gamma più ampia di
ponderazioni e, di conseguenza, conduce a una maggiore differenziazione del merito
creditizio. Inoltre, al peggiorare della valutazione creditizia dell’esposizione l’aumento dei
fattori di ponderazione è più graduale rispetto al metodo standard. Le suddette peculiarità
conducono a una differente dinamica del requisito patrimoniale al verificarsi di migrazioni del
rating dell’esposizione detenuta dalla banca. Se ad esempio si verifica un downgrading
dell’esposizione derivante da cartolarizzazione da BBB+ a BBB- esso non avrà alcuna
implicazione per le banche che applicano il metodo standard - il capital charge rimane
invariato all’8% - al contrario, le banche che adottano il metodo IRB dovranno detenere
ponderazione del 100% per i crediti con rating tra BB+ e BB-, una ponderazione del 150% per crediti con rating
inferiori a BB- e, infine, una ponderazione del 100% per crediti senza rating (vd. paragrafo 66, BCBS, 2006).
133
Un pool è detto a elevata granularità se contiene un elevato numero di posizioni, nessuna della quali
contribuisce in misura significativa al rischio totale.
134
È opportuno sottolineare che la disparità di trattamento tra metodo standard e metodo IRB non è tipico dello
schema di regolamentazione previsto per la securitisation bensì è una caratteristica propria di Basilea 2.
101
maggiore capitale regolamentare poiché il capital charge raddoppia passando dal 4% all’8%.
Simulando, invece, un downgrading dell’esposizione da AA- ad A+ sia le banche che
applicano il metodo SA sia quelle che applicano il metodo IRB dovranno accantonare una
quota maggiore di patrimonio regolamentare ciò che varia è l’entità dell’aumento: il capital
charge per il metodo SA più che raddoppia passando dall’1,6% al 4% mentre per il metodo
IRB aumenta in misura minore dall’1,2% all’1,44%. Quindi, la dinamica del capitale
regolamentare a fronte di migrazioni di rating varia al variare del rating di partenza e del
rating di arrivo.
Infine, comune ad entrambi gli approcci è la presenza del cliff effect, ossia di un aumento
notevole dei fattori di ponderazione passando dalla categoria di rating investment a quella
noninvestment (vd. Figura 4.5). Il cliff effect provoca un aumento significativo del capitale di
vigilanza da detenere qualora vi sia una migrazione di rating dall’investment grade al
speculative grade e, la presenza di tale effetto, potrebbe spiegare la recente intensificazione
dell’attività di repackaging a seguito dei massicci downgrading.
Figura 4.5: Il cliff effect
100,00%
CLIFF EFFECT
Capital charges
80,00%
60,00%
40,00%
20,00%
in
f
B-
e
+
C
C
C
B
-
B+
BB
+
BB
BB
B
BBB
BB
B+
A-
BB
A
A+
AA
+
AA
AA
AA
A
0,00%
Approccio Standard SA (banca investitrice)
Approccio IRB (RBA di base)
Note: I capital charge sono calcolati moltiplicando i fattori di ponderazione per il rapporto minimo obbligatorio
tra patrimonio di vigilanza e attività ponderate per il rischio (8%).
L’andamento dei capital charge, compreso il cliff effect, è simile all’andamento della media annua dei tassi di
deterioramento di finanza strutturata, infatti anch’essa presenta il medesimo balzo verso l’alto al superamento
della soglia dell’investment grade (FitchRatings, 2009a).
Per gli istituiti di credito è indispensabile la comprensione del meccanismo di Basilea 2 per le
cartolarizzazioni e del suo impatto sul requisito patrimoniale obbligatorio. Tale impatto
dipende da più fattori che interagiscono tra di loro e che includono:
- il metodo di calcolo del capitale regolamentare adottato (approccio standard versus
approccio IRB);
- il trattamento prudenziale degli asset che compongono il pool da cartolarizzare versus
il trattamento prudenziale delle esposizioni che derivano da cartolarizzazioni;
102
la struttura dell’operazione di cartolarizzazione (tranching, credit enhancement, ecc.);
il merito creditizio degli asset cartolarizzati e il livello di concentrazione (granularity)
del portafoglio sottostante;
- le stime interne alla banca (PD e LGD) riferite agli asset da cartolarizzare;
- le condizioni di mercato e la propensione al rischio degli investitori (ad esempio
investitori particolarmente avversi al rischio preferiranno strutture di cartolarizzazione
semplici).
Tuttavia, il vasto numero di fattori che influiscono sull’operazione di cartolarizzazione, l’alta
sensibilità dei coefficienti patrimoniali a piccole variazioni del profilo di rischio e la presenza
del cliff effect che può condizionare la struttura del tranching rendono indispensabile la
valutazione caso per caso dell’impatto di Basilea 2 sulle operazioni di securitisation.
-
4.3.5 Secondo pilastro
Il processo di controllo prudenziale si basa su quattro principi chiave individuati dal Comitato
(BCBS, 2006, Parte 3, Sezione II):
- le banche dovrebbero disporre di un procedimento per valutare l’adeguatezza
patrimoniale complessiva in rapporto al loro profilo di rischio e di una strategia per il
mantenimento dei livelli patrimoniali;
- le Autorità di Vigilanza dovrebbero riesaminare e valutare il procedimento interno di
determinazione dell’adeguatezza patrimoniale delle banche e le connesse strategie,
nonché la loro capacità di monitorarne e assicurarne la conformità con i requisiti
patrimoniali obbligatori. Le Autorità di Vigilanza dovrebbero adottare appropriate
misure prudenziali qualora non siano soddisfatte dei risultati di tale processo;
- le Autorità di Vigilanza auspicano che le banche operino con una dotazione
patrimoniale superiore ai coefficienti minimi obbligatori, e dovrebbero avere la facoltà
di richiedere alle banche di detenere un patrimonio superiore a quello minimo
regolamentare;
- le Autorità di Vigilanza dovrebbero cercare di intervenire in una fase precoce per
evitare che il patrimonio di una determinata banca scenda al disotto dei livelli minimi
compatibili con il suo profilo di rischio, ed esigere l’adozione di pronte misure
correttive se la dotazione di patrimonio non viene mantenuta o ripristinata.
L’applicazione dei suddetti principi è volta a garantire un’attenta e precisa analisi della
situazione di rischio della banca e, di conseguenza, la compatibilità del patrimonio con il
profilo di rischio complessivo e con il contesto operativo. Inoltre, i principi fondamentali sono
posti a salvaguardia della capacità dell’Autorità di Vigilanza di verificare l’attendibilità delle
valutazioni e di adottare, se necessario, misure correttive. Per questi motivi i coefficienti
patrimoniali di vigilanza applicati a esposizioni derivanti da cartolarizzazione potrebbero
differire da quelli descritti nel primo pilastro, specie nei casi in cui il requisito patrimoniale
complessivo non rifletta in modo adeguato e sufficiente i rischi ai quali è esposta una singola
banca. Inoltre, i coefficienti patrimoniali obbligatori previsti potrebbero anche non
considerare tutte le possibili nuove caratteristiche di un’operazione; per tale ragione le
Autorità di Vigilanza possono ricorrere a una serie di requisiti operativi e/o uno specifico
trattamento patrimoniale per tenere conto delle innovazioni di mercato (Giannotti, 2004).
Il trattamento prudenziale di una banca originator dipende dalla sua esposizione nei confronti
del rischio infatti, affinché l’originator possa ottenere un beneficio patrimoniale l’operazione
103
di cartolarizzazione deve assicurare un significativo trasferimento del rischio. Se l’Autorità di
Vigilanza ritiene il trasferimento del rischio insufficiente o inesistente, può richiedere
l’applicazione di un requisito patrimoniale più elevato di quello prescritto dal primo pilastro
o, in alternativa, negare alla banca qualsivoglia sgravio patrimoniale collegato alla
cartolarizzazione. Esistono alcune situazioni in cui l’obiettivo di trasferimento del rischio
creditizio è compromesso, come ad esempio in caso di riacquisto o di mantenimento di
esposizioni significative connesse con la cartolarizzazione, di conseguenza il risparmio
patrimoniale ottenibile corrisponderà all’ammontare del rischio di credito effettivamente
traslato. In caso di riacquisto di posizioni ai fini di market-making, le Autorità di Vigilanza
possono ritenere opportuno solamente il riacquisto di una parte della transazione (e non
dell’intera tranche) e aspettarsi che le relative posizioni siano rivendute entro un ragionevole
periodo di tempo, rispettando così lo scopo del trasferimento del rischio.
Il Comitato di Basilea, nella sezione riservata al processo di controllo prudenziale per la
cartolarizzazione135 ha posto l’attenzione su una serie di casi specifici: il supporto implicito, le
clausole call e il rimborso anticipato.
La concessione di un supporto implicito 136 può sollevare perplessità sull’effettivo
trasferimento del rischio di credito. Esempi di supporto implicito sono: l’acquisto di
esposizioni al rischio di credito in via di deterioramento dal portafoglio sottostante, la vendita
a sconto di esposizioni creditizie al pool di attività cartolarizzate, l’acquisto di esposizioni
sottostanti a un prezzo superiore a quello di mercato e l’aumento delle posizioni first loss in
base al deterioramento delle esposizioni sottostanti. In pratica, con l’offerta di un sostegno
implicito le banche segnalano al mercato che il rischio non è stato trasferito, di conseguenza il
calcolo del patrimonio ai fini del primo pilastro sottostima il rischio effettivamente assunto.
Qualora venga rilevato dalle Autorità di Vigilanza il rilascio di supporto implicito la banca
offerente sarà tenuta a mantenere una dotazione di capitale a fronte di tutte le esposizioni
sottostanti associate all’operazione come se queste non fossero state cartolarizzate, inoltre
essa dovrà rendere pubblicamente nota l’offerta di un supporto extracontrattuale
all’operazione. Scopo di tali prescrizioni è quello di indurre le banche a detenere patrimonio a
fronte delle esposizioni sulle quali assumono rischi creditizi e di dissuaderle dal fornire
supporti non contrattuali. Nel periodo necessario alle Autorità di Vigilanza per verificare la
presenza di un supporto implicito, alla banca può essere negato ogni beneficio patrimoniale
connesso con le operazioni programmate di cartolarizzazione (moratoria). L’azione
dell’Autorità di Vigilanza ha lo scopo di correggere sia il comportamento della banca in
relazione alla fornitura di supporti impliciti, sia la percezione del mercato circa la volontà
dell’originator di fornire in futuro forme di sostegno diverse da quelle contrattuali.
Le clausole call permettono alla banca originator di chiudere anticipatamente l’operazione e,
in riferimento ad esse, le Autorità di Vigilanza si attendono che la banca non faccia uso di
questo tipo di clausole qualora esse comportino il sostenimento di perdite o il deterioramento
della qualità creditizia delle esposizioni sottostanti. Le Autorità pertanto hanno la facoltà su
base discrezionale di verificare, prima che la banca eserciti la clausola call, alcuni aspetti:
- i motivi per cui la banca ha deciso di attivare tale clausola;
- l’impatto dell’esercizio della clausola sul coefficiente patrimoniale della banca;
135
BCBS, 2006, Parte 3, Sezione V Processo di controllo prudenziale per la cartolarizzazione.
Si ha supporto implicito quando una banca fornisce a un’operazione di cartolarizzazione un sostegno che
eccede quanto preliminarmente stabilito nella documentazione contrattuale.
136
104
al fine di evitare che l’esercizio della clausola implichi delle perdite sulle esposizioni
cartolarizzate.
Tuttavia è ritenuto opportuno dalle Autorità di Vigilanza l’utilizzo delle clausole di chiusura
anticipata dell’operazione per finalità economiche come ad esempio quando i costi di
servicing per le esposizioni creditizie in essere superino i proventi del servicing relativo a
quelle sottostanti. Infine, è auspicabile che le date di esercizio fissate per l’attivazione delle
clausole non siano antecedenti alla durata media finanziaria o a quella ponderata delle
sottostanti esposizioni derivanti da cartolarizzazione; di conseguenza le Autorità di Vigilanza
potranno imporre un periodo minimo entro il quale non possono essere fissate date di
esercizio.
Con specifico riferimento alle cartolarizzazioni revolving le Autorità di Vigilanza dovrebbero
verificare le modalità interne adottate dalle banche per la misurazione, il monitoraggio, la
gestione dei rischi nonché le procedure di valutazione della probabilità di rimborso anticipato
(early amortization) di tali transazioni. Infatti, le banche dovrebbero prevedere:
- piani di emergenza per il capitale e la liquidità in caso di rimborso anticipato;
- politiche per reagire tempestivamente a variazioni avverse o impreviste;
- sistemi per monitorare la probabilità e i rischi di early amortization event idonei
rispetto alle dimensioni e alla complessità delle attività di cartolarizzazione.
Nel caso in cui le Autorità di vigilanza ritengono inadeguate le politiche impiegate dalla
banca adotteranno una serie di misure volte ad aumentare il requisito patrimoniale per la
banca stessa.
4.3.6 Terzo pilastro
Il terzo pilastro guida il livello di disclosure che le banche vigilate devono assicurare al
mercato al fine di integrare i requisiti patrimoniali minimi e il processo di controllo
prudenziale con un adeguato flusso di informazioni. Una corretta ed efficiente disciplina di
mercato è garantita attraverso l’individuazione di un insieme di requisiti di trasparenza
informativa che consentiranno agli operatori di mercato di disporre di informazioni
fondamentali in merito a: ambito di applicazione, patrimonio di vigilanza, esposizione ai
rischi, processi di valutazione dei rischi e adeguatezza patrimoniale degli intermediari. La
disciplina di mercato permette di informare gli operatori in merito all’esposizione ai rischi di
una banca e costituisce un forte incentivo alla realizzazione di una gestione bancaria sana e
prudente (le banche sono stimolate a detenere in questo modo un livello congruo di capitale).
Un completo flusso di informazioni reso al mercato è, peraltro, condizione necessaria per
l’utilizzo di certe metodologie o il riconoscimento di particolari strumenti e operazioni.
Oggetto di comunicazione deve essere l’insieme delle informazioni ritenute rilevanti, ossia
quel complesso di informazioni la cui omissione o errata indicazione può modificare o
influenzare i giudizi o le scelte di coloro che su di esso si basano per assumere decisioni di
carattere economico.
Le banche possono omettere la pubblicazione di informazioni riservate e confidenziali, ossia
quelle informazioni (ad esempio su prodotti o sistemi) che, qualora rese note alla concorrenza,
rischiano di diminuire il valore dell’investimento di una banca in tali prodotti o sistemi e di
indebolire così la sua posizione competitiva. Tali informazioni devono essere sostituite con
altre di portata più generale rendendo noti, nel contempo, la decisione e i motivi per cui non
sono state pubblicate quelle specifiche notizie.
105
Con riferimento alla disciplina di mercato riservata alle operazioni di cartolarizzazione le
banche devono divulgare una serie di informazioni sia qualitative sia quantitative. Le
informazioni quantitative riguardano l’ammontare complessivo cartolarizzato dalla banca,
l’ammontare delle attività cartoralizzate deteriorate o scadute, le eventuali perdite, i rischi, le
esposizioni mantenute o acquistate. Le informazioni qualitative possono, invece, riguardare la
segnalazione degli obiettivi specifici perseguiti dalla banca relativamente all’attività di
cartolarizzazione, i ruoli svolti dalla banca, una sintesi delle politiche contabili adottate per le
attività cartoralizzate (BCBS, 2006, Parte 4, Sezione II; Tabella 9). Le informazioni previste
dal terzo pilastro dovrebbero essere prodotte con frequenza semestrale ad eccezione delle
informazioni qualitative che offrono una sintesi generale di politiche, obiettivi, sistemi di
segnalazione e definizioni in materia di gestione dei rischi di una banca che possono essere
pubblicate con cadenza annuale (BCBS, 2006, Parte 4, Sezione II; Tabella 9).
Oltre alle suddette informazioni qualitative e quantitative le banche devono fornire altrettante
notizie in merito ad altri ambiti come ad esempio la composizione del patrimonio di vigilanza,
il rischio di credito, rischio operativo, rischio di mercato ecc. Pertanto, appare chiaro che le
informazioni che la banca deve comunicare al mercato sono molto dettagliate allo scopo di
aumentare la trasparenza informativa, facilitare il confronto tra diversi istituti bancari da parte
degli operatori e contribuire alla sicurezza e alla solidità del sistema bancario.
4.4 Interazione tra rischio di credito e rischio di mercato
Nel presente paragrafo si procederà alla presentazione del problema dell’interazione tra il
rischio di credito e il rischio di mercato il quale produce dei risvolti dal punto di vista
regolamentare ed è strettamente collegato con il tema della securitisation. Tradizionalmente i
regulator trattano separatamente il rischio di mercato e il rischio di credito, di conseguenza,
essi sono misurati e gestiti distintamente. Tuttavia, lo sviluppo e la diffusione di tecniche di
credit risk transfer (CRT) e, da ultimo, la recente crisi finanziaria hanno focalizzato
l’attenzione sui collegamenti che possono instaurarsi tra rischio di credito e rischio di mercato
e sull’esigenza di approcci che conducano a una valutazione e a una gestione integrata delle
due fonti di rischio.
Con il termine rischio di credito si intende il rischio di incorrere in perdite causate
dall’incapacità del debitore di adempiere ai suoi obblighi di pagamento di interessi e di
rimborso del capitale e spesso viene identificato direttamente con la nozione di default
(attuale o atteso); per rischio di mercato si intende il rischio per uno strumento finanziario (o
asset in bilancio) di subire modifiche di valore a causa di movimenti sfavorevoli dei prezzi di
mercato, dei tassi di interesse, dei tassi di cambio o di altre variabili di mercato.
Rischio di credito e rischio di mercato sono strettamente collegati l’uno con l’altro. Ad
esempio variazioni improvvise del valore di mercato di un’attività detenuta da un’impresa –
rischio di mercato – impattano sulla probabilità di default – rischio di credito. Al contrario, se
la probabilità di insolvenza associata a un’impresa varia drasticamente – rischio di credito –
allora si avranno effetti sul valore di mercato dell’impresa stessa – rischio di mercato. Dagli
esempi emerge che variazioni di prezzo degli asset possono condizionare le probabilità di
insolvenza e viceversa pertanto il rischio di mercato e di credito sono guidati da driver
106
comuni e si influenzano a vicenda. Le ricerche condotte dal Gruppo IMCR 137 testimoniano
l’esistenza di interazioni sia a livello macro - sistema economico nel complesso - sia micro ossia a livello di singola banca e della sua sensibilità ai differenti driver di rischio. Con
riferimento al primo aspetto (livello macro) gli studi svelano l’esistenza di una correlazione
significativa tra variabili macroeconomiche e i prezzi degli asset; in merito al secondo aspetto
(livello micro) hanno dimostrato che il rischio di credito e il rischio di mercato sono
influenzati da fattori simili 138.
La comprovata esistenza di collegamenti tra rischio di credito e rischio di mercato può far
sorgere dubbi circa il trattamento prudenziale riservato a queste tipologie di rischio. Basilea 2,
ai fini del calcolo del requisito patrimoniale, tratta il rischio di credito e il rischio di mercato
come due fonti di rischio separate. Infatti, nel Nuovo Accordo il Comitato ha definito
procedure di calcolo del patrimonio di vigilanza differenziate per il rischio di credito e per il
rischio di mercato. Tale separazione è frutto dell’idea dei regulator che il rischio di credito è
la fonte di rischio rilevante per il banking book mentre, il rischio di mercato influenza
prevalentemente il trading book, di conseguenza lo schema regolamentare riflette
l’organizzazione tradizionale di una banca fondata sulla divisione credito e su quella
investimenti. In base al primo pilastro, trascurando il rischio operativo, i soggetti vigilati
giungono alla determinazione di un requisito patrimoniale a fronte del rischio di credito e uno
a fronte del rischio di mercato:
(4.11)
RCc  RCm
dove:
RCc = capitale regolamentare a fronte del rischio di credito
RCm = capitale regolamentare a fronte del rischio di mercato
RCc e RC m sono calcolati in base a tecniche di misurazione specifiche, rispettivamente per il
rischio di credito e per quello di mercato, e successivamente il requisito patrimoniale totale è
calcolato semplicemente sommando RCc e RC m ignorando, in questo modo, l’esistenza di
qualsiasi forma di interdipendenza tra i due tipi di rischio e assumendo implicitamente
perfetta correlazione tra di essi.
È idea comune che la grezza aggregazione delle valutazioni di rischio di credito e di mercato
conduca a una stima del rischio totale conservativa. Tale affermazione si basa su due
argomentazioni (Breuer et al, 2008):
- l’operazione (4.11) trascura gli effetti della diversificazione perciò la valutazione
integrata del rischio dell’intero portafoglio sarà minore o, al limite, uguale alla somma
dei rischi del banking book e del trading book;
- il rischio di credito è rilevante solo per il banking book e il rischio di mercato è
rilevante solo per il trading book.
Se le due argomentazioni sopra esposte sono valide allora è possibile concludere che la
somma dei due capitali regolamentari (RCc e RC m) sarà maggiore o, al massimo, pari alla
137
Si tratta del gruppo deputato allo studio delle interazioni tra rischio di mercato e rischio di credito (Interaction
of Market and Credit Risk, IMCR Group) facente parte del centro di ricerca del Basel Committe on Banking and
Supervision. Il Gruppo è stato incaricato di condurre ricerche sul tema in relazione alle tecniche di misurazione e
gestione dei rischi.
138
Il Gruppo IMCR ha evidenziato una correlazione positiva tra il rischio di un portafoglio di CDS e un
portafoglio di azioni della medesima azienda. Tale risultato è supportato anche dalla teoria economica in base
alla quale sia i CDS sia le azioni sono entrambi opzioni sull’azienda e, quindi, legati allo stesso fondamentale.
107
misura del rischio totale del portafoglio intero e, conseguentemente, è possibile affermare che
Basilea 2 è uno schema prudenziale.
Il problema sostanziale della relazione (4.11) è che trascura la possibilità che rischio di credito
e rischio di mercato siano legati da una relazione non lineare e per, tale ragione, la (4.11)
conduce a misurazioni del rischio distorte. Innanzitutto l’operazione (4.11) ignora eventuali
benefici che possono derivare dalla diversificazione tra due tipi di rischio differenti e, in
questo senso, sovrastima l’assorbimento patrimoniale. Drehmann et al (2008) hanno studiato
l’interazione del rischio di tasso di interesse 139 e rischio di credito nel banking book su un
campione composto da banche del Regno Unito. Essi dimostrano come i due tipi di rischi
siano intrinsecamente legati da una relazione non lineare. Elevati tassi di interesse
comportano, in prima battuta, aumenti delle insolvenze e comprimono il margine netto di
interesse della banca. Per spiegare come un aumento dei tassi di interesse possa impattare sul
margine netto di interesse si consideri questo semplice esempio: una banca finanzia
totalmente un’attività A con passività L dove L=A. Si assuma che A abbia scadenza pari a un
anno mentre le passività L devono essere rinnovate su base giornaliera. L è remunerata al
tasso risk free r0; A, invece, è remunerata al tasso r0 maggiorato di uno spread pari alla
probabilità di default (PD) moltiplicato per la loss-given-default (LGD) ossia
(r0+PD*LGD)*A. Ipotizzando un aumento del tasso di interesse risk free del 50% dopo aver
fissato il livello di remunerazione per A si avrà una compressione del margine di interesse.
Infatti, il tasso di interesse attivo su A rimarrà invariato dal momento che il tasso di interesse
rimane fisso fino a scadenza mentre l’interesse pagato su L aumenta in linea con l’aumento
del tasso risk free. L’esempio mette in luce la caratteristica peculiare delle banche ossia il
mismatch che si crea tra finanziamento a breve termine e concessione del credito a lungo
termine che è la fonte centrale del rischio di tasso di interesse nel banking book. Il
disallineamento delle scadenze provoca un differente repricing tra attivo e passivo e
variazioni nei tassi di interesse impattano più velocemente sugli interessi passivi rispetto a
quelli attivi. Tuttavia, l’aumento delle insolvenze e la compressione del margine di interesse
sono più che compensati, secondo lo studio di Drehmann et al (2008), dalla capacità della
banca di riprezzare gli asset e di scaricare sui prenditori di fondi il maggiore rischio di
insolvenza e i maggiori tassi di interesse. Infatti gli autori dimostrano che la capacità della
banca di scaricare gli aumenti dei tassi di interesse e le maggiori probabilità di default sui
soggetti finanziati è tale da rendere il capitale regolamentare a fronte del rischio di credito e di
tasso di interesse minore rispetto al capitale regolamentare calcolato a fronte del solo rischio
di credito. Riassumendo, Drehmann et al (2008), testimoniano l’esistenza di un beneficio di
diversificazione proveniente dall’interazione dei due tipi di rischi la cui entità dipende dalla
struttura del bilancio della banca e dalle politiche di pricing adottate. Quindi, sulla base dei
risultati ottenuti, essi giudicano Basilea 2 uno schema regolamentare improntato alla
prudenza.
L’operazione (4.11), tuttavia, può condurre anche a misurazioni distorte verso il basso ossia
sottostimare il requisito patrimoniale totale. Si parla in questo caso di compounding effect cioè
una situazione per cui la misurazione integrata del rischio totale è maggiore rispetto alla
semplice somma di misurazioni di rischio separate. Breuer et al (2008) fornisce un esempio
per cui una valutazione del rischio basata sulla (4.11) sottostima il vero rischio totale. Gli
autori utilizzano l’esempio di una banca che effettua finanziamenti in valuta estera a
139
Il rischio di tasso di interesse è quel rischio che si manifesta in variazioni del valore degli asset o strumenti
interest-sensitive in seguito a modifiche della struttura per scadenza dei tassi di interesse.
108
prenditori di fondi locali (prestiti in valuta estera 140 o foreign currency loans) per far
emergere un possibile effetto moltiplicativo causato dal legame non lineare tra rischio di
credito e rischio di mercato. La banca in questione risulterà esposta simultaneamente al
rischio di cambio e al rischio di credito. Un rallentamento dell’economia nazionale provoca,
ceteris paribus, un aumento della probabilità di insolvenza del debitore. Un deprezzamento
della valuta domestica causa, ceteris paribus, un aumento del valore del prestito espresso in
valuta nazionale dal momento che è denominato in valuta estera. Il deprezzamento della
valuta domestica ha un effetto particolarmente negativo sulla capacità di rimborso del
debitore perché l’abilità di ripagare il prestito denominato in valuta estera dipende in modo
non lineare dalle variazioni del tasso di cambio. Quindi, in queste situazioni una misura di
rischio che prima valuta distintamente rischio di credito e rischio di mercato per poi
successivamente aggregare insieme le due valutazioni conduce a sottostime dell’entità reale
del rischio.
In base alle considerazioni fin qui fatte è possibile affermare che la (4.11) porta a valutazioni
del capitale regolamentare non corrette e, in base alle situazioni, sottostima o sovrastima
l’effettivo rischio a livello di portafoglio. La semplice somma del requisito patrimoniale per il
rischio di credito con quello calcolato per il rischio di mercato fornisce una misura
prudenziale del requisito patrimoniale totale solo se si ha la certezza che il portafoglio totale
sia perfettamente suddivisibile in due distinti sottoportafogli (uno formato da asset riferibili al
solo rischio di credito e uno formato da asset riferibili esclusivamente al rischio di mercato).
In presenza di tali condizioni si ha la certezza che il patrimonio calcolato in base alla (4.11)
rappresenta una misura conservativa e costituisce il limite massimo del capitale necessario a
fare fronte ai rischi. Tuttavia, se la suddivisione in sottoportafogli non è praticabile e rischio
di credito e di mercato dipendono in modo simultaneo da determinanti comuni si giunge a una
misurazione del rischio totale del portafoglio errata.
Data la complessità delle interazioni tra rischio di credito e rischio di mercato i bias che
inficiano la valutazione del rischio condotta sulla base della formula (4.11) possono essere
superati adottando una tecnica di misurazione del rischio di credito e di mercato integrata.
Tuttavia, una valutazione del rischio integrata è ostacolata da una serie di fattori:
- i modelli per la stima del rischio di mercato generalmente si basano sull’intera
distribuzione dei rendimenti mentre quelli del rischio di credito si focalizzano
solamente sulle perdite da insolvenza e sui mancati guadagni;
- differenti orizzonti temporali assunti per la stima del rischio;
- un sistema integrato pone l’esigenza di un numero rilevanti di dati e di tecnologie
avanzate.
Il tema della cartolarizzazione è strettamente collegato con il problema posto dal
collegamento tra rischio di credito e rischio di mercato dal momento che la funzione
principale della cartolarizzazione, sia essa tradizionale sia sintetica, è il trasferimento del
rischio di credito dall’originator a terzi soggetti che rende, di fatto, il rischio di credito
negoziabile. L’estensivo utilizzo delle tecniche di securitisation ha contribuito ad attirare
l’attenzione sulle problematiche poste dall’interazione tra rischio di credito e rischio di
mercato perché ha reso necessario la conoscenza del valore attuale degli asset in bilancio per
140
I foreign corrency loan sono simili a operazioni di carry trade in cui un investitore decide di finanziarsi in un
paese in cui i costi del finanziamento sono piuttosto bassi per poi utilizzare i fondi presi a prestito per investirli
in un paese diverso dove i tassi di rendimento sono alti (Breuer et al, 2008).
109
poterne trasferire il rischio di credito; tale valore attuale dipende a sua volta da un sistema
complesso di fattori come ad esempio i tassi di interesse e i tassi di cambio. La crisi
finanziaria, inoltre, ha mostrato una nuova dimensione del rischio di liquidità e ha manifestato
come tale rischio possa interagire con le altre fattispecie di rischio (credito e mercato). Le
condizioni di liquidità interagiscono con il rischio di mercato e con il rischio di credito
mediate l’orizzonte temporale entro il quale l’asset può essere liquidato. Nello specifico
condizioni di liquidità avverse incentivano le banche ad allungare l’orizzonte temporale entro
il quale mettere in atto le strategie di risk management però all’allungarsi dell’orizzonte
temporale l’esposizione al rischio complessiva aumenta.
La liquidità del mercato primario è fattore cruciale per la buona riuscita della securitisation
perché da essa dipende il successo del collocamento dei titoli ABS. Le operazioni di
cartolarizzazione quando strutturate in modo appropriato consentono all’originator di
raggiungere alcuni benefici riguardanti la gestione dei rischi:
- le cartolarizzazioni permettono alle banche una migliore gestione del rischio di credito
e l’ottimizzazione del profilo di rischio del proprio attivo;
- le cartolarizzazioni permettono alle banche una specializzazione produttiva
raggiungendo maggiori livelli di efficienza nelle attività di screening e monitoring dei
soggetti finanziati attraverso una condivisione di selezionati rischi con altri operatori
di mercato (passaggio dal risk-bearing al risk-sharing).
A fronte dei benefici ottenibili le cartolarizzazioni possono comportare l’insorgenza di nuovi
rischi a causa dell’errata identificazione dei rischi connessi a queste operazioni e della
presenza di incentivi in capo alle banche ad assumere esposizioni eccessivamente rischiose.
La crisi finanziaria ha mostrato come la presenza di asimmetrie informative lungo la catena
delle cartolarizzazioni e la difficoltà di prezzare correttamente gli strumenti cartolarizzati
abbia reso totalmente illiquido il mercato della cartolarizzazione. Infatti, incertezze nella
valutazione di strumenti finanziari e i rafforzamenti nel rischio di credito percepito dal
mercato hanno avuto un effetto negativo sulla liquidità e hanno azionato una spirale al ribasso
tra prezzi di mercato e liquidità di strumenti negoziati. Difficoltà di accesso al mercato della
cartolarizzazione espongono le banche a maggiori rischi quali il rischio di insolvenza di
alcuni intermediari bancari che non riescono a recuperare fondi sul mercato della
securitisation e il rischio di mercato a causa di cambiamenti di valore degli ABS.
Per le ragioni sopra esposte è necessario che il sistema di risk management interno alla banca
sia consapevole dell’esistenza di una interdipendenza tra diverse fonti di rischio (di mercato,
di credito e di liquidità) che impattano sul reddito e sul patrimonio dell’intermediario.
Secondariamente, essendo la liquidità del mercato primario uno dei fattori chiave per il
successo delle cartolarizzazioni, è necessario che le stesse cartolarizzazioni siano strutturate in
modo tale da promuovere la liquidità, ad esempio assicurando una maggiore trasparenza.
4.5 I rafforzamenti a Basilea 2
Lo scoppio della crisi finanziaria ha riacceso il dibattito su temi quali: la stabilità dei mercati
finanziari, l’architettura di vigilanza e, infine, ma non da ultimo lo schema di
regolamentazione Basilea 2. Proprio in coincidenza con lo scoppio della crisi è ritornato in
auge l’intenso dibattito tra mondo accademico, operativo e professionale volto ad individuare
quale istituzione, tra mercato e Autorità di Vigilanza, sia più efficiente per la determinazione
110
del livello adeguato di patrimonio degli intermediari bancari 141. Numerose sono state le
accuse di economisti e di operatori di mercato indirizzate a Basilea 2 ritenuta una delle
maggiori cause della crisi e dei dissesti bancari. Tuttavia, poiché al momento dello scoppio
della crisi Basilea 2 non era ancora entrata in vigore 142 appare più sensato chiedersi se si
sarebbe potuta evitare la crisi, o se avrebbe avuto un minore impatto se le regole di Basilea 2
fossero già state operative. Tale domanda appare ancora più giustificata se si pensa che
l’adozione, in alcuni casi esasperata, delle tecniche di finanza innovativa ha trovato terreno
fertile nel perdurare delle regole del precedente Accordo Basilea 1 e che Basilea 2 si
proponeva di evitare proprio gli arbitraggi regolamentari realizzati mediante operazioni di
secutisation. Inoltre, Basilea 2 avrebbe contrastato la creazione dei SIV (società fuori
bilancio) utilizzati per aggirare il precedente schema di regolamentazione e che hanno
contribuito alla creazione del cosiddetto “sistema bancario ombra” 143. Tuttavia, la crisi ha
messo in luce lacune e debolezze del Nuovo Accordo:
a) i requisiti patrimoniali di Basilea 2 determinano una maggiore prociclicità nel sistema
finanziario. La prociclicità è quel fenomeno per cui l’attività creditizia delle banche tende a
seguire lo stesso andamento del ciclo dell’economia reale. Quindi, ad esempio, in fasi di
rallentamento poiché aumentano le insolvenze i requisiti patrimoniali conducono a un
aumento del capitale minimo richiesto alle banche il quale, a sua volta, conduce a un
razionamento del credito al fine di riequilibrare le proporzioni tra capitale e attività ponderate
per il rischio. In caso contrario, in condizioni di crescita economica le banche hanno la
possibilità di ampliare l’offerta di credito all’economia. È doveroso sottolineare che la
prociclicità è una caratteristica presente in qualsiasi sistema di regolamentazione che impone
requisiti patrimoniali minimi; tuttavia in Basilea 2 il problema è accentuato dall’utilizzo dei
rating e, nello specifico, dalla frequenza delle migrazioni, siano esse al rialzo o al ribasso 144.
Infine, prendendo come riferimento il contesto attuale di crisi, l’implementazione pressoché
contemporanea dei principi contabili internazionali (IAS/IFRS), che hanno introdotto per le
banche la valutazione al fair-value di alcune poste in bilancio, pare abbia agito da effetto
amplificatore della prociclicità;
141
La tesi che afferma la superiorità del mercato deriva da una valutazione ottimistica delle capacità del mercato
di determinare il livello adeguato di capitale e nel fornire il giusto mix di incentivi agli intermediari bancari per
una corretta valutazione dei rischi; al contrario, la tesi opposta, riconosce la superiorità della regolamentazione
nel fissare il livello adeguato di capitale per raggiungere la combinazione ottimale efficienza-stabilità.
142
La prima fase della crisi contraddistinta da un’ondata di vendite circoscritte al segmento dei crediti subprime
risale a giugno-luglio 2007. L’Accordo di Basilea 2 è divenuto operativo in Europa nel 2008 (dopo ben dieci
anni dalla decisione di sostituire il precedente Accordo del 1988) e per i primi anni è soggetta a un vincolo che le
impone di non discostarsi troppo dalle regole precedenti; mentre negli Stati Uniti, fulcro della crisi subprime, la
sua implementazione è attesa per il 2010 e sarà comunque limitata a un numero ristretto di banche.
143
In Giappone, dove Basilea 2 era già in vigore, il danno SIV è stato minimo.
144
Sulla prociclicità incide la modalità di attribuzione dei rating. Le due principali metodologie di assegnazione
del rating sono denominate point in time e through the cycle. Nel primo caso, il giudizio circa la solvibilità futura
di un soggetto è attribuito considerando, oltre alle condizioni economico-finanziarie attuali e prospettiche dello
stesso soggetto, le condizioni attuali e prospettiche del ciclo economico. I sistemi di rating point in time sono
tipicamente quelli adottati dalle banche, le quali sono interessate a far sì che il giudizio relativo a ogni
controparte risenta delle condizioni attuali e previste sia della stessa controparte, sia del settore produttivo nel
quale essa opera e del sistema economico in generale. Il ricorso a rating point in time rende il regime di
adeguatezza patrimoniale ancora più prociclico di quanto non lo sarebbe se le banche ricorressero a sistemi di
rating di tipo through the cycle i quali risultano relativamente immuni dalle variazioni del ciclo economico
(Sironi, 2004).
111
b) Basilea 2 non ha contemplato tra le cause centrali di potenziale rischiosità di una banca
proprio il rischio di liquidità che, come dimostrato tra il 2007 e il 2009, possiede natura
sistemica ossia la sua manifestazione può provocare casi di dissesto congiunto di più banche.
La crisi ha difatti ribadito quanto sia cruciale il ruolo della liquidità nella gestione della banca,
palesando la valenza di un doppio legame, da un lato quello tra liquidità di mercato e liquidità
della raccolta, dall’altro quello tra rischio di liquidità della raccolta e rischio di credito
(Iacopozzi, 2009). Basilea 2 a fronte del rischio di liquidità non prevede precisi meccanismi di
calcolo del requisito patrimoniale, come al contrario avviene per il rischio di credito, di
mercato ed operativo nel Pilastro 1, bensì la valutazione di tale rischio viene rilegata nel
Pilastro 2 e rientra nel processo di autovalutazione dei presidi patrimoniali e organizzativi;
c) Basilea 2 sembra aver sottostimato il rischio relativo agli strumenti di finanza strutturata
che sono il risultato di operazioni di resecuritisation (CDO di ABS). Infatti, i fattori di
ponderazione specifici per la cartolarizzazione si applicano sia alle esposizioni derivanti da
cartolarizzazione one-layer sia a quelle derivanti da ricartolarizzazioni e, di conseguenza, a
fronte di esposizioni del secondo tipo la banca accantona un ammontare di capitale
regolamentare inadeguato a fronteggiare il maggior rischio. Tale carenza può essere
interpretata, a posteriori, come una sorta di fallimento di Basilea 2 che non ha previsto due
schemi di ponderazioni differenziati che riflettessero la maggiore complessità dei CDO di
ABS dal momento che, già prima dell’implementazione di Basilea 2, il segmento dei CDO
aveva registrato livelli di crescita record raggiungendo dimensioni notevoli;
d) Basilea 2 è stata accusata di fare eccessivo affidamento sui rating per la valutazione del
rischio di credito soprattutto per quanto riguarda il calcolo del patrimonio di vigilanza da
accantonare a fronte degli investimenti in ABS. Le incertezze sul trattamento delle
cartolarizzazioni nascono, non tanto dall’utilizzo in sé di rating esterni ai quali corrispondono
specifici fattori di ponderazione, bensì dall’affidabilità dei rating quale strumento di
valutazione dei rischi associati alle esposizioni derivanti da securitisation. Si tratta di dubbi in
merito alla qualità della valutazione e alla sua capacità di catturare in modo efficace la reale
esposizione al rischio associato ai prodotti cartolarizzati, emersi in seguito all’ondata di
improvvisi e ampi downgrading (o messa sotto osservazione) di centinaia di titoli RMBS e
CDO di ABS tra cui alcune tranche con rating AAA (spia che le originarie valutazioni erano
troppo benevole o non erano fondate su un’ottica di medio-lungo periodo). Inoltre, la
credibilità delle valutazioni viene messa in discussione anche dalle perplessità sull’effettiva
indipendenza delle agenzie di rating; perplessità che si intensificano per i rating di finanza
strutturata dal momento che le agenzie svolgono un’attività di consulenza e assistono
l’originator nelle fasi di strutturazione dell’operazione. Infine, i suddetti limiti risultano
ancora più pronunciati per i rating di strumenti complessi di finanza strutturata inficiati dalla
disponibilità di serie storiche troppo brevi. È evidente che i dubbi sull’affidabilità dei rating si
estendono anche al Nuovo Accordo in cui i rating svolgono un ruolo fondamentale soprattutto
per il trattamento delle cartolarizzazioni 145.
145
Peretyatkin e Perraudin (2004) hanno sottoposto a verifica la robustezza dei fattori di ponderazione del
metodo RBA. La loro analisi sull’impatto di diverse scadenze, granularità e correlazioni tra default ha
evidenziato una sostanziale coerenza tra i requisiti prudenziali e le stime di capitale economico. Giaccherini e
Pepe (2008) si pongono come obiettivo il confronto tra i requisiti generati dagli approcci RBA e SFA e il
capitale economico che dovrebbe essere accantonato a fronte di esposizioni derivanti da securitisation. Il
principale risultato a cui giungono i due autori è che l’RBA non riesce a coprire il rischio economico della
maggioranza delle tranche; ossia il capitale economico da loro stimato supera chiaramente i requisiti RBA per
112
Il Comitato di Basilea, inoltre, ha individuato tre conseguenze negative che derivano
direttamente dall’eccessiva fiducia posta sui rating esterni dal Nuovo Accordo:
- le banche hanno progressivamente trascurato l’attività di valutazione interna dei rischi ;
- le agenzie di rating sono state incentivate a produrre valutazioni eccessivamente
positive per certe esposizioni, anziché condurre un’analisi accurata e approfondita, dal
momento che emittenti, originator e investitori sono maggiormente interessati a rating
positivi a cui si associano minori assorbimenti patrimoniali;
- la presenza del cliff effect nei coefficienti patrimoniali fissati da Basilea 2 ha
incoraggiato le banche a cercare rating superiori all’effetto di cliff.
La crisi di fiducia nei rating creditizi ha spinto le tre principali agenzie (Standard and Poor's,
Moody's e FitchRatings) a proporre modifiche alle loro modalità operative di attribuzione dei
rating mediante l’adozione di criteri più improntati alla prudenza;
e) l’approccio sottostante al Nuovo Accordo, adottato in particolare per i modelli interni
avanzati, è basato su modelli quantitativi che rischiano di sottovalutare gli eventi di rischio
improbabili ma possibili. Si tratta, nello specifico, del limite principale del value-at-risk
(VaR) introdotto dal Comitato di Basilea nel Nuovo Accordo come approccio per il calcolo
del rischio di mercato nel trading book e del rischio di credito. Infatti, il VaR consente il
calcolo della massima perdita potenziale che un portafoglio può subire in un dato orizzonte
temporale e con un certo grado di probabilità però non fornisce informazioni in merito alla
coda sinistra della distribuzione delle perdite oltre la soglia assunta a livello di confidenza,
ossia non prende in considerazione quell’area della distribuzione che entra in gioco proprio
quando si manifestano eventi estremi che possono realizzarsi in periodi di crisi;
f) Basilea 2 trascura un indicatore cruciale della rischiosità della banca quale il leverage
(rapporto tra totale attivo e patrimonio di vigilanza); infatti se da un lato le principali banche
negli anni scorsi erano in linea con i requisiti patrimoniali di Basilea 1 e Basilea 2 dall’altro
avevano raggiunto livelli di leverage oltremodo elevati 146 arrivando, talora, a presentare attivi
di bilancio pari o di poco inferiori al PIL delle proprie nazioni. Negli anni che precedettero lo
scoppio della crisi le attività totali delle banche statunitensi sono cresciute molto più
velocemente del prodotto lordo, trascinando i profitti bancari a livelli considerevolmente
superiori alla media degli ultimi venticinque anni (Onado, 2008). Il problema è che il capitale,
a fronte dei considerevoli aumenti delle attività bancarie, non è cresciuto abbastanza rispetto
ai rischi effettivi;
g) la crisi ha evidenziato la bassa qualità del patrimonio supplementare. Negli anni passati si è
assistito al proliferare di emissioni bancarie subordinate di vario genere, inseribili nel
patrimonio supplementare; però, per quanto anch’esse partecipino, al verificarsi di
determinate condizioni, all’assorbimento delle perdite, è soprattutto il patrimonio di base che
costituisce il vero presidio per i depositanti ed il vero baluardo per garantire la solidità. Il
Nuovo Accordo lascia sostanzialmente invariata la composizione del patrimonio di vigilanza
tutte le tranche esclusa l’equity. Giaccherini e Pepe (2008) propongono di estendere l’esperimento anche ai CDO
corporate meno stilizzati e ai CDO di ABS e, nel caso in cui, si giungerà agli stessi risultati sarà opportuno
interrogarsi sul rischio che la mappatura di Basilea 2 fra rating e capitale non rappresenti la scelta più giusta e
incoraggi, invece, nuove forme di arbitraggio (Giaccherini et al, 2008).
146
“The apparent paradox is that several big universal banks, such as the two major Swiss bank, stand out for
having at the same time high financial leverage and high regulatory capital ratios. This inconsistency of the
capital strength metrics indicates that capital is not adequate for the risks taken on” (Coletti, 2009).
113
così com’era definita in Basilea 1; sarebbe necessario, invece, rimarcare la maggiore rilevanza
del patrimonio di base, in qualità di principale presidio per far fronte a improvvisi
cambiamenti di mercato, e riselezionare le voci che compongono il Tier 2;
h) Basilea 2 è il frutto di una lunghissima trattativa internazionale che ha portato
all’implementazione della nuovo schema regolamentare dopo ben dieci anni dal primo
documento. In quegli anni si è di fatto consentita una crescita incontrastata dell’innovazione
finanziaria in assenza di innovazione normativa. Oltre al ritardo il problema risiede nel fatto
che la trattativa era mossa dalla necessità di non determinare un aggravio di requisito
patrimoniale per le banche, anzi, si cercava la soluzione migliore che consentisse un risparmio
di patrimonio rispetto a Basilea 1, quand’anche si utilizzasse il metodo standardizzato. È
evidente che lo scopo primario della normativa di vigilanza prudenziale, ossia la tutela della
stabilità delle banche e del sistema finanziario nel suo complesso, era stato distorto ed aveva
assunto una posizione secondaria rispetto all’esigenza di permettere ai soggetti vigilati di
espandere il proprio volume di affari.
Alla luce delle lacune e delle debolezze dello schema di regolamentazione il Comitato di
Basilea ha introdotto nel Luglio 2009 un pacchetto 147 di rafforzamenti al Nuovo Accordo
“Enhancements to Basel 2 framework” che coinvolgono i tre pilastri su cui si fonda Basilea 2.
Le revisioni al secondo pilastro sono già implementabili da Luglio 2009 mentre le nuove
disposizioni che riguardano il primo e il terzo pilastro saranno implementate entro il 31
dicembre 2010.
In Dicembre 2009, inoltre, il Comitato di Basilea ha annunciato un pacchetto 148 di proposte
consultive che mirano a ridefinire aspetti importanti dell’attuale assetto regolamentare e a
porre le condizioni per lo sviluppo di un sistema finanziario più solido e prudente al fine di
ridurre la probabilità che si manifesti in futuro una crisi della portata di quella appena
verificatesi. Nello specifico, si tratta di proposte di revisione del Nuovo Accordo che portano
all’aumento del capitale detenuto ai fini regolamentari e della resistenza del sistema bancario
alle crisi. Gli obiettivi perseguiti dalle nuove modifiche apportate a Basilea 2 sono cinque:
- miglioramento della qualità del patrimonio di vigilanza al fine di aumentare la
capacità delle banche di assorbire le perdite;
- rafforzamento dei requisiti patrimoniali a fronte del rischio di controparte;
- contenimento del grado di leva finanziaria del sistema mediante l’introduzione di un
requisito non ponderato per il rischio (leverage ratio);
- riduzione della prociclicità;
- rafforzamento dei presidi a fronte del rischio di liquidità.
Con la pubblicazione dei documenti di Luglio e Dicembre 2009 il Comitato di Basilea ha dato
una risposta forte all’esigenza di rendere il settore finanziario più stabile.
147
Contestualmente ai rafforzamenti a Basilea 2 il Comitato ha introdotto nuove regole, che saranno operative
entro la fine del 2010, per il trading book:
- Guidelines for computing capital for incremental risk in the trading book;
- Revisions to Basel 2 market risk framework.
148
Le nuove regole proposte sono racchiuse in due documenti (consultabili sul sito www.bis.org):
- Strengthening the resilience of the banking sector;
- International framework for liquidity risk measurement, standards and monitoring.
Le nuove regole saranno sottoposte a consultazione, analisi di impatto e calibrazione; l’implementazione è attesa
entro il 31 Dicembre 2012 ma, se necessario, saranno previsti periodi di transizione per non ostacolare la ripresa
economica.
114
Si ricorda, inoltre, che in Maggio 2009 il Parlamento Europeo ha votato a favore di un
emendamento alla Capital Requirements Directive (CRD) che obbligherà gli originator a
detenere, a partire dal 2011, una quota di almeno il 5% nei prodotti cartolarizzati destinati alla
vendita agli istituti di credito europei. Si tratta di una misura volta ad allineare gli interessi
degli originator a quelli degli investitori al fine di ripristinare la fiducia nel mercato delle
cartolarizzazioni.
Nei paragrafi successivi verranno discussi i cambiamenti apportati dal Comitato di Basilea
facendo riferimento al documento “Enhancements to the Basel II framework” del Luglio 2009
il quale si focalizza prettamente sul trattamento delle esposizioni derivanti da
cartolarizzazione di cui si è parlato nei paragrafi precedenti.
4.5.1 Primo pilastro
Il Comitato di Basilea ha aggiunto un nuovo schema di fattori di ponderazione per l’approccio
Rating Based per le resecuritisation (vd. Tabella 4.4).
Tabella 4.4: Fattori di ponderazione per l’approccio RBA per le esposizioni derivanti da
ricartolarizzazione
Esposizioni derivanti da cartolarizzazione
Rating esterno
(lungo termine)
Esposizioni derivanti da ricartolarizzazione
Senior, Granular
Ponderazioni di base
(non-senior, granular)
Non-granular
Senior
Non-senior
AAA
7%
12%
20%
20%
30%
AA
8%
15%
25%
25%
40%
A+
10%
18%
35%
35%
50%
A
12%
20%
35%
40%
65%
A-
20%
35%
35%
60%
100%
BBB+
35%
50%
50%
100%
150%
BBB
60%
75%
75%
150%
225%
BBB-
100%
100%
100%
200%
350%
BB+
250%
250%
250%
300%
500%
425%
500%
650%
BB
425%
BB< BB- e senza rating
425%
650%
650%
650%
750%
850%
deduzione
deduzione
deduzione
deduzione
deduzione
Esposizioni derivanti da cartolarizzazione
Rating esterno
(breve termine)
Esposizioni derivanti da ricartolarizzazione
Senior, Granular
Ponderazioni di base
(non-senior, granular)
Non-granular
Senior
Non-senior
A-1
7%
12%
20%
20%
30%
A-2
12%
20%
35%
40%
65%
A-3
60%
75%
75%
150%
225%
deduzione
deduzione
deduzione
deduzione
deduzione
Altri rating/senza rating
Fonte: BCBS (2009a)
115
Viene pertanto definito il concetto di esposizione derivante da ricartolarizzazione: “a
resecuritisation exposure is a securitisation exposure in which the risk associated with an
underlying pool of exposures is tranched and at least one of the underlying exposures is a
securitisation exposure. In addition, an exposure to one or more resecuritisation exposures is
a resecuritisation exposure”. Rientrano, quindi, in questa definizione ad esempio: i CDO di
ABS anche se nel portafoglio sottostante è compreso un solo strumento cartolarizzato,
strumenti la cui performance dipende da una o più esposizioni ricartolarizzate ecc.
Le esposizioni derivanti da resecuritisation di tipo senior, oltre a possedere il livello di
seniority più elevato, nel pool sottostante non devono comparire esposizioni che a loro volta
derivano da resecuritisation. Nel caso contrario, in cui il portafoglio cartolarizzato contenga
esposizioni derivanti da ricartolarizzazione, quella esposizione sarà trattata come non-senior.
Per evitare possibili comportamenti opportunistici che mirano all’arbitraggio regolamentare il
livello minimo del fattore di ponderazione derivante dall’applicazione della Supervisory
Formula per le esposizioni derivanti da resecuritisation viene fissato al 20%.
La crisi finanziaria ha mostrato che gli strumenti ricartolarizzati sono maggiormente correlati
con il rischio sistematico rispetto ai prodotti derivanti da cartolarizzazioni one-layer; per
questo motivo il Comitato di Basilea ha innalzato i requisiti patrimoniali per le esposizioni
derivanti da resecuritisation in modo che il patrimonio detenuto ai fini di vigilanza sia più
coerente con i rischi assunti (vd. Tabella 4.4). Nello specifico il profilo di rischio di uno
strumento ricartolarizzato è non lineare poiché in presenza di condizioni macroeconomiche
normali il livello di perdite su questi strumenti è inferiore la media ma in periodi di turbolenza
e in corrispondenza di eventi estremi il deterioramento è maggiore rispetto alle normali ABS.
Questa caratteristica si traduce in una maggiore perdita inattesa (UL). In presenza di
condizioni macroeconomiche avverse default correlati tra i debitori originari raggiungono
livelli che superano la protezione offerta dagli strumenti che fungono da collateral di CDO di
ABS e di conseguenza conducono a un deterioramento della capital structure dello strumento
ricartolarizzato. Detto in altri termini la distribuzione delle perdite di un ABS di CDO se
comparata con quella dei debitori originari è meno concentrata e contraddistinta da fat-tail
ossia le possibilità di piccole perdite sono minori, a fronte di maggiori possibilità di ampie
perdite. La rischiosità dei CDO di ABS aumenta se le tranche sottostanti sono sottili
(maggiore LGD). Infatti, a parità di altre condizioni, un reference portfolio composto da
tranche di ABS sottili è contraddistinto da un tasso di recupero più basso che aumenta le
perdite, soprattutto in periodi di turbolenza, a livello di CDO di ABS. La crisi finanziaria,
inoltre, ha evidenziato il diverso comportamento delle obbligazioni corporate rispetto alle
tranche di CDO e alle CDO di ABS con medesimo rating che, a sua volta, ha alimentato la
crisi di fiducia verso i rating creditizi. Gli avvenimenti recenti hanno mostrato una maggiore
vulnerabilità delle tranche di CDO e dei prodotti strutturati a registrare variazioni più ampie
nella gamma dei rating (maggiore velocità di deterioramento) in condizioni di mercato
estreme; al contrario in presenza di normali condizioni di mercato gli strumenti cartolarizzati
sono più stabili. Quindi, a parità di rating, le ragioni di un diverso trattamento delle
esposizioni da ricartolarizzazione risiedono nella considerazione che quest’ultime hanno una
rischiosità maggiore delle tranche derivanti dalla semplice cartolarizzazione accresciuta dalla
maggiore complessità e opacità delle strutture di resecuritisation.
Parallelamente i fattori di ponderazione differenziati per le esposizioni da ricartolarizzazione
sono stati introdotti anche per l’approccio standardizzato (SA) (vd. Tavella 4.5)
116
Tabella 4.5: Fattori di ponderazione per l’approccio SA per le esposizioni derivanti da
ricartolarizzazione
Rating
(lungo termine)
Esposizioni
Esposizioni
derivanti da
derivanti da
cartolarizzazione ricartolarizzazione
Rating
(breve termine)
da AAA ad AA-
A-1/P-1
20%
40%
50%
100%
100%
225%
da A+ ad A-
20%
40%
50%
100%
100%
225%
deduzione
deduzione
A-2/P-2
da BBB+ a BBB-
A-3/P-3
Altri rating
oppure senza
rating
da BB+ a BBB+ e inferiore o
senza rating
Esposizioni
Esposizioni
derivanti da
derivanti da
cartolarizzazione ricartolarizzazione
350%
650%
deduzione
deduzione
Fonte: BCBS (2009a)
Durante la recente crisi molte banche che avevano concesso linee di liquidità per programmi
di ABCP hanno scelto di comprare i titoli emessi dal veicolo piuttosto che lasciare utilizzare
le proprie linee di liquidità. Dal momento che i coefficienti di ponderazione dei titoli, però,
era basato sul supporto concesso dalla banca stessa le revisioni alla normativa non permettono
più l’uso di rating esterni qualora la valutazione fosse almeno in parte dovuta a supporto della
banca stessa. Tali titoli saranno pertanto trattati come unrated.
Al fine di evitare che le banche vigilate confidino ciecamente nei rating esterni assegnati alle
esposizioni derivanti da cartolarizzazione, le revisioni a Basilea 2 permettono l’applicazione
degli approcci previsti dal Nuovo Accordo solo a condizione che la banca abbia una
conoscenza approfondita e continuativa del profilo di rischio dell’esposizione derivante da
cartolarizzazione (sia in bilancio sia off-balance sheet) e degli asset sottostanti. Inoltre, per le
esposizioni derivanti da resecuritisation le banche non solo devono possedere informazioni
sulle tranche immediatamente sottostanti ma anche sulle caratteristiche e sulle performance
degli asset ricartolarizzati. La banca deve quindi poter prontamente accedere alle informazioni
in merito alle performance del sottostante; tali informazioni devono includere: il tipo di
esposizione, la quota di past due 30, 60, 90 giorni, tassi di default, tassi di estinzione
anticipata, credit score medio, ecc. Solo se si comprende pienamente la struttura
dell’operazione di cartolarizzazione e le caratteristiche degli attivi sottostanti la banca che
detiene l’esposizione è consapevole degli effetti che possono impattare sulla performance
dell’esposizione stessa. Quindi, se ad esempio il risk management della banca in fase di
misurazione del rischio dell’esposizione derivante da cartolarizzazione nota delle discrepanze
rispetto al rating esterno allora sarà necessario considerare la maggiore rischiosità
(nell’ambito del secondo pilastro) al quale corrisponderà un accantonamento a patrimonio di
vigilanza superiore basato sulle proprie valutazioni interne. Queste nuove indicazioni sono
valide sia per il metodo SA sia per quello IRB. Se la banca non adempie alla nuova regola
allora dovrà dedurre l’intera esposizione sopportando un capital charge del 100%. La nuova
disposizione discende dall’eccessivo affidamento posto sui rating dagli intermediari finanziari
nel periodo precedente alla crisi che ha generato falsi sensi di certezza sul valore degli
strumenti finanziari anche più complessi. Si tratta di una regola necessaria al fine di evitare la
117
sostituzione di una rigorosa e realistica analisi dei rischi con il semplice giudizio di rating che,
semmai, deve fungere da punto di partenza per una successiva e profonda analisi condotta
internamente alla banca. La norma, tuttavia, è particolarmente onerosa, soprattutto per le
esposizioni derivanti da ricartolarizzazione comporta la raccolta di informazioni relative a
centinaia di attivi sottostanti la prima cartolarizzazione, e difficilmente le banche di minori
dimensioni dispongono delle capacità necessarie per condurre un’analisi di questo tipo.
Sempre sul tema dei rating il Comitato di Basilea nel documento emesso ai fini di
consultazione “Strengthening the resilience of the banking sector” propone il rafforzamento
dell’eccezione riguardante i requisiti operativi per l’utilizzo delle valutazioni esterne del
merito di credito riservata ai rating di esposizioni da cartolarizzazione (paragrafo 565 (d)) in
base alla quale erano ritenute idonee solo valutazioni creditizie disponibili al pubblico. Il
Comitato rafforza il requisito operativo richiedendo che il rating, per essere considerato
idoneo all’utilizzo ai fini del calcolo dell’assorbimento patrimoniale, debba essere, non solo
reso pubblico in forma accessibile ed essere utilizzato nella matrice di migrazione della ECAI
che lo ha emesso, ma anche l’analisi delle perdite e dei cash flow e la sensibilità della
valutazione a variazioni nelle assunzioni sottostanti devono essere disponibili al pubblico in
forma non selettiva e gratuitamente (BCBS, 2009c)
I rafforzamenti a Basilea 2 dispongono l’eliminazione della differenza tra il fattore di
conversione creditizia applicato alle linee di liquidità ammesse con scadenza inferiore
all’anno (FCC del 20%) e quello applicato alle linee di liquidità ammesse con scadenza
superiore all’anno (FCC del 50%) che aveva lo scopo di riconoscere la minore rischiosità
associata a un impegno con scadenza nel breve termine. Le revisioni a Basilea 2, invece,
richiedono l’applicazione di un FCC del 50% indipendentemente dalla scadenza della linea di
liquidità; se viene utilizzato un rating esterno per determinare il fattore di ponderazione della
linea di liquidità dovrà essere applicato un FCC del 100%. L’aumento del FCC per le linee di
liquidità a breve termine si traduce in un aumento del requisito patrimoniale giustificato
dall’esigenza di scoraggiare le esposizioni nei confronti di conduit off-balance sheet.
4.5.2 Secondo pilastro
Si è visto al paragrafo 4.3.5 come il secondo pilastro valorizzi il controllo prudenziale
dell’adeguatezza patrimoniale e imponga, alle banche, di valutare la congruità della dotazione
patrimoniale in rapporto alla tipologia e al livello dei rischi complessivi sostenuti e, alle
Autorità di Vigilanza, di verificare tali valutazioni e assumere le opportune azioni correttive.
È palese che il fattore critico per il successo del secondo pilastro è la capacità delle banche di
monitorare, misurare e gestire i rischi e di intervenire per mitigare gli effetti della rischiosità
sui processi e sulle funzioni aziendali.
La crisi finanziaria ha evidenziato carenze e mal funzionamenti nella gestione dei rischi da
parte delle banche e ha, di conseguenza, reso tangibile l’esigenza di rinforzare i sistemi di risk
management. L’eccessivo entusiasmo e la modernizzazione dei modelli di valutazione ha
portato molti a dimenticare che la gestione del rischio, seppur evoluta e sofisticata, può
migliorare le capacità di valutarlo e prezzarlo ma non può eliminare i rischi stessi. La crisi,
invece, ha rimarcato i limiti degli strumenti di gestione del rischio mostrando la loro
inadeguatezza e incapacità di catturare i rischi nonché l’interazione tra di essi. Si pone, quindi,
la necessità di migliorare significativamente le capacità valutative e predittive dei sistemi di
118
risk management in modo da garantire una maggiore coerenza tra il buffer di capitale e gli
effettivi rischi assunti. È in questa direzione che sono state concepite le modifiche al processo
di controllo prudenziale.
Il Comitato di Basilea consapevole che un approfondito e globale ICAAP è una componente
essenziale per un solido risk management ha introdotto nuove regole che mirano a consentire
una migliore identificazione e gestione dei rischi (soprattutto per quanto riguarda le
valutazioni interne del rischio). Inoltre, un sano processo di risk management è necessario per
sostenere la fiducia delle Autorità di Vigilanza e, più un generale, degli operatori di mercato
in merito alle valutazioni interne dei rischi e dell’adeguatezza patrimoniale. Quindi, le
modifiche al secondo pilastro sanciscono l’importanza di apportare rafforzamenti ai processi
interni di risk management i quali dovranno essere aggiornati alle evoluzioni dell’innovazione
finanziaria.
In questo contesto la cartolarizzazione è fonte di “insidie” per il risk management poiché,
spesso, queste operazioni coinvolgono più linee di business e creano esposizioni a più fattori
di rischio al punto che può risultare complesso identificare, misurare e gestire le esposizioni
derivanti da questa attività (questa considerazione è particolarmente valida in un contesto di
illiquidità del mercato, calo dei prezzi e della propensione al rischio). L'incapacità di
identificare correttamente i rischi potrebbe portare la banca ad esporsi a rischi indesiderati che
possono comportare perdite altrettanto indesiderate e impreviste.
Le modifiche al secondo pilastro riguardano:
- controllo dei rischi firm-wide;
- temi di risk management:
- concentrazione dei rischi;
- esposizioni fuori bilancio (focus sulla cartolarizzazione);
- rischio reputazionale e supporto implicito;
- rischio di liquidità;
- pratiche di stress test.
Un efficiente sistema di risk management, indispensabile per il successo della banca nel lungo
termine, adotta un’ottica firm-wide e comprende tutte le attività, anche le più complesse,
dell’intermediario finanziario comprese le operazioni di securitisation e le esposizioni offbalance sheet. Inoltre, il risk management non deve essere focalizzato sui soli rischi di
credito, di mercato, di liquidità e operativo bensì deve coinvolgere anche il rischio
reputazionale, legale e strategico e, in termini generali, tutti quei rischi che quando
interagiscono possono condurre a ingenti perdite.
La crisi finanziaria ha indubbiamente mostrato alcune criticità legate alle operazioni di
cartolarizzazione esse, infatti, hanno dato origine, oltre ai rischi tipici ad esse collegate, anche
a rischi di concentrazione, di mercato, di liquidità, legali e reputazionali che sono stati
sottostimati dalle banche. Considerata la vasta gamma di rischi connessi con le esposizioni da
cartolarizzazione è quasi inevitabile che il requisito patrimoniale calcolato in base alle regole
del primo pilastro sia insufficiente a far fronte alle perdite in cui la banca può incorrere. Per
queste ragioni tutti i rischi che non sono catturati dal primo pilastro devono essere considerati
nel secondo pilastro e il patrimonio di vigilanza deve essere adeguatamente integrato. Inoltre,
le esposizioni derivanti da cartolarizzazione devono essere monitorate su base continuativa
anche tramite la raccolta di informazioni aggiornate (dati di mercato e dati provenienti dal
trustee o dal servicer). Con riferimento all’eccessivo affidamento sui rating esterni, soprattutto
per gli strumenti più complessi, viene ribadito il concetto che tali valutazioni sono un utile
119
punto di partenza ma un’analisi approfondita dei rischi sottostanti all’esposizione non può
essere eliminata. Le banche che intendono esporsi al segmento della cartolarizzazione devono,
quindi, essere in grado di condurre un’attenta analisi creditizia al momento dell’acquisizione e
per l’intera durata dell’esposizione in modo da essere consapevoli dei rischi assunti nonché
devono verificare l’impatto che eventi creditizi e trigger event possono avere sulle
performance dell’esposizione stessa e sulla liquidità della banca 149. La banca, inoltre,
dovrebbe sviluppare dei piani di emergenza in cui trovino specificazione:
- gli interventi alle strategie di funding qualora il mercato della cartolarizzazione sia
sotto stress e per questo inaccessibile;
- quali metodi di valutazione intende utilizzare per strumenti illiquidi detenuti per scopi
di trading.
Uno degli obiettivi che le revisioni al secondo pilastro si propongono di raggiungere è il
rafforzamento della gestione del rischio di concentrazione ovvero il rischio che una qualunque
singola esposizione o un gruppo di esposizioni simili (appartenenti allo stesso settore, che
esercitano la stessa attività o appartenenti alla medesima zona geografica) siano
potenzialmente in grado di produrre:
- perdite ingenti (in relazione al capitale, alle attività totali, agli utili e al complessivo
livello di rischio) tali da minacciare la solidità di una banca o la sua capacità di
proseguire nello svolgimento delle attività principali;
- un cambiamento sostanziale del profilo di rischio della banca.
La necessità di rivedere le indicazioni per il rischio di concentrazione discende dal fatto che i
coefficienti di ponderazione stabiliti da primo pilastro sono progettati in modo tale da essere
portfolio invariant150 e quindi insensibili al rischio di concentrazione; rischio che costituisce
uno dei driver delle perdite inattese e che è stato sottovalutato nel periodo pre-crisi come
testimoniato dalle esposizioni delle banche concentrate nel settore real-estate.
Il rischio di concentrazione può essere causato da un’esposizione diretta verso una particolare
controparte, da una combinazione di più esposizioni dirette o indirettamente attraverso
esposizioni legate agli strumenti cartolarizzati (ABS e CDO). Quindi, sancita l’importanza del
rischio di concentrazione, il sistema di risk management della banca deve essere in grado di
catturare il rischio di concentrazione sia single-name151 sia settoriale152, a livello di singola
banca e a livello di gruppo, adottando una visione prospettica (ipotizzando scenari di
condizioni macroeconomiche ordinarie e condizioni di crisi) e deve fissare adeguate strategie
di mitigazione del rischio nonché fissare limiti interni al livello di concentrazione.
149
Le cartolarizzazioni sono degli essere viventi, sempre in evoluzione. Il problema non è tanto la correttezza
della valutazioni iniziali, quanto la necessità di monitorare le operazioni per verificare quale degli scenari
inizialmente previsti avrà la meglio (Pengelly, 2007).
150
I capital charge definiti dal primo pilastro sono calcolati per ciascuna esposizione (asset-by-asset) sia per
quanto riguarda il metodo standard sia per il metodo IRB. Per il metodo IRB Basilea 2 fornisce una formula per
il calcolo del requisito patrimoniale che presuppone l’indipendenza del capitale stimato per singola esposizione
rispetto al portafoglio a cui viene allocato (portfolio invariant) ossia si presuppone un’elevata diversificazione
del portafoglio.
151
Per concentrazione single-name si intende la concentrazione che deriva dalla presenza di grandi esposizioni
verso una singola controparte o da più esposizioni verso debitori tra loro connessi che determinano un’imperfetta
diversificazione del portafoglio e quindi la presenza di un rischio idiosincratico.
152
Per concentrazione settoriale si intende la concentrazione che deriva dalla presenza di più esposizioni verso
controparti appartenenti allo stesso settore economico o che esercitano la stessa attività o, infine, provenienti
dalla medesima area geografica.
120
La crisi ha posto l’attenzione anche sul rischio reputazionale (e al tema collegato del supporto
implicito) che molte banche orginator di operazioni di cartolarizzazione non sono state in
grado di valutare. Di conseguenza, molte banche hanno offerto il loro supporto, al di là degli
obblighi contrattuali, a SPV reintegrando nel proprio bilancio le attività e passività delle entità
off-balance sheet o fornendo loro supporto alla liquidità al fine di limitare il danno
reputazionale derivante dal collegamento tra conduit in difficoltà e banca originator. La
reputazione può inficiare l’abilità della banca di procurarsi risorse a titolo di capitale e la
fiducia del mercato su di essa. È quindi essenziale che le banche dispongano delle capacità
necessarie per identificare le fonti di rischio reputazionale, stimando l’ammontare del
supporto offerto in condizioni estreme e di capire come il rischio reputazionale può impattare
su altri tipi di rischio (di credito, di liquidità, di mercato e operativo).
Per quanto riguarda i prodotti di finanza strutturata complessi essi hanno posto serie difficoltà
di valutazione soprattutto per la mancanza di mercati liquidi ponendo la necessità di ricorrere
a valutazioni mediante modelli matematici. Il valore calcolato in base a tali modelli risulta
molto sensibile ai valori degli input e alle assunzioni su cui si basa ed è quindi esposto a errori
e incertezze. Per questi motivi ci si aspetta che le banche che decidano di esporsi verso
prodotti particolarmente complessi come quelli di finanza strutturata abbiano le procedure
adeguate per valutare tali esposizioni correttamente. Inoltre, sarebbe opportuno che le banche
producessero un’adeguata documentazione in cui forniscano informazioni in merito ai modelli
di valutazione utilizzati. Al fine di limitare errori di valutazione derivanti da imprecisioni
negli input le banche dovrebbero massimizzare l’utilizzo di input osservabili, in presenza di
mercati attivi, e basarsi, al contrario, su dati non osservabili quando i mercati sono illiquidi.
Per far fronte al rischio di liquidità le banche dovrebbero detenere un buon cuscinetto
resistente a periodi prolungati di condizioni di mercato avverse e di illiquidità. La liquidità è
uno degli elementi fondamentali che misurano la resistenza degli intermediari finanziari a
momenti di stress; per questo motivo la banca dovrebbe essere dotata di un buffer di liquidità
e di riserve composte da asset altamente liquidi e di buona qualità che la proteggano da
periodi di turbolenza. Le banche devono essere in grado di identificare, misurare e controllare
il rischio di liquidità soprattutto per quanto riguarda i prodotti più complessi e gli impegni
contingenti.
Infine, è indispensabile che la banche rafforzino e facciano un maggior uso delle pratiche di
stress testing ossia verifiche del comportamento di alcune variabili in presenza di condizioni
eccezionali. I sistemi di risk management, quindi, devono incorporare gli stress test, a fronte
di una vasta gamma di rischi, che sappiano fornire un’indicazione di quanto capitale è
necessario per assorbire le perdite che la banca incorrerà quando gli shock simulati si
verificheranno. È cruciale che i modelli di stress testing valutino i potenziali effetti causati da
condizioni di rischio particolarmente negative, improbabili ma non impossibili allo scopo di
fornire una migliore rappresentazione dei rischi complessivi a cui le banche sono soggette.
Una completa valutazione del rischio potrebbe, inoltre, aiutare le banche a indirizzare in
maniera più adeguata le opportune azioni di hedging o di trasferimento dei rischi al mercato.
Particolarmente rilevanti sono gli stress test per il rischio di liquidità perché, come la crisi ha
insegnato, le valutazioni prospettiche della situazioni di liquidità si sono rilevate
eccessivamente ottimistiche e per la natura sistemica di tale rischio.
121
4.5.3 Terzo pilastro
Le revisioni apportate alla disciplina di mercato si pongono l’obiettivo di migliorare la
capacità di investitori e, più in generale, di terzi soggetti di analizzare e misurare il rischio
collegato a esposizioni derivanti da cartolarizzazione così come il potenziale rischio di
concentrazione che riguarda sia il banking sia il trading book.
Basilea 2 prevede pochi requisiti specifici dato che il Comitato di Basilea ritiene che lasciare
libertà interpretativa garantisca un livello migliore di disclosure. La flessibilità, a volte, però
ha compromesso la comparabilità tra banche per cui sono stati resi più espliciti alcuni requisiti
riguardanti le cartolarizzazione (Tabella 9, BCBS, 2009a) che, tra l’altro, ora prevede la
separazione tra banking book e trading book. In sintesi il nuovo terzo pilastro per le
operazioni di cartolarizzazione impone un rafforzamento della disclosure per quanto riguarda
le esposizioni derivanti da cartolarizzazione, i veicoli fuori bilancio collegati all’originator, la
metodologia che la banca utilizza per valutare il rischio di credito per esposizioni derivanti da
programmi ABCP, una disclosure differenziata e più onerosa per i prodotti di finanza
strutturata (CDO di ABS) ecc.
A conclusione del paragrafo dedicato agli aggiornamenti apportati alla disciplina sui
coefficienti patrimoniali si vuole rimarcare la necessità di un ripensamento delle regole di
Basilea 2 alla luce della profondità e ampiezza della crisi che ha scosso i mercati a partire
dalla seconda metà del 2007. I rafforzamenti al trattamento regolamentare delle
cartolarizzazioni che coinvolgono i tre pilastri su cui Basilea 2 si fonda erano, infatti,
indispensabili per aggiornare la disciplina alle recenti vicende nonché ampiamente caldeggiati
da più fronti. Tuttavia essi sono stati oggetto di critiche provenienti soprattutto dagli operatori
bancari.
Una prima critica riguarda l’utilizzo dei rating esterni, di cui il Comitato di Basilea ne
riconosce il contributo al progressivo abbandono dell’analisi interna dei rischi da parte delle
banche, tuttavia il Nuovo Accordo continua nuovamente a basare estensivamente il calcolo
del regulatory capital a fronte di esposizioni derivanti da cartolarizzazione sulle valutazioni
esterne. In riferimento a questo primo punto c’è da considerare i seguenti aspetti:
- i rating rappresentano una misura del merito creditizio standardizzata, di facile lettura
e indipendente in quanto formulata da un terzo soggetto;
- i rating erano ampiamente utilizzati dagli operatori nei loro sistemi interni di risk
management già prima dell’implementazione di Basilea 2 e, in questo senso, il Nuovo
Accordo si è adattato alle procedure in uso dal mercato;
- l’eliminazione dei rating dal Nuovo Accordo nel breve-medio termine comporterebbe
o il ritorno al precedente Accordo Basilea 1 e quindi la perdita della maggiore
sensibilità al rischio del sistema di ponderazioni o, alternativamente, la legittimazione
dell’utilizzo delle stime interne di rischio (PD e LGD) per le esposizioni da
cartolarizzazione per cui si applica l’approccio IRB. La seconda prospettiva risulta
impraticabile a causa della scarsità di serie storiche significative e della mancanza di
dati circa la correlazione tra asset e, non da ultimo, la crisi ha ampiamente mostrato il
malfunzionamento dei modelli interni alla banca per la valutazione del rischio di
posizioni cartolarizzate.
Per le suddette ragioni l’eliminazione dei rating dal quadro regolamentare potrebbe aumentare
i problemi connessi alla determinazione del regulatory capital piuttosto che risolverli. Inoltre,
122
allo scopo di assicurare l’indipendenza delle agenzie di rating e minimizzare l’insorgenza di
conflitti di interesse, il Comitato di Basilea ha espresso la propria volontà di integrare i criteri
di idoneità delle ECAI con i dettami contenuti nel “Code of Conduct Fundamentals for Credit
Rating Agencies” dell’International Organization of Securities Commissions153 (IOSCO). Lo
IOSCO ha riunito nel presente documento principi guida che riguardano l’integrità e la qualità
del processo di attribuzione del rating, l’indipendenza delle agenzie di rating, l’evasione dei
conflitti di interesse e la trasparenza delle informazioni da comunicare al pubblico.
Oggetto di disappunto è stato anche il nuovo impianto di coefficienti di ponderazione
specifici per le resecuritisation. Il mercato degli strumenti repackaging è stato duramente
colpito dalla crisi finanziaria e la fiducia degli investitori gravemente compromessa; il quadro
rende difficile prospettare un futuro per questo tipo di prodotti e i nuovi fattori di
ponderazione che conducono a un maggiore assorbimento patrimoniale non aiutano di certo la
ripresa del settore e potrebbero essere applicati alle sole esposizioni già esistenti. Inoltre, la
decisione di incrementare le ponderazioni in risposta a uno straordinario evento di turbolenza
potrebbe essere controproducente nel lungo periodo perché, in questo modo, si incorpora nel
sistema inefficienze nell’allocazione del capitale. Secondariamente il maggior assorbimento
patrimoniale dovuto alle accresciute ponderazioni per i prodotti di finanza strutturata potrebbe
essere amplificato dall’introduzione delle nuove metodologie di attribuzione dei rating
orientate alla prudenza154 sviluppate dalle stesse agenzie di rating.
Sebbene fosse necessario incentivare una corretta valutazione interna dei rischi connessi alle
esposizioni da cartolarizzazione la disposizione di dedurre l’esposizione stessa dal patrimonio
di vigilanza quando la due diligence non rispetta i requisiti fissati dal Comitato di Basilea
appare troppo severa, soprattutto se ciò non dipende da fattori controllabili dalla banca. La
nuova regola potrebbe portare le banche a non esporsi a strumenti cartolarizzati per evitare un
trattamento così rigido. È, quindi, in pericolo la ripresa del mercato delle cartolarizzazioni in
cui le banche erano uno dei maggiori investitori in ABS.
La crisi ha palesato evidenti carenze di valutazione dei rischi, inoltre i rischi che hanno
prodotto ingenti perdite sono proprio quelli non considerati esplicitamente dallo schema dei
requisiti patrimoniali minimi; sono perciò ben accetti i rafforzamenti al secondo pilastro.
Normalmente è il primo pilastro che attira l’attenzione delle banche vigilate perché impatta
direttamente sui capital charge è necessario, invece, che anche il secondo pilastro sia
considerato ugualmente importante e che la funzione di risk management sia considerata uno
strumento quotidiano necessario per assumere decisioni consapevoli e informate.
Il Comitato di Basilea consapevole delle ampie criticità emerse in relazione al mercato della
cartolarizzazione ha comunicato che sta conducendo una revisione più radicale dello schema
regolamentare per le esposizioni da securitisation che potrebbe condurre a una ricalibrazione
153
Lo IOSCO è un’organizzazione internazionale i cui obiettivi principali sono: la tutela degli investitori, la
garanzia di mercati equi, efficienti e trasparenti, la preclusione di rischi sistemici, la collaborazione
internazionale, lo scambio di informazioni sulle rispettive esperienze e l’elaborazione di standard omogenei per
la sorveglianza dei mercati (www.iosco.org).
154
FitchRatings ha studiato l’impatto delle revisioni ai criteri di attribuzione dei rating per i prodotti strutturati
sui capital charge e ha sottolineato la presenza di un effetto di double-counting sul requisito patrimoniale. I
maggiori coefficienti di ponderazione fissati da Basilea 2 abbinati a una metodologia di attribuzione dei rating ai
CDO di ABS più rigorosa e improntata alla prudenza producono un capital charge ampiamente superiore al
capital charge calcolato per il portafoglio sottostante di tranche di ABS. La disparità di trattamento potrebbe far
insorgere nuove forme di arbitraggio regolamentare data la convenienza a detenere in bilancio tranche di ABS
piuttosto che esporsi ai CDO di ABS emessi a seguito di una ricartolarizzazione delle medesime tranche di ABS
(FitchRatings, 2009c).
123
dei capital charge derivanti dall’applicazione della Supervisory Formula e del metodo RBA
nonché a un ripensamento sulla priorità di applicazione del metodo RBA quando un rating
esterno esiste.
Ad oggi rimangono comunque alcune preoccupazioni derivanti da pericoli ancora esistenti di
arbitraggio regolamentare creati da disomogeneità di trattamento da nazione a nazione. Si
pensi infatti che nell’Unione Europea molto diversa è stata, ad esempio, l’interpretazione da
parte delle Autorità nazionali delle regole comunitarie sul trasferimento del rischio nelle
operazioni di cartolarizzazione. Dal momento che l’attuazione delle direttive è soggetta alla
discrezionalità delle Autorità di Vigilanza nazionali gli squilibri che inevitabilmente si creano
possono avere ricadute negative come il fenomeno del forum shopping cioè la tendenza degli
operatori finanziari a scegliere l’ambiente che meglio si presta allo svolgimento di
determinate operazioni finanziarie. È opportuno invece che l’applicazione di Basilea 2 sia il
più possibile estesa nel maggior numero di paesi possibili, soprattutto per garantire la stabilità
sistemica, e uniforme ossia che l’implementazione delle norme avvenga senza grosse
difformità per evitare nuove forme di arbitraggio regolamentare.
124
PARTE 2
IL CASO ITALIANO
125
126
5. Le operazioni di cartolarizzazione in Italia
5.1 Introduzione
A partire dall’introduzione della Legge n. 130 del 30 Aprile 1999, la cartolarizzazione in
Italia si è diffusa rapidamente tant’è che oggi il mercato italiano della securitisation è uno dei
più sviluppati in Europa insieme a quello inglese e spagnolo. Il presente capitolo sarà pertanto
dedicato all’analisi del mercato della securitisation italiano nel periodo compreso nel 19992009. L’analisi evidenzierà il percorso di sviluppo seguito dal fenomeno della
cartolarizzazione nel nostro paese sottolineandone le caratteristiche peculiari. Si parlerà,
inoltre, della legislazione italiana in tema di cartolarizzazione (Legge n. 130/1999) la quale ha
colmato la mancanza di una disciplina ad hoc sul tema della cartolarizzazione permettendo,
da un lato, il ricorso alla tecnica della securitisation da parte degli operatori nazionali e,
dall’altro, potenziando il mercato italiano. Infine, sarà dedicato spazio all’applicazione di
Basilea 2 in Italia sottolineando le modifiche intervenute nella regolamentazione
internazionale al fine di considerare l’evoluzione nelle metodologie di gestione dei rischi da
parte degli intermediari nonché dei nuovi indirizzi e criteri che informano l’attività di
supervisione.
5.2 Il mercato italiano della cartolarizzazione
L’Italia è oggi uno tra i più importanti mercati europei della cartolarizzazione con volumi
complessivi inferiori solo a quelli del Regno Unito. Nel presente paragrafo si procederà,
quindi, all’analisi del mercato italiano della cartolarizzazione nel periodo compreso tra il 1999
e il 2009, verrà fornito un confronto tra l’Italia e i principali mercati europei e verranno
proposte ipotesi di evoluzione del settore.
In Italia si è dovuto attendere la Legge n. 130 del 30 Aprile 1999 "Disposizioni sulla
cartolarizzazione dei crediti" affinché fosse possibile articolare un’operazione di
cartolarizzazione integralmente nel nostro paese e, per convenzione, viene fatta risalire a tale
anno la nascita del mercato della securitisation. Tuttavia, nel periodo antecedente
l’emanazione della legge in tema di disposizioni sulla cartolarizzazione dei crediti furono
concluse una serie di operazioni di cartolarizzazione strutturate, in tutto o in parte, all’estero
ad opera di soggetti italiani. Inoltre, l’art. 13 della Legge n. 448/1998 aveva introdotto
l’istituto della cartolarizzazione disciplinando la cessione e cartolarizzazione dei crediti INPS.
Nello specifico le operazioni di cartolarizzazione consentite riguardavano i crediti contributivi
vantati dall’INPS (inclusi interessi, sanzioni e somme aggiuntive) già maturati o che
sarebbero maturati entro il 31 Dicembre 2005 ceduti a titolo oneroso e in massa alla società
veicolo (nella forma di Società per Azioni) la quale, a sua volta, finanzia l’acquisto mediante
emissione di titoli o contrazione di prestiti che potranno beneficiare, in tutto o in parte, della
garanzia dello Stato.
Analizzando i volumi di emissione (vd. Figura 5.1), che possono essere considerati la più
importante e significativa misura dell’attività di cartolarizzazione in un certo mercato, è
possibile notare come a partire dal 2001 essi si assestino su valori piuttosto importanti. Infatti,
127
già alla fine del 2001, il mercato italiano era uno dei più attivi in Europa e si collocava al
secondo posto dopo il Regno Unito. Negli anni successivi i volumi di emissione non sono mai
scesi al di sotto la soglia dei 30 miliardi di Euro nemmeno nell’anno 2007 caratterizzato dallo
scoppio della crisi finanziaria. Le emissioni di titoli obbligazionari a fronte di operazioni di
cartolarizzazione si sono leggermente ridotte nel 2006 rispetto all’anno precedente (-12,5%)
principalmente a causa dei minori volumi collocati da enti del settore pubblico. Tale
andamento è ravvisabile anche dall’analisi dei volumi medi per emissione: aumento costante
fino al 2005 e calo nel 2006 (vd. Tabella 5.1, quarta colonna). La dinamica dei volumi di
emissione è stata fortemente influenzata dall’andamento delle cartolarizzazioni pubbliche;
infatti scorporando le operazioni di securitisation originate da soggetti pubblici il
controvalore medio per operazione risulta crescente in tutti gli anni del periodo 1999-2006
(vd. Tabella 5.1, quinta colonna).
Figura 5.1: Volumi di emissioni 1999-2009 (milioni di euro)
120.000
103.915
100.000
75.907
€ milioni
80.000
60.000
40.000
20.000
33.967 30.606 30.141
35.028 40.804 35.707 34.060
8.521 12.086
1999
2000
2001
2002
2003
2004
2005
2006
2007
2008
2009
anni
Volumi emessi
Fonte: elaborazione propria su dati securitisation.it (2010)
Anche il mercato italiano della securitisation, al pari di quello europeo e statunitense,
nell’anno 2007 dopo una brillante attività di cartolarizzazione nel primo semestre ha segnato
una battuta d’arresto sia in termini di numero di operazioni che in termini di emissioni. Le
generali turbolenze sui mercati iniziate nella seconda metà del 2007 hanno causato un calo
della domanda di strumenti asset-backed e spinto verso livelli record gli spread sui titoli
all’emissione esercitando, in tal modo, un’azione frenante anche sul mercato italiano della
cartolarizzazione che ha registrato volumi di emissione pari a 34,06 miliardi di Euro (-4,6%
rispetto all’anno precedente). Le difficoltà a collocare sul mercato i titoli emessi dalle società
veicolo hanno avuto come conseguenza diretta l’aumento della quota di prestiti ceduti
direttamente da banche ad altri intermediari non bancari (18%, contro il 12% nel 2006) ossia
una tipologia di operazioni che avviene sulla base di accordi bilaterali tra cedente e
cessionario e non ha come fine ultimo l’emissione sui mercati di titoli aventi come attività
sottostante i crediti ceduti. Sebbene l’Italia sembri essere estranea al fenomeno dei mutui
128
subprime le generali condizioni di mercato hanno comunque coinvolto il settore della
cartolarizzazione nazionale causando il rinvio di molte operazioni programmate per il secondo
semestre del 2007.
Tabella 5.1: Numero di operazioni e volumi di emissioni (milioni di Euro)
Volumi emessi
Numero di
Volume medio
Volume medio
operazioni
per emissione
per emissionea
1999
8.521,00
6
1.420,17
774,20
2000
12.086,00
25
483,44
447,33
2001
33.967,00
59
575,71
481,04
2002
30.606,00
41
746,49
559,95
2003
30.141,00
40
753,53
537,50
2004
35.028,00
39
898,15
739,90
2005
40.804,00
40
1.020,10
920,37
2006
35.707,00
39
915,56
978,50
2007
34.060,00
30
1.135,33
1.251,08
2008
103.915,00
51
2.037,55
2.037,55
2009
75.907,00
49
1.549,12
1.549,12
a
volume medio per emissione calcolato scorporando le cartolarizzazioni avviate da soggetti pubblici.
Fonte: elaborazione propria su dati securitisation.it (2010)
Il record di emissioni (103 miliardi di Euro) è stato registrato nel 2008; tuttavia si tratta di un
anno particolare; infatti, a causa del sostanziale blocco del mercato delle cartolarizzazioni, le
banche italiane, al pari di quelle europee, hanno fatto ampio uso delle cosiddette
autocartolarizzazioni allo scopo di accedere alle operazioni di rifinanziamento presso
l’Eurosistema per ottenere liquidità. In merito si segnala l’operazione di cartolarizzazione
senza precedenti per il mercato italiano lanciata da UniCredit nel 2008. Si tratta della
cartolarizzazione di un portafoglio di mutui residenziali dal valore di 23 miliardi di Euro
definita, dal portavoce della banca, prudenziale al fine di crearsi una “scorta” di titoli
utilizzabili come collaterale nelle operazioni di rifinanziamento della Banca Centrale Europea
(Bufacchi, 2008). Le emissioni nell’anno 2009 subiscono un calo rispetto all’anno precedente
anche se, tuttavia, si collocano su livelli molto elevati se comparati con quelli del periodo
2001-2007. La pratica delle autocartolarizzazioni è proseguita anche nel corso del 2009, a
titolo di esempio si ricorda l’emissione di obbligazioni del valore di 13 miliardi di Euro da
parte di Intesa San Paolo e l’operazione di cartolarizzazione ad opera della Banca Popolare
dell’Emilia Romagna di un portafoglio di mutui fondiari residenziali in bonis di 1,9 miliardi
di Euro a fronte della quale i titoli emessi sono stati interamente sottoscritti dalla banca stessa.
I titoli ABS sottoscritti dalle stesse banche originator potranno, in tempi migliori, essere
ceduti a terzi investitori.
A partire dall’introduzione della Legge n. 130/1999 il numero di operazioni concluse ogni
anno subisce un’accelerazione fortissima raggiungendo il picco massimo di 59 operazioni di
cartolarizzazione concluse nell’anno 2001 (vd. Tabella 5.2). Negli anni successivi il numero
di operazioni si riduce con il contestuale incremento dei volumi medi per operazione. Nel
129
biennio 2008-2009 il numero di operazioni di securitisation torna a crescere, sorpassando la
soglia delle 50 operazioni all’anno, ma, come per i volumi di emissione, l’aumento è dovuto
alle autocartolarizzazioni.
Tabella 5.2: Numero di operazioni per classi di attivo 1999-2009
1999
2000
2001
2002
2003
2004
2005
2006
2007
2008
2009
3
6
16
3
3
0
1
2
1
2
1
1
3
16
12
15
10
11
14
13
24
31
CDO/CBO
1
5
3
2
0
2
0
1
3
2
2
Public
1
1
4
4
8
8
13
7
5
0
0
Leasing
0
5
7
12
6
7
8
4
2
10
6
CMBS/Loan
0
1
4
2
2
3
3
1
0
1
2
0
3
7
4
4
6
2
6
6
7
5
Covered Bond
0
0
0
0
0
0
2
2
0
3
4
Altro
0
1
2
2
2
3
0
2
0
2
2
TOTALE
6
25
59
41
40
39
40
39
30
51
53
Nonperforming loan
Performing loan
RMBS
Credit Card
Personal Loan
Fonte: securitisation.it (2010)
Al fine di analizzare gli operatori, in qualità di originator, più attivi nel mercato italiano della
cartolarizzazione si è proceduto all’elaborazione dei dati forniti da Securitisation.it 155. A causa
della mancanza di informazioni disaggregate circa i volumi di emissione l’analisi condotta
riguarda la frequenza con cui i soggetti attivi nel mercato della cartolarizzazione hanno fatto
ricorso a questa tecnica (vd. Figura 5.2). Dallo studio condotto risulta evidente la
predominanza di soggetti che fanno parte del settore finanziario con la netta prevalenza delle
banche che hanno realizzato oltre un terzo delle operazioni di securitisation. Nella classifica
degli emittenti abituali (repeat issuer) spicca anche lo Stato mediante le cartolarizzazioni
sponsorizzate dal Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF) di cui si parlerà più avanti
nel presente paragrafo. Solo una piccola parte del settore industriale ha sperimentato nel
periodo in esame la tecnica della cartolarizzazione ad esempio Fiat ha più volte cartolarizzato
crediti su finanziamenti erogati per la vendita di automobili, Telecom Italia ha cartolarizzato
crediti futuri derivanti da bollette telefoniche e Cremonini SpA, azienda attiva nel settore
alimentare, ha cartolarizzato un portafoglio di crediti commerciali. In particolare hanno fatto
ampio ricorso alla tecnica della securitisation soggetti di medio-grande dimensione, sia in
assoluto sia relativamente al proprio segmento di attività, poiché riescono a raggiungere
portafogli di asset dotati di una certa massa critica e ad ammortizzare i rilevanti costi iniziali
dell’operazione. Per ovviare a questo problema le banche di Credito Cooperativo (Bcc) hanno
con frequenza originato operazioni di cartolarizzazione in pool al fine di ottenere significative
economie di costo.
155
Lista delle operazioni di cartolarizzazione effettuate dal luglio 1999 a oggi, dopo l'entrata in vigore della
Legge 130/1999.
130
Figura 5.2: Lista dei principali originator attivi nel mercato della cartolarizzazione
Banca Monte dei Paschi di Siena
Gruppo Unicredit
Banca Nazionale del Lavoro
Banca Italease
Ministero dell'Economia e delle Finanze
Locafit Spa
FinecoBank
Cassa Depositi e Prestiti Spa
Meliorbanca
INPS
Finconsumo Banca
Banca Agrileasing
0
2
4
6
8
10
12
14
Numero operazioni di cartolarizzazione
Fonte: elaborazione propria su dati securitisation.it (1999-2009)
Analizzando le classi di attivo oggetto di cartolarizzazione nel periodo in esame si possono
rilevare alcune peculiarità del mercato italiano (vd. Tabella 5.2, 5.3 e 5.4).
I primi anni di attività del mercato sono stati dominati da operazioni che hanno avuto ad
oggetto crediti in sofferenza (nonperforming loan) iscritti nei bilanci delle banche. I crediti
dubbi hanno rappresentato negli anni 1999-2001 l’asset type più cartolarizzato raggiungendo
l’apice nel 2001 quando 16 operazioni di cartolarizzazione su 59 hanno avuto ad oggetto
nonperforming loan (concentrate nella prima metà dell’anno in connessione con la scadenza
del termine per beneficiare delle agevolazioni fiscali). Il più delle volte le operazioni non
hanno comportato un integrale trasferimento del rischio, avendo la banca cedente garantito il
buon esito dei crediti mediante la sottoscrizione di titoli subordinati emessi dalle società per la
cartolarizzazione (Banca d’Italia, anni vari). La cartolarizzazione dei cosiddetti bad loan è un
fenomeno peculiare del mercato italiano e inglese poiché nei restanti paesi europei, all’inizio
degli anni Duemila, le cartolarizzazioni realizzate riguardavano esclusivamente prestiti di
qualità prime. In Italia la cartolarizzazione dei crediti in sofferenza è stata legittimata dalla
Legge n. 130/1999 che, non solo non impone limiti alla qualità degli attivi collateralizzabili,
ma introduce un vantaggio di tipo fiscale per le securitisation di crediti nonperforming al fine
di migliorare la rappresentazione nel bilancio della situazione degli intermediari creditizi. Il
venir meno del beneficio fiscale (nel maggio 2001) e l’evoluzione delle tecniche di
securitisation che hanno coinvolto una gamma sempre più vasta di attivi collateralizzabili
hanno causato un continuo declino delle cartolarizzazioni di crediti nonperforming (nel 2009
solo 1 cartolarizzazione su 53 ha riguardato crediti in sofferenza).
131
Tabella 5.3: Volumi di emissioni per classi di attivo 1999-2009 (milioni di Euro)
1999
2000
2001
2002
2003
2004
275
1.510
8.085
6.578
8.871
7.417 9.850,0 16.946 22.267 75.735 40.809
Nonperforming Loan 3.235
2.959
7.142
1.301
978
CDO/CBO
360
2.514
835
2.682
4.650
1.350
7.510
971
Performing Loan
RMBS
Public
Leasing
CMBS/Loan
Credit Card
Personal Loan
88,0
TOTALE
2006
2007
2008
2009
184
486
44
7
192
3.216
2.108
1.080
9.888 12.941 12.091 15.954,0 4.395
2.783
4.303
6.925
3.225
8.766 7.034,4
2.104 12.935
4.724
1.000
1.395
1.411
1.297
1.445
1.756
3.399
1.606
2.129
2.556 1.823,0
3.320
4.000,0
1.365
Covered Bond
Altro
2005
25
1.300
215
699
5.158
2.056,0 1.036
1.388
163
3.381
6.950
6.805
4.000
5.500
7.500
476
480
148
3.202
8.520 12.085 33.969 30.606 30.140 35.028 40.805,4 35.707 34.058 103.915 64.454
Fonte: securitisation.it (2010)
Tabella 5.4: Volumi di emissioni per classi di attivo 1999-2009 (valori %)
1999
2000
2001
2002
2003
2004
2005
2006
2007
2008
2009
Performing Loan
RMBS
3,23% 12,49% 23,80% 21,49% 29,43% 21,17%
Nonperforming Loan 37,97% 24,48% 21,03% 4,25%
3,24%
24,14%
47,46% 65,38% 72,88% 63,31%
0,22%
0,52%
1,43%
0,04%
0,01%
0,54%
9,44%
2,03%
1,68%
CDO/CBO
4,23% 20,80% 2,46%
Public
54,58% 11,17% 22,11% 32,31% 42,94% 34,52%
39,10%
12,31% 8,17%
Leasing
8,03% 12,67% 22,63% 10,70% 25,03%
17,24%
14,45% 6,18%
12,45%
7,33%
CMBS/Loan
8,27%
0,16%
5,25%
6,69%
10,56%
4,11%
8,76%
3,90%
4,61%
4,30%
4,13%
5,04%
2,90%
14,53% 10,01% 5,25%
7,06%
7,30%
4,47%
9,30%
9,80%
11,20%
5,29%
11,64%
1,33%
0,46%
0,23%
100% 100%
100%
100%
Credit Card
Personal
Covered Bond
Altro
TOTALE
0,21%
3,83%
0,70%
2,32%
3,96%
100% 100% 100% 100% 100% 100%
100%
9,40%
Fonte: elaborazione propria su dati securitisation.it (2010)
Un’ulteriore peculiarità dello sviluppo del mercato italiano è il ruolo chiave svolto dalle
operazioni di cartolarizzazione sponsorizzate dal Ministero dell’Economia e delle Finanze
(MEF). I public asset fino al 2005 hanno rappresentato, assieme ai crediti in sofferenza, la
classe di attivo più cartolarizzata configurando lo Stato italiano come uno dei principali
emittenti abituali. Nello specifico le operazioni di securitisation sponsorizzate dal MEF sono
organizzate in tre programmi distinti in base alla natura delle attività cedute:
- programmi di cartolarizzazione del patrimonio immobiliare pubblico consentiti dal
Decreto Legge n. 351/2001. I cespiti immobiliari sono trasferiti a un soggetto terzo
132
(Società Cartolarizzazione Immobili Pubblici, SCIP) il quale corrisponde il prezzo
pattuito mediante finanziamenti bancari o emissione di titoli obbligazionari. Il
rimborso dei titoli emessi o dei finanziamenti contratti è garantito dai proventi
realizzati dalla successiva vendita, a mezzo di aste, dei cespiti oggetto di
cartolarizzazione. Le operazioni fino ad oggi effettuate prendono il nome di SCIP 1 e
SCIP 2;
- programmi di cartolarizzazione dei crediti delle Pubbliche Amministrazioni. Si tratta
di operazioni di cartolarizzazione dei crediti dell’INPDAP e delle securitisation volte
a finanziare progetti di ricerca del Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca e del
Ministero delle Attività Produttive;
- programmi di cartolarizzazione di crediti contributivi dell’INPS. La società veicolo
prende il nome di Società Cartolarizzazione Crediti INPS (SCCI). Si tratta di
operazioni comprese sotto i programmi denominati da INPS1 a INPS6.
Inoltre, l’art. 22 del Decreto Legge n. 350/2001 aveva consentito la cartolarizzazione dei
proventi del gioco del Lotto e del Superenalotto. Le cartolarizzazioni pubbliche avevano
ricevuto una buona accoglienza da parte degli investitori i quali consideravano i titoli emessi
un investimento alternativo ai titoli di Stato. Tuttavia, a partire dal 2006 le securitisation di
public asset sono diminuite sia in termini di volumi sia di numero di operazioni a causa dei
criteri più stringenti fissati dall’Eurostat in merito alla contabilizzazione di tali operazioni.
Già nel Giugno 2002 l’Eurostat aveva chiarito i criteri di contabilizzazione delle
cartolarizzazioni realizzate dalle Amministrazioni Pubbliche ai fini del calcolo
dell’indebitamento netto. Nello specifico, affinché l’operazione potesse essere contabilizzata
come cessione di attività e non come nuovo indebitamento dovevano essere rispettati una
serie di requisiti:
- le attività cedute dovevano essere presenti nel bilancio dell’ente pubblico prima
dell’avvio dell’operazione;
- i rischi associati al possesso delle attività cedute dovevano essere trasferiti
all’acquirente.
Nel 2007 l’Eurostat ha disposto il divieto di registrazione delle cessioni di crediti tributari,
previdenziali e le altre operazioni contenti clausole che riducono il trasferimento del rischio in
capo all’acquirente come vendite effettive. Dal 2007, pertanto, a seguito dei suddetti
interventi non sono più state realizzate operazioni della specie. Tuttavia, le Regioni, invece,
continuano a essere player attivi nell’ambito della cartolarizzazione dei crediti sanitari
(Nobili, 2007). La quasi totalità delle operazioni di cartolarizzazione sponsorizzate dal MEF
hanno avuto come obiettivo la riduzione dell’indebitamento e la privatizzazione di attivi
gestiti dallo Stato in maniera inefficiente.
Il successo delle cartolarizzazioni sponsorizzate dal Governo Centrale e dei nonperfoming
asset ha progressivamente avvicinato il settore bancario alla tecnica della cartolarizzazione. A
seguito di una maggiore confidenza con le operazioni di securitisation tale tecnica è stata
gradualmente adottata anche dagli intermediari bancari con l’obiettivo di conseguire una
significativa diminuzione del costo della raccolta e una gestione più efficiente del matching
tra le scadenze dell’attivo e del passivo. Le cartolarizzazioni hanno via via interessato una
vasta gamma di attivi e, in merito, è possibile formulare alcune considerazioni. Il comparto
più interessato dalla cartolarizzazione è quello dei mutui (RMBS e CMBS) i quali nel periodo
analizzato non rappresentano mai meno del 20% del sottostante delle emissioni complessive
per ciascun anno considerato. Nello specifico, in concomitanza con la perdita di importanza
133
delle cartolarizzazioni pubbliche, i mutui ipotecari concessi per l’acquisto di un’abitazione
costituiscono la principale asset class oggetto di cartolarizzazione. Il segmento dei mutui
residenziali ha costituito, soprattutto tra il 2006 e il 2009, il motore del mercato della
securitisation nazionale coprendo da solo nel 2008 il 73% del mercato della cartolarizzazione
nel suo complesso. Tale andamento è spiegabile dalla continua crescita del mercato dei mutui
residenziali e dalla continua espansione della gamma di mutui offerti dalle banche alle
famiglie italiane. Le RMBS rappresentano, quindi, oggi una fonte di funding ricorrente, grazie
al buon grado di standardizzazione raggiunto e all’elevata confidenza nei confronti del
mercato da parte degli originator. Una quota pressoché rilevante di cartolarizzazioni ha avuto
ad oggetto i leasing; la cartolarizzazione dei crediti di leasing è una peculiarità italiana dal
momento che negli altri paesi europei tale operazione trova scarsa diffusione. Il settore
italiano del leasing è stato interessato da una crescita rapida e generalmente più elevata
rispetto ai livelli registrati in Europa e, in termini di outstanding, si posiziona al terzo posto in
Europa dopo Germania e Regno Unito tra il 2003 e il 2005 e conquista il secondo posto nel
biennio 2006-2008. È evidente che ammontari di oustanding particolarmente elevati aprono la
strada a maggiori opportunità di cartolarizzazione dei crediti derivanti da leasing e, non a
caso, proprio il settore del leasing ha contribuito favorevolmente all’andamento del mercato
italiano della securitisation, anche se negli ultimi anni ha mostrato progressivi segni di
rallentamento (vd. Tabella 5.4). Il numero di operazioni complessivamente realizzate dal 1999
ad oggi è pari a 67 con un controvalore che ammonta a 56,145 miliardi di Euro. L’importanza
del comparto del leasing per il mercato italiano della cartolarizzazione è testimoniato anche
dalla presenza nella lista dei principali reapet issuer di operatori del settore (Banca Italease,
Locafit SpA, Banca Agrileasing) (vd. Figura 5.2). Alcune operazioni di cartolarizzazione di
crediti derivanti da leasing sono state realizzate grazie alla partecipazione della Banca
Europea per gli Investimenti (BEI) e il Fondo Europeo per gli Investimenti (FEI) 156. Nello
specifico, la BEI si impegna a sottoscrivere i titoli emessi con rating AAA mentre la FEI
interviene rilasciando una garanzia (dietro il pagamento di una commissione) a favore dei
sottoscrittori dei titoli emessi per il pagamento degli interessi e del capitale (grazie al rating
AAA attribuito alla FEI il suo intervento nelle operazioni di cartolarizzazione consente
all’originator di abbassare notevolmente il costo della raccolta). L’intervento delle due
istituzioni è finalizzato all’incremento delle risorse finanziarie disponibili per le PMI per la
realizzazione di determinati progetti. Tra gli attivi oggetto di cartolarizzazione figurano anche
i crediti al consumo i quali, in pool, sono cartolarizzati da originator nella forma di banche
commerciali o di società finanziarie specializzate. Il credito al consumo offre notevoli
opportunità di cartolarizzazione grazie all’ampia gamma di prodotti utilizzabili come
collateral:
- consumer loan concessi a persone fisiche finalizzati o personali;
- auto loan concessi a persone fisiche per l’acquisto di auto nuove o usate;
- carte di credito revolving.
Nell’esperienza italiana le cartolarizzazioni hanno generalmente riguardato crediti in bonis
relativi a prestiti personali e prestiti finalizzati all’acquisto di beni di consumo; a differenza
156
La Banca Europea per gli Investimenti (BEI) è l'istituto di credito a lungo termine dell'Unione europea.
Concede prestiti al settore pubblico e privato per finanziare progetti d’interesse europeo tra cui il sostegno alle
PMI. Il Fondo europeo per gli investimenti (FEI) è stato istituito per sostenere le PMI alle quali fornisce capitali
di rischio, inoltre, offre garanzie a istituzioni finanziarie (in particolare banche) a copertura dei loro prestiti alle
PMI.
134
del mercato inglese sono sostanzialmente assenti le cartolarizzazioni dei saldi attivi derivanti
dall’utilizzo delle carte di credito.
Di minore importanza per il mercato italiano sono le operazioni di CDO e CBO le quali
rappresentano, nell’arco del periodo di tempo considerato, una quota irrisoria dell’intero
comparto della cartolarizzazione.
Con il Decreto Ministero Economia e Finanze n. 310 del 14 Dicembre 2006 e con le
Disposizioni di vigilanza della Banca d'Italia del 17 Maggio 2007 si è completata la disciplina
italiana delle obbligazioni bancarie garantite (covered bond157, CB). Come mostrato in
Tabella 5.2, il primo programma di emissione di covered bond risale al 2005 ad opera della
Cassa Depositi e Prestiti (CDP) autorizzata dall’art. 5 del Decreto Legge n. 269 del 2003;
tuttavia solo dal 2007 le banche italiane hanno a disposizione questo nuovo strumento di
raccolta. Le obbligazioni bancarie garantite, che hanno già avuto una notevole diffusione in
Europa dalla metà degli anni Novanta, garantiscono un livello di raccolta a medio-lungo
termine a tassi molto convenienti e permettono l’accesso a un nuovo segmento di investitori.
Ad oggi non è possibile formulare giudizi sul mercato dei covered bond il quale è da poco
entrato in funzione tuttavia, l’ampiezza potenziale del mercato italiano e la continua crescita
della domanda da parte di investitori internazionali fanno presagire un futuro prosperoso per
questo nuovo mercato. In un primo momento, comunque, è prevedibile una sorta di
completamento tra opportunità di funding offerta dalla cartolarizzazione e dalle obbligazioni
bancarie garantite.
In corrispondenza dell’espansione degli attivi oggetto di cessione si è assistito a una
significativa evoluzione delle strutture contrattuali utilizzate; in particolare, nel corso degli
anni, si è verificata una crescente segmentazione delle diverse fasi dell’operazione, ciascuna
gestita e presidiata da un soggetto dotato di specifiche competenze (ad esempio le banche
competenti nel recupero crediti hanno esteso la loro attività al servicing e le banche cedenti
hanno istituito apposite unità per l’attuazione dell’operazione). Nonostante la presenza di
questo processo di evoluzione che ha riguardato le strutture di cartolarizzazione le banche
italiane non hanno sperimentato tecniche di securitisation piuttosto “spinte”, infatti le
strutture utilizzate in Italia sono per lo più semplici, di tipo tradizionale e dotate di un buon
grado di trasparenza. La pratica delle autocartolarizzazioni ha accentuato il carattere di
semplicità dal momento che, al venir meno della necessità di far fronte alle diverse esigenze
di una pluralità di investitori, il rischio di credito è stato, di norma, segmentato in due sole
classi: una dotata di rating, destinata all’utilizzo come garanzia, e una equity, priva di rating e
con la funzione di assorbire la prima parte delle eventuali perdite derivanti dai crediti
cartolarizzati. Il mercato italiano presenta anche strutture di cartolarizzazione innovative: le
cartolarizzazioni dei residual e le strutture warehousing.
Le cartolarizzazioni dei residual sono operazioni nelle quali l’asset ceduto è il cash flow
residuale ossia il profitto che verrebbe retrocesso all’originator, sia durante l’operazione sia a
conclusione di essa, dopo aver rimborsato tutti gli ABS. Ad esempio il residual può essere
157
I covered bond (o obbligazioni garantite) sono obbligazioni garantite da un flusso di interessi e rimborsi
relativo ad attività finanziarie (ad esempio prestiti immobiliari, prestiti a imprese, prestiti pubblici ecc.). Sono
simili alle ABS con la differenza che le attività che garantiscono i bond non sono state trasferite a un veicolo ma
rimangono nel bilancio dell'emittente (vi sono tuttavia anche casi in cui i crediti segregati vengono trasferiti al
veicolo SPV – la legge italiana è orientata verso questo modello). Covered bond e cartolarizzazione sono due
fattispecie sostitutive e presentano caratteristiche strutturali molto eterogenee.
135
identificato con l’excess spread e, una volta rimborsati integralmente gli ABS dotati di rating,
da qualsiasi altro flusso residuale prodotto dal portafoglio e/o dalla struttura stessa
dell’operazione (incassi residuali sui crediti in linea capitale e interesse e importo residuo
depositato sul conto di riserva di cassa). L’emissione a fronte della cartolarizzazione del
residual potrà avvenire in misura pari ai cash flow attesi (excess spread, quota capitale e
interesse dei crediti residui e riserva di cassa rimanente dopo il rimborso delle rated tranche).
In Figura 5.3 è presentato un esempio di cartolarizzazione su residual.
Figura 5.3: Struttura di un’operazione su residual
Fonte: Nobili (2007)
Note: Nel riquadro di sinistra è rappresentata un’ipotetica struttura di un’operazione di securitisation. A fronte
della cessione di 100 Euro di mutui residenziali, si è provveduto all’emissione di note dotate di rating (senior
note) per un controvalore pari a 95 Euro; sono state, inoltre, emesse note prive di rating (junior note) per 5 Euro.
L’originator ha erogato un prestito subordinato all’SPV per 5 Euro interamente versato per costituire una riserva
di cassa di pari importo. Nell’esempio considerato il residual verrebbe a configurarsi come la somma dei flussi a
servizio della remunerazione e rimborso delle junior note e del prestito subordinato.
Considerata la rilevanza dell’excess spread in queste operazioni è bene considerare che esso
presenta alcune criticità e nello specifico è influenzato dai seguenti fattori: 1) il livello delle
estinzioni anticipate dei crediti che comportano una riduzione dell’excess spread; 2) i default
o i pagamenti in ritardo sui crediti, anch’essi comportano una riduzione dell’excess spread; 3)
la priorità dei pagamenti; 4) la tipologia di attivi inclusi nel portafoglio cartolarizzato. La
nuova operazione di cartolarizzazione, avente ad oggetto il residual, non dovrebbe avere
alcun impatto sulla cartolarizzazione originaria, in quanto ha ad oggetto il solo flusso di cassa
che sarebbe comunque confluito, in assenza di nuove cartolarizzazioni, all’originator. Gli
obiettivi conseguibili dalla cartolarizzazione, di norma, sono quelli tradizionali ossia la
liberazione di capitale e, in misura limitata, il funding quando la cartolarizzazione è di tipo
tradizionale altrimenti, quando è di tipo sintetica, l’unico obiettivo è la cessione del rischio. In
un contesto in cui Basilea 2 pone dei limiti alle opportunità di arbitraggio e impone agli
originator l’accantonamento di un livello di capitale in funzione dei rischi trattenuti in sede di
136
strutturazione delle operazioni di cartolarizzazione i soggetti vigilati sentiranno sempre più la
necessità di assegnare un rating al residual e di valutarne eventualmente la sua cessione per il
tramite di una nuova operazione di cartolarizzazione.
La struttura warehousing, invece, permette di affrontare i problemi collegati alla mancanza di
portafogli di dimensioni sufficienti tali da assicurare un collocamento efficiente delle ABS o,
ancora, permette l’accesso al mercato delle cartolarizzazioni anche ad originator di piccole
dimensioni (ad esempio banche di piccole dimensioni come Casse di Risparmio, Banche di
Credito Cooperativo, Banche Popolari). In particolare, il warehousing si realizza mediante
l’accumulo dei crediti oggetto della cartolarizzazione e permette all’originator di costruire
progressivamente, in un arco temporale consono alle proprie esigenze (mediamente 2 o 3
anni), un portafoglio di attivi cartolarizzabili avente dimensioni di mercato, in modo da poter
successivamente procedere all’emissione pubblica di ABS con importi consistenti. Tutto ciò è
possibile mediante i seguenti passaggi 158:
- con periodicità regolare, sotto-portafogli di asset presenti nel bilancio dell’originator
sono ceduti a un SPV costituito ai sensi della Legge n. 130/99;
- per finanziare tali acquisti progressivi, l’SPV emette titoli (bridge note) con livelli di
subordinazione differenti non quotati. La tranche equity viene sottoscritta dallo stesso
originator mentre quella dotata di maggiore seniority viene sottoscritta dall’arranger;
- gli incassi in linea capitale provenienti dai sotto-portafogli già ceduti vengono
utilizzati per il riacquisto di nuovi crediti (fase revolving).
Una volta che l’ammontare totale dei sotto-portafogli ceduti nel corso della fase warehousing
ha raggiunto una dimensione ritenuta sufficiente, l’SPV emette titoli ABS articolati in varie
tranche dotate di rating ufficiale destinati al mercato (term out phase). Con i proventi
dell’emissione l’SPV rimborsa le bridge note fino a quel momento emesse e ancora in essere.
I vantaggi della struttura warehousing sono molteplici, soprattutto per l’originator, dal punto
di vista:
- del funding, certo ed efficiente;
- della tempistica in quanto la fase di warehousing permette di scegliere il momento
migliore (in termini di spread) in cui accedere in via definitiva al mercato dei capitali
- dei costi di implementazione della struttura che possono essere maggiormente
dilazionati nel tempo ed avere un’incidenza minore se riferiti ad un’operazione di
ammontare più consistente.
Inoltre, non è da escludere che questo tipo di operazione venga adottata anche da originator di
più grandi dimensioni con lo scopo di avere un flusso continuo di risorse utili allo sviluppo
delle attività senza dover attendere il raggiungimento di una massa di crediti ragionevole per
concludere un’operazione di mercato.
Confrontando il mercato italiano della cartolarizzazione con i principali mercati europei nel
periodo 2001-2009, in termini di volumi emessi, si nota che già alla fine del 2001, dopo solo
due anni dall’entrata in vigore della Legge in materia di cartolarizzazione, il mercato
nazionale occupava il secondo posto (vd. Tabella 5.5). Nel triennio 2003-2005, seppur
crescendo sia in termini dei volumi cartolarizzati sia per numero di operazioni, l’Italia si è
stabilmente assestata al terzo posto, cedendo il secondo posto alla Spagna. Nell’anno 2006
158
La tipologia di struttura warehousing qui esposta è quella maggiormente riscontrata nel panorama italiano;
tuttavia possono esistere ulteriori tipologie. Al fine di approfondire l’argomento si veda Nobili (2007) per una
trattazione di una struttura alternativa e di un esempio pratico di cartolarizzazione warehousing (Sestante
Finance Srl).
137
l’Italia è scesa al quinto posto, sorpassata da Olanda e Germania, a causa dei minori volumi
emessi dalle operazioni di cartolarizzazione pubbliche. I volumi emessi nell’anno successivo
hanno subito un brusco calo in tutti i paesi europei a causa dell’avvio della crisi finanziaria
nel secondo semestre che ha bloccato il mercato della cartolarizzazione sia statunitense sia
europeo. Per l’Italia il 2008 si è rivelato un anno eccezionale anche in ambito europeo infatti,
il livello record di emissioni registrato a livello nazionale ha permesso al nostro paese di
posizionarsi al primo posto tra i paesi dell’Area Euro.
Nel paragrafo 1.9 dedicato all’evoluzione del mercato della cartolarizzazione in Europa si è
evidenziato il rilevante trend di sviluppo nelle emissioni di CDO, sia in termini di numero di
emissioni che di dimensione, soprattutto nell’ultimo decennio. In Italia, invece, non è
rilevabile lo stesso fenomeno, infatti le CDO non hanno avuto un grande successo e le
dimensioni di questo particolare segmento sono trascurabili. Considerando la situazione dal
punto di vista dell’originator il vincolo più importante è legato alla difficoltà di comporre un
collateral dotato di una certa massa critica adatto a originare CDO. Infatti, gli asset
collateralizzabili più diffusi nel nostro paese sono mutui e leasing i quali però si adattano
meglio alle cartolarizzazioni tradizionali (ABS, MBS). Le asset class tipicamente deputate a
originare CDO possiedono, invece, caratteristiche diverse e, se si escludono quelle più
esotiche, sono rappresentate essenzialmente dai bond (investment grade, high yield) e dai
prestiti (in bonis o nonperforming). Dall’esame del mercato obbligazionario italiano
emergono alcune caratteristiche peculiari: 1) la quasi totalità del capitale nominale delle
obbligazioni quotate è riferibile a Titoli di Stato; 2) il comparto dei corporate bond risulta
essere molto concentrato settorialmente (con la predominanza del settore bancario) e piuttosto
concentrato anche dimensionalmente. Tali specificità rendono i corporate bond italiani poco
adatti alle CDO per problemi legati alle limitate potenzialità in termini di diversificazione del
portafoglio (Mazzuca, 2007b). Per quanto riguarda il portafoglio prestiti delle banche
prevalgono i prestiti alle PMI (SME’s loans) che rappresentano una categoria a sé di asset
collateralizzabili (i CDO con sottostante un portafoglio di prestiti alle PMI prendono il nome
di SME CLO). La cartolarizzazione relativa ai prestiti alle PMI costituisce una parte marginale
del mercato italiano159. Tale dato sorprende perché le banche dispongono di un significativo
stock di asset potenzialmente cartolarizzabile, tuttavia il potenziale di questo comparto del
mercato italiano rimane inespresso. Questa situazione è dovuta all’esistenza di una serie di
problemi quali: le difficoltà di valutazione del rischio di credito insito nei prestiti alle PMI,
l’elevata frammentazione del portafoglio bancario composto da un numero consistente di
piccoli prestiti e la forma tecnica dei prestiti (soprattutto aperture di credito in conto corrente)
a volte non adatta ad essere cartolarizzata. Un ulteriore fattore che, probabilmente, ha
esercitato un’azione frenante sulla diffusione dei CDO riguarda l’insufficiente capacità e/o
esperienza delle banche italiane nel settore della finanza strutturata e della cartolarizzazione in
particolare.
159
C’è da sottolineare anche come, a differenza dell’Italia, in quei paesi europei dove è più sviluppato il mercato
dei CLO di PMI (ad esempio Spagna e Germania) il Governo ha giocato un ruolo importante nel sostenimento
del mercato stesso con il preciso obiettivo di accrescere la disponibilità di credito erogato alle PMI locali.
138
Tabella 5.5: Volumi di emissione nei principali paesi europei 2001-2009 (miliardi di Euro e valori %)
2009
a
(Q3)
%
2008
%
2007
%
2006
%
2005
%
2004
%
2003
%
2002
%
2001
%
Belgio
13,6
5,1%
34,9
5,6%
4,0
1,2%
2,3
0,7%
0,5
0,2%
0,95
0,5%
2,48
1,3%
0,32
0,2%
0,45
0,4%
Francia
5,0
1,9%
14,2
2,3%
3,9
1,2%
7,7
2,2%
7,5
2,8%
7,02
3,4%
7,64
4,1%
9,91
7,3%
5,92
4,9%
Germania
23,7
8,9%
50,1
8,1%
18,5
5,6%
37,7
10,9%
15,5
5,9%
6,5
3,1%
7,13
3,8%
8,99
6,7%
4,18
3,5%
Grecia
22,0
8,2%
12,7
2,1%
5,3
1,6%
3,6
1,0%
2,3
0,9%
0,75
0,4%
0,4
0,2%
0,0
0,0%
1,41
1,2%
Italia
51,5
19,3%
82,2
13,3%
26,4
7,9%
30,2
8,7%
32,7
12,4%
33,57
16,1%
33,93
18,2%
30,11
22,3%
34,11
28,5%
Olanda
34,3
12,8%
72,6
11,7%
40,8
12,3%
28,6
8,3%
39,2
14,8%
19,64
9,4%
20,98
11,3%
11,7
8,7%
17,48
14,6%
Spagna
51,3
19,2%
80,7
13,0%
61,1
18,4%
44
12,7%
40,5
15,3%
34,47
16,5%
37,84
20,3%
18,57
13,8%
7,36
6,1%
Regno Unito
65,9
24,7%
271,9
43,9%
172,6
51,9%
192,2
55,5%
126,4
47,8%
105,76
50,7%
76,03
40,8%
55,39
41,0%
48,8
40,8%
TOTALE
267,3 100,0% 619,3
100,0% 332,6 100,0% 346,3 100,0% 264,6 100,0% 208,7
a
i dati del 2009 si riferiscono al periodo gennaio-settembre 2009.
Fonte: elaborazione propria su dati European Securitisation Forum (anni vari)
139
100,0% 186,4 100,0% 135,0 100,0% 119,7 100,0%
Infatti, nonostante le dimensioni ragguardevoli del nostro mercato della cartolarizzazione esso
è pur sempre un mercato in cui lo Stato ha giocato il ruolo principale fino al 2005. Inoltre, gli
istituti di credito non hanno saputo sviluppare adeguatamente i servizi legati all’attività di
arrengement, advisoring e di asset management. Una maggiore esperienza delle banche in
questi settori probabilmente avrebbe accelerato il processo di diffusione delle
cartolarizzazioni più innovative. Infine, anche il contesto legale ha contribuito al mancato
sviluppo di un comparto per i CDO, nel senso che la Legge n. 130/1999, sebbene abbia dato
un impulso molto forte alle cartolarizzazioni tradizionali, non sembra rappresentare il
riferimento normativo ideale per le cartolarizzazioni innovative (CDO e whole business
securitisation soprattutto).
Malgrado le criticità da affrontare per una vera e propria ripresa del mercato delle
cartolarizzazioni italiano siano diverse – la scarsa liquidità delle ABS e la necessità di
ristabilire la fiducia della base di investitori che ha abbandonato il settore - sul medio termine
c’è la speranza che il mercato primario delle cartolarizzazioni si riapra. Si tratta di un auspicio
condiviso anche dal Governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi, il quale riconosce la
necessità di riattivare il mercato italiano delle cartolarizzazioni che, se propriamente
strutturate, restano un canale fondamentale di finanziamento ipotizzando, anche, un intervento
dello Stato a sostegno di queste operazioni. Nel prossimo futuro è ragionevole ipotizzare che
il mercato italiano sia trainato, in termini di volumi, dalle più tradizionali forme di emissione
(ABS e MBS) per le quali vige una migliore conoscenza da parte degli investitori e una
maggiore velocità di strutturazione dell’operazione da parte degli originator. Inoltre, è
plausibile un ampliamento del mercato italiano dei covered bond riducendo quindi il gap che
ci separa dagli altri paesi europei. Data la pubblicità negativa che circonda i prodotti più
complessi, non si prevede nell’immediato una ripresa del mercato delle CDO – in particolare
delle CDO di ABS. Tuttavia, ciò non dovrebbe avere un impatto significativo sui volumi
complessivi italiani dato che, come detto nel corso del paragrafo, in Italia tali strumenti non
hanno conosciuto una grande diffusione. È, invece, possibile prevedere un’estensione delle
operazioni di cartolarizzazione ad altre tipologie di attivo disponibili. Ci si riferisce ai prestiti
personali caratterizzati dalla cessione del quinto dello stipendio e ai prestiti vitalizi ipotecari
(reverse mortgage). I primi sono una forma di finanziamento la cui restituzione avviene
mediante la trattenuta mensile di una quota dello stipendio e sono prodotti ascrivibili al settore
del credito al consumo il quale è cresciuto molto in Italia soprattutto a partire dal 2000 (si
pensi che nel 2008 le consistenze di credito al consumo in Italia hanno raggiunto i 109
miliardi di Euro, quasi il doppio rispetto al 2003). Al suo interno il comparto della cessione
del quinto ha seguito il medesimo trend e nel 2009 sembra aver retto bene all’urto della crisi.
Infatti, in corrispondenza di un razionamento del credito, l’ottenimento di un finanziamento
da parte dei lavoratori diventa più probabile mediante lo strumento della cessione del quinto
in quanto l’operazione è abbastanza sicura per il finanziatore dal momento che è prevista la
sottoscrizione obbligatoria di un’assicurazione rischio vita e/o rischio impiego che garantisce,
in caso di mancato pagamento, la copertura dell’importo ancora dovuto.
Considerando, quindi, la buona qualità del portafoglio crediti derivanti dalla cessione del
quinto e il potenziale di crescita del comparto nei prossimi anni è ragionevole pensare che il
mercato della cartolarizzazione coinvolga anche questa classe di attivi sostenuto anche
dall’opportunità di adoperare strutture warehousing per accumulare un portafoglio creditizio
che possa essere cartolarizzato efficientemente.
140
Ragionamento analogo può essere condotto in riferimento ai reverse mortgage. I prestiti
vitalizi ipotecari sono strumenti finanziari che consentono agli anziani (over 65) proprietari di
un immobile residenziale di convertite parte del valore dell’immobile in contanti (tipicamente
dal 20% al 45% della perizia) senza vendere l’abitazione, continuando quindi a vivere nella
propria casa. Il prestito ottenuto e gli interessi sono rimborsati dal debitore o dagli eredi in
genere con i proventi della vendita della casa (o con altri fondi). Il progressivo
invecchiamento della società (gli over 65 sono il segmento di popolazione con crescita più
sostenuta) e l’elevata quota di anziani proprietari dell’abitazione in cui vivono (quasi 80%)
sono condizioni che fanno presagire un aumento dei soggetti interessati a questo strumento al
fine di assicurarsi un reddito per poter finanziare una serie di progetti o l’assistenza necessaria
o, ancora, aiutare i figli. Anche in questo caso è logico quindi prospettare uno sviluppo di
questo mercato e, in parallelo, un aumento della disponibilità di attivi che possono essere
oggetto di cartolarizzazione.
5.3 Legge n. 130 del 30 Aprile 1999
Lo scopo del presente paragrafo consiste nella presentazione degli aspetti salienti del
principale riferimento normativo italiano in tema di cartolarizzazione. Per tale ragione non
verrà fornito un commento dettagliato dal punto di vista giuridico della Legge n. 130/1999
bensì verranno esposti gli elementi peculiari della Legge facendo leva sui pregi e i difetti della
normativa che hanno determinato la nascita e lo sviluppo del fenomeno della securitisation in
Italia.
La nascita del mercato della cartolarizzazione italiano coincide convenzionalmente con
l’entrata in vigore della Legge n. 130 del 30 Aprile 1999 che regolamenta lo strumento delle
cartolarizzazioni e ne agevola l’utilizzo da parte degli originator nazionali. Rispetto alla
diffusione delle operazioni di securitisation in Europa la definizione di un quadro
regolamentare ad hoc è avvenuta con notevole ritardo 174; ritardo che la Legge n. 130/1999
contribuisce a colmare modernizzando il sistema economico attraverso la modernizzazione
del sistema giuridico di riferimento. La mancanza di una regolamentazione specifica in
materia di securitisation ovviamente ha limitato le potenzialità di questo strumento e la sua
diffusione nonché ha generato incertezze sulla strutturazione dell’operazione e il sostenimento
di costi elevati.
Oltre alla necessità di aggiornare la base normativa e il sistema economico la Legge in
commento si prefigge di raggiungere una serie di finalità, che per la maggior parte attengono
al mondo bancario, quali: il miglioramento dell’efficienza allocativa del sistema finanziario,
la ricomposizione del portafoglio delle banche, la diffusione di istituti di credito specializzati,
l’ampliamento del ventaglio di scelta rischio-rendimento, il miglioramento dei ratio
patrimoniali, la possibilità di disporre di una provvista alternativa e più economica di capitale
proprio e, più in generale, il miglioramento della struttura creditizia del mercato.
174
Il ritardo accumulato dall’Italia è più che ventennale rispetto ai più avanzati sistemi legislativi di common law
e agli altri paesi europei (ad esempio la prima base normativa è stata, in Spagna, la Legge n. 2/81; in Francia la
Legge n. 1201/88 e in Belgio è stato consentito l’ingresso della cartolarizzazione nel 1990) dove la securitisation
è ormai una tecnica consolidata.
141
La Legge sulla cartolarizzazione dei crediti si compone di sette articoli che definiscono la
natura dell’operazione, i soggetti coinvolti, le modalità operative, gli obblighi fiscali e di
bilancio e quelli di vigilanza.
In base alle disposizioni dettate dalla Legge la cartolarizzazione italiana si configura come
un’operazione che prevede la cessione a titolo oneroso di crediti pecuniari, sia esistenti sia
futuri, individuabili in blocco (se si tratta di una pluralità di crediti) ad opera di un originator
(anche non finanziario) ad un’entità esterna che ha natura di intermediario finanziario. L’art.
7, tuttavia, rende applicabili le norme anche ad operazioni di cartolarizzazione che si
realizzano tramite l’erogazione di un finanziamento al soggetto cedente (subpartecipation) o
mediante la cessione di crediti a fondi comuni di investimento. Di conseguenza, sono tre i
modelli di securitisation tipizzati dalla legislazione italiana: la cartolarizzazione mediante
SPV (modello anglosassone), la subpartecipation e la cessione dei crediti a fondi comuni di
investimento (modello franco-spagnolo).
La Legge n. 130/1999 non precisa la possibile natura del soggetto originator rendendo
accessibile, in questo modo, la tecnica della cartolarizzazione a qualunque operatore
interessato; al contrario il legislatore individua i crediti collateralizzabili, che devono essere
pecuniari, esistenti o futuri e individuabili in blocco, se si tratta di una pluralità di crediti. Il
veicolo, che il legislatore chiama “società per la cartolarizzazione dei crediti”, assume natura
di intermediario finanziario, deve essere iscritto all’elenco generale 175 (ex art. 106 del TUB) e
la sua attività viene circoscritta alla realizzazione di una o più cartolarizzazioni assicurando,
in tal modo, la natura di special purpose company.
La Legge in commento è contraddistinta da un carattere derogatorio che si è rilevato
necessario al fine di rimuovere gli impedimenti normativi che per lungo tempo hanno
ostacolato lo sviluppo della securitisation in Italia. I principali limiti alla conclusione delle
operazioni di cartolarizzazione prima della Legge n. 130/1999 erano causati dall’art. 2410
C.C. e dal principio della responsabilità patrimoniale consacrato dall’art. 2740 C.C. che
rendevano impossibile la realizzazione di securitisation interamente organizzate all’interno
del nostro paese. Per questo motivo, la maggior parte delle operazioni concluse prima
dell’entrata in vigore della Legge n. 130/1999 erano attuate grazie all’intervento di uno SPV
estero che curava l’emissione dei titoli ABS. L’art. 2410 C.C. rappresentava il limite formale
e sostanziale alla realizzazione di cartolarizzazioni in quanto rendeva impossibile l’emissione
di obbligazioni oltre il valore del capitale sociale versato ed esistente secondo l’ultimo
bilancio approvato. È evidente che l'art. 2410 C.C. inficiava uno dei benefici dell'operazione quello di smobilizzare i crediti per ottenerne liquidità – dal momento che il veicolo di diritto
italiano, per offrire al pubblico i propri titoli, avrebbe dovuto necessitare di un capitale pari,
almeno, al valore nominale dei titoli stessi 176 in netto contrasto con il connotato di thin
capitalization proprio del veicolo. Il legislatore ha quindi previsto l’inapplicabilità (art. 5,
comma 2) sia dei limiti quantitativi stabiliti per le emissioni obbligazionarie da parte delle
banche sia dei limiti fissati dagli artt. 2410-2420 del C.C. per le imprese di altra natura
175
Il Decreto del Ministero del Tesoro del 4 Aprile 2001 aveva imposto l’obbligo di iscrizione del veicolo
nell’elenco speciale (ex art. 107 del TUB) ma, con decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanze del 17
Febbraio 2009, n. 29, ha esentato le società per la cartolarizzazione dei crediti dall’iscrizione all’elenco speciale
e disposto la cancellazione delle società per la cartolarizzazione dei crediti precedentemente iscritte.
176
È per questo motivo che prima della legge in materia di cartolarizzazione la raccolta di liquidità e l’emissione
di titoli ABS veniva effettuata da uno SPV di diritto estero (diverso dalla società cessionaria dei crediti) che non
risultava soggetto ai vincoli di patrimonializzazione per l’emissione di titoli e poteva anche permettere, in caso di
residenza in paesi a fiscalità privilegiata, vantaggi di tipo fiscale.
142
sancendo l’irrilevanza del rapporto tra indebitamento derivante dall’emissione e il patrimonio
della società veicolo nel caso di operazioni di securitisation. Ai sensi dell’art. 2740 C.C. il
debitore risponde dell’adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri.
Tale norma poneva dei problemi alla segregazione patrimoniale – isolamento del portafoglio
crediti oggetto di cartolarizzazione sia dall’originator sia da altri portafogli cartolarizzati - e
all’esigibilità limitata dei crediti incorporati in titoli – la garanzia dei titoli ABS risiede
esclusivamente sui cash flow derivanti dal portafoglio crediti e non sul patrimonio del veicolo.
La segregazione patrimoniale congiuntamente alla minimizzazione dei rischi di commistione
tra i pool di asset e il patrimonio del veicolo è assicurata nella Legge n. 130/1999 dall’art. 3,
comma 2 – “i crediti relativi a ciascuna operazione costituiscono patrimonio separato a tutti
gli effetti da quello della società e da quello relativo alle altre operazioni. Su ciascun
patrimonio non sono ammesse azioni da parte di creditori diversi dai portatori dei titoli
emessi per finanziare l'acquisto dei crediti stessi” – il quale è posto anche a salvaguardia della
caratteristica di bankruptcy remoteness del veicolo. Al fine, invece, di rendere il portafoglio
cartolarizzato insensibile alle pretese di soggetti diversi dai sottoscrittori dei titoli ABS
interviene l’art. 1, comma 1, lett. b che impone un preciso vincolo di destinazione agli incassi
derivanti dal portafoglio cartolarizzato: “le somme corrisposte dai debitori ceduti sono
destinate in via esclusiva, al soddisfacimento dei diritti incorporati nelle ABS e al pagamento
dei costi dell'operazione”. L’effetto raggiunto è duplice in quanto i creditori ordinari non
possono vantare diritti sul portafoglio ceduto e gli investitori si possono soddisfare
esclusivamente sui flussi di cassa dei crediti ceduti e non anche sul patrimonio del veicolo. La
norma deve essere coordinata con quanto disposto dall’art. 4, comma 2, ai sensi del quale, a
partire dal momento della pubblicazione della notizia dell’avvenuta cessione in Gazzetta
Ufficiale, sui crediti acquistati e sulle somme corrisposte dai debitori originari sono ammesse
azioni soltanto a tutela dei diritti dei sottoscrittori delle ABS. La combinazione delle norme
appena richiamate deroga al principio della responsabilità patrimoniale previsto all’art. 2740
C.C. nel senso della impossibilità che creditori ordinari aggrediscano il patrimonio segregato
a seguito di cartolarizzazione (Rumi, 2001) garantendo, al tempo stesso, l’isolamento delle
attività cartolarizzate e la bankruptcy remotness del veicolo ossia le due caratteristiche
essenziali per il buon esito dell’operazione sia in termini di raggiungimento degli obiettivi
prefissati sia in termini di successo del collocamento dei titoli e protezione degli investitori.
La protezione degli investitori in ABS dipende, non solo dalla caratteristica di società a basso
rischio di insolvenza dell’SPV, ma anche dalla modalità ed efficacia della cessione dei crediti
disciplinata all’art. 4 della Legge in commento. L’efficacia della cessione è strettamente
collegata con il problema dell’opponibilità nei confronti dei debitore ceduti. Tale problema ha
costituito, per lungo tempo, un grave ostacolo alle cartolarizzazioni di portafogli di originator
italiani poiché, a causa del rilevante numero di debitori normalmente ceduti in tali operazioni,
le notificazioni della cessione risultavano estremamente onerose e time consuming. Il
problema è stato superato dalla Legge n. 130/1999 la quale estende la procedura prevista
dall’art. 58 del TUB (commi 2, 3 e 4); di conseguenza la notizia della cessione deve essere
fornita mediante pubblicazione in Gazzetta Ufficiale e, a partire dalla data di pubblicazione, la
cessione è vincolante nei confronti dei debitori ceduti, senza la necessità di una notifica
individuale. Inoltre, con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale tutti i privilegi e le garanzie di
qualsiasi tipo, inerenti i crediti ceduti, si trasferiscono automaticamente al veicolo,
conservando la loro validità e il loro grado, senza bisogno di alcun adempimento aggiuntivo.
Il risultato a cui giunge la disciplina in tema di cartolarizzazione è che l’opponibilità nei
143
confronti dei debitori prescinde sia dalla notifica sia dalla conoscenza che essi possono avere
o non avere avuto della cessione. Infine, i sottoscrittori dei titoli cartolarizzati sono tutelati in
caso di fallimento dei debitori ceduti mediante disposizioni particolarmente vantaggiose: i
pagamenti effettuati dai debitori restano acquisiti a favore degli investitori finali senza
possibilità di revocatoria anche se il cedente era a conoscenza dello stato di insolvenza del
debitore ceduto, dal momento che essi costituiscono patrimonio separato e sono destinati al
soddisfacimento dei portatori dei titoli. In caso di fallimento dell’originator o del veicolo,
invece, la disciplina ha introdotto limiti temporali molto brevi per l’esercizio di azioni
revocatorie favorendo l’isolamento del rischio del portafoglio dei crediti ceduti dal rischio
della banca cedente o del veicolo.
La Legge n. 130/1999 oltre ad essere dotata di natura derogatoria rappresenta anche una
legislazione che lascia ampio spazio di operatività. Infatti, la Legge in merito alla scelta delle
attività da cartolarizzare non pone limiti circa l’esistenza di tali attività - possono essere
esistenti o future177 - e circa la loro qualità – è possibile cartolarizzare sia crediti in bonis sia
nonperforming. Le possibilità di applicazione risultano quindi illimitate anche se circoscritte
all’universo dei crediti pecuniari e limitate in parte dall’esigenza di selezionare assets in grado
di garantire flussi di cassa prevedibili, stabili e quantificabili. Con riferimento alla cessione di
crediti in sofferenza la cartolarizzazione viene interpretata come un nuovo approccio per
affrontare la problematica dei crediti anomali che, alla fine degli anni Novanta, stava
mettendo in pericolo l’efficienza di molti istituti italiani. La nuova normativa promuove
l’utilizzo della securitisation per ristrutturare la gestione dei crediti anomali attraverso un
trattamento contabile e fiscale delle perdite derivanti dalla cessione dei crediti di favore. Nello
specifico l’art. 6, comma 3, prevede per le operazioni effettuate entro due anni dall’entrata in
vigore della Legge stessa che le perdite e gli accantonamenti conseguenti alla cessione di
crediti possano essere registrate in diminuzione delle riserve patrimoniali e incluse
gradualmente nel conto economico della banca ripartendole in cinque anni. Tale disposizione
conduceva a un vantaggio di tipo fiscale poiché, in deroga a quanto era previsto dal T.U. delle
imposte sui redditi, determinava una ripartizione nel tempo anche delle deduzioni fiscali. Le
agevolazioni fiscali conseguibili spiegano il dominio delle operazioni di securitisation di
crediti anomali in Italia nel periodo successivo all’entrata in vigore della Legge.
Il carattere di legislazione altamente flessibile riemerge dalla considerazione che non viene
neppure stabilito il metodo di trasferimento degli attivi ossia se la cessione debba essere pro
soluto o pro solvendo. L'unica condizione necessaria affinché si applichi la disciplina della
cartolarizzazione è che la cessione dei crediti avvenga a titolo oneroso. Tuttavia, affinché
l’originator possa beneficiare del trattamento off-balance sheet dei crediti cartolarizzati è
necessario che la cessione all’SPV avvenga pro soluto; parimenti la natura di true sale si
realizza quando il cedente si spoglia effettivamente del rischio e degli obblighi relativi agli
attivi ceduti ovvero solamente a seguito di un trasferimento pro soluto.
La legislazione in tema di cartolarizzazione è, quindi, caratterizzata da una natura altamente
derogatoria, da elevata flessibilità e lascia ampi margini discrezionali in tema di strutturazione
dell’operazione. Tra i pregi della normativa, oltre ad essere indispensabile per accelerare il
processo di diffusione delle ABS, c’è da menzionare il buon livello di protezione riservato
177
Con il termine crediti futuri si indica i crediti non ancora esistenti generabili dal normale esercizio dell’attività
del cedente e che abbiano una realistica probabilità di manifestazione; in sostanza non sono considerati i crediti
la cui manifestazione dipende dal verificarsi di eventi particolari o improbabili. La possibilità di cartolarizzare
anche i crediti futuri apre la strada alle cartolarizzazioni di tipo revolving.
144
agli investitori raggiunto con il trattamento di favore con riguardo alle norme sulla revocatoria
fallimentare e sull’opponibilità della cessione. Infatti, da un lato, la deroga assoluta per i
pagamenti dei debitori permette agli investitori in ABS di non correre il rischio di dover
restituire le somme già incassate dai debitori ceduti italiani mentre la riduzione dei termini di
revocatoria per gli altri casi testimoniano la volontà del legislatore di garantire investitori e
mercati. Dall’altro lato, la notifica della cessione tramite pubblicazione in Gazzetta Ufficiale
consente di rendere efficace la cessione senza oneri proibitivi. Gli investitori sono tutelati
anche dalla natura di special purpose company riservata all’SPV al quale è imposto il divieto
di intraprendere altre attività estranee alla cartolarizzazione evitando, in questo modo, il
sorgere di debiti legati ad altre attività di natura finanziaria o industriale. Il grado di
protezione degli investitori, infine, è assicurato anche dall’obbligo di rating per le ABS offerte
a investitori non professionali. La scelta di non estendere tale requisito anche alle offerte
rivolte a investitori professionali è giustificata dalle maggiori competenze nell’ambito di
valutazione degli investimenti di questi operatori e dalla necessità di non aggravare i costi
dell’operazione, tuttavia, l’assenza del rating potrebbe limitare il livello di circolazione dei
titoli. È opportuno sottolineare la mancanza di disposizioni che garantiscano l’indipendenza
dell’originator dal veicolo con la conseguenza che l’originator può detenere quote più o meno
significative di capitale del veicolo. L’assenza di una richiesta esplicita di indipendenza
giuridica della società veicolo dall’originator costituisce una lacuna della normativa italiana
particolarmente rilevante in un’ottica di protezione degli investitori inoltre, potrebbe generare
un rischio sistemico difficilmente valutabile.
Considerando la caratteristica di mercato delle ABS giovane al momento dell’entrata in
vigore della Legge n. 130/1999, deve essere interpretata favorevolmente la disposizione di
previsione di un prospetto informativo anche per le sollecitazioni rivolte ai soli investitori
istituzionali giustificata dall’esigenza di assicurare a tutte le operazioni di securitisation un
grado di trasparenza che faciliti il collocamento e la negoziabilità dei titoli.
È da considerare un pregio anche l’ampio grado di libertà concesso dalla legislazione. Tale
qualità è rintracciabile nella facoltà lasciata agli operatori di scegliere l’opzione strutturale più
conveniente tra il modello anglosassone, il modello franco-spagnolo e la subpartecipation.
Inoltre, il legislatore ha voluto estendere la tecnica della cartolarizzazione a qualsiasi tipologia
di credito pecuniario e, di conseguenza, ha permesso il ricorso alla securitisation a originator
di qualsiasi natura. L’ampio margine discrezionale è affermato anche dalla possibilità,
riconosciuta al veicolo, di svolgere contemporaneamente più programmi di cartolarizzazione e
di avere rapporti con più originator e, al tempo stesso, il grado di tutela degli investitori è
adeguatamente salvaguardato dalla netta separazione tra i diversi pool di asset e tra questi e il
patrimonio del veicolo.
È indubbio che la Legge n. 130/1999 attraverso l’elevata flessibilità di cui è dotata ha
assicurato snellezza e speditezza alle operazioni di cartolarizzazione e al contempo il carattere
derogatorio ha reso meno problematica l’articolazione dell’operazione stessa risolvendo la
gran parte dei problemi di natura civilistica e fiscale che gli operatori avevano dovuto
affrontare in assenza di una normativa specifica; tuttavia la disciplina italiana è risultata a
tratti gravemente lacunosa ed è stata oggetto di problemi interpretativi ed applicativi. In
quest’ottica comparando la Legge in commento e le normative degli altri paesi europei
emerge la mancanza della figura del trustee, operatore rilevante per la trasparenza e la tutela
degli investitori. Si ravvisano lacune in merito al richiamo all’art. 58 del T.U.B. dal momento
145
che non viene definito il contenuto della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale né il soggetto
preposto a tale compito qualora il cessionario sia diverso dall’emittente.
La scelta del legislatore di presentare la cartolarizzazione come uno strumento per fare pulizia
nei bilanci delle banche e sbarazzarsi dei bad loans costituisce una visione distorta di tale
strumento. La cartolarizzazione dei crediti nonperforming, infatti, può accentuare il
peggioramento complessivo del portafoglio crediti per effetto della presenza del rischio di
moral hazard nelle politiche di lending o potrebbe pregiudicare la possibilità per l’originator
di accedere in futuro al mercato della cartolarizzazione.
Lo stesso European Securitisation Forum (ESF) in una lettera del Giugno 2004 indirizzata alla
Banca d’Italia e al Ministro dell’Economia e delle Finanze è intervenuto affermando la
necessità di rivedere la Legge n. 130/1999 al fine di rafforzare la normativa stessa e
rinvigorire il mercato italiano attirando l’attenzione sull’esigenza di ampliare gli asset type
collateralizzabili e di risolvere alcuni problemi relativi alla segregazione degli attivi
(European Securitisation Forum, 2004). Infatti, per quanto riguarda le classi di attivo passibili
di cartolarizzazione, la legislazione italiana si riferisce esclusivamente alla cartolarizzazione
di portafogli di crediti ed esclude, quindi, la conclusione di operazioni aventi come sottostante
altre attività. Infine, a causa dell’assenza di una disciplina specifica per quanto riguarda la
cartolarizzazione sintetica e repackaging il mercato italiano delle cartolarizzazioni, pur
rappresentando uno dei mercati più sviluppati in Europa, è contraddistinto dalla quasi
totalitaria presenza di securitisation di tipo tradizionale, mentre, le operazioni più sofisticate e
innovative hanno trovato sporadica diffusione. Di fatti la Legge n. 130/1999 non sembra
rappresentare il riferimento normativo ideale per le cartolarizzazioni innovative a causa dei
limiti in ordine alla possibilità di cartolarizzare i crediti futuri, di segregare dal patrimonio
dell’originator gli asset da cartolarizzare e, secondariamente, risulta penalizzante sul piano
fiscale poiché prevede un regime di tassazione sfavorevole per i titoli che prevedono il
rimborso del capitale entro i 18 mesi successivi all’emissione 178.
Degno di nota è la modifica alla Legge n. 130/1999 con l’introduzione del nuovo art. 7 bis 179
(“Obbligazioni bancarie garantite”) che disciplina l’emissione dei covered bond sul mercato
italiano. Il nuovo articolo accompagnato dal regolamento attuativo della Banca d’Italia ha
reso realizzabile l’emissione di covered bond i quali potrebbero affermarsi come una valida
alternativa alle cartolarizzazioni tradizionali soprattutto per le banche di maggiori dimensioni.
Concludendo la Legge n. 130/1999 sebbene abbia costituito un buon punto di partenza per la
modernizzazione del sistema finanziario italiano e abbia sopperito al grave ritardo accumulato
nei confronti degli altri paesi europei non è risultata esente da limiti ed omissioni e, ad oggi,
non rappresenta il quadro regolamentare adeguato per gli schemi di cartolarizzazione più
sofisticati.
178
La Legge n. 130/1999 assegna alle ABS il trattamento fiscale previsto per le obbligazioni emesse da banche o
da società per azioni con azioni negoziate in mercati regolamentati italiani (art. 6, comma 1) il che comporta, su
interessi ed altri proventi maturati sui titoli, l’applicazione dell’aliquota del 12,50%, però, le ABS con scadenza
inferiore ai 18 mesi subiscono una tassazione con aliquota del 27%. Da questa considerazione è evidente che il
mercato dei titoli cartolarizzati con scadenze a breve termine risulta particolarmente penalizzato.
179
Modifica intervenuta per effetto del D.L. n. 35 del 14 marzo 2005, convertito, con modifiche, nella Legge n.
80 del 14 maggio 2005.
146
5.4 L’applicazione di Basilea 2 in Italia
Nell’ordinamento italiano, come per gli altri paesi dell’Unione Europea, la disciplina
sull’adeguatezza patrimoniale delle banche e delle imprese di investimento è entrata
nell’ordinamento attraverso il recepimento delle Direttive 2006/48/CE (relativa all'accesso
all'attività degli enti creditizi ed al suo esercizio) e 2006/49/CE (relativa all'adeguatezza
patrimoniale delle imprese di investimento e degli enti creditizi). Il nostro sistema di vigilanza
regolamentare ha recepito Basilea 2 con la Circolare n. 263 del 27 Dicembre 2006 della
Banca d’Italia “Nuove disposizioni di vigilanza prudenziale per le banche”, che contiene la
nuova disciplina prudenziale per le banche e i gruppi bancari. Il recepimento di Basilea 2
nell’ordinamento interno non è avvenuto con una mera trasposizione delle normativa
comunitaria la quale è stata, invece, opportunamente adattata alle specifiche esigenze della
realtà economica, giuridica e istituzionale del nostro paese.
Le regole di Basilea 2 sono entrate in vigore nel Gennaio 2007 ma, di fatto, la maggior parte
degli intermediari ha esercitato l’opzione di posticiparla di un anno. Si tratta di una decisione
che riflette la complessità dei problemi da risolvere e la preferenza per soluzioni più complete
e definitive.
Le nuove disposizioni di vigilanza prudenziale si applicano:
- su base individuale, alle banche autorizzate in Italia, ad eccezione delle succursali di
banche extracomunitarie aventi sede nei paesi del Gruppo dei Dieci;
- su base consolidata:
- ai gruppi bancari;
- alle imprese di riferimento, con riguardo anche alle società bancarie,
finanziarie e strumentali controllate dalla società di partecipazione finanziaria
madre nell’UE;
- ai componenti del gruppo sub-consolidanti.
La disciplina tende a evitare un’eccessiva prescrittività, fornendo, accanto a criteri generali e
principi, linee guida applicative e indicazioni su prassi ritenute accettabili, diffuse e utilizzate
presso gli intermediari. In tal modo si perseguono due ordini di obiettivi, da un lato, si cerca
di preservare i vantaggi di una regolamentazione per obiettivi (adattabilità all’innovazione
finanziaria e libertà per gli intermediari di introdurre nuove tecniche di gestione dei rischi);
dall’altro, si mira a ridurre l’incertezza degli operatori sull’accettabilità delle metodologie da
essi elaborate. Inoltre, come si vedrà nel testo di seguito, le nuove disposizioni prudenziali
hanno dato larga attuazione al principio di proporzionalità in base al quale gli adempimenti
richiesti agli operatori sono proporzionati alle loro dimensioni, alle caratteristiche operative e
alla rilevanza dei rischi che assumono.
Poiché la disciplina relativa alle operazioni di cartolarizzazione secondo Basilea 2 è stata
ampiamente presentata al Capitolo 4 qui di seguito si riportano soltanto alcune caratteristiche
peculiari della disciplina prudenziale applicata in Italia cercando di far risaltare il rigore con
cui la Banca d’Italia ha applicato la vigilanza prudenziale sul capitale assicurando al sistema
bancario nazionale una maggiore resistenza e robustezza a fronte del periodo critico di crisi.
Requisiti patrimoniali
Come si è avuto modo di vedere nel Capitolo 4 il Nuovo Accordo sul Capitale fa rientrare
nello schema delle cartolarizzazioni tutte le operazioni che coinvolgono una o più esposizioni
per le quali sia previsto (o sia possibile prevedere) la segmentazione (tranching) del profilo di
147
rischio di credito. L’approccio generale della nuova disciplina si basa sulla valutazione
dell’effettivo ammontare di rischio di credito realmente trasferito o ristrutturato mediante la
cartolarizzazione. Il requisito patrimoniale è diversificato sulla base del ruolo giocato dalle
banche nell’ambito della cartolarizzazione.
Le nuove disposizioni di vigilanza prudenziale definiscono il concetto di “trasferimento
significativo del rischio di credito a terzi” che rappresenta uno dei requisiti che permettono
alla banca originator di escludere le esposizioni cartolarizzate dal calcolo delle attività
ponderate per il rischio. Prima di presentare le condizioni per cui si ha un trasferimento
significativo del rischio di credito si definisce “requisito post cartolarizzazione” il requisito
prudenziale calcolato in base all’applicazione della disciplina sulla cartolarizzazione e
“requisito ante cartolarizzazione” il requisito prudenziale calcolato sulle attività cartolarizzate.
Il rischio di credito non è considerato significativamente trasferito qualora il requisito post
cartolarizzazione risulti uguale o superiore al requisito ante cartolarizzazione. Se, invece, il
requisito prudenziale post cartolarizzazione risulta inferiore a quello ante cartolarizzazione si
applicano i seguenti criteri:
- si ha trasferimento significativo del rischio di credito se la banca detiene posizioni di
tipo junior da sole oppure insieme a posizioni di tipo senior (in presenza di posizioni
mezzanine) o se detiene solo posizioni senior;
- se l’originator detiene posizioni verso la cartolarizzazione di tipo mezzanine da sole o
unitamente a posizioni del tipo junior e/o senior, si distinguono due casi:
- non si ha un trasferimento significativo del rischio di credito se l’originator
detiene posizioni mezzanine e il rapporto tra requisito post cartolarizzazione e
quello ante cartolarizzazione è pari o superiore al 90%;
- la valutazione sul significativo trasferimento del rischio di credito è rimessa ai
cedenti, avendo presente la sostanza economica qualora il rapporto tra il
requisito patrimoniale post cartolarizzazione e il requisito patrimoniale ante
cartolarizzazione è inferiore al 90%.
I suddetti requisiti sono piuttosto severi soprattutto se comparati con la definizione di
significatività di trasferimento del rischio di credito proposta dalla Commissione Europea.
Nella proposta della Commissione si ha un significativo trasferimento del rischio di credito
se:
- l’ammontare dell’esposizione ponderata delle posizioni mezzanine detenute
dall’originator non supera il 50% dell’ammontare complessivo delle esposizioni
ponderate per il rischio attinenti a tutte le posizioni mezzanine;
- in assenza di tranche mezzanine, l’originator non detiene più del 20% delle posizioni
verso la cartolarizzazione che sarebbero soggette alla ponderazione del 1250%;
- pur non essendo rispettate le suddette condizioni, l’Autorità di Vigilanza, sulla base di
un’analisi caso per caso, ritiene che vi sia stato un significativo trasferimento del
rischio di credito, qualora la riduzione di requisito patrimoniale per l’originator sia
giustificato da un “commensurate and material” trasferimento del rischio a terzi.
La proposta della Commissione sembra più favorevole al mercato rispetto all’interpretazione
della Banca d’Italia. Si possono, infatti, simulare diversi casi in cui si avrebbe significatività
del trasferimento del rischio di credito per la Commissione, mentre non lo si avrebbe
seguendo la normativa della Banca d’Italia. È evidente, quindi, che la Banca d’Italia ha dato
un’interpretazione severa in materia di trasferimento del rischio delineando in tal modo un
trattamento prudenziale delle cartolarizzazioni fra i più rigorosi.
148
Come si detto al Capitolo 4 la banca vigilata ai fini del calcolo dei requisiti patrimoniali
applica l’approccio standard o l’approccio IRB in base al metodo utilizzato per le attività
sottostanti.
Disciplina di controllo prudenziale
Il recepimento del secondo pilastro da parte della Banca d’Italia tiene conto, non solo delle
disposizioni contenute nel Nuovo Accordo ma anche delle indicazioni formulate dal
Committee of European Banking Supervision (CEBS) relativamente al processo di controllo
prudenziale. La regolamentazione italiana, se comparata a quella degli altri paesi europei, è
particolarmente ricca nel dare un contenuto all’obiettivo che il secondo pilastro si prefigge di
ottenere ossia un’autovalutazione di tutti i rischi che l’intermediario fronteggia compresi
quelli meno probabili ma di maggiore impatto, dell’adeguatezza dei propri sistemi
organizzativi e di controllo e della propria dotazione di capitale. Abbiamo visto come il
secondo pilastro del Nuovo Accordo si possa scomporre in due fasi separate: l’ICAAP e lo
SREP. L’ICAAP, di competenza dell’intermediario vigilato, consiste nella valutazione
dell’adeguatezza patrimoniale che conduce alla determinazione del capitale complessivo
adeguato in termini attuali e prospettici a fronteggiare tutti i rischi rilevanti. Lo SREP, invece,
è di competenza della Banca d’Italia che espleta il vero e proprio momento di vigilanza. Su
base annuale la Banca d’Italia verifica l’adeguatezza dei processi sottostanti l’ICAAP ed
effettua una valutazione ulteriore dei rischi cui risulta esposto ogni intermediario. Il processo
di controllo prudenziale si conforma al principio di proporzionalità, ravvisabile sia
nell’ICAAP che nello SREP, inteso come criterio di esercizio del potere adeguato al
raggiungimento del fine con il minore sacrificio degli interessi dei destinatari. In base al
principio di proporzionalità:
- i sistemi di governo societario, i processi di gestione dei rischi, i meccanismi di
controllo interno e di determinazione del capitale ritenuto adeguato alla copertura dei
rischi devono essere commisurati alle caratteristiche, alle dimensioni e alla
complessità dell’attività svolta dalla banca;
- la frequenza e l’intensità dello SREP tengono conto della rilevanza sistemica, delle
caratteristiche, delle dimensioni e della complessità delle banche.
Una conseguenza dell’applicazione del principio di proporzionalità si ritrova nella
suddivisione degli operatori in tre classi distinte in base alla complessità dei sistemi di
misurazione delle esposizioni alle varie fonti di rischio e/o in relazione alle loro dimensioni.
La classe 1 comprende banche e gruppi bancari autorizzati all’utilizzo di almeno uno dei
sistemi più avanzati per la misurazione del rischio di credito, operativo e di mercato (ossia il
metodo IRB, o il metodo AMA o i modelli interni). La classe 2, invece, riunisce banche e
gruppi bancari che utilizzano metodologie standardizzate, con attivo, rispettivamente,
consolidato o individuale superiore a 3,5 miliardi di Euro. La distinzione tra la classe 2 e la
classe 3 è meramente quantitativa dal momento che della classe 3 fanno parte le banche e
gruppi bancari con attivo consolidato o individuale pari o inferiore a 3,5 miliardi di Euro.
Per quanto riguarda l’ICAAP viene lasciata ampia discrezionalità agli operatori; non vengono
fornite indicazioni di tipo obbligatorio bensì solamente linee guida applicative che
costituiscono semplicemente delle best practice. Le singole banche, pertanto, hanno ampia
autonomia sia per quanto concerne la scelta dei processi e delle metodologie organizzative
funzionali alla rilevazione dei rischi a cui è esposta la banca, sia per la definizione delle
strategie tese a individuare l’eventuale fabbisogno di capitale cui potrebbero essere esposte
149
per la presenza di rischi aggiuntivi rispetto a quelli previsti dal primo pilastro e non ultimo
anche per l’individuazione dei sistemi di governance che meglio possano assicurare una
gestione efficace dell’ICAAP. L’ICAAP può essere scomposto in quattro fasi distinte: 1)
individuazione dei rischi da sottoporre a valutazione; 2) misurazione/valutazione dei singoli
rischi e del relativo capitale interno; 3) misurazione del capitale interno complessivo; 4)
determinazione del capitale complessivo e riconciliazione con il patrimonio di vigilanza. I
rischi da sottoporre a valutazione comprendono:
- i rischi del primo pilastro (di credito – compreso il rischio di controparte -, di mercato
e operativo);
- il rischio di concentrazione;
- il rischio di tasso di interesse derivante da attività diverse dalla negoziazione;
- il rischio di liquidità;
- il rischio residuo;
- i rischi derivanti da cartolarizzazioni;
- il rischio strategico;
- il rischio di reputazione.
Il suddetto elenco non è esaustivo infatti, è di competenza della banca l’individuazione di
tutte le fonti di rischio connesse alla propria operatività e ai mercati di riferimento. Per rischi
derivanti da cartolarizzazione si intende il rischio che la sostanza economica dell’operazione
di cartolarizzazione non sia pienamente rispecchiata nelle decisioni di valutazione e di
gestione del rischio. Per questo tipo di rischio, difficilmente quantificabile, non vengono
fornite regole di quantificazione concreta della reale esposizione al rischio, tuttavia la Banca
d’Italia si attende che gli intermediari vigilati procedano ad un’autonoma ed adeguata
valutazione (quantitativa o qualitativa) della possibile esposizione al rischio medesimo,
imperniata su procedimenti e metodologie interne.
Viene ribadita l’importanza delle tecniche di stress test le quali, da un lato, consentono la
valutazione dell’esposizione al rischio in circostanze avverse e del capitale interno necessario
a coprire il medesimo e, dall’altro, permettono di verificare il risultato e l’accuratezza dei
modelli di valutazione del rischio. Le banche e i gruppi bancari trasmettono con cadenza
annuale (banche individuali entro il 31 Marzo, gruppi bancari entro il 30 Aprile) alla Banca
d’Italia un resoconto sul processo ICAAP, riferito al 31 Dicembre dell’anno precedente,
contenente informazioni di tipo descrittivo e valutativo. La parte descrittiva comprende
informazioni concernenti l’articolazione del processo ICAAP a livello aziendale mentre, la
parte valutativa, comprende una sorta di autovalutazione del processo di pianificazione e
gestione del patrimonio. Nonostante la periodicità annuale della determinazione del capitale
interno complessivo, la valutazione/misurazione dell’esposizione ai singoli rischi è necessario
che avvenga a intervalli più brevi in relazione sia alla tipologia di rischi, sia alle metodologie
utilizzate. Al fine di tenere conto degli elementi di novità e della complessità del processo
sottostante l’ICAAP la sua introduzione è stata graduale. È stato, infatti, previsto che i primi
resoconti potessero prendere in considerazione solo i rischi più rilevanti e adottare
metodologie non completamente affinate.
Lo SREP consiste in un controllo ex post sull’efficacia dell’ICAAP ed è composto dalle
seguenti fasi: 1) analisi dell’esposizione a tutti i rischi rilevanti assunti e dei relativi sistemi di
controllo; 2) verifica del rispetto dei requisiti patrimoniali e delle altre regole prudenziali; 3)
valutazione del procedimento aziendale di determinazione del capitale interno complessivo e
dell’adeguatezza del capitale complessivo rispetto al profilo di rischio della banca; 4)
150
attribuzione di giudizi specifici relativi a ciascuna tipologia di rischio e di un giudizio
complessivo sulla situazione aziendale; 5) individuazione degli eventuali interventi di
vigilanza da porre in essere. Lo SREP è fondato sulla logica del confronto che costituisce
parte integrante dell’intero processo di revisione e valutazione prudenziale svolto dalla
Vigilanza. Infatti, un rapporto di costante collaborazione tra Autorità di Vigilanza e soggetti
vigilati rende più agevole e meno burocratica l’attività di controllo espletata dalla Banca
d’Italia. Il principio di proporzionalità è presente anche nello SREP infatti, l’attività di analisi
e controllo, nonché l’intensità e la frequenza del confronto con le banche sono calibrate in
funzione ai profili di rischio e alle dimensioni operative delle banche stesse. L’intervento
della Banca d’Italia nello SREP avviene mediante un sistema di analisi aziendale a carattere
standardizzato, imperniato su sistemi di rating della rischiosità degli intermediari, rispondenti
a logiche di natura quantitativa (Iacopozzi, 2009). I controlli condotti dall’Autorità di
Vigilanza possono essere a distanza o in loco presso l’intermediario tramite ispezioni; questi
ultimi permettono di apprezzare in maniera diretta gli aspetti di natura organizzativa, la
funzionalità degli assetti di governo, del sistema dei controlli interni, delle procedure
aziendali e l’attendibilità di dati e informazioni comunicati all’Autorità Vigilanza. Nel caso in
cui siano riscontrate inadeguatezze o carenze nell’ICAAP o, più in generale, criticità nella
complessiva situazione aziendale sono richiesti degli interventi correttivi che vanno dal
rafforzamento dei sistemi per la gestione dei rischi fino a provvedimenti specifici che mirano
al rafforzamento della struttura patrimoniale.
Informativa al pubblico
É noto che il terzo pilastro mira a rafforzare gli obblighi informativi a carico delle banche
vigilate al fine di potenziare la disciplina di mercato. Le banche sono perciò chiamate a
diffondere in modo completo, dettagliato, corretto ed entro le scadenze previste un pacchetto
di informazioni rilevanti fissato dall’Autorità di Vigilanza. La Banca d’Italia, dal canto suo,
verifica l’esistenza dei presidi organizzativi idonei a garantire l’affidabilità dei processi di
produzione, elaborazione e diffusione delle informazioni.
Il terzo pilastro può trovare applicazione, a seconda dei casi, su base individuale o
consolidata. Nello specifico, le informazioni da divulgare al pubblico devono essere rese note
su base individuale qualora la banca sia autorizzata in Italia, con eccezione di quelle
appartenenti a gruppi bancari, alle succursali di banche extracomunitarie aventi sede nei paesi
del Gruppo dei Dieci e di quelle che, pur non appartenendo ad un gruppo bancario, sono
imprese di riferimento oppure sono controllate da un'impresa madre europea ed hanno un
attivo totale di bilancio inferiore a 10 miliardi di Euro. I gruppi bancari, ad eccezione di quelli
controllati da un'impresa madre europea quando il loro attivo totale di bilancio è inferiore a 10
miliardi di Euro, e le imprese di riferimento, con riguardo anche alle società bancarie,
finanziarie e strumentali controllate dalla società di partecipazione finanziaria madre
nell’Unione Europea, devono produrre le informazioni su base consolidata.
Il principio di proporzionalità incontrato nel secondo pilastro viene ripreso anche nel terzo,
infatti, in base a tale principio il livello di approfondimento delle informazioni da comunicare
al pubblico è commisurato al grado di complessità dell’attività aziendale e dell’operatività di
ogni banca.
Il sito internet della banca rappresenta il mezzo mediante il quale rendere pubbliche le
informazioni; nel caso in cui siano presenti impedimenti relativamente a questa opzione la
banca vigilata ricorrerà al sito internet della propria associazione di categoria o, in alternativa,
151
alla stampa. La pubblicazione delle informazioni deve avvenire con cadenza annuale; il
termine è ridotto a sei mesi per determinate informazioni quantitative e solo per le banche
autorizzate ad utilizzare i sistemi interni per il calcolo dei requisiti patrimoniali sui rischi di
credito od operativi. Sebbene alcune informazioni siano già rese note in altri documenti è
vietato il rinvio ad altre fonti al fine di salvaguardare l'organicità e l'accessibilità alle
informazioni.
Le informazioni da divulgare hanno carattere quantitativo e qualitativo e sono classificate in
quadri sinottici (tavole), ciascuno dei quali riguarda una determinata area informativa.
Sebbene gli effetti della crisi finanziaria siano stati in Italia meno forti grazie a un modello di
intermediazione fondamentalmente sano, sostenuto da un quadro regolamentare e una
vigilanza prudenti, anche nel nostro paese saranno introdotti gli aggiornamenti a Basilea 2
presentati al paragrafo 4.5. Le proposte regolamentari che si vanno delineando devono, infatti,
essere interpretate nel quadro di un generalizzato rafforzamento della stabilità del sistema
finanziario globale e, pertanto, esse investono anche sistemi bancari che hanno retto meglio di
altri l’onda d’urto della crisi. Il beneficio di una riforma condivisa a livello internazionale sarà
generalizzato: la crisi ha dimostrato che le ripercussioni dei rischi introdotti da soggetti
governati da regole meno stringenti si estendono anche a sistemi, come quello italiano, basati
su modelli di business mediamente meno rischiosi e su una più incisiva azione di controllo da
parte delle autorità.
Le banche italiane sono entrate nella crisi con un’esposizione complessivamente contenuta
verso i prodotti della finanza strutturata e una minore dipendenza dai mercati della raccolta
all’ingrosso. La specializzazione della gran parte delle banche italiane nell’attività bancaria
tradizionale ha contribuito a contenere l’impatto delle turbolenze, a mantenere una maggiore
cautela nell’emissione di strumenti complessi e opachi e a frenare l’attività di investimento in
prodotti di finanza strutturata. Il patrimonio delle banche italiane è maggiore ai minimi
regolamentari e, nel confronto internazionale, la qualità del capitale è elevata: il rigore con cui
è stata valutata la computabilità degli strumenti finanziari nel patrimonio di vigilanza, anche
in tempi in cui il mercato sembrava tollerare livelli di rischio particolarmente elevati, ha
comportato benefici per le banche stesse e l’economia nel complesso. Il grado di leva
finanziaria del sistema bancario italiano è basso: nel 2008 a fronte di un rapporto tra totale
attivo (on balance) e patrimonio di base pari a 34 per le principali banche europee i maggiori
gruppi italiani registravano in media un valore di 24. Il perimetro della regolamentazione in
Italia è sempre stato mantenuto ampio in modo da ricomprendere una vasta gamma di rischi e
di intermediari; sono state dettate regole precise sull’operatività in prodotti strutturati; sono
stati adottati criteri stringenti in materia di trasferimento significativo del rischio nelle
operazioni di cartolarizzazione; sono stati richiesti alle banche italiane maggiori impegni in
sede di informativa di bilancio e trasparenza; sono stati sottoposti a regolamentazione e
controllo gli hedge fund al pari degli altri fondi. Soprattutto le norme e prassi di supervisione
prudenti adottate dalla Banca d’Italia in materia di cartolarizzazioni potrebbero aver
contribuito a contenere l’impatto della crisi: sin dal 2001 la normativa nazionale prevedeva
criteri stringenti per il calcolo del patrimonio di vigilanza soprattutto se il rischio di credito
non risultava effettivamente trasferito; sul piano segnaletico, le società veicolo di diritto
italiano hanno l’obbligo di registrarsi presso la Vigilanza e di segnalare i crediti cartolarizzati
alla Centrale dei Rischi; dal 2005 è stato imposto il consolidamento dei veicoli fuori bilancio
nei casi in cui benefici e rischi rimangono nei fatti a carico degli intermediari. La Banca
152
d’Italia ha seguito queste linee ben prima dell’insorgere della crisi, nella convinzione che il
rischio di credito e quello di liquidità possano scaturire dalla necessità per le banche di
preservare la reputazione sui mercati, onorando impegni anche non vincolanti nei confronti di
veicoli finanziari off-balance. Sono inoltre operative da alcuni anni norme che consentono di
operare in prodotti finanziari e derivati complessi solo a operatori con adeguati presidi
organizzativi e di controllo.
Dall’insorgere della crisi l’azione della Banca d’Italia ha reso più intensi il monitoraggio sulla
liquidità e la valutazione della dotazione patrimoniale delle banche. I controlli sulla liquidità,
avviati nell’autunno 2007, hanno permesso di porre rimedio alle situazioni di squilibrio
mentre, sul fronte patrimoniale, le analisi sono state rese più frequenti e le banche sono state
richiamate a rispettare criteri di prudenza nella gestione e pianificazione delle risorse
patrimoniali. Sono state anche intensificate le prove di stress, tra l’altro già da tempo condotte
con regolarità da parte della Banca d’Italia, al fine di valutare la resistenza degli operatori
vigilati in condizioni macroeconomiche negative.
La limitata operatività nel campo della finanza innovativa e nella negoziazione di prodotti di
credito strutturati più sofisticati induce a prevedere che l’impatto dell’inasprimento dei
requisiti patrimoniali risulterà in media contenuto per le banche italiane. Nonostante ciò
indubbiamente le modifiche regolamentari proposte dal Comitato di Basilea richiederanno
alle banche italiane significativi adeguamenti. Sebbene esse partano da una situazione
migliore di quella di altri sistemi bancari rimangono aperti aspetti importanti che potrebbero
determinare conseguenze di rilievo. È il caso della deduzione dal patrimonio delle attività per
imposte anticipate, il cui ammontare assume valori di assoluto rilievo per effetto dei vincoli
nazionali alla deducibilità fiscale delle perdite su crediti.
Prima della crisi i profitti delle banche sono stati molto elevati, con livelli di redditività
superiori a quelli registrati negli altri settori produttivi. Non si può negare che ciò sia anche il
frutto dall’assunzione di rischi troppo elevati, non adeguatamente coperti da risorse
patrimoniali e di liquidità. L’insieme dei provvedimenti in discussione potrebbe quindi
determinare una contrazione dei profitti delle banche, ma comporterà anche a un
contenimento dei rischi da loro assunti (Banca d’Italia, 2010b).
153
154
6. Analisi dei Residential Mortgage Backed Securities italiani
6.1 Introduzione
Il presente capitolo sarà dedicato all’analisi dei Residential Mortgage Backed Securities
(RMBS) – titoli emessi a fronte di operazioni di cartolarizzazione di mutui ipotecari
residenziali - con specifico riferimento a quelli italiani. I mutui ipotecari residenziali
rappresentano la classe di attivo più cartolarizzata dalle banche originator nazionali le quali
accedono al mercato della cartolarizzazione con l’obiettivo di accedere a fonti alternative di
finanziamento. Inoltre, i RMBS italiani si sono distinti, nel mercato della securitisation
europeo, per le buone performance registrate negli anni più recenti nonostante la diffusione
della crisi finanziaria. Sebbene, infatti, la crisi finanziaria abbia colpito duramente il mercato
della cartolarizzazione mondiale i RMBS nazionali, se comparati con quelli spagnoli e inglesi,
hanno retto bene all’urto della crisi in termini di allargamento degli spread e di downgrading.
Nei paragrafi seguenti ci si pone pertanto l’obiettivo di ricercare quei fattori che hanno
contribuito alle buone perfomance dei RMBS italiani.
6.2 Caratteristiche dei Residential Mortgage Backed Securities italiani
I RMBS, riprendendone la definizione presentata al paragrafo 2.3, sono titoli che rientrano
nella più ampia famiglia delle ABS emessi a seguito di operazioni di cartolarizzazione di
portafogli composti da mutui ipotecari residenziali. La finalità del mutuo ipotecario non
costituisce un elemento discriminatorio tra mutui collateralizzabili e non infatti, sono passibili
di cartolarizzazione tanto i mutui concessi per l’acquisto o ristrutturazione dell’abitazione di
residenza tanto quanto quelli destinati all’acquisto o ristrutturazione di altri immobili.
I mutui ipotecari hanno rappresentato la principale classe di attivo cartoralizzata dalle banche
italiane e, quindi, i RMBS hanno avuto un ruolo di primo piano per lo sviluppo del mercato
della cartolarizzazione nazionale. L’importanza del mercato italiano dei RMBS è riconosciuta
anche dalle principali agenzie di rating che, nel corso dell’ultimo decennio, hanno predisposto
specifici criteri di valutazione di questi titoli.
Le strutture di cartolarizzazione adoperate dalle banche originator italiane sono per lo più di
tipo tradizionale, relativamente semplici e, normalmente, l’emissione è organizzata in più
tranche contraddistinte da una diversa seniority. Inoltre, di norma, la tranche più rischiosa e
priva di rating viene trattenuta dalla banca stessa al fine di allineare gli interessi con quelli
degli investitori e superare, quindi, i problemi legati all’adverse selection e al moral hazard
dovuti al possesso, in capo all’originator, di maggiori informazioni circa la qualità degli asset
cartolarizzati. Oltre al credit enhancement endogeno alle strutture di cartolarizzazione
tranched spesso l’originator interviene a supporto dell’operazione provvedendo alla
costituzione di un conto di riserva, inoltre, un soggetto terzo o l’originator stesso forniscono
supporto alla liquidità al fine di assicurare il corretto pagamento degli investitori e di
sopperire ad eventuali mismatch di liquidità tra l’epoca in cui si ricevono i cash flow dai
debitori originari e l’epoca in cui sono programmati i pagamenti ai sottoscrittori di RMBS.
Le principali caratteristiche dei portafogli di mutui ipotecari residenziali sottostanti i titoli
RMBS sono (Chiarelli et al, 2006):
155
-
elevato tasso di owner occupation;
basso loan-to-value (LTV, rapporto tra la somma richiesta per il mutuo e il valore
dell’immobile che si sta acquistando);
- maggioranza di mutui a tasso variabile;
- buona diversificazione geografica che riflette la presenza della banca originator sul
territorio nazionale;
- buona differenziazione tra i contratti di mutuo;
- in caso di operazioni di cartolarizzazione realizzate in team da più originator i mutui
“impacchettati” rispecchiano diverse politiche di origination e underwriting.
In Figura 6.1 si nota chiaramente che, dal 2000 fino 2007, la quota di nonperforming loan
cartoralizzata si riduce progressivamente (ad eccezione del 2005) mentre aumenta la quota dei
crediti in bonis utilizzata come collateral di operazioni di cartolarizzazione. Nell’arco
temporale analizzato, inoltre, assume sempre più importanza la quota di prestiti agli
household cartoralizzati (nello specifico si registra un passaggio dal 22% registrato nel 2000
al 48% nel 2006 e al 58% nel 2007, vd. Figura 6.2).
Figura 6.1: Qualità dei crediti bancari cartolarizzati 2000-2007
Fonte: Affinito et al (2010)
Dall’entrata in vigore della legge in materia di cartolarizzazione i RMBS hanno rappresentato
per gli originator bancari italiani una fonte di funding ricorrente (Affinito et al, 2010;
Agostino et al, 2009). Infatti, le banche, grazie alla cartolarizzazione dei crediti hanno avuto
accesso a una fonte di finanziamento alternativa ai depositi e, probabilmente, meno onerosa 180
la quale ha sostenuto lo sviluppo della domanda di mutui legata alla crescita del mercato
immobiliare. Nonostante la decisione di cartolarizzazione sia il prodotto di più fattori, quali il
conseguimento di profitti derivanti dal differenziale positivo tra valore di mercato degli attivi
180
La raccolta di fondi mediante securitisation potrebbe essere preferita rispetto alla raccolta tramite depositi a
causa della breve durata e dei costi di quest’ultimi nonché alle disposizioni in materia di riserva obbligatoria a
cui sono soggetti. La ricerca di una fonte alternativa di raccolta di liquidità può essere stata dettata, inoltre, dallo
spostamento delle scelte di allocazione del risparmio delle famiglie italiane dai depositi bancari verso fondi
comuni di investimento e azioni soprattutto nella seconda metà degli anni Novanta.
156
e valore di bilancio o il miglioramento della redditività, l’esigenza di recuperare liquidità è
preponderante.
Figura 6.2: Le controparti dei crediti bancari cartolarizzati 2000-2007
Fonte: Affinito et al (2010)
Lo studio empirico di Bonaccorsi di Patti et al (2008) dimostra invece che, a parità di altre
caratteristiche, i mutui cartoralizzati sono ex post mediamente meno rischiosi di quelli non
cartoralizzati, nonostante i mutui concessi dalle banche, che effettuano un volume di
cartolarizzazioni maggiore, siano risultati mediamente più rischiosi. I lavori di Affinito et al
(2010) e di Bonaccorsi di Patti et al (2008) permettono di giungere a importanti conclusioni in
merito ai metodi e agli scopi delle cartolarizzazioni attivate dalle banche italiane:
- le banche nazionali hanno avuto accesso al mercato della cartolarizzazione
prevalentemente per esigenze di funding piuttosto che per perseguire l’obiettivo di
trasferire il rischio a soggetti più deboli come avvenuto negli Stati Uniti. Tale
conclusione è confermata anche dalla predominanza di cartolarizzazioni di tipo
tradizionale che permettono la raccolta di fondi; se l’unico obiettivo fosse stato il
trasferimento del rischio di credito la struttura sintetica era da preferire in quanto
meno costosa;
- dalla minore rischiosità ex post dei mutui cartoralizzati rispetto a quelli non
cartoralizzati si evince la scelta delle banche nazionali di privilegiare, per le
cartolarizzazioni di mutui ipotecari, quelli più affidabili ad elevato standing creditizio.
I RMBS italiani sono noti per essere contraddistinti da portafogli sottostanti di ottima qualità
(basso LTV , bassi livelli di insolvenze e politiche di lending degli istituti di credito
conservative). La buona qualità dei RMBS italiani è stata confermata dalle recenti turbolenze
innescate nel comporto subprime dei prestiti statunitensi le quali, attraverso un effetto
contagio hanno poi coinvolto l’intero mercato della cartolarizzazione americano ed europeo.
Infatti, nel contesto Europeo, i RMBS italiani sembrano aver retto bene all’urto della crisi, sia
in termini di allargamento degli spread sia in termini di declassamenti da parte delle agenzie
di rating, soprattutto se comparati ai RMBS spagnoli e inglesi (si ricorda che Spagna e Regno
Unito sono, assieme all’Italia, i principali mercati europei della cartolarizzazione).
157
Gli spread di titoli RMBS, nel periodo precedente l’avvio della crisi subprime, hanno
mostrato una scarsa volatilità e si sono collocati su livelli storicamente bassi (vd. Figura 6.3).
Un deciso ampliamento degli spread di titoli RMBS europei viene registrato a partire
dall’estate del 2007 in risposta al grave deterioramento della qualità dei mutui subprime
statunitensi che hanno causato declassamenti su ampia scala dei rating di RMBS assistiti da
questi mutui e la chiusura di vari hedge fund esposti a questo comparto. Le vicende, infatti,
che hanno interessato inizialmente il mercato americano hanno alimentato timori e incertezze
tra la comunità degli investitori del comparto dei prodotti strutturati tali da provocare il ritiro
dal mercato e, conseguentemente, l’allargamento senza precedenti degli spread dei titoli
RMBS. In quella che oggi possiamo chiamare “prima fase” della crisi finanziaria l’Italia è
stato il primo mercato della cartolarizzazione in Europa a vedere una delle sue principali
istituzioni finanziarie declassata (Banca Italease) a causa di ingenti perdite subite su contratti
derivati. A causa del ruolo di primo piano svolto dall’istituzione finanziaria nel mercato della
cartolarizzazione italiano (Banca Italease interviene frequentemente nelle operazioni di
securitisation in qualità di servicer) i timori degli investitori si sono estesi a tutto il mercato
dei titoli asset-backed causando variazioni negli spread tra le più alte in Europa. Nei mesi
successivi, a causa del clima di disordine e di incertezza sui mercati finanziari, gli spread di
strumenti strutturati si allargarono ulteriormente, tuttavia, il punto critico fu raggiunto il 15
Settembre 2008 quando Lehman Brothers ha chiesto di essere ammessa alla procedura
fallimentare (vd. Figura 6.3). Come è possibile notare dalle Figure 6.3 e 6.4 l’allargamento
degli spread dall’autunno 2008 ha interessato tutti i RMBS, anche quelli con rating massimo,
sia italiani sia emessi negli altri principali paesi europei. Seguendo l’evoluzione degli spread
dei RMBS italiani si nota che essi si collocano su livelli sistematicamente inferiori rispetto ai
RMBS spagnoli e a quelli inglesi (i valori estremamente elevati degli spread dei UK RMBS
ha imposto la necessità di rappresentarli in un grafico separato) e, prendono quindi le distanze
dalle operazioni di cartolarizzazione strutturate su bolle speculative immobiliari. In seguito
agli interventi delle Banche Centrali in risposta alla crisi mondiale, alla diminuzione
dell’Euribor e al miglioramento delle aspettative per il futuro gli spread hanno iniziato in
epoche più recenti la fase di discesa.
Analoghe conclusioni possono pervenire dall’analisi dei downgrading (a causa della
mancanza di informazioni circa i declassamenti che hanno coinvolto i RMBS suddivisi per
paese europeo si riportano i declassamenti di prodotti strutturati aggregati per paese europeo,
vd. Tabella 6.1, 6.2, 6.3), infatti le ABS italiane sono state meno colpite - in termini di
numero di declassamenti (non si hanno informazioni invece sull’entità della variazione del
rating) – rispetto a quelle spagnole e inglesi segnale di una migliore qualità creditizia dei
portafogli sottostanti.
La buona performance dei RMBS italiani, alla luce della recente crisi finanziaria, è
riconosciuta anche da due principali agenzie di rating:
- Standard & Poor’s conferma la buona tenuta delle cartolarizzazioni italiane costruite
sui mutui per l’acquisto di abitazioni. Tali operazioni, infatti, prendono le distanze
dalle cattive performance delle cartolarizzazioni costruite sulle bolle speculative
immobiliari in Spagna e Regno Unito (Bufacchi, 2009);
- FitchRatings conferma l’opinione di Standard & Poor’s “performance of Italian
securitised mortgage pools has so far been less severely hit by the global recession
than other jurisdictions such as the UK and Spain” e sottolinea che tale andamento è
riconducibile al basso livello di indebitamento degli household italiani, alle politiche
158
di erogazione del credito conservative e a un calo contenuto dei prezzi delle abitazioni
residenziali (FitchRatings, 2009d). Inoltre, per il 2010, l’outlook della performance
degli asset sottostanti i RMBS italiani è stabile/in ribasso mentre per Spagna e per UK
RMBS-prime è in ribasso (FitcRatings, 2010).
Figura 6.3: Spread di RMBS con rating AAA e scadenza 3-5 anni per diversi paesi europei
Fonte: European Securitisation Forum (anni vari)
Figura 6.4: Spread di UK RMBS con rating AAA e scadenza 3-5 anni
Fonte: European Securitisation Forum (anni vari)
159
Tabella 6.1: Numero di upgrading/downgrading di titoli cartolarizzati Standard & Poor’s
(2007-2009Q3)
2007
2008
2009
Q1
Q2
Q3
Q4
Totale
Q1
Q2
Q3
Q4
Totale
Q1
Q2
Q3
Totale
Francia
2/0
0/0
0/0
1/0
3/0
1/2
0/6
0/0
1/10
2/18
2/10
0/10
0/1
2/21
Germania
17/0
5/2
3/3
9/0
34/5
1/7
5/12
5/31
7/13
18/63
1/13
1/15
0/48
2/76
Italia
4/0
6/5
3/1
7/0
20/6
10/0
1/7
5/0
11/8
27/15
5/5
5/9
8/8
18/22
Olanda
12/0
4/0
0/0
1/0
17/0
0/0
6/0
0/0
0/5
6/5
10/18
8/1
9/1
27/20
Spagna
0/0
4/0
9/0
3/0
16/0
6/1
0/0
0/7
0/57
6/65
11/33
4/63
0/61
15/157
UK
22/12 11/5
17/4
27/1
77/22
6/52
65/496 23/253 3/252
3/232
29/737
Totale Europa
126/65 81/72 92/77 83/145 382/359 51/494 65/651 101/486 38/1913 255/3544 71/1223 45/1321 30/1191 146/3735
32/107 19/74
8/263
Tabella 6.2: Numero di upgrading/downgrading di titoli cartolarizzati Fitch Ratings (20072009Q3)
2007
Q1
Q2
Q3
Francia
3/0
0/0
0/1
Germania
0/0
3/9
11/4
2008
Q4
Totale
Q1
0/0
3/1
20/8
34/21
2009
Q2
Q3
Q4
Totale
0/0
0/2
0/10
0/2
0/14
4/1
7/17
3/8
3/10
17/36
Q1
Q2
Q3
Totale
0/0
0/5
0/18
0/23
4/65
5/28
6/65
15/158
Italia
7/1
6/0
5/0
19/0
37/1
2/10
0/3
11/8
1/9
14/30
1/17
11/2
1/7
13/26
Olanda
10/0
12/0
27/0
13/0
62/0
0/0
14/0
2/0
11/18
27/18
1/1
0/0
0/6
1/7
2/0
7/0
22/2
31/2
0/0
0/13
12/10
4/18
16/41
0/97
2/58
3/17
5/172
8/8
27/190 26/656 83/894
4/123
5/149
2/125
11/397
Spagna
0/0
UK
91/18 45/3
70/38
72/129 278/188 22/40
Totale Europa
116/19 78/12 124/44 163/139 481/214
36/61 33/159 63/226 52/728 184/1174 13/657 27/582 23/300 63/1539
Tabella 6.3: Numero di upgrading/downgrading di titoli cartolarizzati Moody’s (20072009Q3)
2007
2008
2009
Q1
Q2
Q3
Q4
Totale
Q1
Q2
Q3
Q4
Totale
Q1
Q2
Q3
Francia
0/0
0/0
0/0
0/0
0/0
0/0
0/1
0/0
0/1
0/2
1/0
0/0
0/1
1/1
Germania
2/0
1/0
0/0
1/0
4/0
0/2
2/5
0/14
0/22
2/43
0/5
10/36
0/4
10/45
Italia
0/0
0/0
0/2
1/2
1/4
0/1
0/6
0/2
0/6
0/15
1/3
0/7
1/1
2/11
Olanda
17/0
3/0
0/0
0/0
20/0
0/0
0/0
0/2
0/3
0/5
0/2
0/11
4/23
4/36
Spagna
0/0
0/0
0/0
0/0
0/0
1/0
0/5
0/0
0/49
1/54
0/19
0/26
0/16
0/61
3/2
4/0
5/1
21/11
10/7
6/82
0/13
0/109
16/211
5/80
0/65
1/121
6/266
UK
Totale Europa
101/38 62/42 38/76
9/8
81/94
Totale
282/250 22/257 67/655 8/359 1/1199 98/2470 11/1569 17/646 36/653 64/2868
Fonte: European Securitisation Forum, (anni vari)
160
6.3 Analisi empirica
Nei paragrafi successivi il presente lavoro si occuperà di indagare i fattori sottostanti la buona
tenuta delle operazioni RMBS italiane anche in presenza della diffusione della crisi
finanziaria. Al fine di dimostrare la buona qualità dei RMBS italiani si procederà alla
valutazione delle variabili che possono impattare sul rischio di credito del titolo stesso. Infatti,
i sottoscrittori di RMBS, oltre ad essere esposti ai tipici rischi di mercato che attengono ai
valori mobiliari, sono altresì esposti al rischio di credito collegato alla possibilità di incorre in
potenziali perdite dovute all’insolvenza dei debitori sottostanti. In sostanza, il rischio di
credito discende dalla capacità del portafoglio di mutui ipotecari residenziali cartoralizzato di
generare i cash flow che saranno reindirizzati agli investitori a titolo di rimborso in conto
capitale e interessi.
Le variabili esaminate sono di natura sia macro sia microeconomica e sono atte a fornire
indicazioni circa la rischiosità dei mutui sottostanti le operazioni di cartolarizzazione. Si
precisa già da ora che, a causa della mancanza di dati pubblicamente disponibili che
permettano di isolare e seguire nel tempo la performance dei soli mutui ipotecari
cartoralizzati, l’analisi sarà estesa all’insieme dei mutui concessi alle famiglie italiane per
l’acquisto di immobili residenziali. Il mutuo residenziale è considerato, in linea generale, di
per sé un credito a basso rischio, che beneficia del valore della garanzia sottostante inoltre, i
mutui concessi alle famiglie italiane sono noti per la loro bassa rischiosità. Tuttavia elementi
di preoccupazione circa un possibile deterioramento oltre le aspettative della qualità creditizia
dei mutui sottostanti alle operazioni RMBS derivano da alcuni fattori - quali l’aumentata
concorrenza nel settore bancario e il lungo periodo di bassi tassi di interesse combinato con il
favorevole ciclo immobiliare – che potrebbero aver favorito, nell’ultimo decennio, un
allentamento delle politiche di credito, notoriamente prudenti, delle banche italiane
consentendo l’accesso al credito di fasce di clientela finanziariamente più fragile. In secondo
luogo la crisi finanziaria ha sicuramente avuto un impatto sull’indebitamento delle famiglie e,
in particolare, sulla capacità di far fronte ai propri debiti.
L’analisi sarà condotta sull’arco temporale che va dal 2000 al 2008. La scelta di iniziare lo
studio dall’anno 2000 è condizionata dall’inesistenza di un mercato della cartolarizzazione
negli anni precedenti (si ricorda che la Legge n. 130 che ha introdotto l’istituto della
cartolarizzazione risale al 1999). La scelta, invece, di estendere l’analisi fino al 2008 si rivela
necessaria al fine di apprezzare l’impatto della crisi finanziaria sulla capacità delle famiglie
italiane di far fronte al rimborso dei propri debiti per l’acquisto dell’abitazione. Il periodo di
tempo di riferimento permette, inoltre, di considerare “l’effetto Basilea” che potrebbe aver
avuto sulle politiche di lending delle banche; sebbene la versione finale di Basilea 2 risalga al
2004 già sul finire degli anni Novanta si era a conoscenza della futura sostituzione
dell’Accordo del 1988.
Gli elementi che permetteranno di concludere circa l’effettiva buona performance dei RMBS
italiani saranno individuati mediante le seguenti analisi a cui saranno dedicati i paragrafi
successivi:
-
analisi del mercato immobiliare residenziale. L’andamento delle quotazioni
immobiliari è un fattore determinante la rischiosità dei RMBS e, più nelle specifico,
incide sulle possibilità di recupero del credito da parte della banca in caso di
insolvenza del mutuatario. Infatti, i mutui ipotecari residenziali sono assistiti da
161
ipoteca sull’immobile che dà il diritto alla banca di far vendere il bene se il cliente non
può restituire il finanziamento. Le variazioni nei prezzi degli immobili residenziali,
inoltre, impattano direttamente sulla ricchezza netta delle famiglie e comportano,
quindi, conseguenze dirette sui consumi e sulla capacità di rimborso dei debiti delle
famiglie stesse (vd. paragrafo 6.3.1);
-
analisi del mercato dei mutui ipotecari residenziali. L’attenzione sarà focalizzata sulle
dimensioni e sull’evoluzione del mercato italiano nonché sui tipi di finanziamento
disponibili e sulle prevalenti politiche di lending degli intermediari finanziari
nazionali. Spazio sarà dato, quindi, alla descrizione delle caratteristiche tipiche dei
mutui ipotecari italiani (come ad esempio il tasso di interesse, la durata, il LTV ecc)
che hanno un impatto sulla rischiosità dei titoli RMBS (vd. paragrafo 6.3.2);
-
analisi dell’indebitamento delle famiglie italiane per l’acquisto dell’abitazione di
residenza. Si tratta di un’analisi delle caratteristiche dei mutuatari italiani condotta a
livello microeconomico sulla base dei dati raccolti dall’Indagine sui bilanci delle
famiglie italiane (Survey on Household Income and Wealth, SHIW) della Banca
d’Italia. L’indagine SHIW fornirà molte informazioni preziose sui mutui concessi alle
famiglie e attraverso elaborazioni dei dati si traccerà un identikit delle famiglie italiane
indebitate nonché si cercherà di cogliere l’esistenza o meno di elementi di
vulnerabilità finanziaria. In sostanza, l’elaborazione di queste informazioni a livello
microeconomico, sono necessarie per dare validità alla tesi che le RMBS italiane sono
costruiti su sottostanti di buona qualità (vd. Capitolo 7).
Frequenti saranno nel corso dei successivi paragrafi i confronti con il contesto europeo al fine
di avvalorare i risultati ottenuti.
6.3.1 Il mercato immobiliare residenziale
L’andamento del settore immobiliare è un importante fattore che incide sulle performance dei
RMBS. In particolare, il valore dell’immobile è una variabile rilevante per la loss-givendefault (LGD, il tasso di perdita in caso di insolvenza del cliente) dei mutui ipotecari in
default perché incide sulla capacità di coprire i costi associati alla procedura esecutiva e il
debito residuo ancora in essere al momento dell’insolvenza. In sostanza il prezzo a cui
l’immobile è venduto influenza l’entità dei cash flow che poi saranno dirottati agli investitori
in RMBS.
Il settore immobiliare riveste anche un ruolo centrale per l’andamento dell’attività produttiva
e per la stabilità finanziaria. Le attività immobiliari costituiscono oltre il 60% della ricchezza
delle famiglie e, di conseguenza, variazioni del prezzo degli immobili impattano direttamente
sulla ricchezza netta delle famiglie con implicazioni anche sui consumi e sulla capacità di
rimborsare i debiti contratti. Dal punto di vista degli intermediari finanziari, invece, il credito
erogato al settore (mutui alle famiglie, prestiti alle imprese di costruzioni e dei servizi
connessi con le attività immobiliari) è circa un terzo degli impieghi bancari totali. Quindi, il
sistema finanziario è esposto all’evoluzione del mercato immobiliare poiché la variazione del
valore delle garanzie bancarie indotta dai corsi immobiliari influenza sia il costo e la
disponibilità di credito, sia la qualità dell’attivo delle banche. Infine, i prezzi degli immobili
incidono sulla capacità di onorare il servizio del debito da parte delle imprese di costruzioni.
162
In base all’indice dei prezzi delle case elaborato dalla Banca d’Italia (vd. Figura 6.5) dalla
metà degli anni Sessanta si possono identificare quattro fasi cicliche dei corsi immobiliari
valutati in termini reali:
- la prima fase si chiuse alla fine del 1974, quando le quotazioni segnarono un forte e
repentino incremento in connessione con il primo shock petrolifero e con il
conseguente aumento dell’inflazione, che rafforzò il ruolo di “bene rifugio” degli
immobili, sostenendone la domanda;
- la seconda fase (fine 1974 - metà 1981) fu caratterizzata da un’elevata volatilità,
soprattutto intorno al secondo shock petrolifero, e dal successivo, brusco rialzo delle
quotazioni immobiliari, fino al picco toccato nella parte finale del periodo;
- la terza fase, che si è protratta sino al secondo semestre del 1992, si avviò con una
correzione che riportò nel 1986 le quotazioni reali ai valori minimi della fase
precedente; la successiva espansione, al ritmo medio annuo superiore all’8%, culminò
nel picco del 1992;
- la quarta fase, notevolmente più lunga delle precedenti, è iniziato con la recessione dei
primi anni novanta, che ha dato avvio a un declino delle quotazioni reali proseguito
sino al 1999.
Negli ultimi dieci anni il calo del costo del denaro connesso con l’introduzione dell’Euro e il
recupero del potere di acquisto delle famiglie hanno interagito con le innovazioni introdotte
nel mercato dei mutui immobiliari alimentando la domanda e generando una prolungata
crescita dei prezzi. E’ indubbio che sul lungo ed intenso ciclo di sviluppo immobiliare, che ha
caratterizzato il periodo 1998-2007, abbia influito il miglioramento delle condizioni di
accesso al credito, tanto per le famiglie quanto per gli operatori professionali (questo aspetto
verrà approfondito al paragrafo 6.3.2). La fase di espansione si è pressoché interrotta dalla
fine del 2008.
Figura 6.5: Il ciclo dei prezzi delle abitazioni in Italia (indici 2005=100)
Fonte: Panetta et al (2009)
Analizzando l’andamento dei volumi di compravendite (NTN) del settore residenziale si nota
chiaramente il lungo ed intenso ciclo positivo di crescita del mercato dal 1996 al 2006 anno in
163
cui le compravendite hanno raggiunto il massimo storico di 845.051 segnando un incremento
del 75% circa rispetto al 1996 (vd. Figura 6.6).
Figura 6.6: Andamento delle NTN (migliaia) 1985-2008
Fonte: Agenzia del Territorio (2009)
Le compravendite hanno segnato un’inversione di tendenza a partire dal 2007 che si è poi
accentuata nel 2008 con una riduzione media del 15% circa rispetto al 2007 raggiungendo i
valori della fine del decennio precedente. In base ai dati forniti dall’Agenzia del Territorio,
nel 2008 la maggior diminuzione delle compravendite si è registrata al Nord e nei comuni non
capoluogo; quest’ultimi erano stati interessati dalla crescita del volume di compravendite fino
al 2006 mentre il mercato dei capoluoghi aveva già subito una frenata a partire dal 2005.
Anche le quotazioni hanno risentito della fase di debolezza del mercato immobiliare anche se
in misura più contenuta se commisurata alla brusca caduta registrata dalle compravendite di
abitazioni (vd. Tabella 6.4). Le quotazioni medie annuali per il 2008 hanno mostrato una
leggera crescita (+2,9% rispetto al 2007) ma il ritmo era già rallentato dal 2007; sul
peggioramento incidono probabilmente il calo delle compravendite e lo scoppio della crisi
subprime.
Tabella 6.4: Variazioni percentuali delle quotazioni delle compravendite di abitazioni
Variazione percentuale delle
quotazioni delle
compravendite di abitazioni
2005
2006
2007
2008
7,4%
8,3%
6,1%
2,9%
Fonte: Agenzia del Territorio (2009)
164
Si tratta comunque di una crescita mediamente inferiore al tasso di inflazione dei prezzi al
consumo (+3,3% nel 2008). Il rallentamento della crescita delle quotazioni immobiliari
residenziali risulta particolarmente evidente per le grandi città. Anche le quotazioni mostrano
quindi una fase di interruzione alla prolungata e sostenuta espansione del mercato
immobiliare dell’ultimo decennio. Tra il 2000 e il 2007, infatti, la crescita cumulata delle
quotazioni nominali è risultata compresa tra il 52% del Nord Ovest e il 90% del Centro.
Per quanto riguarda gli andamenti più recenti, nel 2009 si conferma il calo delle
compravendite che continua ad essere più pronunciato al Nord e nei comuni non capoluogo. Il
valore medio nazionale delle quotazioni del settore residenziale, invece, nel primo semestre
2009, per la prima volta dal 2004, registra una lieve flessione. Su base annua, nel primo
semestre 2009, le quotazioni sono diminuite mediamente dello 0,3% e il calo risulta più
marcato nei comuni capoluogo.
I dati che emergono dall’analisi del mercato immobiliare residenziale sono certamente più
confortanti soprattutto nel confronto internazionale. L’aumento delle quotazioni degli
immobili residenziali tra il 1999 e il 2007 è un fenomeno che ha accomunato gli altri Stati
europei seppure con intensità diverse da paese a paese (vd. Tabella 6.5). Anche il settore
immobiliare statunitense ha sperimentato, parallelamente a quello europeo, una vigorosa
crescita ma non solo; esso ha rappresentato anche il luogo in cui la crisi finanziaria è
divampata, nell’estate del 2007.
Tabella 6.5: Variazioni percentuali annue dei prezzi degli immobili residenziali in diversi
paesi dell’Area Euro
2001
2002
2003
2004
2005
2006
Francia
1997 2000
4,4%
7,9%
8,3%
11,7%
15,2%
15,3%
12%
Germania
-0,5%
0,2%
-1,3%
-1,3%
-1,6%
-1,6%
0,3%
Italia
1,5%
7,4%
13,7%
10,6%
9,2%
9,6%
6,7%
Olanda
14,1%
11,2%
8,5%
4,9%
4,1%
4,8%
4,5%
Spagna
6,2%
9,9%
15,7%
17,6%
17,4%
13,9%
10,4%
Area Euro
3,7%
5,6%
7,1%
7,0%
7,4%
7,9%
6,4%
Fonte: BCE (2007)
La Figura 6.7 mostra chiaramente come in Italia non si siano verificate bolle speculative
immobiliari come, invece, è accaduto in Spagna e Regno Unito. In questi Paesi si è assistito
nell’ultimo decennio a una straordinaria crescita dei prezzi degli immobili ben oltre l’effettivo
valore degli asset. Gli effetti della crisi subprime sono stati più pronunciati proprio per questi
paesi e hanno esercitato forti pressioni al ribasso sulle quotazioni immobiliari.
In Italia, quindi, sebbene sia riscontrabile un rallentamento del mercato immobiliare più
accentuato nel 2009 l’andamento delle quotazioni immobiliari nell’ultimo decennio non
segnalano andamenti anomali nel confronto storico.
165
Figura 6.7: Quotazioni delle abitazioni in Europa (prezzi correnti; indici 2002=100)
Fonte: Panetta et al (2009)
Sembra quindi che l’Italia - al contrario degli Stati Uniti, del Regno Unito e della Spagna - sia
stata immune dal fenomeno delle cosiddette bolle speculative immobiliari che al loro scoppio
hanno innescato una rapida perdita di valore degli immobili. La mancanza di segnali di
precedenti sopravvalutazioni degli immobili residenziali riduce il rischio di aggiustamenti
repentini nelle quotazioni nel prossimo futuro. La leggera flessione dei prezzi registrata nel
2009 può, pertanto, dipendere dal debole andamento del quadro economico generale e dal
rallentamento delle compravendite.
Considerando la maggiore stabilità strutturale del mercato immobiliare italiano è, quindi,
rilevabile un ridotto rischio delle RMBS italiane per due ordini di motivi. In primis, la limitata
volatilità dei prezzi degli immobili non provoca rilevanti variazioni del valore delle garanzie
bancarie e quindi sulla loro capacità di recupero del credito. In secondo luogo, l’assenza di un
vero e proprio boom nei prezzi immobiliari tra il 2003 e il 2006 ha limitato le operazioni
speculative sugli immobili. Al contrario, nel Regno Unito, numerosi sono stati gli acquisti
speculativi di immobili, finanziati con mutui, allo scopo di cederli in affitto. Per questi
investimenti, al momento dello scoppio della bolla immobiliare e al brusco calo delle
quotazione, è venuto a mancare l’incentivo a onorare il debito facendo scattare quindi la
vendita dell’immobile (in questo modo si alimenta anche la discesa delle quotazioni
immobiliari per effetto dell’aumento dell’offerta).
166
6.3.2 Il mercato dei finanziamenti immobiliari
L’analisi del mercato dei finanziamenti immobiliari permette di considerare le dimensioni e
l’evoluzione negli ultimi anni del mercato, consente di individuare le principali caratteristiche
dei mutui per l’acquisto delle abitazioni infine, permette di fornire indicazioni circa le
condizioni di accesso al credito e le politiche di origination e underwriting delle banche
italiane.
L’acquisto dell’abitazione è, in genere, l’investimento più importante di una famiglia poiché
molto costoso e, frequentemente, si colloca in specifiche classi di età, il più delle volte in
connessione con eventi familiari non agevolmente differibili (formazione di una nuova
famiglia, trasferimenti, nascita di figli, ecc.). Per tali ragioni le famiglie, al fine di affrontare
l’acquisto dell’abitazione, accedono al mercato del credito, attraverso contratti di mutuo, in
modo di dilazionare nel tempo i pagamenti.
La quota di famiglie italiane proprietarie dell’abitazione di residenza è più elevata della media
dei paesi europei e si colloca tra quelli con le quote più elevate. Il possesso dell’abitazione di
residenza è ovviamente collegato alle disponibilità economiche della famiglia però, nel corso
del tempo, il miglioramento generale delle condizioni di benessere della popolazione ha
consentito l’accesso a tale forma abitativa anche ad una parte consistente delle classi
relativamente meno agiate. In Italia, nello specifico, le particolari caratteristiche del mercato
della casa e l’elevata propensione all’acquisto dell’abitazione come “bene rifugio” si sono
tradotte in una marcata preferenza delle famiglie verso formule abitative più stabili.
I finanziamenti al settore immobiliare rappresentano una quota significativa del credito
bancario complessivo; essi includono sia i mutui alle famiglie consumatrici, sia gli impieghi
alle imprese di costruzioni e dei servizi con le attività immobiliari. Nel presente paragrafo ci
si concentrerà solamente sui mutui alle famiglie i quali, peraltro, costituiscono la componente
di maggior rilevo (circa il 60%) del totale finanziamenti al settore immobiliare.
L’espansione dei prestiti per l’acquisto di abitazioni è un fenomeno che ha avuto avvio dalla
seconda metà degli anni Novanta ma ha segnato un’accelerazione soprattutto negli anni più
recenti (vd. Figura 6.8). Dopo la vigorosa espansione dei prestiti erogati per l’acquisto
dell’abitazione tra il 2000-2006 a partire dal 2007 si nota un rallentamento che diviene più
marcato nel 2008 (vd. Figura 6.8) in linea con l’evoluzione del mercato immobiliare e con gli
effetti della crisi del mercato dei mutui subprime americani. Sul rallentamento delle
erogazioni incide la flessione della domanda di prestiti da parte delle famiglie a causa della
scarsa attività del mercato immobiliare e della caduta dei consumi di beni durevoli.
Sull’andamento del credito hanno influito anche politiche di offerta più caute adottate delle
banche in seguito all’aumento del costo della provvista, alla parziale chiusura dei canali di
raccolta sui mercati internazionali, al deterioramento del merito di credito della clientela, alla
necessità di rafforzare il rapporto tra patrimonio e attivo per far fronte alle pressioni
provenienti dai mercati, in una fase di elevata incertezza (Banca d’Italia, 2009). È opportuno
precisare che le erogazioni comprendono sia i nuovi mutui sottoscritti per l’acquisto di una
abitazione sia le erogazioni a fronte di una sostituzione di un mutuo già in atto; per tale
ragione risulta complesso comprendere totalmente la dinamica delle erogazioni nel 2008.
167
Figura 6.8: Erogazioni di finanziamenti oltre il breve termine a famiglie consumatrici per
acquisto di immobili 2000-2008 (milioni di Euro)
70000
62873
62758
56980
56266
60000
48817
50000
€ milioni
42875
40000
35338
29149
30057
2000
2001
30000
20000
10000
0
2002
2003
2004
2005
Q1
Q2
Q3
Q4
2006
2007
2008
Totale
Fonte: Base Informativa Pubblica – Tavola TDB10430
Note: Per finanziamenti oltre il breve termine si intendono quei finanziamenti con una durata originaria superiore
a 12 mesi, a partire da Dicembre 2008, e superiore a 18 mesi per i periodi precedenti.
I fattori che hanno contribuito all’evoluzione dei finanziamenti concessi per l’acquisto
dell’abitazione, oltre ai bassi tassi di interesse nominali e reali e al ciclo economico positivo,
riguardano anche aspetti di operatività delle banche italiane. Con riferimento a quest’ultimo
fattore, si ricorda l’introduzione del Testo Unico Bancario (T.U.B.) nel 1993 che sancì il
modello di banca universale181 e definì, per la prima volta, le finalità dell’attività di vigilanza.
La normativa è stata quindi rivista in modo radicale con l’eliminazione di tutte le barriere di
prodotto e territoriali inoltre, grazie alla generale privatizzazione del sistema bancario si sono
eliminate le distorsioni preesistenti. Il nuovo contesto normativo ha condotto a un aumento
del numero di intermediari operanti nel comparto dei mutui alle famiglie il quale, a sua volta,
ha incrementato l’offerta di finanziamenti. L’aumento della concorrenza è stata causata anche
dall’ingresso sul mercato italiano di operatori esteri: il quadro regolamentare negli anni
Novanta infatti si evoluto profondamente con il riconoscimento in Europa dei principi di
libertà di stabilimento e dell’home country control che equiparano l’attività delle banche
locali ed estere. Il risultato è stato un innalzamento del grado di concorrenza che ha portato a
un aumento di efficienza del mercato italiano dei mutui ipotecari il quale si è tradotto in una
migliore accessibilità al credito da parte delle famiglie.
Anche lo spostamento verso forme di raccolta fondi più market-oriented intervenuto tra il
1999 e il 2007 ha contribuito negli ultimi anni a finanziare la forte espansione dei prestiti
delle banche italiane. Le cessioni dei mutui, realizzate prevalentemente per mezzo delle
cartolarizzazioni, hanno rappresentato un’importante forma di finanziamento per le banche
181
La legge bancaria del 1936 basata sulla specializzazione aveva creato un sistema segmentato per categorie:
aziende di credito, focalizzate prevalentemente sul breve termine e sul finanziamento dei cicli produttivi, e
istituti e sezioni di credito speciale, operanti a medio e lungo termine a sostegno dell’attività di investimento.
168
italiane sebbene esse siano più proiettate verso strumenti di funding più tradizionali (depositi
e obbligazioni al dettaglio). La cessione dei mutui tra il 2001 e il 2007 hanno costituito in
media il 30% delle nuove erogazioni di mutui; nel 2008 tale quota è raddoppiata riflettendo
quasi interamente l’aumento delle operazioni di autocartolarizzazione volte a costituire le
garanzie necessarie per ottenere finanziamenti presso l’Eurosistema (Panetta et al, 2009).
Sull’aumento delle erogazioni hanno dunque probabilmente influito le nuove opportunità di
raccolta fondi fornite dalla cartolarizzazione a disposizione delle banche italiane. La
possibilità di diversificare le fonti di raccolta si sono ampliate ulteriormente nel 2007 grazie
all’introduzione dei covered bond.
La lunga fase espansiva del comparto dei mutui ha caratterizzato la gran parte dei paesi
dell’Area dell’Euro, sebbene con intensità diverse. Nonostante la crescita delle erogazioni per
l’acquisto di immobili, il mercato dei mutui italiano nel confronto internazionale risulta di
dimensioni ridotte e poco sviluppato (vd. Figura 6.9). I crediti alle famiglie erogati da
intermediari creditizi per l’acquisto di abitazioni erano pari al 21,8% alla fine del 2007, contro
una media per l’Unione Europea del 41,5%; l’Italia pertanto si situa tra gli ultimi paesi
dell’Unione per la dimensione di questo indicatore. Parimenti il mercato italiano dei mutui è
tra i più piccoli in Europa in termini di quote percentuali sul totale Area Euro: la quota
dell’Italia per questo segmento di attività si è attestata, nel 2009, al 7,9% contro valori del
27,1%, 20,2% e 18,5% di Germania, Francia e Spagna. Tuttavia, per l’Italia, l’incremento dei
mutui alle famiglie è risultato elevato e superiore alla media: tra il 2001 e il 2006 i crediti per
l’acquisto di abitazioni sono aumentati a un tasso medio annuo del 17,8% a fronte di un
incremento medio nell’Unione Europea dell’11,2% (Rossi, 2009).
Figura 6.9: Prestiti alle famiglie per l'acquisto di abitazioni in rapporto al PIL 2007 (valori
percentuali)
100,0%
89,4%
90,0%
73,9%
80,0%
69,4%
70,0%
61,5%
60,0%
44,6%
50,0%
40,7% 40,0%
37,1% 35,8%35,0% 34,6%
40,0%
41,5%
30,3%
30,0%
24,9%
21,8%
20,0%
Fonte: BCE (2009)
169
Area Euro
Italia
Austria
Grecia
Finlandia
Francia
Belgio
Malta
Germania
Lussemburgo
Cipro
Spagna
Portogallo
Irlanda
Olanda
0,0%
Slovenia
7,7%
10,0%
Negli ultimi dieci anni l’incremento di concorrenza registrato nel comparto dei finanziamenti
alle famiglie per l’acquisto di abitazioni si è associato a numerose innovazioni di processo e
di prodotto nell’offerta di prestiti.
a) Processo di concessione dei prestiti
La fase di selezione dei soggetti che richiedono un prestito è estremamente importante per
l’attività dell’intermediario e per la sua stabilità finanziaria. L’innovazione tecnologica ha
apportato significativi miglioramenti in questa attività con effetti sui processi di origination e
underwriting dei prestiti. Di recente, infatti, sono state introdotte da un numero crescente di
intermediari tecniche di credit scoring utilizzate per l’erogazione di mutui alle famiglie a
supporto delle decisioni in merito alla concessione del prestito, all’importo del finanziamento
e per la valutazione periodica del rapporto di clientela. Il credit scoring è un sistema usato per
valutare in modo efficiente la solvibilità del consumatore attraverso l’elaborazione di una
serie di informazioni sul soggetto da finanziare. Le informazioni più rilevanti utilizzate sono
di quattro tipologie:
- quelle relative al prenditore di fondi (come ad esempio: il reddito disponibile e il
lavoro svolto);
- quelle relative alle caratteristiche del finanziamento da erogare (come ad esempio:
durata e importo del finanziamento);
- quelle relative al bene da finanziare;
- quelle relative al grado di indebitamento del richiedente credito censite, ad esempio,
nelle Centrali dei Rischi.
L’output dei sistemi di scoring è ovviamente un punteggio in funzione del quale
l'intermediario trae elementi utili per accettare o rifiutare il finanziamento nonché per
determinare l’entità del finanziamento e il tasso di interesse applicato. I vantaggi del credit
scoring risiedono nella possibilità di sfruttare tutte le informazioni disponibili presso
l’intermediario le quali, attraverso l'applicazione di metodi o modelli statistici, producono un
giudizio sintetico sul profilo di rischio, affidabilità o puntualità nei pagamenti del soggetto
richiedente. Inoltre, il credit scoring basandosi su sistemi automatizzati è utilizzabile in modo
sistematico e replicabile.
L’introduzione delle nuove tecniche di valutazione dovrebbe facilitare l’ampliamento della
gamma di prodotti offerti per soddisfare le diverse esigenze della clientela, in particolare
quella più giovane e meno abbiente, inoltre comporrebbe una maggiore standardizzazione
della documentazione che assiste le pratiche di affidamento, passaggio necessario per
eventuali operazioni di cartolarizzazione (Rossi, 2008).
b) Principali caratteristiche dei finanziamenti per l’acquisto di abitazioni
Il mutuo è un contratto tipizzato dal Codice Civile all’art. 1813 “col quale una parte consegna
all'altra una determinata quantità di danaro o di altre cose fungibili, e l'altra si obbliga a
restituire altrettante cose della stessa specie e qualità”. Il mutuo è, infatti, un finanziamento a
medio-lungo termine, in genere con una durata che va da 5 a 30 anni, erogato dalla banca in
un’unica soluzione, a fronte della quale il mutuatario è obbligato a corrispondere una
successione di versamenti periodici, destinati a pagare interessi e quote del capitale prestato,
secondo un piano di ammortamento definito all’atto della stipulazione del contratto.
La tipologia di finanziamento più utilizzata per sostenere l’acquisto di immobili prende il
nome di mutuo ipotecario ossia un prestito assistito da ipoteca di primo grado su un immobile,
170
a titolo di garanzia del rimborso delle rate dovute dal mutuatario. L’ipoteca, nello specifico,
attribuisce al creditore la facoltà di espropriare i beni vincolati a garanzia del suo credito e di
essere soddisfatto con preferenza sul prezzo ricavato dall'espropriazione.
Gli elementi caratterizzanti del contratto di mutuo sono il tasso di interesse e la durata. Il tasso
di interesse, espresso in termini percentuali, misura gli interessi che il cliente deve
corrispondere alla banca a titolo di compenso per il prestito erogato. I principali tipi di mutuo
sono quelli a tasso fisso o a tasso variabile. I mutui a tasso fisso, come il nome suggerisce,
mantengono fisso il tasso di interesse pattuito per tutta la durata del mutuo. Se da un lato il
mutuo a tasso fisso permette di conoscere a priori gli importi delle singole rate e l’ammontare
complessivo del debito da restituire dall’altro non consente di beneficare di eventuali
riduzioni dei tassi di mercato inoltre, generalmente, le condizioni applicate dall’intermediario
risultano più onerose rispetto al mutuo a tasso variabile. Il tasso di interesse dei mutui a tasso
variabile può variare, rispetto al tasso di partenza, a scadenze prestabilite durante la vita del
contratto in base all’evoluzione del parametro di riferimento. In tal caso, il rischio principale è
l’aumento imprevedibile dell’onerosità della rata da rimborsare. Di norma, all’inizio del
contratto, il tasso variabile è più basso del tasso fisso ma, a causa delle sua aleatorietà che può
comportare aumenti consistenti della spesa per interessi, è consigliabile a soggetti che
possono sostenere eventuali aumenti dell’importo delle rate. Negli ultimi tempi, grazie a
innovazioni intervenute nella gamma di finanziamenti offerti dagli intermediari bancari, sono
disponibili anche mutui a tasso misto - il tasso di interesse può passare da fisso a variabile (o
viceversa) a scadenze fisse e/o a determinate condizioni indicate nel contratto – e mutui a due
tipi di tasso - il mutuo è suddiviso in due parti: una con il tasso fisso, una con il tasso
variabile. In base alla tipologia di tasso applicato varia il parametro di riferimento: in genere il
principale parametro di indicizzazione per i mutui ipotecari a tasso fisso è l’Euris (Euro
Interest Rate Swap o Irs) a 5/10 anni ossia un tasso interbancario pari ad una media ponderata
delle quotazioni alle quali le banche operanti nell'Unione Europea realizzano l'Interest Rate
Swap; i mutui a tasso variabile sono invece indicizzati all’Euribor (Euro Interbank Offered
Rate) a 1/3/6 mesi calcolato come media ponderata dei tassi di interesse ai quali le banche
operanti nell'Unione Europea cedono i depositi in prestito. In alternativa all’Euribor, per i
mutui a tasso variabile, può essere preso come parametro di indicizzazione (dal 1 Gennaio
2009) il tasso BCE ovvero quel tasso al quale la Banca Centrale Europea concede prestiti alle
banche operanti nell’Unione Europea. Il tasso di interesse definito dal parametro di
indicizzazione viene maggiorato di uno spread che rappresenta il guadagno dell'istituto di
credito e varia in base alla capacità di rimborso del mutuatario (in genere lo spread varia tra
l'1% ed il 2%). La durata del mutuo ipotecario è a medio-lungo termine e va, in genere, tra i 5
e i 30 anni; la durata media si aggira intorno ai 20 anni. Il mutuatario deve comunque tener
presente quando concorda una durata con l’intermediario che la durata del mutuo incide
sull’importo della rata. Infatti, a parità di importo del finanziamento e di tasso di interesse,
quanto più breve è la durata, tanto più alte sono le rate ma più basso l’importo dovuto per gli
interessi; quanto più lunga è la durata, tanto maggiore è l’importo dovuto per gli interessi ma
meno onerose le rate.
Ulteriore elemento che caratterizza il contratto è il piano di ammortamento; esso, oltre a
stabilire la data entro la quale il debito deve essere interamente rimborsato, definisce la
periodicità delle singole rate (mese, trimestre, semestre) e i criteri per determinare
l’ammontare di ogni rata che è composta dalla quota interessi e dalla quota capitale. Esistono
varie tipologie di ammortamento ma, in Italia, il più comune è il cosiddetto ammortamento
171
“alla francese”. In base all’ammortamento “alla francese” la rata rimane costante durante la
durata del contratto mentre cambiano al suo interno la quota interessi e la quota capitale; nello
specifico per i mutui a tasso fisso all’inizio del contratto si pagano soprattutto interessi mentre
via via che il capitale viene restituito l’ammontare degli interessi diminuisce e la quota
capitale aumenta.
Il mercato italiano dei mutui alle famiglie risulta meno evoluto che in altri paesi anche sotto il
profilo della varietà di prodotti offerti (vd. Tabella 6.6). La quota finanziata del valore
dell’immobile è tra le più basse nel confronto internazionale e ben al di sotto la media
dell’Area dell’Euro (65% contro il 79% per l’Area Euro). Infatti, in Italia tipicamente
l’intermediario concede un importo che non supera l’80% del valore dell’immobile (stabilito
in base a perizia effettuata da un esperto). Uno dei fattori che può aver avuto un effetto
negativo sull’ampliamento del LTV è la scarsa diffusione di strumenti di payment protection
insurance ovvero prodotti assicurativi che consentono di gestire i rischi di insolvenza delle
famiglie.
Tabella 6.6: Caratteristiche dei finanziamenti per l’acquisto di abitazioni (2007)
LTV
Tasso di
interesse
prevalente
mutui a tasso variabile
totale mutui
Tasso di
riferimento
Durata
tipica
(anni)
70%
Fisso
15%
Tasso a lungo
termine
25-30
Spagna
72,5%
Variabile
91%
Euribor
12-mesi
30
Francia
91%
Fisso
15%
Euribor
12-mesi
19
Italia
65%
Variabile
47%
Euribor
3-mesi
22
Olanda
101%
Fisso
18%
Tasso a lungo
termine
30
Area Euro
79%
-
43%
-
-
Germania
Fonte: BCE (2009)
In Italia sono più diffusi i mutui a tasso variabile e il parametro di riferimento per il tasso di
interesse di norma è l’Euribor a 3 mesi. Sebbene a livello europeo il tasso variabile sia più
diffuso la situazione varia da paese a paese; nel 2005 si è assistito in tutti gli Stati dell’Area
Euro a un grande incremento della quota di mutui a tasso variabile (BCE, 2009). La durata
media dei mutui per l’acquisto dell’abitazione nell’Area Euro va da un minimo di 19 anni a
un massimo di 30. In Italia la durata media è pari a 22 anni. Si è assistito in tutta l’Area Euro,
nell’ultimo decennio, a un allungamento della durata dei mutui ipotecari, in parte causato
dall’aumento delle quotazioni immobiliari che, a sua volta, ha comportato la richiesta di
importi di finanziamenti maggiori sostenibili solo con un allungamento delle scadenze. Altri
fattori che possono aver influito sul protrarsi della scadenza dei mutui ipotecari sono:
172
l’aumento dell’aspettativa di vita, l’aumento dell’età pensionabile e, dal lato dell’offerta, la
disponibilità di fonti di raccolta a lungo termine come la cartolarizzazione e i covered bond.
Sebbene il mercato dei mutui italiano, se comparato a quelli degli altri paesi europei, appare
poco sviluppato con riferimento alla varietà di prodotti disponibili, nell’ultimo decennio si è
assistito all’ampliamento delle caratteristiche contrattuali dei mutui, stimolato anche dalla
maggiore concorrenza, che ha reso possibile l’aumento della quota di famiglie che ha avuto
accesso a questi strumenti di indebitamento rispetto al passato. L’innovazione nelle forme
contrattuali ha riguardato principalmente tre aspetti:
- la durata: sono stati sviluppati mutui con durate pari o superiori ai 30 anni. L’offerta di
questi mutui, secondo l’indagine di Rossi (2008), risulta più diffusa tra le banche di
grandi dimensioni, localizzate nelle regioni del Nord Est e del Centro; il valore dei
mutui erogati nel 2006 con durata almeno trentennale era pari al 18% delle erogazioni
complessive e rappresentava il 5 per cento circa dello stock di mutui in essere alla fine
del 2006;
- la flessibilità del profilo di rimborso e, in particolare, mutui con rate di ammortamento
costante e durata variabile. Secondo lo studio di Rossi (2008) circa l’8% dei mutui
erogati nel 2006 dalle banche del campione presentava questa caratteristica;
- la quota del valore dell’immobile finanziata (loan to value, LTV). Le banche hanno
iniziato ad offrire mutui con LTV superiore all’80%. Questi mutui, in base
all’indagine di Rossi (2008) risultano meno diffusi nelle regioni meridionali e il loro
peso è pari al 6,4% dei mutui erogati nel 2006.
In Italia, hanno avuto una diffusione molto limitata, invece, prodotti più innovativi come i
mortgage equity withdrawal che consentono di ottenere nuovo credito dalla banca a seguito di
un apprezzamento dell’immobile oggetto del mutuo originario. Nonostante il segnale di
apertura del mercato dei finanziamenti immobiliari verso nuove forme contrattuali la loro
diffusione è fortemente limitata come testimoniato dall’indagine di Rossi (2008) e
l’erogazione è subordinata alla presentazione di maggiori garanzie e, spesso, all’applicazione
di condizioni meno favorevoli per il cliente.
c) Procedure esecutive immobiliari
In caso di inadempimento dell'obbligazione garantita con l’ipoteca, la banca può far vendere,
mediante procedura esecutiva, il bene dato in garanzia (l’immobile nel caso dei mutui
ipotecari) al fine di recuperare il credito. In Italia le procedure esecutive immobiliari sono
molto costose e time-consuming infatti, sono tra le più lunghe in Europa. La durata delle
procedure esecutive immobiliari è in media pari a 55 mesi (contro una media per l’Area
dell’Euro di circa 24 mesi) con una forte variabilità in funzione della provincia o della regione
di ubicazione dell’immobile. Nel Nord Italia la durata media è di 4,3 anni, nel Centro di 6,4
anni al Sud di 11,1 anni con picchi di 15 anni in Sicilia. Tempi di recupero del credito così
elevati incidono sulla rischiosità dei RMBS e, in particolare, aumentano la loss-given-default.
Tuttavia le banche italiane, a causa dei problemi di escussione della garanzia, tendono ad
evitare di dover vendere l’immobile cercando piuttosto di portare avanti il mutuo
eventualmente rinegoziandolo o sospendendo temporaneamente i pagamenti. Inoltre, le
cartolarizzazioni italiane di mutui ipotecari tengono conto di questa inefficienza e adottano un
meccanismo di riserva di cassa molto conservativo. In sostanza la liquidità in eccesso nella
struttura di cartolarizzazione viene canalizzata in appositi conti di riserva a cui il veicolo
attinge per pagare le cedole e rimborsare i RMBS quando il tasso di insolvenza aumenta.
173
d) Nuove misure in materia di mutuo
Negli anni più recenti e, in particolare, a partire dal 2007 il legislatore ha apportato importanti
innovazioni alla normativa relativa ai rapporti tra clienti e intermediari, al fine di aumentare la
concorrenza nel mercato dei mutui residenziali, abbassare le barriere all’uscita e di proteggere
i contraenti di mutui a tasso variabile dall’aumento dei tassi di riferimento.
La Legge n. 40 del 2 Aprile 2007 che ha convertito il cosiddetto “Decreto Bersani bis” ha
introdotto nel nostro paese importanti novità in materia di mutui stipulati per l’acquisto o la
ristrutturazione di unità immobiliari adibite ad abitazione o allo svolgimento della propria
attività economica o professionale da parte di persone fisiche. In primis viene introdotta la
possibilità di estinguere anticipatamente, totalmente o parzialmente, il mutuo senza
l’applicazione di penali. La disposizione ha carattere fortemente innovativo infatti, fino
all’introduzione della Legge n. 40/2007, l’estinzione anticipata del debito era scoraggiata
proprio per la presenza di penali. La disciplina si applica solo ai contratti di mutuo stipulati a
decorrere dalla data di entrata in vigore del Decreto Legge (2 Febbraio 2007); per quanto
riguarda i contratti di mutuo stipulati anteriormente alla predetta data la definizione delle
regole generali per la riconduzione a equità della penale è stata demandata all'ABI e alle
associazioni dei consumatori più rappresentative a livello nazionale.
La stessa Legge n. 40/2007 regola la “portabilità” di mutui e altri contratti di finanziamento la
quale consente al debitore di “trasferire” il mutuo o altri finanziamenti contratti ad altri
intermediari bancari e finanziari. Il cliente, in base alle nuove disposizioni, può quindi
sostituire un nuovo finanziatore a quello originario, utilizzando la provvista messa a
disposizione da un nuovo finanziamento stipulato allo specifico scopo di rimborsare
anticipatamente quello precedente. La garanzia viene trasferita in capo alla nuova banca
infatti, l’ipoteca non dovrà essere cancellata e poi ricostituita ma si conserverà a favore del
nuovo intermediario.
A causa del forte aumento dei tassi di interesse che prima della crisi ha caratterizzato i mercati
finanziari internazionali è emersa una situazione di fragilità finanziaria per le famiglie italiane
che negli anni precedenti avevano contratto prestiti a tasso variabile imponendo l’esigenza di
intervenire sul piano della sostenibilità dei costi connessi ai mutui. Il Decreto Legge n. 93 del
27 Maggio 2008 ha, pertanto, introdotto la rinegoziazione dei mutui a tasso variabile accesi
prima dell’entrata in vigore del Decreto stesso per l’acquisto, la costruzione e la
ristrutturazione dell’abitazione principale. Il MEF e l’ABI, mediante un’apposita
convenzione, hanno definito le modalità e i criteri per la rinegoziazione dei mutui la quale
permette di ridurre l’importo delle rate attraverso un calcolo basato sull’applicazione,
all’importo originario del mutuo, del tasso risultante dalla media dei tassi applicati nell’anno
2006 ai sensi del contratto. Il nuovo importo della rata così calcolato rimane fisso per la
durata residua del contratto e risulterà più sostenibile per la clientela.
Più recentemente, invece, al fine di sostenere i rapporti di credito con le famiglie in difficoltà
a seguito della crisi è stata approvato dall’ABI il Piano Famiglie. L’obiettivo che il Piano
Famiglie si propone è quello di rendere più sostenibile la rata del mutuo per quelle famiglie
che hanno perso fonti di reddito a causa della crisi. In particolare da Gennaio 2010 è scattata
la moratoria sulle rate dei mutui ossia la sospensione del pagamento delle rate per 12 mesi 182
qualora si siano verificati specifici avventi avversi che hanno comportato la perdita di una
fonte di reddito (perdita del posto di lavoro da parte di lavoratori a tempo indeterminato,
lavoratori autonomi che hanno cessato l’attività, lavoratori in cassa integrazione ecc.).
182
La sospensione della rata comporterà lo slittamento in avanti dell’intero piano di ammortamento.
174
Gli strumenti per rinegoziare i mutui ovvero per cambiare intermediario hanno avuto un
notevole successo da parte delle famiglie e gli effetti delle nuove disposizioni hanno avuto un
impatto anche sui titoli RMBS italiani e, in particolare, sul rimborso anticipato. Il rischio di
rimborso anticipato per i RMBS italiani, prima dell’introduzione delle nuove disposizioni in
materia di mutui, era pressoché irrilevante a causa della bassa percentuale di mutuatari che
decideva di estinguere prima della scadenza il proprio debito proprio per la presenza di quelle
penali la cui applicazione è stata esclusa dal Decreto Bersani. L’effetto combinato tra le nuove
misure in materia di mutuo, gli elevati tassi di interesse e la maggiore concorrenza tra le
banche hanno spinto molti mutuatari a cambiare intermediario estinguendo anticipatamente il
“vecchio” mutuo facendo così impennare il prepayment rate dei RMBS che da valori stabili al
4-5% registrati negli anni precedenti è passato al 10,8% nel 2008 (raggiungendo in questo
modo valori simili a quelli degli altri paesi europei). Il rimborso anticipato del debito produce
effetti sulla struttura di cartolarizzazione e, in particolare, impatta sulla scadenza dei rimborsi
in conto capitale spettanti agli investitori in RMBS e sui cash flow a titolo di interesse attesi
dal portafoglio di mutui ipotecari cartoralizzati. L’elevato tasso di rimborso anticipato
raggiunto non ha comunque provocato variazioni di giudizio sui RMBS espressi dalle agenzie
di rating, infatti i livelli raggiunti sono ancora inferiori alle assunzioni dei CPR utilizzate dalle
agenzie di rating per simulare scenari di stress al fine di attribuire una valutazione a questi
strumenti finanziari. Da un punto di vista degli investitori in RMBS, invece, la ricezione
anticipata di parte del rimborso del capitale non ha provocato rischio di reinvestimento dal
momento che essa è avvenuta in un periodo in cui i tassi erano in una fase di crescita. Al
momento, considerata la libertà consentita ai mutuatari di rimborsare anticipatamente il
debito, sono sotto studio nuove tecniche di hedging al fine di mitigare gli effetti di più elevati
prepayment rate.
L’analisi del mercato dei finanziamenti immobiliari mette in luce l’importante fase di
espansione che ha interessato questo comparto nell’ultimo decennio tuttavia, nel confronto
internazionale, il mercato nazionale è ancora sottosviluppato soprattutto per quanto riguarda
la gamma di mutui offerta dagli intermediari finanziari. Infatti, sebbene siano ravvisabili
alcune innovazioni di prodotto che hanno reso l’offerta più ampia e flessibile, nel comparto
dei mutui ipotecari risultano predominanti gli strumenti di finanziamento tradizionali. È
importante sottolineare come il passaggio verso una società di proprietari dell’abitazione di
residenza sia avvenuto nel contesto di modalità di finanziamento che sono rimaste sempre
prudenti. La prudenza nella concessione dei mutui, la regola di rimanere al di sotto di certe
soglie di loan-to-value se da un lato hanno rallentato il processo dall’altro hanno impedito il
verificarsi di fenomeni di degenerazione che hanno avuto luogo in altri paesi. La prudenza da
parte degli intermediari che offrivano il mutuo abbinata alla cautela da parte di chi lo chiedeva
hanno permesso la creazione di un modello caratterizzato da maggiore robustezza.
175
176
7. Analisi del rischio dei mutui concessi alle famiglie italiane
7.1 Introduzione
La forte espansione dei prestiti concessi per l’acquisto dell’abitazione che ha caratterizzato
soprattutto la prima metà del decennio, evidenziata al paragrafo 6.3.2, induce a una riflessione
in merito alla sostenibilità dei debiti stessi sollecitata, peraltro, dall’impatto della recente crisi
sul reddito familiare. Nei paragrafi seguenti si procederà all’analisi della rischiosità dei mutui
per l’acquisto dell’abitazione concessi alle famiglie italiane con l’obiettivo di ottenere
informazioni sulla qualità del collateral sottostante i titoli RMBS. L’analisi del rischio dei
mutui si basa sul campione di famiglie indebitate estrapolato dall’Indagine sui Bilanci delle
Famiglie Italiane (Survey on Household Income and Wealth, SHIW) della Banca d’Italia nel
periodo di tempo che va dal 2000 al 2008. I microdati SHIW permettono, infatti, di
fotografare il livello di indebitamento delle famiglie italiane, di evidenziare le principali
caratteristiche dei mutui concessi alle famiglie e di calcolare alcuni indicatori di fragilità
finanziaria. Dopo una breve descrizione del dataset utilizzato si procederà alla presentazione
delle stime ottenute dall’elaborazione dei dati SHIW e, infine, verranno esposti i principali
risultati ottenuti da un’analisi econometrica della probabilità di ritardo col pagamento di
almeno una rata del mutuo.
7.2 Il dataset: la SHIW
Le variabili microeconomiche che possono fornire informazioni sulla rischiosità dei mutui
immobiliari sono state estrapolate dall’Indagine sui Bilanci delle Famiglie Italiane (Survey on
Household Income and Wealth, SHIW) della Banca d’Italia. Si tratta di un’indagine
campionaria a cadenza biennale nata negli anni Sessanta che persegue l'obiettivo di
raccogliere informazioni su i redditi, i risparmi, la ricchezza e altri aspetti inerenti i
comportamenti economici e finanziari delle famiglie italiane. I risultati dell'indagine vengono
regolarmente pubblicati nei Supplementi al Bollettino Statistico della Banca d’Italia e sono
disponibili gratuitamente per elaborazioni e ricerche con due anni di ritardo rispetto all’anno
di riferimento (l’ultima indagine disponibile, quindi, pubblicata a Febbraio 2010 riguarda i
dati 2008). Nelle ultime indagini il campione è formato da circa 8.000 famiglie (24.000
individui), distribuite in circa 300 comuni italiani (vd. Tabella 7.1). Dal 1989 per favorire
l'analisi dell'evoluzione dei fenomeni oggetto di indagine, è stato introdotto uno schema che
prevede la presenza nel campione di una quota di unità già intervistate in occasione di
precedenti indagini (le cosiddette famiglie panel).
Il questionario sottoposto agli intervistati si compone di una parte di base, nella quale sono
rilevati i fenomeni ai quali tutte le famiglie sono interessate, e di diversi allegati, in cui sono
raccolte informazioni che riguardano soltanto specifici sottoinsiemi di famiglie. I dati rilevati
dall’indagine possono presentare incoerenze infatti, da parte dell’intervistato possono esserci
problemi di comprensione della domanda, di memoria nel fornire una risposta adeguata o
anche reticenza nel fornire informazioni percepite come riservate. Al fine di rendere coerenti i
dati raccolti essi vengono sottoposti a una fase di controllo e successivamente viene effettuata
177
l'imputazione delle mancate risposte per tutte le variabili elementari che costituiscono le
componenti di variabili aggregate 183.
Tabella 7.1: Famiglie intervistate nel corso del tempo e quota panel
Fonte: Banca d’Italia (2010a)
Un altro problema, tipico delle indagini statistiche, è quello che attiene alle mancate interviste
dal momento che i campioni di segmenti di popolazione meno disposti a collaborare possono
essere sottorappresentati, producendo stime distorte (selectivity bias). La soluzione a
quest’ordine di problema ha lo scopo di sensibilizzare le famiglie sull’importanza
dell’indagine e a rassicurarle sulla riservatezza delle informazioni fornite al fine di ridurre
progressivamente il fenomeno della mancata risposta. Altre misure adottate, invece,
riguardano i criteri di estrazione delle famiglie “sostituto” le quali sono estratte mediante
criteri casuali negli stessi comuni della famiglia che non è stato possibile intervistare. Un
ulteriore aspetto che può influire sulla qualità delle stime riguarda il fenomeno dell’underreporting soprattutto quando viene chiesto all’intervistato di fornire informazioni sulle proprie
fonti di reddito o sulle forme di attività finanziarie o reali possedute. Procedure di correzione
della distorsione delle stime campionarie della ricchezza finanziaria causata dalla reticenza
delle famiglie intervistate (under-reporting) sono state proposte da D’Aurizio et al (2006) al
fine di tener conto sia dell’under-reporting sul possesso di attività/passività finanziarie sia di
183
Il numero dei dati imputati è in generale modesto, dell’ordine di qualche decina di casi per la maggior parte
delle variabili. L’imputazione avviene mediante l’utilizzo di modelli di regressione i quali consentono la stima
dei valori da attribuire alle mancate risposte sulla base di altre informazioni disponibili. Successivamente, al fine
di evitare una eccessiva concentrazione intorno ai valori medi, al dato stimato viene aggiunta una componente
casuale, estratta da una variabile di tipo normale, con media zero e varianza pari a quella dei residui del modello
di regressione utilizzato. In tal modo si intendono preservare la media e la varianza che caratterizzano i dati
effettivamente rilevati.
178
quello sul valore. Il processo di correzione, tuttavia, è piuttosto complesso e laborioso e, per
quanto riguarda le passività finanziarie, l’aggiustamento è minimale; pertanto le stime sui dati
SHIW che seguono non sono state corrette per la distorsione da under-reporting.
In linea generale si riscontra una difficoltà crescente a ottenere l'intervista al crescere del
reddito, della ricchezza e del titolo di studio del capofamiglia. Minori difficoltà si incontrano,
invece, con le famiglie con un ridotto numero di componenti, residenti al Sud e Isole o in
comuni di piccole dimensioni, con capofamiglia anziano o non occupato. Sebbene il livello di
attendibilità non è omogeneo all’interno del campione esso risulta per tutte le indagini in
media soddisfacente.
Nel presente lavoro, al fine di coprire l’arco temporale di analisi, saranno utilizzate le ultime
cinque indagini, ossia da quella del 2000 fino ad arrivare a quella più recente del 2008. Le
informazioni rilevanti ai fini del presente studio riguardano le passività finanziarie delle
famiglie italiane e, nello specifico, i mutui per l’acquisto o ristrutturazione di immobili. I dati
estratti dalla SHIW e successivamente elaborati altro non sono che le risposte alle sezione D
“Abitazione di residenza, altri beni immobili ed indebitamento” del questionario e, in
particolare, le informazioni più rilevanti riguardano:
- l’esistenza di un debito al 31 Dicembre per l’acquisto o la ristrutturazione
dell’abitazione di residenza;
- l’ammontare residuo del mutuo al 31 Dicembre (disponibile a partire dal 2004);
- l’ammontare complessivo (capitale e interessi) della rata annua;
- l’importo iniziale del mutuo;
- l’anno in cui il mutuo è stato ottenuto;
- la durata del mutuo inizialmente stabilita;
- il tipo di tasso applicato;
- il ritardo nel pagamento di una rata per oltre 90 giorni nel corso dell’anno (disponibile
solo nell’indagine per il 2008).
Le informazioni sull’indebitamento sono poi corredate dalle variabili socio-demografiche
(età, sesso, area di residenza, condizione lavorativa ecc.) ed economiche (reddito disponibile,
ricchezza familiare ecc.). Le prime sono riferite al capofamiglia, nella presente analisi, inteso
come il responsabile dell’economia familiare; le seconde vengono utilizzate a livello
aggregato di unità familiare.
Si precisa fin da ora che, benché possano costituire collateral di titoli RMBS sia i mutui
concessi per l’acquisto dell’abitazione di residenza sia quelli contratti per l’acquisto di altri
immobili, l’analisi basata sui dati SHIW sarà circoscritta ai primi. L’indagine SHIW infatti,
permette di conoscere solo l’esistenza o meno di un debito verso istituzioni finanziarie per
l’acquisto o ristrutturazione di altri immobili e il debito residuo ma, a causa della mancanza di
informazioni circa l’anno in cui è stato ottenuto il mutuo o la vita residua, risulta impossibile
risalire al piano di ammortamento e ad altre informazioni rilevanti per lo studio di quella
particolare categorie di mutui.
Per la creazione e la gestione del dataset si è utilizzato il software Microsoft Excel attraverso
cui sono state prodotte statistiche descrittive poi organizzate in forma tabellare o grafica. Le
statistiche descrittive riguardano il livello di indebitamento per l’acquisto dell’abitazione di
residenza degli household italiani; analisi più approfondite (come ad esempio lo studio della
distribuzione dell’indebitamento in base a variabili demografiche ed economiche e della
vulnerabilità finanziaria), coerentemente allo scopo dell’analisi (valutazione della rischiosità
179
di un campione di mutui concessi alle famiglie italiane), sono riferite al solo universo delle
famiglie indebitate.
In tutte le elaborazioni, come per altro suggerito dalla stessa Banca d’Italia, sono stati
utilizzati i coefficienti di ponderazione per ottenere stime non distorte e, in particolare, si è
fatto uso dei coefficienti di ponderazione PESOFL2 che consento una buona comparabilità
delle stime tra indagini diverse.
7.3 Analisi descrittive dei dati sull’indebitamento delle famiglie italiane
Di seguito si riportano i principali risultati ottenuti dall’elaborazione dei dati dell’indagine sui
bilanci delle famiglie italiane nell’arco di tempo che va dal 2000 al 2008. Dopo aver delineato
il livello di indebitamento delle famiglie italiane e la sua evoluzione nel periodo di analisi si
procederà alla ricerca della presenza o meno di elementi di fragilità finanziaria tra gli
household indebitati per l’acquisto dell’abitazione di residenza.
Come conseguenza della crescita delle erogazioni di prestiti (vd. paragrafo 6.3.2), tra il 1998 e
il 2008, la percentuale di famiglie italiane che ha fatto ricorso a istituzioni finanziarie per
ricevere finanziamenti ha registrato un rapido aumento (vd. Tabella 7.2). La contrazione della
percentuale di famiglie indebitate nel 2002 – nel 2002 il 22% delle famiglie è indebitata
contro il 25% del 2000 – può essere in parte spiegata dall’aumento della ricchezza investita in
attività finanziarie nella seconda metà degli anni Novanta i cui capital gain potrebbero aver
ridotto il numero di famiglie con necessità di finanziamenti. L’incremento della percentuale di
famiglie italiane nel periodo più recente è stato influenzato, tra l’altro, dal basso livello dei
tassi di interesse e dallo sviluppo dell’industria finanziaria, che ha reso più ampia e flessibile
l’offerta di prodotti per le famiglie, per esempio per il credito al consumo o per l’acquisto di
attività reali.
Tabella 7.2: Percentuale di famiglie indebitate 1998-2008
% di famiglie
indebitate
Tasso di crescita
dell'indebitamento
1998
2000
2002
2004
2006
2008
19,10%
24,80%
22,10%
24,60%
26,10%
27,80%
29,84%
-10,89%
11,31%
6,10%
6,51%
Fonte: elaborazione propria su dati SHIW
Considerando il solo lato della domanda di prestiti a banche o a società finanziarie da parte
delle famiglie, si nota che nel periodo 2002-2006 è progressivamente aumentata la
percentuale di famiglie che si è rivolta a istituzioni finanziarie per ottenere un finanziamento;
il picco massimo è stato registrato nel 2006 (vd. Figura 7.1). Solo nel 2008 la domanda di
finanziamenti si abbassa di quasi un punto percentuale, rispetto al 2006, a causa del rapido e
generale peggioramento del clima di fiducia e per il rallentamento delle compravendite di
immobili e delle quotazioni immobiliari. La flessione della domanda di prestiti registrata in
Italia è un fenomeno comune a tutti i principali paesi europei dal momento che la recente crisi
finanziaria ha interessato i vari paesi a livello globale esercitando un deterioramento delle
prospettive economiche sulle scelte di consumo delle famiglie.
180
Figura 7.1: Percentuale di famiglie che ha richiesto un prestito ed esito della richiesta 20002008
100,00%
6,00%
90,00%
5,50%
80,00%
5,00%
70,00%
4,50%
60,00%
50,00%
4,00%
40,00%
3,50%
30,00%
3,00%
20,00%
2,50%
10,00%
0,00%
2,00%
2000
completamente accolta
2002
2004
parzialmente accolta
2006
rifiutata
2008
Richiesta prestito
Note: I dati relativi a “Richiesta prestito” su asse dx.
Fonte: elaborazione propria su dati SHIW
Analizzando la Figura 7.1 dal punto di vista dell’esito della richiesta del prestito si nota
invece un aumento delle richieste di mutuo parzialmente accolte e di quelle rifiutate nel 2006
e l’andamento è confermato anche per il 2008. Sembra profilarsi, quindi, nel 2006 e, in
particolare, nel 2008 una maggiore cautela delle banche nell’erogazione del credito causata
principalmente dallo scoppio della crisi subprime e dalle collegate difficoltà sui mercati della
provvista (in particolare sul canale interbancario).
L’incremento del ricorso al credito delle famiglie italiane è stato sostenuto, in modo
particolare, dalla componente per l’acquisto di abitazioni. I debiti per l’acquisto di immobili
costituiscono, infatti, la quota maggiore delle passività finanziarie degli household italiani e,
parallelamente, le attività immobiliari costituiscono la componente principale della ricchezza
delle famiglie. Come mostrato dalla Figura 7.2 i debiti per immobili rappresentato il 60% e il
74,3%, nel 2006 e nel 2007 rispettivamente, del debito familiare totale. Seguono i debiti
contratti per esigenze lavorative, quelli per beni di consumo (come ad esempio auto,
elettrodomestici, vacanze, oggetti preziosi ecc.) e, infine, i debiti nei confronti di amici o
parenti non conviventi.
Focalizzando l’analisi solo sui debiti per immobili di residenza osserviamo che la percentuale
di household che hanno dichiarato di essere indebitati per l’acquisto dell’abitazione di
residenza, nel periodo di tempo analizzato, aumenta costantemente passando dal 6,10% del
2000 al 10,87% nel 2008 (vd. Tabella 7.3).
181
Figura 7.2 : Struttura dei debiti familiari 2006-2008
80,0%
74,3%
70,0%
60,0%
60,0%
50,0%
40,0%
26,1%
30,0%
16,0%
20,0%
10,3%
10,0%
8,1%
1,8% 1,6%
0,0%
Debito per immobili
Debito per beni di
consumo
Debito per attività
lavorative
2006
Debito verso parenti
o amici
2008
Fonte: elaborazione propria su dati SHIW
Tabella 7.3: Percentuale di famiglie indebitate per l’acquisto dell’abitazione di residenza
(2000-2008)
% di famiglie indebitate per
l'acquisto dell'abitazione di
residenza
Tasso di crescita
dell’indebitamento
2000
2002
2004
2006
2008
6,10%
7,09%
8,14%
8,28%
10,87%
16,23%
14,81%
1,72%
31,28%
Fonte: elaborazione propria su dati SHIW
L’aumento della percentuale di famiglie italiane impegnate nella restituzione di capitale preso
a prestito per l’acquisto di un’abitazione testimonia la crescita delle erogazioni osservate
nell’arco temporale oggetto di analisi (vd. paragrafo 6.3.2). Nell’ultimo decennio
l’incremento del tasso di indebitamento delle famiglie per l’acquisto di abitazioni è stato
registrato anche nella maggior parte dei principali paesi dell’Area dell’Euro. L’Italia nel
confronto internazionale, nonostante la crescita dell’indebitamento osservata, si colloca sui
valori più bassi (inferiori alla media dell’Area dell’Euro). La Spagna, al contrario, evidenzia a
partire dal 2005 il livello di indebitamento delle famiglie per l’acquisto di abitazioni più
elevato.
La crescita dei finanziamenti alle famiglie per l’acquisto di abitazioni può essere ricondotta a
fattori economici e a fattori comportamentali. Tra i fattori economici rientrano:
- il cambiamento dello scenario dei tassi. Il costo del debito, in termini reali, molto
basso ha reso conveniente l’indebitamento ipotecario;
- il ciclo immobiliare favorevole caratterizzato da un numero di scambi in forte aumento
e da valori immobiliari elevati e tendenzialmente crescenti;
- le politiche di offerta degli intermediari i quali, grazie anche all’innovazione
finanziaria, hanno ampliato la gamma di prodotti per il finanziamento delle famiglie e
182
hanno sviluppato nuove forme contrattuali maggiormente rispondenti alle esigenze
della clientela.
Il periodo analizzato, inoltre, è stato contraddistinto da condizioni di accesso all’abitazione di
residenza migliori rispetto al passato; infatti la condizione di stabilità finanziaria osservata tra
il 2003 e il 2005 ha consentito l’accesso a mutui che, per tassi e altre condizioni, sono risultati
assai favorevoli tanto da compensare l’incremento nel valore delle abitazioni (D’Alessio et al,
2007). Probabilmente anche il crescente ricorso da parte delle banche italiane alle operazioni
di cartolarizzazione ha contribuito alla crescita dei mutui alle famiglie dal momento che
hanno ampliato le possibilità di funding. Infine, anche l’elevata aleatorietà delle performance
degli investimenti finanziari potrebbe aver sospinto l’investimento in immobili. I fattori
comportamentali riguardano, invece, l’evoluzione socio-economica della famiglia e il
cambiamento di mentalità verso l’indebitamento. Il progressivo passaggio verso un’accezione
meno negativa dello status di “indebitato” verso il settore finanziario è testimoniato anche
dalla ridotta quota di debiti verso amici e parenti rispetto all’intero “portafoglio” debiti delle
famiglie (vd. Figura 7.2). Molte famiglie, infine, mosse dal crescente desiderio di un
miglioramento della condizione abitativa verso una forma di abitazione stabile come quella
della casa di proprietà hanno avuto accesso al canale del credito per finanziare l’acquisto
dell’immobile.
L’insieme dei suddetti fattori potrebbe far sorgere perplessità circa la rischiosità dei mutui alle
famiglie italiane, peraltro tradizionalmente molto bassa, poiché possono aver favorito
l’accesso al credito di segmenti di clientela più marginali precedentemente escluse dal
mercato. Quest’ultimo aspetto verrà adeguatamente indagato nel corso del testo; l’aumento in
sé della percentuale di famiglie indebitate, invece, non è al momento fonte di preoccupazione
poiché la partecipazione al mercato del credito delle famiglie italiane è ancora inferiore
rispetto ai principali paesi industriali.
La rappresentazione delle informazioni riguardanti la distribuzione dei prestiti per l’acquisto
dell’abitazione di residenza scomposte sulla base di variabili demografiche ed economiche
risulta particolarmente utile ai fini della nostra analisi, in primis, per fornire una sorta di
identikit delle famiglie indebitate e, in secondo luogo, per individuare l’esistenza o meno di
elementi di fragilità finanziaria.
La Figura 7.3 mostra la distribuzione delle famiglie indebitate per l’acquisto dell’immobile di
residenza in base ai quartili di reddito disponibile familiare netto. Sebbene la distribuzione
delle famiglie indebitate per quartile di reddito risulti abbastanza omogenea è possibile
osservare che le famiglie appartenenti al primo quartile, ossia quelle con redditi più bassi,
risultano meno indebitate rispetto alle famiglie rientranti nel quarto quartile, ossia quelle con
redditi più alti. Tuttavia, l’aumento dell’indebitamento tra le famiglie italiane, nell’arco di
tempo considerato, ha interessato soprattutto le famiglie appartenenti al quartile di reddito più
basso (vd. Figura 7.4). Probabilmente l’arricchimento della gamma di finanziamenti
disponibili, l’aumento della concorrenza e l’allargamento dell’attività di prestito verso nuove
fasce di clientela ha consentito l’aumento della quota di famiglie indebitate rientranti nel
primo quartile precedentemente escluse dal mercato del credito. Anche la dinamica del
mercato immobiliare può spiegare l’aumento della percentuale di household rientranti nel
primo quartile infatti, nell’arco di tempo 2002-2008 la domanda di abitazioni proveniva
essenzialmente da giovani coppie “mutuo dipendenti” con una ridotta capacità di spesa.
183
Figura 7.3: Percentuale di famiglie indebitate per l’acquisto dell’abitazione di residenza per
quartile di reddito familiare disponibile netto 2000-2008
35,00%
30,00%
25,00%
20,00%
15,00%
10,00%
5,00%
0,00%
2000
2002
2004
2006
2008
1° quartile
22,16%
26,27%
23,11%
23,37%
24,52%
2° quartile
25,67%
23,56%
24,17%
24,76%
23,99%
3° quartile
23,35%
21,61%
23,18%
24,82%
24,68%
4° quartile
28,82%
28,56%
29,66%
27,04%
26,81%
Note: Il reddito familiare disponibile netto è dato dalla somma di: reddito da lavoro dipendente netto, pensioni e
trasferimenti netti, reddito da lavoro autonomo netto, reddito da capitale ed è al lordo degli oneri finanziari
dovuti su debiti verso banche e società finanziarie.
Fonte: elaborazione propria su dati SHIW
Figura 7.4: Percentuali di famiglie indebitate per l’acquisto dell’abitazione di residenza per
quartile di reddito familiare disponibile netto: confronto 2000-2008
35,00%
30,00%
25,00%
20,00%
15,00%
10,00%
5,00%
0,00%
1° quartile
2° quartile
3° quartile
2000
4° quartile
2008
Note: Il reddito familiare disponibile netto è dato dalla somma di: reddito da lavoro dipendente netto, pensioni e
trasferimenti netti, reddito da lavoro autonomo netto, reddito da capitale ed è al lordo degli oneri finanziari
dovuti su debiti verso banche e società finanziarie.
Fonte: elaborazione propria su dati SHIW
Parallelamente, si è assistito a un progressivo calo della percentuale di famiglie indebitate a
più alto reddito. La minor diffusione dei mutui ipotecari nella classe di reddito inferiore mette
in luce una minore rischiosità dei mutui concessi alle famiglie; è infatti palese che la
probabilità di riscontrare difficoltà nel rimborso del prestito è maggiore per le famiglie più
184
povere. Tale risultato è in linea, inoltre, con la relazione positiva tra elevato livello di reddito
e probabilità di ottenere un prestito. Se da un lato questo risultato è confortante in quanto
segnala il basso rischio dei mutui per l’acquisto della “prima casa” dall’altro testimonia
l’esistenza di diseguaglianze soprattutto in un comparto dell’attività bancaria - la concessione
di fondi per l’acquisto dell’abitazione di residenza - ad elevato contenuto sociale e civile.
L’abitazione di residenza costituisce un elemento determinante della qualità della vita degli
individui in quanto genera una maggiore sicurezza nella disponibilità di un alloggio quindi,
negare l’accesso al credito per l’acquisto della “prima casa” alle fasce di popolazione più
disagiate, significa negare loro un miglioramento sociale. Tuttavia, quello che rileva ai fini
della presente analisi è, in prima istanza, la bassa rischiosità delle famiglie italiane indebitate
dovuta alla maggiore diffusione dell’indebitamento tra le classi più agiate.
Le famiglie che ricorrono al credito sono più giovani, infatti la quota di famiglie indebitate
con capofamiglia di età inferiore ai 30 anni risulta in aumento, ad eccezione del 2006, anno in
cui si registra un calo sebbene la quota percentuale sia comunque più elevata rispetto al 2000
(vd. Figura 7.5). Tale andamento è ben rappresentato nella Figura 7.6 in cui viene confrontata
l’età media del capofamiglia dell’intero campione con l’età media del capofamiglia
indebitato: l’età media del capofamiglia indebitato è sistematicamente inferiore all’età media
calcolata per l’intero campione e, nel periodo 2000-2004, in calo. L’accesso al mercato del
credito di una quota maggiore di mutuatari di età inferiore ai 30 anni è il riflesso delle
innovazioni intervenute nei contratti di mutuo al fine di incontrare le esigenze della clientela.
L’aumento di soggetti indebitati giovani profila una maggiore rischiosità dei mutui concessi
alle famiglie italiane infatti, sulla base dello studio di Bonaccorsi di Patti et al (2008), i mutui
concessi a persone di età non superiore a 30 anni sono più rischiosi, con una probabilità di
entrare in sofferenza più elevata dello 0,1% e con una probabilità che il credito sia registrato
come scaduto più elevata dello 0,7%.
Figura 7.5: Percentuale di famiglie indebitate per età del capofamiglia 2000-2008
40,00%
35,00%
30,00%
25,00%
20,00%
15,00%
10,00%
5,00%
0,00%
2000
2002
2004
2006
2008
fino a 30 anni
4,91%
5,86%
8,01%
5,90%
7,56%
da 31 a 40 anni
35,03%
35,87%
36,13%
35,25%
32,06%
da 41 a 50 anni
32,51%
33,21%
33,16%
34,86%
36,22%
da 51 a 65 anni
23,11%
20,38%
19,20%
20,28%
18,90%
oltre 65 anni
4,44%
4,69%
3,49%
3,72%
5,27%
Note: Le caratteristiche individuali sono riferite al capofamiglia inteso come il responsabile dell’economia
familiare. Le percentuali sono calcolate sul campione delle famiglie indebitate per l’acquisto dell’abitazione di
residenza.
Fonte: elaborazione propria su dati SHIW
185
Figura 7.6: Età media del capofamiglia: confronto 2000-2004-2008
60
50
55,14
56,1
55,18
45,13
43,57
45,33
40
30
20
10
0
2000
2004
Totale famiglie
2008
Famiglie indebitate
Note: le caratteristiche individuali sono riferite al capofamiglia inteso come il responsabile dell’economia
familiare.
Fonte: elaborazione propria su dati SHIW
Tra le famiglie indebitate quelle con capofamiglia di sesso maschio prevalgono su quelle in
cui il capofamiglia è femmina; tuttavia si rileva una tendenza del maggior ricorso al debito
(fino al 2006) per i nuclei con capofamiglia femmina probabilmente a causa dell’aumento
delle capofamiglia di sesso femminile nell’indagine SHIW (vd. Tabella 7.4).
Considerando lo stato maritale del capofamiglia si osserva un progressivo aumento della
quota di famiglie indebitate il cui capofamiglia è single (inteso come celibe/nubile,
separato/divorziato o vedovo). Nello specifico la percentuale di capofamiglia single indebitati
cresce di nove punti percentuali tra il 2000 e il 2008 (vd Tabella 7.4).
Il ricorso al debito diminuisce all’aumentare del numero dei percettori della famiglia (vd.
Tabella 7.4). Più della metà delle famiglie italiane indebitate sono composte da due percettori,
quindi, tali famiglie possono contare su due fonti di reddito per il rimborso del debito tuttavia,
si registra un incremento della quota di famiglie indebitate costituite da un solo percettore.
Dal punto di vista della condizione professionale del capofamiglia non si rilevano cambiamenti
significativi nell’arco di tempo analizzato è possibile, tuttavia, apprezzare un aumento del
ricorso al credito per la componente mutui immobiliari dei percettori di redditi da lavoro
dipendente (vd. Tabella 7.4). La percentuale relativamente contenuta di famiglie indebitate in
cui il capofamiglia è lavoratore autonomo segnala un ridotto rischio dei mutui per l’acquisto di
abitazioni. Infatti, i mutui concessi a lavoratori autonomi sono considerati più rischiosi rispetto
a quelli concessi a lavoratori dipendenti poiché la fonte di reddito dei primi deriva dalle
performance della propria attività invece che da un lavoro svolte alle dipendenze.
Analizzando la scomposizione delle famiglie indebitate in base al titolo di studio risulta che il
capofamiglia di quasi la metà delle famiglie indebitate possiede un diploma di scuola
superiore; mentre la percentuale di capofamiglia con laurea rimane pressoché costante
nell’arco di tempo considerato (vd. Tabella 7.4).
186
Tabella 7.4: Scomposizione delle famiglie indebitate per l’acquisto dell’abitazione di
residenza in base ad alcune variabili socio-demografiche 2000-2008
2000
2002
2004
2006
2008
6,10%
7,09%
8,14%
8,28%
10,87%
Maschi
75,73%
70,45%
70,44%
69,85%
71,78%
Femmine
24,27%
29,55%
29,56%
30,15%
28,22%
Sposato
84,57%
84,04%
81,47%
74,29%
75,57%
Single
15,43%
15,98%
18,53%
25,71%
24,43%
1 percettore
30,86%
29,45%
30,57%
37,83%
34,95%
2 percettori
53,36%
57,25%
58,98%
51,35%
54,04%
3 percettori
11,88%
10,52%
7,37%
8,84%
8,48%
4 percettori
2,95%
2,12%
2,58%
1,24%
2,21%
oltre 4 percettori
0,94%
0,66%
0,50%
0,73%
0,31%
Lavoratore dipendente
56,07%
54,59%
57,81%
61,64%
58,37%
Lavoratore autonomo
22,39%
26,26%
24,73%
24,49%
24,08%
Condizione non professionale
21,53%
19,14%
17,47%
13,88%
17,55%
Nessuno/licenza elementare
10,36%
11,86%
8,53%
6,70%
5,87%
Media inferiore
27,32%
27,82%
28,53%
26,88%
31,43%
Media superiore
44,45%
46,87%
46,12%
47,96%
46,24%
Laurea
17,86%
13,44%
16,81%
18,46%
16,46%
Nord
68,31%
64,22%
63,50%
56,75%
56,15%
Centro
13,47%
20,76%
17,04%
26,62%
19,15%
Sud e Isole
18,22%
15,02%
19,46%
16,63%
24,71%
fino a 20.000 abitanti
38,73%
42,91%
44,14%
47,37%
51,02%
da 20.000 a 40.0000 abitanti
11,23%
12,89%
15,15%
11,66%
9,76%
da 40.000 a 500.000 abitanti
36,17%
29,49%
28,94%
22,32%
23,62%
oltre 500.000 abitanti
13,88%
14,71%
11,77%
18,65%
15,60%
Famiglie indebitate
Sessoa
Stato maritalea
Numero percettori
Condizione professionalea
Titolo di studioa
Area geografica di residenzaa
Ampiezza comune di residenzaa
a
Le caratteristiche individuali sono riferite al capofamiglia inteso come il responsabile dell’economia familiare.
Note: le percentuali sono calcolate sul campione delle famiglie indebitate per l’acquisto dell’abitazione di
residenza.
Fonte: elaborazione propria su dati SHIW
187
L’indebitamento è più diffuso al Nord e al Centro, ma la quota di famiglie indebitate residenti
al Sud e nelle Isole è aumentata di quasi sei punti percentuali dal 2000 (vd. Tabella 7.4).
L’area geografica può incidere sulla rischiosità dei mutui, in particolare, le famiglie residenti
al Sud sono caratterizzate da una probabilità di incontrare difficoltà più elevata di quelle
residenti al Centro-Nord (Bonaccorsi di Patti et al, 2008). Tuttavia, i pool di mutui ipotecari
sottostanti i RMBS italiani sono dotati di una buona diversificazione geografica che riflette la
presenza della banca erogante sul territorio inoltre, la diversificazione è favorita anche dal
diverso sviluppo economico dell’Italia – le regioni del Nord sono contraddistinte da un
robusto sviluppo economico e si contrappongono alle regioni del Sud più povere e con
un’economia più debole.
Un forte aumento delle famiglie indebitate, con una crescita media annua dell’8% circa, si è
registrata per le famiglie residenti in paesi con una popolazione fino a 20.000 abitanti e, nel
2008, queste famiglie rappresentano oltre la metà del campione di household indebitati. Si
tratta di un dato coerente con l’andamento del mercato immobiliare infatti, le compravendite
dal 2004 fino al 2006 hanno evidenziato un notevole aumento soprattutto nelle classi di
comuni più piccoli.
Elementi di preoccupazione circa la fragilità finanziaria delle famiglie italiane indebitate
potrebbero derivare dalla netta prevalenza di mutui a tasso variabile nel periodo 2000-2006
(vd. Figura 7.7).
Figura 7.7: Distribuzione del tasso di interesse dei mutui per l’acquisto dell’abitazione di
residenza 2000-2008 e andamento dell’Euribor 3-mesi
70,00%
4,64%
4,40%
4,27%
5,00%
4,50%
60,00%
4,28%
4,00%
3,32%
50,00%
3,50%
3,08%
3,00%
40,00%
2,50%
2,11%
30,00%
2,33%
2,00%
2,18%
1,50%
20,00%
1,00%
10,00%
0,50%
0,00%
0,00%
2000
2001
2002
Tasso fisso
2003
2004
2005
Tasso variabile
2006
2007
2008
Euribor 3-mesi
Note: i dati relativi a “Euribor 3-mesi” su asse dx. Le percentuali sono calcolate sul campione delle famiglie
indebitate per l’acquisto dell’abitazione di residenza.
Fonte: elaborazione propria su dati SHIW e BCE
La maggior diffusione di mutui a tasso variabile tra le famiglie italiane indebitate è
certamente la conseguenza dei bassi livelli dei tassi di interesse; in corrispondenza
dell’andamento discendente dell’Euribor 3-mesi si assiste all’aumento della quota di mutui a
188
tasso variabile (oltre la metà degli household indebitati nel 2004 e 2006 aveva un mutuo a
tasso variabile). Sembra, quindi, che l’elevata preferenza per il tasso variabile discenda dalla
scelta operata dalle famiglie che hanno avuto accesso al mercato del credito di ridurre
nell’immediato il peso delle rate. Ulteriori spiegazioni della predominanza dei mutui a tasso
variabile possono essere ricercate nell’aumento della concorrenza tra i vari intermediari che
potrebbe essere stata esercitata maggiormente sul comparto variabile (il tasso variabile
permette alle banche di proporsi alla clientela con condizioni più alettanti). Inoltre, sull’ampia
quota di mutui a tasso variabile potrebbe aver inciso anche una certa convenienza da parte
delle banche italiane le quali, finanziandosi prevalentemente per mezzo di depositi e
obbligazioni, ottengono un limitato grado di trasformazione delle scadenze. I mutui a tasso
variabile possono rivelarsi più rischiosi in caso di aumento dell’onerosità del servizio del
debito a carico delle famiglie poiché variazioni in aumento del tasso di interesse di
riferimento impattano direttamente sul costo del mutuo. Tale situazione prospettata si è
verificata tra il 2006-2008; a causa di un forte aumento dei tassi di interesse è venuta a
delinearsi una situazione di elevato rischio per le famiglie italiane sul piano della sostenibilità
del costo del mutuo. Lo studio econometrico di Bonaccorsi et al (2008) dimostra che in
media, i mutui a tasso variabile hanno un tasso di sofferenza o ritardo nel pagamento circa
doppio rispetto a quello stimato per i mutui a tasso fisso. La predominanza del tasso variabile
si è nettamente invertita nel 2008. La fase rialzista dei tassi di interesse nel periodo 2005-2007
ha alimentato la crescita dei contratti a tasso fisso mentre le famiglie che negli anni precedenti
avevano contratto mutui per l’acquisto dell’abitazione a tasso variabile probabilmente hanno
optato per la rinegoziazione il mutuo stesso 184.
Al fine di analizzare l’entità dell’esposizione degli household italiani indebitati verso il settore
finanziario viene seguito l’andamento dell’importo medio erogato. L’importo medio del
mutuo negli anni 2000-2006 mostra un andamento crescente - passa da Euro 44.433 nell’anno
2000 a Euro 98.201 nell’anno 2006 - coerente con l’elevato livello dei prezzi degli immobili
raggiunto in quegli anni, con la maggiore flessibilità dell’offerta nonché con la diminuzione
del potere di acquisto della fascia di popolazione con redditi medio-bassi (vd. Figura 7.8).
Risulta più difficile, invece, dare una spiegazione al calo del 5,2% dell’importo erogato nel
2008. Esso, infatti, può essere il risultato di una domanda di mutui di importo minore da parte
delle famiglie o, al contrario, di un razionamento del credito operato dalle banche o, ancora,
essere il frutto di entrambi.
Particolarmente importante ai fini dello studio è la verifica della presenza dei cosiddetti jumbo
loan ossia di quei finanziamenti che, in base alla definizione di Standard & Poor’s, eccedono
l’importo di Euro 150.000. Essendo, per i jumbo loan, l’importo erogato elevato essi risultano
più rischiosi. Secondariamente è più probabile che erogazioni molto elevate siano destinate
all’acquisto di abitazioni di prestigio dal valore anch’esso elevato; proprio per questo tipo di
mutui ipotecari il rischio è ancora maggiore poiché, in un’ottica di recupero del credito in
caso di insolvenza, presentano una LGD più elevata poiché il mercato per queste abitazioni è
ridotto e poco liquido. Nel periodo considerato si assiste a un accelerazione della percentuale
di jumbo loan nel periodo 2004-2006; sull’andamento è intuibile che incida la crescita delle
184
Sono stati circa 50.000 i clienti, alla fine di Novembre 2008, che hanno deciso di sfruttare le opportunità di
rinegoziazione della Convenzione tra il Ministero dell’Economia e l’Associazione bancaria. Il controvalore dei
mutui rinegoziati con tale modalità è pari ad oltre 5 miliardi di Euro.
189
quotazioni immobiliari congiuntamente alle innovazioni intervenute nelle forme contrattuali
dei mutui (vd. Figura 7.9).
Figura 7.8: Importo medio erogato del mutuo per l’acquisto dell’abitazione di residenza
2000-2008
120.000,00
45,00%
40,14%
35,61%
40,00%
100.000,00
35,00%
30,00%
80.000,00
25,00%
16,29%
20,00%
60.000,00
15,00%
10,00%
40.000,00
5,00%
-5,22% 0,00%
20.000,00
-5,00%
-
-10,00%
2000
2002
2004
Importo medio mutuo
2006
2008
Variazione percentuale
Note: I dati relativi a “Variazione percentuale” su asse dx.
Fonte: elaborazione propria su dati SHIW
Figura 7.9: Percentuale di mutui “jumbo”
13,70%
14,00%
12,18%
12,00%
10,00%
8,00%
6,00%
4,14%
4,00%
2,00%
1,77%
0,88%
0,00%
2000
2002
2004
2006
2008
jumbo loan
Note: Le percentuali sono calcolate sul campione delle famiglie indebitate per l’acquisto dell’abitazione di
residenza.
Fonte: elaborazione propria su dati SHIW
Con i dati disponibili dell’indagine, qui di seguito, si cercherà di fornire indicazioni circa la
vulnerabilità finanziaria degli household indebitati, un tema su cui la crisi finanziaria ha
concentrato l’attenzione. Il termine vulnerabilità finanziaria non indica necessariamente una
190
situazione di insolvenza o di ritardo nei pagamenti delle rate bensì denota una maggiore
probabilità di riscontrate una situazione di ritardo nei pagamenti o di insolvenza. Come
variabile proxy della vulnerabilità finanziaria si adotta il debt-to-income ratio (DTI) calcolato
come il rapporto tra la rata annua – comprensiva di capitale e interessi – e il reddito
disponibile netto annuo delle famiglie indebitate. Si precisa che il reddito disponibile netto
nella SHIW è fornito al netto delle tasse e al netto degli interessi passivi pagati sui mutui per
l’acquisto dell’abitazione; dal momento che un reddito espresso al netto degli oneri finanziari
avrebbe prodotto stime del DTI ratio non sensate ai fini dell’analisi si è provveduto alla
correzione dell’aggregato lordizzandolo degli interessi passivi.
Già precedenti studi in materia hanno utilizzato il rapporto tra la spesa complessivamente
sostenuta per il rimborso del debito e il reddito disponibile quale indicatore del grado di
sostenibilità del debito grazie al suo contenuto informativo atto a verificare la vulnerabilità
finanziaria (BCE, 2009, 2005; Banca d’Italia, 2010, 2008)
La Figura 7.10 mostra l’andamento del rapporto rata su reddito nell’intervallo di tempo
analizzato; esso aumenta in tutte le wave anche se l’intensità dell’aumento rallenta nel 2008.
Spostando l’attenzione al contesto Europeo, l’incidenza del costo del mutuo sul reddito delle
famiglie italiane, sebbene sia chiaramente cresciuta, rimane sempre più bassa rispetto ad altri
paesi Europei, come ad esempio Spagna, Grecia e Olanda (BCE, 2009).
L’analisi delle dinamica delle variabili che permettono il calcolo del DTI ratio risulta utile al
fine comprendere le cause sottostanti la crescita del rapporto. La Figura 7.11 riporta pertanto
le variazioni percentuali annue intervenute nella rata totale annua media e nel reddito
familiare annuo medio. Seguendo l’evoluzione della sola rata annua notiamo che essa assume
un andamento crescente e registra il picco dell’aumento nel 2006 (+ 22,72%) a causa,
probabilmente, della crescita della spesa per interessi per i mutui a tasso variabile. Solo nel
2008 la rata media si mantiene sul medesimo livello registrato nel 2006 grazie,
probabilmente, all’introduzione dei vari strumenti normativi nell’ordinamento a partire dal
2008 indirizzati a sostenere le famiglie indebitate. Anche il reddito familiare annuo medio
cresce nel periodo 2002-2006 mentre nei periodi 2000-2002 e 2006-2008, entrambi
accumunati dal rallentamento dell’economia, registra un calo del 2% circa. Tuttavia l’intensità
dell’aumento del reddito familiare medio è minore rispetto all’intensità con cui la rata media
del mutuo è cresciuta. Per tale ragione la rata ha avuto un’incidenza sempre maggiore sulle
disponibilità di reddito delle famiglie indebitate.
Considerando, invece, il rapporto tra debiti finanziari complessivi delle famiglie e reddito
disponibile familiare annuo esso risulta relativamente contenuto nel confronto internazionale.
Tale rapporto, infatti, si assesta su valori di poco inferiori al 60% ben al di sotto al rapporto
medio per l’Area dell’Euro (93%) e ai valori registrati in Spagna (130%), in Germania (90%)
e Francia (80%) (BCE, 2009).
Informazioni preziose circa la sostenibilità del debito derivano dal calcolo del DTI ratio in
base ai percentili di reddito (vd. Figura 7.12). Coerentemente con le attese il valore del
rapporto risulta più elevato per le famiglie a più basso reddito (primo quartile) le quali
destinano in media il 20% del proprio reddito disponibile a sostegno dei pagamenti connessi
al mutuo per l’acquisto dell’abitazione di residenza. In genere tra le famiglie indebitate
risultano più vulnerabili a shock inattesi (variazioni dei tassi di interesse o del reddito
disponibile) proprio quelle a basso reddito. Tali famiglie in Italia, come abbiamo visto,
detengono comunque una percentuale relativamente contenuta del debito complessivo,
intorno al 25% nel 2008. In linea generale, il valore del rapporto ha segnato un andamento
191
crescente per tutti i quartili di reddito nel periodo 2000-2008 tuttavia, degno di nota, è la
diminuzione del DTI ratio per le famiglie del primo quartile nel 2006 e 2008 rispetto ai valori
degli anni precedenti.
Figura 7.10: Andamento del debt-to-income ratio medio 2000-2008
18,00%
16,00%
16,38%
14,23%
16,61%
15,32%
14,85%
14,00%
12,00%
10,00%
8,00%
6,92%
6,00%
4,36%
4,00%
3,16%
2,00%
1,40%
0,00%
2000
2002
2004
Debt-to-income ratio
2006
2008
Variazione percentuale annua
Fonte: elaborazione propria su dati SHIW
Figura 7.11: Variazione percentuale del debt-to-income ratio, rata annua e reddito familiare
annuo
25,00%
22,72%
22,50%
20,00%
17,50%
15,00%
12,51%
11,11%
12,50%
10,00%
7,50%
11,38%
5,57%
5,00%
2,50%
6,92%
1,40%
4,36%
3,16%
0,00%
-2,50%
2002
2004
2006
-2,03%
-0,03%
2008
-1,99%
-5,00%
Variazione percentuale debt-to-income ratio
Variazione percentuale rata annua
Variazione percentuale reddito familiare annuo
Fonte: elaborazione propria su dati SHIW
192
Figura 7.12: Debt-to-income ratio per quartile di reddito disponibile familiare netto 20002008
25,00%
20,00%
15,00%
10,00%
5,00%
0,00%
2000
2002
2004
2006
2008
1° quartile
20,89%
21,53%
22,93%
19,34%
21,16%
2° quartile
15,65%
13,89%
15,94%
18,14%
17,65%
3° quartile
12,36%
14,10%
12,80%
16,93%
15,60%
4° quartile
9,36%
10,06%
10,84%
11,69%
12,43%
Note: il reddito familiare disponibile netto è dato dalla somma di: reddito da lavoro dipendente netto, pensioni e
trasferimenti netti, reddito da lavoro autonomo netto, reddito da capitale ed è al lordo degli oneri finanziari
dovuti su debiti verso banche e società finanziarie.
Fonte: elaborazione propria su dati SHIW
Il DTI ratio tende a ridursi all’aumentare dell’età del mutuatario (vd. Figura 7.13).
Sull’andamento rilevato incide il fattore reddito infatti, il reddito tende ad aumentare nell’arco
della vita lavorativa. Le stime, inoltre, confermano la minor inclinazione dei capofamiglia
rientranti nelle classi di età superiori a manifestare situazioni di stress finanziario proprio per
la minor incidenza della spesa annua a titolo di rimborso prestito sul reddito disponibile.
Figura 7.13: Debt-to-income ratio medio in base all’età del capofamiglia 2000-2008
25,00%
20,00%
15,00%
10,00%
5,00%
0,00%
2000
fino a 30 anni
2002
da 31 a 40 anni
2004
da 41 a 50 anni
Fonte: elaborazione propria su dati SHIW
193
2006
da 51 a 65 anni
2008
oltre 65 anni
Dallo studio della dinamica del DTI ratio sulla base di alcune variabili socio-demografiche
riferite al capofamiglia è possibile trarre alcune conclusioni (vd. Tabella 7.5):
- tra il 2000 e il 2004 il DTI ratio era superiore alla media per i lavoratori autonomi
mentre tra il 2006 e il 2008 risulta maggiore per i lavorati dipendenti. Proprio il DTI
ratio calcolato per i capofamiglia lavoratori dipendenti nell’arco temporale di analisi
registra costante aumento (+ 25,5% rispetto al 2000);
- il DTI ratio risulta più elevato per i soggetti meno istruiti (senza diploma, licenza
elementare o diploma media inferiore) e diminuisce all’aumentare del titolo di studio.
Il risultato ottenuto è coerente con un “effetto reddito”; i capofamiglia indebitati con
un livello di istruzione superiore percepiscono un reddito più elevato quindi
l’incidenza della rata annua è minore;
- per le famiglie residenti al Sud e Isole il rapporto tra spesa per il mutuo e reddito
disponibile risulta essere, in tutte le wave, superiore al DTI medio per l’intero
campione di famiglie indebitate nonché superiore al DTI medio calcolato per le
famiglie residenti al Nord e al Centro. Tuttavia si rileva una netta accelerazione del
DTI per le famiglie residenti al Nord nel 2008 (+18,5% rispetto al 2006).
Tabella 7.5: Debt-to-income ratio in base ad alcune variabili socio-demografiche 2000-2008
2000
2002
2004
2006
2008
14,23%
14,85%
15,32%
16,38%
16,61%
Lavoratore dipendente
13,55%
14,18%
14,26%
16,71%
17,01%
Lavoratore autonomo
17,63%
18,33%
17,64%
15,78%
14,81%
Condizione non professionale
12,44%
11,99%
15,52%
15,94%
17,73%
Nessuno/licenza elementare
16,75%
13,64%
19,95%
18,90%
17,97%
Media inferiore
15,34%
16,41%
16,93%
16,85%
19,34%
Media superiore
14,18%
14,06%
14,97%
16,58%
15,58%
Laurea
11,16%
15,45%
11,20%
14,24%
13,77%
Nord
13,18%
13,90%
14,30%
14,28%
16,92%
Centro
14,99%
14,05%
15,98%
17,48%
14,50%
Sud e Isole
17,58%
20,02%
18,07%
21,78%
17,53%
DTI ratio
Condizione professionalea
Titolo di studioa
Area geografica di residenzaa
a
Le caratteristiche individuali sono riferite al capofamiglia inteso come il responsabile dell’economia familiare.
Note: Il DTI ratio è calcolato sul campione delle famiglie indebitate per l’acquisto dell’abitazione di residenza.
Fonte: elaborazione propria su dati SHIW
Come era logico attendersi il DTI ratio calcolato in base al tipo di tasso del mutuo risulta
essere superiore per i mutui a tasso fisso nelle fasi discendenti dell’Euribor viceversa nei
194
periodi di crescita dell’Euribor (vd. Figura 7.14). Nei periodi 2000-2002 e 2006-2008, in
corrispondenza ad elevati livelli dell’Euribor, il DTI ratio è maggiore per i mutuatari a tasso
variabile. Al contrario nel 2004 quando l’Euribor si assestava sui livelli minimi il DTI ratio
era nettamente minore (circa due punti percentuali) per i mutuatari a tasso variabile. Sulla
dinamica del DTI ratio incide la rata annua comprensiva di capitale e interessi pagata dalle
famiglie indebitate. Le famiglie indebitate a tasso variabile infatti, nella fase calante
dell’Euribor, a causa dell’impatto diretto esercitato dal parametro di indicizzazione sulla spesa
per interessi, hanno beneficiato del basso tasso di interesse sostenendo una spesa minore per il
mutuo rispetto alle famiglie indebitate a tasso fisso.
Figura 7.14: Debt-to-income ratio in base al tasso del mutuo 2000-2008 e andamento
dell’Euribor 3-mesi
20,00%
18,00%
5,00%
4,40%
4,64%
4,27%
4,50%
16,00%
14,00%
4,00%
4,28%
3,32%
3,50%
3,08%
12,00%
3,00%
2,18%
10,00%
8,00%
2,33%
2,50%
2,00%
2,11%
6,00%
1,50%
4,00%
1,00%
2,00%
0,50%
0,00%
0,00%
2000
2001
2002
Tasso fisso
2003
2004
2005
Tasso variabile
2006
2007
2008
Euribor 3-mesi
Note: i dati relativi a “Euribor 3-mesi” su asse dx. Il DTI ratio è calcolato sul campione delle famiglie indebitate
per l’acquisto dell’abitazione di residenza.
Fonte: elaborazione propria su dati SHIW e BCE
È prassi nel mondo bancario considerare un prenditore di fondi ad alto rischio quando il
rapporto tra la rata del mutuo e il reddito disponibile è maggiore del 30%. La soglia del 30%
del reddito disponibile tiene in considerazione che il debitore, durante la vita del contratto di
mutuo, deve sostenere una serie di spese correnti (oltre al rimborso del prestito) nonché spese
impreviste o riduzioni di reddito (causate, ad esempio, da malattie o infortuni). Pertanto, un
DTI ratio superiore al 30% è considerato un valido predittore di una futura situazione di
insolvenza (DeVaney et al, 1995; BCE, 2005).
Al fine di analizzare la vulnerabilità finanziaria del campione di famiglie indebitate per
l’acquisto dell’abitazione di residenza si presentano in Tabella 7.6 le percentuali di famiglie
per le quali il DTI è risultato superiore alla soglia del 30%. Si osserva tra il campione una
fragilità finanziaria abbastanza contenuta infatti, nel 2008 meno del 10% delle famiglie
indebitate può essere considerata in una situazione di vulnerabilità finanziaria. Alcune
preoccupazioni possono derivare, invece, dal ritmo di crescita di tale stima infatti, nel 2008
segna un aumento rispetto alla precedente wave del 77%.
195
Tabella 7.6: Percentuali di famiglie indebitate con debt-to-income ratio maggiore del 30%
Percentuale di famiglie con
DTI > 30%
2000
2002
2004
2006
2008
6,94%
6,42%
5,45%
4,26%
7,55%
Note: Il DTI ratio è calcolato sul campione delle famiglie indebitate per l’acquisto dell’abitazione di residenza.
Fonte: elaborazione propria su dati SHIW
Alcune informazioni sulla qualità ex post dei mutui del campione possono essere ricavate
dall’analisi del comportamento delle famiglie indebitate nel rimborso del mutuo. Si tratta di
un dato molto importante ai fini dell’analisi in quanto dai flussi di rimborso dei mutuatari
dipendono direttamente i cash flow di competenza degli investitori in RMBS. Questo tipo di
analisi può essere condotta solo per l’ultima indagine per la quale si dispone di informazioni
circa il verificarsi di situazioni di ritardo nei pagamenti delle rate per oltre 90 giorni. Un
ritardo di oltre 90 giorni nel pagamento delle obbligazioni associate al proprio debito, in base
alle regole di Basilea 2, individua una situazione di inadempienza (default) tuttavia, in Italia,
tale termine è stato innalzato a 180 giorni fino al 31 Dicembre 2011. Quando si registra un
ritardo di 90 giorni o più nel pagamento di almeno una rata, il credito viene definito scaduto e
la banca può:
- non considerarlo come incagliato;
- segnalarlo come incagliato esprimendo, quindi, un giudizio di dubbio sulla capacità di
rientro del debitore;
- classificarlo come sofferenza ossia come esposizione nei confronti di un soggetto in
stato di insolvenza o in situazioni equiparabili.
L’informazione disponibile permette, quindi, di individuare le situazioni di difficoltà che si
sono registrate nel campione di famiglie. Si è consapevoli tuttavia, che trattandosi di
un’informazione che potrebbe essere percepita dal soggetto intervistato come “sensibile”,
potrebbe essere soggetta ad under-reporting.
Dalle stime risulta che solo una piccola percentuale di famiglie indebitate (2,62%) ha
dichiarato di essere stata in ritardo nel pagamento di una rata per oltre 90 giorni nel corso del
2008 (vd. Tabella 7.7). Il ritardo nel pagamento di una rata risulta più frequente tra i
capofamiglia di sesso maschile, tra quelli che rientrano nelle fasce di età centrali, per i
disoccupati e per coloro che risiedono al Sud e Isole. Altrettanto interessante è l’analisi dei
ritardi in base all’anno in cui è stato ottenuto il mutuo; l’intenzione è quella di verificare la
presenza di una maggiore rischiosità per i mutui concessi nella fase di discesa dei tassi. Le
stime mostrano che il 3,47% delle famiglie che hanno contratto il mutuo tra il 2001 e il 2005
hanno incontrato difficoltà nel far fronte al pagamento delle rate nel corso del 2008
Probabilmente le famiglie indebitate a tasso variabile che hanno contratto il mutuo negli anni
in cui i tassi ufficiali erano ai minimi sono state “sorprese” da un aumento degli oneri da
interessi a causa della crescita dei tassi nel 2008. Secondariamente il dato rilevato potrebbe
supportare l’ipotesi che negli anni più recenti abbiano avuto accesso al credito fasce più
ampie di clientela prima escluse dal mercato. La variabile “ritardo” sarà utilizzata nel
paragrafo successivo per un’analisi econometrica al fine di individuare quali variabili
influiscono sull’eventualità di verificarsi ritardi nel pagamento delle rate del mutuo per
l’acquisto dell’abitazione di residenza.
196
Tabella 7.7: Percentuale di famiglie per le quali si è verificato un ritardo nel pagamento della
rata (+ 90 giorni) in base a variabili socio-demografiche del capofamiglia e a caratteristiche
del prestito
2008
Famiglie in ritardo = Fam. in ritardo
2,62%
Fam. indebitate
Sessoa
Maschi = maschi in ritardo
2,76%
tot. maschi indeb.
Femmine = femmine in ritardo
2,26%
tot. femmine indeb.
Etàa
fino a 30 anni = <31 anni in ritardo
tot. <31 anni indeb.
da 31 a 40 anni = 31<anni<41 in ritardo
tot. 31<anni<41 indeb.
da 41 a 50 anni = 41<anni<51 in ritardo
tot. 41<anni<51 indeb.
da 51 a 65 anni = 51<anni<66 in ritardo
tot. 51<anni<66 indeb.
oltre 65 anni =
anni>65 in ritardo
tot. anni>65 indeb.
Condizione professionalea
Lavoratore dipendente = lav. dip in ritardo
tot. lav. dip. indeb.
Lavoratore autonomo = lav. aut. in ritardo
tot. lav. aut. indeb.
Condizione non professionale = cond. non prof. in ritardo
tot. cond. non prof. indeb.
0,61%
0,14%
2,62%
3,73%
0,00%
1,76%
2,61%
5,50%
Area geografica di residenzaa
Nord = resid. nord in ritardo
2,11%
tot. resid. nord indeb.
Centro = resid. centro in ritardo
2,81%
tot. resid. centro indeb.
Sud e Isole = resid. sud in ritardo
tot. resid. sud indeb.
Anno mutuo
fino al 2000 =
mutui in ritardo ante 2001
tot. ritardi ante 2001
dal 2001 al 2005 = mutui in ritardo 2001-05
tot. ritardi 2001-05
dal 2006 al 2008 = mutui in ritardo 2006-08
tot. ritardi 2006-08
a
3,64%
2,84%
3,47%
1,35%
Le caratteristiche individuali sono riferite al capofamiglia inteso come il responsabile dell’economia familiare.
Fonte: elaborazione propria su dati SHIW
197
Alla luce delle stime presentate è possibile tracciare alcune conclusioni:
a) l’indebitamento delle famiglie italiane è cresciuto molto negli ultimi anni – la percentuale
di famiglie indebitate è passata dal 19,10% nel 1998 al 27,80% nel 2008. La crescita è stata
sostenuta specialmente dalla componente debiti per immobili, al cui aumento si associa anche
l’incremento del debito contratto. Nonostante ciò, nel confronto internazionale, è rilevabile un
basso tasso di indebitamento degli household italiani a causa della presenza di fattori sia
socio-culturali sia macroeconomici. Tra i fattori socio-culturali si ricordano: (i) l’alta
percentuale di famiglie italiane già proprietarie di abitazioni (80%); (ii) la scarsa mobilità del
lavoro ha consentito alle famiglie italiane di vivere stabilmente nella stessa abitazione per
tutta la vita lavorativa; (iii) la presenza di stretti legami familiari ha reso i debiti verso parenti
una delle principali fonti di finanziamento degli italiani. I fattori macroeconomici che possono
aver avuto un’incidenza sul basso grado di indebitamento sono: (i) gli alti tassi di interesse
che hanno caratterizzato il mercato italiano prima del passaggio verso l’Euro; (ii) una minore
attenzione all’innovazione di prodotto;
b) dall’analisi del campione di famiglie indebitate si rileva una maggiore percentuale di
household appartenenti alle classi di reddito più elevate; tuttavia nel periodo in esame il
mercato del credito ha mostrato segnali di apertura verso le famiglie a minor reddito (le
famiglie indebitate che rientrano nel primo quartile di reddito sono passate dal 22,16% nel
2000 al 24,52% nel 2008);
c) tra il 2000 e il 2008 si è registrato un maggior accesso al credito ipotecario da parte di
soggetti di età inferiore ai 30 anni, residenti al Sud e Isole e in comuni di piccole dimensioni
(fino a 20.000 abitanti);
d) la maggior parte dei mutui contratti dal campione di famiglie è a tasso variabile; nel
periodo di discesa dei tassi di interesse la quota dei mutui a tasso variabile ha raggiunto il
picco massimo (53%) nel 2006. I mutui a tasso variabile possono risultare più rischiosi
rispetto a quelli a tasso fisso soprattutto nel caso in cui i tassi di riferimento aumentano. Si
tratta di un’eventualità che si è manifestata tra il 2005 e il 2008, si consideri infatti che nel
2008 l’Euribor era cresciuto di quasi 2,5 punti percentuali rispetto ai valori minimi registrati
negli anni precedenti, delineandosi pertanto una situazione di elevato rischio per le famiglie
italiane che negli anni precedenti avevano contratto mutui a tasso variabile. Tuttavia, un
miglioramento sul piano della sostenibilità dei costi connessi al mutuo è stato possibile grazie
alla possibilità di rinegoziare i mutui a tasso variabile accesi prima di Maggio 2008;
e) il DTI ratio nel periodo di osservazione cresce costantemente a causa di aumenti della rata
che non sono pienamente compensati da aumenti del reddito disponibile familiare. Tuttavia la
crescita del rapporto DTI, al momento, non è preoccupante soprattutto se si procede a un
confronto internazionale e se si considera il basso grado di indebitamento delle famiglie
italiane. Il DTI ratio risulta più elevato per i mutuatari giovani, con basso reddito e residenti
al Sud e Isole;
f) alcuni elementi di preoccupazione possono derivare dall’analisi della percentuale di
famiglie per cui le spesa per il rimborso di capitale e interessi supera il 30% del reddito
familiare disponibile. Per queste famiglie infatti la probabilità di risultare insolventi è più
elevata. Nel 2008 meno del 10% delle famiglie indebitate poteva essere considerata in una
198
situazione di fragilità finanziaria; meno confortante è il ritmo di crescita registrato
dall’indicatore (+77% rispetto al 2006) che, al 2008, ha segnato il livello più elevato a partire
dal 2000;
g) la percentuale di famiglie che ha dichiarato di essere stata in ritardo nel pagamento di
almeno una rata per oltre 90 giorni nel 2008 è molto bassa: solo il 2,62% del campione di
famiglie indebitate. I ritardi risultano più frequenti per i mutuatari tra i 41 e i 65 anni,
disoccupati e residenti al Sud e Isole. Inoltre, in base alle stime, appaino più rischiosi i mutui
contratti nella fase di discesa dei tassi di interesse tra il 2001 e il 2005.
7.4 Analisi econometrica della probabilità di ritardo
Nell’ultima indagine SHIW è disponibile la rilevazione di situazioni di ritardo con il
pagamento di una rata tra le famiglie indebitate. La disponibilità di questa informazione
fornisce l’occasione per approfondire questo tema. Nello specifico la SHIW rileva il
verificarsi o meno di una situazione di ritardo nel pagamento di una rata per oltre 90 giorni
nel corso del 2008.
Lo scopo dell’analisi, di seguito proposta, è quello di investigare i fattori che hanno
un’incidenza sulla probabilità di manifestazione di una situazione di ritardo nel rimborso del
proprio debito. Nonostante l’aumento del numero di famiglie indebitate, il loro
comportamento nel rimborso del debito è un fenomeno non sufficientemente studiato
(Duygan-Bump et al, 2008). L’importanza del fenomeno in esame è sottolineata anche dalla
recente crisi, innescata nel segmento subprime del mercato del credito alle famiglie
statunitensi, che sollecita l’esigenza di un approfondimento della conoscenza dei fattori che
possono incidere sul flusso dei rimborsi del debito dei household.
Con specifico riferimento al caso italiano lo studio delle variabili che possono influenzare il
verificarsi di situazioni di ritardo nel servizio del debito da parte delle famiglie indebitate
costituisce, a nostra conoscenza, un tema poco studiato. Infatti, fino ad ora non erano
disponibili informazioni pubbliche circa i ritardi nei pagamenti e, soprattutto, il dataset
estrapolato dalla SHIW permette di mettere in relazione i ritardi nei pagamenti sia con
variabili attinenti il contratto di mutuo sia con variabili socio-demografiche attinenti il
capofamiglia o la famiglia. Tuttavia, se da un lato l’informazione sui ritardi costituisce un
elemento di novità, dall’altro ne limita le possibilità di analisi in quanto il periodo in cui il
fenomeno può essere studiato è circoscritto al 2008. Inoltre, si è consapevoli che il fenomeno
analizzato può essere soggetto ad under-reporting; dal momento che l’intervistato potrebbe
percepire la domanda sui ritardi troppo personale e, di conseguenza, la risposta potrebbe non
essere veritiera.
Partendo dall’informazione sui ritardi nei pagamenti della rata l’analisi si proporrà pertanto di
analizzare la dinamica a livello micro sottostante il rimborso del debito da parte dei
household. Coerentemente con l’analisi condotta al paragrafo precedente, il campione
estrapolato dall’indagine SHIW è composto dai nuclei familiari che, nel 2008, hanno
dichiarato di avere un debito nei confronti delle banche per l’acquisto dell’abitazione di
residenza. Il campione così definito, composto da 736 famiglie, è stato successivamente
filtrato al fine di considerare solo mutui di importo superiore a 5.000 Euro. Il campione
utilizzato per l’indagine econometrica è composto, quindi, da 732 famiglie di cui 27 hanno
dichiarato di aver avuto ritardi nel pagamento di almeno una rata per oltre 90 giorni.
199
Poiché la variabile oggetto di studio rileva il fatto che si sia verificata o meno una situazione
di ritardo, essa è una variabile binaria, ovvero può assumere solo due valori:
- 1 se la famiglia ha dichiarato di essere stata in ritardo nel pagamento di una rata per
oltre 90 giorni
- 0 altrimenti.
Pertanto si adotta un modello di regressione non lineare, il modello Probit, specificatamente
disegnato per variabili dipendenti binarie. La regressione Probit utilizza la funzione di
ripartizione (poiché produce probabilità tra zero e uno) normale standard.
Il modello di regressione Probit è:
Pr(Y = 1|X1, X2, …, Xk) = Ф (β0 + β1X1 + β2X2 + ... βkXk)
dove:
Ф indica la funzione di ripartizione normale standard.
L’equazione stimata assume pertanto la seguente forma:
Prob(RITARDO = 1) = f(variabili mutuo, variabili cliente)
L’analisi econometrica pone quindi in relazione la probabilità che la famiglia risulti in ritardo
col pagamento di una rata del mutuo per oltre 90 giorni, con alcune caratteristiche del
contratto di mutuo e della famiglia stessa.
In Tabella 7.8 si presentano le variabili per le stime con la rispettiva definizione nonché
alcune statistiche descrittive.
Le variabili “cliente” si riferiscono al capofamiglia del nucleo familiare indebitato per
l’acquisto dell’abitazione di residenza e attengono a caratteristiche demografiche e sociali, ad
eccezione della variabile LOGREDFAM che si riferisce al reddito disponibile familiare:
- ETA ha la funzione di verificare l’incidenza dell’età del capofamiglia sul
comportamento di rimborso del mutuo. Ci si attende un effetto negativo sulla
probabilità di ritardo per i nuclei familiari con capofamiglia più anziano a causa del
maggior reddito disponibile;
- l’area di residenza del mutuatario è catturata da due variabili dummy (NORD e
SUD_IS). NORD assume valore 1 se il capofamiglia risiede al Nord e 0 altrimenti;
SUD_IS assume valore 1 se il capofamiglia risiede al Sud e Isole e 0 altrimenti. Sulla
base delle statistiche descrittive al paragrafo precedente ci si attende una maggiore
probabilità di incontrare ritardi nel pagamento delle rate tra i mutuatari residenti al
Sud e Isole;
- MALE è una dummy per il sesso del mutuatario, assume valore 1 se il mutuatario è
maschio 0 se è femmina;
- LAVORO cattura la condizione professionale del capofamiglia; assume, infatti, il
valore 1 se il capofamiglia è occupato 0 se è disoccupato. Il segno atteso è negativo in
quanto un debitore con un’occupazione lavorativa dispone di un reddito con cui far
fronte al rimborso del mutuo e, quindi, si associa una minore probabilità di ritardo;
- LAUREA assume valore 1 se il capofamiglia è laureato 0 negli altri casi. L’inclusione
della variabile vuole verificare l’esistenza di un effetto negativo tra un elevato titolo di
studio che implica maggiore reddito e maggiori conoscenze con la probabilità di
incontrare difficoltà nel rimborso del mutuo;
200
-
-
-
-
-
EDU_FIN è una dummy che cattura il livello di conoscenze finanziarie in materia di
mutui del capofamiglia. È stata costruita sulla base delle risposte alla domanda in
materia di mutui contenuta nel questionario dell’indagine SHIW; assume pertanto
valore 1 se la risposta è giusta e 0 se sbagliata;
NUM_FIGLI è la variabile che cattura il numero dei figli che fanno parte del nucleo
familiare intervistato. Ci si attende una relazione positiva tra numero dei figli e
probabilità di manifestare ritardi nei pagamenti delle rate;
SINGLE è una dummy costruita sulla base dello stato maritale del capofamiglia. Essa
è uguale a 1 se il capofamiglia è celibe/nubile o separato/divorziato o vedovo, al
contrario assume valore 0 se è sposato.
AVV_RISK è una variabile dummy che cattura l’avversione al rischio. È uguale a 1 se
avverso al rischio e 0 negli altri casi. In presenza di asimmetrie informative, ci si
potrebbe attendere un fenomeno di moral hazard, ovvero il segno atteso è negativo:
ossia i soggetti più propensi al rischio potrebbero essere anche più inclini ad
indebitarsi oltre le proprie possibilità di rimborso;
LOGREDFAM è il logaritmo naturale del reddito familiare disponibile annuo. Il segno
atteso è negativo in quanto variazioni in aumento del reddito familiare dovrebbero
comportare una minor probabilità di sperimentare ritardi nel rimborso dei propri
debiti.
Le variabili “mutuo”, invece, rappresentano le principali caratteristiche del mutuo e sono:
- LOGIMPMUT è logaritmo naturale dell’importo erogato dalla banca;
- TASSO è una dummy che assume valore 1 se il mutuo è a tasso variabile e 0
altrimenti. Il segno atteso è positivo: variazioni nei tassi di interesse di riferimento
impattano direttamente sulla spesa per il mutuo, a sua volta, la maggiore onerosità,
potrebbe provocare tensioni finanziarie tra le famiglie indebitate a tasso variabile;
- DTI esprime il debt-to-income ratio. La relazione attesa tra DTI e probabilità di ritardo
è positiva dal momento che una maggiore incidenza della rata sul reddito testimonia
una maggiore fragilità finanziaria.
In Tabella 7.9 sono presentati i risultati della prima regressione Probit.
Solo cinque coefficienti sono statisticamente significativi (tre al livello 5% e due al livello
10%) probabilmente a causa dello scarso numero di osservazioni nei ritardi. Per quanto
riguarda i coefficienti delle variabili socio-demografiche risultano significativi al 10% ETA e
ETAQ e al 5% LAVORO e LOGREDFAM. La probabilità di ritardo, contrariamente alle
attese, aumenta con l’età e diminuisce con l’età al quadrato; i risultati quindi segnalano una
rischiosità che aumenta all’aumentare dell’età fino a un certo punto per poi calare. Il
coefficiente della variabile LAVORO risulta statisticamente significativo al 5% e,
coerentemente con le attese, il segno è negativo segnalando una minore probabilità di
sperimentare ritardi nei pagamenti delle rate del mutuo per i soggetti occupati. Il reddito
familiare risulta una determinante significativa della rischiosità, a parità di altre condizioni. Il
segno negativo del coefficiente LOGREDFAM implica che variazioni in aumento del reddito
provocano una minore probabilità di ritardo. Il risultato è abbastanza intuitivo infatti, un
reddito disponibile maggiore permette di far fronte più agevolmente alle spese del mutuo.
Nello specifico una variazione in aumento dell’1% del reddito familiare disponibile provoca
sulla probabilità di incontrare ritardi una riduzione del 3,4%. Tra i regressori attinenti alle
caratteristiche del mutuo risulta significativo al livello 5% solo il coefficiente dell’importo del
201
mutuo (LOGIMPMUT). All’aumentare dell’importo erogato il rischio aumenta e, per la
precisione, un aumento dell’1% nell’importo erogato esercita un effetto positivo sulla
probabilità di avere un ritardo nel pagamento delle rate pari al 2,3%.
Tabella 7.8: Variabili per le stime, definizioni e statistiche descrittive
Num. osservazioni campione famiglie indebitate per acquisto abitazione di residenza
Num. osservazioni campione famiglie “filtrato”
Num. osservazioni campione famiglie in ritardo
Variabile
Definizione
Media
736
732
27
St. Dev.
Max
Min
0,188
1
0
0,693
0,462
1
0
0,156
0,363
1
0
0,533
0,499
1
0
0,195
0,397
1
0
0,272
0,445
1
0
47,180
11,760
82
20
0,751
0,433
1
0
49.388,50
37.645,40
791.180,1
7.318,98
0,1844
0,3881
1
0
0,791
0,407
1
0
0,425
0,494
1
0
1,213
1,047
5
0
85.086,10
54.633,30
319.000
5.000
0,444
0,497
1
0
0,166
0,094
0,819
0,008
Variabile dipendente
RITARDO
Dummy (1 se la famiglia è stata in
ritardo per oltre 90giorni nel
pagamento di una rata, 0 altrimenti
0,0367
Variabili cliente
MALE
LAUREA
NORD
CENTRO
SUD_IS
ETA
LAVORO
REDFAM
SINGLE
EDU_FIN
AVV_RISK
NUM_FIGLI
Dummy (1 se maschio, 0 se
maschio)
Dummy (1 se laureato, 0 altrimenti)
Dummy (1 se residente al Nord, 0
altrimenti)
Dummy (1 se residente al Centro, 0
altrimenti)
Dummy (1 se residente al Sud o
Isole, 0 altrimenti)
Età in anni
Dummy (1 se occupato, 0 se
disoccupato)
Reddito disponibile netto della
famiglia in Euro
Dummy (1 se celibe/nubile o
separato/divorziato o vedovo, 0 se
sposato)
Dummy (1 se possiede conoscenze
in materia di mutuo, 0 altrimenti)
Dummy (1 se avverso al rischio, 0
altrimenti)
Numero dei figli che fanno parte del
nucleo familiare
Variabili mutuo
IMPMUT
TASSO
DTI
Importo del mutuo
Dummy (1 se mutuo a tasso
variabile, 0 altrimenti)
Debt-to-income ratio
In Tabella 7.10 si riportano i risultati di una seconda regressione Probit in cui viene aggiunta
la variabile SINGLE al fine di controllare se lo stato maritale del capofamiglia può
determinare il fenomeno dei ritardi. Tuttavia, il coefficiente di SINGLE non risulta
significativo quindi lo stato maritale non sembra determinare la probabilità di ritardo.
La Tabella 7.11 riassume i risultati di una terza regressione Probit in cui la variabile LAUREA
è stata sostituita dalla variabile EDU_FIN al fine di verificare la presenza di una relazione tra
202
conoscenze finanziarie specifiche in materia di mutuo e la probabilità di incontrare ritardi. Il
coefficiente di EDU_FIN risulta essere, contrariamente alle attese, di segno positivo, ma
comunque non significativo. Risultano, invece, nuovamente significativi al 5% sia per la
regressione in Tabella 7.10 che per quella in Tabella 7.11, i coefficienti di LAVORO,
LOGREDFAM e LOGIMPMUT confermando quindi la robustezza dei risultati. I coefficienti
di ETA e ETAQ, invece, nella stima in Tabella 7.11 non possono essere considerati diversi da
zero sebbene nella prima e seconda regressione fossero risultati marginalmente significativi.
Infine, in Tabella 7.12 si presentano i risultati di una quarta regressione Probit in cui viene
inserita la variabile DTI al fine di comprendere la relazione tra l’incidenza delle spese per il
rimborso del mutuo sul reddito e la probabilità di incontrare ritardi nei pagamenti. Il
coefficiente di DTI positivo e statisticamente significativo al 10% segnala una relazione
positiva tra il rapporto della rata sul reddito disponibile e la probabilità di ritardo:
all’aumentare del DTI ratio aumenta la probabilità di incorrere in ritardi nel servizio del
debito. Infatti, all’aumentare dell’incidenza della rata del mutuo sul reddito disponibile
diminuisce la sostenibilità del debito profilando quindi una situazione di vulnerabilità
finanziaria che potrebbe manifestarsi in ritardi nel rimborso del prestito. Probabilmente la
significatività marginale del coefficiente della variabile DTI è dovuta al fatto che in Italia
difficilmente si incontrano rapporti rata-reddito molto elevati. È nuovamente confermata la
significatività del coefficiente della variabile LAVORO il quale in quest’ultima stima risulta
significativo al livello 1%.
Tabella 7.9: Stima Probit della probabilità di ritardo nel pagamento di una rata per oltre 90
giorni
Variabile
Coefficiente
Errore Std.
Statistica t
p-value
dy/dx
Const
-2,5720
2,7829
-0,9242
0,3553
-0,0120
TASSO
-0,1969
0,1939
-1,0155
0,3098
0,0095
MALE
0,1560
0,2201
0,7087
0,4785
-0,0008
NORD
-0,0134
0,2376
-0,0567
0,9548
-0,0117
LAUREA
-0,1922
0,3059
-0,6284
0,5297
-0,0170
SUD_IS
-0,2788
0,2478
-1,1250
0,2605
*
0,0074
ETA
0,1219
0,0736
1,6571
0,0975
*
-7,993e-05
ETAQ
-0,0013
0,0007
-1,7447
0,0810
**
-0,0300
LAVORO
-0,4915
0,2436
-2,0175
0,0436
0,0018
AVV_RISK
0,0308
0,1865
0,1655
0,8685
**
-0,0331
LOGREDFAM
-0,5433
0,2600
-2,0893
0,0366
0,0078
NUM_FIGLI
0,1290
0,0868
1,4864
0,1371
**
0,0222
LOGIMPMUT
0,3637
0,1448
2,5119
0,0120
SINGLE
0,1147
0,2469
0,4648
0,6421
0,0070
Media di RITARDO = 0,037
Pseudo-R2 di McFadden = 0,0845157
Note: La stima è effettuata con una specificazione Probit usando le 732 osservazioni. Gli errori standard sono
calcolati con il metodo Huber-White. L’effetto marginale (dy/dx) misura l’impatto di una variazione nella
variabile tra 0 e 1. Il coefficiente è significativo al: **5%, *10%.
203
Tabella 7.10: Stima Probit della probabilità di ritardo nel pagamento di una rata per oltre 90
giorni
Variabile
Coefficiente
Errore Std.
Statistica t
p-value
dy/dx
const
-2,8051
2,8122
-0,9975
0,3185
-0,0123
TASSO
-0,2015
0,1945
-1,0360
0,3002
0,0118
MALE
0,1941
0,1808
1,0735
0,2831
-0,0125
LAUREA
-0,2052
0,3072
-0,6679
0,5042
-0,0008
NORD
-0,0128
0,2382
-0,0538
0,9571
-0,0165
SUD_IS
-0,2714
0,2494
-1,0885
0,2764
0,0076
ETA
0,1242
0,0733
1,6959
0,0899
*
-8,15793e-05
ETAQ
-0,0013
0,0007
-1,7942
0,0728
*
0,0219
LOGIMPMUT
0,3616
0,1456
2,4840
0,0129
**
-0,0317
LAVORO
-0,5206
0,2314
-2,2500
0,0245
**
0,0019
AVV_RISK
0,0319
0,1867
0,1714
0,8639
-0,0319
LOGREDFAM
-0,5256
0,2648
-1,9850
0,0472
**
0,0084
NUM_FIGLI
0,1389
0,0919
1,5111
0,1308
SINGLE
0,1147
0,2469
0,4648
0,6421
0,0070
Media di RITARDO = 0,037
Pseudo-R2 di McFadden = 0,0851379
Note: La stima è effettuata con una specificazione Probit usando le 732 osservazioni. Gli errori standard sono
calcolati con il metodo Huber-White. L’effetto marginale (dy/dx) misura l’impatto di una variazione nella
variabile tra 0 e 1. Il coefficiente è significativo al: **5%, *10%.
Tabella 7.11: Stima Probit della probabilità di ritardo nel pagamento di una rata per oltre 90
giorni
Variabile
Coefficiente
Errore Std.
Statistica t
p-value
dy/dx
const
-2,8480
2,7993
-1,0174
0,3089
-0,0092
TASSO
-0,1558
0,2015
-0,7735
0,4392
0,0137
MALE
0,2317
0,1787
1,2961
0,1949
0,0031
NORD
0,0519
0,2491
0,2087
0,8347
-0,0141
SUD_IS
-0,2380
0,2558
-0,9304
0,3522
0,0069
ETA
0,1160
0,0782
1,4836
0,1379
-7,44931e-05
ETAQ
-0,0013
0,0008
-1,5782
0,1145
**
0,0216
LOGIMPMUT
0,3646
0,1464
2,4911
0,0127
**
-0,0339
LAVORO
-0,5728
0,2317
-2,4722
0,0134
0,0031
AVV_RISK
0,0528
0,1860
0,2837
0,7766
**
-0,0324
LOGREDFAM
-0,5469
0,2546
-2,1483
0,0317
0,0088
NUM_FIGLI
0,1483
0,0950
1,5604
0,1187
0,0069
SINGLE
0,1162
0,2430
0,4783
0,6325
0,0234
EDU_FIN
0,3947
0,2502
1,5776
0,1147
Media di RITARDO = 0,037
Pseudo-R2 di McFadden = 0,0924689
Note: La stima è effettuata con una specificazione Probit usando le 732 osservazioni. Gli errori standard sono
calcolati con il metodo Huber-White. L’effetto marginale (dy/dx) misura l’impatto di una variazione nella
variabile tra 0 e 1. Il coefficiente è significativo al: **5%
204
Tabella 7.12: Stima Probit della probabilità di ritardo nel pagamento di una rata per oltre 90
giorni
Variabile
Coefficiente
Errore Std.
Statistica t
p-value
dy/dx
**
const
-4,6477
1,9682
-2,3614
0,0182
-0,0104
TASSO
-0,1625
0,1991
-0,8160
0,4145
0,0134
MALE
0,2102
0,1760
1,1942
0,2324
0,0051
NORD
0,0803
0,2444
0,3286
0,7425
-0,0134
SUD_IS
-0,2093
0,2412
-0,8681
0,3854
0,0073
ETA
0,1148
0,0801
1,4344
0,1514
-8,38325e-05
ETAQ
-0,0013
0,0008
-1,5898
0,1119
***
-0,0401
LAVORO
-0,6268
0,2377
-2,6368
0,0084
0,0072
AVV_RISK
0,1123
0,1822
0,6164
0,5377
0,0085
NUM_FIGLI
0,1330
0,0914
1,4550
0,1457
0,0101
SINGLE
0,1585
0,2442
0,6491
0,5163
0,0247
EDU_FIN
0,3870
0,2439
1,5864
0,1127
*
0,1013
DTI
1,5845
0,8467
1,8714
0,0613
Media di RITARDO = 0,037
Pseudo-R2 di McFadden = 0,0704839
Note: La stima è effettuata con una specificazione Probit usando le 732 osservazioni. Gli errori standard sono
calcolati con il metodo Huber-White. L’effetto marginale (dy/dx) misura l’impatto di una variazione nella
variabile tra 0 e 1. Il coefficiente è significativo al: *10%, **5%, ***1%.
I risultati delle stime econometriche suggeriscono alcune conclusioni sulla probabilità di
manifestare ritardi nel pagamento di almeno una rata del mutuo per oltre 90 giorni tuttavia, i
risultati devono essere interpretati con cautela a causa del campione di famiglie in ritardo
estremamente limitato e della disponibilità di informazioni sul fenomeno studiato circoscritta
al solo anno 2008. L’analisi econometrica mostra che sulla probabilità di manifestare ritardi
incidono sia variabili socio-demografiche sia variabili attinenti alle caratteristiche del mutuo.
In particolare, tra le variabili che catturano le caratteristiche del mutuo, l’importo erogato
risulta essere determinante per la rischiosità ex post del mutuo stesso. Mentre, per quanto
riguarda le variabili “cliente”, le variabili LAVORO e LOGREDFAM costituiscono dei fattori
che aiutano a spiegare il manifestarsi di ritardi nel pagamento delle rate del mutuo. Come era
già intuibile dalle statistiche descrittive riportate al paragrafo precedente, la condizione
lavorativa del capofamiglia risulta essere la variabile principale che influenza il verificarsi di
ritardi nel servizio del debito infatti, il coefficiente del regressore LAVORO è statisticamente
diverso da zero nelle regressioni sopra riportate confermando quindi la robustezza del
risultato. Il risultato ottenuto probabilmente risente della critica congiuntura economica (nella
seconda metà del 2008 il tasso di crescita reale delle economie occidentali è diventato
negativo); poiché i driver della probabilità di ritardo possono evolvere nel tempo l’analisi qui
presentata può costituire un punto di partenza per ulteriori approfondimenti qualora i prossimi
archivi SHIW saranno disponibili.
205
206
Conclusioni
Il presente lavoro ha trattato il tema della cartolarizzazione ossia quell’operazione in cui la
banca originator decide di cedere un portafoglio di attività atte a generare flussi di cassa ad
una società veicolo creata ad hoc (Special Purpose Vehicle, SPV) la quale, a fronte di esse,
emette titoli finanziari negoziabili sul mercato (Asset Backed Securities, ABS).
La prima parte dello studio è stata dedicata all’approfondimento delle tecniche di
cartolarizzazione al fine di fornire le conoscenze necessarie per la comprensione di queste
particolari operazioni. Nello specifico si è parlato delle varie strutture di cartolarizzazione,
della gamma di strumenti finanziari garantiti dagli attivi cartolarizzati, degli effetti, in termini
di benefici e rischi, che questa operazione comporta e del trattamento prudenziale delle
esposizioni derivanti da cartolarizzazione.
I contenuti della prima parte sono funzionali alla lettura della seconda parte della tesi in cui il
tema della cartolarizzazione viene contestualizzato al caso italiano. L’Italia, infatti, si colloca
ai primi posti nel mercato europeo della securitisation insieme a Regno Unito e Spagna.
Sebbene inizialmente il mercato nazionale della cartolarizzazione sia stato trainato dalle
cartolarizzazioni pubbliche l’uso di tale tecnica si è estesa progressivamente anche al
comparto bancario. Infatti, nel corso degli ultimi anni, le banche italiane hanno dedicato
particolare attenzione alle tecniche e alle opportunità di cartolarizzazione e ne hanno tratto i
relativi benefici, come ad esempio la possibilità di raccogliere fondi a costi relativamente
contenuti o, ancora, la possibilità di liberare capitale di vigilanza. Lo studio del caso italiano è
stato circoscritto ai titoli emessi a fronte della cartolarizzazione di mutui ipotecari residenziali
(Residential Mortgage Backed Securities, RMBS) i quali rappresentano oltre il 50% delle
emissioni totali. Oltre all’importanza che i RMBS rivestono per le banche italiane come fonte
di funding essi, in epoche più recenti, hanno dimostrato una buona tenuta, in termini di spread
e downgrading, all’urto della crisi. Sebbene l’Italia condivida i primi posti del mercato della
cartolarizzazione europeo con Spagna e Regno Unito i titoli RMBS nazionali prendono le
distanze dalle operazioni di cartolarizzazione strutturate sulle bolle immobiliari spagnole e
inglesi.
L’analisi si è proposta quindi come obiettivo la ricerca dei fattori che hanno contribuito a
determinare la relativa buona qualità dei titoli RMBS italiani. Dal momento che il rischio
preponderante per i sottoscrittori di RMBS è il rischio di credito e che tale rischio dipende
essenzialmente dalla capacità dei debitori ceduti di rimborsare il proprio debito lo studio si è
focalizzato sulla rischiosità dei mutui ipotecari residenziali. La mancanza di dati pubblici
disponibili sui soli mutui ipotecari cartoralizzati limita le potenzialità dell’analisi che,
pertanto, ha avuto ad oggetto i mutui ipotecari per l’abitazione di residenza concessi alle
famiglie. Al fine di carpire elementi attinenti la rischiosità dei mutui ipotecari italiani si è
deciso di analizzare il campione di famiglie indebitate per l’acquisto dell’abitazione di
residenza estrapolato dall’indagine SHIW della Banca d’Italia sull’arco temporale che va dal
2000 al 2008. L’elaborazione dei microdati SHIW, infatti, permette di stilare un identikit delle
famiglie indebitate sulla base di variabili socio-demografiche ed economiche e di studiarne
l’evoluzione nel tempo nonché di calcolare importanti indicatori di vulnerabilità finanziaria.
L’indebitamento delle famiglie italiane per l’acquisto dell’abitazione di residenza è un
argomento attuale e di interesse, su cui la recente crisi finanziaria ha posto l’attenzione, e ad
elevato contenuto sociale per il ruolo ricoperto dall’abitazione di residenza per il benessere
207
degli individui. Si ritiene, pertanto, che i risultati esposti nella parte dedicata al caso italiano
possano costituire il punto di partenza per ulteriori approfondimenti sul tema dell’housing
finance.
Le stime testimoniano il rapido aumento dell’indebitamento delle famiglie italiane trainato
dalla componente debiti per immobili; il livello di indebitamento seppure in crescita resta
tuttora contenuto nel confronto internazionale. L’incremento del tasso di indebitamento per
l’acquisto dell’abitazione principale nel periodo più recente, è stato influenzato, tra l’altro, dal
basso livello dei tassi di interesse e dallo sviluppo dell’industria finanziaria. L’analisi delle
variabili socio-demografiche ha mostrato che durante il periodo 2000-2008 è aumentato, in
modo particolare, l’accesso al credito da parte di famiglie con capofamiglia giovane (di età
inferiore ai 30 anni) e residenti al Sud e Isole. Tuttavia, la maggior parte dei soggetti
indebitati ricade nelle fasce centrali di età (tra i 31 e i 50 anni), per le quali il reddito da lavoro
raggiunge i massimi livelli, prestano il proprio lavoro alle dipendenze, possiedono un diploma
di scuola media superiore e risiedono al Nord. Dal calcolo della percentuale di famiglie
indebitate per quartile di reddito emerge una maggior ricorso al credito da parte delle famiglie
più agiate (appartenenti al quarto quartile di reddito) le quali rappresentano più del 25% dei
nuclei familiari indebitati. Tuttavia, nell’arco di tempo considerato la quota di famiglie
rientranti nel primo quartile di reddito risulta in crescita (passa da 22,16% nel 2000 a 24,52%
nel 2008) e segnala l’apertura del mercato dei mutui immobiliari verso fasce di clientela più
marginali. Per quanto riguarda le caratteristiche dei mutui ipotecari si rileva la netta
prevalenza di mutui a tasso variabile nel periodo 2000-2006 mentre nel 2008 si registra un
inversione di tendenza a causa probabilmente della crescita dei tassi di interesse e delle
possibilità di rinegoziazione del mutuo. Al fine di produrre un indicatore della sostenibilità
del debito è stato calcolato il rapporto tra la spesa annua complessivamente sostenuta per il
rimborso del debito (comprensiva di capitale e interessi) e il reddito disponibile annuo (al
lordo degli interessi passivi); tale rapporto prende il nome di debt-to-income ratio. Alla luce
dell’attuale crisi il tema della capacità delle famiglie indebitate di onorare il servizio del
debito è di centrale rilevanza soprattutto a causa degli effetti che l’avversa congiuntura
economica può avere sul reddito familiare. L’analisi mostra un andamento crescente di tale
indicatore nell’arco temporale di studio; l’incremento è stato determinato da variazioni in
aumento della rata annua non controbilanciati da aumenti di egual misura del reddito
disponibile familiare. Dal calcolo del rapporto, inoltre, emerge una maggiore fragilità
finanziaria per le famiglie con capofamiglia più giovane, poco istruito e residente nel Sud e
Isole. Appare sussistere una connessione anche tra la classe di reddito e la fragilità finanziaria:
le famiglie a reddito più basso infatti devono destinare una quota maggiore del proprio reddito
disponibile a sostegno degli oneri finanziari connessi al mutuo rispetto alle famiglie
appartenenti alle classi più agiate. L’identikit delle famiglie che hanno fatto ricorso al credito
è tale da non fare emergere particolari criticità dal punto di vista della sostenibilità del debito
soprattutto dato il fatto che la maggior parte delle famiglie indebitate appartiene al quartile di
reddito più elevato. L’osservazione di una maggioranza di famiglie indebitate appartenenti
alle fasce di reddito medio-alte fa presupporre una ridotta rischiosità dei mutui ipotecari dal
momento che, in prospettiva, tali famiglie avranno una maggiore capacità di sostenere il
debito e, quindi, di rimborsare puntualmente e totalmente il debito. Tuttavia alcuni elementi di
preoccupazione derivano dal ritmo di crescita registrato dalla percentuale di famiglie per le
quali il debt-to-income ratio supera la soglia del 30%. Infatti, sebbene nel 2008 meno del 10%
delle famiglie indebitate registrasse un debt-to-income ratio superiore al valore soglia, la
208
quota di queste famiglie è in netta crescita rispetto al 2006 e registra il valore massimo nel
periodo di tempo analizzato.
Limitatamente all’ultima indagine SHIW disponibile si sono analizzate le determinanti dei
ritardi nel pagamento delle rate del mutuo per oltre 90 giorni. La percentuale di famiglie
indebitate che dichiara di essere stata in ritardo per più di 90 giorni nel pagamento di almeno
una rata nel 2008 è estremamente bassa (2,62%). Le statistiche descrittive mostrano una
maggiore frequenza di ritardi tra i capofamiglia di età compresa tra i 51 e i 65 anni,
disoccupati e residenti nel Sud e Isole; si rileva inoltre una maggiore frequenza di situazioni
di ritardo per i mutui concessi nel periodo di discesa dei tassi di interesse (2001-2005). Il
comportamento dei household italiani nel rimborso dei propri debiti è stato ulteriormente
approfondito attraverso un’analisi econometrica allo scopo di evidenziare le determinanti
delle situazioni di ritardo tra un set di regressori attinenti sia a variabili personali del
capofamiglia sia a caratteristiche del contratto di mutuo. I risultati mostrano che la probabilità
di incorrere in ritardi nel pagamento di una rata per oltre 90 giorni dipende sia da variabili
socio-demografiche proprie del capofamiglia sia da variabili che definiscono il contratto di
mutuo. In particolare le stime dimostrano che la probabilità di ritardo aumenta all’aumentare
dell’età, in caso di disoccupazione, in corrispondenza di variazioni negative del reddito
familiare disponibile infine, cresce al crescere dell’importo erogato dalla banca, confermando
le attese ed evidenziando, come diremo fra poco, preoccupazioni per l’andamento futuro.
Dalle analisi svolte non si rilevano quindi segnali che possano fare presagire un’effettiva crisi
del mercato dei mutui: la crescita del credito alle famiglie appare accompagnata da
valutazioni del credito molto più stringenti rispetto alla realtà statunitense, spagnola e inglese.
Le caratteristiche dell’offerta ancora frequentemente basata su strumenti tradizionali, le
politiche di lending estremamente prudenti adottate dalle banche nazionali accompagnate da
un ridotto livello di indebitamento delle famiglie italiane costituiscono elementi che
segnalano la robustezza del sistema nazionale e che hanno favorito le buone performance dei
mutui ipotecari concessi alle famiglie.
Sulla rischiosità delle RMBS incide anche l’andamento del mercato immobiliare residenziale
dal momento che esso influisce sulla domanda di nuovi finanziamenti per l’acquisto della
casa e, più importante, anche sul valore delle garanzie ipotecarie e quindi sul grado di
recuperabilità del credito. Anche l’analisi del mercato immobiliare italiano rileva
informazioni confortanti per la rischiosità dei RMBS: appare chiaro, infatti, che il mercato
immobiliare italiano è rimasto estraneo ai fenomeni delle cosiddette bolle immobiliari
risultando pertanto immune da consistenti ribassi delle quotazioni immobiliari. Sebbene i
prezzi degli immobili abbiano registrato una leggera flessione nel 2009 l’entità della
variazione è ben lontana dalle rapide perdite di valore degli immobili che si sono verificate in
Spagna e Regno Unito.
Oltre alla buona qualità del collateral posto a garanzia dei pagamenti spettanti agli investitori
in RMBS le buone performance di questi strumenti finanziari sono favorite anche da
meccanismi di credit enhancement molto conservativi. Ci si riferisce in particolare alla
costituzione di riserve di cassa, a cui affluisce l’excess spread prodotto dalla struttura di
cartolarizzazione, che tengono in considerazione i tempi eccessivamente lunghi delle
procedure esecutive immobiliari. Le riserve di cassa così costituite hanno la funzione di
fronteggiare momentanei gap di liquidità al fine di garantire in modo regolare i flussi di
pagamento di competenza degli investitori.
209
Concludendo, l’analisi presentata dimostra una contenuta rischiosità degli attivi posti a
garanzia dei cash flow spettanti ai sottoscrittori di RMBS i cui principali driver risiedono: (i)
nel basso livello di indebitamento delle famiglie italiane; (ii) nelle politiche di concessione del
credito prudenti adottate dalle banche italiane; (iii) nella fase positiva del mercato
immobiliare residenziale accompagnata da contenuti apprezzamenti degli immobili
residenziali che oggi riducono il rischio di rapide perdite di valore degli immobili. Tuttavia,
alcune preoccupazioni circa un possibile deterioramento della qualità creditizia dei mutui
ipotecari possono emergere dall’attuale contesto macroeconomico e in particolare
dall’aumento del tasso di disoccupazione, che oramai ha superato l’8%, e sulle capacità
dell’Italia di uscire dal contesto di crisi. L’esperienza storica mostra infatti come nelle fasi
cicliche la qualità del credito tende a peggiorare a riflesso delle minori disponibilità reddituali.
È possibile pertanto concludere che le banche italiane, pur essendo tra le protagoniste del
mercato europeo della cartolarizzazione al pari di quelle spagnole e britanniche, godono oggi
di una posizione più solida in materia di crediti immobiliari grazie all’adozione di politiche
prudenziali nell’erogazione dei prestiti caratterizzate da una maggiore selettività dei prenditori
di fondi. Occorre, inoltre, sottolineare che l’aumento rilevante delle cartolarizzazioni dei
mutui immobiliari da parte di originator italiani è avvenuto all’interno di un contesto
normativo di gran lunga più stringente rispetto ad altri paesi.
Nonostante la ridotta rischiosità dei mutui ipotecari posti a garanzia di RMBS dimostrata dal
presente lavoro, la possibilità per le banche originator italiane di ricorrere a cartolarizzazioni
al fine di reperire risorse appare oggi inevitabilmente compromessa dal maggiore grado di
rischiosità percepita dagli operatori di mercato. Le cartolarizzazioni e il connesso modello di
business originate-to-distribute hanno svolto, infatti, un ruolo determinante per le dinamiche
con cui la crisi subprime si è presentata. La presa di coscienza, da parte degli investitori in
prodotti strutturati, dei caratteri di opacità degli strumenti finanziari acquistati e dei rischi in
essi incorporati ha provocato un allontanamento in massa dal mercato asset-backed. Sono
necessari, quindi, importanti interventi che possano ripristinare la fiducia nel mercato della
cartolarizzazione nonché una migliore regolamentazione a livello globale che miri ad evitare
gli usi distorti delle tecniche di securitisation e il ripresentarsi degli eccessi che hanno portato
alla “grande crisi” avviata nella seconda metà del 2007. La ripresa del mercato delle
cartolarizzazioni è indispensabile: infatti la cartolarizzazione, se sorretta da giusti incentivi,
rappresenta una valida tecnica di risk management, contribuisce allo sviluppo, alla
diversificazione e all’efficienza dei mercati e, di primaria importanza, rappresenta uno
strumento di raccolta fondi. Un minore interesse da parte degli operatori di mercato verso i
titoli emessi a fronte di operazioni di securitsation pone dei problemi di liquidità per il
sistema e, in prospettiva, una minore disponibilità di credito per le famiglie.
210
eterogenee (ad esempio obbligazioni, prestiti
commerciali erogati da banche, tranche di
emissioni di cartolarizzazione ecc.) (§ 2.3).
Glossario
Arranger: banca d'investimento responsabile nei
confronti dell'originator della strutturazione di una
operazione di cartolarizzazione. Si avvale di
consulenti legali e cura i rapporti con le agenzie di
rating e gli altri soggetti coinvolti nell'operazione
(§ 1.7.2).
CDO squared (o CDO2): operazioni CDO che
hanno come collateral altri CDO (§ 2.4 d).
Collateralized Loan Obligation (CLO): titoli
assistiti da garanzia reale costituita da un
portafoglio di finanziamenti erogati da finanziatori
istituzionali, in genere banche commerciali
(§2.4.1).
Arbitrage CDO: operazione CDO che consiste
nell'acquisto di attività sul mercato secondario ad
un prezzo complessivo inferiore rispetto al prezzo
complessivo al quale possono essere venduti i titoli
emessi in relazione all'operazione (§ 2.4.1).
Commercial Mortgage Backed Securities
(CMBS): titoli assistiti da garanzia reale costituita
da immobili commerciali (§ 2.2 a).
Asset Backed Commercial Paper (ABCP):
strumenti finanziari con scadenza a breve termine
(1, 3 o 6 mesi) in cui il rimborso in linea capitale ed
interessi derivano dai cash flow di un portafoglio di
attività sottostanti (§ 2.2).
Conduit: istituzione legale che acquista asset da
diversi venditori, finanziando gli acquisti tramite
transazioni emissione di ABCP (§ 1.4)
Credit Card Receivable – Backed Securities:
titoli ABS emessi a fronte di portafogli di crediti
derivanti dall’utilizzo di carte di credito (§ 2.3 b).
Asset Backed Securities (ABS): titoli di credito
garantiti da un portafoglio di attivi ampio e
omogeneo (§ 2.2).
Credit Default Swap (CDS): strumento derivato in
base al quale un soggetto, a fronte
del pagamento di un premio, si impegna a
corrispondere ad un altro soggetto un importo
prefissato, qualora, entro una certa data, un terzo
soggetto diventi insolvente (§ 1.3 - Riquadro 1).
Asset manager: figura deputata a costituire e/o
gestire il collateral. Esso assume un ruolo rilevante
nel caso di gestione dinamica del collateral (§
1.7.2).
Auto ABS: titoli emessi a seguito della
cartolarizzazione di un portafoglio di prestiti
concessi per l’acquisto di un auto (§ 2.3 c).
Credit Derivative: strumenti derivati finalizzati a
trasferire il rischio da una parte ad un'altra, ad
esempio credit default swap, total return swap, e
credit-linked note (§ 1.3 - Riquadro 1).
Cartolarizzazione tradizionale: (detta anche:
classica, cash o true sale) operazione finanziaria
con la quale la banca originator elimina una parte
dei suoi attivi dal proprio bilancio e li trasferisce,
per mezzo di una cessione pro soluto, a una terza
società (Special
Purpose Vehicle, SPV)
appositamente creata la quale emette titoli (asset
backed securities, ABS) garantiti dalle attività
cedute (§ 1.2).
Credit enhancement: è uno strumento che
migliora la qualità del cash flow di una o più attività
rispetto alla qualità intrinseca del credito inoltre,
prevede elementi di tutela degli investitori dalle
perdite subite dalle attività sottostanti (§ 1.8).
Covered Bond (CB): obbligazioni garantite da un
flusso di interessi e rimborsi relativo ad attività
finanziarie (come prestiti immobiliari, prestiti a
imprese o prestiti pubblici) le quali, a differenza
delle cartolarizzazioni, non comportano il
trasferimento delle attività a una società veicolo ma
rimangono nel bilancio dell'emittente (§ 5.2).
Cash flow waterfall: regole in base alle quali il
cash flow a disposizione dell'emittente viene
allocato per ripagare le obbligazioni relative alle
varie classi di titoli emessi nell'ambito
dell'operazione di cartolarizzazione (§ 1.8).
Clean-up call: opzione di riscatto di titoli
esercitabile nel momento in cui il collateral
outstanding è inferiore ad una soglia prestabilita (§
4.2.2).
Debt-to-income ratio (DTI): rapporto tra la rata
del mutuo e il reddito del mutuatario (§ 7.2).
Early amortization event: evento previsto nelle
strutture con revolving period e definito nei
documenti dell'operazione. Il suo verificarsi
comporta la fine immediata del periodo rotativo ed
il rimborso anticipato della quota capitale dei titoli
(§ 1.4).
Collateralized Bond Obligation (CBO): titoli che
hanno obbligazioni corporate come garanzia reale
(§ 2.4.1).
Collateralized Debt Obligation (CDO): titoli che
hanno come garanzia un portafoglio di attività
Excess spread: differenza tra il flusso di ricavi
derivanti dalle attività cartolarizzate e gli oneri e
211
spese connessi con la cartolarizzazione (ad
esempio, cedole corrisposte ai detentori dei titoli
ABS, commissioni di servicing) (§ 1.8).
Residential
Mortgage Backed
Securities
(RMBS):
titoli
emessi
attraverso
la
cartolarizzazione di crediti garantiti da ipoteca
immobiliare residenziale (§ 2.2 a).
Jumbo loan: mutuo ipotecario residenziale di
importo superiore a 150.000 Euro (§ 7.2).
Revolving Period: periodo durante il quale nuovi
mutui o nuovi crediti possono essere aggiunti o
sostituiti al portafoglio di mutui o altri crediti
preesistenti di un'operazione rotativa (§ 1.4).
Lead manager: banca d'investimento o
intermediario finanziario incaricato della vendita
delle attività cartolarizzate e della stesura del
prospetto informativo per il collocamento dei titoli
(§ 1.7.2).
Servicer: soggetto responsabile della gestione delle
attività cedute dall'originator allo SPV. Esso è
incaricato delle procedure di gestione di cassa e di
pagamento relativamente ai crediti ceduti, nonché
del recupero dei crediti dai debitori ceduti
insolventi (§ 1.7.2).
Loan-to-value (LTV): rapporto tra ammontare del
finanziamento e valore dell'immobile posto a
garanzia (§ 6.2).
Loss-given-default (LGD): quota dell’esposizione
che andrà perduta in caso di insolvenza.
Special Purpose Vehicle (SPV): (detto anche:
Special Purpose Entity, SPE) società veicolo
(nella forma di società di capitali, trust, o altra
forma societaria) che acquista le attività
dell’originator e si finanzia emettendo titoli ABS
garantiti dalle attività stesse. Soddisfa i requisiti di
bankruptcy remoteness (§ 1.7.1).
Mortgage Backed Securities (MBS): i titoli con
garanzia di rimborso costituita da un portafoglio di
mutui ipotecari. Gli investitori ricevono il
pagamento d'interessi e capitale sulla base dei
pagamenti ricevuti sui mutui ipotecari sottostanti (§
2.2 a).
Single tranche CDO: operazione CDO sintetica
che porta all’emissione di un’unica tranche di CDO
(§ 2.4 d).
Note: titoli emessi dalla società veicolo in
un’operazione di cartolarizzazione.
Overcollateralization:
tecnica
di
credit
enhancement in base alla quale il portafoglio di
attività a sostegno del debito emesso è superiore
all'ammontare del debito stesso (§ 1.8).
Sponsor: soggetto che ha interesse a porre in essere
l’operazione di cartolarizzazione. Quindi, può
essere l’originator, l’entità a cui fanno capo gli
underlying asset, l’arranger o l’asset manager (§
1.7.2).
Pass-through: caso di cartolarizzazione nel quale
lo SPV trasmette ai detentori dei titoli ABS flussi
corrispondenti a quelli provenienti dalle attività
cedute, al netto delle commissioni prestabilite (§
1.2).
Structured Investment Vehicle (SIV): tipo di
conduit specializzato nell’acquisto di prodotti di
finanza strutturata che finanzia l'acquisto mediante
l’emissione di ABCP (§ 1.5).
Tranching: tecnica di internal credit enhancement
che consiste nella suddivisione dell’emissione di
titoli ABS in due o più classi caratterizzate da un
diverso livello di seniority (§ 1.8).
Pay-through: caso di cartolarizzazione nel quale la
società-veicolo trasmette ai detentori dei titoli ABS
flussi non necessariamente corrispondenti a quelli
provenienti dalle attività cedute, ma sulla base di
una tempistica predefinita (§ 1.2).
Trigger Event: il verificarsi di un evento indicante
che la condizione finanziaria dell'emittente o di
altre parti interessate all'operazione stia andando
deteriorandosi. Solitamente si tratta di eventi
definiti nella documentazione, che a sua volta
regola le variazioni strutturali e/o nella priorità dei
pagamenti (§1.8).
Prepayment rate: tasso al quale avviene il
rimborso anticipato del prestito. È espresso come
percentuale del capitale residuo del portafoglio (§
3.4).
Prepayment risk: rischio che la redditività di un
investimento risenta negativamente del fatto che il
capitale investito venga rimborsato per intero o in
parte prima della scadenza (§ 3.4).
Trustee: è il soggetto che rappresentar gli interessi
degli investitori nei confronti delle altre parti
coinvolte nell'operazione di cartolarizzazione (§
1.7.2).
Reserve Account: forma di credit enhancement
che prevede la costituzione di un conto con fondi a
disposizione dello SPV per uno o più scopi
prestabiliti (§ 1.8).
Underwriter: è un operatore in titoli che si
impegna ad acquistare, interamente o in parte,
un'emissione ad un prezzo prestabilito (§ 1.7.2).
212
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