UNIVERSITA' DEGLI STUDI DI MODENA E REGGIO EMILIA Facoltà di Economia Marco Biagi Corso di Laurea Specialistica in Analisi Consulenza e Gestione Finanziaria Curriculum Analisi Finanziaria Cartolarizzazione: il pricing, la regolamentazione e l’evidenza nel caso italiano Relatore: Laureanda: Prof.ssa Costanza Torricelli Francesca Baraldi Anno Accademico 2008-2009 Indice Introduzione 5 PARTE 1 – LE OPERAZIONI DI CARTOLARIZZAZIONE 1. Aspetti introduttivi delle operazioni di cartolarizzazione 10 1.1 Introduzione 10 1.2 Cartolarizzazione tradizionale 10 1.2.1 Cartolarizzazione dei crediti nonperforming 17 1.2.2 Cartolarizzazione dei crediti futuri (future flow securitisation) 17 1.3 Cartolarizzazione sintetica 19 1.4 Cartolarizzazione revolving 23 1.5 Cartolarizzazione tramite conduit 23 1.6 Cartolarizzazione repackaging 25 1.7 I soggetti partecipanti all’operazione di cartolarizzazione 26 1.7.1 I soggetti preposti alle attività di base 27 1.7.2 I soggetti preposti alle attività complementari 28 1.8 Credit and liquidity enhancement e prepayment risk mitigation 31 1.9 Storia ed evoluzione della cartolarizzazione 37 2. Titoli collegati alle operazioni di cartolarizzazione 45 2.1 Introduzione 45 2.2 Classificazione delle Asset Backed Securities (ABS) 45 2.3 Asset Backed Securites (ABS) 47 a) Mortgage Backed Securities (MBS) 48 b) Credit Card Receivable–Backed Securities 50 c) Auto–Loan Backed Securities 51 2.4 Collateralized Debt Obligations (CDO) 51 2.4.1 Classificazione dei CDO 52 a) Balance sheet CDO e Arbitrage CDO 53 b) Cash flow CDO e Market value CDO 54 c) Cash CDO e Synthetic CDO 55 d) CDO di ultima generazione 60 1 3. Effetti delle operazioni di cartolarizzazione: rischi e potenziali benefici 65 3.1 Introduzione 65 3.2 Potenziali benefici derivanti dalle operazioni di cartolarizzazione 65 3.3 I profili di rischio dell’operazione di cartolarizzazione 69 3.4 I profili di rischio delle ABS 70 4. La regolamentazione 79 4.1 Introduzione 79 4.2 Il Nuovo Accordo sul Capitale 80 4.3 La disciplina delle operazioni di cartolarizzazione secondo Basilea 2 84 4.3.1 Primo pilastro: ambito di applicazione e regole generali 86 4.3.2 Primo pilastro: l’approccio standard (SA) 89 4.3.3 Primo pilastro: l’approccio basato sui rating interni (IRB) 93 a) L’approccio Rating Based (RBA) 94 b) L’approccio della valutazione interna (IAA) 95 c) L’approccio della formula prudenziale (SF) 96 4.3.4 Confronto tra approccio standard e approccio basato sui rating interni 100 4.3.5 Secondo pilastro 103 4.3.6 Terzo pilastro 105 4.4 Interazione tra rischio di credito e rischio di mercato 106 4.5 I rafforzamenti a Basilea 2 110 4.5.1 Primo pilastro 115 4.5.2 Secondo pilastro 118 4.5.3 Terzo pilastro 122 PARTE 2 – IL CASO ITALIANO 5. Le operazioni di cartolarizzazione in Italia 127 5.1 Introduzione 127 5.2 Il mercato italiano della cartolarizzazione 127 5.3 Legge n. 130 del 30 Aprile 1999 141 5.4 L’applicazione di Basilea 2 in Italia 147 2 6. Analisi dei Residential Mortgage Backed Securities italiani 155 6.1 Introduzione 155 6.2 Caratteristiche dei Residential Mortgage Backed Securities italiani 155 6.3 Analisi empirica 161 6.3.1 Il mercato immobiliare residenziale 162 6.3.2 Il mercato dei finanziamenti immobiliari 167 7. Analisi del rischio dei mutui concessi alle famiglie italiane 177 7.1 Introduzione 177 7.2 Il dataset: la SHIW 177 7.3 Analisi descrittive dei dati sull’indebitamento delle famiglie italiane 180 7.4 Analisi econometrica della probabilità di ritardo 199 Conclusioni 207 Glossario 211 Bibliografia 213 3 4 Introduzione La presente tesi verterà su uno dei più importanti strumenti finanziari frutto del processo di innovazione che ha caratterizzato i mercati finanziari negli ultimi decenni: la cartolarizzazione (o securitisation). Il meccanismo alla base della cartolarizzazione, nella sua versione tradizionale, è relativamente semplice: un soggetto (originator), cede crediti (o altre attività) non negoziabili a una società creata ad hoc (Special Purpose Vehicle, SPV) la quale finanzia l’acquisto mediante l’emissione di titoli negoziabili sul mercato secondario (Asset Backed Securities, ABS). Si tratta di un’operazione ben diversa dalla semplice cessione di crediti poiché i flussi finanziari per il pagamento degli investitori in ABS sono assicurati dai flussi finanziari di incasso relativi agli attivi ceduti. Dalla definizione qui presentata risultano chiare le potenzialità offerte dalla cartolarizzazione ai fini del trasferimento del rischio di credito dal soggetto originator all’interno del sistema economico e finanziario. Sebbene l’originator possa essere un’impresa, un’amministrazione pubblica o, ancora, un intermediario finanziario il presente studio privilegia l’esame delle operazioni dal punto di vista degli intermediari bancari. Le banche, infatti, in base alle loro competenze e obiettivi possono intervenire in un’operazione di securitisation nel ruolo di originator, come servicer, come credit enhancer, come arranger o, infine, come investitore acquistando le ABS emesse a fronte dei portafogli di crediti cartolarizzati. Inoltre, proprio le banche hanno fatto largo ricorso a questo strumento contribuendo all’espansione del mercato, all’evoluzione delle strutture adoperate, all’allargamento della gamma di attivi collateralizzabili nonché allo sviluppo di nuovi strumenti finanziari emessi. I benefici derivabili dalla cartolarizzazione per gli originator bancari sono molteplici. In primis, la cartolarizzazione permette di diversificare le tradizionali fonti di provvista secondariamente, consente la gestione attiva del rischio di credito, permette alle banche di specializzarsi nell’attività di origination (rispetto alla quale detengono un vantaggio competitivo) infine realizza risparmi di capitale regolamentare. Numerosi sono i vantaggi della cartolarizzazione anche per il sistema economico nel suo complesso: la cartolarizzazione realizza la distribuzione del rischio di credito tra soggetti disposti a sostenerlo, può migliorare l’efficienza allocativa del sistema finanziario e accresce la gamma di strumenti finanziari a disposizione degli investitori fino al punto di permettere la creazione di prodotti tailor-made. L’argomento trattato non è nuovo infatti, la tecnica della cartolarizzazione ha avuto origine alla fine degli anni Settanta negli Stati Uniti. Tuttavia, in Europa la securitisation si è diffusa a partire dai primi anni Novanta ma il mercato ha raggiunto dimensioni significative soprattutto nell’ultimo decennio quando si sono registrati tassi di crescita nei volumi delle emissioni più elevati di quelli registrati negli Stati Uniti. L’interesse verso il tema della cartolarizzazione discende dalle vicende più recenti che vedono questo strumento finanziario tra i principali protagonisti della crisi finanziaria iniziata nel comparto subprime statunitense nella seconda metà del 2007. Nonostante l’esistenza di tutti quei benefici derivanti dalla cartolarizzazione prima decantanti, la cartolarizzazione si è rilevata “un’arma a doppio taglio”. È infatti opinione di molti che la cartolarizzazione abbia contribuito alla recente crisi finanziaria distribuendone gli effetti così come aveva distribuito i rischi e favorendo il passaggio di molti intermediari finanziari verso il nuovo modello di business originate-to5 distribute (OTD) che, portato all’esasperazione, ha favorito l’accesso al credito di fasce di popolazione più rischiose nella consapevolezza che poi il credito sarebbe stato ceduto. La crisi finanziaria ha, dunque, colpito duramente il mercato della cartolarizzazione al punto tale che, per ora, è ragionevole attendersi un futuro solo per le strutture di cartolarizzazione più semplici. È importante, invece, una riattivazione del mercato della cartolarizzazione proprio per le potenzialità offerte da questo tipo di strumento e, altrettanto importante, è la previsione di una migliore regolamentazione a livello globale che ne eviti l’uso distorto. La tesi si concentrerà soprattutto sul mercato della cartolarizzazione in Italia. L’Italia, infatti, sebbene abbia introdotto una disciplina in materia di cartolarizzazione solo nel 1999, in netto ritardo rispetto agli altri paesi europei, si è ben presto affermata come uno dei principali mercati della securitisation assieme al Regno Unito e alla Spagna. In particolare, il presente lavoro si occuperà dei Residential Mortgage Backed Securities (RMBS) italiani. I RMBS appartengono alla famiglia delle ABS e sono titoli emessi a fronte di cartolarizzazioni di portafogli di mutui ipotecari residenziali. I titoli RMBS, oltre a rappresentare il principale titolo cartolarizzato emesso dalle banche italiane, hanno mostrato una buona tenuta, alla luce della crisi finanziaria, in termini di allargamento degli spread e di declassamenti da parte delle agenzie di rating. Le buone performance dei RMBS italiani assumono ancora più rilevanza se comparate ai RMBS spagnoli e inglesi perché danno un forte segnale che le operazioni di cartolarizzazione portate a termine in Italia non sono state strutturate sulle bolle immobiliari. Nonostante l’importanza del mercato italiano della cartolarizzazione nel contesto europeo pochi studi si sono occupati di indagare il caso italiano, soprattutto per quel che riguarda le cartolarizzazioni poste in essere dalle banche. La presente tesi si occuperà pertanto di dimostrare la buona qualità del collateral sottostante i titoli RMBS italiani dal momento che da esso dipende, in estrema sintesi, la rischiosità del titolo stesso. L’analisi dei RMBS fornisce, inoltre, l’occasione di occuparsi di un altro argomento collegato di attualità e di particolare interesse: l’indebitamento delle famiglie italiane per l’acquisto dell’abitazione di residenza. Infatti, l’housing finance è particolarmente importante perché i prestiti concessi per l’acquisto dell’abitazione costituiscono la principale passività finanziaria delle famiglie e, al contempo, la maggior quota dell’attività di lending delle banche. Inoltre, l’abitazione è un elemento determinante della qualità della vita degli individui, genera una maggiore sicurezza nella disponibilità di un alloggio, costituisce la quota preponderante della ricchezza familiare e, in genere, rappresenta l’acquisto più importante e gravoso per la famiglia. L’indebitamento per l’acquisto dell’abitazione di residenza è cresciuto molto e rapidamente dagli inizi degli anni Duemila e, probabilmente, proprio la cartolarizzazione ha contribuito a finanziare la forte espansione dei prestiti delle banche italiane. Sebbene il grado di indebitamento delle famiglie italiane è relativamente basso nel confronto internazionale la recente crisi finanziaria ha alimentato le preoccupazioni circa la capacità delle famiglie di onorare i propri debiti. La tesi sarà organizzata in due parti. La prima parte introduce i principali aspetti delle operazioni di cartolarizzazione ed è organizzata in quattro capitoli. Il primo capitolo fornisce una panoramica delle principali strutture di cartolarizzazione esistenti, elenca gli operatori che intervengono in un’operazione di securitisation nonché presenta l’evoluzione del mercato della cartolarizzazione statunitense ed europeo. Il secondo capitolo è, invece, dedicato ai titoli emessi a seguito di un’operazione di cartolarizzazione da quelli più “tradizionali” a quelli più esotici e complessi come i CDO-squared e i single tranche CDO. Il terzo capitolo si occupa 6 di analizzare i benefici e rischi connessi con le operazioni di cartolarizzazione. Poiché le operazioni di securitisation sono fonte di rischi si crea il fabbisogno di controlli e di una regolamentazione ad hoc; il quarto capitolo sarà pertanto dedicato al trattamento riservato alle esposizioni da cartolarizzazione nel Nuovo Accordo sul Capitale meglio conosciuto come Basilea 2. Nel quarto capitolo troveranno spazio anche le revisioni più recenti apportate a Basilea 2 alla luce delle criticità emerse con la crisi finanziaria. Infatti, la crisi ha posto in evidenza la necessità di rafforzare la regolamentazione finanziaria e l’azione di vigilanza al fine di porre le condizioni per lo sviluppo di un sistema finanziario più solido e prudente. La seconda parte sarà dedicata al caso italiano. Il capitolo cinque presenterà le principali caratteristiche del mercato italiano della cartolarizzazione, la Legge n. 130 del 1999 che ha introdotto in Italia l’istituto della cartolarizzazione e gli elementi peculiari dell’applicazione di Basilea 2 in Italia. Il sesto e settimo capitolo saranno, invece, interamente dedicati all’analisi dei RMBS italiani e, attraverso un’analisi empirica, si cercherà di dimostrare la buona qualità del collateral sottostante dal quale dipendono le buone performance dei titoli RMBS italiani nel confronto europeo. I microdati dell’Indagine sui bilanci delle famiglie italiane della Banca d’Italia (Survey on Household Income and Wealth, SHIW) saranno fonte di preziose informazioni in merito all’evoluzione del grado di indebitamento delle famiglie italiane. Nello specifico, il campione di famiglie indebitate per l’acquisto dell’abitazione di residenza estrapolato dalla SHIW sarà utilizzato per delineare un identikit delle famiglie indebitate nonché per verificare l’esistenza di elementi di vulnerabilità finanziaria al fine di ottenere informazioni sulla rischiosità dei mutui concessi dalle banche ai household italiani. Sarà, inoltre, presentata una stima econometrica utilizzando una nuova informazione sui ritardi nel pagamento delle rate di rimborso dei prestiti introdotta nell’ultima indagine SHIW disponibile. Verranno, pertanto, ricercati i fattori che incidono sulla probabilità di verificarsi situazioni di ritardo, contribuendo, in tal modo, allo studio delle determinanti dell’household distress. 7 8 PARTE 1 LE OPERAZIONI DI CARTOLARIZZAZIONE 9 10 1. Aspetti introduttivi delle operazioni di cartolarizzazione 1.1 Introduzione La cartolarizzazione (o securitisation) dei crediti rappresenta una delle più importanti operazioni di finanza strutturata 78 avviata negli ultimi decenni da intermediari finanziari. Il meccanismo alla base di un’operazione di securitisation tradizionale è piuttosto semplice: la banca originator cede un portafoglio di crediti (o altre attività finanziarie) non negoziabili a una società creata ad hoc (Special Purpose Vehicle, SPV) la quale provvede alla conversione di tali crediti (o attività) in titoli negoziabili sul mercato (Asset Backed Securities, ABS). In sostanza viene a cadere la caratteristica di non-marketable asset di gran parte delle attività possedute dalle banche poiché grandi quantitativi di crediti tipicamente illiquidi sono trasformati in strumenti finanziari collocati e negoziati sul mercato mobiliare. Aspetto peculiare della cartolarizzazione è lo stretto collegamento che si instaura tra i flussi derivanti dal pool di asset cartolarizzato e i pagamenti spettanti ai sottoscrittori di ABS: le somme derivanti dal rimborso dei crediti vengono destinate in via esclusiva agli investitori che hanno sottoscritto le ABS. Le prime operazioni di cartolarizzazione hanno avuto origine negli Stati Uniti alla fine degli anni Settanta, solo successivamente, a partire dagli anni Novanta, la tecnica si è diffusa anche in Europa. Dalla sua nascita il fenomeno ha vissuto un continuo sviluppo, non solo sotto il profilo delle emissioni, ma anche sul piano delle varianti tecniche e degli strumenti finanziari emessi. Il capitolo fornirà una panoramica delle strutture di cartolarizzazione a disposizione delle banche partendo dalla versione tradizionale passando poi alla cartolarizzazione sintetica fino ad arrivare alle modalità di cartolarizzazione più sofisticate come quelle revolving, tramite conduit o le repackaging. Saranno, inoltre, presentati i principali soggetti che partecipano all’operazione di cartolarizzazione e i loro compiti. L’ultimo paragrafo è, invece, dedicato alla storia e all’evoluzione del mercato della cartolarizzazione statunitense ed europeo e, in particolare, l’attenzione verrà concentrata sulle vicende dell’ultimo decennio; non mancheranno, inoltre, richiami gli avvenimenti più recenti connessi alla crisi subprime. 1.2 Cartolarizzazione tradizionale La cartolarizzazione tradizionale (detta anche: classica, cash o true sale) è un’operazione finanziaria con la quale la banca originator elimina una parte dei suoi attivi dal proprio bilancio e li trasferisce a una terza società (Special Purpose Vehicle, SPV) appositamente creata la quale emette titoli (Asset Backed Securities, ABS) garantiti dalle attività cedute (vd. Figura 1.1). Il trasferimento degli attivi avviene mediante una cessione pro soluto – l’originator/cedente non garantisce il veicolo/cessionario dal buon fine del credito – inoltre, deve essere realizzata la cosiddetta “vendita effettiva” – true sale. La true sale è indispensabile per realizzare la segregazione patrimoniale dei crediti ceduti. Il portafoglio di asset trasferito dà vita, infatti, a 78 Nel linguaggio comune il termine “finanza strutturata” è utilizzato come sinonimo di cartolarizzazione (Fabozzi et al, 2007). 11 un patrimonio separato rispetto ai beni che compongono il patrimonio dell’originator con la conseguenza che qualunque vicenda che colpisca l’originator non travolgerà mai i beni nel veicolo, che non potranno, quindi, essere aggrediti dai sui creditori personali. Figura 1.1: Schema di un’operazione di cartolarizzazione tradizionale e operatori coinvolti Trustee D E B I T O R I Crediti €€€ O R I G I N A T O R Portafoglio di asset €€€ Arranger Agenzie di rating Servicer Credit enhancer ABS S P V €€€ Controparti di hedging L’originator cede un portafoglio di asset alla società veicolo creata ad hoc Autorità di Vigilanza I N V E S T I T O R I Lo SPV finanzia l’acquisizione dei crediti mediante l’emissione di titoli ABS Fonte: elaborazione propria su schema Galiani et al (2003) Il concetto di patrimonio separato opera anche qualora il veicolo presta la sua attività in più operazioni di cartolarizzazione, in tal caso, i crediti relativi a ciascuna operazione costituiscono patrimonio separato a tutti gli effetti sia da quello dell’originator sia da quello relativo alle altre operazioni. Gli investitori, a questo punto, valuteranno solamente la qualità degli asset e non l’originator. Lo SPV emette sul mercato titoli ABS garantiti dalle attività cedute il cui ricavato fornisce le risorse necessarie per il pagamento del portafoglio di attività acquistato dall’originator. La caratteristica fondamentale dell’operazione che distingue la tecnica della securitisation dalla semplice cessione dei crediti è che i flussi finanziari per il pagamento agli investitori in ABS sono assicurati dai flussi finanziari di incasso relativi agli attivi ceduti. Generalmente, ma non necessariamente, l’emissione viene suddivisa in tranche caratterizzate da una rischiosità differente e da una diverso grado di subordinazione. A dispetto della relativa semplicità del concetto di cartolarizzazione le potenzialità offerte per le banche sono notevoli, in primis la securitisation si configura come una valida alternativa alle operazioni di raccolta fondi tradizionali. Nell’ambito di un’operazione di cartolarizzazione tradizionale si possono distinguere tre fasi. Prima fase: analisi preliminare dell’operazione Si tratta di una fase cruciale in quanto è finalizzata all’individuazione degli obiettivi da perseguire attraverso l’operazione di cartolarizzazione. Tali obiettivi possono essere: - gestire in modo attivo il bilancio; - trasformare attività illiquide in fondi liquidi disponibili per ulteriori impieghi; - incrementare la redditività operativa; - ridurre il patrimonio detenuto ai fini regolamentari; - trasferire agli investitori una parte del rischio di credito e conseguire in tal modo una riduzione della rischiosità dell’attivo. 12 Sulla base degli obiettivi stabiliti si procede all’analisi delle caratteristiche qualitative degli asset dell’originator volta a verificarne l’adeguatezza ad essere oggetto di cartolarizzazione. In linea generale è possibile affermare che gli asset individuati per l’operazione di cartolarizzazione devono garantire alcuni elementi peculiari, in modo che le caratteristiche dei titoli emessi siano funzione della struttura finanziaria dei crediti ceduti in termini di durata, flussi di rimborso, rendimento ecc. (Giannotti, 2004). Si procede, di conseguenza, alla formazione del portafoglio di attivi composto da quegli asset che soddisfano determinati criteri di eleggibilità (eligibility criteria). L’idea di formare un portafoglio di asset è basata sul concetto che la probabilità che parecchi debitori ceduti risultino insolventi è molto bassa 79. Poichè gli attivi ceduti sono legati con uno stretto rapporto ai titoli emessi la fase di definizione del pool da cedere è l’attività che impegna più tempo e risorse aziendali, dal momento che essa influenza in modo significativo l’intera operazione. È possibile tracciare un identikit del portafoglio di asset ideale per la tecnica della cartolarizzazione tradizionale: - omogeneità giuridica e tecnica degli asset al fine di ridurre i problemi in sede di due diligence legale e omogeneità circa la natura e le caratteristiche dei debitori al fine di stimare con maggiore facilità il rischio di credito dell’operazione; - il pool di asset deve essere in grado di produrre dei flussi di cassa continui e prevedibili al fine di assicurare il miglior servizio del debito (omogeneità economica e finanziaria); - deve essere dotato di un certo grado di trasparenza relativamente al grado di rischio; - deve essere di ammontare complessivo rilevante per conseguire economie di scala sui costi fissi iniziali, che sono normalmente piuttosto elevati; - deve essere effettivamente realizzabile la separazione giuridica dal patrimonio del cedente. Tra le caratteristiche desiderabili degli attivi da cedere non è stata menzionata la loro buona qualità infatti tale particolarità, seppur auspicabile, non è essenziale per la strutturazione dell’operazione poiché intervengono le tecniche di credit enhancement (Kothari, 2006)80. Certo è, che peggiore è la qualità degli asset ceduti maggiori saranno i costi, in termini di commissioni, da sostenere per la strutturazione dell’operazione. La qualità del portafoglio di attività viene attestata dall’analisi di una serie di parametri, tra i quali: la granularità (espressione della concentrazione del rischio), diversificazione geografica, diversificazione settoriale, rating medio del portafoglio (espressione della rischiosità media degli attivi) e, infine, rating minimo di ogni attivo. È possibile classificare il portafoglio sottostante in due tipologie in base alle modalità di gestione (Jobst, 2008): - portafoglio statico (static pool): gli asset che compongono il portafoglio sono fissi e non è consentita la loro sostituzione. Ad esempio il portafoglio può essere composto da mutui ipotecari o corporate loan; - portafoglio revolving: è ammessa la sostituzione degli asset che compongono il portafoglio soggetto a cartolarizzazione nel rispetto delle caratteristiche previste nel 79 Nel caso in cui, invece, si è esposti a un solo attivo si è di fronte a due possibilità: o c’è default o non c’è default. Se si verifica l’evento di default la perdita sarà pari a (1 – tasso di recupero) se non si verifica la perdita è zero (Fabozzi et al, 2007) 80 Le tecniche di credit enhancement saranno trattate nel testo al paragrafo 1.8. 13 prospetto dell'operazione medesima. Questo tipo di gestione del portafoglio è adottata nella cartolarizzazione di tipo revolving. Una volta definito il pool viene avviata la cosiddetta due diligence legale, ovvero un controllo di tipo legale, sul pool di asset selezionati che mira ad accertare la veridicità delle informazioni fornite dall’originator. Nello specifico si procede a un controllo sull’effettiva esistenza dei crediti, sui diritti del cedente su di essi, sulla validità e sulla qualità delle garanzie collegate ai crediti ceduti, sull’esistenza o meno di procedure esecutive in atto, sul valore delle garanzie e infine viene verificata la fattibilità della vendita pro soluto delle attività. L’analisi preliminare comporta anche la definizione del target di investitori a cui si rivolgerà l’emissione di titoli ABS e soprattutto la stima dei costi legati all’operazione. Un aspetto cruciale per poter dar avvio a un’operazione di cartolarizzazione è quello che riguarda la disponibilità di dati storici indispensabili per valutare l’emissione. Sarà necessario, quindi, che l’originator disponga di adeguate potenzialità informatiche che permettano la predisposizione di un ampio volume di dati storici attinenti le performance di un portafoglio di asset simile a quello oggetto di cartolarizzazione. In altri termini si cerca di comprendere la possibile dinamica dei flussi che deriveranno dal pool selezionato tramite la stima delle probabilità di insolvenza dei singoli crediti e del portafoglio complessivo. Seconda fase: strutturazione dell’operazione Strutturare un’operazione di securitisation significa definire l’entità dei rischi che si trasferiranno agli investitori tenedendo ben presente che, da un lato, maggiore è il rischio trasferito maggiore sarà il costo del finanziamento e, dall’altro, maggiore è l’utilizzo delle tecniche di credit enhancement per ridurre i rischi in capo ai sottoscrittori maggiori saranno i costi dell’operazione espressi sotto forma di commissioni. Con la collaborazione dell’arranger è possibile procedere a un’analisi costi-benefici delle diverse modalità di perfezionamento dell’operazione che dovrà tenere conto delle esigenze di natura legale, fiscale, contabile dell’originator nonché del rating che i titoli ABS riusciranno ad ottenere. La definizione della struttura dell’operazione comporta una serie di considerazioni in merito ai seguenti aspetti: - la costituzione del veicolo deve garantire l’indipendenza dall’originator ossia rendere effettivo il distacco del complesso di asset oggetto di cartolarizzazione dal bilancio del cedente con il fine ultimo di assicurare la protezione degli investitori dal rischio di controparte relativo all’originator. Con l’obiettivo di istituire efficacemente il veicolo vengono richieste una serie di consulenze fornite da esperti legali volte a garantire sia l’effettiva indipendenza del veicolo dall’originator – true sale opinion – sia l’impossibilità del portafoglio di asset di essere compreso nell’eventuale massa fallimentare del cedente – non consolidation opinion. - predisposizione delle tecniche di credit enhancement ritenute necessarie dall’agenzia di rating che valuta l’emissione. Terza fase: pre-marketing, lancio e closing dell’operazione Il processo di cartolarizzazione si conclude con il collocamento dei titoli ABS al termine del quale il ricavato dell’operazione verrà trasferito all’originator. L’iter di collocamento titoli prevede una fase di pre-marketing in cui l’operazione di cartolarizzazione viene descritta e pubblicizzata agli investitori in una serie di incontri organizzati nelle maggiori piazze 14 finanziarie e, infine, viene definito il prezzo di collocamento solitamente sulla base delle manifestazioni di interesse acquisite durante la fase di pre-marketing. A seconda del target di investitori a cui si rivolge l’emissione è possibile operare una distinzione tra procedura di offerta privata e procedura di offerta pubblica rivolte rispettivamente a un selezionato gruppo di investitori istituzionali o a un più ampio pubblico di risparmiatori. In base alle caratteristiche proprie delle due modalità è possibile affermare che (Galiani, 2003): - l’offerta pubblica si addice meglio a emissioni caratterizzate da un elevato valore nominale e da asset sottostanti noti e facilmente apprezzabili in termini di valore e grado di rischio. Questa forma di emissione è più onerosa in quanto è necessario produrre tutta una serie di informative (tra cui il prospetto informativo per l'offerta e la quotazione dei titoli) per ottenere l’autorizzazione all’emissione. Tuttavia i titoli ABS collocati presso il pubblico generale degli investitori sono dotati di una maggiore liquidità e questo permette di poterli vendere a tassi di rendimento minori; - l’offerta privata, invece, si addice meglio alle emissioni di ABS “esotiche” a quelle cosiddette tailor-made. Le prime sono sottoscritte da investitori istituzionali che possiedono un certo livello di conoscenze e capacità necessarie per comprendere gli aspetti più peculiari di questi titoli. Le seconde, invece, sono confezionate su misura in base alle esigenze dell’investitore quindi la loro scarsa standardizzazione non le rende idonee ad essere offerte a un vasto pubblico. Inoltre, la minore necessità di produrre informazioni rende tale procedura particolarmente indicata in tutti quei casi in cui non si desideri un’eccessiva diffusione al mercato dei dati aziendali. La diffusione della tecnica della cartolarizzazione è avvenuta in modo poco standardizzato e ha portato alla nascita di differenti strutture operative, riconducibili ad altrettante differenti tipologie di ABS, al fine di soddisfare le molteplici esigenze dei soggetti coinvolti nelle securitisation. Nell’ambito di questa varietà di soluzioni è, tuttavia, possibile identificare tre strutture fondamentali che verranno presentate nel seguito: - la struttura pass through; - l’asset backed bond structure; - la struttura pay through. Tali strutture differiscono principalmente in relazione a due variabili (Damilano, 2001): - la proprietà degli attivi smobilizzati (che, a seconda dei casi, può essere dell’emittente o degli investitori finali); - le modalità dei pagamenti effettuati agli investitori finali in quanto, i suddetti pagamenti possono essere più o meno strettamente correlati a quelli generati dal portafoglio di attività sottostanti. La scelta della struttura da adottare dipende da vari fattori, tra cui gli obiettivi dell’originator, nonché i limiti e le opportunità del mercato in cui avviene l’operazione di cartolarizzazione. Le strutture pass through e pay through trovano maggiore diffusione nel mercato delle cartolarizzazioni statunitense mentre le cartolarizzazioni anglosassoni adottano normalmente la struttura pass through o l’asset backed bond. 15 Struttura pass through Nella cartolarizzazioni pass through l’originator trasferisce un portafoglio di attività illiquide attraverso un deposito al veicolo, il quale assume la forma di trust. Il trust 81 è una società a gestione passiva priva di capitale proprio che finanzia l’acquisizione dei crediti attraverso l’emissione di quote indivise di proprietà. La caratteristica peculiare di questa struttura risiede nel fatto che il veicolo non acquista la titolarità degli attivi poiché il trasferimento non avviene tramite un contratto di cessione bensì sono gli investitori, che sottoscrivono i titoli ABS emessi dal trust, i proprietari degli attivi ceduti in quanto detengono un diritto di proprietà sugli attivi cartolarizzati. Dal momento che i titoli emessi conferiscono la proprietà di una quota parte degli attivi ceduti, esiste una stretta correlazione tra la scadenza degli interessi e delle quote capitale dei primi e quella dei secondi. Questo comporta che le ABS pass through presentano la stessa configurazione finanziaria per quanto concerne gli interessi e le quote capitali del pool di attivi ceduti. Tuttavia, la correlazione tra pagamenti provenienti dal pool e quelli dovuti agli investitori finali non può ritenersi perfetta, sia in termini di ammontare sia per scadenze. Infatti, con riferimento al primo aspetto, occorre considerare la presenza delle commissioni di servicing che l’originator deduce dai flussi derivanti dal pool quindi le somme a disposizione degli investitori risultano minori. Con riferimento al secondo aspetto c’è da considerare la presenza di un fisiologico sfasamento temporale connesso alla materiale impossibilità di effettuare un trasferimento istantaneo dei flussi (Galiani, 2003). Il principale limite della struttura è rappresentato dal fatto che espone gli investitori a un rischio di rimborso anticipato. Considerata la stretta correlazione esistente tra pagamenti sui titoli ABS e flussi originati dal pool cartolarizzato la presenza del prepayment risk determina un’aleatorietà nella sequenza temporale dei cash flow. Asset backed bond structure A differenza della cartolarizzazione pass through nelle operazioni di securitisation che impiegano la struttura asset backed bond è il veicolo ad essere il proprietario degli attivi trasferiti. Quindi gli investitori in titoli emessi dallo SPV sono detentori di un diritto di credito limitato al portafoglio posto in garanzia di tale credito, ma la loro posizione non è quella di creditore diretto verso il pool di prestiti ceduto, ma quello di creditore nei confronti dell’emittente dei titoli. I pagamenti relativi alle ABS non sono correlati per scadenze alle caratteristiche e ai flussi dei crediti ceduti e proprio in virtù di questo mancato collegamento il veicolo può ristrutturare i cash flow derivanti dai crediti cartolarizzati in più tranche di titoli con scadenza diversa. Struttura pay through Gli asset oggetto di cartolarizzazione sono ceduti allo SPV, che può assumere la forma di società di capitali, di società di persone o di trust, il quale emette propri titoli che costituiscono un’obbligazione dell’emittente garantita dal portafoglio di asset (come nel caso dell’asset backed bond structure). Per quanto riguarda i pagamenti nei confronti dei detentori dei titoli ABS non necessariamente vi è una coincidenza nella tempistica tra i flussi dei pagamenti relativi alle ABS e ai flussi derivanti dai crediti ceduti. Lo SPV esegue i pagamenti in linea interesse e capitale in base a un piano di pagamento ben definito a prescindere dal momento in cui riceve i rimborsi dai debitori ceduti. 81 Il trust nelle strutture pass through può assumere la forma di: grantor trust, owner trust o master trust (Rumi, 2001). 16 1.2.1 Cartolarizzazione di crediti nonperfoming Gli intermediari finanziari possono cedere crediti verso la clientela performing o nonperforming. Con il termine nonperforming ci si riferisce a quei crediti concessi a prenditori di fondi che in passato hanno già registrato sintomi di anomalia e normalmente sono stati già classificati dall’originator in una delle categorie di crediti dubbi. Le prime operazioni di securitisation effettuate in Italia hanno riguardato proprio i crediti in sofferenza in quanto la tecnica della cartolarizzazione ha rappresentato per gli intermediari finanziari un valido strumento per la gestione dei crediti problematici. Essendo il pool di asset composto da crediti nonperforming la stabilità del portafoglio stesso è messa fortemente a rischio dalla maggiore probabilità di verificarsi eventi di default che provocano pericolosi mismatching tra i flussi di cassa attesi e gli importi da corrispondere ai sottoscrittori dei titoli. Assumono, perciò, importanza primaria per la buona riuscita dell’operazione le tecniche di credit enhancement impiegate e le capacità del servicer di recuperare i crediti ceduti. In questo contesto la probabilità di incorrere in scompensi di cassa è piuttosto elevata perciò può essere previsto l’intervento di un Saf provider che fornisce al servicer una linea di liquidità (Saf – servicer’s advance facility) qualora in un determinato periodo si registrino deficit di cassa. Contrariamente alla cartolarizzazione di crediti in bonis, ossia di finanziamenti concessi alla clientela performing per i quali ci si attende un regolare rimborso del debito alle scadenze contrattuali, la securitisation dei crediti anomali si configura come una tecnica contingente che ha come unico obiettivo l’eliminazione dal bilancio dei crediti indesiderati. La prima, invece, è una pratica di gestione attiva del portafoglio crediti adottata nell’ambito di una strategia di lungo periodo. La cartolarizzazione dei crediti in sofferenza potrebbe sortire, inoltre, l’effetto opposto a quello desiderato (miglioramento del portafoglio crediti) a causa degli incentivi in capo all’originator ad attuare un’attività di lending più azzardata mossa dalla consapevolezza di poter poi cartolarizzare i crediti in un secondo momento. Le conseguenze dirette di questo comportamento opportunistico sono l’aumento del livello di rischio dell’attivo dell’intermediario finanziario e la maggiore instabilità dei rendimenti ad esso collegati. Infine, la cartolarizzazione dei crediti in sofferenza può pregiudicare la possibilità per l’originator di avviare nuove operazioni e più genericamente può provocare effetti negativi sulla sua reputazione. Sebbene non vi siano particolari vincoli concernenti la qualità degli attivi da sottoporre a cartolarizzazione per i suddetti aspetti critici relativi alla securitisation di crediti nonperforming è possibile affermare che i crediti ottimali da smobilizzare sono quelli in bonis. 1.2.2 Cartolarizzazione di crediti futuri (future flow securitisation) Fino ad ora si è assunto implicitamente che gli asset che vengono ceduti per mezzo della cartolarizzazione siano esistenti al momento del trasferimento, invece, è possibile cartolarizzare anche attivi attesi di esistere in futuro. La cartolarizzazione di cash flow futuri prende il nome di future flow securitisation ed è una tecnica molto utilizzata nei paesi 17 emergenti come fonte di finanziamento 82. La determinante principale della cartolarizzazione di crediti futuri è il fuding che può essere inteso come: - possibilità di ottenere maggiori fondi rispetto a operazioni di finanziamento alternative; - possibilità di ottenere fondi a un costo minore rispetto a quello praticato da altre forme di finanziamento. I flussi futuri più idonei ad essere cartolarizzati sono: crediti derivanti dalla vendita di petrolio greggio, crediti derivanti dalla vendita di biglietti aerei, credit card receivable, crediti da esportazioni, gas royalties (Ketkar et al, 2001). I future receivable essendo un credito che si manifesterà in futuro sono per definizione incerti, altamente imprevedibili e, soprattutto, dipendono dalla capacità dell’originator di condurre la sua attività. Oltre all’incertezza dei flussi futuri legata alla presenza del performance risk, la cessione di crediti non esistenti comporta un rischio operativo, connesso all’esecuzione della prestazione, che potrebbe non essere svolta secondo gli accordi contrattuali, non facendo sorgere il relativo credito, che è stato già cartolarizzato. Inoltre, il rischio di insolvenza dell’originator assume un’importanza decisiva, dal momento che i crediti futuri potrebbero essere attratti nella massa fallimentare del cedente. Whole business securitisation Un particolare tipo di cartolarizzazione di future receivable è rappresentato dalla whole business securitisation (WBS). In questo paragrafo viene solo accennata la WBS e vengono fornite le informazioni di base a causa della scarsa diffusione di tale tecnica sebbene le sue origini risalgano alla metà degli anni Novanta 83. Infatti, ad oggi, la quasi totalità delle operazioni di WBS ha avuto origine nel Regno Unito facendo supporre che si tratta di una tecnica che ha difficoltà ad affermarsi pienamente. La whole business securitisation è una tecnica finanziaria che prevede l’emissione di titoli a fronte di flussi (esistenti e futuri) generati da un’impresa nel suo complesso (o da una sua area di business) 84. Si tratta di un’operazione ibrida, a metà strada tra la cartolarizzazione classica e il prestito garantito poiché tipicamente l’impresa cui fanno capo i flussi futuri ottiene risorse finanziarie a titolo di debito erogate sotto forma di mutuo garantito. La forma più semplice di WBS si articola su tre fasi: - l’operating company (mutuatario) cede allo SPV i diritti sui cash flow futuri generati dalla propria gestione ordinaria. Il mutuatario è la società cui fa capo il business su cui si fonda l’operazione e mediante la WBS intende reperire risorse finanziarie a titolo di capitale di debito. Inoltre, esso è il soggetto deputato a gestire attivamente gli asset affinché producano cash flow; - lo SPV (mutuante) concede il prestito al mutuatario tramite l’emissione di titoli e il loro successivo collocamento sul mercato; 82 In una tipica transazione di future flow l’originator, residente in un paese in via di sviluppo, vende i receivable futuri a uno SPV offshore che emette le note. L’originator individua una serie di debitori i quali versano le somme dovute sulle merci importate in un apposito conto offshore gestito dal trustee. Il trustee successivamente cura la fase di pagamento degli interessi e di rimborso del capitale sulle note attingendo la liquidità direttamente dal conto; eventuali fondi rimasti vengono trasferiti all’originator (Ketkar et al, 2001). 83 Per approfondimenti sul tema si veda Mazzuca (2007a). 84 La WBS viene definita anche operating-assets securitisation proprio ad evidenziare che gli asset oggetto di cartolarizzazione rimangono nel portafoglio dell’impresa sponsor che continua a gestirli attivamente al fine di rimanere sul mercato e di produrre flussi futuri (Mazzuca, 2007a). 18 - i sottoscrittori dei titoli emessi dallo SPV sono i finanziatori indiretti del mutuatario. Essi acquisiscono i diritti tipici degli obbligazionisti che risultano però rafforzati da speciali diritti di priorità di rimborso del capitale e degli interessi e dalla presenza di supporti strutturali (credit enhancement e/o liquidity enhancement). Una delle caratteristiche principali della WBS è l’elevata flessibilità, soprattutto sul piano della tecnica, e quindi della capacità di adattarsi alle esigenze dei soggetti che la pongono in essere. Le principali finalità economiche che lo sponsor si prefigge di conseguire sono: la raccolta di risorse finanziarie (a titolo di debito) e l’accesso privilegiato al mercato dei capitali in quanto il rating medio delle note è migliore del rating dell’impresa originator che desidera finanziarsi. Gli obiettivi raggiungibili fanno si che la WBS non presenti differenze significative con la cartolarizzazione tradizionale. La differenza principale, invece, riguarda la modalità con cui gli asset oggetto di cartolarizzazione vengono ceduti: in una cartolarizzazione cash viene impiegata la true sale mentre nel caso della WBS gli attivi non vengono ceduti ma si ricorre ad altre varianti tecniche (ad esempio la charge) al fine di ottenere l’effetto di isolamento. La ragione per cui il trasferimento degli asset non ha luogo è legata al fatto che nella WBS oggetto della cartolarizzazione è l’intero business che deve essere gestito attivamente al fine di generare i cash flow futuri destinati a pagare il servizio di debito sulle note (e quindi di assicurare il successo dell’operazione). Le motivazioni che inducono l’originator a implementare la WBS piuttosto che una cartolarizzazione cash risiedono nell’esistenza di eventuali limiti di natura legale che impediscono una cessione effettiva e/o nell’impossibilità di segregare un pool di asset dall’attivo dell’originator. Il limite principale di questa tecnica è rappresentato dalla difficoltà di stimare con un certo livello di precisione i futuri flussi che deriveranno dall’intero business; per questa ragione le imprese più adatte alla WBS sono quelle che presentano alcuni prerequisiti (presenza di barriere all’entrata nel mercato in cui opera l’originator, prevedibilità delle dinamiche di lungo periodo del settore di appartenenza, fatturato e reddito positivi e stabili e chiara definizione della strategia di lungo periodo) che favoriscono la produzione di flussi futuri relativamente prevedibili e poco volatili. Le suddette condizioni determinano una della specificità del mercato della WBS ossia l’elevata concentrazione settoriale; gran parte delle operazioni di WBS riguarda specifici settori come quello dei pub in franchising, delle public utilities e dei servizi legati all’erogazione dell’acqua. 1.3 Cartolarizzazione sintetica La cartolarizzazioni sintetica rappresenta la principale struttura di securitisation alternativa alla cartolarizzazione tradizionale. Le differenze principali tra strutture cash e sintetiche risiedono essenzialmente nella natura sintetica e nell’utilizzo dei derivati creditizi nelle operazioni di synthetic securitisation. Infatti, la cartolarizzazione tradizionale comporta la cessione pro soluto di un portafoglio di attivi dall’originator al veicolo mentre con la cartolarizzazione sintetica gli attivi sono mantenuti nel bilancio dell’originator e viene trasferito il loro effetto economico per mezzo di credit derivative. È comunque opportuno ribadire che esistono anche delle analogie tra le due strutture riferibili principalmente al fatto che entrambe si fondano sul medesimo concetto ovvero l’esposizione da parte degli investitori al rischio di credito associato al pool di attivi, concetto che determina l’esistenza di finalità economiche comuni. 19 La cartolarizzazione sintetica promuove, dunque, il trasferimento del solo rischio di credito relativo a un portafoglio di asset e non anche della proprietà degli stessi. Esistono vari modi per spiegare in cosa consiste la cartolarizzazione sintetica: può essere vista come una sintesi tra la cartolarizzazione e i derivati creditizi o come la cartolarizzazione di derivati creditizi o ancora come l’unione dei credit derivative con la securitisation. Tutte le precedenti spiegazioni aiutano a formulare un’idea sul tema ma la definizione che va direttamente alla radice del termine è quella di creare sinteticamente un titolo ABS da uno scambio di credit derivative (Kothari, 2006). Poiché manca il passaggio di proprietà del portafoglio di asset non si realizza la cessione pro soluto degli attivi, ma il trasferimento del relativo rischio di credito totale o parziale, dall’originator agli investitori (via SPV), avviene mediante derivati su crediti, quali i CDS (credit default swap), i TRS (total return swap) e le CLN (credit-linked note) (vd. Riquadro 1). Le attività soggette a cartolarizzazione, pertanto, restano nel bilancio dell’originator, mentre lo SPV detiene un pool di derivati creditizi riferiti alle suddette attività. Il risultato in termini di trasferimento del rischio di credito è uguale a quello realizzabile con la cartolarizzazione true sale infatti, lo SPV ricrea la stessa esposizione sugli asset cartolarizzati sottoscrivendo CDS, come controparte protection seller, riferiti agli attivi il cui rischio l’originator desidera trasferire. Quanto detto fino ad’ora permette di comprendere il duplice significato dell’aggettivo “sintetica”: da un lato enfatizza un processo di cartolarizzazione più breve finalizzato al trasferimento dell’essenziale (il solo rischio di credito) dall’altro è un preciso riferimento verso quel processo artificiale che permette ai sottoscrittori degli strumenti emessi di ottenere un’esposizione nei confronti del rischio di credito sottostante. È palese che in assenza della cessione degli asset la securitisatiom non genera liquidità, per questo motivo tali strutture sono idonee per realizzare obiettivi di capital relief o più in generale per essere utilizzate come strumenti di risk management. In base all’obiettivo primario perseguito dall’originator discende la struttura adottata per portare a termine l’operazione di cartolarizzazione. Le strutture tradizionali si qualificano come opzioni valide qualora l’obiettivo della cartolarizzazione è la raccolta di fondi, infatti, le strutture cash consentono sempre e comunque di raccogliere liquidità e rappresentano quindi una forma di finanziamento per il soggetto che le pone in essere. Le strutture synthetic non permettono all’originator di raccogliere risorse finanziarie bensì consentono la liberazione di capitale inoltre, rispetto alle cartolarizzazioni classiche, sono meno onerose e permettono di cartolarizzare anche gli attivi non cedibili. Rispetto alle cartolarizzazioni tradizionali quelle di natura sintetica presentano una serie di vantaggi significativi di ordine pratico ed economico raggiungibili dall’originator. Dal punto di vista operativo il trasferimento del solo rischio creditizio permette di superare i limiti presenti in certi ordinamenti, europei in primis, connessi alla possibilità di trasferire la proprietà di certi asset. Tali limiti possono comportare l’irrealizzabilità dell’operazione o complicazioni di ordine burocratico che determinano un prolungamento dei tempi necessari per strutturare l’operazione nonché il sostenimento di maggiori costi. In definitiva uno dei vantaggi di natura operativa è la possibilità di costruire schemi di cartolarizzazione con maggiore facilità superando le complessità giuridiche e amministrative proprie delle strutture cash partendo dal fatto che è possibile porre in essere cartolarizzazioni multigiurisdizione85. 85 Si realizza una cartolarizzazione multigiurisdizione quando nel portafoglio di attivi compaiono asset facenti capo a soggetti con sede legale in paesi diversi. 20 Inoltre, in mancanza di una vendita effettiva, è possibile cartolarizzare un’ampia varietà di attivi purché incorporino un rischio di credito e a prescindere dalla disponibilità e/o liquidità degli asset. Per meglio comprendere le potenzialità delle synthetic securitisation si pensi che proprio grazie alla loro flessibilità in Italia è stato possibile realizzare la prima CDO sintetica di tipo (Finconsumo Banca-Golden Bar (Synthetic) in cui il reference portfolio era composto da crediti al consumo, anche in un contesto in cui mancava una previsione normativa ad hoc riguardante questo tipo di cartolarizzazioni. Oltre ai vantaggi di natura operativa il successo delle strutture sintetiche è riconducibile anche a motivazioni economiche. Innanzitutto la cartolarizzazione sintetica è meno onerosa rispetto a quella cash inoltre, permette di non pregiudicare le relazioni con la clientela la quale non viene nemmeno informata dell’avvenuta cessione del rischio da essa originato. Si tratta di un vantaggio essenziale per le banche che intrattengono rapporti di ordine fiduciario con i propri clienti finalizzato al consolidamento della relazione nel lungo periodo con la possibilità di offrire ulteriori servizi finanziari. È evidente che questi obiettivi con una cartolarizzazione classica non possono essere perseguiti, infatti, come minimo il trasferimento della proprietà del prestito deve essere notificato al debitore ceduto con la possibilità di minare quel rapporto fiduciario che si era instaurato pregiudicandolo per il futuro. Infine, le strutture sintetiche permettono l’ottimizzazione del profilo di rischiosità del proprio portafoglio in modo semplice e diretto infatti, tali strutture possono essere concepite come veri e propri strumenti di gestione del rischio di credito a 360 gradi nel senso che, non solo, consentono il trasferimento del rischio a terzi ma permettono anche di acquisire esposizioni creditizie nei confronti di soggetti con i quali non sono intrattenute relazioni di clientela. Riquadro 1: I derivati creditizi (credit derivative) Tradizionalmente le banche hanno svolto la funzione di prestare denaro e di assumersi il rischio di credito legato alla possibile insolvenza dei debitori invece, con l’introduzione dei derivati creditizi, è possibile negoziare il rischio di credito (Hull, 2006). I credit derivative sono strumenti finanziari che consentono il trasferimento degli effetti economici del rischio di credito relativo a un determinato soggetto – reference entity – verso cui si detiene un’esposizione nelle forme di affidamento creditizio o valori mobiliari con la particolarità di non intaccare la relazione debitore-creditore. In sostanza le banche che utilizzano credit derivative sono in grado di gestire attivamente i loro portafogli mantenendo l’esposizione verso alcuni rischi di credito ed entrando in derivati creditizi che li proteggano da altri. I soggetti coinvolti nel contratto sono il protection buyer – colui che acquista protezione dagli effetti economici del rischio – e il protection seller – la controparte che vende protezione. L’utilizzo dei derivati su crediti ha assunto negli ultimi anni una crescente importanza favorendo sempre più l’utilizzo di questi strumenti per fini di copertura o per la negoziazione delle aspettative sul merito creditizio. Le banche, solitamente, sono state tra i maggiori compratori di protezione creditizia e le compagnie di assicurazione tra i maggiori venditori 86. Qui di seguito verranno presentati i derivati creditizi più impiegati per trasferire il rischio in una cartolarizzazione sintetica. 86 Il settore assicurativo non è regolamentato nello stesso modo di quello bancario e tende a vedere i rischi di credito da un punto di vista attuariale piuttosto che da un punto di vista finanziario. Di conseguenza, le compagnie di assicurazione sono più propense delle banche ad assumersi i rischi di credito. 21 Credit Default Swap (CDS): strumento derivato in base al quale un soggetto (protection seller), a fronte del versamento di un premio periodico, si impegna a corrispondere ad un altro soggetto (protection buyer) un pagamento qualora, entro una certa data, un terzo soggetto diventi insolvente. I CDS offrono, quindi, protezione contro il rischio di insolvenza (credit event) di una specifica società denominata reference entity ovvero proteggono contro il rischio di credito insito in un singolo asset o in un pool di asset detenuti in portafoglio. Le parti di un contratto CDS specificano quale tipologia di credit event può essere considerata default. Infatti, esistono varie tipologie di credit event: mancato pagamento del dovuto, fallimento, dichiarazione di insolvenza o riconosciuta incapacità a pagare i debiti per quanto dovuto, ammissione a procedure concorsuali, nomina di un amministratore o liquidatore per tutte le attività e ristrutturazione del debito. Inoltre, le parti possono accordarsi in modo tale che l’obbligazione del protection seller sia dovuta al verificarsi del credit event solo al superamento di un determinato livello di perdita. Nel contratto di CDS viene individuato il capitale nozionale, pari al valore nominale delle obbligazioni o del pool di asset il cui rischio si intende trasferire, in base al quale viene calcolato l’ammontare del premio periodico espresso in punti base annui versato dal protection buyer fino alla scadenza del contratto o fino al verificarsi dell’evento creditizio. In caso d’insolvenza lo swap viene liquidato con le modalità di settlement previste dal contratto. Tipicamente esistono due tipi di settlement: - modalità cash: prevede che il venditore di protezione effettui un pagamento alla controparte pari alla differenza tra il valore iniziale e quello finale del reference bond; - modalità physical: prevede l’acquisto da parte del protection seller a un prezzo prestabilito all’inizio del contratto (o con modalità prestabilite di determinazione del prezzo) del reference bond interessato dal credit event. Total Return Swap (TRS): il contratto di TRS prevede lo scambio del tasso di rendimento di una specifica attività di riferimento con un altro tipo di cash flow (in genere il Libor maggiorato di uno spread). Colui che si impegna a pagare il tasso di rendimento dell’attività di riferimento è detto protection buyer mentre la controparte è il protection seller. Il tasso di rendimento complessivo (total return) che viene scambiato include i pagamenti in linea interesse e capitale contrattualmente previsti nonché gli apprezzamenti del valore di mercato del reference asset rilevati durante la vita dello swap. Il protection seller, invece, corrisponde alla controparte dei flussi periodici tipicamente agganciati al Libor maggiorato di uno spread più gli eventuali deprezzamenti dell’attività di riferimento. Credit Linked Notes (CNL): le CLN sono strumenti legati al rischio di credito di una reference entity dalla cui performance (in termini di deterioramento della qualità del credito e/o di default) dipende l’entità dei pagamenti degli interessi sulle note nonché del loro rimborso a scadenza. Il protection buyer è colui che emette le note che verranno sottoscritte dal protection seller il quale effettuerà un pagamento al compratore di protezione pari al valore nominale delle note (sottoscrizione alla pari). Se, entro la scadenza delle note, non si verifica l’evento creditizio il compratore di protezione rimborsa alla pari le note; al contrario, in caso credit event, il protection buyer si limita a ridurre il valore di rimborso del titolo, senza quindi essere soggetto ad alcun rischio di credito. L’ammontare del rimborso dipenderà dalla riduzione di valore subita dall’entità di riferimento per effetto del deterioramento della qualità del credito. 22 1.4 Cartolarizzazione revolving La cartolarizzazione con struttura revolving comporta l’emissione di ABS con importo e scadenza definiti a fronte di un portafoglio di attività con ammontare e scadenza variabili. La struttura revolving prevede due periodi distinti: il revolving period e l’amortization period. Nel periodo revolving i sottoscrittori di ABS ricevono una serie di cash flow a titolo di interessi mentre i rimborsi in linea capitale di loro competenza vengono utilizzati dal veicolo per acquistare nuovi crediti con analoghe caratteristiche, al fine di mantenere un livello costante di attivi a supporto degli investitori. Nel successivo periodo di ammortamento – amortization period - i flussi di interesse sui crediti continuano a essere utilizzati per il pagamento degli interessi sulle ABS e delle spese operative; le quote capitale di competenza degli investitori sono utilizzate per rimborsare i titoli. L’amortization period potrebbe essere preceduto dall’accumulation period, della durata di un anno circa, durante il quale i pagamenti dei debitori sottostanti sono trasferiti a un conto di riserva in modo da accantonare le risorse necessarie per il rimborso dei titoli ABS. Il rimborso del capitale ai sottoscrittori dei titoli ABS può avvenire mediante il pagamento di una serie di rate di uguale importo – controlled amortization – oppure mediante versamento in un'unica soluzione – bullet. Le operazioni revolving sono utili quando la scadenza dei crediti ceduti è di breve periodo e diversa da quella delle ABS (ad esempio carte di credito). Tali strutture possono essere utilizzate anche per crediti con scadenza oltre il breve periodo e, anche in questo caso, viene previsto un periodo revolving in cui le quote capitale versate dai debitori originari sono utilizzate per acquistare nuovi crediti e una fase di ammortamento in cui si procede anche al rimborso del capitale. Nelle cartolarizzazioni revolving le caratteristiche iniziali del portafoglio possono peggiorare a seguito di modifiche nelle politiche di erogazione dei crediti perseguite dall’originator a danno della qualità delle ABS emesse. Per consentire il mantenimento dell'originario merito creditizio dell'operazione e, quindi, dell'eventuale rating inizialmente assegnato ai titoli assetbacked lo SPV acquista crediti fungibili ed omogenei rispetto a quelli scaduti e che rispettino le caratteristiche previste nel prospetto dell'operazione medesima. Inoltre, per limitare tale rischio, risulta utile l’uso di scenari di stress che considerino ipotesi di deterioramento della qualità del portafoglio nonché la predisposizione di trigger event che facciano scattare il rimborso anticipato del capitale evitando, in tal modo, ulteriori deterioramenti. La predisposizione di trigger event è comune alle strutture di cartolarizzazione revolving e ha la funzione di salvaguardare gli investitori in ABS. 1.5 Cartolarizzazioni tramite conduit Negli ultimi anni si sono affermate nuove tecniche di cartolarizzazione basate sulla creazione di società veicolo denominate conduit. Tali tecniche di cartolarizzazione prevedono la cessione degli attivi al conduit il quale finanzia l’acquisto attraverso l’emissione di una particolare tipologia di strumento finanziario denominato asset backed commercial paper (ABCP) con scadenza pari o inferiore all’anno (di solito 1, 3 o 6 mesi). Gli attivi collateralizzabili che compongono il portafoglio possono essere prestiti al consumo (sia alla 23 clientela prime sia a quella subprime), prestiti o leasing per l’acquisto dell’auto, obbligazioni (tra cui high yield bonds) o ABS. I conduit come i tradizionali SPV sono progettati come entità a basso rischio di fallimento, tuttavia al di là di questa caratteristica comune i conduit presentano una serie di elementi distintivi: - gli acquisti degli attivi, tipicamente a medio-lungo termine, sono finanziati attraverso l’emissione di commercial paper (CP) a breve scadenza garantita dagli asset sottostanti. Inoltre, frequentemente, le ABCP in scadenza vengono rimborsate mediante l’emissione di nuove ABCP; - il servizio sui titoli emessi dipende principalmente dai flussi di cassa del portafoglio sottostante e dalla capacità del conduit di emettere nuove CP. Le operazioni di cartolarizzazione in esame possono essere strutturate tramite lo schema single-seller o tramite lo schema multi-seller. Lo schema più diffuso è multi-seller e in base ai valori forniti da Criado et al (2008) alla fine di marzo 2007 negli Stati Uniti i conduit multiseller rappresentavano il 54% del totale. In caso di struttura single-seller il conduit emette ABCP a fronte della cessione di un portafoglio da parte di un unico cedente; al contrario, nelle strutture multi-seller, intervengono diverse banche originator che trasferiscono i propri attivi al conduit (vd. Figura 1.2). I coundit multi-seller investono, quindi, in asset di più originator sfruttando in tal modo l’opportunità di formare portafogli composti da più asset type e quindi molto diversificati. La varietà dei pool è assicurata da una serie di limiti alla concentrazione che riguardano gli asset type, i settori e la localizzazione geografica; in tal modo i portafogli saranno meno dipendenti dalle performance di uno specifico asset. Figura 1.2: Schema di cartolarizzazione con conduit multi-seller Fonte: FitchRatings (2001) Oltre ai conduit single-seller e multi-seller è possibile individuarne un altro tipo: lo structured investment vehicle (SIV) specializzato nell’acquisto di prodotti di finanza strutturata. In aggiunta alle tecniche di credit enhancement comunemente impiegate in operazioni di securitisation classica nelle cartolarizzazioni tramite conduit assumono particolare rilievo i supporti alla liquidità. Infatti, la presenza di una serie di rischi associati al possibile 24 sfasamento temporale tra i cash flow delle attività cedute e dei titoli emessi e all’eventualità che il conduit sia incapace di emettere nuove CP implica la predisposizione di una serie di fondi di liquidità a favore del conduit. Oltre al rischio di liquidità altrettanto importante in una emissione di ABCP è il rischio di deterioramento della qualità degli asset sottostanti. Un eventuale deterioramento della qualità degli attivi sottostanti provoca una duplice ripercussione sulla società veicolo: da un lato, diminuisce il valore del patrimonio e, dall’altro, vi è il rischio di non riuscire a collocare i commercial paper di nuova emissione a causa della diffidenza dei potenziali investitori. Allo scopo di minimizzare le perdite in caso di deterioramento della qualità degli asset, di frequente, le emissioni di ABCP incorporano dei sistemi di protezione denominati CP stop-issuance. Tali sistemi entrano in funzione in caso di insolvenza di uno specifico asset o dell’intero portafoglio e causano l’arresto immediato delle nuove emissioni di CP. L’intervento del liquidity provider e del credit enhancement provider consente ai titoli emessi dai conduit di godere di un rating molto elevato (nella prassi, infatti, gran parte delle tranche di ABCP ha il rating più alto assegnato a strumenti a breve termine dalle agenzie di rating). 1.6 Cartolarizzazione repackaging Uno degli sviluppi più recenti nel panorama delle cartolarizzazioni è rappresentato dalla strutturazione di operazioni in cui il portafoglio di asset è costituito da prodotti di finanza strutturata (ABS). Queste operazioni prendono il nome di cartolarizzazioni repackaging o resecuritisation. Le prime operazioni di resecuritisation risalgono alla fine degli anni Novanta quando le principali strutture utilizzate erano tipicamente cash con un collateral composto da un numero elevato di tranche mezzanine di high yield Collateralized Bond Obligation (CBO). La diffusione dei repackaging è probabilmente un fenomeno naturale, conseguenza della crescita straordinaria del mercato delle cartolarizzazioni e quindi dell’aumento progressivo della disponibilità di tranche che costituiscono il collateral. Le cartolarizzazioni repackaging vengono definite anche two-layer securitisation ovvero operazioni di cartolarizzazione il cui sottostante è formato da titoli che a loro volta sono frutto di operazioni di cartolarizzazione e si contrappongono alle one-layer securitisation ossia le cartolarizzazioni tradizionali (vd. Figura 1.3). Sicuramente uno dei driver più significativi dello sviluppo di queste particolari forme di cartolarizzazione è il maggior grado di personalizzazione degli strumenti emessi, se comparati con gli ABS tradizionali. Gli investitori che sottoscrivono titoli emessi a seguito di una ricartolarizzazione beneficiano di un’immediata esposizione diversificata a un mix di strumenti di finanza strutturata altrimenti non accessibile. Infatti, per mezzo delle resecuritisation, è possibile formare pool di asset altamente diversificati composti da diversi prodotti di finanza strutturata (al contrario è altrettanto possibile formare portafogli con un minore livello di diversificazione ad esempio composti da prodotti riconducibili al settore real-estate). Inoltre, solitamente, le emissioni di repackaging presentano un profilo di rimborso in un’unica soluzione a scadenza e ciò ne aumenta il mercato potenziale data la conseguente semplificazione della gestione dal punto di vista dell’investitore. Altro fattore da non trascurare, che ha aumentato l’appetibilità dei titoli ricartolarizzati, è la possibilità di realizzare spread relativamente maggiori rispetto ai titoli tradizionali in un contesto di bassi tassi di interesse. Un maggiore spread è comunque sintomo della presenza di un premio 25 richiesto dagli investitori giustificato dalla maggiore complessità del prodotto, dalla struttura che incorpora un doppio leverage, dalla maggiore esposizione al rischio sistematico e dallo scarso sviluppo di un mercato secondario per i titoli repackaging. Le cartolarizzazioni repackaging proprio per la loro caratteristica di essere composte da due cartolarizzazioni pongono una serie di difficoltà nella valutazione del rischio dei titoli emessi. Tuttavia è possibile affermare che, se il portafoglio di prodotti di finanza strutturata è ben diversificato allora l’esposizione al rischio idiosincratico, ovvero il rischio determinato da improvvisi peggioramenti del merito creditizio di singoli emittenti all’interno del portafoglio, è pressoché eliminato. Pertanto la performance del pool di asset dipenderà in larga parte dal rischio sistematico; piccole variazioni nei driver di rischio sistematico causeranno ingenti perdite per le varie tranche. In particolare, in periodi caratterizzati da gravose pressioni sistemiche, le tranche senior saranno colpite da perdite di entità notevole (cliff effect); per questo motivo è possibile sostenere che le tranche senior tendono ad essere maggiormente sensibili agli shock sistemici. In aggiunta, il principale punto di debolezza dei prodotti repackaging è la possibilità che possano riprodurre l’esposizione nei confronti di singoli asset (overlapping) con la conseguenza di moltiplicare le perdite in caso di default di questi attivi 87. Figura 1.3: Esempio di cartolarizzazione two layer: creazione di un Collateralized Debt Obligation (CDO) basato su un pool di Residential Mortgage Backed Securities (RMBS) Fonte: Criado et al (2008) 1.7 I soggetti partecipanti all’operazione di cartolarizzazione In un’operazione di cartolarizzazione è possibile suddividere le attività in due categorie: le attività primarie e le attività complementari. Le prime possono essere individuate nella cessione dei crediti e nell’emissione dei titoli; le seconde svolgono un fondamentale ruolo di 87 Si supponga per esempio che nel pool sottostante a una CDO sia presente un’obbligazione Fiat e si ipotizzi che la CDO emessa venga successivamente selezionata per formare, insieme ad altre, il collateral di una seconda CDO (CDO2); a questo punto il nome Fiat potrebbe ricorrere diverse volte. Ebbene in caso di default dell’obbligazione Fiat, è evidente che le perdite cui sono esposte le tranche emesse del secondo CDO risultano moltiplicate. 26 sostegno alle attività primarie fornendo input, tecnologie, risorse e altri servizi a elevato valore aggiunto. Sulla base della precedente distinzione, nel paragrafo si fornisce una descrizione delle principali funzioni degli operatori coinvolti in un’operazione di securitisation distinguendo i soggetti che svolgono le attività di base - orginator, Special Purpose Vehicle, investitori - dai soggetti che effettuano le attività complementari - servicer, trustee, arranger, lead manager, asset manager, sponsor, studi legali e fiscali, agenzie di rating, controparti di hedging, credit enhancer, liquidity provider, underwriter, autorità di vigilanza. 1.7.1 I soggetti preposti alle attività di base Originator L’originator 88 è colui che provvede a generare gli asset sottostanti l’operazione di cartolarizzazione mediante la concessione di un prestito o l’estensione di un finanziamento al prenditore di fondi. In base ai propri obiettivi da conseguire l’originator definisce i criteri di selezione e aggregazione dei crediti iscritti nel proprio bilancio e trasferisce il portafoglio individuato allo Special Purpose Vehicle (SPV), con una transazione che di norma si configura come una cessione pro soluto, ricevendo a titolo di corrispettivo risorse liquide. Il veicolo può versare il controvalore dovuto per intero, al momento della cessione, oppure in parte al momento del trasferimento dei crediti e in parte dopo l’integrale rimborso di tutti i titoli emessi. Special Purpose Vehicle (SPV) Il veicolo, detto anche Special Purpose Entity (SPE), acquisisce le attività dell’originator finanziandosi mediante l’emissione, sul mercato dei capitali, di titoli ABS garantiti dalle attività stesse. Considerato il ruolo centrale del veicolo un suo eventuale fallimento può compromettere in modo significativo il servizio sul debito delle ABS secondo i tempi e le modalità previste. Al fine di scongiurare questa ipotesi lo SPV si configura come un’entità bankruptcy-remote ossia come una società a ridotto rischio di fallimento. Questa peculiarità è garantita dal fatto che le uniche risorse dello SPV sono costituite dal pool di attività e dai titoli emessi; in aggiunta esso è sottoposto a regole definite in anticipo che hanno lo scopo di circoscrivere la sua attività, come ad esempio limiti all’indebitamento, impossibilità di avviare operazioni straordinarie, priorità assoluta degli investitori in ABS per il pagamento degli interessi e il rimborso del capitale ecc. Il veicolo può assume la forma di società di capitali o di trust 89 e in genere presenta le seguenti caratteristiche: - è scarsamente capitalizzato; - non ha un management né dipendenti; - la sua struttura è concepita per realizzare la neutralità fiscale; - lo SPV è strutturato in maniera tale da non essere sottoposto a fallimento. 88 Il nome deriva dal fatto che l’originator è l’entità che ha dato vita al credito che verrà cartolarizzato (Kothari, 2006). 89 Esistono anche operazioni di securitisation adottate mediante cessione del portafoglio crediti a fondi comuni di investimento. In tal caso il fondo comune di investimento sarà costituito unicamente dal pool di attività e dalle somme via via incassate dai debitori ceduti; i titoli sottoscritti dagli investitori saranno rappresentati da quote di partecipazione al fondo che verrà amministrato da una società di gestione (Giannotti, 2004). 27 L’originator assieme allo sponsor, se presente, devono compiere una scelta in merito alla domiciliazione del veicolo in base agli obiettivi che intendono perseguire con l’operazione di securitsation. Esso può essere domiciliato nel medesimo paese dell’originator e/o del mercato nel quale si intende collocare le note sia in un paese estero. La decisione di domiciliare lo SPV in un paese all’estero è determinata soprattutto da ragioni di natura fiscale, infatti in molti casi il veicolo è costituito in paesi con un ordinamento giuridico favorevole (in Europa i centri offshore più graditi sono il Lussemburgo e l’Irlanda) e secondariamente per ovviare a gap normativi che potrebbero impedire a una speciale categoria di strumenti di prendere vita in un determinato paese. Investitori Al termine delle operazioni di aggiustamento e ricomposizione dei clash flow generati dal portafoglio ceduto le ABS vengono collocate sul mercato. Le ABS possono essere sottoscritte da un pubblico molto vasto di investitori che comprende: hedge fund, fondi pensione, fondi comuni, istituzioni bancarie, compagnie di assicurazione e infine i risparmiatori. Fondi pensione ed hedge fund hanno beneficiato in modo particolare dalle emissioni di ABS tranched. I primi, limitati nella loro operatività da una serie di vincoli sugli investimenti, hanno prediletto le tranche dotate dei rating più elevati (AAA o AA) mentre i secondi, dotati della massima libertà nella scelta delle attività oggetto di investimento, hanno preferito le tranche mezzanine o equity che offrono rendimenti più elevati. Gli investitori possono acquistare i titoli ABS al momento della loro emissione o in seguito nel mercato secondario. 1.7.2 I soggetti preposti alle attività complementari Servicer Il servicer cura l’amministrazione dei rapporti di tipo finanziario con i debitori ceduti ossia si occupa della riscossione dei pagamenti in conto interesse e capitale e dell’avvio delle eventuali azioni legali nei confronti dei debitori insolventi. Inoltre, è incaricato di controllare le garanzie prestate, di provvedere al pagamento degli investitori in ABS e di gestire la liquidità in eccesso. Da quanto esposto è facile comprendere il ruolo cruciale del servicer al fine di assicurare la remunerazione ai sottoscrittori dei titoli ABS; infatti, in particolare, dovrà verificare che: - i flussi derivanti dal pool di attività affluiscano nei conti dello SPV e che siano specificatamente riservati a quella operazione di cartolarizzazione; - l’affluenza dei flussi avvenga secondo le scadenze originariamente concordate. Un ulteriore compito demandato al servicer consiste nell’attività di reporting; esso infatti deve comunicare periodicamente l’andamento dell’operazione di securitisation al trustee e allo SPV nonché alle agenzie di rating le quali potranno rivedere il proprio giudizio sui titoli in caso di variazioni sostanziali negli elementi che le avevano portate a formulare gli originari rating. L’importanza dell’attività del servicer e della buona solidità finanziaria dello stesso aumenta al peggiorare della qualità dei crediti sottostanti in quanto aumenta l’esigenza di limitare i danni derivanti dal possibile inadempimento dei debitori ceduti. La struttura dell’operazione può prevedere, a volte, la presenza anche di un back up servicer che, in caso di insolvenza del servicer, si sostituisca ad esso garantendo continuità allo svolgimento delle funzioni previste. 28 Il servicer a titolo di remunerazione per l’attività prestata percepisce una servicing fee, in genere annuale, calcolata in percentuale dei volumi raccolti. L’attività di servicing è sovente svolta dall’originator stesso in modo tale da ridurre i costi dell’operazione di cartolarizzazione e da mantenere i rapporti con i debitori ceduti facilitando così la riscossione dei crediti. Trustee Il trustee è di norma un’istituzione specializzata (ad esempio una banca) che agisce per conto degli investitori assicurando il corretto pagamento degli interessi, vigilando su qualsiasi evento che possa ledere i loro interessi e informandoli tempestivamente di qualsiasi accadimento legato all’operazione di cartolarizzazione. Normalmente dispone di un mandato fiduciario che gli permette di intraprendere iniziative legali necessarie per la protezione degli interessi dei sottoscrittori di ABS. La presenza di un soggetto posto a tutela degli investitori consente una maggiore fiducia da parte di chi acquista titoli, considerando che tali strutture includono spesso un’asimmetria informativa, tra chi genera e chi acquista, che può aumentare con il trascorrere del tempo (Galiani, 2003). Arranger Banca d'investimento (o un’istituzione specializzata nei servizi di investment banking come ad esempio la divisione investment banking di una banca o talvolta una Società di Intermediazione Mobiliare, SIM) si occupa di definire la struttura dello schema di cartolarizzazione per conto dell’originator e fornisce assistenza nelle diverse fasi di realizzazione dell’operazione. Si avvale di consulenti legali nell’esecuzione del controllo di tipo legale (due diligence) sui crediti che saranno oggetto di cartolarizzazione, inoltre cura i rapporti con le agenzie di rating e con gli altri soggetti coinvolti nell'operazione. In genere l'arranger si occupa, tra l'altro, dell'acquisizione di informazioni relative ai crediti da cartolarizzare (attraverso una analisi qualitativa ed una valutazione della performance storica degli stessi) e verifica le capacità tecnico-operative del servicer. Normalmente l’arranger, se istituto bancario, coincide con il lead manager ovvero con colui che si occupa dell’emissione, collocamento e quotazione in borsa delle ABS. Infatti, nel caso in cui i titoli vengano offerti al pubblico, l'arranger è anche responsabile della preparazione del prospetto informativo necessario per l'offerta e la quotazione dei titoli, ed assicura la conformità dell'operazione alle eventuali disposizioni della legge che regolamenta l'emissione dei titoli. Lead manager Il lead manager è una banca d'investimento o un intermediario finanziario incaricato della vendita delle attività cartolarizzate e della stesura del prospetto informativo per il collocamento dei titoli. Asset manager L’asset manager, a seguito di un apposito accordo con lo SPV, è la figura deputata a costituire e/o gestire il collateral. Esso assume un ruolo rilevante nel caso di gestione dinamica del collateral mentre negli altri casi, o la figura non esiste in quanto è la stessa banca originator che gestisce il portafoglio di attivi ceduti, oppure assume un ruolo marginale. 29 Sponsor Lo sponsor è il soggetto che ha interesse a porre in essere l’operazione di cartolarizzazione. Quindi, può essere l’originator, l’entità a cui fanno capo gli underlying asset, l’arranger o l’asset manager. Studi legali e fiscali Si tratta di consulenti che offrono il loro supporto in materia legale e fiscale, valutano i rischi legali e predispongono la base contrattuale di tutte le operazioni. Il loro intervento è indispensabile soprattutto nelle operazioni di cartolarizzazione più complesse che prevedono il coinvolgimento di normative di diversi paesi. Underwriter L’underwriter è un operatore in titoli che si impegna ad acquistare, interamente o in parte, un'emissione ad un prezzo prestabilito; esso, quindi, si assume il rischio di mercato della collocazione delle nuove emissioni presso gli investitori, in cambio di una commissione di sottoscrizione. Esso ha, inoltre, la funzione di fornire indicazioni circa la strutturazione dell’operazione in modo da realizzare un efficiente collocamento dei titoli presso gli investitori (la consulenza riguarda ad esempio il realizzo del tranching). Agenzie di rating Le agenzie di rating attribuiscono un rating creditizio ai titoli emessi a seguito dell’operazione di cartolarizzazione. Nel caso delle ABS il rating viene assegnato sulla base dell’analisi circa l’attitudine delle attività sottostanti ai titoli emessi a produrre i cash flow necessari al puntuale servizio del debito. Tuttavia, le agenzie di rating non si limitano alla valutazione del rischio di credito del portafoglio cartolarizzato ma analizzano anche la struttura di pagamento, la struttura legale, il rischio connesso ai vari partecipanti all’operazione e, infine, assistono la banca originator nelle fasi di strutturazione della cartolarizzazione (suggeriscono la ripartizione dell’importo complessivo di ogni singola emissione fra le diverse tranche, le forme e l’entità del supporto al credito e delle linee di liquidità ottimali per facilitare il collocamento delle ABS presso gli investitori finali). Il ruolo dell’agenzia di rating non si esaurisce con l’assegnazione della propria valutazione al momento dell’emissione dei titoli ABS ma continua con un attento monitoraggio dell’andamento dell’intera operazione teso a verificare l’incidenza sul merito di credito iniziale di ogni evento significativo procedendo, eventualmente, a una modifica del punteggio assegnato. La presenza di un giudizio di rating è importante sia per gli investitori sia per l’emittente. Il rating fornisce ai primi un’informazione sintetica concernente la rischiosità delle ABS anche a coloro che non sono in grado di effettuare autonomamente l’analisi del rischio di credito; ai secondi, invece, fornisce un contributo alla riduzione dei costi legati all’emissione poiché definisce il rendimento minimo da garantire ai sottoscrittori. Controparti di hedging Nelle operazioni di cartolarizzazione, per ottenere il rating desiderato sui titoli da emettere è spesso necessario coprire il rischio di tasso, in capo alla società veicolo emittente, che deriva dal mismatch tra tasso di interesse riveniente dai crediti ceduti e tasso di interesse da pagarsi sui titoli. Per questo motivo è fondamentale l’intervento di una controparte di hedging che fornisca copertura per i rischi di tasso di interesse e se necessario anche di cambio. 30 Credit enhancer Il credit enhancer è un soggetto che rilascia o predispone determinate garanzie atte a ridurre il livello complessivo del rischio creditizio caratterizzante i titoli emessi allo scopo di ottenere un miglior rating e, conseguentemente, di aumentare il prezzo ed il grado di liquidabilità dei titoli. Molto spesso accade che il credit enhancement venga fornito sia dall’originator (credit enhancement interno) sia da uno o più soggetti terzi (credit enhancement esterno). Liquidity Provider Istituto che mette a disposizione uno strumento di liquidità per onorare i pagamenti di capitale ed interessi a fronte di titoli in caso di momentanea carenza di liquidità generata dalle attività sottostanti. Autorità di vigilanza Le Autorità di Vigilanza autorizzano la costituzione dello SPV, definiscono le ponderazioni relative al calcolo del requisito patrimoniale e, infine, autorizzano il collocamento dei titoli presso il pubblico. 1.8 Credit and liquidity enhancement e prepayment risk mitigation Una delle fasi critiche del processo di cartolarizzazione è la selezione delle attività da sottoporre a securitisation poiché dalla capacità degli asset di generare dei flussi di cassa idonei a consentire il pagamento periodico degli interessi e il rimborso dei titoli emessi dipende il merito di credito attribuito alle ABS. Considerato che il buon esito dell’operazione dipende in larga parte dal merito di credito riferibile ai titoli cartolarizzati e che gli investitori non sono, di norma, preparati ad assumere tutti i rischi connessi a un pool di crediti vi è, quindi, l’esigenza di adottare garanzie di supporto capaci di migliorare il rating attribuibile all’emissione. Al fine di offrire ai sottoscrittori di ABS un supporto a copertura del rischio di credito vengono adottate una o più tecniche di credit enhancement. Siccome la valutazione della società di rating prende in considerazione, oltre al rischio di credito, una serie rischi ulteriori quali il rischio di liquidità e il prepayment risk è probabile che nella strutturazione della cartolarizzazione vengano impiegate anche tecniche di liquidity enhancement e di prepayment risk mitigation (le tecniche di credit and liquidity enhancement e le tecniche di prepayment risk mitigation saranno esposte nel teso di seguito). Di norma tali meccanismi vengono impiegati congiuntamente e, in caso di perdite, quest’ultime vengono ripartite tra tali meccanismi secondo un ordine predeterminato. Oltre alle garanzie a supporto dell’emissione trattate nel presente paragrafo nelle operazioni di cartolarizzazione sono di norma utilizzati strumenti derivati (interest rate swap, currency swap ecc.) con finalità di hedging inoltre, vengono previste delle back-up counterparties che intervengono in sostituzione delle controparti garanti in caso di downgrading o nel caso meno probabile di fallimento. ▪ Credit enhancement Il credit enhancement è uno strumento che migliora la qualità del cash flow di una o più attività rispetto alla qualità intrinseca del credito inoltre, prevede elementi di tutela degli investitori dalle perdite subite dalle attività sottostanti. 31 Il credit enhancement interviene proprio a copertura del rischio principale rilevabile nel portafoglio cartolarizzato: il rischio di credito ossia il rischio che il debitore ceduto non assolva anche solo in parte ai suoi obblighi di rimborso del capitale e di pagamento degli interessi. Le garanzie offerte si distinguono in interne o esterne a seconda che il garante sia rispettivamente l’originator o una terza controparte e, normalmente, sono utilizzate congiuntamente. Di norma, la banca originator si assume l’onere relativo alle insolvenze che si manifestano sul pool di asset fino a concorrenza della percentuale normale degli insoluti calcolata su dati storici delle insolvenze e/o ritardi di pagamento sperimentati su attivi simili a quelli che si intende cartolarizzare. Il credit enhancer esterno, invece, dietro il pagamento di un premio assicura la copertura del rischio creditizio per insolvenze superiori al normale, di solito sino ad un multiplo di 7-8 volte la percentuale standard assunta quale base (Monti et al., 1991). L’originator, grazie al credit enhancement, ottiene un incremento del rating assegnato alle ABS collocate sul mercato sino al livello di rating dell’entità garante (proprio per questo motivo di norma il credit enhancer è dotato di rating AAA). Nello specifico, le garanzie accessorie, consentono la creazione di titoli con rating più elevato di quello medio del sottostante pool di asset ovvero di generare titoli dotati di rating partendo da attività che ne sono prive ottenendo, in questo modo, un più efficace classamento dei titoli sul mercato con un risparmio in termini di costo del finanziamento. La scelta di quali tecniche di supporto adottare e la loro ampiezza dipende in larga parte dall’obiettivo che l’originator intende perseguire attraverso la cartolarizzazione oltre che dalle attività presenti nel portafoglio cartolarizzato e dall’investitore target di ABS. Se l’obiettivo che l’originator si è prefissato è il funding, allora si cercherà si spuntare le migliori condizioni di tasso possibili predisponendo strutture di credit enhancement molto solide, con forme di protezione ampie e sicure. Diversamente, se l’obiettivo è la liberazione di capitale (capital relief) ed un miglioramento dei coefficienti di redditività e di solvibilità, allora si tenderà ad utilizzare solo le forme di garanzia strettamente necessarie, così da avere strutture snelle che non immobilizzino molto capitale. Altri driver che guidano la scelta di quali forme di credit enhancement utilizzare sono (Kothari, 2006): - la perdita attesa sul pool di asset; - la deviazione standard della perdita attesa; - il grado di correlazione tra le diverse attività che compongono il portafoglio; - la perdita in caso di insolvenza (loss given default, LGD). Le garanzie interne (internal credit enhancement) si propongono di ridurre il profilo di rischio di credito e permettono di ottenere una serie di vantaggi quali la riduzione delle commissioni e degli oneri finanziari dovuti a terzi, la semplicità di strutturazione e il sostenimento di un recupero puntuale ed efficiente dei crediti ceduti. È possibile distinguere all’interno della categoria trattata diverse tipologie: Credit tranching: si tratta della forma di credit enhancement più utilizzata. Il tranching consiste nella suddivisione dell’emissione di titoli ABS in due o più classi caratterizzate da un diverso livello di seniority ossia da un diverso grado di priorità di pagamento. In tal modo si realizzano più tranche ognuna caratterizzata da un diverso profilo di rischio-rendimento. La versione classica del tranching prevede la creazione di tre tranche90 (vd. Figura 1.4): 90 Nella pratica il numero di tranche è di solito molto superiore: le tranche possono essere, a loro volta, ripartire in sotto-tranche che spesso hanno il medesimo rating ma scadenze distinte per tenere meglio conto delle diverse preferenze degli investitori. 32 - tranche senior (classe A) caratterizzata dal massimo livello di rating, dalla più elevata priorità nel pagamento dei cash flow e da un rendimento piuttosto basso; tranche mezzanine (classe B) caratterizzata da un livello di subordinazione intermedio e da un rating piuttosto elevato che, normalmente, rientra nell’investment grade; tranche junior o equity (classe C). I sottoscrittori di questa tranche percepiscono una remunerazione solamente eventuale a condizione che a ogni data di pagamento, dopo che i detentori delle altre tranche sono stati integralmente rimborsati, rimane una disponibilità residua. Pertanto su di essi gravano le perdite dei crediti ceduti e/o i ritardi di incasso dai debitori originali. Generalmente questi titoli sono privi di rating e vengono sottoscritti interamente dall’originator per segnalare la qualità delle attività cartolarizzate e per mantenere un forte incentivo a monitorare nel tempo il merito creditizio delle attività sottostanti. In tal caso, il valore complessivo della tranche equity non viene più iscritto in bilancio alla voce crediti verso clientela, ma a quella delle attività finanziarie da negoziare sul mercato o da detenere fino a scadenza. Negli ultimi anni, tuttavia, le tranche equity sono state spesso collocate sul mercato e sottoscritte da hedge fund (BCE, 2008). Figura 1.4: Esempio di credit tranching Fonte: elaborazione propria su schema Hull (2006) Note: La tranche junior copre il 5% del valore nominale del portafoglio e assorbe il primo 5% delle perdite per insolvenza. La tranche mezzanine copre il 10% del valore nominale del portafoglio e assorbe il successivo 10% delle perdite per insolvenza. La tranche senior copre l’85% del valore nominale del portafoglio e assorbe le residue perdite per insolvenza. I tassi di rendimento si applicano sul saldo di capitale che resta nella tranche dopo aver tenuto conto delle perdite. Ad esempio se si verificano perdite pari all’1% del valore nominale del portafoglio queste interesseranno solo i possessori della tranche junior e rappresenteranno il 20% del loro investimento (1/5 x 100). Il tasso di rendimento del 35% verrà pagato solo sul capitale residuo ovvero l’80% di quello originale. Le perdite per insolvenza devono superare il 15% del valore nominale dell’intero portafoglio per interessare i possessori della tranche senior. (Hull, 2006) Utilizzando un gergo in uso presso gli operatori ogni tranche è individuata da due limiti espressi in percentuale del capitale che costituisce il portafoglio di asset (Drago, 2007): - attachment point (limite inferiore): indica la soglia a partire dalla quale le perdite del collateral si traducono in perdite per la tranche stessa; 33 - detachment point (limite superiore): indica la soglia a partire dalla quale le perdite del collateral non interessano più la tranche considerata. È evidente che il detachment point di una tranche coincide con l’attachment point della tranche di grado immediatamente superiore nella scala di priorità. La differenza tra i due limiti individua il nominale della tranche sempre in percentuale dell’asset pool. Esprimendo nuovamente il concetto, i cash flow derivanti dal pool di asset cartolarizzati, dopo aver coperto i costi operativi e le varie commissioni derivanti dall’operazione di cartolarizzazione stessa, vengono utilizzati per i pagamenti delle cedole e/o rimborsi in via prioritaria dei titoli senior e a seguire dei titoli mezzanine e equity. Tale impostazione implica una cascata di pagamenti – cash flow waterfall - dove i cash flow generati dal pool di asset sono retrocessi agli investitori in base alle priorità di pagamento. Il credit tranching permette di ottenere una tranche (la senior), che rappresenta la quota più corposa dell’emissione totale, dotata di un rating molto elevato poiché essa riceve in via prioritaria i pagamenti rispetto alle classi mezzanine o equity. Quindi uno dei vantaggi del tranching è dato dal fatto che il manifestarsi di eventi di credito sul portafoglio sottostante non comporta necessariamente delle perdite per gli investitori; ciò è dovuto alla presenza della subordinazione che ciascuna tranche genera per le tranche ad essa senior. Overcollateralization: consiste nella detenzione da parte dello SPV di un portafoglio crediti con valore superiore al valore nominale dei titoli emessi in modo tale da ridurre significativamente la probabilità che i flussi prodotti dal portafoglio di attività siano insufficienti a remunerare i sottoscrittori di ABS. Ad esempio, un'emissione di titoli di 75 milioni di Euro può essere garantita da un portafoglio di attività valutate per 100 milioni di Euro; nel qual caso l'overcollateralization dei titoli sarebbe pari al 33%. In presenza di overcollateralization le perdite causate dall’insolvenza di uno o più debitori originari vengono assorbite primariamente dai crediti in eccesso. Nonostante la semplicità di strutturazione questa forma di garanzia presenta alcuni svantaggi non trascurabili (Giannotti, 2004): - il peggioramento della qualità dei crediti ceduti comporta un deterioramento anche della garanzia, dal momento che essa è data da crediti dello stesso tipo; - l’originator dall’operazione di cartolarizzazione ottiene un ammontare di liquidità inferiore a quello potenziale (una parte del valore dei crediti non è convertito in titoli), con un utilizzo del capitale poco efficiente. Excess spread: è la differenza positiva tra il rendimento degli attivi oggetto di cartolarizzazione e il rendimento riconosciuto ai sottoscrittori di titoli ABS al netto dei costi operativi. In altri termini esso rappresenta il valore aggiunto effettivamente generato dall’operazione e può essere utilizzato per vari scopi tra i quali alimentare il conto di riserva (spread account). Nelle prime fasi della cartolarizzazione lo spread account è costituito attraverso le risorse fornite dall’originator, successivamente, invece è finanziato dall’excess spread prodotto. In caso di perdite o ritardi nei pagamenti lo SPV garantisce la puntualità di erogazione dei pagamenti agli investitori attingendo alla riserva. Qualora le ABS siano state completamente rimborsate ovvero qualora il fondo raggiunga il limite superiore prefissato, la riserva in eccesso viene retrocessa all’originator a titolo di provento addizionale. 34 Reserve account: è una forma di credit enhancement richiesta soprattutto nella cartolarizzazione di crediti nonperforming. Il reserve account altro non è che una riserva di liquidità infatti, la liquidità derivante dal collocamento dei titoli anziché essere totalmente retrocessa all’originator viene in parte trattenuta all’interno del veicolo a costituzione del fondo a garanzia degli investitori. Cash collateralization: il supporto creditizio consiste nell’erogazione, da parte dell’originator, di un finanziamento subordinato a favore dello SPV il quale lo investirà in attività finanziarie caratterizzate da pagamenti con scadenze che ricalcano quelle dei flussi di competenza degli investitori in ABS. I cash flow provenienti dagli investimenti garantiranno i pagamenti anche in caso di default degli asset sottostanti. Alle strutture di credit enhancement di tipo interno si contrappongono le tecniche di external credit enhancement. Quest’ultime sono forme di supporto creditizio fornito da terze controparti che possono essere banche o compagnie di assicurazione. La garanzia viene prestata dietro il pagamento di un premio perciò il loro utilizzo sarà subordinato ad una attenta analisi costi-benefici, andando a comparare il costo della copertura con il risparmio in termini di minor interesse da corrispondere agli investitori in ABS. Al fine di ottenere un significativo miglioramento del rating è bene disporre di una controparte dotata di un alto standing creditizio poiché il rating degli ABS non può essere superiore a quello assegnato alla controparte in questione. Le tecniche di credit enhancement esterno più in uso sono: Lettere di credito: si tratta di un obbligo assunto da una banca di intervenire finanziariamente secondo l'ammontare del credit enhancement concesso. Le lettere di credito possono essere strutturate in modo tale da assicurare una copertura in relazione all’intero ammontare degli attivi cartolarizzati oppure in relazione agli attivi che sono via via presenti nel portafoglio (il livello di garanzia si riduce progressivamente). Monoline insurance: il supporto è fornito da un compagnie di assicurazione (monoline insurer) specializzate in questo tipo di servizi che si impegnano, dietro versamento di un premio, a garantire parzialmente o totalmente il rimborso dei titoli emessi, accollandosi il rischio d’insolvenza degli asset sottostanti. La garanzia può coprire solamente il rischio di credito dell’operazione oppure anche gli altri rischi tipici di un’operazione di cartolarizzazione (legale, operativo, ecc.) ma comunque nel rispetto del vincolo statutario che grava sulle monoline insurer che le permette di stipulare polizze per una sola tipologia di rischi. Le monoline insurer si sono sviluppate inizialmente negli Stati Uniti per poi successivamente diffondersi anche in Europa. L’utilizzo della monoline insurance come forma di credit enhancement è aumentato sempre più negli anni contemporaneamente alla diffusione delle operazioni di cartolarizzazione infatti, come riportato dall’AFGI (Association of Financial Guaranty Insurers),91 il valore nominale di ABS assicurati in tutto il mondo da parte dei membri AFGI ammonta ormai a oltre 800 miliardi di Dollari a fronte di 92 miliardi Dollari nel 1996. Multiline insurance: sono le normali compagnie di assicurazione che si impegnano a coprire un ammontare determinato di perdite. Ad esempio possono garantire le perdite fino a certo 91 L’AFGI è l'associazione di categoria degli assicuratori e riassicuratori di obbligazioni municipali e di asset backed securities. 35 ammontare espresso in percentuale dell’intero pool dismesso (first loss o stop loss insurance) o al contrario garantire le perdite che eccedono un determinato valore. Trigger event: i trigger event sono specifici eventi la cui manifestazione mostra un segnale che l’operazione sta andando deteriorandosi. Esistono vari tipi di trigger event. Possono essere collegati a fattori finanziari e, in tal caso, possono dipendere da un deterioramento delle performance del pool, dall’insufficienza di flussi di cassa o dall’incapacità dell’excess spread di coprire le perdite. In altri casi i trigger event possono riferirsi a fattori non finanziari come ad esempio il declassamento di una controparte coinvolta nell’operazione o l’aumento dei rischi di controparte. Solitamente gli eventi sono definiti nella documentazione dell’operazione di securitisation che, a sua volta, regola le azioni da intraprendere nel caso in cui “scatti” un trigger event (come ad esempio il rimborso anticipato del capitale). Credit default swap (CDS): è un derivato del credito che permette il trasferimento del rischio di credito relativo all’underlying pool. Prevede il coinvolgimento di due soggetti il compratore di protezione, tipicamente lo SPV, e il venditore protezione tipicamente una compagnia di assicurazione o un altro intermediario finanziario. ▪ Liquidity enhancement Importanti per la buona riuscita dell’operazione di cartolarizzazione oltre alle tecniche di credit enhancement precedentemente elencate vi sono anche le tecniche di liquidity enhancement. Quest’ultime si propongono di affrontare temporanei deficit di disponibilità liquide al fine di garantire la puntualità dei pagamenti dovuti agli investitori coprendo il rischio che i debitori paghino in ritardo o che le scadenze previste per i pagamenti non combacino con le scadenze dei pagamenti dovuti agli investitori in ABS nonché che si verifichino ritardi dovuti ad inefficienza del servicer. Di seguito vengono elencate le principali strutture di liquidity enhancement che trovano applicazione in operazioni di securitisation: Anticipi del servicer (servicer advance): il servicer rappresenta la prima fonte di liquidity enhancement in quanto fornisce periodicamente anticipi al fine di garantire il puntale pagamento di interessi e capitale agli investitori in ABS. I pagamenti ricevuti dai debitori vengono trattenuti dal servicer stesso a titolo di rimborso per gli anticipi garantiti. Linee di liquidità: il liquidity provider (in genere un istituto creditizio) assicura la disponibilità di liquidità tramite un’apertura di credito alla quale attingere solo eventualmente nell’ipotesi in cui si manifestino temporanei gap di liquidità. ▪ Prepayment risk mitigation Il rischio di rimborso anticipato insorge qualora il debitore originario decide di rimborsare il debito prima della scadenza originaria. Una tipica tecnica di mitigazione del rischio di prepagamento utilizzata soprattutto nelle cartolarizzazioni di mutui ipotecari consiste nel destinare in modo differenziato il capitale rimborsato in anticipo alle diverse tranche in modo da creare tranche più esposte al prepayment risk (Fabozzi et al, 2007). Altrimenti, è possibile adottare una serie di contromisure – prepayment penalties - sui crediti sottostanti che scoraggino gli eventuali rimborsi anticipati. 36 1.9 Storia ed evoluzione della cartolarizzazione La tecnica della cartolarizzazione si è sviluppata inizialmente nei paesi di common law e in particolare ha avuto origine negli anni Settanta negli Stati Uniti. Si trattava di un periodo caratterizzato dall’incapacità del sistema creditizio di far fronte alla domanda di mutui finalizzati all’acquisto di un’abitazione. Infatti, nella seconda metà degli anni Settanta gli individui appartenenti alla cosiddetta baby boom generation erano giunti all’età matrimoniale e quindi si era posta la necessità di accedere al credito ipotecario per acquistare un’abitazione. Di conseguenza il timore che le disponibilità esistenti non fossero abbastanza capienti per soddisfare la domanda dilagava. Al fine di acquisire nuove fonti di raccolta di fondi nel 1977 la Bank of America strutturò la prima operazione di cartolarizzazione su un portafoglio di mutui immobiliari emettendo il primo titolo mortgage – backed (Mortgage Backed Security, MBS) garantito dall’organo federale Ginnie Mae. Inizialmente i primi MBS non riscontrarono un gran successo tra gli investitori a causa della durata molto lunga (30 anni) e dei pagamenti mensili. Il mercato, infatti, non decollò fino a quando negli anni Ottanta Fannie Mae emise il primo Collateralized Mortgage Obligation (CMO) che consentì di incontrare le esigenze di una più vasta base di investitori. Successivamente questi titoli riscossero un tale successo presso alcune fasce di investitori che le banche si precipitarono ad emetterne di simili. Il processo cominciò via via ad estendersi ad una gamma sempre più ampia di attività collateralizzabili: prestiti industriali e commerciali, prestiti concessi per l’acquisto di automobili, credito al consumo, leasing fino a coinvolgere in epoche più recenti i crediti inerenti i diritti di proprietà intellettuale e di sfruttamento dell’immagine. Il processo di innovazione ha riguardato anche le tecniche impiegate per la cartolarizzazione: dai tradizionali schemi pass-through si è giunti a strutture più complesse, come ad esempio le repackaging, in cui gli asset sottostanti sono rappresentati da strumenti a loro volta già emessi nell’ambito di operazioni di cartolarizzazione. Fino agli anni Novanta la diffusione della securitisation a livello internazionale è stata piuttosto lenta a causa di una serie di ostacoli quali i limiti posti dalle diverse regolamentazioni, la mancanza di omogeneità nel finanziamento dei prestiti e la carenza di infrastrutture istituzionali che rallentarono lo sviluppo di un mercato per i titoli derivanti dalla cartolarizzazione. Successivamente, nel decennio scorso, il successo della cartolarizzazione nei mercati finanziari e più in generale delle tecniche di trasferimento del rischio di credito esplose coinvolgendo paesi al di fuori degli Stati Uniti e determinando un’eccezionale aumento dei volumi di attività cartolarizzate. Con particolare riferimento all’Europa il primo titolo mortgage-backed fu emesso nel Regno Unito nel 1987. È bene sottolineare che, nello scenario europeo, il Regno Unito è il paese che ha conosciuto, grazie alla comunanza degli istituti di common law e ad una adeguata flessibilità del sistema giuridico, la più rilevante diffusione del fenomeno e rappresenta tutt’oggi il primo mercato, per livello di emissioni, in Europa (Rumi, 2001). Infatti, l’attività di cartolarizzazione negli altri paesi europei ha accelerato solo alla fine degli anni Novanta quando banche e investitori apprezzarono le potenzialità di tale operazione. Lo sviluppo in Europa di questa tecnica è stata favorita dalla creazione di un mercato unico dei capitali, culminato con l’introduzione dell’Euro, che ha permesso ad investitori istituzionali di accrescere la propria esposizione transfrontaliera e agli emittenti di accedere a un insieme più ampio di investitori potenziali. Esistono, inoltre, una serie di altri fattori sottostanti lo sviluppo impetuoso della securitisation : 37 - la globalizzazione dei mercati finanziari; l’aumento della domanda di ABS proveniente da investitori che perseguono obiettivi di diversificazione e/o rendimento. In particolare la domanda è stata sostenuta da un ampliamento della base di investitori interessati ai prodotti cartolarizzati che include hedge fund, fondi pensione e gli stessi istituti bancari; - l’innovazione tecnologica e finanziaria che ha permesso significativi miglioramenti nella conservazione e nell’elaborazione dei dati finanziari; - il generale miglioramento del quadro normativo che ha meglio definito le modalità operative di svolgimento delle transazioni generando fiducia negli investitori e definendo meglio le regole di condotta da seguire da parte degli emittenti e degli intermediari finanziari; - la riduzione dei tassi di interesse e l’andamento negativo dei mercati azionari nel periodo dopo lo scoppio della bolla delle dot-com e della crisi successiva all’11 Settembre 2001 hanno incrementato l’interesse degli investitori per i titoli cartolarizzati. La Figura 1.5 mostra la rapida crescita che il mercato della cartolarizzazione europeo ha registrato a partire dal 2000, sostenuta da condizioni di mercato favorevoli e dalla necessità delle banche di diversificare le proprie fonti di finanziamento in un contesto sempre più competitivo. Tuttavia è il mercato delle cartolarizzazioni americano (vd. Tabella 1.1) a detenere la leadership per importi di emissioni a livello mondiale. Figura 1.5: Volumi di emissioni nel mercato europeo della securitisation (2000-2009a) 800,00 700,00 € miliardi 600,00 500,00 Q4 400,00 Q3 Q2 300,00 Q1 200,00 100,00 0,00 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 anni a i dati del 2009 si riferiscono ai primi due trimestri. Fonte: elaborazione propria su dati European Securitisation Forum (anni vari) Tale primato è determinato, oltre che da una maggiore maturità del mercato americano, anche da una serie di specificità che hanno favorito lo sviluppo delle operazioni di cartolarizzazione: in particolare un sistema di leggi e norme in grado di disciplinare il mercato della securitisation offrendo, in tal modo, quel contesto istituzionale necessario per accogliere 38 soggetti economici interessati a tali strumenti. Inoltre, il mercato statunitense si compone di soggetti economici in possesso di quelle competenze e capacità finanziarie che consentono di poter strutturare operazioni di cartolarizzazione di asset, apprezzandone il valore; in altri termini, sia dal lato della domanda che dell’offerta sono presenti soggetti in possesso di quelle competenze tecniche necessarie per realizzare la gestione di tali operazioni. Nonostante l’indiscussa superiorità del mercato americano a livello di dimensioni; le percentuali di crescita del mercato europeo sono superiori rispetto a quelle registrate dal mercato statunitense soprattutto per quanto riguarda gli anni 2003-06; ciò indica che il mercato europeo agli inizi degli anni 2000 era ancora un mercato giovane che ha poi registrato una crescita repentina e vigorosa (vd. Tabella 1.1). Il mercato delle ABS europee è estremamente diversificato per tipologia di asset sottostanti, infatti le ABS presenti sul mercato possono essere raggruppate in quattro diverse grandi famiglie, in funzione del collateral dal quale derivano: 1) Immobiliare: - RMBS: mutui a privati (fetta principale del mercato); - CMBS: mutui commerciali. 2) Corporate: - SME: finanziamenti a piccole imprese; - leasing; - CLO: prestiti garantiti ad imprese per operazioni di leverage buyout; 3) Finanziamenti al consumo: - Auto loan: finanziamenti per acquisto di auto; - Credit card: finanziamenti al consumo attraverso carte di credito. 4) Altri attivi finanziari: - CDO: cartolarizzazioni di obbligazioni corporate, ABS, ecc. Tabella 1.1: Confronto volumi di emissioni mercato europeo e statunitense 2000-2009a Q1 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 Q2 Emissioni Europee Emissioni US (miliardi di Euro) (miliardi di Euro) Q3 14,10 16,40 21,40 20,50 43,20 22,70 24,30 42,60 35,70 43,30 51,90 39,70 55,80 59,00 53,20 47,80 94,40 41,50 69,00 114,30 112,80 128,74 152,00 98,26 40,00 169,60 134,07 123,20 81,20 Q4 TOTALEb 26,30 66,20 55,10 82,40 75,50 143,30 184,90 74,71 367,61 78,20 152,60 157,70 217,30 243,50 327,00 481,00 453,71 711,30 204,40 a Δ% TOTALE c Δ% 95,14% 3,34% 37,79% 12,06% 34,29% 47,09% -5,67% 56,77% 1.088,0 2.308,4 2.592,7 2.914,5 1.956,6 2.650,6 2.455,8 2.147,1 933,6 732,7 112,17% 12,32% 12,41% -32,87% 35,47% -7,35% -12,57% -56,52% i dati del 2009 si riferiscono ai primi due trimestri. la somma dei dati trimestrali potrebbe differire dal totale a causa di arrotondamenti. c tutti i volumi sono espressi in Euro. I volumi degli Stati Uniti sono stati convertiti da Dollari a Euro, sulla base dei tassi di cambio ($/€) alla fine di ogni trimestre. Fonte: elaborazione propria su dati European Securitisation Forum (anni vari) b 39 L’evoluzione del mercato della cartolarizzazione nell’Area dell’Euro può essere analizzato sotto vari profili (BCE, 2008): a) volumi di emissioni La securitisation di asset italiani, olandesi e spagnoli ha coperto nel periodo 2005-2008 più della metà di tutto il mercato dell’Area dell’Euro delle cartolarizzazioni. Le cause alla base del diverso grado di diffusione delle operazioni di cartolarizzazione possono essere ricercate negli andamenti delle Residential Mortgage Backed Security (RMBS) e nei fattori di ordine giuridico, amministrativo e regolamentare. In relazione al primo aspetto, le RMBS rappresentano la quota principale delle emissioni totali e, di norma, sono più elevate in quei paesi dove i mutui ipotecari richiesti per l’acquisto dell’abitazione sono cresciuti più rapidamente dei depositi (come Spagna e Olanda). Con riferimento al secondo punto, invece, l’assenza di una disciplina specifica negli ordinamenti civili di alcuni paesi dell’Europa continentale ha influito negativamente sui volumi delle emissioni disincentivando il ricorso alla cartolarizzazione o imponendo agli operatori costi economici relativamente elevati. b) rilevanza di RMBS e CDO Tra i prodotti emessi a seguito di operazioni di securitisation si registra il predominio dei titoli garantiti da mutui residenziali (RMBS) che hanno costituito fin dall’inizio la quota principale delle cartolarizzazioni effettuate in Europa (vd. Figura 1.6). Figura 1.6: Il mercato europeo della cartolarizzazione per classi di attivo (2005-2007) 100% 90% 80% 70% Altri 60% RMBS 50% Prestiti 40% CMBS CDO 30% 20% 10% 0% 2005 2006 2007 Fonte: elaborazione propria su dati European Securitisation Forum (anni vari) Note: La voce CDO comprende solo gli strumenti finanziari emessi in euro. La voce Prestiti comprende i prestiti a leva finanziaria, quelli commerciali, i prestiti alle famiglie, alle imprese e quelli di altro tipo. La voce Altri include i prestiti per l’acquisto di auto, i crediti derivanti dall’utilizzo di carte di credito, canoni di leasing, anticipi in conto corrente, crediti relativi a polizze sanitarie e assicurative o di altra natura, crediti per erogazione di servizi di pubblica utilità e altri. Si rileva, inoltre, l’importanza delle Collateralized Debt Obligation (CDO) che, specialmente in epoca recente, hanno registrato un rilevante trend di espansione sia in termini di numero di emissioni che di dimensione. L’espansione del segmento delle CDO è determinata 40 dall’interesse mostrato verso questa categoria di prodotti sia dagli investitori, attratti dalle elevate possibilità di personalizzazione, sia dagli originator in quanto, queste emissioni possono essere attivate anche per importi non elevatissimi a differenza delle altre operazioni di cartolarizzazione. La diffusione delle CDO in Europa è stata più lenta rispetto agli Stati Uniti, in particolare, ha avuto avvio solo quando si sono diffuse le competenze necessarie per gestire strumenti finanziari complessi e articolati come le CDO. Nello specifico, come è possibile notare dalla Figura 1.6, il boom di emissioni di CDO si è registrato nel 2006 con un aumento della quota di mercato del 20% circa rispetto all’anno precedente; nel 2007 il livello è leggermente aumentato e, sicuramente, se la crisi finanziaria non avesse causato il blocco delle emissioni nel secondo semestre dell’anno, si sarebbe registrato un ulteriore record. c) livello modesto di cartolarizzazioni aventi per oggetto prestiti a piccole e medie imprese (PMI) L’incidenza delle ABS, in particolare di quelle garantite da prestiti alle PMI, rimane ridotta e la loro emissione rimane concentrata in Spagna e Germania dove è stata alimentata da programmi di sostegno specifici allo scopo di promuovere il finanziamento al settore delle PMI. Nel resto dell’Unione Europea non si è registrata la stessa crescita di mercato come in Spagna e Germania a causa della scarsa standardizzazione dei prestiti e della mancanza di serie storiche significative sull’andamento dei prestiti alle PMI. d) ruolo svolto dalla cartolarizzazione sintetica Dall’inizio degli anni Duemila la quota di emissioni di prodotti collegati alle cartolarizzazioni sintetiche è aumentata notevolmente grazie anche alla parallela diffusione dei derivati creditizi. Tale crescita riflette la grande attenzione mostrata verso tali prodotti da investitori che comprendono società di assicurazione, hedge fund, fondi pensione ecc. È difficile stimare le dimensioni di questo mercato poiché gran parte delle transazioni è costituita da collocamenti privati e non sono disponibili dati completi. Dalla Tabella 1.2, in cui sono esposti i volumi delle emissioni mondiali di CDO sintetiche di tipo funded (sono un tipo di CDO che utilizzano le CLN per trasferire il rischio di credito, vd. paragrafo 2.3), si evince la notevole crescita registrata dal mercato delle CDO sintetiche dal 2004 al 2005 (le emissioni sono passate da 37.237 milioni di Dollari a 64.957 milioni di Dollari). Nonostante la tipologia prevalente siano le cash flow CDO (vd. paragrafo 2.3) durante gli ultimi anni le synthetic CDO sono state le determinanti più importanti del cambiamento strutturale e dello sviluppo dell’intero mercato delle CDO. Secondo i dati forniti nel bollettino mensile della BCE nel solo 2006 sono stati emessi CDO sintetici (di tipo fundend e unfunded) per oltre 124 miliardi di Euro (BCE, 2008). Con l’avvio della turbolenza sui mercati finanziari a partire dalla seconda metà del 2007 e a causa dell’assorbimento improvviso di liquidità nel mercato delle ABS e dell’aumento dell’avversione al rischio degli investitori, il mercato delle cartolarizzazioni globale ha subito una battuta d’arresto. La recente crisi finanziaria, innescata da un aumento del numero di insolvenze nel segmento subprime USA dei mutui ipotecari, ha poi contagiato il mercato della cartolarizzazione poiché molti mutui subprime erano stati “impacchettati” e venduti agli investitori attraverso i MBS. Le emissioni in Europa quindi, dopo aver toccato livelli record nei primi mesi del 2007, scendono al livello minimo di 74 miliardi di Euro nel quarto trimestre, ben al di sotto dei livelli registrati un anno prima di 184,9 miliardi di Euro (vd. Tabella 1.1). 41 Tabella 1.2: Emissioni globali di CDO 2004-2008 (milioni di Dollari) cash flow e ibridi % synthetic funded % market value % Totale 2004 119.531,30 75,93% 37.237,20 23,65% 650,00 0,41% 157.418,50 2005 206.225,90 75,87% 64.957,40 23,90% 620,00 0,23% 271.803,30 2006 410.503,60 78,85% 66.503,10 12,77% 43.637,90 8,38% 520.644,60 2007 340.375,80 70,68% 48.470,50 10,06% 92.754,40 19,26% 481.600,70 2008 43.595,80 70,44% 1.340,60 2,17% 16.950,40 27,39% 61.886,80 Fonte: elaborazione propria su dati SIFMA (2009) Note: le emissioni di CDO unfunded non sono comprese. I CDO “ibridi” combinano la struttura di finanziamento dei cash flow CDO e dei CDO sintetici. Parallelamente al blocco del mercato primario delle nuove emissioni, anche il mercato secondario ha vissuto un tracollo di dimensioni mai sperimentate prima d’ora. In particolare, si è assistito a una drastica riduzione delle condizioni di liquidità con la scomparsa della domanda a cui si contrapponeva una crescente pressione alle vendite da parte di investitori costretti a smontare i propri portafogli. La conseguenza è stato un generalizzato aumento degli spread che ha colpito in maniera indifferenziata le varie asset class, le diverse aree geografiche, i diversi titoli, prescindendo totalmente da considerazioni fondamentali, pur molto diverse da asset ad asset, da area a area, da titolo a titolo. Nei primi mesi del 2009, in corrispondenza a una maggiore razionalità nel comportamento degli operatori (si è diffusa la consapevolezza che il gap tra prezzi del mercato secondario e fondamentali era così ampio da scontare fenomeni di deterioramento dei fondamentali alquanto implausibili anche in scenari altamente pessimisti) la situazione ha mostrato segnali di progressivo miglioramento. Considerando la gravità della crisi finanziaria che ha sconvolto l’intera economia mondiale la ripresa delle emissioni europee nel 2008 nei primi due trimestri del 2009 (vd. Figura 1.5) appare paradossale. In realtà tale crescita è solo apparente e le dimensioni reali del mercato sono ben diverse (vd. Figura 1.7). Figura 1.7: Emissioni nette globali (2007-2008) Fonte: International Financial Services London (2009) 42 Infatti, il volume delle emissioni europee nel 2008 risulta essere gonfiato dalle cosiddette autocartolarizzazioni finalizzate a ottenere attività utilizzabili come garanzia per accedere alle operazioni Repo (repurchase agreement) gestite dalla Banca Centrale Europea e dalla Bank of England. Nelle autocartolarizzazioni, a differenza delle cartolarizzazioni tradizionali, i titoli emessi dal veicolo a fronte del portafoglio crediti ceduto dalla banca non vengono collocati sul mercato, ma sono interamente sottoscritti dalla banca stessa. Le autocartolarizzazioni, pertanto, non comportano il trasferimento del rischio di credito, che rimane interamente in capo alla banca che ha effettuato l’operazione; esse sono dettate unicamente dall’obiettivo di accedere alle operazioni di rifinanziamento presso le Banche Centrali al fine di rafforzare la liquidità degli istituti di credito e conseguentemente accrescere la disponibilità di fondi da destinare all’attività di prestito. Considerando le emissioni nette ovvero quelle collocate sui mercati e sottoscritte dagli investitori finali è possibile calcolare nel 2008 un calo dell’82% rispetto al 2007 (International Financial Services London, 2009). Inoltre, le operazioni concluse negli ultimi due anni sono state caratterizzate da una struttura più semplice, da una più prudente individuazione degli asset collateralizzabili con l’adozione di criteri più stringenti e da una riduzione del leverage. Appaiono chiari, quindi, gli effetti che la recente crisi finanziaria ha prodotto sul mercato globale della cartolarizzazione al punto tale che oggi è difficile ipotizzare un futuro per le operazioni di cartolarizzazione, soprattutto per quelle più innovative. Le incertezze circa una possibile ripresa del mercato della securitisation derivano dai punti di debolezza delle cartolarizzazioni e del modello di business originate to distribuite (OTD) messi in luce dalla crisi subprime. Le principali criticità riguardano: (i) l’elevata complessità degli strumenti; (ii) le difficoltà di valutazione delle ABS; (iii) l’eccessivo affidamento sui rating da parte di alcuni investitori; (iv) l’inadeguatezza delle informazioni sull’esposizione delle istituzioni finanziarie verso strumenti strutturati e verso posizioni off-balance sheet, che rende molto difficile monitorare le esposizioni finali attraverso il sistema finanziario; (v) la presenza di asimmetrie informative lungo tutta la catena delle cartolarizzazioni. In particolare l’utilizzo esasperato delle cartolarizzazioni ha favorito l’adozione di comportamenti opportunistici da parte di alcuni intermediari che hanno deciso di finanziare soggetti molto rischiosi affidandosi sulla possibilità di trasferire il rischio ad essi associato allentando in tal modo le attività di screening e monitoring dei prenditori di fondi. Tuttavia, le diverse forme di cartolarizzazione, se condotte nel modo dovuto, rappresentano un processo necessario per equilibrare il mercato e per perseguire obiettivi di stabilità finanziaria dal momento che costituiscono uno dei principali canali di finanziamento per le banche. Un rilancio del mercato della cartolarizzazione tuttavia, non può avvenire in assenza di interventi che vadano a correggere le criticità sopra esposte al fine di attirare nuovamente gli investitori che hanno abbandonato il comparto. Le principali aree di intervento riguardano (Fender et al, 2009): - riduzione della complessità dei titoli cartolarizzati. La crescente complessità dei strumenti finanziari e delle strutture di cartolarizzazione ha, infatti, reso via via sempre più difficile comprendere il profilo di rischio-rendimento dell’investimento. La riduzione della complessità può essere raggiunta attraverso l’emissione di un numero minore di tranche e l’adozione di strutture più standardizzate; quest’ultime inoltre avrebbero certamente un effetto positivo sulla liquidità del mercato secondario; - maggiore trasparenza. Lungo la filiera della cartolarizzazione vi è una costante perdita di informazioni che crea lo spazio per comportamenti opportunistici a danno di chi si trova a valle della catena (investitori). L’opacità può essere ridotta attraverso catene di 43 cartolarizzazione più corte e, di importanza fondamentale, attraverso un periodico flusso di informazioni concernenti sia gli asset sottostanti sia l’evoluzione delle loro performance nel tempo; - migliorare l’utilizzo dei rating. Il rating non deve costituire l’unica variabile sottostante la decisione di investimento bensì, esso fornisce un ottimo punto di partenza ma deve essere accompagnato con altre informazioni riguardanti i rischi non considerati dal rating stesso; - allineare gli incentivi tra gli operatori che partecipano all’operazione, in particolare, tra originator e investitori. Si tratta di un intervento necessario per restituire solidità al modello delle cartolarizzazioni e per infondere nuova fiducia nei titoli ABS. Una possibile soluzione è quella di imporre all’originator e/o all’arranger di trattenere una quota dell’emissione di ABS in modo tale che anch’essi siano direttamente esposti a una quota di rischio per quanto riguarda le possibili perdite sugli attivi sottostanti la cartolarizzazione. La partecipazione al rischio da parte dei soggetti promotori dell’operazione di cartolarizzazione li incentiverebbe ad adottare comportamenti prudenti. La quota dell’emissione trattenuta può coincidere con la tranche first loss o può rappresentare una quota verticale dell’emissione al fine di ottenere un bilanciamento tra gli interessi per tutte le tranche. La soluzione prospettata ha una portata innovativa altamente ridotta: è prassi, infatti, che l’originator trattenga la tranche equity per segnalare al mercato la buona qualità degli attivi cartolarizzati. Tuttavia il clima di euforia che ha caratterizzato gli anni precedenti lo scoppio della crisi subprime, la crescente expertise acquisita dagli originator, la maggiore propensione al rischio degli investitori e le infinite possibilità offerte dai credit derivative hanno portato all’emissione della tranche equity sul mercato la quale veniva sottoscritta dal pubblico di investitori indebolendo di conseguenza l’incentivo all’assunzione di un comportamento prudente. È possibile affermare che, almeno nel breve termine, il mercato della cartolarizzazione sarà caratterizzato dal “back to basic” ossia un ritorno delle strutture di cartolarizzazione tradizionali mentre la ripresa delle ricartolarizzazioni appare più remota. È importante per la ripresa del mercato della securitisation, oltre agli interventi diretti al ripristino della fiducia degli investitori, la consapevolezza che la tecnologia alla base della cartolarizzazione è tutt’oggi valida, ciò che invece è sbagliato è il suo uso distorto. 44 2. Titoli collegati alle operazioni di cartolarizzazione 2.1 Introduzione Fino ad ora il termine ABS è stato utilizzato genericamente per indicare qualunque titolo emesso a fronte della cessione degli asset dal veicolo il cui rimborso, per capitale ed interessi, è assicurato dalla serie dei pagamenti derivanti dai prestiti che compongono il portafoglio cartolarizzato. Negli Stati Uniti dove la tecnica della securitisation è nata circa trent’anni or sono nell’ambito della finanza ipotecaria si è soliti distinguere tra: titoli MBS per i quali il sottostante è rappresentato da mutui ipotecari e titoli ABS per i quali il sottostante è rappresentato da qualunque attività diversa dai mortgage. Nel resto del mondo, viceversa, in considerazione del fatto che la tecnica si è diffusa quasi contemporaneamente in tutti i principali comparti di attività cartolarizzabili con l’acronimo ABS si identificano tutte le operazioni di securitisation, indipendentemente dal tipo di sottostante (Damilano, 2001). Nella realtà esistono una moltitudine di strumenti finanziari emessi dallo SPV a fronte di una vasta gamma di asset che costituiscono il collateral dell’operazione. Il presente paragrafo quindi, dopo aver presentato i principali criteri di classificazione delle ABS, ha come obiettivo l’approfondimento delle caratteristiche dei singoli strumenti finanziari emessi a fronte di operazioni di cartolarizzazione. 2.2 Classificazione delle Asset Backed Securities (ABS) Gli strumenti finanziari emessi a seguito di operazioni di securitsation sono, in genere, dotati delle seguenti caratteristiche: - marketability: devono essere negoziabili. Presupposti indispensabili per assicurare la negoziazione dei titoli cartolarizzati sono: (i) l’esistenza di un quadro giuridico che ne permetta la commercializzazione; (ii) l’esistenza di un mercato organizzato, meglio se spesso ed elastico, dove possono essere scambiati i titoli; - devono possedere un livello di qualità tale da poter essere commercializzati o, in altre parole, tale da poter soddisfare le esigenze degli investitori. La qualità, per i titoli offerti in sottoscrizione a un vasto pubblico di investitori, è misurata dal rating che guida le scelte di investimento poiché, normalmente, non tutti i risparmiatori possiedono le competenze necessarie per valutare il rischio connesso allo strumento finanziario. Una prima classificazione dei titoli cartolarizzati si basa sulla durata, in questo contesto è possibile distinguere i titoli emessi in: - titoli con scadenza a breve termine: Asset Backed Commercial Paper (ABCP). Le ABCP sono titoli emessi a seguito di un programma di cartolarizzazione tramite conduit i cui pagamenti in linea capitale e interesse derivano dai cash flow di un portafoglio di attività sottostanti. Le ABCP sono titoli con scadenza a breve termine perciò in genere, ma non obbligatoriamente, sono garantite da un pool di asset anch’essi a breve termine (ad esempio prestiti per l’acquisto dell’auto, saldi attivi delle carte di credito, prodotti di finanza strutturata ecc.). L’originator che organizza 45 un’emissione di ABCP è intenzionato a procurarsi risorse liquide in base a un programma di finanziamento a lungo termine per questo motivo spesso a scadenza l’emissione viene rinnovata; - titoli con scadenza a lungo termine. Essi costituiscono la quota maggiore del mercato dei titoli cartolarizzati; a sua volta è possibile suddividerli in: Asset Backed Securities (ABS); Collateralized Debt Obligatios (CDO). Una seconda classificazione, invece, permette la distinzione dei titoli sulla base del grado di omogeneità del portafoglio sottostante. Si distingue di conseguenza tra: ABS: se il portafoglio ceduto è omogeneo; CDO: se il sottostante è misto. Le ABS sono garantite da un collateral ampio e omogeneo e gli asset che lo compongono possono essere considerati indipendenti sotto il profilo dell’esposizione al rischio. Inoltre, in portafoglio non compaiono posizioni individuali rilevanti rispetto alla dimensione dell’operazione di cartolarizzazione; di conseguenza i rischi relativi alle singole attività (rischi idiosincratici) risultano limitati al punto che l’investitore non è interessato a conoscere i nominativi che compongono il pool. L’omogeneità degli attivi raggruppati nel pool tende da un lato a garantire il matching delle scadenze e dall’altro ad assicurare una certa coerenza tra il profilo di rischio del collateral e quello delle note emesse. I CDO, invece, sono garantiti da un pool di attività costituito da un basso numero di nominativi e di importi elevati, non standardizzati o concessi una tantum in occasioni particolari (come ad esempio i levereged loan, le obbligazioni ad alto rendimento o le tranche mezzanine di altri ABS). In generale, nel caso dei CDO, si cerca di costituire pool formati da attività eterogenee sotto il profilo dell’emittente, del settore e delle aree geografiche con la finalità ultima di ottenere un beneficio di diversificazione e quindi di ridurre la volatilità dei rendimenti attesi. In entrambi i casi il portafoglio rimane comunque esposto ai rischi macroeconomici come la riduzione dei prezzi delle abitazioni o le crisi di fiducia dei mercati che, come è apparso evidente durante la recente crisi dei mercati del credito, possono influire notevolmente sul valore dei titoli (BCE, 2008). La composizione dell’underlying pool costituisce la differenza più evidente tra ABS e CDO, tuttavia esistono altri fattori che contribuiscono a definire le peculiarità dei due titoli. Le ulteriori differenze, qui di seguito elencate, riguardano: - le tecniche impiegate per la cartolarizzazione. I CDO in base alle tecniche impiegate per la cartolarizzazione si distinguono, di solito, in cash flow e market value CDO. Per le ABS, invece, non è possibile adottare la stessa classificazione essendo le operazioni di emissione di ABS tutte assimilabili alla tecnica cash flow; - le motivazioni economiche. L’originator che intende perfezionare un’emissione di ABS o di CDO persegue obiettivi definibili “tradizionali” ovvero la riduzione dell’esposizione al rischio di credito e l’approvvigionamento di liquidità. Alle motivazioni sopra citate, per i CDO, si aggiunge un ulteriore obiettivo ossia la possibilità di sfruttare opportunità di arbitraggio derivanti dallo spread esistente tra il rendimento del collateral e quello delle note; - il fulcro dell’operazione. Nel caso delle ABS il ruolo centrale dell’operazione è svolto dagli asset che si intende cartolarizzare e di riflesso dagli obiettivi che l’originator si prefigge di raggiungere. Il profilo finanziario dei titoli emessi passa in secondo piano e per lo più (e con gli opportuni aggiustamenti) rispecchierà quello degli underlying 46 - asset. Nel caso delle CDO, invece, l’attenzione è rivolta allo strumento stesso che si intende emettere e al suo profilo finanziario al fine di renderlo appetibile sul mercato. Quindi, nel caso dei CDO, sono gli asset sottostanti che passano in secondo piano; il ruolo riservato alla tranche equity. Premesso che il ricorso al tranching è una caratteristica comune ai processi di emissione di ABS e CDO è opportuno sottolineare come non tutte le ABS implichino l’emissione di più tranche. La tranche equity delle ABS viene emessa con l’obiettivo di assorbire per prima le perdite e, qualora venga sottoscritta dall’originator, di segnalare il coinvolgimento dell’originator nell’operazione stessa. Nelle CDO, invece, l’equity tranche oltre a fungere da cuscinetto per le prime perdite testimonia la buona riuscita o meno dell’operazione in quanto il rendimento ex post che le spetta è funzione dell’abilità dell’asset manager (soprattutto nelle manged CDO). 2.3 Asset Backed Securities (ABS) Come i comuni titoli a reddito fisso (ad esempio le obbligazioni corporate), le ABS pagano al detentore una serie di cedole a intervalli periodici durante la vita dello strumento finanziario per un ammontare determinato sulla base di tassi di interesse fissi o variabili e, a scadenza, rimborsano il nozionale (valore nominale). La particolarità che distingue le ABS dai comuni bond risiede nella stretta correlazione esistente tra pagamento cedole e rimborso delle obbligazioni a scadenza con le somme incassate dai crediti ceduti. Infatti, le ABS vengono emesse con la clausola limited recourse (esigibilità limitata poiché non tutelate dal patrimonio dell’emittente) che consente al veicolo di pagare gli interessi e rimborsare il capitale nella misura in cui si incassano i flussi finanziari dai crediti ceduti; l’emittente è responsabile verso gli investitori nei limiti del portafoglio cartolarizzato. Ulteriore elemento che differenzia le ABS dalle obbligazioni tradizionali si riferisce alla loro rischiosità in quanto, per le ABS, non dipende dal core business dell’originator bensì dipende unicamente dalla qualità dei crediti ceduti nel pool. Il portafoglio di asset può essere composto idealmente da qualsiasi attività che genera un flusso di pagamenti e l’esperienza internazionale ci mostra che, dopo i mutui ipotecari, che hanno rappresentato il primo e ancora oggi più importante genere di attivo sottoposto a cartolarizzazione molte altre tipologie di attività si sono prestate con successo alla realizzazione di tale tecnica. Le asset class maggiormente cartolarizzate sono: - mutui ipotecari; - crediti da utilizzo di carte di credito; - prestiti per l’acquisto dell’auto; - prestiti agli studenti; - prestiti concessi alle imprese; - crediti derivanti da contratti di leasing. Il collateral di un ABS può essere classificato come amortizing (“ad ammortamento”) o nonamortizing; la tipologia influisce sui flussi di cassa che gli investitori ricevono. Il debitore di un prestito amortizing rimborsa periodicamente un certo ammontare a titolo di capitale e di interesse durante uno specifico arco di tempo. Un prestito nonamortizing (o rotativo), al contrario, non richiede pagamenti del capitale a scadenze prefissate ma solo un versamento minimo periodico che viene rapportato all’entità del saldo a debito esistente (se il pagamento 47 è minore degli interessi calcolati sullo scoperto allora la differenza viene incrementata al saldo a debito, in caso contrario il debito viene ridotto). Normalmente rientrano nella prima categoria i mutui ipotecari e i prestiti concessi per l’acquisto dell’auto mentre i crediti per l’utilizzo di carte di credito revolving rappresentano l’esempio più classico di prestiti nonamortizing. Per gli amortizing asset diventa critica la previsione delle probabilità di rimborso anticipato. Le ABS possono essere emesse a tasso fisso o a tasso variabile, di solito, nelle operazioni avviate in Italia e più in generale in Europa, le ABS sono emesse a cedola variabile, con parametro di riferimento pari al tasso Euribor a 3/6/12 mesi a cui viene aggiunto uno spread che dipende dal rating assegnato e dalla scadenza ed assume il significato di premio per il rischio. Il piano di rimborso delle ABS può essere di tipo progressivo – amortizing - oppure in un’unica soluzione a scadenza – bullet. Le ABS emesse con struttura bullet sono caratterizzate da due periodi separati di gestione del flusso di cassa: - il revolving period: durante il quale il capitale rimborsato viene trattenuto dal veicolo con lo scopo di finanziare l’acquisto di ulteriori crediti; - il periodo di accumulo: durante il quale i pagamenti in conto capitale confluiscono in un deposito a garanzia del rimborso bullet. Il rimborso in un’unica soluzione può essere garantito alla data prevista – hard bullet – e ciò è possibile grazie a un periodo di accumulo più lungo, a una garanzia di terzi o entrambe le soluzioni oppure, nel caso in cui non sia garantito alla scadenza prevista, la struttura prende il nome di soft bullet. Frequentemente i titoli ABS sono strutturati in modo tale da prevedere una clean up call esercitabile dall’originator o dal trustee. La più diffusa, soprattutto per gli attivi di tipo amortizing, è la percent of collateral call. Essa consiste in un’opzione di riacquisto dei titoli esercitabile prima che tutte le esposizioni sottostanti siano state rimborsate nel momento in cui l’ammontare del collaterale in essere è inferiore ad una soglia prestabilita (ad esempio, 10% del suo ammontare originario). Qui di seguito verranno presentati i principali strumenti finanziari che rientrano nella famiglia delle ABS; ai Mortgage Backed Securities (MBS) sarà riservata maggiore attenzione in quanto saranno oggetto dell’analisi empirica esposta nella Parte 2 del presente lavoro. a) Mortgage Backed Securities (MBS) I MBS sono titoli garantiti da un pool di prestiti ipotecari concessi da istituzioni creditizie per finanziare l’acquisto di una casa o di un’altra proprietà immobiliare. Nel caso in cui il pacchetto di prestiti sia costituito esclusivamente da prestiti immobiliari concessi per l’acquisto di costruzioni non residenziali (uffici, fabbriche, centri commerciali...) i titoli prendono il nome di Commercial Mortgage Backed Securities (CMBS) altrimenti, se composto solo da prestiti immobiliari concessi per l’acquisto di edifici residenziali avremo i Residential Mortgage Backed Securities (RMBS). I mutui ipotecari che formano il reference portfolio sottostante l’emissione di titoli MBS possono essere di tipo prime o subprime, a seconda del merito creditizio del debitore, o una combinazione di essi. I mutui ipotecari rappresentano il primo e, ancora oggi, più diffuso genere di attivo sottoposto a securitisation grazie all’elevata omogeneità e standardizzazione della struttura tecnica (in termini di durata, piano di rimborso e condizioni di tasso) inoltre, essi rilevano un rischio di 48 insolvenza piuttosto contenuto a ragione della presenza di una garanzia reale costituita dall’ipoteca sull’immobile. Proprio per la stretta correlazione esistente tra pagamenti ricevuti dai debitori originari e pagamenti effettuati a favore dei sottoscrittori di MBS, mano a mano che i debitori rimborsano il loro debito gli investitori ricevono il rimborso del capitale durante la vita del MBS. Il rischio di rimborso anticipato che interessa i MBS determina una certa irregolarità nei cash flow derivanti dallo strumento finanziario. Per questo motivo, i titoli MBS offrono agli investitori un tasso di rendimento maggiore rispetto ai tradizionali strumenti a reddito fisso. A causa della presenza del rischio di rimborso anticipato non è possibile determinare con certezza la scadenza del titolo MBS. Per questo motivo i titoli vengono negoziati secondo la loro vita media presunta - Weighted Average Maturity o WAM – ovvero quel periodo di tempo medio che intercorrerà dalla data di acquisto del MBS al momento in cui il capitale verrà ripagato o, in altri termini, il periodo di tempo medio durante il quale un euro di capitale viene investito in un pool di MBS. 1 n t (principal received at t ) WAM 12 t 1 total principal received (2.1) dove n è il numero di mesi rimanenti. Un’altra misura delle durata è costituita dalla duration (o Macaulay duration 92) però, dal momento che è richiesto il calcolo del valore attuale ponderato dei cash flow attesi, è necessario ipotizzare un prepayment rate. Parimenti viene calcolato un unico tasso di interesse medio dei mutui compresi nel collateral - Weighted Average Coupon o WAC 93 – che fornisce, anche, un’indicazione circa la presenza del prepayment risk. Nello specifico, qualora il WAC sia notevolmente superiore ai tassi vigenti dei mutui ipotecari, preavvisa una probabile serie di rimborsi anticipati. Altrettanto importante è la varianza del WAC poiché i prestiti con i più alti tassi compresi nel portafoglio cartolarizzato sono, in media, più esposti alla possibilità di essere rimborsati in anticipo. I MBS più diffusi sono i pass-through MBS. Gli investitori in questo tipo di strumenti finanziari hanno diritto di ricevere i flussi di cassa derivanti dai debitori ceduti (interessi e capitale compresi i rimborsi anticipati). Tuttavia, una piccola parte dei pagamenti provenienti dai debitori originati è trattenuta nella struttura di cartolarizzazione per far fronte alle spese richieste dall’operazione stessa. Per le ragioni appena descritte i MBS sono caratterizzati dal cosiddetto "pass-through rate" ossia il tasso netto in base al quale l’investitore riceve gli interessi sul saldo in essere dei mutui sottostanti l’operazione di cartolarizzazione. Quindi, ad esempio, se i mutui sottostanti sono caratterizzati da un tasso di interesse del 6,5% il passthrough rate potrebbe essere del 6% (la differenza, 0,5%, copre le spese dell’operazione di cartolarizzazione). n 92 La duration è definita dalla seguente formula D tC (1 r ) t 1 t VN (1 r ) n P 93 Il WAC può essere indicato su base lorda o su base netta. Il WAC lordo esprime, semplicemente, la media ponderata dei tassi di interesse dei mutui inseriti nel pool di asset oggetto di securitisation. Il WAC netto, invece, tiene conto dei costi per commissioni spettanti ai vari operatori che intervengono nell’operazione (Davidson et al., 2003). 49 Oltre ai titoli pass-through, che rappresentano la versione “base” dei MBS, esistono anche strutture più esotiche come ad esempio i stripped MBS. Nei stripped MBS i rimborsi di capitale sono separati dai pagamenti per interessi permettendo la creazione di due diversi strumenti finanziari: PO-bond e IO-bond. L’investitore di PO-bond (principal only) riceve un flusso di pagamenti prefissato che corrisponde ai rimborsi di capitale derivante dal pool di prestiti cartolarizzato. Al contrario, nei IO-bond (interest only) il reddito complessivo dell’investitore è incerto poiché dipende esclusivamente dai pagamenti per interessi dei debitori ceduti ed inoltre questi titoli sono molto sensibili al rischio di rimborso anticipato. Infatti, al crescere dei tassi di estinzione anticipata il valore dei PO-bond cresce – il capitale viene incassato prima – mentre quello dei IO-bond diminuisce –il reddito complessivo per l’investitore sarà minore. Al diminuire dei tassi di estinzione anticipata, succede il contrario (Hull, 2006). b) Credit card receivable – Backed Securities In questo tipo di ABS il portafoglio a garanzia dei titoli emessi è formato dai crediti derivanti dall’utilizzo delle carte di credito per gli importi che eccedono la disponibilità sul conto corrente nei limiti della linea di fido accordata. A differenza degli altri tipi di ABS non vi è un asset materiale sottostante i titoli, bensì solo una promessa di pagamento del proprio debito. Come detto in precedenza, dato che i titolari della carta non devono rispettare un piano di rimborso del capitale definito, il debito da carta di credito si configura come un prestito nonamortizing. Nelle operazioni di cartolarizzazione più recenti, avviate soprattutto nel Regno Unito, il veicolo prende la forma di master trust ovvero di una sorta di serbatoio in cui è possibile aggiungere crediti di volta in volta e di conseguenza emettere nuovi strumenti finanziari. Secondo questo arrangiamento l’originator consegue un rilevante risparmio di costi connessi alla creazione di un nuovo trust nel momento in cui si desidera realizzare una nuova emissione. Poiché i debiti da utilizzi di carte di credito vengono rimborsati mediamente in tempi molto brevi (nell’ordine di mesi) le ABS emesse che si basano esclusivamente sul collegamento diretto pagamenti dei debitori – pagamenti dei sottoscrittori non riscuoterebbero molto successo tra gli investitori. Al fine di assicurare alle ABS una durata più lunga l’operazione di cartolarizzazione viene effettuata con la struttura revolging e con la separazione dei cash flow in quote di oneri finanziari e quote di capitale. Nel periodo detto revolving i rimborsi a titolo di capitale effettuati dai debitori sono trattenuti dal veicolo e reinvestiti in nuovi crediti in modo da mantenere le dimensioni iniziali del pool; agli investitori vengono dirottati solo i pagamenti a titolo di oneri finanziari. Solo al termine del periodo revolving i rimborsi di capitale vengono trasferiti ai sottoscrittori delle ABS gradualmente o in un’unica soluzione a scadenza. I titoli garantiti da credit card receivable sono soggetti al rischio di ammortamento anticipato (early amortization o rapid amortization) al verificarsi del quale il periodo rotativo viene interrotto ed ha inizio il rimborso anticipato della quota capitale dei titoli. Vengono fissati, quindi, una serie di eventi – ad esempio pagamenti insufficienti da parte del debitore ceduto, excess spread insufficiente, fallimento dello sponsor o del servicer ecc. – al verificarsi dei quali azionano le disposizioni di ammortamento anticipato le quali fungono da ulteriore protezione per gli investitori. Quando si verifica un evento di ammortamento anticipato tutto il capitale e gli interessi sugli asset sottostanti vengono utilizzati per rimborsare gli investitori 50 secondo le priorità di pagamento a prescindere dalle scadenze previste per la restituzione del capitale. c) Auto-Loan Backed Securities (Auto-ABS) Come il nome suggerisce, le Auto-ABS, sono titoli di debito emessi a seguito della cartolarizzazione di un portafoglio di prestiti concessi per l’acquisto di auto. I prestiti concessi per l’acquisto di auto sono di tipo amortizing e hanno scadenze inferiori rispetto a quelle dei mutui ipotecari. Le ABS possono essere emesse con struttura pass through o pay through; le prime sono le più diffuse. I prestiti accordati per l’acquisto di auto sono meno sensibili rispetto ai mutui ipotecari a variazioni nei tassi di interesse conseguentemente il debitore raramente estingue prima della scadenza il prestito; per questo motivo gli investitori in titoli cartolarizzati con sottostante un pool di auto loan hanno una minore esposizione al rischio di rimborso anticipato. Tuttavia, in caso di insolvenza dei debitori ceduti, i livelli dei tassi di recupero possono essere molto bassi a causa del costante deprezzamento dell’auto anno dopo anno. 2.4 Collateralized Debt Obligations (CDO) I CDO sono titoli garantiti da un pool di crediti emessi da una società appositamente creata (SPV) a cui vengono cedute le attività poste a garanzia. I CDO sono solitamente garantiti da un portafoglio diversificato composto da prestiti, titoli obbligazionari o credit default swap e suddivisi in più categorie (tranche), a seconda della loro priorità di rimborso. Come le ABS i proventi necessari per soddisfare le obbligazioni di pagamento degli interessi e del capitale nei confronti degli investitori derivano direttamente dai cash flow prodotti dagli asset cartolarizzati o dalla loro vendita. Le CDO rappresentano la naturale evoluzione del processo di conversione, già iniziato con la tecnica di cartolarizzazione classica, del rischio di credito in merce negoziabile poiché questi strumenti offrono opportunità più ampie di trasferimento del rischio rispetto alle ABS. I CDO, dall’introduzione sul mercato avvenuta alla fine degli anni Ottanta negli Stati Uniti, hanno registrato (soprattutto a partire dalla seconda metà degli anni Novanta) i più alti livelli di crescita tra i prodotti di finanza strutturata diffondendosi anche in Europa e in Asia (Jobst, 2008). Nei processi di securitisation che si concludono con l’emissione di CDO è frequente la presenza dell’asset manager incaricato della gestione del portafoglio di asset sottostante. Le motivazioni alla base del successo sono riconducibili ai vantaggi conseguibili dagli originator che avviano operazioni di cartolarizzazione, tra i quali: - grande flessibilità in ordine alla scelta degli asset cartolarizzabili. In particolare è possibile emettere CDO a fronte di portafogli sottostanti eterogenei – ad esempio diviene possibile cartolarizzare i prestiti alle PMI caratterizzati da una scarsa standardizzazione e omogeneità; - elevate potenzialità, soprattutto in riferimento alle strutture sintetiche, in merito al trasferimento e gestione del rischio di credito. 51 Specularmente è possibile individuare una serie di vantaggi in capo ai sottoscrittori di CDO che, con molte probabilità, hanno alimentato la crescita straordinaria di questo tipo di strumenti finanziari: - migliore profilo di rendimento a parità di rischio rispetto alle ABS tradizionali; - elevate possibilità di personalizzazione del profilo di rischio-rendimento, della scadenza, delle cedole fino alla possibilità di strutturare emissioni tailor-made; - notevoli opportunità di diversificazione in quanto i CDO si qualificano come investimenti alternativi rispetto alle tradizionali obbligazioni poiché offrono l’opportunità di accedere indirettamente a classi di prestiti meno convenzionali. Tuttavia le CDO non sono prive di elementi di criticità che sono stati messi in luce dalla recente turbolenza sui mercati finanziari. Le CDO si presentano come operazioni più complesse rispetto alle ABS tradizionali e di conseguenza più difficili da valutare. La difficoltà di valutazione emerge dalle numerose varianti che ne esistono (balanche sheet vs arbitrage, cash flow vs market value, cash vs synthetic), dalla vasta gamma di attivi che compongono l’asset pool e infine dalla connaturata complessità dell’operazione che contribuisce a rendere la cartolarizzazione più opaca con la possibilità di favorire conflitti di interesse difficilmente individuabili a causa dell’opacità stessa. Ulteriori vulnerabilità che caratterizzano l’universo delle CDO riguardano lo scarso sviluppo dei mercati secondari, soprattutto in Europa, a causa della difficoltà ad effettuare valutazioni corrette sulle tranche già sottoscritte e la scarsa standardizzazione delle operazioni che di volta in volta vengono concluse. 2.4.1 Classificazione dei CDO Esistono diverse classificazioni delle CDO in funzione dei criteri che vengono impiegati per distinguerle. Sebbene non sempre esista una linea di demarcazione netta tra le varie operazioni che effettivamente vengono realizzate sul mercato e nonostante le continue innovazioni di processo e di prodotto cui è stato interessato l’universo delle cartolarizzazioni, gli operatori tendono a distinguere le CDO in base a (Mazzuca, 2007b): - la natura dell’operazione e, quindi, lo scopo primario, la finalità economica principale per cui esse prendono vita (balance sheet CDO e arbitrage CDO); - le modalità di gestione del collateral, nonché il rapporto che esiste tra questo e le CDO emesse, in termini di flussi di capitale e di interessi (cash flow CDO e market value CDO); - la struttura mediante la quale l’operazione viene realizzata (cash CDO e synthetic CDO). I CDO cash e i CDO sintetici si suddividono a loro volta in funzione delle modalità di selezione e gestione del sottostante (static CDO e managed CDO). I synthetic CDO vengono classificati in funzione delle modalità di funding (funded, unfunded e partially funded synthetic CDO). Anche i CDO, come gli ABS, possono essere classificati in base alle asset class oggetto di cartolarizzazione. Pertanto è possibile distinguere le seguenti operazioni: - Collateralised Loan Obligation (CLO) in cui l’attività oggetto della cartolarizzazione è un portafoglio di prestiti concessi dalle banche alle imprese. Una sottocategoria è rappresentata dalle CLO di PMI; - Collateralised Bond Obligation (CBO) in cui l’attività oggetto di cartolarizzazione è un portafoglio di obbligazioni emesse sia dal governo che dalle imprese; 52 Collateralised Mortgage Obligation (CMO) in cui l’attività oggetto di cartolarizzazione è un portafoglio costituito da mutui ipotecari. A differenza dei MBS i CMO suddividono gli investitori in classi; ogni classe è regolata diversamente per quanto riguarda l’attribuzione dei flussi di pagamento ed è contraddistinta da una diversa maturity e da un diverso livello di rischio. Altre possibili asset class delle CDO sono: obbligazioni ad alto rendimento, crediti nonperforming, prestiti a PMI, derivati del credito ecc. L’underlying portfolio, oltre ad essere costituito da attività convenzionali, può essere composto anche da asset più esotici come i prodotti di finanza strutturata ovvero prodotti che a loro volta sono frutto di operazioni di cartolarizzazione. Si parla in questo caso di CDO di quarta generazione 94 i cui esempi più tipici sono i seguenti: CDO di ABS, CDO di MBS, CDO di CDO, single tranche CDO. I principali tipi di CDO inseriti in Tabella 2.1 e i CDO di ultima generazione, a causa del ruolo di primo piano svolto nel determinare le dinamiche della diffusione della crisi subprime, saranno presentati nel testo qui di seguito. - Tabella 2.1: Classificazione dei CDO Criterio di classificazione delle CDO Tipo di CDO Natura dell’operazione Balance Sheet CDO Arbitrage CDO Gestione del collateral e suo rapporto con le note Cash flow CDO Market value CDO Struttura Cash CDO Synthetic CDO Criterio di classificazione dei Synthetic CDO Tipo di Synthetic CDO Modalità di funding Funded synthetic CDO Unfunded synthetic CDO Partially funded synthetic CDO a) Balance sheet CDO e Arbitrage CDO Le balance sheet CDO sono operazioni che vengono poste in essere dall’originator che, in tal modo, intende comprimere l’ammontare dei crediti in bilancio al fine ridurre il patrimonio detenuto ai fini di vigilanza. Le balance sheet CDO presentano caratteristiche tali da essere assimilate alle cartolarizzazioni tradizionali infatti, esse possono essere solo di tipo cash flow quindi implicano sempre il trasferimento fisico degli asset allo SPV. Il pool di asset è statico ovvero non è gestito attivamente da un asset manager; a differenza delle ABS, nella maggior parte dei 94 La crescente sofisticazione dei CDO e l’aumento della complessità degli asset costituenti il portafoglio sottostante hanno ampliato la gamma di CDO esistenti sul mercato a tal punto che è possibile individuarne quattro generazioni: cash flow CDO (prima generazione), synthetic balance sheet CDO (seconda generazione), synthetic arbitrage CDO (terza generazione), infine i CDO di ultima generazione (CDO di ABS, CDO 2, single tranche CDO) (Banque de France, 2005). 53 casi, il rimborso del capitale dei CDO avviene in un'unica soluzione a scadenza – struttura bullet - senza, quindi, pagamenti intermedi. Nelle balance sheet CDO esiste sempre un cap (un valore massimo) al rimborso della tranche equity, viceversa non esiste un floor in quanto in caso di default i sottoscrittori dell’equity possono anche perdere tutto 95 (Mazzuca, 2007b). Le arbitrage CDO vengono realizzate con l’obiettivo di conseguire un extrarendimento o excess spread derivante dalla differenza positiva tra il rendimento del pool di asset e quello delle senior note. L’arbitraggio deriva dalla possibilità di finanziare a basso costo (attraverso le senior note che hanno un profilo rischio-rendimento relativamente non elevato) un investimento destinato a produrre rendimenti elevati (il collateral è composto prevalentemente da high yield bond o prestiti alle imprese). Gli asset che compongono il portafoglio da cartolarizzare possono essere individuati tra quelli presenti nel bilancio dell’originator oppure essere acquisiti sul mercato secondario. La seconda ipotesi implica la verifica dell’effettiva possibilità di acquisire il pool di asset sul mercato pagando un prezzo inferiore rispetto a quello rinveniente dal collocamento delle CDO. Poiché si persegue un interesse di arbitraggio lo sponsor, ossia colui che promuove l’operazione di cartolarizzazione, può essere un soggetto diverso dall’originator degli asset. L’excess spread realizzato viene tipicamente distribuito ai sottoscrittori della tranche equity (in genere lo stesso originator o sponsor), tuttavia in tutto o in parte può essere destinato ad aumentare la protezione offerta alle altre tranche e viene depositato in un’apposita riserva come tipica forma di credit enhancement. Quindi, in un CDO di tipo arbitrage, la tranche equity non solo riveste il ruolo di “cuscinetto” per le altre tranche bensì costituisce la ragion d’essere delle arbitrage CDO dal momento che a essa vengono indirizzati gli eventuali extrarendimenti derivanti dall’esistenza di opportunità di arbitraggio. Riassumendo le principali differenze individuabili tra arbitrage CDO e balance sheet CDO sono: - nelle strutture arbitrage è frequente la presenza dello sponsor (che può coincidere con l’asset manager) il cui obiettivo prioritario è di beneficiare, se sottoscrittore della tranche equity, dell’excess spread generato dall’operazione; - gli asset tipici, che compongono il collateral nelle balance sheet, sono prestiti bancari mentre nelle arbitrage in linea teorica il pool può essere costituito da qualunque asset, anche disponibile sul mercato, adatto a generare flussi ma di norma è formato da obbligazioni ad alto rendimento e prestiti corporate; - tipicamente le balance sheet sono cash flow CDO mentre le arbitrage possono essere indifferentemente cash flow o market value CDO. b) Cash flow CDO e Market value CDO Le cash flow CDO condividono, rispetto alle market value, una serie caratteristiche tipiche delle ABS tradizionali. Infatti, i flussi di interesse e di capitale derivanti dal pool di asset vengono destinati alle tranche secondo il loro ordine di priorità e il collateral è formato da amortizing asset (in genere high-yield bond che assicurano flussi di pagamenti periodici ben definiti). Inoltre il portafoglio cartolarizzato non è soggetto a negoziazione da parte dell’asset manager e pertanto l’incertezza relativa ai flussi di interesse e di capitale del collateral è 95 La considerazione vale anche per le cash flow CDO mentre per le market value CDO, essendo il collateral valutato a valori di mercato, non esiste un cap per l’equity. 54 legata solo al numero di default che interessano gli asset che lo compongono e al momento in cui essi si verificano. In un market value CDO i flussi destinati alle tranche dipendono essenzialmente dai rendimenti mark to market del collateral determinati, in via principale, dalle performance dell’attività di negoziazione svolta dall’asset manager. Quindi, una sostanziale differenza rispetto al cash flow CDO riguarda la presenza di un asset manager che gestisce in modo dinamico il collateral. Proprio l’attiva svolta dall’asset manager risulta determinante per la buona riuscita dell’operazione; da un lato egli è responsabile della negoziazione continua del portafoglio di asset e dall’altro, dalle sue scelte dipende l’entità dei flussi destinati ai sottoscrittori delle varie tranche. Come il nome può suggerire, il valore del portafoglio cartolarizzato è attribuito in base a un processo di marking to market continuo degli attivi che lo compongono e, per questo motivo, vengono privilegiati asset adatti a essere valutati sul mercato dei capitali con riferimento sia al loro valore corrente che alla volatilità dei loro prezzi. L’asset manager monitora il rapporto tra il valore di mercato del collateral e il valore delle note e si impegna a mantenerlo su valori al di sopra di una certa soglia minima; in questo modo le tranche dotate di rating risultano coperte dal rischio di mercato associato al pool sottostante tramite la protezione offerta dalla tranche equity pari alla differenza positiva tra il valore di mercato del collateral e quello delle rated tranche. Ulteriore differenza tra market value e cash flow CDO è il ruolo attribuito alla tranche equity: nel market value CDO la tranche equity funge da cuscinetto contro perdite associate a una riduzione del valore di mercato del collateral mentre nel cash flow CDO assorbe le eventuali perdite associate ad eventi di default negli underlying asset. In base a quanto detto appare chiara la centralità della figura dell’asset manager il quale esegue il proprio compito di negoziazione del collateral godendo di ampia discrezionalità seppur nel rispetto di una serie di linee guida predeterminate, come ad esempio il mantenimento di un certo livello di diversificazione all’interno del pool. L’asset manager, inoltre, è chiamato anche a massimizzare il rendimento della tranche equity96 (che di sovente sottoscrive) cogliendo le opportunità di arbitraggio che gli si presentano. Al momento dell’emissione dei titoli CDO la liquidità generata dalla sottoscrizione delle note non viene investita nell’operazione bensì ha inizio il periodo di ramp up durante il quale l’asset manager prende le decisioni di investimento e acquista il collateral. Al termine del suddetto periodo inizia il revolving period nel quale il pool di asset viene gestito attivamente dall’asset manager dopodiché segue una fase più statica in cui il collateral non è soggetto a negoziazione. Alla scadenza delle note gli asset del collateral vengono liquidati e il ricavato viene impiegato per rimborsare le tranche, tipicamente in un’unica soluzione (bullet). I market value CDO si rivelano particolarmente adatti in situazioni in cui le attività sottostanti non sono particolarmente idonee a generare flussi facilmente prevedibili o quando si intende soddisfare le esigenze di investitori che manifestano un’attitudine più marcata nei confronti di contesti mark to market (come ad esempio gli hedge fund). c) Cash CDO e Synthetic CDO La struttura cash è del tutto simile alle cartolarizzazioni tradizionali ossia un pacchetto di attività viene ceduto a uno SPV il quale emette tranche di CDO supportate dal pool di attivi stesso. 96 Il rendimento della tranche equity dipende dallo spread tra il rendimento del collateral e quello delle note. 55 La differenza principale esistente tra strutture cash e strutture sintetiche riguarda la modalità impiegata per trasferire il rischio di credito relativo a un pool di asset. In una struttura sintetica il rischio viene trasferito dall’originator agli investitori mediante l’utilizzo di uno strumento derivato del credito anziché mediante una vendita effettiva degli attivi. I credit derivative più utilizzati per la realizzazione di CDO sintetici sono i CDS e le CLN. Quindi, un synthetic CDO può essere visto come una combinazione tra una posizione corta su un derivato creditizio (CDS o CLN), con la quale viene trasferito il rischio creditizio riferito a un pool di asset e una posizione lunga su un pacchetto di attività (Choudhry, 2004.). Una prima classificazione dei synthetic CDO è basata sulla modalità di funding la quale, a sua volta, deriva dalla diversa qualificazione tra funfend e unfunded riferita ai derivati creditizi impiegati per il trasferimento del rischio. É possibile distinguere dunque tra: funded, unfunded e partially funded CDO. Se nell’operazione di cartolarizzazione sintetica si utilizzano esclusivamente CDS, allora la struttura che si configura è definita unfunded poiché non dà luogo a pagamenti iniziali a carico del protection seller. Viceversa, l’utilizzo delle CLN può dare vita a strutture totally o partially funded in funzione, rispettivamente, dell’emissione di titoli pari al valore del pool di asset il cui rischio di credito si intende trasferire o di un volume di titoli inferiore al valore degli underlying asset. Le CLN sono derivati del credito funded poiché il protection seller deve sempre sostenere un esborso iniziale all’inizio dell’operazione; mentre nei contratti CDS il pagamento da parte del protection seller è solo eventuale. Oltre alla classificazione presentata l’innovazione finanziaria e la flessibilità che caratterizza le strutture sintetiche hanno permesso l’introduzione di nuove configurazioni tra cui quelle ibride, a metà strada tra le partially funded e le totally funded. A loro volta i synthetic CDO possono essere di tipo arbitrage o balance sheet. Le synthetic arbitrage CDO vengono impostate dall’originator o dallo sponsor qualora intendano sfruttare un’opportunità di arbitraggio, mentre le synthetic balance sheet CDO sono impiegate dalle banche originator che intendono gestire il capitale regolamentare. Fully funded synthetic CDO La struttura fully funded (vd. Figura 2.1) è la configurazione più semplice tra le strutture sintetiche e anche quella meno rischiosa per via della costituzione del deposito di garanzia. Nonostante i vantaggi appena richiamati i CDO fully funded sono poco diffusi perché, generalmente, risultano più onerosi per l’originator se comparate con le altre CDO sintetiche che impiegano modalità di funding differenti. La cartolarizzazione sintetica fully funded è organizzata in modo tale che il trasferimento del rischio di credito, relativo a un portafoglio di attività, dal protection buyer al protection seller (SPV) avvienga attraverso un CDS. In cambio della protezione offerta lo SPV riceve premi periodici dall’originator e, successivamente, colloca sul mercato delle CLN per un importo pari al valore del reference portfolio. Le note vengono emesse in più tranche con profili rischio-rendimento differenti e di conseguenza rating differenti, in aggiunta viene emessa anche la tranche equity priva di rating solitamente sottoscritta dall’originator. Dal momento che gli investitori sottoscrivono le CLN, di fatto, diventano protection seller in quanto le note sono agganciate alla performance del pool di asset inoltre, sono esposti anche al rischio di credito relativo all’emittente delle note. Al verificarsi di uno o più credit event (ad esempio peggioramento della qualità del credito della reference entity o insolvenza) che fanno scattare l’obbligazione del protection seller il nozionale sulle note emesse viene ridotto 56 così come i pagamenti in conto interesse spettanti agli investitori in relazione alle priorità di pagamento. I proventi derivanti dalla sottoscrizione delle note vengono investiti in un collateral composto da asset di qualità elevata (come i titoli di Stato) o depositato sotto forma di liquidità in un apposito conto. Il collateral ha una doppia funzione: genera i cash flow necessari alla remunerazione e rimborso delle note e garantisce il pagamento al protection buyer in caso di credit event. Figura 2.1: Configurazione tipica di un Synthetic CDO fully funded Fonte: Mazzuca (2007c) Unfunded synthetic CDO (o fully synthetic CDO) Le strutture unfunded funzionano come un semplice swap e trasferiscono il rischio di credito relativo a un reference portfolio per mezzo di più CDS (basket of CDS). Similarmente all’emissione delle note anche i CDS vengono offerti suddivisi in più tranche a cui corrisponde un determinato profilo di rischio e quindi di rating. In tal modo viene emessa, tipicamente, una tranche di CDS senior, una di CDS mezzanine e una tranche first loss; talvolta è presente anche un super senior CDS al quale è associato un rischio inferiore rispetto a quello proprio del senior CDS siccome gode di una maggiore protezione. I CDO sintetici unfunded, a causa del loro funzionamento, sono difficilmente riconducibili a una tipologia ben precisa di strumento finanziario. Essi, infatti, possono essere classificati come strumenti prodotti da cartolarizzazioni o, come derivati creditizi o, ancora, come strumenti ibridi. In questo contesto i synthetic CDO unfunded sono intesi come strumenti derivanti da operazioni di cartolarizzazione ma che incorporano elementi che li accomunano ai credit derivative. I premi pagati dal protection buyer (originator) sono suddivisi tra i vari sottoscrittori delle tranche di CDS e costituiscono l’unica remunerazione. Gli investitori, in qualità di protection seller, devono effettuare un pagamento a favore del compratore di protezione solo se si verifica l’evento creditizio. Gli investitori della tranche senior eseguono il pagamento solo quando le perdite del portafoglio superano la tranche first loss e mezzanine. Dal momento che non si ha alcuna emissione di note i sottoscrittori delle tranche di CDS non sono tenuti ad effettuare alcun pagamento iniziale, di conseguenza viene a mancare la costituzione del collateral o del deposito. A causa della mancanza del collateral che assicura il pagamento a favore del protection buyer al verificarsi di un credit event l’attenzione è posta sulla solvibilità del protection seller e sulle ulteriori tecniche di credit enhancement normalmente impiegate nelle cartolarizzazioni. 57 Tipicamente lo scopo perseguito dal soggetto che decide di allestire una securitisation sintetica di tipo unfunded consiste nell’ottimizzazione della gestione del rischio di credito incorporato negli asset di un portafoglio. Il fatto che per trasferire il rischio di credito, invece, di ricorrere semplicemente ai CDS venga installato una CDO sintetica è legato alle maggiori potenzialità che le unfunded CDO offrono rispetto alle CDS in termini di: - possibilità di diversificazione del portafoglio di asset; - possibilità di cartolarizzare in maniera sintetica portafogli revolving che permettono di variare la composizione portafoglio; - flessibilità e grandi libertà concessi all’originator prima fra tutte la possibilità di trasferire il rischio di credito relativo a un portafoglio di attivi senza dovere esplicitare il nome dei singoli asset che la compongono. Infatti i CDS normalmente non sono single-name swap bensì sono scritti su una classe di debito. A differenza delle altre strutture e, in particolare di quelle fully funded, le CDO unfuded non prevedono l’emissione di titoli da destinare al pubblico evitando in questo modo i controlli e gli obblighi informativi finalizzati alla tutela dell’investitore. Partially funded synthetic CDO Le CDO partially funded (vd. Figura 2.2) sono le strutture sintetiche più diffuse sul mercato. La loro costruzione è frutto di una combinazione delle strutture precedentemente trattate e, in tal modo, consentono all’originator dell’operazione di beneficiare sia dei vantaggi offerti dalle totally funded – riduzione del rischio di controparte per effetto della presenza di un collateral/deposito e possibilità di conseguire un capital relief – sia dei vantaggi delle strutture unfunded – benefici in termini di facilità di implementazione. I partially funded CDO trasferiscono il rischio di credito relativo a un portafoglio di asset attraverso l’utilizzo congiunto di CDS e di CLN; si tratta, pertanto, di strutture ibride la cui liability side è composta da una parte funded (riconducibile alle CLN) e da una parte unfunded (riconducibile al CDS). Nella struttura più comune il compratore di protezione trasferisce il rischio di credito relativo al reference portfolio a due controparti attraverso la sottoscrizione di due CDS 97. Il primo venditore di protezione – la controparte del CDS definito junior – è tipicamente uno SPV che implementa la parte funded dell’operazione attraverso l’emissione di CLN. Il secondo protection seller – la controparte del CDS definito senior - è tipicamente un intermediario finanziario (ad esempio una banca OECD o una compagnia di assicurazione) il quale è incaricato dell’implementazione della parte unfunded dell’operazione. Entrambi ricevono premi in cambio di protezione sul rischio di credito con l’unica differenza che la controparte del junior CDS (SPV) riceve un premio che, oltre ad essere destinato alla remunerazione della protezione offerta, è destinato anche alla remunerazione delle CLN. Quindi le CNL sono remunerate in parte dal premio e in parte dai cash flow prodotti dal collateral. Per quanto riguarda la capital structure dal lato del passivo è presente la quota unfunded (detta super senior tranche ad indicare che è sovraordinata rispetto alla senior tranche) e la quota funded a sua volta suddivisa in più tranche caratterizzate da una diversa priorità di pagamento. Tipicamente la quota funded rappresenta solo una piccola parte (non superiore al 30%) dell’intera operazione; la restante fetta (almeno il 70%) si sviluppa su base unfunded tramite la super senior tranche. Se paragonate alle fully funded le strutture partially 97 Non in tutte le cartolarizzazioni partially funded sono previsti protection seller diversi infatti si può verificare che i due CDS, senior e junior, vengano sottoscritti dalla medesima controparte (Mazzuca, 2007c) 58 funded sono meno onerose poiché, grazie al meccanismo della subordinazione, il premio pagato sulla super senior tranche risulta inferiore rispetto alla tranche funded. Figura 2.2: Configurazione di una Synthetic CDO partially funded Fonte: Mazzuca (2007c) In sostanza la super senior tranche risulta meno rischiosa della migliore tra le tranche funded in quanto gode di una maggiore protezione. Sebbene i CDO partially funded incorporino una serie di benefici per l’originator e nonostante la loro predominanza nel mercato dei CDO sintetici è bene sottolineare alcuni elementi di criticità: - la scelta della controparte del senior CDS deve essere portata a termine con grande attenzione; - la composizione e la natura del reference portfolio deve essere adeguata al fine di ottenere il rating desiderato; qualora tale condizione non fosse verificata è meglio servirsi di una struttura totally funded che offre maggiori garanzie. I CDO cash e i CDO sintetici, in funzione delle modalità di selezione e gestione del sottostante sono distinti in static CDO e managed CDO. Il reference portfolio dei primi è destinato a non subire alcuna modifica, né per effetto di reinvestimento, né per effetto di sostituzione durante la vita delle CDO mentre quello dei secondi è gestito in maniera attiva dall’asset manager che ha, tipicamente, ampi margini di discrezionalità in termini di variazione della composizione del pool di asset. Con riferimento ai synthetic CDO l’aggettivo “managed” si riferisce ai CDS che possono essere gestiti attivamente dall’asset manager nel corso dell’operazione. Infatti, l’asset manager di una managed synthetic CDO è autorizzato a svolgere un’attività di trading di CDS nel rispetto dei limiti imposti dalle linee guida dell’operazione. L’attività di negoziazione dei CDS può comportare la riduzione dei CDS in portafoglio (ad esempio per effetto della risoluzione di contratti precedentemente sottoscritti) o al contrario il loro aumento che si realizza tramite la sottoscrizione di nuovi CDS. Il trading può essere svolto perseguendo finalità di hedging di una o più reference entity presenti nel 59 pool tramite la sottoscrizione di nuovi CDS in cui lo SPV assume il ruolo di protection buyer (short CDS)98. d) CDO di ultima generazione Qui di seguito verranno presentate due tipologie di CDO di “ultima generazione”: i CDOsquared e le single tranche CDO. CDO-squared (CDO di CDO, CDO 2) I CDO-squared (vd. Figura 2.3) sono emessi in seguito a cartolarizzazioni repackaging e il loro nome deriva dal fatto che il reference portfolio è formato prevalentemente da altri CDO di tipo cash e/o synthetic. Se il portafoglio è composto esclusivamente da CDO allora lo strumento finanziario in questione prende il nome di CDO-squared pure. Tuttavia, spesso, accade che il collateral sia composto solo in misura prevalente da CDO mentre la restante quota è riferibile ad altri prodotti di finanza strutturata (tipicamente ABS). Figura 2.3: Configurazione tipica di una CDO-squared Fonte: Mazzuca (2007d) I CDO-squared sono comparsi la prima volta sul mercato nel 1999 e venivano realizzati, nella maggior parte dei casi, mediante l’impiego di strutture cash. I CDO che formavano il pool erano acquistati sul mercato secondario sotto la pari mentre, la raccolta di risorse liquide avveniva sul mercato primario tramite il collocamento dei CDO-squared alla pari; si realizzava così un premio di liquidità. Tuttavia, la forte domanda degli investitori di attività ad alto rendimento ha fatto crescere progressivamente la complessità dei CDO-squared a tal punto che le prime strutture cash sono state progressivamente rimpiazzate dalle strutture sintetiche e le esposizioni sottostanti sono diventate più rischiose e opache. La capital structure di un CDO-squared implica la presenza di CDO sia dal lato dell’attivo sia dal lato del passivo: l’attivo è composto da un insieme di CDO definiti inner CDO di cui viene 98 Di norma le linee guida dell’operazione fissano una serie di limiti alla sottoscrizioni di short CDS al fine di limitare le perdite associate ai premi poiché, il veicolo in quanto protection buyer, è tenuto a versare i premi alla propria controparte. 60 utilizzata solo una tranche99 per ognuno di essi, il passivo è, invece, costituito da più tranche di un’unica CDO detta outer CDO. L’aspetto interessante dei CDO-squared è che le tranche del CDO-squared ricevono un rating maggiore rispetto a quello delle tranche delle inner CDO. Questo fenomeno dipende dal fatto che la correlazione tra le varie tranche delle inner CDO è minore rispetto alla correlazione delle attività del portafoglio della prima cartolarizzazione (Banco de España, 2008). La complessità dei CDO-squared in confronto alle CDO plain vanilla dipende dal legame che si instaura tra inner e outer CDO e sempre quest’ultimo determina il valore del prodotto finanziario. Nello specifico il valore della CDO-squared dipende, soprattutto, dalle caratteristiche delle inner tranche in termini di: - livello di protezione di cui esse godono: maggiore è il livello di seniority delle inner tranche maggiore sarà il livello di protezione di cui essa gode e minore sarà la rischiosità; - nozionale ossia quanta parte delle inner CDO viene impiegata ai fini della realizzazione dell’outer CDO: a parità di perdite, maggiore è il nozionale impiegato per il repackaging minore è la rischiosità delle inner tranche. Ulteriori caratteristiche peculiari dei CDO-squared che, peraltro, ne accrescono la complessità sono: la doppia subordinazione e il doppio leverage. La doppia subordinazione offre alle tranche dotate di rating un maggiore livello di protezione conferito dalla subordinazione delle inner CDO, indicato dall’attachment point, e dalla subordinazione della outer CDO, pari alla tranche equity unrated. In altri termini, per meglio spiegare il concetto di doppia subordinazione: affinché le rated tranche dei CDO-squared vengano intaccate dalle perdite le perdite prima devono erodere una parte delle inner CDO, ovvero la parte oltre l’attachment point, e poi deve essere totalmente intaccata la tranche equity dei CDO-squared. Il beneficio della doppia subordinazione viene eroso quando le inner CDO si riferiscono al rischio di credito sottostante ai medesimi asset/nomi. Nel caso appena descritto si crea un maggiore livello di concentrazione che, in caso di perdite, determina un processo di erosione delle outer CDO più veloce. Se da un lato, grazie ai benefici della doppia subordinazione, i CDOsquared risultano meno rischiosi dei CDO classici dall’altro, il livello di rischiosità è ampliato per effetto del doppio leverage che moltiplica il rischio sistemico. Difatti i CDO-squared sono più sensibili, rispetto ai CDO tradizionali, all’incidenza di eventuali perdite poiché l’effetto complessivo delle perdite sui CDO-squared risulta maggiore rispetto all’effetto complessivo sulle inner CDO. Dalle considerazioni fin qui svolte appare chiaro come i CDO-squared siano sottoposti a un effetto contrapposto in termini di rischiosità: l’effetto positivo dato dalla doppia subordinazione e l’effetto negativo conseguenza del doppio leverage. La Figura 2.4 mostra il confronto tra i CDO-squared e i CDO plain vanilla e permette di comprendere come la doppia subordinazione offre una maggiore resistenza iniziale alle perdite e come, al contrario, il doppio leverage innesca una rischiosità maggiore a causa della maggiore velocità di erosione delle tranche in caso di perdite che superano i livelli di protezione determinati dalla doppia subordinazione (Mazzuca, 2007d). L’evoluzione dei CDO-squared sono i CDO-cubed ossia CDO-squared garantiti da altri CDO. 99 Tipicamente le tranche oggetto di resecuritisation sono quelle mezzanine poiché meglio di altre consentono di ottenere i profili di rischio-rendimento desiderati. 61 Figura 2.4: CDO-squared e CDO tradizionali: benefici a confronto Fonte: Mazzuca (2007d) Single tranche CDO Le single tranche CDO sono un particolare tipo di CDO sintetico che, come il nome suggerisce, sono strutturate in modo tale che l’emissione sia articolata su un’unica tranche di CDO. Esse rappresentano un esempio lampante della capacità delle strutture sintetiche di produrre prodotti finanziari cuciti addosso alle esigenze degli investitori. Infatti, le sigle tranche CDO sono il prodotto di cartolarizzazioni tailor-made, altrimenti dette investor driven, avviate al fine di soddisfare le esigenze in termini di profilo rischiorendimento di uno specifico investitore il quale può scegliere la composizione del portafoglio, il grado di subordinazione e la dimensione della tranche nonché cedola e maturity delle note. Il sottoscrittore o venditore di protezione, quindi, risulta esposto solo a una tranche (di solito quella mezzanina) di rischio di credito relativo al portafoglio sottostante. In questa struttura di cartolarizzazione non è presente la figura del veicolo perciò la diretta controparte dell’investitore è l’originator o l’arranger stesso in qualità di protection buyer. Dal momento che viene emessa un’unica tranche di note il trasferimento del rischio di credito, relativo al reference portfolio, all’investitore è solo parziale e comporta necessariamente che la parte di rischio non trasferita rimanga in capo all’originator. Quindi, il portafoglio dell’originator, in seguito dell’emissione di una single tranche CDO, è formato da due componenti: la parte che dà origine alla single tranche CDO il cui rischio è coperto in quanto è trasferito al protection seller e la restante parte che rimane esposta al rischio. A causa dell’esistenza di una parte di rischio che rimane in capo all’originator quest’ultimo dovrà adottare una strategia di hedging che riduca totalmente o parzialmente il rischio derivante dalla posizione aperta. Le single tranche CDO, essendo di natura sintetica, possono essere di tipo funded o unfunded. Dai caratteri distintivi dell’operazione è facile comprendere che uno dei vantaggi principali, in capo all’investitore, consiste nelle infinite possibilità di personalizzazione dell’emissione. L’investitore assume un ruolo attivo nella costruzione della cartolarizzazione al fine di ottenere rendimenti relativamente maggiori, a parità di rating, con altri investimenti e in linea con le proprie esigenze e strategie in termini di diversificazione e/o copertura del proprio portafoglio. L’originator a sua volta realizza dei benefici legati alla relativa semplicità di 62 impostazione della cartolarizzazione con un conseguente risparmio di costi e tempo. Infatti la semplificazione rispetto a una struttura di CDO classica è giustificata, oltre dall’assenza del veicolo, anche, trattandosi prevalentemente di emissioni private, dal venir meno degli obblighi in capo all’originator di preparazione di tutta quella serie di prospetti informativi che sarebbero invece necessari per le emissioni pubbliche. 63 64 3. Effetti delle operazioni di cartolarizzazione: rischi e potenziali benefici 3.1 Introduzione Le operazioni di securitisation offrono numerosi vantaggi e opportunità sia agli intermediari finanziari che assumono il ruolo di originator di tali operazioni sia agli investitori che scelgono di sottoscrivere i titoli emessi a fronte delle stesse sia al sistema economico nel suo complesso. Tuttavia, esse comportano dei rischi, alcuni sono già esistenti prima dell’operazione altri, invece, nascono proprio a seguito dell’avvio della cartolarizzazione. Nel presente paragrafo si parlerà quindi dei principali benefici derivabili dalle cartolarizzazioni (sia per l’originator, per gli investitori e per il sistema economico) nonché dei rischi che esse comportano in capo all’originator; spazio sarà dato, anche, alla trattazione dei profili di rischio dei titoli ABS. 3.2 Potenziali benefici derivanti dalle operazioni di cartolarizzazione I vantaggi derivabili dalle operazioni di cartolarizzazione sono molteplici sia per i soggetti partecipanti all’operazione sia per l’intero sistema economico. Di seguito sono elencati i principali vantaggi che la securitisation comporta per la banca originator, per gli investitori in ABS e per il sistema economico. L’analisi dei vantaggi conseguibili dall’originator permette di cogliere le potenzialità di tale strumento e di comprendere in parte le motivazioni che stanno alla base del grande successo che le cartolarizzazioni hanno avuto tra gli intermediari finanziari. I benefici che la cartolarizzazione comporta per l’originator sono: a) la cartolarizzazione si configura come una forma alternativa di raccolta di fondi che comporta una diversificazione delle proprie fonti di finanziamento e rende l’attività di funding più stabile ed efficace in termini di costi. Tale effetto è evidente, soprattutto, nelle cartolarizzazioni cash che comportano un’entrata di liquidità a fronte della cessione degli asset; tale liquidità sarà a disposizione della banca originator per diversi impieghi; b) la cartolarizzazione rappresenta una tecnica innovativa di risk-trasnfer che conduce a un’efficiente condivisione del rischio tra soggetti intenzionati ad assumerlo. Gli intermediari finanziari che avviano cartolarizzazioni hanno la possibilità di ridurre in modo significativo l’esposizione al rischio degli asset cartolarizzati con effetti positivi sul risk management100. L’effettivo trasferimento totale del rischio è limitato dalla diffusa pratica tra gli originator di sottoscrivere la tranche più rischiosa (equity) al fine di fornire un forte segnale al mercato della buona qualità dei titoli emessi dal veicolo. Ulteriori benefici per il risk management possono derivare dall’impiego della liquidità generata dalla securitisation (tradizionale) e/o della porzione di capitale di vigilanza resasi disponibile per modificare il profilo di rischio del 100 Le banche con un alto grado di leverage o con attivi composti da crediti rischiosi risultano più attive nel mercato delle cartolarizzazioni (Cardone-Riportella et al, 2009). 65 proprio attivo, ad esempio operando una diversificazione geografica o settoriale del portafoglio prestiti; c) la cartolarizzazione permette un risparmio di capitale regolamentare, il cosiddetto capital relief. Con tale termine si indica la possibilità per gli intermediari bancari di ridurre il capitale allocato per i rischi imposto dalle norme di vigilanza prudenziale. Poiché in base al Nuovo Accordo di Basilea (Basilea 2) il coefficiente patrimoniale minimo è fissato all’8% (dato dal rapporto tra patrimonio di vigilanza e attività ponderate per il rischio) la cartolarizzazione offre la strada per la liberazione di capitale attraverso la vendita delle attività rischiose a un soggetto terzo (SPV) che consente poi il reinvestimento della liquidità ottenuta in ulteriori attività con un profilo di rischio inferiore (quindi un coefficiente di ponderazione più basso) rispetto a quello associato alle attività prima presenti nel portafoglio. Tuttavia, Basilea 2 va a limitare le possibilità di arbitraggio regolamentare, rispetto al precedente Accordo del 1988, siccome in base alla nuova disciplina la liberazione di capitale dipende dalla: (i) qualità del portafoglio sottostante; (ii) tranche first loss che viene trattenuta dalla banca (maggiore è la posizione sulla tranche equity trattenuta dall’originator minore sarà il risparmio di capitale detenuto ai fini regolamentari). Con l’entrata in vigore, quindi, del Nuovo Accordo sul Capitale gli incentivi agli arbitraggi regolamentari si riducono notevolmente. Indubbiamente le possibilità di “circumnavigare” la regolamentazione incrementando in tal modo i capital ratio senza, tuttavia, incrementare la solvibilità e solidità patrimoniale ai tempi di Basilea 1 hanno permesso il conseguimento di notevoli benefici dal punto di vista regolamentare; d) la cartolarizzazione consente di svincolare il costo della raccolta dal merito di credito dell’emittente e più precisamente ne riduce il costo poiché generalmente i titoli emessi dallo SPV hanno un rating maggiore rispetto ai bond emessi direttamente dall’originator; e) in un ottica di Asset - Liability Management (ALM) la cartolarizzazione permette di ridurre il mismatching tra attivo e passivo. Normalmente la scadenza del passivo (depositi bancari, finanziamenti interbancari ecc.) è a breve termine a cui si contrappone l’attivo con scadenza a medio-lungo termine. Questo disallineamento può essere in parte ridimensionato adattando le scadenze dei finanziamenti al profilo degli impieghi, realizzando una migliore gestione del rischio di tasso di interesse; f) la cartolarizzazione dei crediti può essere vista come uno strumento che permette il miglioramento delle performance della banca in termini di indici di redditività: ROE, ROA ecc. Il capitale liberato e/o la liquidità incamerata a seguito dell’emissione di ABS possono essere successivamente riallocati in altre forme di impiego. Ad esempio i fondi ottenuti a fronte di un’operazione di cartolarizzazione potrebbero essere utilizzati per erogare ulteriori finanziamenti. Un ampliamento dell’offerta di credito, a sua volta, permette alla banca originator, da un lato, di aumentare il tasso di rotazione del portafoglio prestiti e, dall’altro, di beneficiare di un vantaggio informativo che si manifesta nell’attività di lending. In questo modo aumenta il rendimento del patrimonio informativo e di conseguenza anche il rendimento del capitale. L’erogazione di nuovi prestiti ha, inoltre, un effetto positivo di natura commerciale poiché permette alla banca di ampliare la propria penetrazione sul mercato aumentando i clienti affidati; g) la cartolarizzazione permette la specializzazione infatti, la banca si può specializzare nell’attività in cui riesce a sviluppare un vantaggio competitivo tra origination, servicing, o 66 credit enhancement. La specializzazione permette, inoltre, di incrementare e diversificare i propri introiti da commissioni e interessi. I primi tre vantaggi (punti a), b), c)) sopra esposti costituiscono le principali motivazioni che hanno spinto gli istituti di credito a cartolarizzazione gran parte dei loro attivi e che hanno contribuito alla crescita del mercato nei recenti anni di queste operazioni. Sebbene la decisione di cartoralizzare parte dell’attivo bancario dipenda da più fattori che non si escludono a vicenda, la possibilità di convertire attività illiquide in fondi liquidi disponibili per ulteriori impieghi risulta essere il principale incentivo che ha spinto le banche ad entrare nel mercato della cartolarizzazione. Infatti, grazie ai meccanismi di rafforzamento del credito, il rating dei titoli garantiti da attività è spesso superiore a quello dell’originator, il quale è pertanto in grado di attingere a fonti di finanziamento che gli sono di norma precluse. In linea generale, qualora l’obiettivo delle banca sia il funding, la struttura di cartolarizzazione da adottare deve essere quella di tipo tradizionale. Al contrario, se la banca desidera ottenere un beneficio da capital relief o una migliore gestione del rischio di credito le strutture sintetiche permettono di raggiungere l’obiettivo a un costo minore rispetto le operazioni tradizionali. Anche gli investitori sottoscrivendo i titoli ABS possono conseguire una serie di benefici legati ai due principali punti di forza di questi strumenti finanziari ossia la varietà e la flessibilità. Mediante l’investimento in titoli ABS essi possono: a) diversificare il portafoglio investimenti: quando il mercato è incompleto l’introduzione di nuovi strumenti può rivelarsi vantaggiosa poiché la nuova offerta diversifica le opportunità di investimento. Il mercato delle ABS è notevolmente diversificato dal punto di vista delle strutture, dei rendimenti e delle scadenze; inoltre gli asset che garantiscono i titoli rappresentano molti settori dell’attività commerciale. Acquistando titoli ABS di diverse operazioni di cartolarizzazione gli investitori ottengono pertanto un beneficio dal punto di vista della diversificazione del proprio portafoglio investimenti; infatti gli attivi ceduti rappresentano attività operative, settori economici, aree geografiche molto diverse tra loro difficilmente raggiungibili con modalità alternative; b) ottenere un miglior profilo rischio-rendimento rispetto ai corporate bond e ai titoli di Stato: gli ABS valutati tripla A offrono rendimenti allettanti rispetto ad altri titoli a reddito fisso a parità di rischio e scadenza; c) accedere a prodotti altamente personalizzati (tailor-made): grazie all’ampia varietà di attivi sottostanti congiuntamente alla possibilità di definire la scadenza, la struttura dei pagamenti e il rendimento dei titoli gli investitori possono disporre di strumenti finanziari personalizzati sulle proprie esigenze. Considerando il clima di euforia che aveva caratterizzato il mercato delle ABS prima dello scoppio della crisi finanziaria è opportuno sottolineare alcuni aspetti peculiari delle ABS che le differenziano dalle obbligazioni tradizionali e che devono essere tenuti in considerazione ogni qualvolta si decida di investire negli strumenti cartolarizzati: - l’illusione di un grado di liquidità maggiore rispetto a quello di cui realmente godono (liquidity illusion); 67 - - l’illusione del rating AAA: il rating non deve costituire l’unico criterio su cui basare le scelte di investimento. Per quanto un titolo ABS con rating AAA possa essere un investimento appetibile occorre tenere presente che il rating rispecchia solo alcuni aspetti del rischio insito nei titoli emessi a fronte di un’operazione di cartolarizzazione (ad esempio il design proprio dei CDO implica una maggiore sensibilità al rischio sistematico rispetto ai tradizionali bond ma questo aspetto non è catturato nel giudizio di rating). In particolare, poiché gli eventi estremi hanno una probabilità maggiore di verificarsi rispetto agli strumenti tradizionali con uguale merito di credito, un eccessivo affidamento sui rating da parte degli investitori può indurli ad assumere inconsapevolmente esposizioni a perdite inattese (Fender et al, 2005); l’illusione dell’alto rendimento rispetto a titoli similari non deve trarre in inganno l’investitore in quanto le ABS possono presentare livelli di rischiosità diversi, anche a parità di spread. In termini più generali è possibile affermare che la cartolarizzazione offre numerosi vantaggi per il sistema economico nel suo complesso. Ad esempio la cartolarizzazione migliora l’efficienza allocativa, favorisce la diffusione di specializzazioni nelle varie fasi del processo di cartolarizzazione, completa il mercato, permette di abbassare il costo dei finanziamenti, consente una distribuzione del rischio di credito ad altri soggetti disposti a sostenerlo ecc. Sul tema la National Economic Research Associates (NERA) su richiesta dell’American Securitisation Forum ha analizzato l’impatto della cartolarizzazione su consumatori, investitori e mercato dei capitali ottenendo i seguenti risultati principali (NERA Economic Consulting, 2009): a) la cartolarizzazione ha un effetto positivo sull’accesso al credito, aumenta la disponibilità di finanziamenti per i prenditori di fondi soprattutto nei segmenti/aree sottoservite. Lo studio, infatti, dimostra che, tenendo costanti tutti gli altri fattori, la cartolarizzazione ha un notevole impatto positivo sulla crescita dei prestiti delle banche. Tale risultato è confermato anche dallo studio di Altunbas et al (2007) in cui si riscontra che le banche che adoperano in modo rilevante le tecniche di cartolarizzazione riescono ad accordare maggiori prestiti e tale effetto è maggiore in presenza di una crescita economica. Inoltre, la ricerca dimostra che la cartolarizzazione ha esercitato un ruolo fondamentale sui livelli di crescita record dei prestiti raggiunti negli anni pre-crisi infatti, tali risultati non sarebbero stati raggiunti senza la securitisation. b) la cartolarizzazione abbassa il costo del credito per i consumatori. Lo studio ha analizzato i prestiti ipotecari su immobili residenziali (compresi prestiti conforming, prestiti jumbo, e prestiti subprime), i prestiti concessi per l’acquisto dell’auto e i crediti derivanti dall’utilizzo di carte di credito. Il risultato ottenuto è un’effettiva diminuzione del costo del credito associato a un aumento dell’attività di cartolarizzazione (ad esempio un aumento del 10% delle cartolarizzazioni è associato a una diminuzione dello spread applicato ai mutui ipotecari subprime nell’ordine di 24-38 bp). 68 3.3 I profili di rischio dell’operazione di cartolarizzazione Nonostante i potenziali benefici derivanti dall’operazione di cartolarizzazione trattati nel paragrafo precedente, un’emissione di ABS può comportare degli effetti negativi legati al sostenimento di costi di diversa natura e all’insorgere di nuove tipologie di rischi. Uno degli ostacoli principali alla strutturazione di uno progetto di securitisation è il sostenimento di una serie di costi di entità rilevante. Si tratta, in particolare, di costi amministrativi, costi derivanti dall’attività di emissione e costi derivanti dalla richiesta di garanzie esterne i quali sono conseguenza diretta della presenza di molti soggetti nonché del procedimento laborioso che richiede un’operazione di cartolarizzazione. Per tali ragioni, quando l’originator intende cartolarizzare un pool di asset con l’obiettivo del funding, diviene indispensabile valutare preventivamente la convenienza economica dell’intera operazione mediante una corretta analisi costi-benefici derivanti da un’operazione di securitsation rispetto a una forma di finanziamento tradizionale (emissioni di obbligazioni, finanziamenti interbancari ecc.). Inoltre, è desiderabile che il portafoglio da cartolarizzare abbia dimensioni rilevanti in modo da conseguire economie di scala. Come è stato anticipato l’operazione di cartolarizzazione comporta numerosi rischi; alcuni sono già presenti prima della trasformazione dei crediti in ABS, altri nascono proprio a seguito di tale operazione. L’originator tramite un’operazione di cartolarizzazione si espone a un rischio spesso poco considerato ossia quello reputazionale. Il reputational risk è quel rischio che può derivare, in primis da fallimenti di tipo operativo, ma anche da altre molteplici fonti che possono incidere sulla reputazione della banca e minare il rapporto di fiducia con i clienti e con il mercato in generale. Si tratta di un tipo di rischio, presente anche qualora il portafoglio di attività sia stato effettivamente trasferito, che spinge la banca originator a proteggere la propria reputazione riacquistando il pool di crediti ceduti, anche in mancanza di un’obbligazione di questo tipo a suo carico, nel caso in cui gli asset cessino di essere produttivi (tale eventualità è tanto più probabile quanto più lo schema di cartolarizzazione è complesso). Inoltre, è bene sottolineare che l’originator, per mezzo di una securitisation, difficilmente otterrà come risultato la totale eliminazione dei rischi associati al portafoglio di crediti sottostante, se non altro nella misura in cui ha prestato delle forme di garanzia. Infatti il rischio principale in cui può incorrere una banca con uno schema di cartolarizzazione sorge nel momento in cui non ha avuto luogo la vendita effettiva – true sale – e la banca cedente è costretta ad addossarsi in tutto o in parte le perdite che eventualmente si determinino nel portafoglio cartoralizzato. In presenza di una delle seguenti situazioni l’originator non ha eliminato totalmente il rischio di credito relativo al pool di asset cartoralizzato quindi è esposto a potenziali perdite che possono verificarsi nel reference portfolio (BCBS, 1992): - vincolo di riacquisto o di scambio di attività; - clausola di rivalsa per cui il rischio di perdite a fronte delle attività cedute resta a carico della banca cedente o viene trasferito a quest’ultima; - obbligo verso una qualsiasi parte di effettuare i pagamenti in conto capitale o interessi sulle attività cedute (al di là di quelli derivanti dalla funzione di gestore); - la banca originator è proprietaria dello SPV oppure esercita su di esso un controllo o è tenuta a consolidare nel proprio bilancio lo SPV; - l’originator presta una serie di garanzie a supporto dell’operazione di cartolarizzazione; 69 - l’originator sottoscrive una qualsiasi categoria subordinata di tranche. 3.4 I profili di rischio delle ABS Gli investitori che sottoscrivono titoli ABS si espongono a tutti i rischi tipici che attengono ai valori mobiliari più a una serie di altri rischi peculiari dei titoli cartolarizzati. Di seguito si presentano i principali tipi di rischio che riguardano i titoli ABS. Rischio di credito Il rischio di credito è il rischio di incorre in possibili perdite dovute al default dei debitori originari o al deterioramento del merito creditizio. In pratica il rischio di credito deriva dalla capacità del portafoglio di crediti selezionato e ceduto, di generare redditi nella misura e nei tempi necessari al rimborso del capitale e degli interessi. Un indicatore a disposizione degli investitori che fornisce un’opinione sulla capacità relativa di un soggetto di onorare alle scadenze prefissate i propri impegni finanziari è il rating assegnato da agenzie specializzate. Il rischio di credito delle ABS risente: - del grado di correlazione degli attivi che compongono il portafoglio cartolarizzato. Il rischio di credito del pool di asset può essere ridotto ricorrendo alla diversificazione dei crediti presenti nel portafoglio. Infatti, l’inclusione di attività non correlate ha un effetto positivo sul rischio di credito che si riduce nelle componente non sistematica. Tuttavia l’esigenza di ridurre il profilo di rischiosità del portafoglio si scontra con la necessità di avere portafogli composti da un’unica tipologia di attività con l’intento di facilitare la previsione dei flussi di cassa e le analisi statistiche. Negli ultimi anni lo sviluppo di operazioni più complesse quali le cartolarizzazioni multi-seller ha favorito la riduzione dei profili di rischio del portafoglio di attività; - della quota di rischio trasferita a terzi e supporti contrattuali ed extracontrattuali. Correlation risk Il rischio di correlazione in un portafoglio di asset riguarda la possibilità di avere fallimenti congiunti degli obbligati compresi nel pool. Il correlation risk è rilevante per i CDO 101, infatti uno dei fattori chiave che incidono sulla valutazione della distribuzione delle perdite nei portafogli di CDO è proprio la correlazione fra le insolvenze degli asset nel pool. Quindi il rischio delle tranche di CDO deve essere analizzato in riferimento alla probabilità di default (PD) di ciascun debitore ceduto ma anche considerando la distribuzione delle perdite del reference portfolio basata sulla stima del livello di correlazione. In base alle assunzioni sul livello di correlazione la distribuzione delle perdite varia in modo considerevole. Per valori bassi di correlazione la distribuzione tipica delle perdite del pool avrà una forma campanulare asimmetrica approssimata nel modo migliore dalla distribuzione binomiale (vd. Figura 3.1 grafico di sinistra). Livelli elevati di correlazione modificano la forma della distribuzione rendendola ancora più asimmetrica con un aumento delle probabilità in corrispondenza di eventi estremi - tutti i debitori falliscono oppure nessuno debitore fallisce (vd. Figura 3.1 grafico centrale e di destra). 101 I CDO presentano un basso “frazionamento” rispetto alle ABS tradizionali e generalmente contengono, o prendono a riferimento, un numero relativamente ristretto di attività non omogenee. Pertanto, nel caso delle CDO la performance del portafoglio risente sia del rischio specifico sia del rischio sistematico (Fender et al., 2005). 70 Figura 3.1: Distribuzione delle perdite nei portafogli di CDO: raffronto tra correlazioni diverse Bassa correlazione (1%) Correlazione media (45%) Alta correlazione (99%) Fonte: Banque de France (2005) Gli studi in materia hanno dimostrato che un’elevata correlazione influisce positivamente sul valore della tranche equity. Infatti, come in parte è possibile notare dalla Figura 3.1, la probabilità che il pool origini perdite prossime allo zero aumenta rispetto al caso di bassa correlazione. Questa situazione è positiva per i sottoscrittori della tranche equity, i quali sono indifferenti al contemporaneo spostamento di massa di probabilità che l’aumento della correlazione genera verso la coda destra della distribuzione. La tranche senior, ovviamente, ha un comportamento opposto all’aumentare della correlazione. Ogni tranche ha quindi un diversa sensibilità alla correlazione. Formulare assunzioni sul livello di correlazione è molto complicato, per questo motivo frequentemente ci si basa su dei modelli anche se rimane comunque il rischio che le assunzioni siano sbagliate. A seconda, quindi, delle diverse metodologie/ipotesi utilizzate per calcolare la correlazione fra le insolvenze degli obbligati compresi nel pool sottostante si possono avere stime del rischio differenti; ciò origina un rischio di modello. Model risk Il rischio di modello è il rischio di subire possibili perdite, a cui sono esposti soprattutto gli investitori in prodotti complessi, dovute a eventuali difetti del modello di valutazione utilizzato per stimare e gestire il rischio, oppure a errori nella determinazione dei parametri del modello. Il rischio, per i prodotti di finanza strutturata di recente costruzione, è accresciuto anche dalla mancanza di dati storici. Sulla base di quanto detto nella sezione del correlation risk il rischio di modello appare essere particolarmente importante per le CDO. Rischio di liquidità Il rischio di liquidità è il rischio di subire perdite legate alle difficoltà di vendita di un ABS in tempi brevi, a un prezzo equo e con bassi costi di transazione. Lo spread bid-ask costituisce uno dei più importanti indicatori della presenza del rischio di liquidità poiché indica il differenziale tra il prezzo bid (denaro) e il prezzo ask (lettera) praticato da un dealer. Il prezzo bid è il prezzo al quale il dealer è disposto ad acquistare uno strumento finanziario mentre il prezzo ask è quello al quale il dealer è disposto a vendere. Maggiore è lo spread maggiore è il rischio di liquidità. La liquidità dei titoli ABS, rispetto alle emissioni statali o societarie di pari rischiosità, è molto inferiore quindi può risultare difficile per l’investitore vendere a terzi 71 i titoli. Il rischio di liquidità risulta essere ancora maggiore per i prodotti personalizzati infatti, sarà difficile per l’investitore che desidera vendere il proprio titolo bespoke trovare una controparte disposta ad acquistarlo. Per gli investitori che si pongono come obiettivo di investimento di trattenere in portafoglio il titolo ABS fino a scadenza il rischio di liquidità è trascurabile. Cash flow risk Il cash flow risk è il rischio collegato alle modalità con cui i flussi di cassa generati dal portafoglio di attività sottostanti vengono trasferiti ai sottoscrittori dei titoli ABS. La struttura di pagamento di un ABS può essere di tipo pass-through o pay-through e la decisione in merito a quale utilizzare spetta all’originator. La prima distribuisce i cash flow ai sottoscrittori su base pro-quota mentre la seconda segue uno schema di rimborso ben definito ex ante. Il rischio di subire perdite per gli investitori sorge nel momento in cui i cash flow originati dai crediti ceduti non riescono a soddisfare tutte le obbligazioni di pagamento dei ABS. Prepayment risk Il prepayment risk attiene alla possibilità che il debitore originario decida di estinguere anticipatamente il proprio debito rimborsando tutto il capitale dovuto in un’unica soluzione prima della scadenza contrattuale. Gli investitori sono preoccupati per quanto riguarda la probabilità e l’entità del rimborso anticipato perché questo tipo di rischio influisce sui cash flow del bond e quindi sul rendimento del loro investimento. È difficile conoscere quando avverrà un rimborso anticipato; tuttavia l’investitore può farsi un idea preventiva del momento in cui un prepagamento è più probabile che avvenga tramite una valutazione di un insieme di fattori quali: il tasso corrente sui prestiti, le ipotesi sull’evoluzione dei tassi nel periodo successivo e, infine, le previsioni sull’evoluzione delle condizioni macroeconomiche in generale. Infatti, è più probabile che l’estinzione anticipata avvenga quando i tassi di interesse sono bassi piuttosto che quando sono alti oppure quando il tasso del prestito è molto alto; in quest’ultimo caso per il debitore ci saranno maggiori occasioni di rifinanziare il proprio mutuo a tassi più convenienti. Tuttavia, non tutti i prestiti che possono fungere da collateral in una cartolarizzazione sono caratterizzati in egual misura dal rischio di rimborso anticipato. Gli asset in cui la presenza del prepayment risk è preponderante sono i mutui ipotecari; di conseguenza la presenza di questo tipo di rischio è maggiore nei MBS rispetto agli ABS supportati dalle voci attive di carte di credito o dai prestiti per l’acquisto dell’auto. Il rischio di rimborso anticipato può comportare il rischio di reinvestimento poiché la maggior quota di capitale rimborsato deve essere reinvestito; il problema può essere ampliato in caso di tassi di interesse in calo poiché potenzialmente più debitori potrebbero optare per il rimborso anticipato inoltre la liquidità verrà reinvestita a tassi più bassi di quelli esistenti al momento di sottoscrizione delle ABS. L’entità del problema in Europa è relativamente minore rispetto agli Stati Uniti poiché in Europa la maggior parte dei contratti di prestito include penali di rimborso anticipato che scoraggiano l’estinzione del debito prima della scadenza 102. Negli Stati Uniti, invece, i mutuatari hanno la facoltà di estinguere il prestito in qualsiasi momento senza l’applicazione 102 Come nel resto d’Europa, anche in Italia, fino all’entrata in vigore del Decreto Legge. n. 7 del 31 gennaio 2007 (cosiddetto Decreto Bersani), in caso di estinzione anticipata veniva applicata una penale espressa come percentuale da commisurare alla somma anticipatamente estinta. Il Decreto Bersani ha stabilito la nullità di qualsiasi clausola che preveda l’applicazione di penali per rimborso anticipato. Le nuove disposizioni del Decreto Bersani hanno fatto registrare in Italia il più alto livello di rimborsi anticipati di mutui dal 2000. 72 di penali; in sostanza essi possiedono un’opzione di tipo americano con durata pari alla durata del mutuo sottoscritto che gli consente di estinguere il mutuo al suo valore nominale durante la vita del contratto103 (Hull, 2006). Il rischio di rimborso anticipato nei MBS viene considerato dagli operatori di mercato ipotizzando un prepayment rate – ossia il “ritmo” in base al quale i debitori rimborsano anticipatamente il debito - fisso al momento dell’emissione in modo tale da calcolare i cash flow attesi e la durata dello strumento finanziario. L’assunzione di un prepayment rate tuttavia rappresenta una semplificazione, infatti nella realtà il prepayment rate varia al variare di una serie di variabili che influiscono su di esso (come ad esempio i tassi e le condizioni macroeconomiche). L’approccio comune a molti analisti è, quindi, quello di considerare un constant prepayment rate (CPR) che fornisce una misura dei rimborsi anticipati (su base annua) sottoforma di percentuale dell’attuale saldo dei prestiti in essere. Un CPR del 10% significa che il 10% dell’attuale saldo dei prestiti del pool probabilmente subirà un rimborso anticipato nel corso dell’anno successivo. La misura mensile della percentuale della quota di rimborso anticipato è conosciuta come constant monthly repayment (CMR) o anche single monthly mortality (SMM). Rimborsi anticipatit CMRt 100 Saldo inizialet Rimborsi previstit (3.1) Il CMR esprime in percentuale l’ammontare atteso, sull’attuale saldo dei prestiti in essere al netto dei rimborsi previsti, che sarò ripagato in anticipo in ogni mese. Supponendo un CMR pari al 2%, un saldo in essere all’inizio del mese di Euro 72.200 e rimborsi attesi per un totale di Euro 223 allora il 2% di Euro 71.977 (72.200 – 223) sarà rimborsato anticipatamente in quel mese. Dato il CMR è possibile poi calcolare l’ammontare atteso dei rimborsi anticipati semplicemente esplicitando dalla (3.1) la variabile rimborsi anticipati. Il CPR non è altro che il CMR annualizzato CPR 100 (1 (1 CMR 12 ) ) 100 (3.2) Negli Stati Uniti è convenzione utilizzare tassi di prepagamento standard fissati dal Public Securities Association 104 (PSA). Il PSA benchmark (100%PSA) ipotizza un aumento costante ogni mese del prepayment rate fino al raggiungimento del trentesimo mese dopodiché il prepayment rate è fisso al 6%. Il prepayment rate iniziale è pari allo 0,2% e aumenta dello 0,2% ogni mese. Il benchmark può essere variato al variare delle condizioni di mercato così, ad esempio, con il 200%PSA il prepayment rate iniziale è dello 0,4% (il doppio rispetto al 100%PSA) che aumenta ogni mese dello 0,4% fino al raggiungimento del 12% trascorsi i 103 Al fine di capire le MBS può essere utile comporre idealmente il mutuo ipotecario in due componenti: il bond e l’opzione. La componente bond corrisponde all’obbligazione in capo al debitore di pagare una serie di rate (composte da quota capitale e quota interessi) durante la vita del contratto. In altre parole, la componente bond altro non è che un flusso di pagamenti di cui sia l’ammontare sia la periodicità sono noti. La componente data dall’opzione, invece, corrisponde alla facoltà in capo al debitore di estinguere anticipatamente il proprio debito. Adottando il gergo in uso nel comparto delle opzioni, il debitore ha il diritto di “acquistare” la componente bond al prezzo pari al saldo in essere al momento dell’esercizio dell’opzione. Il valore del mutuo ipotecario, quindi, è pari alla combinazione del valore della componente bond e della componente opzione. 104 Il PSA è stato rinominato successivamente Bond Market Association e nel 2006 a seguito della fusione con il Securities Industry Association si è formato il Securities Industry and Financial Markets Association. 73 trenta mesi. Ancora, con il 50%PSA il prepayment rate iniziale è dello 0,1% che aumenta ogni mese dello 0,1% fino al raggiungimento del 3% trascorsi i trenta mesi. La presenza di rimborsi anticipati durante la vita di un prestito va ad impattare sui cash flow attesi (vd. Figura 3.3 e Figura 3.4). Come mostrato in Figura 3.2 quando il prepayment rate è nullo allora i flussi di cassa sono costanti durante la vita del titolo. Figura 3.2: Flussi di cassa di un titolo MBS pass through con CPR=0% 1200000,00 1000000,00 800000,00 600000,00 400000,00 200000,00 0,00 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 Anni Capitale Interessi Fonte: Stone C. A. et al (2005) Note: L’andamento dei flussi di cassa totali assume un andamento leggermente crescente al trascorrere del tempo. Tale andamento è dovuto alla presenza di costi nell’operazione di cartolarizzazione (come ad esempio i costi di servicing); nel caso in cui i costi siano nulli allora i flussi di cassa sarebbero tutti dello stesso importo e formerebbero nel grafico una riga orizzontale. Figura 3.3: Flussi di cassa di un titolo MBS pass through con CPR=15% 4500000,00 4000000,00 3500000,00 3000000,00 2500000,00 2000000,00 1500000,00 1000000,00 500000,00 0,00 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 Anni Capitale Fonte: Stone C. A. et al (2005) 74 Interessi 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 Quando i mutui sono a tasso fisso e il piano di ammortamento è “alla francese” la proporzione tra pagamenti in conto capitale e in conto interessi varia man mano che i debitori rimborsano il proprio debito, quindi con il passare del tempo la quota capitale aumenta, viceversa la quota interessi decresce. Quando il prepayment rate è elevato (vd. Figura 3.4) allora i flussi iniziali sono molto elevati nelle epoche iniziali, poiché molti debitori rimborsano anticipatamente il proprio debito, e convergono rapidamente verso lo zero. Con un prepayment rate intermedio (vd. Figura 3.3), invece, i cash flow iniziali seppur elevati, decrescono meno velocemente rispetto al caso CPR=30%. Per elevati tassi di rimborso anticipato la quota interessi decresce considerevolmente poiché il saldo in essere si riduce velocemente nelle epoche iniziali. Per quanto riguarda la quota capitale essa a livello aggregato è la medesima indipendentemente dal livello del prepayment rate; ciò che varia è l’epoca in cui viene rimborsato il capitale. Figura 3.4: Flussi di cassa di un titolo MBS pass through con CPR=30% 4500000,00 4000000,00 3500000,00 3000000,00 2500000,00 2000000,00 1500000,00 1000000,00 500000,00 0,00 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 Anni Capitale Interessi Fonte: Stone C. A. et al (2005) Rischio di credito e operativo dei soggetti partecipanti Si tratta di due categorie di rischio connesse alla presenza di terzi soggetti nello svolgimento dell’operazione di securitisation, i quali nell’esecuzione delle loro mansioni possono essere fonte di ulteriori rischi. Di notevole importanza per il successo dell’operazione è la solvibilità dei soggetti partecipanti, soprattutto del servicer, dello SPV e del credit enhancer. In particolare, la presenza di soggetti terzi che prestano supporto esterno del credito espone i sottoscrittori ad un rischio controparte aggiuntivo dovuto al fatto che il rating delle ABS dipenderà dall’affidabilità creditizia dei soggetti stessi con la conseguenza diretta che un eventuale downgrading del garante sarà seguito dall’altrettanto declassamento dei titoli. In genere, per ridurre il rischio di insolvenza di terzi soggetti, vengono scelte controparti con un elevato standing creditizio e sono previste, inoltre, sostituzioni qualora una controparte fallisca o subisca un abbassamento del rating. La presenza di diversi soggetti comporta non solo rischi di insolvenza ma anche rischi di conflitti di interesse e rischi operativi. Il rischio di conflitti di interesse nasce nel momento in cui un soggetto svolge più di una funzione. Ad esempio nella prassi il servicer coincide con l’originator il quale, in momenti di crisi di liquidità, potrebbe essere incentivato a condurre 75 una gestione degli incassi poco trasparente non accreditando le somme riscosse sui conti dell’operazione di cartolarizzazione. Un altro tipo di rischio presente in un processo di securitsation è il rischio operativo dei soggetti partecipanti all’operazione. Il rischio operativo si riferisce alla possibilità di subire perdite legate a comportamenti illegali o inappropriati delle risorse umane, a carenze tecnologiche, a errori o lacune nei processi produttivi e a fattori esterni. Rischio legale Il rischio legale si riferisce al rischio derivante da violazioni o dalla mancanza di conformità con leggi della documentazione dell’operazione di cartolarizzazione. Considerare la presenza del rischio legale è di fondamentale importanza poiché dalle problematiche legali dipende il trasferimento effettivo del rischio di credito nonché la definizione del ru olo dei terzi soggetti coinvolti nell’operazione. Proprio al fine di limitare il rischio legale è presente, nell’iter di strutturazione della cartolarizzazione, una fase di due diligence legale volta a verificare l’efficacia della cessione dei crediti allo SPV, l’opponibilità della cessione ai debitori ceduti e ai terzi, i profili legali delle garanzie esterne e la natura del terzo garante nonché assicurare il trasferimento delle garanzie accessorie connesse agli attivi sottostanti. La principale conseguenza legata alla presenza del rischio legale, che deve essere evitata per assicurare la buona riuscita dell’operazione, è il coinvolgimento dei crediti ceduti nel patrimonio fallimentare del cedente o del suo gruppo aziendale. Infatti, se da un punto di vista giuridico la cartolarizzazione non ha realizzato l’isolamento degli attivi ceduti un eventuale fallimento dell’originator comprometterebbe il pagamento dei sottoscrittori di ABS o potrebbe rendere retroattivamente nulla la cessione dei crediti o i pagamenti già effettuati. Con riferimento alle cartolarizzazioni sintetiche di fondamentale importanza per l’efficacia del contratto derivato sul credito è la precisa definizione di cosa si intende per credit event poiché proprio al verificarsi dell’evento assicurato l’obbligazione del protection seller è dovuta. In linea generale, è possibile affermare che al crescere della complessità di un’operazione aumentano parallelamente i rischi legali. Rischi informativi I profili informativi assumono importanza con riferimento alla trasparenza informativa ai fini del collocamento dei titoli ABS sul mercato finanziario. Affinché i sottoscrittori possano prendere una decisione di investimento consapevole è necessaria una corretta informazione il cui livello e qualità sia in grado di assicurare una conoscenza adeguata anche delle strutture più complesse a prescindere dal mercato nel quale le ABS sono emesse e dalla natura dell’originator. La informazioni, inoltre, devono essere fornite in modo chiaro e comprensibile anche per i soggetti non professionali, lasciando agli investitori un tempo sufficientemente congruo per poter effettuare le necessarie analisi. Il flusso di informazioni deve essere garantito sia in fase di sottoscrizione sia in fase di negoziazione dello strumento finanziario. I prospetti informativi ex ante devono riportare le informazioni sulla struttura di pagamento e sugli altri elementi rilevanti – ad esempio il rating assegnato, la descrizione delle tranche di ABS emesse e del relativo rischio, il rapporto tra i vari soggetti ecc. – tuttavia, anche dopo l’emissione devono essere assicurate informazioni periodiche rivolte agli investitori e ai potenziali investitori in merito a qualsiasi cambiamento che abbia un impatto potenziale sulla performance dei titoli. Assumono importanza anche le modalità di rilevazione dell’operazione nel bilancio individuale e consolidato dei soggetti partecipanti all’operazione 76 al fine di comprendere i profili di rischio assunti o mantenuti da ogni partecipante. Le considerazioni fin qui sviluppate possono essere estese a qualsiasi prodotto finanziario negoziato sui mercati ma assumono una rilevanza particolare se riferite agli strumenti cartolarizzati. Infatti, la struttura stessa della cartolarizzazione implica una perdita di informazioni lungo la catena dell’operazione dovuta alla separazione tra l’originator, che genera gli asset che poi saranno cartolarizzati, e gli investitori finali. La scarsità di informazioni disponibili presso il pubblico di investitori rende incerta la determinazione dei pay-off del prodotto soprattutto se esso è complesso e altamente sensibile a lievi cambiamenti delle condizioni creditizie come lo sono i prodotti di finanza strutturata. L’incompletezza delle informazioni causa un eccessivo affidamento degli investitori sui rating inoltre spesso gli investitori non sono coscienti del proprio investimento a tal punto che le perdite subite dai sottoscrittori di titoli ABS in seguito alla crisi subprime hanno superato le loro aspettative. 77 78 4. La regolamentazione 4.1 Introduzione I market failure – imperfezioni di mercato che lo rendono incapace di raggiungere condizioni soddisfacenti di efficienza autonomamente – nonché l’importanza per la collettività delle funzioni del sistema finanziario rendono quest’ultimo uno degli ambiti economici più soggetti a regolamentazione in tutti i paesi. Nello specifico la gestione del sistema dei pagamenti, il pericolo della corsa agli sportelli e del rischio sistemico e l’obiettivo di protezione dei consumatori pongono la necessità di una vigilanza che riguardi il comparto bancario. Le vicende degli anni Sessanta-Settanta (crescente sviluppo dell’operatività cross-border, insorgere di crisi bancarie, assunzione di crescenti rischi da parte degli intermediari creditizi, preoccupazioni circa la trasmissione delle situazioni di crisi a livello sovranazionale) evidenziarono la necessità di una maggiore integrazione e coordinamento tra le politiche di regolazione, controllo e vigilanza in ambito internazionale con l’obiettivo di prevenire possibili eventi di difficoltà a livello sistemico. È proprio per queste ragioni che gli intermediari bancari rappresentano la prima categoria di istituzioni a essere soggetta a una articolata regolamentazione del capitale, coordinata a livello internazionale. In questo contesto nasce il Comitato di Basilea per la Vigilanza Bancaria 105 (Basel Committee on Banking Supervision, BCBS) il quale si pone come obiettivo “to ensure that banks operate in a safe and sound manner and that they hold capital and reserves sufficient to support the risks that arise in their business” proponendosi come guida sia per le Autorità di Vigilanza che per le banche stesse. Uno dei lavori più importanti del Comitato di Basilea è rappresentato dal Nuovo Accordo di Basilea sui requisiti patrimoniali (Basilea 2), che succede al precedente Accordo del 1988 (Basilea 1), il cui obiettivo è quello di accrescere nelle banche e nelle imprese di investimento la sensibilità al rischio, la capacità di gestirlo e di comunicare correttamente al mercato le informazioni su come viene valutato. Basilea 2, riprendendo Basilea 1, individua un livello minimo di patrimonializzazione come requisito per una sana e prudente gestione dell’impresa bancaria, infatti entrambi gli Accordi fissano un ammontare minimo di capitale (regulatory capital) che un intermediario bancario deve detenere quale vincolo imposto dalla regolamentazione. È proprio il Nuovo Accordo ad essere oggetto di questo capitolo. Dopo un paragrafo introduttivo in cui verranno fornite informazioni di base su Basilea 2 riguardanti genesi, obiettivi e struttura seguirà la trattazione della disciplina specifica riservata alle cartolarizzazioni. Infatti, sebbene la cartolarizzazione consenta il frazionamento e la distribuzione del rischio di credito a terzi disposti a sostenerlo essa comporta la nascita di nuovi rischi e crea quindi il fabbisogno di controlli per garantire la stabilità e l’efficienza degli intermediari finanziari che partecipano all’operazione e al mercato nel suo complesso. Il Nuovo Accordo, a differenza di Basilea 1, regola con una disciplina organica le operazioni di 105 Il Comitato di Basilea per la Vigilanza Bancaria o Basel Committee on Banking Supervision o, semplicemente, Comitato di Basilea è un organismo creato nel 1974 dai Governatori delle Banche Centrali appartenenti al Gruppo dei Dieci (G-10). Esso è costituito in seno alla BRI (Banca dei Regolamenti Internazionali) e, non avendo alcun potere legiferante, si occupa di formulare standard di vigilanza, linee guida e raccomandazioni di best practice in attesa che esse verranno recepite dalle singole Autorità di Vigilanza nazionali nei tempi e con i metodi che meglio si adattano alle specificità del singolo paese. 79 cartolarizzazione dal punto di vista prudenziale. Tale disciplina era necessaria, innanzitutto, per contrastare le operazioni di cartolarizzazione avviate al solo scopo di aggirare la regolamentazione Basilea 1 e, secondariamente, per adeguare il quadro normativo ai processi di innovazione finanziaria. Il paragrafo 4.3 si propone di analizzare lo schema regolamentare riservato alle esposizioni derivanti da cartolarizzazione nel banking book, nello specifico verrà esaminato il calcolo del requisito patrimoniale a fronte del rischio di credito, il processo di controllo prudenziale e la disciplina di mercato. Il paragrafo 4.4 sarà incentrato sul problema dell’interazione tra rischio di credito e rischio di mercato. È evidente che la cartolarizzazione rende il rischio di credito una merce negoziabile trasformando di fatto il rischio di credito in rischio di mercato. Lo straordinario sviluppo delle tecniche di securitisation rende, quindi, necessario soffermarsi sugli aspetti di interazione tra rischio di credito e di mercato che, peraltro, conducono a interrogativi sulla corretta valutazione del capitale regolamentare in Basilea 2 dal momento che essa prevede procedure di calcolo del requisito di capitale differenziate per il rischio di credito e di mercato. Spazio sarà dato, infine, nel paragrafo 4.5 alle recenti revisioni del Nuovo Accordo rese necessarie dalle criticità della regolamentazione messe in rilievo dalla crisi finanziaria. 4.2 Il Nuovo Accordo sul Capitale Basilea 2 è stata ratificata il 26 Giugno 2004 e la versione definitiva è stata resa pubblica nelle direttive dell’Unione Europea (UE): Direttiva 2006/48/CE – cosiddetta CAD 3- e la Direttiva 2006/49/CE le quali circoscrivono l’ambito di applicazione delle nuove regole agli istituti di credito e alle imprese di investimento. In tutti i paesi dell’Unione Europea Basilea 2 è entrata nell’ordinamento con il recepimento delle suddette Direttive e ha valore per tutto il sistema bancario; mentre l’applicazione negli altri paesi extra-UE avviene con modalità diverse. Sebbene la normativa internazionale nell’Unione Europea sia entrata in vigore il 1 Gennaio 2007 è stata concessa alle banche un’opzione di rinvio al 1 Gennaio 2008 e di fatto la maggior parte della banche ha iniziato a operare con le nuove regole di Basilea 2 solo a partire dal 2008. Basilea 2 va a sostituire il primo Accordo di Basilea del 1988 (Basilea 1) il quale, alla luce della crescente internazionalizzazione dell’operatività bancaria, dei rilevanti casi di crisi bancarie e della maggiore instabilità del sistema bancario internazionale, ha segnato il passaggio da una vigilanza di tipo strutturale a una vigilanza prudenziale106 mediante l’introduzione dei coefficienti patrimoniali minimi obbligatori. La definizione di un rapporto minimo tra il cosiddetto patrimonio di vigilanza e i rischi sostenuti dalla banca persegue gli obiettivi di tutela della stabilità e della solidità del sistema bancario internazionale e, al contempo, permette la creazione di uno scenario competitivo internazionale uniforme (level the playing field). L’evoluzione del quadro economico-finanziario in cui si trovarono ad operare le banche, lo sviluppo delle tecniche innovative di risk management e i punti critici di Basilea 1 determinarono l’esigenza di rivedere l’Accordo del 1988. 106 La vigilanza di tipo strutturale incide sulla morfologia del comparto bancario dal momento che si fonda su autorizzazioni per l’esercizio di certe attività e per l’ingresso nel mercato. La vigilanza prudenziale, invece, si fonda su norme volte a limitare il rischio complessivo di specifiche categorie di operatori generalmente per mezzo di coefficienti patrimoniali. 80 Nell’ottica di affrontare le carenze di Basilea 1 il Comitato di Basilea ha dato inizio al processo di revisione dell’impianto regolamentare nel 1999 pubblicando il primo documento ai fini di consultazione (a cui sono seguiti i documenti del 2001 e del 2003); i lavori sono culminati con la stesura del documento definitivo nel 2004. Basilea 2 si prospetta di raggiungere alcuni obiettivi quali: (i) la salvaguardia della sicurezza e della solidità delle banche; (ii) il rafforzamento della stabilità dell’intero sistema finanziario; (iii) la definizione del patrimonio di vigilanza più vicina al concetto di patrimonio economico allo scopo di rinforzare la stabilità del settore bancario. Basilea 2 riprende il principio base di Basilea 1 ossia che il capitale della banca deve essere adeguato al rischio assunto ed adotta una struttura fondata su tre pilastri che operano congiuntamente per mantenere la stabilità del sistema bancario internazionale: a) Primo pilastro:requisiti patrimoniali minimi Il requisito minimo di patrimonializzazione (8% del totale attività ponderate per il rischio) rimane invariato rispetto al primo Accordo (vd. Figura 4.1). Significativi miglioramenti sono stati apportati al calcolo delle attività ponderate per il rischio: al rischio di credito e al rischio di mercato107 viene aggiunto il rischio operativo. Figura 4.1: Calcolo del coefficiente patrimoniale complessivo (o coefficiente di solvibilità) Patrimonio di vigilanza 8% Attività ponderate per il rischio Rischio di credito Rischio di mercato Rischio operativo Note: Il patrimonio di vigilanza si compone a sua volta di due aggregati principali: il patrimonio di base e il patrimonio supplementare. Il patrimonio di base o Tier 1 comprende elementi patrimoniali di qualità primaria: il capitale versato, le riserve palesi, gli strumenti innovativi di capitale e gli utili non distribuiti. Il patrimonio supplementare o Tier 2 è composto, invece, da poste patrimoniali di qualità secondaria: le riserve occulte, le riserve da valutazione, gli strumenti innovativi di capitale non computati nel patrimonio di base, gli strumenti ibridi di patrimonializzazione, le passività subordinate. Si tratta, quindi, di voci che, pur non essendo assimilabili a patrimonio in senso stretto, svolgono una funzione di protezione nei confronti dei terzi dagli effetti di eventuali perdite, e sono dunque ammessi nella misura del 50% del patrimonio complessivo nel computo del patrimonio. Per il calcolo del capitale regolamentare a fronte del rischio di credito il Nuovo Accordo introduce due metodi: - l’approccio standardizzato (Standardized Approach): concettualmente identico a quello del primo Accordo, infatti la misurazione del rischio si fonda su procedure di valutazione esterne, i rating, definiti da società specializzate (ECAI, External Credit Assessment Institution), a cui è associato uno schema standard di ponderazioni per il grado di rischio. Il metodo standardizzato in Basilea 2 viene in parte innovato grazie all’introduzione di ponderazioni più dettagliate che consentono una maggiore differenziazione del rischio. Il meccanismo di calcolo del requisito patrimoniale è estremamente semplice e si articola su un numero esiguo di passaggi: (4.1) APRi E *W 107 Nella versione del 1988 dell’Accordo il patrimonio di vigilanza era rapportato alle attività ponderate per il rischio credito; l’Emendamento del 1996 introduce i requisiti patrimoniali per i rischi di mercato. 81 dove: APRi = attivo ponderato per il rischio di credito relativo all’esposizione i-esima E = esposizione creditizia W = coefficiente di ponderazione assegnato dallo schema regolamentare all’esposizione creditizia i-esima Successivamente si moltiplica l’attivo ponderato per il rischio di credito relativo alla singola esposizione, per l’8%, percentuale che indica l’effettivo assorbimento patrimoniale dell’esposizione: (4.2) Ki 8%* APRi dove: Ki = assorbimento patrimoniale provocato dall’esposizione i-esima - Il requisito patrimoniale complessivo non è altro che la somma algebrica dei requisiti patrimoniali Ki riferiti alle singole esposizioni: (4.3) K Ki i dove: K = requisito patrimoniali complessivo l’approccio basato sui rating interni (Internal Rating-Based Approach, IRB): disponibile nelle versioni “di base” o “avanzato” consente alle banche ritenute idonee dalle Autorità di Vigilanza nazionali di quantificare alcuni fattori fondamentali necessari al calcolo dei requisiti patrimoniali. Le banche, quindi, possono misurare internamente i driver del rischio di credito ossia la probabilità di default (PD) (per il metodo IRB “base”) e la loss-given-default (LGD) e l’exposure at default (EAD) (per il metodo “avanzato”). Tali componenti vengono inseriti nelle funzioni di ponderazione del rischio, predisposte dal Comitato di Basilea, che le convertono in coefficienti di ponderazione da impiegare per il calcolo delle attività ponderate per il rischio. Il metodo IRB si basa sul concetto che il patrimonio detenuto ai fini regolamentari deve essere destinato alla copertura della perdita inattesa (unexpected losses, UL) (vd. Figura 4.2). Infatti, la perdita che si manifesta a causa del rischio di insolvenza su un determinato orizzonte temporale è formata da due componenti: - la perdita attesa (expected losses, EL) su una singola posizione o su un portafoglio. In quanto “attesa” è stimabile anticipatamente e quindi può essere coperta mediante l’accantonamento di risorse a riserva o può essere traslata sul cliente con il pricing del credito; - la perdita inattesa (UL) ossia la quota di perdita totale che supera EL di cui però non è noto né l’entità né il momento in cui si manifesterà. Aspetto rilevante del primo pilastro è costituito dall’introduzione del rischio operativo come nuova forma di rischio tipico dell’attività bancaria. Per tale ragione Basilea 2 richiede un’apposita copertura patrimoniale e prevede la possibilità di ricorrere a tre diverse metodologie di misurazione caratterizzate da un grado di complessità crescente: - metodo dell’indicatore di base (Basic Approach, BIA); - metodo standardizzato (Standardized Approach, ASA); - metodo avanzato di misurazione (Advanced Measurement Approach, AMA). 82 Per quanto riguarda la misurazione del rischio di mercato i metodi fissati nell’Emendamento del 1996 rimangono sostanzialmente invariati. L’aspetto innovativo del Nuovo Accordo consiste nella possibilità in capo all’intermediario di articolare nel tempo l’accesso a metodologie e processi progressivamente più avanzati (ad esempio migrando dal metodo standardizzato al metodo dei rating interni di base sino al metodo IRB avanzato) in relazione alle specificità operative, organizzative e ambientali. Figura 4.2: Distribuzione delle perdite per insolvenza Fonte: BCBS (2005) Note: L’UL può essere definita come la differenza tra la massima perdita potenzialmente calcolata sulla base di un determinato livello di confidenza (Value at Risk, VaR) e l’EL; entrambi riferiti a un determinato arco temporale. L’area annerita invece rappresenta la probabilità che le perdite non solo siano maggiori di EL ma anche di UL e di conseguenza indica la probabilità che la banca non sia in grado di adempiere alle sue obbligazioni. In sintesi, se l’EL è adeguatamente coperta dal pricing del credito e da accantonamenti a riserva e il patrimonio regolamentare corrisponde all’UL allora la probabilità che sull’orizzonte temporale di riferimento la banca rimarrà solvente è pari all’intervallo di confidenza. b) Secondo pilastro: processo di controllo prudenziale (o supervisory review process) In base al secondo pilastro le banche devono essere dotate di un patrimonio coerente con il proprio profilo complessivo di rischio; l’attività di supervisione è affidata alle Autorità di Vigilanza. Infatti, è possibile scomporre il secondo pilastro in due fasi: - processo interno di determinazione dell’adeguatezza patrimoniale (Internal Capital Adequacy Assessment Process, ICAAP): la banca esegue una sorta di autovalutazione dell’adeguatezza patrimoniale sulla base delle proprie metodologie interne di gestione del rischio; - processo di revisione e valutazione prudenziale (Supervisory Review and Evaluation Process, SREP): di competenza dell’Autorità di Vigilanza la quale riesamina l’ICAAP controllando se il patrimonio della banca è commisurato al suo profilo di rischio complessivo e alla sua strategia; ove necessario attiva misure correttive108. Il processo di controllo prudenziale riguarda tutti i rischi rilevanti e, quindi, anche quelli non coperti dal primo pilastro (ad esempio: concentrazione dei crediti, rischio di tasso di interesse per il trading book, rischio di business ecc.) e, per tale ragione, la banca è tenuta a detenere 108 Si completa in questo modo il processo evolutivo che ha caratterizzato la funzione di vigilanza bancaria nell’ultimo quarto di secolo, il cui ruolo di è trasformato da quello di fissare regole e principi di comportamento vincolanti, a quello di controllare l’applicazione delle linee operative e metodologiche fissate in ambito internazionale, garantendo circa la loro corretta implementazione in seno alle singole realtà bancarie (Iacopozzi, 2009). 83 capitale aggiuntivo. In tal modo Basilea 2 promuove lo sviluppo di migliori tecniche di risk management che siano in linea con il profilo di rischio della banca e con il contesto operativo in cui opera. c) Terzo pilastro: disciplina di mercato Lo scopo del terzo pilastro è il miglioramento della disciplina di mercato ossia garantire una maggiore trasparenza e comunicazione al pubblico di una serie di informazioni rilevanti che permettano ai partecipanti al mercato di valutare l’adeguatezza patrimoniale di ogni banca col fine ultimo di incoraggiare le banche a mantenere un livello adeguato di capitale. Pertanto Basilea 2 prevede una gamma di informazioni qualitative e quantitative che le banche devono divulgare al fine di consentire una valutazione adeguata delle condizioni finanziarie e reddituali delle banche nonché di garantire la comparabilità delle informazioni tra intermediari diversi. Il terzo pilastro è molto importante soprattutto perché Basilea 2 lascia ampia discrezionalità nella determinazione dei requisiti patrimoniali a quelle banche che adottano i modelli interni di valutazione. Le Autorità di Vigilanza dispongono di una gamma di strumenti, che vanno dalla moral suasion alle penalità, per incoraggiare e garantire la disclosure. 4.3 La disciplina delle operazioni di cartolarizzazione secondo Basilea 2 Considerata la rapidità con cui il mercato delle cartolarizzazioni è cresciuto alla fine degli anni Novanta il Comitato di Basilea ha riconosciuto l’importanza di tale strumento per il comparto bancario prevedendo nel Nuovo Accordo una disciplina specifica per le operazioni di cartolarizzazione, circa i requisiti patrimoniali, il controllo prudenziale e la disciplina di mercato. Ciò è coerente con gli obiettivi del Nuovo Accordo di adeguare i requisiti minimi patrimoniali delle banche ai cambiamenti intervenuti nel sistema finanziario grazie all’innovazione finanziaria e di limitare le possibilità di arbitraggio regolamentare. La mancanza di un trattamento riservato alla cartolarizzazione in Basilea 1 aveva, infatti, incentivato molte banche a cartolarizzare attivi di buona qualità (basso rendimento) e a trattenere gli attivi più rischiosi (alto rendimento) dal momento che il requisito patrimoniale non sarebbe variato. In assenza, quindi, di un articolato trattamento delle cartolarizzazioni le banche avrebbero continuato, attraverso alcune operazioni di securitisation, a mantenere una dotazione patrimoniale inferiore a quella commisurata ai rischi in cui esse incorrono. Lo schema di regolamentazione delle cartolarizzazioni è frutto di un lungo lavoro (iniziato nel 1999 e concluso nel 2004) comprendente la pubblicazione di documenti ai fini di consultazione, colloqui con gli operatori del settore e studi di impatto (Quantitative Impact Studies, QIS) (vd. Figura 4.3). Il Nuovo Accordo introduce un importante principio per le operazioni di cartolarizzazione in base al quale l’applicazione del trattamento prudenziale del rischio di credito deve essere dettata dal contesto economico della transazione e non dalla forma giuridica. In questo modo lo schema per le operazioni di cartolarizzazione si estende a tutte le operazioni analoghe che presentano caratteristiche comuni alle securitisation tradizionali o sintetiche. Inoltre, uno dei principali obiettivi che lo schema di regolamentazione per le operazioni di cartolarizzazione si prefigge di raggiungere è la neutralità tra i coefficienti patrimoniali applicati a un pool di 84 attività non cartolarizzato e quelli applicati alle esposizioni derivanti dalla cartolarizzazione del medesimo portafoglio. Figura 4.3: L’evoluzione dello schema di regolamentazione delle cartolarizzazioni Fonte: Jobst (2005) Tale obiettivo si basa sul principio che la cartolarizzazione non cambia l’ammontare del rischio riferito al pool di attività perciò il requisito patrimoniale calcolato per il portafoglio di attività deve essere uguale allo stesso calcolato per l’intera struttura di cartolarizzazione. In un mondo in cui vige questa neutralità le scelte in merito alle operazioni di cartolarizzazione non sono dettate da ragioni di tipo regolamentare bensì da una convenienza di tipo economico. Tuttavia il conseguimento della neutralità perfetta è un’impresa ardua minata da vari fattori (ad esempio imperfezioni nella stima interna del rischio degli asset sottostanti e nella determinazione dei rating ecc.) che comportano una certa disparità tra il capital charge sul pool di asset e quello totale risultante dalla struttura di cartolarizzazione 109. I paragrafi successivi saranno dedicati all’esposizione dello schema di calcolo dei requisiti patrimoniali minimi (primo pilastro) a fronte del rischio di credito per le posizioni derivanti da cartolarizzazione nel banking book110, del processo di controllo prudenziale (secondo pilastro) 111 e della disciplina di mercato (terzo pilastro) 112. L’esposizione si basa sul documento “Convergenza internazionale della misurazione del capitale e dei coefficienti patrimoniali - Nuovo schema di regolamentazione” del Comitato di Basilea per la vigilanza 109 Sul tema FitchRatings ha condotto uno studio confrontando il capital charge totale per un pool di attivi in bilancio con il capital charge totale per la cartolarizzazione dei medesimi asset ipotizzando che la banca trattenga tutte le tranche emesse (si veda Drilling Down Into the Basel II Securitisation Charges in FitchRatings 2009b). 110 BCBS, 2006, Parte 2, Sezione IV Rischio di credito – Schema per le operazioni di cartolarizzazione. 111 BCBS, 2006, Parte 3, Sezione V Processo di controllo prudenziale per la cartolarizzazione. 112 BCBS, 2006, Parte 4, Sezione II, Tabella 9 Cartolarizzazioni: informazioni relative ai metodi standardizzato e IRB. 85 bancaria di Giugno 2006; le revisioni e le proposte di aggiornamento al Nuovo Accordo alla luce della crisi del 2007 saranno prese in considerazione separatamente nel paragrafo 4.5. 4.3.1 Primo pilastro: ambito di applicazione e regole generali Basilea 2, allo scopo di tenere in considerazione la crescente innovazione nelle tecniche di cartolarizzazione, applica il principio di prevalenza della sostanza economica sulla forma giuridica in base al quale il trattamento ai fini prudenziali deve essere determinato in base non tanto alla forma giuridica quanto alla sostanza economica della transazione. Per questo motivo le banche devono osservare le disposizioni in materia di cartolarizzazione per determinare i requisiti patrimoniali sulle esposizioni derivanti da: - cartolarizzazioni tradizionali o sintetiche per le quali sia previsto la segmentazione del profilo di rischio di credito (struttura con almeno due differenti posizioni di rischio o tranche stratificate che riflettono differenti livelli di rischiosità); - operazioni analoghe che presentino caratteristiche comuni a entrambe le tipologie. Si tratta di operazioni che, in base alla prevalenza della sostanza economica sulla forma giuridica, devono essere trattate alla stregua delle operazioni di cartolarizzazioni (classiche e/o sintetiche). L’Accordo, inoltre, prevede l’esistenza di cartolarizzazioni “virtuali”, basate sulla copertura per tranche (tranched cover), alle quali, a fini regolamentari, si applicano le stesse regole delle cartolarizzazioni tradizionali e sintetiche. Si definisce copertura per tranche un’operazione in cui una banca trasferisce parte del rischio di un’esposizione in una o più tranche a uno o più fornitori di protezione, accollandosi essa stessa una quota di rischio, e le due parti (quella trasferita e quella mantenuta) hanno un diverso grado di prelazione (BCBS, 2006, paragrafo 199). Invece, coerentemente con la specificazione della segmentazione del profilo di rischio, non rientrano nello schema della cartolarizzazione le operazioni ricomprese nelle categorie dello Specialised Lending (ad esempio il Project Finance) per le quali non vi è il ricorso al tranching. Le esposizioni derivanti da cartolarizzazione possono includere: detenzione di ABS, forme di supporto al credito, linee di liquidità, swap di tasso di interesse o di valuta, derivati su crediti, tranched cover, acquisto di tranche subordinate e i conti di riserva. La regolamentazione prevede un trattamento specifico dell’esposizione creditizia distinto in relazione al ruolo che gli intermediari vigilati assumono nell’ambito di un’operazione di securitisation. In particolare, Basilea 2 contempla i casi in cui le banche partecipano a un programma di cartolarizzazione in qualità di originator, investitori, credit enhancer, sponsor 113 o partecipano a programmi di ABCP come gestori, consulenti o collocatori dei titoli. In base all’applicazione del primo pilastro del Nuovo Accordo le banche devono detenere capitale regolamentare a fronte di tutte le loro esposizioni derivanti da cartolarizzazione. Basilea 2 riconosce che la cartolarizzazione comporta, per sua stessa natura, il trasferimento a terzi della proprietà e/o del rischio associato alle esposizioni creditizie; di conseguenza il calcolo dei requisiti patrimoniali si basa sull’entità del rischio che rimane o viene trasferito nella/alla banca. 113 Il trattamento della banca sponsor viene equiparato a quello della banca originator (Giannotti, 2004). 86 Alla banca originator è consentita la facoltà di escludere le esposizioni cartolarizzate dal calcolo delle attività ponderate per il rischio purché siano soddisfatte simultaneamente una serie di condizioni applicabili sia al metodo standardizzato sia al metodo IRB (BCBS, 2006, paragrafo 554): a) trasferimento significativo del rischio di credito a terzi; b) le attività cedute sono giuridicamente isolate dal cedente in modo che le esposizioni siano poste al di fuori del suo potere di intervento o di quello dei suoi creditori, anche in caso di fallimento o di altre procedute concorsuali. Sulla base di quanto esposto nei capitoli precedenti questa condizione può essere soddisfatta dalla realizzazione della true sale; c) l’originator non detiene un il controllo effettivo o indiretto sulle esposizioni trasferite114; d) i titoli emessi non sono obbligazioni del cedente, quindi i sottoscrittori di ABS possono vantare diritti unicamente sul portafoglio cartolarizzato; e) il cessionario è uno SPV e i titolari dei diritti relativi a detta entità hanno la facoltà di impegnarli o scambiarli senza restrizioni; f) l’esercizio della clean-up call115 da parte dell’originator è facoltativo, la clausola non è strutturata in modo da evitare l’allocazione delle perdite destinate ad essere assorbite da garanzie addizionali o da posizioni detenute dagli investitori, o in altro modo concepita allo scopo di fornire supporto al credito infine, la clausola si attiva solo quando il valore del portafoglio originario scende al di sotto del 10% 116; g) non sono presenti clausole che: (i) obbligano l’originator a modificare sistematicamente la composizione del portafoglio sottostante al fine di migliorarne la qualità; (ii) aumentano la posizione di first loss trattenuta o il credit enhancement a carico dell’originator dopo l’avvio dell’operazione; (iii) aumentano il reddito pagabile a parti diverse dall’originator a seguito di deterioramento della qualità creditizia del portafoglio sottostante. In base ai suddetti requisiti l’originator, per poter escludere le attività cartolarizzate dal calcolo del coefficiente patrimoniale, deve strutturare l’operazione in modo tale da escludere categoricamente ogni forma di intervento a sostegno dell’operazione stessa. Le condizioni imposte dal Nuovo Accordo mirano, infatti, ad accertare l’isolamento effettivo dell’originator dal rischio di credito riferito alle attività cartolarizzate e ad evitare che esso possa assumere obblighi (direttamente o indirettamente) nei confronti degli investitori in ABS attraverso i suoi rapporti con lo SPV. Per quanto concerne, invece, le cartolarizzazioni sintetiche l’uso delle tecniche di attenuazione del rischio di credito (credit risk mitigation, CRM) per la copertura dell’esposizione sottostante può essere riconosciuto ai fini patrimoniali solo se vengono 114 Il mantenimento da parte del cedente dei diritti inerenti al servicing non costituirà necessariamente una forma di controllo indiretto sulle esposizioni. 115 Una clean-up call è un’opzione che consente di chiudere anticipatamente le esposizioni derivanti da cartolarizzazione prima che tutte le esposizioni sottostanti o quelle derivanti da cartolarizzazione siano state rimborsate (BCBS, 2006, paragrafo 545) 116 Ove venga accertato che l’esercizio di una clausola di clean-up call sia stato utilizzato come una forma di protezione creditizia, esso sarà considerato una forma di supporto implicito fornito dalla banca e, come tale, la banca dovrà assicurare un’apposita dotazione patrimoniale a fronte di tutte le esposizioni associate a tale operazione come se non fossero state cartolarizzate. 87 soddisfatti i seguenti requisiti operativi (le condizioni a) e f) per le cartolarizzazioni tradizionali sono valide anche per le synthetic securitisation) (BCBS, 2006, paragrafo 555): a) gli strumenti di CRM devono rispettare i criteri minimi di documentazione legale contenuti nella sezione II.D (in sostanza i CRM riconosciuti sono le garanzie reali, le garanzie personali e i derivati su crediti); b) le garanzie reali rientrino in quelle indicate ai paragrafi 145-146. Sono riconosciute anche le garanzie prestate dallo SPV; c) i garanti rientrino in quelli indicati al paragrafo 195. Le banche non possono riconoscere lo SPV come garanti ammessi nello schema per la cartolarizzazione; d) gli strumenti usati per trasferire il rischio non devono prevedere termini o condizioni che limitino l’ammontare trasferito; e) esistenza di un parere legale che attesti l’efficacia giuridica dei contratti in tutte le giurisdizioni pertinenti. Passando al calcolo del requisito patrimoniale esso si fonda sul principio che il rischio di credito non possa essere eliminato con un’operazione di cartolarizzazione, ma soltanto trasferito, ed è pertanto necessario individuare la banca che subisce il rischio delle prime perdite del portafoglio ceduto, in veste di originator, investitore o sponsor. Il rischio di credito originato da un’esposizione derivante da cartolarizzazione è determinato da due fattori: - il rischio di credito incorporato negli attivi oggetto di cartolarizzazione; - il rischio di credito determinato dalle modalità di distribuzione del rischio adoperate dalla struttura dell’operazione. Il primo è riconducibile alla natura dei titoli emessi, mentre il secondo alla natura delle forme di supporto al credito previste. Coerentemente con quanto stabilito dal Nuovo Accordo per il calcolo dei requisiti patrimoniali a fronte del rischio di credito anche la misurazione del capital charge collegato a esposizioni da cartolarizzazione avviene applicando due approcci alternativi (vd. Figura 4.4): - l’approccio standardizzato (SA): basato sull’utilizzo di rating esterni assegnati da agenzie specializzate (ECAI) riconosciute dall’Autorità nazionale di vigilanza 117; - l’approccio basato sui rating interni (IRB): il quale a sua volta si articola su tre diverse metodologie: - l’approccio Rating Based (RBA): basato sui rating, applicabile ogni qual volta esista, o è possibile desumere, un rating 118; - l’approccio della Supervisory Formula (SFA): applicabile alle tranche prive di rating, permette di calcolare i requisiti usando la formula fornita dal Nuovo Accordo; - l’approccio Internal Assessment (IAA): basato sulle valutazioni interne alla banca della qualità creditizia, è applicabile alle esposizioni derivanti da 117 I rating esterni per poter essere utilizzati ai fini della ponderazione del rischio devono rispettare i requisiti operativi espressi nel Nuovo Accordo al paragrafo 565. La disciplina della cartolarizzazione prevede un’eccezione per quanto riguarda i criteri di idoneità che devono possedere le ECAI: una valutazione creditizia è ritenuta idonea se è disponibile al pubblico in una forma accessibile. Di conseguenza, le valutazioni comunicate unicamente alle parti coinvolte in una transazione non soddisfano questo requisito. 118 I rating esterni per poter essere utilizzati ai fini della ponderazione del rischio devono rispettare i requisiti operativi espressi nel Nuovo Accordo al paragrafo 565. 88 cartolarizzazione assunte nell’ambito dei programmi ABCP. Il processo interno di valutazione del merito creditizio deve soddisfare un’ampia serie di requisiti operativi fissati dal Comitato. La scelta del metodo è oggettiva dal momento che dipende dal metodo applicato al portafoglio sottostante pertanto, il metodo SA è applicato dalle banche che utilizzano il metodo standard per misurare i requisiti minimi relativi al rischio di credito delle tipologie di attivo cartolarizzate, il metodo IRB, invece, deve essere utilizzato dalle banche che applicano il metodo dei rating interni per la tipologia di attivi sottostanti oggetto di cartolarizzazione. Nel caso in cui una banca debba dedurre dal patrimonio di vigilanza un’esposizione derivante da cartolarizzazione la deduzione dovrà essere imputata al 50% al patrimonio di base (Tier 1) e al 50% al patrimonio supplementare (Tier 2). Figura 4.4: I metodi per il calcolo dei requisiti patrimoniali da esposizioni derivanti da cartolarizzazione in Basilea 2 Fonte: La Torre (2004) 4.3.2 Primo pilastro: l’approccio standard (SA) Le banche che applicano il metodo standard per la stima del rischio di credito dell’esposizione sottostante devono utilizzare il metodo standard relativo alla disciplina sulle cartolarizzazioni, che si fonda sul merito di credito espresso dalle agenzie specializzate (Giannotti, 2004). Le esposizioni derivanti da cartolarizzazione prive di rating devono essere dedotte dal patrimonio di vigilanza salvo i tre casi, esposti in seguito, per i quali si applica un trattamento specifico. Qui di seguito verrà presentato il trattamento riservato alle esposizioni in bilancio, alle esposizioni fuori bilancio, alle CRM e, infine, saranno prese in rassegna le eccezioni alle regole generali. Esposizioni in bilancio (on balance) derivanti da cartolarizzazione Le attività ponderate per il rischio relative a un’esposizione in bilancio derivante da cartolarizzazione sono calcolate moltiplicando l’ammontare nozionale della posizione per il corrispondente fattore di ponderazione determinato in funzione del rating esterno della posizione stessa. In sostanza, si applica la formula (4.1) dove W S è la ponderazione di rischio appropriata al rating esterno attribuito all’esposizione. APRS E *WS 89 I fattori di ponderazione da utilizzare per il calcolo di APR S sono riportati in Tabella 4.1 distinti per categoria di rating a lungo o a breve termine. Come è intuibile le ponderazioni aumentano al diminuire del rating al fine di riflettere la maggiore rischiosità. Tabella 4.1: Fattori di ponderazione nel metodo standard Categoria di rating a lungo termine Rating esterno da AAA ad AA- da A+ ad A- da BBB+ a BBB- Fattori di ponderazione 20% 50% 100% da BB+ a BB350% (investitore) Deduzione (originator) B+ e inferiore o senza rating Deduzione Categoria di rating a breve termine Rating esterno A-1/P-1 A-2/P-2 A-3/P-3 Altri rating oppure senza rating Fattori di ponderazione 20% 50% 100% Deduzione Fonte: BCBS (2006, paragrafo 567) Esposizioni fuori bilancio (off balance) derivanti da cartolarizzazione Per le esposizioni off-balance sheet derivanti da cartolarizzazione affinché la banca possa utilizzare la formula (4.1) deve applicare alle esposizioni stesse un fattore di conversione creditizia (FCC) e quindi ponderare per il rischio l’ammontare di “equivalente creditizio” risultante. (4.4) APREFB EFB * FCC *WS dove: EFB = esposizioni fuori bilancio FCC = fattore di conversione creditizia EFB*FCC = equivalente creditizio I fattori di conversione creditizia FCC costituiscono uno strumento che permette di stimare il valore on-balance sheet di un’esposizione fuori bilancio; valori di FCC bassi sono assegnate a quelle esposizioni off-balance sheet considerate meno rischiose. Ai fini dei requisiti patrimoniali le banche devono determinare se un’esposizione fuori bilancio connessa con una cartolarizzazione abbia o meno le caratteristiche di “linea di liquidità ammessa” o di advance facility per cassa da parte del servicer. Tutte le altre esposizioni fuori bilancio della stessa natura ma considerate non ammissibili da Basilea 2 riceveranno un FCC del 100%. Nel caso in cui siano soddisfatti i requisiti 119 che individuano una linea di liquidità ammessa (eligible liquidity facility) la banca potrà applicare all’ammontare della linea di liquidità un FCC del 20%, se la durata originaria è inferiore o pari ad un anno, altrimenti, se la durata è superiore, si applica un FCC del 50%. Tuttavia, se si utilizza un rating esterno per la determinazione del fattore di ponderazione, si applicherà un FCC del 100%. Per le linee di liquidità ammesse e per le quali non sia possibile ricorrere a un rating esterno per individuare il coefficiente di ponderazione, la ponderazione di rischio da applicare all’equivalente 119 Per i requisiti minimi che individuano le linee di liquidità ammesse si veda BCBS, 2006, paragrafo 578. 90 creditizio coincide con quella più elevata assegnata a una qualunque delle singole esposizioni sottostanti coperte dalla linea di liquidità. L’applicazione di un FCC inferiore al 100% opera anche in presenza di linee di liquidità che risultano disponibili solo in caso di una generale turbativa dei mercati (ad esempio più SPV non sono in grado di rinnovare le commercial paper in scadenza per ragioni non legate al deterioramento delle attività sottostanti) e che soddisfano i requisiti minimi richiesti dal Nuovo Accordo. In tal caso le banche possono applicare un FCC pari allo 0%. Tra le funzioni riservate al servicer rientra anche la fornitura di anticipazioni di liquidità qualora sia necessario per assicurare il corretto pagamento degli investitori in ABS. Le advance facility del servicer accordate che risultano revocabili incondizionatamente e senza preavviso possono beneficiare di un fattore di conversione dello 0% se il servicer ha titolo al pieno rimborso e in via prioritaria rispetto agli altri diritti sui flussi di cassa del portafoglio sottostante. Infine, nel caso di esposizioni sovrapposte (linee di credito per le quali l’utilizzo di una preclude in parte l’utilizzo di una linea alternativa) offerte dalla medesima banca quest’ultima non è tenuta a detenere una dotazione patrimoniale aggiuntiva a fronte della sovrapposizione. Quando le linee di credito sovrapposte sono soggette a diversi FCC, la banca deve attribuire la parte sovrapposta alla linea con il fattore di conversione più alto. Trattamento della CRM per le esposizioni derivanti da cartolarizzazione Per CRM si intendono: - le garanzie reali (come ad esempio: depositi in contante, oro, strumenti di capitale, titoli di debito dotati di livello di rating minimo ecc.); - i derivati su crediti; - le garanzie personali; - netting delle poste in bilancio. Per i derivati su crediti e per le garanzie personali sono riconosciuti dall’Accordo come garanti idonei a fornire protezione: soggetti sovrani, banche, altri enti con rating pari o superiore ad A- ecc. (vd. paragrafo 195). Le banche diverse dall’originator che offrono una protezione creditizia a un’esposizione derivante da cartolarizzazione devono calcolare il requisito patrimoniale sull’esposizione coperta utilizzando le regole dettate per le banche investitrici 120. La situazione in cui sia l’originator stesso a fornire supporto al credito non è contemplata. La forma tipica di supporto al credito fornito dall’originator è la sottoscrizione di una quota delle tranche subordinate; in tal caso si applicano le regole previste per la detenzione di esposizioni on balance derivanti da cartolarizzazione. Nel caso in cui l’originator dovesse prestare supporti al credito alternativi alla detenzione di ABS, sembrerebbe desumersi che, per la posizione garantita, il trattamento prudenziale debba corrispondere a quello previsto nel caso in cui si detenessero in portafoglio i titoli della tranche per la quota corrispondente all’esposizione garantita (La Torre, 2004). Qualora le garanzie personali o i derivati su crediti soddisfino i requisiti operativi minimi specificati nei paragrafi 189-194, le banche possono tener conto di tale protezione creditizia nel calcolo dei requisiti patrimoniali sulle esposizioni derivanti da cartolarizzazione. Accanto alle regole generali appena descritte si affiancano alcune eccezioni che riguardano specifiche esposizioni: 120 Il supporto al credito si configura come un’esposizione fuori bilancio e quindi è soggetto a un FCC del 100%. 91 a) Esposizioni prive di rating con il più alto grado di prelazione: la banca che detiene o garantisce esposizioni prive di rating con il più alto grado di priorità nel rimborso (senior) può determinare il fattore di ponderazione applicando l’approccio lookthrough, a condizione che sia nota in ogni momento la composizione del portafoglio sottostante. L’approccio look-through prevede l’applicazione di un fattore di ponderazione medio delle esposizioni sottostanti; se la banca non è in grado di determinare tale fattore allora la posizione priva di rating deve essere dedotta dal patrimonio di vigilanza. In pratica, il trattamento look-through considera la sottoscrizione di ABS come un investimento indiretto nelle attività sottostanti: il rischio per l’investitore non è legato all’insolvenza dell’emittente ma alla performance del portafoglio sottostante. b) Esposizioni in seconda perdita o in posizione migliore nei programmi ABCP. Le banche a fronte di esposizioni prive di rating provenienti da programmi di ABCP (linee di credito) che soddisfino le seguenti condizioni: - l’esposizione è in seconda perdita o in posizione migliore; - la posizione prima perdita fornisce un’adeguata protezione creditizia alla seconda perdita; - il rischio di credito associato è almeno equivalente all’investment grade; - la banca che detiene l’esposizione priva di rating non detenga o assuma a vario titolo la posizione in first loss. possono applicare un fattore di ponderazione pari al massimo tra 100% o quello maggiore, in assoluto, assegnato a una qualunque delle singole esposizioni sottostanti coperte dalla linea di liquidità. c) Clausole di rimborso anticipato (early amortization provisions121): la banca originator che cede attività con natura rotativa 122 in una struttura che prevede clausole di ammortamento anticipato deve detenere una dotazione di capitale a fronte delle ragioni di credito totali o parziali vantate dagli investitori (ossia, a fronte sia dell’esposizione per cassa utilizzata sia dei margini disponibili relativi alle esposizioni derivanti da cartolarizzazione). In tal caso, il requisito patrimoniale dell’originator per le ragioni di credito degli investitori è pari al prodotto di tre fattori: l’ammontare nozionale delle ragioni di credito dell’investitore, il FCC e il fattore di ponderazione applicabile al tipo di esposizione sottostante come se non fosse stata cartolarizzata. In ogni modo il requisito patrimoniale non potrà essere superiore al maggiore tra due valori dati dal requisito per le esposizioni assunte in relazione alla cartolarizzazione e il requisito che si applicherebbe se l’underlying portfolio non fosse stato cartolarizzato. La determinazione dei FCC differisce a seconda che - l’ammortamento anticipato sia controllato 123 o non controllato; 121 L’ammortamento anticipato (o early amortisation) è un meccanismo che, una volta attivato, consente all’investitore di ottenere il pagamento del debito prima della scadenza originariamente stabilita per i titoli emessi. Ai fini del calcolo dei requisiti patrimoniali una clausola di ammortamento anticipato può essere considerata come “controllata” o “non controllata”. 122 Per natura rotativa (revolving) si intende che il debitore ha la facoltà di variare l’ammontare utilizzato e i rimborsi all’interno di un limite concordato nell’ambito di una linea creditizia (ad esempio attivi con natura revolving sono: esposizioni a fronte di carte di credito e impegni a erogare prestiti aziendali). 123 Il Nuovo Accordo al paragrafo 548 definisce le condizioni necessarie affinché una clausola di ammortamento anticipato possa essere definita controllata. Una clausola che non soddisfa i requisiti richiesti è considerata non controllata. 92 - il portafoglio cartolarizzato comprenda linee di credito revocabili (ad esempio carte di credito), ossia quando può essere annullata incondizionatamente e senza preavviso da parte della banca, di altro tipo (ad esempio linee aziendali rotative). Il meccanismo per il calcolo del requisito patrimoniale, in entrambi i casi, prevede che l’excess spread medio trimestrale venga comparato con il livello al quale la banca è tenuta da contratto a bloccare l’excess spread (trapping point124). Nel caso in cui l’operazione non preveda il blocco dell’excess spread il trappin point è fissato al 4,5%. Per determinare gli FCC nel caso di ammortamento anticipato controllato occorre dividere l’excess spread medio trimestrale per il trapping point dell’operazione; in questo modo sarà utilizzato l’FCC corrispondente all’intervallo in cui ricade il valore del rapporto (vd. BCBS, 2006, paragrafo 599). Questo meccanismo è valido per tutte le esposizioni retail revocabili mentre per le altre esposizioni (quelle non revocabili e quelle non al dettaglio) saranno soggette a un FCC del 90%. Il meccanismo di calcolo in caso di operazioni soggette ad ammortamento anticipato non controllato è il medesimo ma in tal caso si applicano gli FCC previsti al paragrafo 604 del Nuovo Accordo. Tutte le esposizioni rotative cartolarizzate non revocabili e tutte quelle non al dettaglio con meccanismi di ammortamento anticipato non controllato sono soggette a un FCC del 100%. In sintesi, Basilea 2, per catturare il rischio che entri in azione una clausola di rimborso anticipato prevista nell’operazione di cartolarizzazione, richiede alle banche di detenere una quota maggiore di capitale regolamentare man mano che l’excess spread diminuisce. Infatti un excess spread che diminuisce, se comparato con il trapping point, richiede dei fattori di conversione (FCC) via via maggiori. d) Clausole di clean up call: le operazioni di cartolarizzazione tradizionali che comprendono una clausola di clean up call che non rispetti tutte le condizioni elencate al paragrafo 557 del Nuovo Accordo innescano un trattamento altamente prudenziale; infatti le esposizioni sottostanti devono essere trattate come se non fossero state cartolarizzate. 4.3.3 Primo pilastro: l’approccio basato sui rating interni (IRB) L’adozione del metodo IRB per il calcolo del capitale regolamentare da detenere a fronte di esposizioni relative a operazioni di cartolarizzazione è consentito alle banche che utilizzano tale metodo per il calcolo dei requisiti patrimoniali a fronte del rischio di credito relativo agli attivi compresi nel pool cartolarizzato. Il metodo IRB si articola su tre differenti metodologie: - Approccio basato sui rating (Rating Based Approach, RBA); - Formula Prudenziale (Supervisory Formula Approach, SF); - Approccio della valutazione interna (Internal Assessment Approach, IAA). In via prioritaria l’approccio RBA dovrà essere applicato alle esposizioni dotate di rating esterno o per quali può essere desunto; qualora non siano disponibili si dovrà applicare la 124 I meccanismi di trapping dell’excess spread sono specifiche previsioni contrattuali – normalmente introdotte nella priorità dei pagamenti delle operazioni – che inibiscono al veicolo la remunerazione o il pagamento di controparti che hanno un livello di seniority più basso rispetto ai portatori dei titoli con rating. 93 formula prudenziale (SF) o il metodo IAA. Il metodo IAA è disponibile unicamente per le esposizioni connesse a programmi ABCP. Le esposizioni derivanti da cartolarizzazione per le quali non sia possibile applicare nessuno di questi metodi dovranno essere dedotte dal patrimonio di vigilanza. In base a questa gerarchia degli approcci il Comitato ha deciso di dare la prevalenza al rating esterno (quando esiste). a) L’approccio Rating Based (RBA) Il metodo RBA si applica alle esposizioni derivanti da cartolarizzazione dotate di rating esterno o per le quali può essere desunta una valutazione analoga 125. In questo caso il Comitato di Basilea ha disposto che il calcolo dei requisiti di capitale a fronte del rischio di credito collegato alle esposizioni da cartolarizzazioni dovrà basarsi su rating esterni anche per le banche più sofisticate ossia quelle idonee all’uso di modelli IRB. Il calcolo delle attività ponderate per il rischio si basa sulla formula (4.1) con l’unico accorgimento di applicare i fattori di ponderazione (W RBA) fissati dal Comitato per il metodo RBA (vd. Tabella 4.2). APRRBA E *WRBA I fattori di ponderazione (W RBA) dipendono dal: - livello del rating esterno (o desunto); - riferimento temporale dei rating (breve o lungo termine); - frazionamento del portafoglio sottostante (granularity, N); - grado di priorità nel rimborso dell’esposizione. Sebbene il meccanismo di calcolo delle attività ponderate per il rischio sia sostanzialmente identico a quello presentato per l’approccio standard, nel metodo RBA i fattori di ponderazione in corrispondenza dei vari rating sono calibrati diversamente. Le banche possono applicare i fattori di ponderazione per le posizioni senior (vd. Tabella 6 seconda colonna) che, per valutazioni creditizie elevate, comportano un minor assorbimento di capitale se126: - il numero effettivo delle esposizioni sottostanti (N) è uguale o superiore a 6. N è calcolato per mezzo della formula seguente: ( EADi )2 (4.5) N i 2 EADi i - dove EADi (exposure at default) è l’esposizione al momento dell’inadempienza associata con l’i-esimo strumento in portafoglio. Le esposizioni multiple nei confronti dello stesso debitore devono essere consolidate ossia trattate come un unico strumento. la posizione è senior quando gode del più alto grado di priorità sull’intero ammontare delle attività del portafoglio cartolarizzato. In questo modo è considerata senior la tranche dotata del rating più elevato o la prima ad essere rimborsata in base alla cash flow waterfall applicata nell’operazione o, ancora, la tranche super senior in una securitisation sintetica. Se in un’emissione vengono collocate più tranche con rating 125 Il rating desunto deve essere attribuito a una posizione priva di rating purché siano rispettati vari requisiti operativi (vd. paragrafo 618, BCBS, 2006). Il rispetto di questi requisiti assicura che la posizione priva di rating goda, sotto ogni aspetto, di una prelazione maggiore di quella di un’esposizione derivante da cartolarizzazione cui è stato assegnato un rating esterno – esposizione di riferimento (Giannotti, 2004). 126 Le condizioni elencate si applicano sia per i rating a breve termine sia per quelli a lungo termine. 94 AAA solo la tranche che per prima riceve i flussi di pagamento (most senior tranche) è idonea per l’applicazione del fattore di ponderazione più basso (7%) tra quelli disponibili per il metodo RBA. Nel caso in cui N sia inferiore a 6, si applicano le ponderazioni di rischio della quarta colonna della Tabella 4.2; in tutti gli altri casi si applicano i fattori di ponderazione di base riportati nella terza colonna. Tabella 4.2: Fattori di ponderazione nel metodo Rating Based Categoria di rating esterno (o desunto) a lungo termine Ponderazioni per posizioni senior ed esposizioni senior idonee per l'IAA Ponderazioni di base Ponderazioni per tranche relative a portafogli non diversificati AAA AA A+ A 7% 8% 10% 12% 12% 15% 18% 20% 20% 25% 35% 35% ABBB+ BBB BBB- 20% 35% 60% 100% 35% 50% 75% 100% 35% 50% 75% 100% 250% 425% 650% deduzione 250% 425% 650% deduzione 250% 425% 650% deduzione Rating esterno BB+ BB BB< BB- e senza rating Categoria di rating esterno (o desunto) a breve termine Rating esterno A-1/P-1 A-2/P-2 A-3/P-3 Altri rating/senza rating Ponderazioni per posizioni senior ed esposizioni senior idonee per l'IAA Ponderazioni di base Ponderazioni per tranche relative a portafogli non diversificati 7% 12% 60% deduzione 12% 20% 75% deduzione 20% 35% 75% deduzione Fonte: BCBS (2006) Qualora non siano disponibili rating esterni o non possa essere desunta una valutazione (quindi non è possibile utilizzare il metodo RBA) si dovrà applicare il metodo della valutazione interna (IAA) o la Supervisory Formula (SF). b) L’approccio della valutazione interna (IAA) Il metodo IAA è applicabile unicamente alle esposizioni derivanti dalla partecipazione a programmi di ABCP (linee di liquidità, supporto al credito o altre esposizioni) di cui non si dispone di rating esterni o non è possibile ricavare una valutazione desunta. Il metodo si fonda sulle valutazioni in merito allo standing creditizio delle esposizioni derivanti da operazioni in ABCP interne alle banche, purché il processo interno di valutazione soddisfi una serie di 95 requisiti. Per questo motivo, affinché una banca possa applicare il metodo IAA, il processo di valutazione interna deve basarsi su criteri stabiliti da una ECAI, ad ogni valutazione interna deve corrispondere un livello di rating esterno, le valutazioni interne devono essere costantemente monitorate nel corso del tempo da parte della banca ecc. I requisiti appena descritti sono stati forniti a titolo di esempio, Basilea 2 al paragrafo 620 richiede la rispondenza del processo interno di valutazione a una corposa lista di requisiti operativi. Per tale ragione, appare chiara l’intenzione del Comitato di Basilea di ridurre al minimo la possibilità di utilizzare l’approccio IAA circoscrivendo l’applicazione del metodo a casi ben specifici. La banca una volta giunta alla determinazione della valutazione interna delle esposizioni assunte nell’ambito di programmi ABCP deve convertire tali valutazioni sulla base dei corrispondenti livelli di rating esterni elaborati da una ECAI i quali sono utilizzati per determinare i fattori di ponderazione (nel metodo RBA) allo scopo di calcolare le attività ponderate per il rischio. Le Autorità di Vigilanza possono vietare l’applicazione del metodo della valutazione interna qualora lo ritengano inadeguato ai fini del corretto calcolo del requisito patrimoniale; in tal caso la banca applicherà la Supervisory Formula (SF), se possibile, oppure la deduzione dal capitale. c) L’approccio della formula prudenziale (SF) L’approccio della Supervisory Formula consente il calcolo della ponderazione da applicare a posizioni di cartolarizzazione prive di rating per le banche che adottano il metodo IRB. Il metodo SF permette di determinare il requisito patrimoniale in funzione delle caratteristiche dell’underlying portfolio e della struttura delle tranche e, nello specifico, il calcolo del patrimonio di vigilanza si basa sul capitale che una banca dovrebbe accantonare a fronte delle attività cartolarizzate se queste fossero tenute in bilancio (K IRB). La Supervisory Formula richiede cinque input: - KIRB: requisito patrimoniale, espresso in forma decimale, calcolato secondo il metodo IRB previsto per il rischio di credito come se le esposizioni sottostanti non fossero state cartolarizzate. È pari al rapporto tra: il requisito patrimoniale, calcolato secondo il metodo IRB (compresa anche la perdita attesa 127), sulle esposizioni sottostanti incluse nel portafoglio e l’ammontare delle esposizioni in portafoglio che è stato cartolarizzato. Per calcolare il KIRB serve la valutazione interna della probabilità di default (PD) e la LGD per ogni asset sottostante compreso nel portafoglio. requisito patrimoniale IRB calcolato sulle esposizioni sottostanti in portafoglio (4.6) ammontare delle esposizioni in portafoglio - Il numeratore del rapporto deve essere calcolato come se le esposizioni sottostanti fossero detenute direttamente dalla banca e deve tenere conto degli effetti di tutte le forme di CRM applicate alle esposizioni sottostanti; L: livello di supporto al credito o livello di credit enhancement. L è definito dal rapporto tra l’ammontare di tutte le esposizioni derivanti da cartolarizzazione 127 Se per le esposizioni “tradizionali”, il patrimonio di vigilanza è inteso a coprire solo le perdite inattese (UL), per le cartolarizzazioni i requisiti calcolati con il metodo SFA servono a coprire sia le perdite attese (EL) sia quelle inattese (UL) (Giaccherini et al., 2008). 96 subordinate a quella oggetto di valutazione e l’ammontare delle esposizioni in portafoglio; è anch’esso espresso in forma decimale. ammontare di tutte le esposizioni subordinate alla tranche in questione ammontare delle esposizioni in portafoglio - Le banche devono calcolare L a prescindere dagli effetti di forme di sostegno del credito che favoriscono specifiche tranche; T (thickness): spessore dell’esposizione/tranche. T è dato dal rapporto tra l’ammontare nominale della tranche oggetto di valutazione e il totale delle esposizioni nel portafoglio cartolarizzato. È palese che L+T = 1. ammontare nominale della tranche in questione ammontare delle esposizioni in portafoglio - - (4.7) (4.8) N: numero effettivo delle esposizioni in portafoglio calcolato in base alla formula (4.5). Nel caso in cui il portafoglio sia composto da poche grandi esposizioni (portafoglio non granulare) allora N sarà inferiore rispetto al numero di esposizioni comprese nel pool in modo da riflettere il rischio di concentrazione; LGD media ponderata del portafoglio: LGD * EAD LGD EAD i i i (4.9) i i In questo contesto la LGD ha la mera funzione di catturare la variabilità potenziale tra i vari valori della LGD delle diverse esposizioni comprese nel pool. Il requisito patrimoniale IRB della tranche è determinato moltiplicando l’ammontare delle esposizioni cartolarizzate per il valore maggiore tra: - 0,0056*T - (S[L+T] - S[L]) Il calcolo del requisito IRB della tranche è dato dall’applicazione della seguente formula: ammontare delle esposizioni cartolarizzate*MAX(0,0056*T; S[L+T]-S[L]) tranche capital charge MAX (0,0056*T ; S[ L T ] S[ L]) dove la funzione S[.] rappresenta la formula prudenziale ed è definita dalla seguente espressione: (4.10) dove: 97 τ e ω sono parametri determinati dalle Autorità di Vigilanza e sono pari a: τ = 1000 e ω = 20. In queste espressioni Beta[L; a, b] identifica la distribuzione cumulativa Beta con parametri a e b. Per una descrizione dei suddetti parametri si veda la Tabella 4.3. Tabella 4.3: Descrizione dei parametri del metodo SF Parametro Descrizione h Esprime la probabilità che tutti gli asset contemporaneamente sopravvivano dopo un anno, date condizioni economiche sfavorevoli corrispondenti al 99,9esimo percentile della distribuzione128. c Esprime la media della distribuzione condizionata delle perdite. v f Esprime la varianza della distribuzione condizionata delle perdite. Nella formula 0,25 esprime il fattore scalare129. È un’approssimazione della varianza della beta fitting function. Il primo termine tende a prevalere per pool composti da pochi asset; al contrario il secondo è dominante per portafoglio granulari. g È un parametro di precisione della distribuzione Beta il cui valore dipende essenzialmente da (c) e da (f). a È il primo parametro che definisce la distribuzione Beta. b È il secondo parametro che definisce la distribuzione Beta. τ È un parametro che permette di graduare il grado di violazione della regola strict loss prioritization (SLP). Per τ ∞ la regola SLP è valida. Per τ 0 le perdite sono distribuite con uguale probabilità tra tutte le tranche. Il valore di τ è fisso ed è pari a 1000 e crea uno scenario intermedio tra i due casi estremi. Fonte: FitchRatings (2009a) La Supervisory Formula è il risultato della combinazione di un modello teorico e di interventi regolamentari che hanno lo scopo di colmare le lacune del modello. 128 Per le cartolarizzazioni che riguardano crediti retail potrà essere applicata la SF utilizzando le semplificazioni h=0 e v=0 (previo controllo dell’Autorità di Vigilanza). 129 Idem. 98 Il modello teorico approssima la distribuzione delle perdite da rischio di credito a una distribuzione Beta basata sulle caratteristiche del portafoglio sottostante e, in base ad esse, giunge al calcolo della probabilità che un certo livello di perdite, corrispondente al livello di credit enhancement (L) della specifica tranche, sia raggiunto. Il modello teorico da cui deriva la SF è il cosiddetto modello ULP (uncertainty in losses prioritization) di Gordy e Jones (2002) che a sua volta generalizza la regola SLP (strict losses priorization) di Pykhtin e Dev (2002). Il modello SLP, parsimonioso e semplice, assume che le perdite sul pool di asset cartolarizzato siano allocate deterministicamente; in sostanza sia L sia T sono noti agli operatori di mercato e ogni tranche emessa assorbe le perdite che superano il livello di L fino a concorrenza dell’ammontare espresso da T. Prendendo come punto di partenza la regola SLP, il modello ULP aggiunge elementi stocastici alla distribuzione delle perdite tra le varie tranche per tenere conto dell’incertezza che circonda l’allocazione dei flussi finanziari del pool, essendo questi governati dalla struttura dei pagamenti specifica alle diverse operazioni 130. Per tale ragione possono realizzarsi delle divergenze rispetto alla regola SLP poiché, a causa della complessità che generalmente governa la cascata dei pagamenti, risulta impossibile conoscere con certezza il livello di protezione goduto da ogni tranche. A titolo di esempio tali discrepanze possono derivare da: - circostanze in cui le tranche subordinate hanno il diritto di ricevere pagamenti prima che i sottoscrittori della tranche senior siano interamente rimborsati; - dal fatto che durante la durata dell’operazione di cartolarizzazione il livello di credit enhancement (L) sottovaluta la capacità delle tranche più subordinate di assorbire le perdite nella misura in cui il loro tasso di rendimento è maggiore del tasso di interesse degli attivi compresi nel pool cartolarizzato. Riassumendo la regola ULP di Gordy e Jones aggiunge una nuova fonte di rischio che riflette il gap potenziale tra il design delle tranche, in termini di seniority e spessore, e la loro vulnerabilità alle perdite. Il Comitato di Basilea ha apportato dei correttivi (i cosiddetti supervisory overrides) al modello ULP puro per colmare alcune lacune; in primis ha introdotto il requisito patrimoniale del 100% (dollar-for-dollar) quando L è inferiore o uguale a K IRB inoltre ha previsto un floor al capital charge pari a 56 bp (che equivale a un fattore di ponderazione del 7%) da applicare al valore delle tranche (espresso da T) più sicure al fine di garantire requisiti patrimoniali superiori a zero. Lo scopo della Supervisory Formula consiste nel calcolo del requisito patrimoniale, a fronte di esposizioni di cartolarizzazione prive di rating, altamente sensibile al rischio assunto dalla banca. È evidente che la SF è complessa ed altamente sensibile a piccole variazioni nei valori degli input, inoltre è di difficile implementazione soprattutto per le banche investitrici che raramente dispongono di informazioni dettagliate sugli asset sottostanti. Così come il metodo SA e il metodo RBA, anche il SFA non considera le categorie di asset presenti nel portafoglio cartolarizzato. Infine, il modello non cattura alcuni elementi della struttura come ad esempio la presenza di swap, conti di riserva, strutture revolving ecc. 130 Sebbene L indichi ex ante il livello di protezione contro le perdite, la protezione effettiva conferita dai diversi livelli di seniority è casuale (Gordy et al, 2002). 99 Le attività ponderate per il rischio generate dall’impiego della formula prudenziale, analogamente a quanto disposto per il metodo IRB, sono calcolate moltiplicando il requisito patrimoniale per 12,5 (ossia il reciproco del coefficiente patrimoniale minimo dell’8%). 4.3.4 Confronto tra approccio standard e approccio basato sui rating interni In questo paragrafo si cercherà di riassumere le principali differenze e analogie che scaturiscono dall’applicazione del metodo SA e del metodo IRB. Pertanto, a tal fine, si riassumono le principali caratteristiche del metodo standard e del metodo RBA. L’approccio standard (SA): - comporta una scarsa differenziazione dei fattori di ponderazione per i vari notch dei rating (ad esempio il fattore di ponderazione del 20% si applica alle esposizioni che hanno rating AAA, AA+, AA, AA-); - scorrendo verso il basso la scala dei rating è possibile notare una notevole differenza (cliff) tra il trattamento riservato alle esposizioni con rating investment grade rispetto a quelle con rating noninvestment grade (ad esempio una banca originator per un’esposizione da cartolarizzazione con rating BB+ deve accantonare patrimonio di vigilanza pari al 100% del valore dell’esposizione mentre per un’esposizione con rating BBB- il patrimonio da detenere è solamente pari all’8%); - Basilea 2 propone un diverso trattamento per le esposizioni con rating inferiore all’investment grade (BBB-) a seconda che la banca sia originator o investitrice. Nel caso in cui la banca sia originator il trattamento applicato è maggiormente penalizzante poiché essa è tenuta a dedurre tutte le esposizioni derivanti da cartolarizzazione mantenute in portafoglio. Nel caso in cui la banca sia investitrice, invece, può riconoscere a fini prudenziali le valutazioni esterne del merito di credito comprese tra BB+ e BB– mentre è tenuta a dedurre quelle con rating inferiore 131. Il meccanismo di calcolo, quindi, tende ad evitare una concentrazione del rischio dell’operazione sulla banca originator; - non vi è nessuna differenziazione dei fattori di ponderazione in base all’asset class; - i fattori di ponderazione sono altamente conservativi. Infatti, basti osservare che in corrispondenza della valutazione AAA, che implica una probabilità di default prossima allo zero, la ponderazione richiesta è del 20% ossia un capital charge dell’1,6%. - dal confronto tra le ponderazioni dell’approccio standard e quelle previste per i crediti corporate emerge un approccio altamente prudenziale per il calcolo dell’assorbimento patrimoniale da esposizioni derivanti da cartolarizzazione. Nello specifico emerge un trattamento penalizzante riservato alle esposizioni derivanti da cartolarizzazione per la fascia di rating al di sotto dell’investment grade132. La ratio di questo trattamento 131 Per esempio, si ipotizzi una cartolarizzazione di 1000 euro la quale prevede l’emissione di cinque tranche di titoli tra cui figura la tranche junior con rating pari a BB+ del valore di 10 euro. Nel caso in cui i titoli in questione venissero sottoscritti dalla banca investitrice il fattore di ponderazione da applicare è di 350% che implica un patrimonio di vigilanza da accantonare pari a 2,8 (10*3,5*0,08). Nel caso in cui i titoli venissero riacquistati dall’originator il patrimonio di vigilanza da accantonare risultereste pari a 10 (l’intero valore della tranche). Da ciò si evince il differente assorbimento di capitale tra la banca originator e quella investitrice pari a 7,2 euro, dovuta alla tranche con rating BB+ (Adamo, 2007). 132 Una banca investitrice che decide di investire in ABS con valutazioni comprese tra BB+ e BB- deve applicare un fattore di ponderazione pari al 350% mentre per investimenti con valutazioni inferiori a BB- o prive di rating deve dedurre le esposizioni. Una banca, invece, che presenta in bilancio crediti verso imprese applica una 100 risiede nella considerazione che in un’operazione di cartolarizzazione le posizioni al di sotto dell’investment grade o prive di rating sono di solito destinate ad assorbire tutte le perdite sul portafoglio sottostante fino ad una certa soglia; di conseguenza a fronte di una concentrazione di rischio maggiore il Nuovo Accordo prevede un innalzamento dei requisiti patrimoniali. Il metodo RBA: - i fattori di ponderazione sono ben differenziati sulla scala dei rating infatti, per la maggior parte dei notch corrisponde un fattore di ponderazione diverso. Tale caratteristica è espressione di una maggiore sensibilità al rischio rispetto al metodo SA; - comparando i fattori di ponderazione per i rating investment grade con quelli speculative grade è presente, anche per il metodo RBA, il medesimo effetto cliff che si era sottolineato per il metodo standard. Tuttavia, i fattori di ponderazione dell’approccio RBA aumentano più gradualmente al peggiorare della valutazione di rating; - rispetto all’approccio SA non è presente nessuna distinzione tra banche originator e banche investitrici; tuttavia i fattori di ponderazione per rating superiori alla valutazione BBB sono differenziati in base alla seniority dell’esposizione derivante da cartolarizzazione nonché in base al frazionamento del portafoglio sottostante espresso dalla granularity (N); - la granularity (N) esprime la concentrazione del portafoglio cartolarizzato 133; per pool granular i fattori di ponderazione, a parità di rating, sono più bassi rispetto a quelli indicati per i pool non diversificati (Tabella 4.2, colonna 3) composti da pochi asset di ammontare elevato; - non è prevista nessuna differenziazione dei fattori di ponderazione in base ai tipi di asset che compongono il portafoglio sottostante la cartolarizzazione. Le banche che adottano il metodo IRB beneficiano di un risparmio di capitale regolamentare rispetto a quelle che applicano il metodo SA infatti, a parità di rating, i coefficienti di ponderazione sono sistematicamente più bassi per il metodo IRB. Tale situazione comporta un trattamento diverso della medesima esposizione derivante da cartolarizzazione a seconda della banca che la detiene134. Come è già stato in parte accennato il metodo RBA è strutturato su una gamma più ampia di ponderazioni e, di conseguenza, conduce a una maggiore differenziazione del merito creditizio. Inoltre, al peggiorare della valutazione creditizia dell’esposizione l’aumento dei fattori di ponderazione è più graduale rispetto al metodo standard. Le suddette peculiarità conducono a una differente dinamica del requisito patrimoniale al verificarsi di migrazioni del rating dell’esposizione detenuta dalla banca. Se ad esempio si verifica un downgrading dell’esposizione derivante da cartolarizzazione da BBB+ a BBB- esso non avrà alcuna implicazione per le banche che applicano il metodo standard - il capital charge rimane invariato all’8% - al contrario, le banche che adottano il metodo IRB dovranno detenere ponderazione del 100% per i crediti con rating tra BB+ e BB-, una ponderazione del 150% per crediti con rating inferiori a BB- e, infine, una ponderazione del 100% per crediti senza rating (vd. paragrafo 66, BCBS, 2006). 133 Un pool è detto a elevata granularità se contiene un elevato numero di posizioni, nessuna della quali contribuisce in misura significativa al rischio totale. 134 È opportuno sottolineare che la disparità di trattamento tra metodo standard e metodo IRB non è tipico dello schema di regolamentazione previsto per la securitisation bensì è una caratteristica propria di Basilea 2. 101 maggiore capitale regolamentare poiché il capital charge raddoppia passando dal 4% all’8%. Simulando, invece, un downgrading dell’esposizione da AA- ad A+ sia le banche che applicano il metodo SA sia quelle che applicano il metodo IRB dovranno accantonare una quota maggiore di patrimonio regolamentare ciò che varia è l’entità dell’aumento: il capital charge per il metodo SA più che raddoppia passando dall’1,6% al 4% mentre per il metodo IRB aumenta in misura minore dall’1,2% all’1,44%. Quindi, la dinamica del capitale regolamentare a fronte di migrazioni di rating varia al variare del rating di partenza e del rating di arrivo. Infine, comune ad entrambi gli approcci è la presenza del cliff effect, ossia di un aumento notevole dei fattori di ponderazione passando dalla categoria di rating investment a quella noninvestment (vd. Figura 4.5). Il cliff effect provoca un aumento significativo del capitale di vigilanza da detenere qualora vi sia una migrazione di rating dall’investment grade al speculative grade e, la presenza di tale effetto, potrebbe spiegare la recente intensificazione dell’attività di repackaging a seguito dei massicci downgrading. Figura 4.5: Il cliff effect 100,00% CLIFF EFFECT Capital charges 80,00% 60,00% 40,00% 20,00% in f B- e + C C C B - B+ BB + BB BB B BBB BB B+ A- BB A A+ AA + AA AA AA A 0,00% Approccio Standard SA (banca investitrice) Approccio IRB (RBA di base) Note: I capital charge sono calcolati moltiplicando i fattori di ponderazione per il rapporto minimo obbligatorio tra patrimonio di vigilanza e attività ponderate per il rischio (8%). L’andamento dei capital charge, compreso il cliff effect, è simile all’andamento della media annua dei tassi di deterioramento di finanza strutturata, infatti anch’essa presenta il medesimo balzo verso l’alto al superamento della soglia dell’investment grade (FitchRatings, 2009a). Per gli istituiti di credito è indispensabile la comprensione del meccanismo di Basilea 2 per le cartolarizzazioni e del suo impatto sul requisito patrimoniale obbligatorio. Tale impatto dipende da più fattori che interagiscono tra di loro e che includono: - il metodo di calcolo del capitale regolamentare adottato (approccio standard versus approccio IRB); - il trattamento prudenziale degli asset che compongono il pool da cartolarizzare versus il trattamento prudenziale delle esposizioni che derivano da cartolarizzazioni; 102 la struttura dell’operazione di cartolarizzazione (tranching, credit enhancement, ecc.); il merito creditizio degli asset cartolarizzati e il livello di concentrazione (granularity) del portafoglio sottostante; - le stime interne alla banca (PD e LGD) riferite agli asset da cartolarizzare; - le condizioni di mercato e la propensione al rischio degli investitori (ad esempio investitori particolarmente avversi al rischio preferiranno strutture di cartolarizzazione semplici). Tuttavia, il vasto numero di fattori che influiscono sull’operazione di cartolarizzazione, l’alta sensibilità dei coefficienti patrimoniali a piccole variazioni del profilo di rischio e la presenza del cliff effect che può condizionare la struttura del tranching rendono indispensabile la valutazione caso per caso dell’impatto di Basilea 2 sulle operazioni di securitisation. - 4.3.5 Secondo pilastro Il processo di controllo prudenziale si basa su quattro principi chiave individuati dal Comitato (BCBS, 2006, Parte 3, Sezione II): - le banche dovrebbero disporre di un procedimento per valutare l’adeguatezza patrimoniale complessiva in rapporto al loro profilo di rischio e di una strategia per il mantenimento dei livelli patrimoniali; - le Autorità di Vigilanza dovrebbero riesaminare e valutare il procedimento interno di determinazione dell’adeguatezza patrimoniale delle banche e le connesse strategie, nonché la loro capacità di monitorarne e assicurarne la conformità con i requisiti patrimoniali obbligatori. Le Autorità di Vigilanza dovrebbero adottare appropriate misure prudenziali qualora non siano soddisfatte dei risultati di tale processo; - le Autorità di Vigilanza auspicano che le banche operino con una dotazione patrimoniale superiore ai coefficienti minimi obbligatori, e dovrebbero avere la facoltà di richiedere alle banche di detenere un patrimonio superiore a quello minimo regolamentare; - le Autorità di Vigilanza dovrebbero cercare di intervenire in una fase precoce per evitare che il patrimonio di una determinata banca scenda al disotto dei livelli minimi compatibili con il suo profilo di rischio, ed esigere l’adozione di pronte misure correttive se la dotazione di patrimonio non viene mantenuta o ripristinata. L’applicazione dei suddetti principi è volta a garantire un’attenta e precisa analisi della situazione di rischio della banca e, di conseguenza, la compatibilità del patrimonio con il profilo di rischio complessivo e con il contesto operativo. Inoltre, i principi fondamentali sono posti a salvaguardia della capacità dell’Autorità di Vigilanza di verificare l’attendibilità delle valutazioni e di adottare, se necessario, misure correttive. Per questi motivi i coefficienti patrimoniali di vigilanza applicati a esposizioni derivanti da cartolarizzazione potrebbero differire da quelli descritti nel primo pilastro, specie nei casi in cui il requisito patrimoniale complessivo non rifletta in modo adeguato e sufficiente i rischi ai quali è esposta una singola banca. Inoltre, i coefficienti patrimoniali obbligatori previsti potrebbero anche non considerare tutte le possibili nuove caratteristiche di un’operazione; per tale ragione le Autorità di Vigilanza possono ricorrere a una serie di requisiti operativi e/o uno specifico trattamento patrimoniale per tenere conto delle innovazioni di mercato (Giannotti, 2004). Il trattamento prudenziale di una banca originator dipende dalla sua esposizione nei confronti del rischio infatti, affinché l’originator possa ottenere un beneficio patrimoniale l’operazione 103 di cartolarizzazione deve assicurare un significativo trasferimento del rischio. Se l’Autorità di Vigilanza ritiene il trasferimento del rischio insufficiente o inesistente, può richiedere l’applicazione di un requisito patrimoniale più elevato di quello prescritto dal primo pilastro o, in alternativa, negare alla banca qualsivoglia sgravio patrimoniale collegato alla cartolarizzazione. Esistono alcune situazioni in cui l’obiettivo di trasferimento del rischio creditizio è compromesso, come ad esempio in caso di riacquisto o di mantenimento di esposizioni significative connesse con la cartolarizzazione, di conseguenza il risparmio patrimoniale ottenibile corrisponderà all’ammontare del rischio di credito effettivamente traslato. In caso di riacquisto di posizioni ai fini di market-making, le Autorità di Vigilanza possono ritenere opportuno solamente il riacquisto di una parte della transazione (e non dell’intera tranche) e aspettarsi che le relative posizioni siano rivendute entro un ragionevole periodo di tempo, rispettando così lo scopo del trasferimento del rischio. Il Comitato di Basilea, nella sezione riservata al processo di controllo prudenziale per la cartolarizzazione135 ha posto l’attenzione su una serie di casi specifici: il supporto implicito, le clausole call e il rimborso anticipato. La concessione di un supporto implicito 136 può sollevare perplessità sull’effettivo trasferimento del rischio di credito. Esempi di supporto implicito sono: l’acquisto di esposizioni al rischio di credito in via di deterioramento dal portafoglio sottostante, la vendita a sconto di esposizioni creditizie al pool di attività cartolarizzate, l’acquisto di esposizioni sottostanti a un prezzo superiore a quello di mercato e l’aumento delle posizioni first loss in base al deterioramento delle esposizioni sottostanti. In pratica, con l’offerta di un sostegno implicito le banche segnalano al mercato che il rischio non è stato trasferito, di conseguenza il calcolo del patrimonio ai fini del primo pilastro sottostima il rischio effettivamente assunto. Qualora venga rilevato dalle Autorità di Vigilanza il rilascio di supporto implicito la banca offerente sarà tenuta a mantenere una dotazione di capitale a fronte di tutte le esposizioni sottostanti associate all’operazione come se queste non fossero state cartolarizzate, inoltre essa dovrà rendere pubblicamente nota l’offerta di un supporto extracontrattuale all’operazione. Scopo di tali prescrizioni è quello di indurre le banche a detenere patrimonio a fronte delle esposizioni sulle quali assumono rischi creditizi e di dissuaderle dal fornire supporti non contrattuali. Nel periodo necessario alle Autorità di Vigilanza per verificare la presenza di un supporto implicito, alla banca può essere negato ogni beneficio patrimoniale connesso con le operazioni programmate di cartolarizzazione (moratoria). L’azione dell’Autorità di Vigilanza ha lo scopo di correggere sia il comportamento della banca in relazione alla fornitura di supporti impliciti, sia la percezione del mercato circa la volontà dell’originator di fornire in futuro forme di sostegno diverse da quelle contrattuali. Le clausole call permettono alla banca originator di chiudere anticipatamente l’operazione e, in riferimento ad esse, le Autorità di Vigilanza si attendono che la banca non faccia uso di questo tipo di clausole qualora esse comportino il sostenimento di perdite o il deterioramento della qualità creditizia delle esposizioni sottostanti. Le Autorità pertanto hanno la facoltà su base discrezionale di verificare, prima che la banca eserciti la clausola call, alcuni aspetti: - i motivi per cui la banca ha deciso di attivare tale clausola; - l’impatto dell’esercizio della clausola sul coefficiente patrimoniale della banca; 135 BCBS, 2006, Parte 3, Sezione V Processo di controllo prudenziale per la cartolarizzazione. Si ha supporto implicito quando una banca fornisce a un’operazione di cartolarizzazione un sostegno che eccede quanto preliminarmente stabilito nella documentazione contrattuale. 136 104 al fine di evitare che l’esercizio della clausola implichi delle perdite sulle esposizioni cartolarizzate. Tuttavia è ritenuto opportuno dalle Autorità di Vigilanza l’utilizzo delle clausole di chiusura anticipata dell’operazione per finalità economiche come ad esempio quando i costi di servicing per le esposizioni creditizie in essere superino i proventi del servicing relativo a quelle sottostanti. Infine, è auspicabile che le date di esercizio fissate per l’attivazione delle clausole non siano antecedenti alla durata media finanziaria o a quella ponderata delle sottostanti esposizioni derivanti da cartolarizzazione; di conseguenza le Autorità di Vigilanza potranno imporre un periodo minimo entro il quale non possono essere fissate date di esercizio. Con specifico riferimento alle cartolarizzazioni revolving le Autorità di Vigilanza dovrebbero verificare le modalità interne adottate dalle banche per la misurazione, il monitoraggio, la gestione dei rischi nonché le procedure di valutazione della probabilità di rimborso anticipato (early amortization) di tali transazioni. Infatti, le banche dovrebbero prevedere: - piani di emergenza per il capitale e la liquidità in caso di rimborso anticipato; - politiche per reagire tempestivamente a variazioni avverse o impreviste; - sistemi per monitorare la probabilità e i rischi di early amortization event idonei rispetto alle dimensioni e alla complessità delle attività di cartolarizzazione. Nel caso in cui le Autorità di vigilanza ritengono inadeguate le politiche impiegate dalla banca adotteranno una serie di misure volte ad aumentare il requisito patrimoniale per la banca stessa. 4.3.6 Terzo pilastro Il terzo pilastro guida il livello di disclosure che le banche vigilate devono assicurare al mercato al fine di integrare i requisiti patrimoniali minimi e il processo di controllo prudenziale con un adeguato flusso di informazioni. Una corretta ed efficiente disciplina di mercato è garantita attraverso l’individuazione di un insieme di requisiti di trasparenza informativa che consentiranno agli operatori di mercato di disporre di informazioni fondamentali in merito a: ambito di applicazione, patrimonio di vigilanza, esposizione ai rischi, processi di valutazione dei rischi e adeguatezza patrimoniale degli intermediari. La disciplina di mercato permette di informare gli operatori in merito all’esposizione ai rischi di una banca e costituisce un forte incentivo alla realizzazione di una gestione bancaria sana e prudente (le banche sono stimolate a detenere in questo modo un livello congruo di capitale). Un completo flusso di informazioni reso al mercato è, peraltro, condizione necessaria per l’utilizzo di certe metodologie o il riconoscimento di particolari strumenti e operazioni. Oggetto di comunicazione deve essere l’insieme delle informazioni ritenute rilevanti, ossia quel complesso di informazioni la cui omissione o errata indicazione può modificare o influenzare i giudizi o le scelte di coloro che su di esso si basano per assumere decisioni di carattere economico. Le banche possono omettere la pubblicazione di informazioni riservate e confidenziali, ossia quelle informazioni (ad esempio su prodotti o sistemi) che, qualora rese note alla concorrenza, rischiano di diminuire il valore dell’investimento di una banca in tali prodotti o sistemi e di indebolire così la sua posizione competitiva. Tali informazioni devono essere sostituite con altre di portata più generale rendendo noti, nel contempo, la decisione e i motivi per cui non sono state pubblicate quelle specifiche notizie. 105 Con riferimento alla disciplina di mercato riservata alle operazioni di cartolarizzazione le banche devono divulgare una serie di informazioni sia qualitative sia quantitative. Le informazioni quantitative riguardano l’ammontare complessivo cartolarizzato dalla banca, l’ammontare delle attività cartoralizzate deteriorate o scadute, le eventuali perdite, i rischi, le esposizioni mantenute o acquistate. Le informazioni qualitative possono, invece, riguardare la segnalazione degli obiettivi specifici perseguiti dalla banca relativamente all’attività di cartolarizzazione, i ruoli svolti dalla banca, una sintesi delle politiche contabili adottate per le attività cartoralizzate (BCBS, 2006, Parte 4, Sezione II; Tabella 9). Le informazioni previste dal terzo pilastro dovrebbero essere prodotte con frequenza semestrale ad eccezione delle informazioni qualitative che offrono una sintesi generale di politiche, obiettivi, sistemi di segnalazione e definizioni in materia di gestione dei rischi di una banca che possono essere pubblicate con cadenza annuale (BCBS, 2006, Parte 4, Sezione II; Tabella 9). Oltre alle suddette informazioni qualitative e quantitative le banche devono fornire altrettante notizie in merito ad altri ambiti come ad esempio la composizione del patrimonio di vigilanza, il rischio di credito, rischio operativo, rischio di mercato ecc. Pertanto, appare chiaro che le informazioni che la banca deve comunicare al mercato sono molto dettagliate allo scopo di aumentare la trasparenza informativa, facilitare il confronto tra diversi istituti bancari da parte degli operatori e contribuire alla sicurezza e alla solidità del sistema bancario. 4.4 Interazione tra rischio di credito e rischio di mercato Nel presente paragrafo si procederà alla presentazione del problema dell’interazione tra il rischio di credito e il rischio di mercato il quale produce dei risvolti dal punto di vista regolamentare ed è strettamente collegato con il tema della securitisation. Tradizionalmente i regulator trattano separatamente il rischio di mercato e il rischio di credito, di conseguenza, essi sono misurati e gestiti distintamente. Tuttavia, lo sviluppo e la diffusione di tecniche di credit risk transfer (CRT) e, da ultimo, la recente crisi finanziaria hanno focalizzato l’attenzione sui collegamenti che possono instaurarsi tra rischio di credito e rischio di mercato e sull’esigenza di approcci che conducano a una valutazione e a una gestione integrata delle due fonti di rischio. Con il termine rischio di credito si intende il rischio di incorrere in perdite causate dall’incapacità del debitore di adempiere ai suoi obblighi di pagamento di interessi e di rimborso del capitale e spesso viene identificato direttamente con la nozione di default (attuale o atteso); per rischio di mercato si intende il rischio per uno strumento finanziario (o asset in bilancio) di subire modifiche di valore a causa di movimenti sfavorevoli dei prezzi di mercato, dei tassi di interesse, dei tassi di cambio o di altre variabili di mercato. Rischio di credito e rischio di mercato sono strettamente collegati l’uno con l’altro. Ad esempio variazioni improvvise del valore di mercato di un’attività detenuta da un’impresa – rischio di mercato – impattano sulla probabilità di default – rischio di credito. Al contrario, se la probabilità di insolvenza associata a un’impresa varia drasticamente – rischio di credito – allora si avranno effetti sul valore di mercato dell’impresa stessa – rischio di mercato. Dagli esempi emerge che variazioni di prezzo degli asset possono condizionare le probabilità di insolvenza e viceversa pertanto il rischio di mercato e di credito sono guidati da driver 106 comuni e si influenzano a vicenda. Le ricerche condotte dal Gruppo IMCR 137 testimoniano l’esistenza di interazioni sia a livello macro - sistema economico nel complesso - sia micro ossia a livello di singola banca e della sua sensibilità ai differenti driver di rischio. Con riferimento al primo aspetto (livello macro) gli studi svelano l’esistenza di una correlazione significativa tra variabili macroeconomiche e i prezzi degli asset; in merito al secondo aspetto (livello micro) hanno dimostrato che il rischio di credito e il rischio di mercato sono influenzati da fattori simili 138. La comprovata esistenza di collegamenti tra rischio di credito e rischio di mercato può far sorgere dubbi circa il trattamento prudenziale riservato a queste tipologie di rischio. Basilea 2, ai fini del calcolo del requisito patrimoniale, tratta il rischio di credito e il rischio di mercato come due fonti di rischio separate. Infatti, nel Nuovo Accordo il Comitato ha definito procedure di calcolo del patrimonio di vigilanza differenziate per il rischio di credito e per il rischio di mercato. Tale separazione è frutto dell’idea dei regulator che il rischio di credito è la fonte di rischio rilevante per il banking book mentre, il rischio di mercato influenza prevalentemente il trading book, di conseguenza lo schema regolamentare riflette l’organizzazione tradizionale di una banca fondata sulla divisione credito e su quella investimenti. In base al primo pilastro, trascurando il rischio operativo, i soggetti vigilati giungono alla determinazione di un requisito patrimoniale a fronte del rischio di credito e uno a fronte del rischio di mercato: (4.11) RCc RCm dove: RCc = capitale regolamentare a fronte del rischio di credito RCm = capitale regolamentare a fronte del rischio di mercato RCc e RC m sono calcolati in base a tecniche di misurazione specifiche, rispettivamente per il rischio di credito e per quello di mercato, e successivamente il requisito patrimoniale totale è calcolato semplicemente sommando RCc e RC m ignorando, in questo modo, l’esistenza di qualsiasi forma di interdipendenza tra i due tipi di rischio e assumendo implicitamente perfetta correlazione tra di essi. È idea comune che la grezza aggregazione delle valutazioni di rischio di credito e di mercato conduca a una stima del rischio totale conservativa. Tale affermazione si basa su due argomentazioni (Breuer et al, 2008): - l’operazione (4.11) trascura gli effetti della diversificazione perciò la valutazione integrata del rischio dell’intero portafoglio sarà minore o, al limite, uguale alla somma dei rischi del banking book e del trading book; - il rischio di credito è rilevante solo per il banking book e il rischio di mercato è rilevante solo per il trading book. Se le due argomentazioni sopra esposte sono valide allora è possibile concludere che la somma dei due capitali regolamentari (RCc e RC m) sarà maggiore o, al massimo, pari alla 137 Si tratta del gruppo deputato allo studio delle interazioni tra rischio di mercato e rischio di credito (Interaction of Market and Credit Risk, IMCR Group) facente parte del centro di ricerca del Basel Committe on Banking and Supervision. Il Gruppo è stato incaricato di condurre ricerche sul tema in relazione alle tecniche di misurazione e gestione dei rischi. 138 Il Gruppo IMCR ha evidenziato una correlazione positiva tra il rischio di un portafoglio di CDS e un portafoglio di azioni della medesima azienda. Tale risultato è supportato anche dalla teoria economica in base alla quale sia i CDS sia le azioni sono entrambi opzioni sull’azienda e, quindi, legati allo stesso fondamentale. 107 misura del rischio totale del portafoglio intero e, conseguentemente, è possibile affermare che Basilea 2 è uno schema prudenziale. Il problema sostanziale della relazione (4.11) è che trascura la possibilità che rischio di credito e rischio di mercato siano legati da una relazione non lineare e per, tale ragione, la (4.11) conduce a misurazioni del rischio distorte. Innanzitutto l’operazione (4.11) ignora eventuali benefici che possono derivare dalla diversificazione tra due tipi di rischio differenti e, in questo senso, sovrastima l’assorbimento patrimoniale. Drehmann et al (2008) hanno studiato l’interazione del rischio di tasso di interesse 139 e rischio di credito nel banking book su un campione composto da banche del Regno Unito. Essi dimostrano come i due tipi di rischi siano intrinsecamente legati da una relazione non lineare. Elevati tassi di interesse comportano, in prima battuta, aumenti delle insolvenze e comprimono il margine netto di interesse della banca. Per spiegare come un aumento dei tassi di interesse possa impattare sul margine netto di interesse si consideri questo semplice esempio: una banca finanzia totalmente un’attività A con passività L dove L=A. Si assuma che A abbia scadenza pari a un anno mentre le passività L devono essere rinnovate su base giornaliera. L è remunerata al tasso risk free r0; A, invece, è remunerata al tasso r0 maggiorato di uno spread pari alla probabilità di default (PD) moltiplicato per la loss-given-default (LGD) ossia (r0+PD*LGD)*A. Ipotizzando un aumento del tasso di interesse risk free del 50% dopo aver fissato il livello di remunerazione per A si avrà una compressione del margine di interesse. Infatti, il tasso di interesse attivo su A rimarrà invariato dal momento che il tasso di interesse rimane fisso fino a scadenza mentre l’interesse pagato su L aumenta in linea con l’aumento del tasso risk free. L’esempio mette in luce la caratteristica peculiare delle banche ossia il mismatch che si crea tra finanziamento a breve termine e concessione del credito a lungo termine che è la fonte centrale del rischio di tasso di interesse nel banking book. Il disallineamento delle scadenze provoca un differente repricing tra attivo e passivo e variazioni nei tassi di interesse impattano più velocemente sugli interessi passivi rispetto a quelli attivi. Tuttavia, l’aumento delle insolvenze e la compressione del margine di interesse sono più che compensati, secondo lo studio di Drehmann et al (2008), dalla capacità della banca di riprezzare gli asset e di scaricare sui prenditori di fondi il maggiore rischio di insolvenza e i maggiori tassi di interesse. Infatti gli autori dimostrano che la capacità della banca di scaricare gli aumenti dei tassi di interesse e le maggiori probabilità di default sui soggetti finanziati è tale da rendere il capitale regolamentare a fronte del rischio di credito e di tasso di interesse minore rispetto al capitale regolamentare calcolato a fronte del solo rischio di credito. Riassumendo, Drehmann et al (2008), testimoniano l’esistenza di un beneficio di diversificazione proveniente dall’interazione dei due tipi di rischi la cui entità dipende dalla struttura del bilancio della banca e dalle politiche di pricing adottate. Quindi, sulla base dei risultati ottenuti, essi giudicano Basilea 2 uno schema regolamentare improntato alla prudenza. L’operazione (4.11), tuttavia, può condurre anche a misurazioni distorte verso il basso ossia sottostimare il requisito patrimoniale totale. Si parla in questo caso di compounding effect cioè una situazione per cui la misurazione integrata del rischio totale è maggiore rispetto alla semplice somma di misurazioni di rischio separate. Breuer et al (2008) fornisce un esempio per cui una valutazione del rischio basata sulla (4.11) sottostima il vero rischio totale. Gli autori utilizzano l’esempio di una banca che effettua finanziamenti in valuta estera a 139 Il rischio di tasso di interesse è quel rischio che si manifesta in variazioni del valore degli asset o strumenti interest-sensitive in seguito a modifiche della struttura per scadenza dei tassi di interesse. 108 prenditori di fondi locali (prestiti in valuta estera 140 o foreign currency loans) per far emergere un possibile effetto moltiplicativo causato dal legame non lineare tra rischio di credito e rischio di mercato. La banca in questione risulterà esposta simultaneamente al rischio di cambio e al rischio di credito. Un rallentamento dell’economia nazionale provoca, ceteris paribus, un aumento della probabilità di insolvenza del debitore. Un deprezzamento della valuta domestica causa, ceteris paribus, un aumento del valore del prestito espresso in valuta nazionale dal momento che è denominato in valuta estera. Il deprezzamento della valuta domestica ha un effetto particolarmente negativo sulla capacità di rimborso del debitore perché l’abilità di ripagare il prestito denominato in valuta estera dipende in modo non lineare dalle variazioni del tasso di cambio. Quindi, in queste situazioni una misura di rischio che prima valuta distintamente rischio di credito e rischio di mercato per poi successivamente aggregare insieme le due valutazioni conduce a sottostime dell’entità reale del rischio. In base alle considerazioni fin qui fatte è possibile affermare che la (4.11) porta a valutazioni del capitale regolamentare non corrette e, in base alle situazioni, sottostima o sovrastima l’effettivo rischio a livello di portafoglio. La semplice somma del requisito patrimoniale per il rischio di credito con quello calcolato per il rischio di mercato fornisce una misura prudenziale del requisito patrimoniale totale solo se si ha la certezza che il portafoglio totale sia perfettamente suddivisibile in due distinti sottoportafogli (uno formato da asset riferibili al solo rischio di credito e uno formato da asset riferibili esclusivamente al rischio di mercato). In presenza di tali condizioni si ha la certezza che il patrimonio calcolato in base alla (4.11) rappresenta una misura conservativa e costituisce il limite massimo del capitale necessario a fare fronte ai rischi. Tuttavia, se la suddivisione in sottoportafogli non è praticabile e rischio di credito e di mercato dipendono in modo simultaneo da determinanti comuni si giunge a una misurazione del rischio totale del portafoglio errata. Data la complessità delle interazioni tra rischio di credito e rischio di mercato i bias che inficiano la valutazione del rischio condotta sulla base della formula (4.11) possono essere superati adottando una tecnica di misurazione del rischio di credito e di mercato integrata. Tuttavia, una valutazione del rischio integrata è ostacolata da una serie di fattori: - i modelli per la stima del rischio di mercato generalmente si basano sull’intera distribuzione dei rendimenti mentre quelli del rischio di credito si focalizzano solamente sulle perdite da insolvenza e sui mancati guadagni; - differenti orizzonti temporali assunti per la stima del rischio; - un sistema integrato pone l’esigenza di un numero rilevanti di dati e di tecnologie avanzate. Il tema della cartolarizzazione è strettamente collegato con il problema posto dal collegamento tra rischio di credito e rischio di mercato dal momento che la funzione principale della cartolarizzazione, sia essa tradizionale sia sintetica, è il trasferimento del rischio di credito dall’originator a terzi soggetti che rende, di fatto, il rischio di credito negoziabile. L’estensivo utilizzo delle tecniche di securitisation ha contribuito ad attirare l’attenzione sulle problematiche poste dall’interazione tra rischio di credito e rischio di mercato perché ha reso necessario la conoscenza del valore attuale degli asset in bilancio per 140 I foreign corrency loan sono simili a operazioni di carry trade in cui un investitore decide di finanziarsi in un paese in cui i costi del finanziamento sono piuttosto bassi per poi utilizzare i fondi presi a prestito per investirli in un paese diverso dove i tassi di rendimento sono alti (Breuer et al, 2008). 109 poterne trasferire il rischio di credito; tale valore attuale dipende a sua volta da un sistema complesso di fattori come ad esempio i tassi di interesse e i tassi di cambio. La crisi finanziaria, inoltre, ha mostrato una nuova dimensione del rischio di liquidità e ha manifestato come tale rischio possa interagire con le altre fattispecie di rischio (credito e mercato). Le condizioni di liquidità interagiscono con il rischio di mercato e con il rischio di credito mediate l’orizzonte temporale entro il quale l’asset può essere liquidato. Nello specifico condizioni di liquidità avverse incentivano le banche ad allungare l’orizzonte temporale entro il quale mettere in atto le strategie di risk management però all’allungarsi dell’orizzonte temporale l’esposizione al rischio complessiva aumenta. La liquidità del mercato primario è fattore cruciale per la buona riuscita della securitisation perché da essa dipende il successo del collocamento dei titoli ABS. Le operazioni di cartolarizzazione quando strutturate in modo appropriato consentono all’originator di raggiungere alcuni benefici riguardanti la gestione dei rischi: - le cartolarizzazioni permettono alle banche una migliore gestione del rischio di credito e l’ottimizzazione del profilo di rischio del proprio attivo; - le cartolarizzazioni permettono alle banche una specializzazione produttiva raggiungendo maggiori livelli di efficienza nelle attività di screening e monitoring dei soggetti finanziati attraverso una condivisione di selezionati rischi con altri operatori di mercato (passaggio dal risk-bearing al risk-sharing). A fronte dei benefici ottenibili le cartolarizzazioni possono comportare l’insorgenza di nuovi rischi a causa dell’errata identificazione dei rischi connessi a queste operazioni e della presenza di incentivi in capo alle banche ad assumere esposizioni eccessivamente rischiose. La crisi finanziaria ha mostrato come la presenza di asimmetrie informative lungo la catena delle cartolarizzazioni e la difficoltà di prezzare correttamente gli strumenti cartolarizzati abbia reso totalmente illiquido il mercato della cartolarizzazione. Infatti, incertezze nella valutazione di strumenti finanziari e i rafforzamenti nel rischio di credito percepito dal mercato hanno avuto un effetto negativo sulla liquidità e hanno azionato una spirale al ribasso tra prezzi di mercato e liquidità di strumenti negoziati. Difficoltà di accesso al mercato della cartolarizzazione espongono le banche a maggiori rischi quali il rischio di insolvenza di alcuni intermediari bancari che non riescono a recuperare fondi sul mercato della securitisation e il rischio di mercato a causa di cambiamenti di valore degli ABS. Per le ragioni sopra esposte è necessario che il sistema di risk management interno alla banca sia consapevole dell’esistenza di una interdipendenza tra diverse fonti di rischio (di mercato, di credito e di liquidità) che impattano sul reddito e sul patrimonio dell’intermediario. Secondariamente, essendo la liquidità del mercato primario uno dei fattori chiave per il successo delle cartolarizzazioni, è necessario che le stesse cartolarizzazioni siano strutturate in modo tale da promuovere la liquidità, ad esempio assicurando una maggiore trasparenza. 4.5 I rafforzamenti a Basilea 2 Lo scoppio della crisi finanziaria ha riacceso il dibattito su temi quali: la stabilità dei mercati finanziari, l’architettura di vigilanza e, infine, ma non da ultimo lo schema di regolamentazione Basilea 2. Proprio in coincidenza con lo scoppio della crisi è ritornato in auge l’intenso dibattito tra mondo accademico, operativo e professionale volto ad individuare quale istituzione, tra mercato e Autorità di Vigilanza, sia più efficiente per la determinazione 110 del livello adeguato di patrimonio degli intermediari bancari 141. Numerose sono state le accuse di economisti e di operatori di mercato indirizzate a Basilea 2 ritenuta una delle maggiori cause della crisi e dei dissesti bancari. Tuttavia, poiché al momento dello scoppio della crisi Basilea 2 non era ancora entrata in vigore 142 appare più sensato chiedersi se si sarebbe potuta evitare la crisi, o se avrebbe avuto un minore impatto se le regole di Basilea 2 fossero già state operative. Tale domanda appare ancora più giustificata se si pensa che l’adozione, in alcuni casi esasperata, delle tecniche di finanza innovativa ha trovato terreno fertile nel perdurare delle regole del precedente Accordo Basilea 1 e che Basilea 2 si proponeva di evitare proprio gli arbitraggi regolamentari realizzati mediante operazioni di secutisation. Inoltre, Basilea 2 avrebbe contrastato la creazione dei SIV (società fuori bilancio) utilizzati per aggirare il precedente schema di regolamentazione e che hanno contribuito alla creazione del cosiddetto “sistema bancario ombra” 143. Tuttavia, la crisi ha messo in luce lacune e debolezze del Nuovo Accordo: a) i requisiti patrimoniali di Basilea 2 determinano una maggiore prociclicità nel sistema finanziario. La prociclicità è quel fenomeno per cui l’attività creditizia delle banche tende a seguire lo stesso andamento del ciclo dell’economia reale. Quindi, ad esempio, in fasi di rallentamento poiché aumentano le insolvenze i requisiti patrimoniali conducono a un aumento del capitale minimo richiesto alle banche il quale, a sua volta, conduce a un razionamento del credito al fine di riequilibrare le proporzioni tra capitale e attività ponderate per il rischio. In caso contrario, in condizioni di crescita economica le banche hanno la possibilità di ampliare l’offerta di credito all’economia. È doveroso sottolineare che la prociclicità è una caratteristica presente in qualsiasi sistema di regolamentazione che impone requisiti patrimoniali minimi; tuttavia in Basilea 2 il problema è accentuato dall’utilizzo dei rating e, nello specifico, dalla frequenza delle migrazioni, siano esse al rialzo o al ribasso 144. Infine, prendendo come riferimento il contesto attuale di crisi, l’implementazione pressoché contemporanea dei principi contabili internazionali (IAS/IFRS), che hanno introdotto per le banche la valutazione al fair-value di alcune poste in bilancio, pare abbia agito da effetto amplificatore della prociclicità; 141 La tesi che afferma la superiorità del mercato deriva da una valutazione ottimistica delle capacità del mercato di determinare il livello adeguato di capitale e nel fornire il giusto mix di incentivi agli intermediari bancari per una corretta valutazione dei rischi; al contrario, la tesi opposta, riconosce la superiorità della regolamentazione nel fissare il livello adeguato di capitale per raggiungere la combinazione ottimale efficienza-stabilità. 142 La prima fase della crisi contraddistinta da un’ondata di vendite circoscritte al segmento dei crediti subprime risale a giugno-luglio 2007. L’Accordo di Basilea 2 è divenuto operativo in Europa nel 2008 (dopo ben dieci anni dalla decisione di sostituire il precedente Accordo del 1988) e per i primi anni è soggetta a un vincolo che le impone di non discostarsi troppo dalle regole precedenti; mentre negli Stati Uniti, fulcro della crisi subprime, la sua implementazione è attesa per il 2010 e sarà comunque limitata a un numero ristretto di banche. 143 In Giappone, dove Basilea 2 era già in vigore, il danno SIV è stato minimo. 144 Sulla prociclicità incide la modalità di attribuzione dei rating. Le due principali metodologie di assegnazione del rating sono denominate point in time e through the cycle. Nel primo caso, il giudizio circa la solvibilità futura di un soggetto è attribuito considerando, oltre alle condizioni economico-finanziarie attuali e prospettiche dello stesso soggetto, le condizioni attuali e prospettiche del ciclo economico. I sistemi di rating point in time sono tipicamente quelli adottati dalle banche, le quali sono interessate a far sì che il giudizio relativo a ogni controparte risenta delle condizioni attuali e previste sia della stessa controparte, sia del settore produttivo nel quale essa opera e del sistema economico in generale. Il ricorso a rating point in time rende il regime di adeguatezza patrimoniale ancora più prociclico di quanto non lo sarebbe se le banche ricorressero a sistemi di rating di tipo through the cycle i quali risultano relativamente immuni dalle variazioni del ciclo economico (Sironi, 2004). 111 b) Basilea 2 non ha contemplato tra le cause centrali di potenziale rischiosità di una banca proprio il rischio di liquidità che, come dimostrato tra il 2007 e il 2009, possiede natura sistemica ossia la sua manifestazione può provocare casi di dissesto congiunto di più banche. La crisi ha difatti ribadito quanto sia cruciale il ruolo della liquidità nella gestione della banca, palesando la valenza di un doppio legame, da un lato quello tra liquidità di mercato e liquidità della raccolta, dall’altro quello tra rischio di liquidità della raccolta e rischio di credito (Iacopozzi, 2009). Basilea 2 a fronte del rischio di liquidità non prevede precisi meccanismi di calcolo del requisito patrimoniale, come al contrario avviene per il rischio di credito, di mercato ed operativo nel Pilastro 1, bensì la valutazione di tale rischio viene rilegata nel Pilastro 2 e rientra nel processo di autovalutazione dei presidi patrimoniali e organizzativi; c) Basilea 2 sembra aver sottostimato il rischio relativo agli strumenti di finanza strutturata che sono il risultato di operazioni di resecuritisation (CDO di ABS). Infatti, i fattori di ponderazione specifici per la cartolarizzazione si applicano sia alle esposizioni derivanti da cartolarizzazione one-layer sia a quelle derivanti da ricartolarizzazioni e, di conseguenza, a fronte di esposizioni del secondo tipo la banca accantona un ammontare di capitale regolamentare inadeguato a fronteggiare il maggior rischio. Tale carenza può essere interpretata, a posteriori, come una sorta di fallimento di Basilea 2 che non ha previsto due schemi di ponderazioni differenziati che riflettessero la maggiore complessità dei CDO di ABS dal momento che, già prima dell’implementazione di Basilea 2, il segmento dei CDO aveva registrato livelli di crescita record raggiungendo dimensioni notevoli; d) Basilea 2 è stata accusata di fare eccessivo affidamento sui rating per la valutazione del rischio di credito soprattutto per quanto riguarda il calcolo del patrimonio di vigilanza da accantonare a fronte degli investimenti in ABS. Le incertezze sul trattamento delle cartolarizzazioni nascono, non tanto dall’utilizzo in sé di rating esterni ai quali corrispondono specifici fattori di ponderazione, bensì dall’affidabilità dei rating quale strumento di valutazione dei rischi associati alle esposizioni derivanti da securitisation. Si tratta di dubbi in merito alla qualità della valutazione e alla sua capacità di catturare in modo efficace la reale esposizione al rischio associato ai prodotti cartolarizzati, emersi in seguito all’ondata di improvvisi e ampi downgrading (o messa sotto osservazione) di centinaia di titoli RMBS e CDO di ABS tra cui alcune tranche con rating AAA (spia che le originarie valutazioni erano troppo benevole o non erano fondate su un’ottica di medio-lungo periodo). Inoltre, la credibilità delle valutazioni viene messa in discussione anche dalle perplessità sull’effettiva indipendenza delle agenzie di rating; perplessità che si intensificano per i rating di finanza strutturata dal momento che le agenzie svolgono un’attività di consulenza e assistono l’originator nelle fasi di strutturazione dell’operazione. Infine, i suddetti limiti risultano ancora più pronunciati per i rating di strumenti complessi di finanza strutturata inficiati dalla disponibilità di serie storiche troppo brevi. È evidente che i dubbi sull’affidabilità dei rating si estendono anche al Nuovo Accordo in cui i rating svolgono un ruolo fondamentale soprattutto per il trattamento delle cartolarizzazioni 145. 145 Peretyatkin e Perraudin (2004) hanno sottoposto a verifica la robustezza dei fattori di ponderazione del metodo RBA. La loro analisi sull’impatto di diverse scadenze, granularità e correlazioni tra default ha evidenziato una sostanziale coerenza tra i requisiti prudenziali e le stime di capitale economico. Giaccherini e Pepe (2008) si pongono come obiettivo il confronto tra i requisiti generati dagli approcci RBA e SFA e il capitale economico che dovrebbe essere accantonato a fronte di esposizioni derivanti da securitisation. Il principale risultato a cui giungono i due autori è che l’RBA non riesce a coprire il rischio economico della maggioranza delle tranche; ossia il capitale economico da loro stimato supera chiaramente i requisiti RBA per 112 Il Comitato di Basilea, inoltre, ha individuato tre conseguenze negative che derivano direttamente dall’eccessiva fiducia posta sui rating esterni dal Nuovo Accordo: - le banche hanno progressivamente trascurato l’attività di valutazione interna dei rischi ; - le agenzie di rating sono state incentivate a produrre valutazioni eccessivamente positive per certe esposizioni, anziché condurre un’analisi accurata e approfondita, dal momento che emittenti, originator e investitori sono maggiormente interessati a rating positivi a cui si associano minori assorbimenti patrimoniali; - la presenza del cliff effect nei coefficienti patrimoniali fissati da Basilea 2 ha incoraggiato le banche a cercare rating superiori all’effetto di cliff. La crisi di fiducia nei rating creditizi ha spinto le tre principali agenzie (Standard and Poor's, Moody's e FitchRatings) a proporre modifiche alle loro modalità operative di attribuzione dei rating mediante l’adozione di criteri più improntati alla prudenza; e) l’approccio sottostante al Nuovo Accordo, adottato in particolare per i modelli interni avanzati, è basato su modelli quantitativi che rischiano di sottovalutare gli eventi di rischio improbabili ma possibili. Si tratta, nello specifico, del limite principale del value-at-risk (VaR) introdotto dal Comitato di Basilea nel Nuovo Accordo come approccio per il calcolo del rischio di mercato nel trading book e del rischio di credito. Infatti, il VaR consente il calcolo della massima perdita potenziale che un portafoglio può subire in un dato orizzonte temporale e con un certo grado di probabilità però non fornisce informazioni in merito alla coda sinistra della distribuzione delle perdite oltre la soglia assunta a livello di confidenza, ossia non prende in considerazione quell’area della distribuzione che entra in gioco proprio quando si manifestano eventi estremi che possono realizzarsi in periodi di crisi; f) Basilea 2 trascura un indicatore cruciale della rischiosità della banca quale il leverage (rapporto tra totale attivo e patrimonio di vigilanza); infatti se da un lato le principali banche negli anni scorsi erano in linea con i requisiti patrimoniali di Basilea 1 e Basilea 2 dall’altro avevano raggiunto livelli di leverage oltremodo elevati 146 arrivando, talora, a presentare attivi di bilancio pari o di poco inferiori al PIL delle proprie nazioni. Negli anni che precedettero lo scoppio della crisi le attività totali delle banche statunitensi sono cresciute molto più velocemente del prodotto lordo, trascinando i profitti bancari a livelli considerevolmente superiori alla media degli ultimi venticinque anni (Onado, 2008). Il problema è che il capitale, a fronte dei considerevoli aumenti delle attività bancarie, non è cresciuto abbastanza rispetto ai rischi effettivi; g) la crisi ha evidenziato la bassa qualità del patrimonio supplementare. Negli anni passati si è assistito al proliferare di emissioni bancarie subordinate di vario genere, inseribili nel patrimonio supplementare; però, per quanto anch’esse partecipino, al verificarsi di determinate condizioni, all’assorbimento delle perdite, è soprattutto il patrimonio di base che costituisce il vero presidio per i depositanti ed il vero baluardo per garantire la solidità. Il Nuovo Accordo lascia sostanzialmente invariata la composizione del patrimonio di vigilanza tutte le tranche esclusa l’equity. Giaccherini e Pepe (2008) propongono di estendere l’esperimento anche ai CDO corporate meno stilizzati e ai CDO di ABS e, nel caso in cui, si giungerà agli stessi risultati sarà opportuno interrogarsi sul rischio che la mappatura di Basilea 2 fra rating e capitale non rappresenti la scelta più giusta e incoraggi, invece, nuove forme di arbitraggio (Giaccherini et al, 2008). 146 “The apparent paradox is that several big universal banks, such as the two major Swiss bank, stand out for having at the same time high financial leverage and high regulatory capital ratios. This inconsistency of the capital strength metrics indicates that capital is not adequate for the risks taken on” (Coletti, 2009). 113 così com’era definita in Basilea 1; sarebbe necessario, invece, rimarcare la maggiore rilevanza del patrimonio di base, in qualità di principale presidio per far fronte a improvvisi cambiamenti di mercato, e riselezionare le voci che compongono il Tier 2; h) Basilea 2 è il frutto di una lunghissima trattativa internazionale che ha portato all’implementazione della nuovo schema regolamentare dopo ben dieci anni dal primo documento. In quegli anni si è di fatto consentita una crescita incontrastata dell’innovazione finanziaria in assenza di innovazione normativa. Oltre al ritardo il problema risiede nel fatto che la trattativa era mossa dalla necessità di non determinare un aggravio di requisito patrimoniale per le banche, anzi, si cercava la soluzione migliore che consentisse un risparmio di patrimonio rispetto a Basilea 1, quand’anche si utilizzasse il metodo standardizzato. È evidente che lo scopo primario della normativa di vigilanza prudenziale, ossia la tutela della stabilità delle banche e del sistema finanziario nel suo complesso, era stato distorto ed aveva assunto una posizione secondaria rispetto all’esigenza di permettere ai soggetti vigilati di espandere il proprio volume di affari. Alla luce delle lacune e delle debolezze dello schema di regolamentazione il Comitato di Basilea ha introdotto nel Luglio 2009 un pacchetto 147 di rafforzamenti al Nuovo Accordo “Enhancements to Basel 2 framework” che coinvolgono i tre pilastri su cui si fonda Basilea 2. Le revisioni al secondo pilastro sono già implementabili da Luglio 2009 mentre le nuove disposizioni che riguardano il primo e il terzo pilastro saranno implementate entro il 31 dicembre 2010. In Dicembre 2009, inoltre, il Comitato di Basilea ha annunciato un pacchetto 148 di proposte consultive che mirano a ridefinire aspetti importanti dell’attuale assetto regolamentare e a porre le condizioni per lo sviluppo di un sistema finanziario più solido e prudente al fine di ridurre la probabilità che si manifesti in futuro una crisi della portata di quella appena verificatesi. Nello specifico, si tratta di proposte di revisione del Nuovo Accordo che portano all’aumento del capitale detenuto ai fini regolamentari e della resistenza del sistema bancario alle crisi. Gli obiettivi perseguiti dalle nuove modifiche apportate a Basilea 2 sono cinque: - miglioramento della qualità del patrimonio di vigilanza al fine di aumentare la capacità delle banche di assorbire le perdite; - rafforzamento dei requisiti patrimoniali a fronte del rischio di controparte; - contenimento del grado di leva finanziaria del sistema mediante l’introduzione di un requisito non ponderato per il rischio (leverage ratio); - riduzione della prociclicità; - rafforzamento dei presidi a fronte del rischio di liquidità. Con la pubblicazione dei documenti di Luglio e Dicembre 2009 il Comitato di Basilea ha dato una risposta forte all’esigenza di rendere il settore finanziario più stabile. 147 Contestualmente ai rafforzamenti a Basilea 2 il Comitato ha introdotto nuove regole, che saranno operative entro la fine del 2010, per il trading book: - Guidelines for computing capital for incremental risk in the trading book; - Revisions to Basel 2 market risk framework. 148 Le nuove regole proposte sono racchiuse in due documenti (consultabili sul sito www.bis.org): - Strengthening the resilience of the banking sector; - International framework for liquidity risk measurement, standards and monitoring. Le nuove regole saranno sottoposte a consultazione, analisi di impatto e calibrazione; l’implementazione è attesa entro il 31 Dicembre 2012 ma, se necessario, saranno previsti periodi di transizione per non ostacolare la ripresa economica. 114 Si ricorda, inoltre, che in Maggio 2009 il Parlamento Europeo ha votato a favore di un emendamento alla Capital Requirements Directive (CRD) che obbligherà gli originator a detenere, a partire dal 2011, una quota di almeno il 5% nei prodotti cartolarizzati destinati alla vendita agli istituti di credito europei. Si tratta di una misura volta ad allineare gli interessi degli originator a quelli degli investitori al fine di ripristinare la fiducia nel mercato delle cartolarizzazioni. Nei paragrafi successivi verranno discussi i cambiamenti apportati dal Comitato di Basilea facendo riferimento al documento “Enhancements to the Basel II framework” del Luglio 2009 il quale si focalizza prettamente sul trattamento delle esposizioni derivanti da cartolarizzazione di cui si è parlato nei paragrafi precedenti. 4.5.1 Primo pilastro Il Comitato di Basilea ha aggiunto un nuovo schema di fattori di ponderazione per l’approccio Rating Based per le resecuritisation (vd. Tabella 4.4). Tabella 4.4: Fattori di ponderazione per l’approccio RBA per le esposizioni derivanti da ricartolarizzazione Esposizioni derivanti da cartolarizzazione Rating esterno (lungo termine) Esposizioni derivanti da ricartolarizzazione Senior, Granular Ponderazioni di base (non-senior, granular) Non-granular Senior Non-senior AAA 7% 12% 20% 20% 30% AA 8% 15% 25% 25% 40% A+ 10% 18% 35% 35% 50% A 12% 20% 35% 40% 65% A- 20% 35% 35% 60% 100% BBB+ 35% 50% 50% 100% 150% BBB 60% 75% 75% 150% 225% BBB- 100% 100% 100% 200% 350% BB+ 250% 250% 250% 300% 500% 425% 500% 650% BB 425% BB< BB- e senza rating 425% 650% 650% 650% 750% 850% deduzione deduzione deduzione deduzione deduzione Esposizioni derivanti da cartolarizzazione Rating esterno (breve termine) Esposizioni derivanti da ricartolarizzazione Senior, Granular Ponderazioni di base (non-senior, granular) Non-granular Senior Non-senior A-1 7% 12% 20% 20% 30% A-2 12% 20% 35% 40% 65% A-3 60% 75% 75% 150% 225% deduzione deduzione deduzione deduzione deduzione Altri rating/senza rating Fonte: BCBS (2009a) 115 Viene pertanto definito il concetto di esposizione derivante da ricartolarizzazione: “a resecuritisation exposure is a securitisation exposure in which the risk associated with an underlying pool of exposures is tranched and at least one of the underlying exposures is a securitisation exposure. In addition, an exposure to one or more resecuritisation exposures is a resecuritisation exposure”. Rientrano, quindi, in questa definizione ad esempio: i CDO di ABS anche se nel portafoglio sottostante è compreso un solo strumento cartolarizzato, strumenti la cui performance dipende da una o più esposizioni ricartolarizzate ecc. Le esposizioni derivanti da resecuritisation di tipo senior, oltre a possedere il livello di seniority più elevato, nel pool sottostante non devono comparire esposizioni che a loro volta derivano da resecuritisation. Nel caso contrario, in cui il portafoglio cartolarizzato contenga esposizioni derivanti da ricartolarizzazione, quella esposizione sarà trattata come non-senior. Per evitare possibili comportamenti opportunistici che mirano all’arbitraggio regolamentare il livello minimo del fattore di ponderazione derivante dall’applicazione della Supervisory Formula per le esposizioni derivanti da resecuritisation viene fissato al 20%. La crisi finanziaria ha mostrato che gli strumenti ricartolarizzati sono maggiormente correlati con il rischio sistematico rispetto ai prodotti derivanti da cartolarizzazioni one-layer; per questo motivo il Comitato di Basilea ha innalzato i requisiti patrimoniali per le esposizioni derivanti da resecuritisation in modo che il patrimonio detenuto ai fini di vigilanza sia più coerente con i rischi assunti (vd. Tabella 4.4). Nello specifico il profilo di rischio di uno strumento ricartolarizzato è non lineare poiché in presenza di condizioni macroeconomiche normali il livello di perdite su questi strumenti è inferiore la media ma in periodi di turbolenza e in corrispondenza di eventi estremi il deterioramento è maggiore rispetto alle normali ABS. Questa caratteristica si traduce in una maggiore perdita inattesa (UL). In presenza di condizioni macroeconomiche avverse default correlati tra i debitori originari raggiungono livelli che superano la protezione offerta dagli strumenti che fungono da collateral di CDO di ABS e di conseguenza conducono a un deterioramento della capital structure dello strumento ricartolarizzato. Detto in altri termini la distribuzione delle perdite di un ABS di CDO se comparata con quella dei debitori originari è meno concentrata e contraddistinta da fat-tail ossia le possibilità di piccole perdite sono minori, a fronte di maggiori possibilità di ampie perdite. La rischiosità dei CDO di ABS aumenta se le tranche sottostanti sono sottili (maggiore LGD). Infatti, a parità di altre condizioni, un reference portfolio composto da tranche di ABS sottili è contraddistinto da un tasso di recupero più basso che aumenta le perdite, soprattutto in periodi di turbolenza, a livello di CDO di ABS. La crisi finanziaria, inoltre, ha evidenziato il diverso comportamento delle obbligazioni corporate rispetto alle tranche di CDO e alle CDO di ABS con medesimo rating che, a sua volta, ha alimentato la crisi di fiducia verso i rating creditizi. Gli avvenimenti recenti hanno mostrato una maggiore vulnerabilità delle tranche di CDO e dei prodotti strutturati a registrare variazioni più ampie nella gamma dei rating (maggiore velocità di deterioramento) in condizioni di mercato estreme; al contrario in presenza di normali condizioni di mercato gli strumenti cartolarizzati sono più stabili. Quindi, a parità di rating, le ragioni di un diverso trattamento delle esposizioni da ricartolarizzazione risiedono nella considerazione che quest’ultime hanno una rischiosità maggiore delle tranche derivanti dalla semplice cartolarizzazione accresciuta dalla maggiore complessità e opacità delle strutture di resecuritisation. Parallelamente i fattori di ponderazione differenziati per le esposizioni da ricartolarizzazione sono stati introdotti anche per l’approccio standardizzato (SA) (vd. Tavella 4.5) 116 Tabella 4.5: Fattori di ponderazione per l’approccio SA per le esposizioni derivanti da ricartolarizzazione Rating (lungo termine) Esposizioni Esposizioni derivanti da derivanti da cartolarizzazione ricartolarizzazione Rating (breve termine) da AAA ad AA- A-1/P-1 20% 40% 50% 100% 100% 225% da A+ ad A- 20% 40% 50% 100% 100% 225% deduzione deduzione A-2/P-2 da BBB+ a BBB- A-3/P-3 Altri rating oppure senza rating da BB+ a BBB+ e inferiore o senza rating Esposizioni Esposizioni derivanti da derivanti da cartolarizzazione ricartolarizzazione 350% 650% deduzione deduzione Fonte: BCBS (2009a) Durante la recente crisi molte banche che avevano concesso linee di liquidità per programmi di ABCP hanno scelto di comprare i titoli emessi dal veicolo piuttosto che lasciare utilizzare le proprie linee di liquidità. Dal momento che i coefficienti di ponderazione dei titoli, però, era basato sul supporto concesso dalla banca stessa le revisioni alla normativa non permettono più l’uso di rating esterni qualora la valutazione fosse almeno in parte dovuta a supporto della banca stessa. Tali titoli saranno pertanto trattati come unrated. Al fine di evitare che le banche vigilate confidino ciecamente nei rating esterni assegnati alle esposizioni derivanti da cartolarizzazione, le revisioni a Basilea 2 permettono l’applicazione degli approcci previsti dal Nuovo Accordo solo a condizione che la banca abbia una conoscenza approfondita e continuativa del profilo di rischio dell’esposizione derivante da cartolarizzazione (sia in bilancio sia off-balance sheet) e degli asset sottostanti. Inoltre, per le esposizioni derivanti da resecuritisation le banche non solo devono possedere informazioni sulle tranche immediatamente sottostanti ma anche sulle caratteristiche e sulle performance degli asset ricartolarizzati. La banca deve quindi poter prontamente accedere alle informazioni in merito alle performance del sottostante; tali informazioni devono includere: il tipo di esposizione, la quota di past due 30, 60, 90 giorni, tassi di default, tassi di estinzione anticipata, credit score medio, ecc. Solo se si comprende pienamente la struttura dell’operazione di cartolarizzazione e le caratteristiche degli attivi sottostanti la banca che detiene l’esposizione è consapevole degli effetti che possono impattare sulla performance dell’esposizione stessa. Quindi, se ad esempio il risk management della banca in fase di misurazione del rischio dell’esposizione derivante da cartolarizzazione nota delle discrepanze rispetto al rating esterno allora sarà necessario considerare la maggiore rischiosità (nell’ambito del secondo pilastro) al quale corrisponderà un accantonamento a patrimonio di vigilanza superiore basato sulle proprie valutazioni interne. Queste nuove indicazioni sono valide sia per il metodo SA sia per quello IRB. Se la banca non adempie alla nuova regola allora dovrà dedurre l’intera esposizione sopportando un capital charge del 100%. La nuova disposizione discende dall’eccessivo affidamento posto sui rating dagli intermediari finanziari nel periodo precedente alla crisi che ha generato falsi sensi di certezza sul valore degli strumenti finanziari anche più complessi. Si tratta di una regola necessaria al fine di evitare la 117 sostituzione di una rigorosa e realistica analisi dei rischi con il semplice giudizio di rating che, semmai, deve fungere da punto di partenza per una successiva e profonda analisi condotta internamente alla banca. La norma, tuttavia, è particolarmente onerosa, soprattutto per le esposizioni derivanti da ricartolarizzazione comporta la raccolta di informazioni relative a centinaia di attivi sottostanti la prima cartolarizzazione, e difficilmente le banche di minori dimensioni dispongono delle capacità necessarie per condurre un’analisi di questo tipo. Sempre sul tema dei rating il Comitato di Basilea nel documento emesso ai fini di consultazione “Strengthening the resilience of the banking sector” propone il rafforzamento dell’eccezione riguardante i requisiti operativi per l’utilizzo delle valutazioni esterne del merito di credito riservata ai rating di esposizioni da cartolarizzazione (paragrafo 565 (d)) in base alla quale erano ritenute idonee solo valutazioni creditizie disponibili al pubblico. Il Comitato rafforza il requisito operativo richiedendo che il rating, per essere considerato idoneo all’utilizzo ai fini del calcolo dell’assorbimento patrimoniale, debba essere, non solo reso pubblico in forma accessibile ed essere utilizzato nella matrice di migrazione della ECAI che lo ha emesso, ma anche l’analisi delle perdite e dei cash flow e la sensibilità della valutazione a variazioni nelle assunzioni sottostanti devono essere disponibili al pubblico in forma non selettiva e gratuitamente (BCBS, 2009c) I rafforzamenti a Basilea 2 dispongono l’eliminazione della differenza tra il fattore di conversione creditizia applicato alle linee di liquidità ammesse con scadenza inferiore all’anno (FCC del 20%) e quello applicato alle linee di liquidità ammesse con scadenza superiore all’anno (FCC del 50%) che aveva lo scopo di riconoscere la minore rischiosità associata a un impegno con scadenza nel breve termine. Le revisioni a Basilea 2, invece, richiedono l’applicazione di un FCC del 50% indipendentemente dalla scadenza della linea di liquidità; se viene utilizzato un rating esterno per determinare il fattore di ponderazione della linea di liquidità dovrà essere applicato un FCC del 100%. L’aumento del FCC per le linee di liquidità a breve termine si traduce in un aumento del requisito patrimoniale giustificato dall’esigenza di scoraggiare le esposizioni nei confronti di conduit off-balance sheet. 4.5.2 Secondo pilastro Si è visto al paragrafo 4.3.5 come il secondo pilastro valorizzi il controllo prudenziale dell’adeguatezza patrimoniale e imponga, alle banche, di valutare la congruità della dotazione patrimoniale in rapporto alla tipologia e al livello dei rischi complessivi sostenuti e, alle Autorità di Vigilanza, di verificare tali valutazioni e assumere le opportune azioni correttive. È palese che il fattore critico per il successo del secondo pilastro è la capacità delle banche di monitorare, misurare e gestire i rischi e di intervenire per mitigare gli effetti della rischiosità sui processi e sulle funzioni aziendali. La crisi finanziaria ha evidenziato carenze e mal funzionamenti nella gestione dei rischi da parte delle banche e ha, di conseguenza, reso tangibile l’esigenza di rinforzare i sistemi di risk management. L’eccessivo entusiasmo e la modernizzazione dei modelli di valutazione ha portato molti a dimenticare che la gestione del rischio, seppur evoluta e sofisticata, può migliorare le capacità di valutarlo e prezzarlo ma non può eliminare i rischi stessi. La crisi, invece, ha rimarcato i limiti degli strumenti di gestione del rischio mostrando la loro inadeguatezza e incapacità di catturare i rischi nonché l’interazione tra di essi. Si pone, quindi, la necessità di migliorare significativamente le capacità valutative e predittive dei sistemi di 118 risk management in modo da garantire una maggiore coerenza tra il buffer di capitale e gli effettivi rischi assunti. È in questa direzione che sono state concepite le modifiche al processo di controllo prudenziale. Il Comitato di Basilea consapevole che un approfondito e globale ICAAP è una componente essenziale per un solido risk management ha introdotto nuove regole che mirano a consentire una migliore identificazione e gestione dei rischi (soprattutto per quanto riguarda le valutazioni interne del rischio). Inoltre, un sano processo di risk management è necessario per sostenere la fiducia delle Autorità di Vigilanza e, più un generale, degli operatori di mercato in merito alle valutazioni interne dei rischi e dell’adeguatezza patrimoniale. Quindi, le modifiche al secondo pilastro sanciscono l’importanza di apportare rafforzamenti ai processi interni di risk management i quali dovranno essere aggiornati alle evoluzioni dell’innovazione finanziaria. In questo contesto la cartolarizzazione è fonte di “insidie” per il risk management poiché, spesso, queste operazioni coinvolgono più linee di business e creano esposizioni a più fattori di rischio al punto che può risultare complesso identificare, misurare e gestire le esposizioni derivanti da questa attività (questa considerazione è particolarmente valida in un contesto di illiquidità del mercato, calo dei prezzi e della propensione al rischio). L'incapacità di identificare correttamente i rischi potrebbe portare la banca ad esporsi a rischi indesiderati che possono comportare perdite altrettanto indesiderate e impreviste. Le modifiche al secondo pilastro riguardano: - controllo dei rischi firm-wide; - temi di risk management: - concentrazione dei rischi; - esposizioni fuori bilancio (focus sulla cartolarizzazione); - rischio reputazionale e supporto implicito; - rischio di liquidità; - pratiche di stress test. Un efficiente sistema di risk management, indispensabile per il successo della banca nel lungo termine, adotta un’ottica firm-wide e comprende tutte le attività, anche le più complesse, dell’intermediario finanziario comprese le operazioni di securitisation e le esposizioni offbalance sheet. Inoltre, il risk management non deve essere focalizzato sui soli rischi di credito, di mercato, di liquidità e operativo bensì deve coinvolgere anche il rischio reputazionale, legale e strategico e, in termini generali, tutti quei rischi che quando interagiscono possono condurre a ingenti perdite. La crisi finanziaria ha indubbiamente mostrato alcune criticità legate alle operazioni di cartolarizzazione esse, infatti, hanno dato origine, oltre ai rischi tipici ad esse collegate, anche a rischi di concentrazione, di mercato, di liquidità, legali e reputazionali che sono stati sottostimati dalle banche. Considerata la vasta gamma di rischi connessi con le esposizioni da cartolarizzazione è quasi inevitabile che il requisito patrimoniale calcolato in base alle regole del primo pilastro sia insufficiente a far fronte alle perdite in cui la banca può incorrere. Per queste ragioni tutti i rischi che non sono catturati dal primo pilastro devono essere considerati nel secondo pilastro e il patrimonio di vigilanza deve essere adeguatamente integrato. Inoltre, le esposizioni derivanti da cartolarizzazione devono essere monitorate su base continuativa anche tramite la raccolta di informazioni aggiornate (dati di mercato e dati provenienti dal trustee o dal servicer). Con riferimento all’eccessivo affidamento sui rating esterni, soprattutto per gli strumenti più complessi, viene ribadito il concetto che tali valutazioni sono un utile 119 punto di partenza ma un’analisi approfondita dei rischi sottostanti all’esposizione non può essere eliminata. Le banche che intendono esporsi al segmento della cartolarizzazione devono, quindi, essere in grado di condurre un’attenta analisi creditizia al momento dell’acquisizione e per l’intera durata dell’esposizione in modo da essere consapevoli dei rischi assunti nonché devono verificare l’impatto che eventi creditizi e trigger event possono avere sulle performance dell’esposizione stessa e sulla liquidità della banca 149. La banca, inoltre, dovrebbe sviluppare dei piani di emergenza in cui trovino specificazione: - gli interventi alle strategie di funding qualora il mercato della cartolarizzazione sia sotto stress e per questo inaccessibile; - quali metodi di valutazione intende utilizzare per strumenti illiquidi detenuti per scopi di trading. Uno degli obiettivi che le revisioni al secondo pilastro si propongono di raggiungere è il rafforzamento della gestione del rischio di concentrazione ovvero il rischio che una qualunque singola esposizione o un gruppo di esposizioni simili (appartenenti allo stesso settore, che esercitano la stessa attività o appartenenti alla medesima zona geografica) siano potenzialmente in grado di produrre: - perdite ingenti (in relazione al capitale, alle attività totali, agli utili e al complessivo livello di rischio) tali da minacciare la solidità di una banca o la sua capacità di proseguire nello svolgimento delle attività principali; - un cambiamento sostanziale del profilo di rischio della banca. La necessità di rivedere le indicazioni per il rischio di concentrazione discende dal fatto che i coefficienti di ponderazione stabiliti da primo pilastro sono progettati in modo tale da essere portfolio invariant150 e quindi insensibili al rischio di concentrazione; rischio che costituisce uno dei driver delle perdite inattese e che è stato sottovalutato nel periodo pre-crisi come testimoniato dalle esposizioni delle banche concentrate nel settore real-estate. Il rischio di concentrazione può essere causato da un’esposizione diretta verso una particolare controparte, da una combinazione di più esposizioni dirette o indirettamente attraverso esposizioni legate agli strumenti cartolarizzati (ABS e CDO). Quindi, sancita l’importanza del rischio di concentrazione, il sistema di risk management della banca deve essere in grado di catturare il rischio di concentrazione sia single-name151 sia settoriale152, a livello di singola banca e a livello di gruppo, adottando una visione prospettica (ipotizzando scenari di condizioni macroeconomiche ordinarie e condizioni di crisi) e deve fissare adeguate strategie di mitigazione del rischio nonché fissare limiti interni al livello di concentrazione. 149 Le cartolarizzazioni sono degli essere viventi, sempre in evoluzione. Il problema non è tanto la correttezza della valutazioni iniziali, quanto la necessità di monitorare le operazioni per verificare quale degli scenari inizialmente previsti avrà la meglio (Pengelly, 2007). 150 I capital charge definiti dal primo pilastro sono calcolati per ciascuna esposizione (asset-by-asset) sia per quanto riguarda il metodo standard sia per il metodo IRB. Per il metodo IRB Basilea 2 fornisce una formula per il calcolo del requisito patrimoniale che presuppone l’indipendenza del capitale stimato per singola esposizione rispetto al portafoglio a cui viene allocato (portfolio invariant) ossia si presuppone un’elevata diversificazione del portafoglio. 151 Per concentrazione single-name si intende la concentrazione che deriva dalla presenza di grandi esposizioni verso una singola controparte o da più esposizioni verso debitori tra loro connessi che determinano un’imperfetta diversificazione del portafoglio e quindi la presenza di un rischio idiosincratico. 152 Per concentrazione settoriale si intende la concentrazione che deriva dalla presenza di più esposizioni verso controparti appartenenti allo stesso settore economico o che esercitano la stessa attività o, infine, provenienti dalla medesima area geografica. 120 La crisi ha posto l’attenzione anche sul rischio reputazionale (e al tema collegato del supporto implicito) che molte banche orginator di operazioni di cartolarizzazione non sono state in grado di valutare. Di conseguenza, molte banche hanno offerto il loro supporto, al di là degli obblighi contrattuali, a SPV reintegrando nel proprio bilancio le attività e passività delle entità off-balance sheet o fornendo loro supporto alla liquidità al fine di limitare il danno reputazionale derivante dal collegamento tra conduit in difficoltà e banca originator. La reputazione può inficiare l’abilità della banca di procurarsi risorse a titolo di capitale e la fiducia del mercato su di essa. È quindi essenziale che le banche dispongano delle capacità necessarie per identificare le fonti di rischio reputazionale, stimando l’ammontare del supporto offerto in condizioni estreme e di capire come il rischio reputazionale può impattare su altri tipi di rischio (di credito, di liquidità, di mercato e operativo). Per quanto riguarda i prodotti di finanza strutturata complessi essi hanno posto serie difficoltà di valutazione soprattutto per la mancanza di mercati liquidi ponendo la necessità di ricorrere a valutazioni mediante modelli matematici. Il valore calcolato in base a tali modelli risulta molto sensibile ai valori degli input e alle assunzioni su cui si basa ed è quindi esposto a errori e incertezze. Per questi motivi ci si aspetta che le banche che decidano di esporsi verso prodotti particolarmente complessi come quelli di finanza strutturata abbiano le procedure adeguate per valutare tali esposizioni correttamente. Inoltre, sarebbe opportuno che le banche producessero un’adeguata documentazione in cui forniscano informazioni in merito ai modelli di valutazione utilizzati. Al fine di limitare errori di valutazione derivanti da imprecisioni negli input le banche dovrebbero massimizzare l’utilizzo di input osservabili, in presenza di mercati attivi, e basarsi, al contrario, su dati non osservabili quando i mercati sono illiquidi. Per far fronte al rischio di liquidità le banche dovrebbero detenere un buon cuscinetto resistente a periodi prolungati di condizioni di mercato avverse e di illiquidità. La liquidità è uno degli elementi fondamentali che misurano la resistenza degli intermediari finanziari a momenti di stress; per questo motivo la banca dovrebbe essere dotata di un buffer di liquidità e di riserve composte da asset altamente liquidi e di buona qualità che la proteggano da periodi di turbolenza. Le banche devono essere in grado di identificare, misurare e controllare il rischio di liquidità soprattutto per quanto riguarda i prodotti più complessi e gli impegni contingenti. Infine, è indispensabile che la banche rafforzino e facciano un maggior uso delle pratiche di stress testing ossia verifiche del comportamento di alcune variabili in presenza di condizioni eccezionali. I sistemi di risk management, quindi, devono incorporare gli stress test, a fronte di una vasta gamma di rischi, che sappiano fornire un’indicazione di quanto capitale è necessario per assorbire le perdite che la banca incorrerà quando gli shock simulati si verificheranno. È cruciale che i modelli di stress testing valutino i potenziali effetti causati da condizioni di rischio particolarmente negative, improbabili ma non impossibili allo scopo di fornire una migliore rappresentazione dei rischi complessivi a cui le banche sono soggette. Una completa valutazione del rischio potrebbe, inoltre, aiutare le banche a indirizzare in maniera più adeguata le opportune azioni di hedging o di trasferimento dei rischi al mercato. Particolarmente rilevanti sono gli stress test per il rischio di liquidità perché, come la crisi ha insegnato, le valutazioni prospettiche della situazioni di liquidità si sono rilevate eccessivamente ottimistiche e per la natura sistemica di tale rischio. 121 4.5.3 Terzo pilastro Le revisioni apportate alla disciplina di mercato si pongono l’obiettivo di migliorare la capacità di investitori e, più in generale, di terzi soggetti di analizzare e misurare il rischio collegato a esposizioni derivanti da cartolarizzazione così come il potenziale rischio di concentrazione che riguarda sia il banking sia il trading book. Basilea 2 prevede pochi requisiti specifici dato che il Comitato di Basilea ritiene che lasciare libertà interpretativa garantisca un livello migliore di disclosure. La flessibilità, a volte, però ha compromesso la comparabilità tra banche per cui sono stati resi più espliciti alcuni requisiti riguardanti le cartolarizzazione (Tabella 9, BCBS, 2009a) che, tra l’altro, ora prevede la separazione tra banking book e trading book. In sintesi il nuovo terzo pilastro per le operazioni di cartolarizzazione impone un rafforzamento della disclosure per quanto riguarda le esposizioni derivanti da cartolarizzazione, i veicoli fuori bilancio collegati all’originator, la metodologia che la banca utilizza per valutare il rischio di credito per esposizioni derivanti da programmi ABCP, una disclosure differenziata e più onerosa per i prodotti di finanza strutturata (CDO di ABS) ecc. A conclusione del paragrafo dedicato agli aggiornamenti apportati alla disciplina sui coefficienti patrimoniali si vuole rimarcare la necessità di un ripensamento delle regole di Basilea 2 alla luce della profondità e ampiezza della crisi che ha scosso i mercati a partire dalla seconda metà del 2007. I rafforzamenti al trattamento regolamentare delle cartolarizzazioni che coinvolgono i tre pilastri su cui Basilea 2 si fonda erano, infatti, indispensabili per aggiornare la disciplina alle recenti vicende nonché ampiamente caldeggiati da più fronti. Tuttavia essi sono stati oggetto di critiche provenienti soprattutto dagli operatori bancari. Una prima critica riguarda l’utilizzo dei rating esterni, di cui il Comitato di Basilea ne riconosce il contributo al progressivo abbandono dell’analisi interna dei rischi da parte delle banche, tuttavia il Nuovo Accordo continua nuovamente a basare estensivamente il calcolo del regulatory capital a fronte di esposizioni derivanti da cartolarizzazione sulle valutazioni esterne. In riferimento a questo primo punto c’è da considerare i seguenti aspetti: - i rating rappresentano una misura del merito creditizio standardizzata, di facile lettura e indipendente in quanto formulata da un terzo soggetto; - i rating erano ampiamente utilizzati dagli operatori nei loro sistemi interni di risk management già prima dell’implementazione di Basilea 2 e, in questo senso, il Nuovo Accordo si è adattato alle procedure in uso dal mercato; - l’eliminazione dei rating dal Nuovo Accordo nel breve-medio termine comporterebbe o il ritorno al precedente Accordo Basilea 1 e quindi la perdita della maggiore sensibilità al rischio del sistema di ponderazioni o, alternativamente, la legittimazione dell’utilizzo delle stime interne di rischio (PD e LGD) per le esposizioni da cartolarizzazione per cui si applica l’approccio IRB. La seconda prospettiva risulta impraticabile a causa della scarsità di serie storiche significative e della mancanza di dati circa la correlazione tra asset e, non da ultimo, la crisi ha ampiamente mostrato il malfunzionamento dei modelli interni alla banca per la valutazione del rischio di posizioni cartolarizzate. Per le suddette ragioni l’eliminazione dei rating dal quadro regolamentare potrebbe aumentare i problemi connessi alla determinazione del regulatory capital piuttosto che risolverli. Inoltre, 122 allo scopo di assicurare l’indipendenza delle agenzie di rating e minimizzare l’insorgenza di conflitti di interesse, il Comitato di Basilea ha espresso la propria volontà di integrare i criteri di idoneità delle ECAI con i dettami contenuti nel “Code of Conduct Fundamentals for Credit Rating Agencies” dell’International Organization of Securities Commissions153 (IOSCO). Lo IOSCO ha riunito nel presente documento principi guida che riguardano l’integrità e la qualità del processo di attribuzione del rating, l’indipendenza delle agenzie di rating, l’evasione dei conflitti di interesse e la trasparenza delle informazioni da comunicare al pubblico. Oggetto di disappunto è stato anche il nuovo impianto di coefficienti di ponderazione specifici per le resecuritisation. Il mercato degli strumenti repackaging è stato duramente colpito dalla crisi finanziaria e la fiducia degli investitori gravemente compromessa; il quadro rende difficile prospettare un futuro per questo tipo di prodotti e i nuovi fattori di ponderazione che conducono a un maggiore assorbimento patrimoniale non aiutano di certo la ripresa del settore e potrebbero essere applicati alle sole esposizioni già esistenti. Inoltre, la decisione di incrementare le ponderazioni in risposta a uno straordinario evento di turbolenza potrebbe essere controproducente nel lungo periodo perché, in questo modo, si incorpora nel sistema inefficienze nell’allocazione del capitale. Secondariamente il maggior assorbimento patrimoniale dovuto alle accresciute ponderazioni per i prodotti di finanza strutturata potrebbe essere amplificato dall’introduzione delle nuove metodologie di attribuzione dei rating orientate alla prudenza154 sviluppate dalle stesse agenzie di rating. Sebbene fosse necessario incentivare una corretta valutazione interna dei rischi connessi alle esposizioni da cartolarizzazione la disposizione di dedurre l’esposizione stessa dal patrimonio di vigilanza quando la due diligence non rispetta i requisiti fissati dal Comitato di Basilea appare troppo severa, soprattutto se ciò non dipende da fattori controllabili dalla banca. La nuova regola potrebbe portare le banche a non esporsi a strumenti cartolarizzati per evitare un trattamento così rigido. È, quindi, in pericolo la ripresa del mercato delle cartolarizzazioni in cui le banche erano uno dei maggiori investitori in ABS. La crisi ha palesato evidenti carenze di valutazione dei rischi, inoltre i rischi che hanno prodotto ingenti perdite sono proprio quelli non considerati esplicitamente dallo schema dei requisiti patrimoniali minimi; sono perciò ben accetti i rafforzamenti al secondo pilastro. Normalmente è il primo pilastro che attira l’attenzione delle banche vigilate perché impatta direttamente sui capital charge è necessario, invece, che anche il secondo pilastro sia considerato ugualmente importante e che la funzione di risk management sia considerata uno strumento quotidiano necessario per assumere decisioni consapevoli e informate. Il Comitato di Basilea consapevole delle ampie criticità emerse in relazione al mercato della cartolarizzazione ha comunicato che sta conducendo una revisione più radicale dello schema regolamentare per le esposizioni da securitisation che potrebbe condurre a una ricalibrazione 153 Lo IOSCO è un’organizzazione internazionale i cui obiettivi principali sono: la tutela degli investitori, la garanzia di mercati equi, efficienti e trasparenti, la preclusione di rischi sistemici, la collaborazione internazionale, lo scambio di informazioni sulle rispettive esperienze e l’elaborazione di standard omogenei per la sorveglianza dei mercati (www.iosco.org). 154 FitchRatings ha studiato l’impatto delle revisioni ai criteri di attribuzione dei rating per i prodotti strutturati sui capital charge e ha sottolineato la presenza di un effetto di double-counting sul requisito patrimoniale. I maggiori coefficienti di ponderazione fissati da Basilea 2 abbinati a una metodologia di attribuzione dei rating ai CDO di ABS più rigorosa e improntata alla prudenza producono un capital charge ampiamente superiore al capital charge calcolato per il portafoglio sottostante di tranche di ABS. La disparità di trattamento potrebbe far insorgere nuove forme di arbitraggio regolamentare data la convenienza a detenere in bilancio tranche di ABS piuttosto che esporsi ai CDO di ABS emessi a seguito di una ricartolarizzazione delle medesime tranche di ABS (FitchRatings, 2009c). 123 dei capital charge derivanti dall’applicazione della Supervisory Formula e del metodo RBA nonché a un ripensamento sulla priorità di applicazione del metodo RBA quando un rating esterno esiste. Ad oggi rimangono comunque alcune preoccupazioni derivanti da pericoli ancora esistenti di arbitraggio regolamentare creati da disomogeneità di trattamento da nazione a nazione. Si pensi infatti che nell’Unione Europea molto diversa è stata, ad esempio, l’interpretazione da parte delle Autorità nazionali delle regole comunitarie sul trasferimento del rischio nelle operazioni di cartolarizzazione. Dal momento che l’attuazione delle direttive è soggetta alla discrezionalità delle Autorità di Vigilanza nazionali gli squilibri che inevitabilmente si creano possono avere ricadute negative come il fenomeno del forum shopping cioè la tendenza degli operatori finanziari a scegliere l’ambiente che meglio si presta allo svolgimento di determinate operazioni finanziarie. È opportuno invece che l’applicazione di Basilea 2 sia il più possibile estesa nel maggior numero di paesi possibili, soprattutto per garantire la stabilità sistemica, e uniforme ossia che l’implementazione delle norme avvenga senza grosse difformità per evitare nuove forme di arbitraggio regolamentare. 124 PARTE 2 IL CASO ITALIANO 125 126 5. Le operazioni di cartolarizzazione in Italia 5.1 Introduzione A partire dall’introduzione della Legge n. 130 del 30 Aprile 1999, la cartolarizzazione in Italia si è diffusa rapidamente tant’è che oggi il mercato italiano della securitisation è uno dei più sviluppati in Europa insieme a quello inglese e spagnolo. Il presente capitolo sarà pertanto dedicato all’analisi del mercato della securitisation italiano nel periodo compreso nel 19992009. L’analisi evidenzierà il percorso di sviluppo seguito dal fenomeno della cartolarizzazione nel nostro paese sottolineandone le caratteristiche peculiari. Si parlerà, inoltre, della legislazione italiana in tema di cartolarizzazione (Legge n. 130/1999) la quale ha colmato la mancanza di una disciplina ad hoc sul tema della cartolarizzazione permettendo, da un lato, il ricorso alla tecnica della securitisation da parte degli operatori nazionali e, dall’altro, potenziando il mercato italiano. Infine, sarà dedicato spazio all’applicazione di Basilea 2 in Italia sottolineando le modifiche intervenute nella regolamentazione internazionale al fine di considerare l’evoluzione nelle metodologie di gestione dei rischi da parte degli intermediari nonché dei nuovi indirizzi e criteri che informano l’attività di supervisione. 5.2 Il mercato italiano della cartolarizzazione L’Italia è oggi uno tra i più importanti mercati europei della cartolarizzazione con volumi complessivi inferiori solo a quelli del Regno Unito. Nel presente paragrafo si procederà, quindi, all’analisi del mercato italiano della cartolarizzazione nel periodo compreso tra il 1999 e il 2009, verrà fornito un confronto tra l’Italia e i principali mercati europei e verranno proposte ipotesi di evoluzione del settore. In Italia si è dovuto attendere la Legge n. 130 del 30 Aprile 1999 "Disposizioni sulla cartolarizzazione dei crediti" affinché fosse possibile articolare un’operazione di cartolarizzazione integralmente nel nostro paese e, per convenzione, viene fatta risalire a tale anno la nascita del mercato della securitisation. Tuttavia, nel periodo antecedente l’emanazione della legge in tema di disposizioni sulla cartolarizzazione dei crediti furono concluse una serie di operazioni di cartolarizzazione strutturate, in tutto o in parte, all’estero ad opera di soggetti italiani. Inoltre, l’art. 13 della Legge n. 448/1998 aveva introdotto l’istituto della cartolarizzazione disciplinando la cessione e cartolarizzazione dei crediti INPS. Nello specifico le operazioni di cartolarizzazione consentite riguardavano i crediti contributivi vantati dall’INPS (inclusi interessi, sanzioni e somme aggiuntive) già maturati o che sarebbero maturati entro il 31 Dicembre 2005 ceduti a titolo oneroso e in massa alla società veicolo (nella forma di Società per Azioni) la quale, a sua volta, finanzia l’acquisto mediante emissione di titoli o contrazione di prestiti che potranno beneficiare, in tutto o in parte, della garanzia dello Stato. Analizzando i volumi di emissione (vd. Figura 5.1), che possono essere considerati la più importante e significativa misura dell’attività di cartolarizzazione in un certo mercato, è possibile notare come a partire dal 2001 essi si assestino su valori piuttosto importanti. Infatti, 127 già alla fine del 2001, il mercato italiano era uno dei più attivi in Europa e si collocava al secondo posto dopo il Regno Unito. Negli anni successivi i volumi di emissione non sono mai scesi al di sotto la soglia dei 30 miliardi di Euro nemmeno nell’anno 2007 caratterizzato dallo scoppio della crisi finanziaria. Le emissioni di titoli obbligazionari a fronte di operazioni di cartolarizzazione si sono leggermente ridotte nel 2006 rispetto all’anno precedente (-12,5%) principalmente a causa dei minori volumi collocati da enti del settore pubblico. Tale andamento è ravvisabile anche dall’analisi dei volumi medi per emissione: aumento costante fino al 2005 e calo nel 2006 (vd. Tabella 5.1, quarta colonna). La dinamica dei volumi di emissione è stata fortemente influenzata dall’andamento delle cartolarizzazioni pubbliche; infatti scorporando le operazioni di securitisation originate da soggetti pubblici il controvalore medio per operazione risulta crescente in tutti gli anni del periodo 1999-2006 (vd. Tabella 5.1, quinta colonna). Figura 5.1: Volumi di emissioni 1999-2009 (milioni di euro) 120.000 103.915 100.000 75.907 € milioni 80.000 60.000 40.000 20.000 33.967 30.606 30.141 35.028 40.804 35.707 34.060 8.521 12.086 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 anni Volumi emessi Fonte: elaborazione propria su dati securitisation.it (2010) Anche il mercato italiano della securitisation, al pari di quello europeo e statunitense, nell’anno 2007 dopo una brillante attività di cartolarizzazione nel primo semestre ha segnato una battuta d’arresto sia in termini di numero di operazioni che in termini di emissioni. Le generali turbolenze sui mercati iniziate nella seconda metà del 2007 hanno causato un calo della domanda di strumenti asset-backed e spinto verso livelli record gli spread sui titoli all’emissione esercitando, in tal modo, un’azione frenante anche sul mercato italiano della cartolarizzazione che ha registrato volumi di emissione pari a 34,06 miliardi di Euro (-4,6% rispetto all’anno precedente). Le difficoltà a collocare sul mercato i titoli emessi dalle società veicolo hanno avuto come conseguenza diretta l’aumento della quota di prestiti ceduti direttamente da banche ad altri intermediari non bancari (18%, contro il 12% nel 2006) ossia una tipologia di operazioni che avviene sulla base di accordi bilaterali tra cedente e cessionario e non ha come fine ultimo l’emissione sui mercati di titoli aventi come attività sottostante i crediti ceduti. Sebbene l’Italia sembri essere estranea al fenomeno dei mutui 128 subprime le generali condizioni di mercato hanno comunque coinvolto il settore della cartolarizzazione nazionale causando il rinvio di molte operazioni programmate per il secondo semestre del 2007. Tabella 5.1: Numero di operazioni e volumi di emissioni (milioni di Euro) Volumi emessi Numero di Volume medio Volume medio operazioni per emissione per emissionea 1999 8.521,00 6 1.420,17 774,20 2000 12.086,00 25 483,44 447,33 2001 33.967,00 59 575,71 481,04 2002 30.606,00 41 746,49 559,95 2003 30.141,00 40 753,53 537,50 2004 35.028,00 39 898,15 739,90 2005 40.804,00 40 1.020,10 920,37 2006 35.707,00 39 915,56 978,50 2007 34.060,00 30 1.135,33 1.251,08 2008 103.915,00 51 2.037,55 2.037,55 2009 75.907,00 49 1.549,12 1.549,12 a volume medio per emissione calcolato scorporando le cartolarizzazioni avviate da soggetti pubblici. Fonte: elaborazione propria su dati securitisation.it (2010) Il record di emissioni (103 miliardi di Euro) è stato registrato nel 2008; tuttavia si tratta di un anno particolare; infatti, a causa del sostanziale blocco del mercato delle cartolarizzazioni, le banche italiane, al pari di quelle europee, hanno fatto ampio uso delle cosiddette autocartolarizzazioni allo scopo di accedere alle operazioni di rifinanziamento presso l’Eurosistema per ottenere liquidità. In merito si segnala l’operazione di cartolarizzazione senza precedenti per il mercato italiano lanciata da UniCredit nel 2008. Si tratta della cartolarizzazione di un portafoglio di mutui residenziali dal valore di 23 miliardi di Euro definita, dal portavoce della banca, prudenziale al fine di crearsi una “scorta” di titoli utilizzabili come collaterale nelle operazioni di rifinanziamento della Banca Centrale Europea (Bufacchi, 2008). Le emissioni nell’anno 2009 subiscono un calo rispetto all’anno precedente anche se, tuttavia, si collocano su livelli molto elevati se comparati con quelli del periodo 2001-2007. La pratica delle autocartolarizzazioni è proseguita anche nel corso del 2009, a titolo di esempio si ricorda l’emissione di obbligazioni del valore di 13 miliardi di Euro da parte di Intesa San Paolo e l’operazione di cartolarizzazione ad opera della Banca Popolare dell’Emilia Romagna di un portafoglio di mutui fondiari residenziali in bonis di 1,9 miliardi di Euro a fronte della quale i titoli emessi sono stati interamente sottoscritti dalla banca stessa. I titoli ABS sottoscritti dalle stesse banche originator potranno, in tempi migliori, essere ceduti a terzi investitori. A partire dall’introduzione della Legge n. 130/1999 il numero di operazioni concluse ogni anno subisce un’accelerazione fortissima raggiungendo il picco massimo di 59 operazioni di cartolarizzazione concluse nell’anno 2001 (vd. Tabella 5.2). Negli anni successivi il numero di operazioni si riduce con il contestuale incremento dei volumi medi per operazione. Nel 129 biennio 2008-2009 il numero di operazioni di securitisation torna a crescere, sorpassando la soglia delle 50 operazioni all’anno, ma, come per i volumi di emissione, l’aumento è dovuto alle autocartolarizzazioni. Tabella 5.2: Numero di operazioni per classi di attivo 1999-2009 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 3 6 16 3 3 0 1 2 1 2 1 1 3 16 12 15 10 11 14 13 24 31 CDO/CBO 1 5 3 2 0 2 0 1 3 2 2 Public 1 1 4 4 8 8 13 7 5 0 0 Leasing 0 5 7 12 6 7 8 4 2 10 6 CMBS/Loan 0 1 4 2 2 3 3 1 0 1 2 0 3 7 4 4 6 2 6 6 7 5 Covered Bond 0 0 0 0 0 0 2 2 0 3 4 Altro 0 1 2 2 2 3 0 2 0 2 2 TOTALE 6 25 59 41 40 39 40 39 30 51 53 Nonperforming loan Performing loan RMBS Credit Card Personal Loan Fonte: securitisation.it (2010) Al fine di analizzare gli operatori, in qualità di originator, più attivi nel mercato italiano della cartolarizzazione si è proceduto all’elaborazione dei dati forniti da Securitisation.it 155. A causa della mancanza di informazioni disaggregate circa i volumi di emissione l’analisi condotta riguarda la frequenza con cui i soggetti attivi nel mercato della cartolarizzazione hanno fatto ricorso a questa tecnica (vd. Figura 5.2). Dallo studio condotto risulta evidente la predominanza di soggetti che fanno parte del settore finanziario con la netta prevalenza delle banche che hanno realizzato oltre un terzo delle operazioni di securitisation. Nella classifica degli emittenti abituali (repeat issuer) spicca anche lo Stato mediante le cartolarizzazioni sponsorizzate dal Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF) di cui si parlerà più avanti nel presente paragrafo. Solo una piccola parte del settore industriale ha sperimentato nel periodo in esame la tecnica della cartolarizzazione ad esempio Fiat ha più volte cartolarizzato crediti su finanziamenti erogati per la vendita di automobili, Telecom Italia ha cartolarizzato crediti futuri derivanti da bollette telefoniche e Cremonini SpA, azienda attiva nel settore alimentare, ha cartolarizzato un portafoglio di crediti commerciali. In particolare hanno fatto ampio ricorso alla tecnica della securitisation soggetti di medio-grande dimensione, sia in assoluto sia relativamente al proprio segmento di attività, poiché riescono a raggiungere portafogli di asset dotati di una certa massa critica e ad ammortizzare i rilevanti costi iniziali dell’operazione. Per ovviare a questo problema le banche di Credito Cooperativo (Bcc) hanno con frequenza originato operazioni di cartolarizzazione in pool al fine di ottenere significative economie di costo. 155 Lista delle operazioni di cartolarizzazione effettuate dal luglio 1999 a oggi, dopo l'entrata in vigore della Legge 130/1999. 130 Figura 5.2: Lista dei principali originator attivi nel mercato della cartolarizzazione Banca Monte dei Paschi di Siena Gruppo Unicredit Banca Nazionale del Lavoro Banca Italease Ministero dell'Economia e delle Finanze Locafit Spa FinecoBank Cassa Depositi e Prestiti Spa Meliorbanca INPS Finconsumo Banca Banca Agrileasing 0 2 4 6 8 10 12 14 Numero operazioni di cartolarizzazione Fonte: elaborazione propria su dati securitisation.it (1999-2009) Analizzando le classi di attivo oggetto di cartolarizzazione nel periodo in esame si possono rilevare alcune peculiarità del mercato italiano (vd. Tabella 5.2, 5.3 e 5.4). I primi anni di attività del mercato sono stati dominati da operazioni che hanno avuto ad oggetto crediti in sofferenza (nonperforming loan) iscritti nei bilanci delle banche. I crediti dubbi hanno rappresentato negli anni 1999-2001 l’asset type più cartolarizzato raggiungendo l’apice nel 2001 quando 16 operazioni di cartolarizzazione su 59 hanno avuto ad oggetto nonperforming loan (concentrate nella prima metà dell’anno in connessione con la scadenza del termine per beneficiare delle agevolazioni fiscali). Il più delle volte le operazioni non hanno comportato un integrale trasferimento del rischio, avendo la banca cedente garantito il buon esito dei crediti mediante la sottoscrizione di titoli subordinati emessi dalle società per la cartolarizzazione (Banca d’Italia, anni vari). La cartolarizzazione dei cosiddetti bad loan è un fenomeno peculiare del mercato italiano e inglese poiché nei restanti paesi europei, all’inizio degli anni Duemila, le cartolarizzazioni realizzate riguardavano esclusivamente prestiti di qualità prime. In Italia la cartolarizzazione dei crediti in sofferenza è stata legittimata dalla Legge n. 130/1999 che, non solo non impone limiti alla qualità degli attivi collateralizzabili, ma introduce un vantaggio di tipo fiscale per le securitisation di crediti nonperforming al fine di migliorare la rappresentazione nel bilancio della situazione degli intermediari creditizi. Il venir meno del beneficio fiscale (nel maggio 2001) e l’evoluzione delle tecniche di securitisation che hanno coinvolto una gamma sempre più vasta di attivi collateralizzabili hanno causato un continuo declino delle cartolarizzazioni di crediti nonperforming (nel 2009 solo 1 cartolarizzazione su 53 ha riguardato crediti in sofferenza). 131 Tabella 5.3: Volumi di emissioni per classi di attivo 1999-2009 (milioni di Euro) 1999 2000 2001 2002 2003 2004 275 1.510 8.085 6.578 8.871 7.417 9.850,0 16.946 22.267 75.735 40.809 Nonperforming Loan 3.235 2.959 7.142 1.301 978 CDO/CBO 360 2.514 835 2.682 4.650 1.350 7.510 971 Performing Loan RMBS Public Leasing CMBS/Loan Credit Card Personal Loan 88,0 TOTALE 2006 2007 2008 2009 184 486 44 7 192 3.216 2.108 1.080 9.888 12.941 12.091 15.954,0 4.395 2.783 4.303 6.925 3.225 8.766 7.034,4 2.104 12.935 4.724 1.000 1.395 1.411 1.297 1.445 1.756 3.399 1.606 2.129 2.556 1.823,0 3.320 4.000,0 1.365 Covered Bond Altro 2005 25 1.300 215 699 5.158 2.056,0 1.036 1.388 163 3.381 6.950 6.805 4.000 5.500 7.500 476 480 148 3.202 8.520 12.085 33.969 30.606 30.140 35.028 40.805,4 35.707 34.058 103.915 64.454 Fonte: securitisation.it (2010) Tabella 5.4: Volumi di emissioni per classi di attivo 1999-2009 (valori %) 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 Performing Loan RMBS 3,23% 12,49% 23,80% 21,49% 29,43% 21,17% Nonperforming Loan 37,97% 24,48% 21,03% 4,25% 3,24% 24,14% 47,46% 65,38% 72,88% 63,31% 0,22% 0,52% 1,43% 0,04% 0,01% 0,54% 9,44% 2,03% 1,68% CDO/CBO 4,23% 20,80% 2,46% Public 54,58% 11,17% 22,11% 32,31% 42,94% 34,52% 39,10% 12,31% 8,17% Leasing 8,03% 12,67% 22,63% 10,70% 25,03% 17,24% 14,45% 6,18% 12,45% 7,33% CMBS/Loan 8,27% 0,16% 5,25% 6,69% 10,56% 4,11% 8,76% 3,90% 4,61% 4,30% 4,13% 5,04% 2,90% 14,53% 10,01% 5,25% 7,06% 7,30% 4,47% 9,30% 9,80% 11,20% 5,29% 11,64% 1,33% 0,46% 0,23% 100% 100% 100% 100% Credit Card Personal Covered Bond Altro TOTALE 0,21% 3,83% 0,70% 2,32% 3,96% 100% 100% 100% 100% 100% 100% 100% 9,40% Fonte: elaborazione propria su dati securitisation.it (2010) Un’ulteriore peculiarità dello sviluppo del mercato italiano è il ruolo chiave svolto dalle operazioni di cartolarizzazione sponsorizzate dal Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF). I public asset fino al 2005 hanno rappresentato, assieme ai crediti in sofferenza, la classe di attivo più cartolarizzata configurando lo Stato italiano come uno dei principali emittenti abituali. Nello specifico le operazioni di securitisation sponsorizzate dal MEF sono organizzate in tre programmi distinti in base alla natura delle attività cedute: - programmi di cartolarizzazione del patrimonio immobiliare pubblico consentiti dal Decreto Legge n. 351/2001. I cespiti immobiliari sono trasferiti a un soggetto terzo 132 (Società Cartolarizzazione Immobili Pubblici, SCIP) il quale corrisponde il prezzo pattuito mediante finanziamenti bancari o emissione di titoli obbligazionari. Il rimborso dei titoli emessi o dei finanziamenti contratti è garantito dai proventi realizzati dalla successiva vendita, a mezzo di aste, dei cespiti oggetto di cartolarizzazione. Le operazioni fino ad oggi effettuate prendono il nome di SCIP 1 e SCIP 2; - programmi di cartolarizzazione dei crediti delle Pubbliche Amministrazioni. Si tratta di operazioni di cartolarizzazione dei crediti dell’INPDAP e delle securitisation volte a finanziare progetti di ricerca del Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca e del Ministero delle Attività Produttive; - programmi di cartolarizzazione di crediti contributivi dell’INPS. La società veicolo prende il nome di Società Cartolarizzazione Crediti INPS (SCCI). Si tratta di operazioni comprese sotto i programmi denominati da INPS1 a INPS6. Inoltre, l’art. 22 del Decreto Legge n. 350/2001 aveva consentito la cartolarizzazione dei proventi del gioco del Lotto e del Superenalotto. Le cartolarizzazioni pubbliche avevano ricevuto una buona accoglienza da parte degli investitori i quali consideravano i titoli emessi un investimento alternativo ai titoli di Stato. Tuttavia, a partire dal 2006 le securitisation di public asset sono diminuite sia in termini di volumi sia di numero di operazioni a causa dei criteri più stringenti fissati dall’Eurostat in merito alla contabilizzazione di tali operazioni. Già nel Giugno 2002 l’Eurostat aveva chiarito i criteri di contabilizzazione delle cartolarizzazioni realizzate dalle Amministrazioni Pubbliche ai fini del calcolo dell’indebitamento netto. Nello specifico, affinché l’operazione potesse essere contabilizzata come cessione di attività e non come nuovo indebitamento dovevano essere rispettati una serie di requisiti: - le attività cedute dovevano essere presenti nel bilancio dell’ente pubblico prima dell’avvio dell’operazione; - i rischi associati al possesso delle attività cedute dovevano essere trasferiti all’acquirente. Nel 2007 l’Eurostat ha disposto il divieto di registrazione delle cessioni di crediti tributari, previdenziali e le altre operazioni contenti clausole che riducono il trasferimento del rischio in capo all’acquirente come vendite effettive. Dal 2007, pertanto, a seguito dei suddetti interventi non sono più state realizzate operazioni della specie. Tuttavia, le Regioni, invece, continuano a essere player attivi nell’ambito della cartolarizzazione dei crediti sanitari (Nobili, 2007). La quasi totalità delle operazioni di cartolarizzazione sponsorizzate dal MEF hanno avuto come obiettivo la riduzione dell’indebitamento e la privatizzazione di attivi gestiti dallo Stato in maniera inefficiente. Il successo delle cartolarizzazioni sponsorizzate dal Governo Centrale e dei nonperfoming asset ha progressivamente avvicinato il settore bancario alla tecnica della cartolarizzazione. A seguito di una maggiore confidenza con le operazioni di securitisation tale tecnica è stata gradualmente adottata anche dagli intermediari bancari con l’obiettivo di conseguire una significativa diminuzione del costo della raccolta e una gestione più efficiente del matching tra le scadenze dell’attivo e del passivo. Le cartolarizzazioni hanno via via interessato una vasta gamma di attivi e, in merito, è possibile formulare alcune considerazioni. Il comparto più interessato dalla cartolarizzazione è quello dei mutui (RMBS e CMBS) i quali nel periodo analizzato non rappresentano mai meno del 20% del sottostante delle emissioni complessive per ciascun anno considerato. Nello specifico, in concomitanza con la perdita di importanza 133 delle cartolarizzazioni pubbliche, i mutui ipotecari concessi per l’acquisto di un’abitazione costituiscono la principale asset class oggetto di cartolarizzazione. Il segmento dei mutui residenziali ha costituito, soprattutto tra il 2006 e il 2009, il motore del mercato della securitisation nazionale coprendo da solo nel 2008 il 73% del mercato della cartolarizzazione nel suo complesso. Tale andamento è spiegabile dalla continua crescita del mercato dei mutui residenziali e dalla continua espansione della gamma di mutui offerti dalle banche alle famiglie italiane. Le RMBS rappresentano, quindi, oggi una fonte di funding ricorrente, grazie al buon grado di standardizzazione raggiunto e all’elevata confidenza nei confronti del mercato da parte degli originator. Una quota pressoché rilevante di cartolarizzazioni ha avuto ad oggetto i leasing; la cartolarizzazione dei crediti di leasing è una peculiarità italiana dal momento che negli altri paesi europei tale operazione trova scarsa diffusione. Il settore italiano del leasing è stato interessato da una crescita rapida e generalmente più elevata rispetto ai livelli registrati in Europa e, in termini di outstanding, si posiziona al terzo posto in Europa dopo Germania e Regno Unito tra il 2003 e il 2005 e conquista il secondo posto nel biennio 2006-2008. È evidente che ammontari di oustanding particolarmente elevati aprono la strada a maggiori opportunità di cartolarizzazione dei crediti derivanti da leasing e, non a caso, proprio il settore del leasing ha contribuito favorevolmente all’andamento del mercato italiano della securitisation, anche se negli ultimi anni ha mostrato progressivi segni di rallentamento (vd. Tabella 5.4). Il numero di operazioni complessivamente realizzate dal 1999 ad oggi è pari a 67 con un controvalore che ammonta a 56,145 miliardi di Euro. L’importanza del comparto del leasing per il mercato italiano della cartolarizzazione è testimoniato anche dalla presenza nella lista dei principali reapet issuer di operatori del settore (Banca Italease, Locafit SpA, Banca Agrileasing) (vd. Figura 5.2). Alcune operazioni di cartolarizzazione di crediti derivanti da leasing sono state realizzate grazie alla partecipazione della Banca Europea per gli Investimenti (BEI) e il Fondo Europeo per gli Investimenti (FEI) 156. Nello specifico, la BEI si impegna a sottoscrivere i titoli emessi con rating AAA mentre la FEI interviene rilasciando una garanzia (dietro il pagamento di una commissione) a favore dei sottoscrittori dei titoli emessi per il pagamento degli interessi e del capitale (grazie al rating AAA attribuito alla FEI il suo intervento nelle operazioni di cartolarizzazione consente all’originator di abbassare notevolmente il costo della raccolta). L’intervento delle due istituzioni è finalizzato all’incremento delle risorse finanziarie disponibili per le PMI per la realizzazione di determinati progetti. Tra gli attivi oggetto di cartolarizzazione figurano anche i crediti al consumo i quali, in pool, sono cartolarizzati da originator nella forma di banche commerciali o di società finanziarie specializzate. Il credito al consumo offre notevoli opportunità di cartolarizzazione grazie all’ampia gamma di prodotti utilizzabili come collateral: - consumer loan concessi a persone fisiche finalizzati o personali; - auto loan concessi a persone fisiche per l’acquisto di auto nuove o usate; - carte di credito revolving. Nell’esperienza italiana le cartolarizzazioni hanno generalmente riguardato crediti in bonis relativi a prestiti personali e prestiti finalizzati all’acquisto di beni di consumo; a differenza 156 La Banca Europea per gli Investimenti (BEI) è l'istituto di credito a lungo termine dell'Unione europea. Concede prestiti al settore pubblico e privato per finanziare progetti d’interesse europeo tra cui il sostegno alle PMI. Il Fondo europeo per gli investimenti (FEI) è stato istituito per sostenere le PMI alle quali fornisce capitali di rischio, inoltre, offre garanzie a istituzioni finanziarie (in particolare banche) a copertura dei loro prestiti alle PMI. 134 del mercato inglese sono sostanzialmente assenti le cartolarizzazioni dei saldi attivi derivanti dall’utilizzo delle carte di credito. Di minore importanza per il mercato italiano sono le operazioni di CDO e CBO le quali rappresentano, nell’arco del periodo di tempo considerato, una quota irrisoria dell’intero comparto della cartolarizzazione. Con il Decreto Ministero Economia e Finanze n. 310 del 14 Dicembre 2006 e con le Disposizioni di vigilanza della Banca d'Italia del 17 Maggio 2007 si è completata la disciplina italiana delle obbligazioni bancarie garantite (covered bond157, CB). Come mostrato in Tabella 5.2, il primo programma di emissione di covered bond risale al 2005 ad opera della Cassa Depositi e Prestiti (CDP) autorizzata dall’art. 5 del Decreto Legge n. 269 del 2003; tuttavia solo dal 2007 le banche italiane hanno a disposizione questo nuovo strumento di raccolta. Le obbligazioni bancarie garantite, che hanno già avuto una notevole diffusione in Europa dalla metà degli anni Novanta, garantiscono un livello di raccolta a medio-lungo termine a tassi molto convenienti e permettono l’accesso a un nuovo segmento di investitori. Ad oggi non è possibile formulare giudizi sul mercato dei covered bond il quale è da poco entrato in funzione tuttavia, l’ampiezza potenziale del mercato italiano e la continua crescita della domanda da parte di investitori internazionali fanno presagire un futuro prosperoso per questo nuovo mercato. In un primo momento, comunque, è prevedibile una sorta di completamento tra opportunità di funding offerta dalla cartolarizzazione e dalle obbligazioni bancarie garantite. In corrispondenza dell’espansione degli attivi oggetto di cessione si è assistito a una significativa evoluzione delle strutture contrattuali utilizzate; in particolare, nel corso degli anni, si è verificata una crescente segmentazione delle diverse fasi dell’operazione, ciascuna gestita e presidiata da un soggetto dotato di specifiche competenze (ad esempio le banche competenti nel recupero crediti hanno esteso la loro attività al servicing e le banche cedenti hanno istituito apposite unità per l’attuazione dell’operazione). Nonostante la presenza di questo processo di evoluzione che ha riguardato le strutture di cartolarizzazione le banche italiane non hanno sperimentato tecniche di securitisation piuttosto “spinte”, infatti le strutture utilizzate in Italia sono per lo più semplici, di tipo tradizionale e dotate di un buon grado di trasparenza. La pratica delle autocartolarizzazioni ha accentuato il carattere di semplicità dal momento che, al venir meno della necessità di far fronte alle diverse esigenze di una pluralità di investitori, il rischio di credito è stato, di norma, segmentato in due sole classi: una dotata di rating, destinata all’utilizzo come garanzia, e una equity, priva di rating e con la funzione di assorbire la prima parte delle eventuali perdite derivanti dai crediti cartolarizzati. Il mercato italiano presenta anche strutture di cartolarizzazione innovative: le cartolarizzazioni dei residual e le strutture warehousing. Le cartolarizzazioni dei residual sono operazioni nelle quali l’asset ceduto è il cash flow residuale ossia il profitto che verrebbe retrocesso all’originator, sia durante l’operazione sia a conclusione di essa, dopo aver rimborsato tutti gli ABS. Ad esempio il residual può essere 157 I covered bond (o obbligazioni garantite) sono obbligazioni garantite da un flusso di interessi e rimborsi relativo ad attività finanziarie (ad esempio prestiti immobiliari, prestiti a imprese, prestiti pubblici ecc.). Sono simili alle ABS con la differenza che le attività che garantiscono i bond non sono state trasferite a un veicolo ma rimangono nel bilancio dell'emittente (vi sono tuttavia anche casi in cui i crediti segregati vengono trasferiti al veicolo SPV – la legge italiana è orientata verso questo modello). Covered bond e cartolarizzazione sono due fattispecie sostitutive e presentano caratteristiche strutturali molto eterogenee. 135 identificato con l’excess spread e, una volta rimborsati integralmente gli ABS dotati di rating, da qualsiasi altro flusso residuale prodotto dal portafoglio e/o dalla struttura stessa dell’operazione (incassi residuali sui crediti in linea capitale e interesse e importo residuo depositato sul conto di riserva di cassa). L’emissione a fronte della cartolarizzazione del residual potrà avvenire in misura pari ai cash flow attesi (excess spread, quota capitale e interesse dei crediti residui e riserva di cassa rimanente dopo il rimborso delle rated tranche). In Figura 5.3 è presentato un esempio di cartolarizzazione su residual. Figura 5.3: Struttura di un’operazione su residual Fonte: Nobili (2007) Note: Nel riquadro di sinistra è rappresentata un’ipotetica struttura di un’operazione di securitisation. A fronte della cessione di 100 Euro di mutui residenziali, si è provveduto all’emissione di note dotate di rating (senior note) per un controvalore pari a 95 Euro; sono state, inoltre, emesse note prive di rating (junior note) per 5 Euro. L’originator ha erogato un prestito subordinato all’SPV per 5 Euro interamente versato per costituire una riserva di cassa di pari importo. Nell’esempio considerato il residual verrebbe a configurarsi come la somma dei flussi a servizio della remunerazione e rimborso delle junior note e del prestito subordinato. Considerata la rilevanza dell’excess spread in queste operazioni è bene considerare che esso presenta alcune criticità e nello specifico è influenzato dai seguenti fattori: 1) il livello delle estinzioni anticipate dei crediti che comportano una riduzione dell’excess spread; 2) i default o i pagamenti in ritardo sui crediti, anch’essi comportano una riduzione dell’excess spread; 3) la priorità dei pagamenti; 4) la tipologia di attivi inclusi nel portafoglio cartolarizzato. La nuova operazione di cartolarizzazione, avente ad oggetto il residual, non dovrebbe avere alcun impatto sulla cartolarizzazione originaria, in quanto ha ad oggetto il solo flusso di cassa che sarebbe comunque confluito, in assenza di nuove cartolarizzazioni, all’originator. Gli obiettivi conseguibili dalla cartolarizzazione, di norma, sono quelli tradizionali ossia la liberazione di capitale e, in misura limitata, il funding quando la cartolarizzazione è di tipo tradizionale altrimenti, quando è di tipo sintetica, l’unico obiettivo è la cessione del rischio. In un contesto in cui Basilea 2 pone dei limiti alle opportunità di arbitraggio e impone agli originator l’accantonamento di un livello di capitale in funzione dei rischi trattenuti in sede di 136 strutturazione delle operazioni di cartolarizzazione i soggetti vigilati sentiranno sempre più la necessità di assegnare un rating al residual e di valutarne eventualmente la sua cessione per il tramite di una nuova operazione di cartolarizzazione. La struttura warehousing, invece, permette di affrontare i problemi collegati alla mancanza di portafogli di dimensioni sufficienti tali da assicurare un collocamento efficiente delle ABS o, ancora, permette l’accesso al mercato delle cartolarizzazioni anche ad originator di piccole dimensioni (ad esempio banche di piccole dimensioni come Casse di Risparmio, Banche di Credito Cooperativo, Banche Popolari). In particolare, il warehousing si realizza mediante l’accumulo dei crediti oggetto della cartolarizzazione e permette all’originator di costruire progressivamente, in un arco temporale consono alle proprie esigenze (mediamente 2 o 3 anni), un portafoglio di attivi cartolarizzabili avente dimensioni di mercato, in modo da poter successivamente procedere all’emissione pubblica di ABS con importi consistenti. Tutto ciò è possibile mediante i seguenti passaggi 158: - con periodicità regolare, sotto-portafogli di asset presenti nel bilancio dell’originator sono ceduti a un SPV costituito ai sensi della Legge n. 130/99; - per finanziare tali acquisti progressivi, l’SPV emette titoli (bridge note) con livelli di subordinazione differenti non quotati. La tranche equity viene sottoscritta dallo stesso originator mentre quella dotata di maggiore seniority viene sottoscritta dall’arranger; - gli incassi in linea capitale provenienti dai sotto-portafogli già ceduti vengono utilizzati per il riacquisto di nuovi crediti (fase revolving). Una volta che l’ammontare totale dei sotto-portafogli ceduti nel corso della fase warehousing ha raggiunto una dimensione ritenuta sufficiente, l’SPV emette titoli ABS articolati in varie tranche dotate di rating ufficiale destinati al mercato (term out phase). Con i proventi dell’emissione l’SPV rimborsa le bridge note fino a quel momento emesse e ancora in essere. I vantaggi della struttura warehousing sono molteplici, soprattutto per l’originator, dal punto di vista: - del funding, certo ed efficiente; - della tempistica in quanto la fase di warehousing permette di scegliere il momento migliore (in termini di spread) in cui accedere in via definitiva al mercato dei capitali - dei costi di implementazione della struttura che possono essere maggiormente dilazionati nel tempo ed avere un’incidenza minore se riferiti ad un’operazione di ammontare più consistente. Inoltre, non è da escludere che questo tipo di operazione venga adottata anche da originator di più grandi dimensioni con lo scopo di avere un flusso continuo di risorse utili allo sviluppo delle attività senza dover attendere il raggiungimento di una massa di crediti ragionevole per concludere un’operazione di mercato. Confrontando il mercato italiano della cartolarizzazione con i principali mercati europei nel periodo 2001-2009, in termini di volumi emessi, si nota che già alla fine del 2001, dopo solo due anni dall’entrata in vigore della Legge in materia di cartolarizzazione, il mercato nazionale occupava il secondo posto (vd. Tabella 5.5). Nel triennio 2003-2005, seppur crescendo sia in termini dei volumi cartolarizzati sia per numero di operazioni, l’Italia si è stabilmente assestata al terzo posto, cedendo il secondo posto alla Spagna. Nell’anno 2006 158 La tipologia di struttura warehousing qui esposta è quella maggiormente riscontrata nel panorama italiano; tuttavia possono esistere ulteriori tipologie. Al fine di approfondire l’argomento si veda Nobili (2007) per una trattazione di una struttura alternativa e di un esempio pratico di cartolarizzazione warehousing (Sestante Finance Srl). 137 l’Italia è scesa al quinto posto, sorpassata da Olanda e Germania, a causa dei minori volumi emessi dalle operazioni di cartolarizzazione pubbliche. I volumi emessi nell’anno successivo hanno subito un brusco calo in tutti i paesi europei a causa dell’avvio della crisi finanziaria nel secondo semestre che ha bloccato il mercato della cartolarizzazione sia statunitense sia europeo. Per l’Italia il 2008 si è rivelato un anno eccezionale anche in ambito europeo infatti, il livello record di emissioni registrato a livello nazionale ha permesso al nostro paese di posizionarsi al primo posto tra i paesi dell’Area Euro. Nel paragrafo 1.9 dedicato all’evoluzione del mercato della cartolarizzazione in Europa si è evidenziato il rilevante trend di sviluppo nelle emissioni di CDO, sia in termini di numero di emissioni che di dimensione, soprattutto nell’ultimo decennio. In Italia, invece, non è rilevabile lo stesso fenomeno, infatti le CDO non hanno avuto un grande successo e le dimensioni di questo particolare segmento sono trascurabili. Considerando la situazione dal punto di vista dell’originator il vincolo più importante è legato alla difficoltà di comporre un collateral dotato di una certa massa critica adatto a originare CDO. Infatti, gli asset collateralizzabili più diffusi nel nostro paese sono mutui e leasing i quali però si adattano meglio alle cartolarizzazioni tradizionali (ABS, MBS). Le asset class tipicamente deputate a originare CDO possiedono, invece, caratteristiche diverse e, se si escludono quelle più esotiche, sono rappresentate essenzialmente dai bond (investment grade, high yield) e dai prestiti (in bonis o nonperforming). Dall’esame del mercato obbligazionario italiano emergono alcune caratteristiche peculiari: 1) la quasi totalità del capitale nominale delle obbligazioni quotate è riferibile a Titoli di Stato; 2) il comparto dei corporate bond risulta essere molto concentrato settorialmente (con la predominanza del settore bancario) e piuttosto concentrato anche dimensionalmente. Tali specificità rendono i corporate bond italiani poco adatti alle CDO per problemi legati alle limitate potenzialità in termini di diversificazione del portafoglio (Mazzuca, 2007b). Per quanto riguarda il portafoglio prestiti delle banche prevalgono i prestiti alle PMI (SME’s loans) che rappresentano una categoria a sé di asset collateralizzabili (i CDO con sottostante un portafoglio di prestiti alle PMI prendono il nome di SME CLO). La cartolarizzazione relativa ai prestiti alle PMI costituisce una parte marginale del mercato italiano159. Tale dato sorprende perché le banche dispongono di un significativo stock di asset potenzialmente cartolarizzabile, tuttavia il potenziale di questo comparto del mercato italiano rimane inespresso. Questa situazione è dovuta all’esistenza di una serie di problemi quali: le difficoltà di valutazione del rischio di credito insito nei prestiti alle PMI, l’elevata frammentazione del portafoglio bancario composto da un numero consistente di piccoli prestiti e la forma tecnica dei prestiti (soprattutto aperture di credito in conto corrente) a volte non adatta ad essere cartolarizzata. Un ulteriore fattore che, probabilmente, ha esercitato un’azione frenante sulla diffusione dei CDO riguarda l’insufficiente capacità e/o esperienza delle banche italiane nel settore della finanza strutturata e della cartolarizzazione in particolare. 159 C’è da sottolineare anche come, a differenza dell’Italia, in quei paesi europei dove è più sviluppato il mercato dei CLO di PMI (ad esempio Spagna e Germania) il Governo ha giocato un ruolo importante nel sostenimento del mercato stesso con il preciso obiettivo di accrescere la disponibilità di credito erogato alle PMI locali. 138 Tabella 5.5: Volumi di emissione nei principali paesi europei 2001-2009 (miliardi di Euro e valori %) 2009 a (Q3) % 2008 % 2007 % 2006 % 2005 % 2004 % 2003 % 2002 % 2001 % Belgio 13,6 5,1% 34,9 5,6% 4,0 1,2% 2,3 0,7% 0,5 0,2% 0,95 0,5% 2,48 1,3% 0,32 0,2% 0,45 0,4% Francia 5,0 1,9% 14,2 2,3% 3,9 1,2% 7,7 2,2% 7,5 2,8% 7,02 3,4% 7,64 4,1% 9,91 7,3% 5,92 4,9% Germania 23,7 8,9% 50,1 8,1% 18,5 5,6% 37,7 10,9% 15,5 5,9% 6,5 3,1% 7,13 3,8% 8,99 6,7% 4,18 3,5% Grecia 22,0 8,2% 12,7 2,1% 5,3 1,6% 3,6 1,0% 2,3 0,9% 0,75 0,4% 0,4 0,2% 0,0 0,0% 1,41 1,2% Italia 51,5 19,3% 82,2 13,3% 26,4 7,9% 30,2 8,7% 32,7 12,4% 33,57 16,1% 33,93 18,2% 30,11 22,3% 34,11 28,5% Olanda 34,3 12,8% 72,6 11,7% 40,8 12,3% 28,6 8,3% 39,2 14,8% 19,64 9,4% 20,98 11,3% 11,7 8,7% 17,48 14,6% Spagna 51,3 19,2% 80,7 13,0% 61,1 18,4% 44 12,7% 40,5 15,3% 34,47 16,5% 37,84 20,3% 18,57 13,8% 7,36 6,1% Regno Unito 65,9 24,7% 271,9 43,9% 172,6 51,9% 192,2 55,5% 126,4 47,8% 105,76 50,7% 76,03 40,8% 55,39 41,0% 48,8 40,8% TOTALE 267,3 100,0% 619,3 100,0% 332,6 100,0% 346,3 100,0% 264,6 100,0% 208,7 a i dati del 2009 si riferiscono al periodo gennaio-settembre 2009. Fonte: elaborazione propria su dati European Securitisation Forum (anni vari) 139 100,0% 186,4 100,0% 135,0 100,0% 119,7 100,0% Infatti, nonostante le dimensioni ragguardevoli del nostro mercato della cartolarizzazione esso è pur sempre un mercato in cui lo Stato ha giocato il ruolo principale fino al 2005. Inoltre, gli istituti di credito non hanno saputo sviluppare adeguatamente i servizi legati all’attività di arrengement, advisoring e di asset management. Una maggiore esperienza delle banche in questi settori probabilmente avrebbe accelerato il processo di diffusione delle cartolarizzazioni più innovative. Infine, anche il contesto legale ha contribuito al mancato sviluppo di un comparto per i CDO, nel senso che la Legge n. 130/1999, sebbene abbia dato un impulso molto forte alle cartolarizzazioni tradizionali, non sembra rappresentare il riferimento normativo ideale per le cartolarizzazioni innovative (CDO e whole business securitisation soprattutto). Malgrado le criticità da affrontare per una vera e propria ripresa del mercato delle cartolarizzazioni italiano siano diverse – la scarsa liquidità delle ABS e la necessità di ristabilire la fiducia della base di investitori che ha abbandonato il settore - sul medio termine c’è la speranza che il mercato primario delle cartolarizzazioni si riapra. Si tratta di un auspicio condiviso anche dal Governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi, il quale riconosce la necessità di riattivare il mercato italiano delle cartolarizzazioni che, se propriamente strutturate, restano un canale fondamentale di finanziamento ipotizzando, anche, un intervento dello Stato a sostegno di queste operazioni. Nel prossimo futuro è ragionevole ipotizzare che il mercato italiano sia trainato, in termini di volumi, dalle più tradizionali forme di emissione (ABS e MBS) per le quali vige una migliore conoscenza da parte degli investitori e una maggiore velocità di strutturazione dell’operazione da parte degli originator. Inoltre, è plausibile un ampliamento del mercato italiano dei covered bond riducendo quindi il gap che ci separa dagli altri paesi europei. Data la pubblicità negativa che circonda i prodotti più complessi, non si prevede nell’immediato una ripresa del mercato delle CDO – in particolare delle CDO di ABS. Tuttavia, ciò non dovrebbe avere un impatto significativo sui volumi complessivi italiani dato che, come detto nel corso del paragrafo, in Italia tali strumenti non hanno conosciuto una grande diffusione. È, invece, possibile prevedere un’estensione delle operazioni di cartolarizzazione ad altre tipologie di attivo disponibili. Ci si riferisce ai prestiti personali caratterizzati dalla cessione del quinto dello stipendio e ai prestiti vitalizi ipotecari (reverse mortgage). I primi sono una forma di finanziamento la cui restituzione avviene mediante la trattenuta mensile di una quota dello stipendio e sono prodotti ascrivibili al settore del credito al consumo il quale è cresciuto molto in Italia soprattutto a partire dal 2000 (si pensi che nel 2008 le consistenze di credito al consumo in Italia hanno raggiunto i 109 miliardi di Euro, quasi il doppio rispetto al 2003). Al suo interno il comparto della cessione del quinto ha seguito il medesimo trend e nel 2009 sembra aver retto bene all’urto della crisi. Infatti, in corrispondenza di un razionamento del credito, l’ottenimento di un finanziamento da parte dei lavoratori diventa più probabile mediante lo strumento della cessione del quinto in quanto l’operazione è abbastanza sicura per il finanziatore dal momento che è prevista la sottoscrizione obbligatoria di un’assicurazione rischio vita e/o rischio impiego che garantisce, in caso di mancato pagamento, la copertura dell’importo ancora dovuto. Considerando, quindi, la buona qualità del portafoglio crediti derivanti dalla cessione del quinto e il potenziale di crescita del comparto nei prossimi anni è ragionevole pensare che il mercato della cartolarizzazione coinvolga anche questa classe di attivi sostenuto anche dall’opportunità di adoperare strutture warehousing per accumulare un portafoglio creditizio che possa essere cartolarizzato efficientemente. 140 Ragionamento analogo può essere condotto in riferimento ai reverse mortgage. I prestiti vitalizi ipotecari sono strumenti finanziari che consentono agli anziani (over 65) proprietari di un immobile residenziale di convertite parte del valore dell’immobile in contanti (tipicamente dal 20% al 45% della perizia) senza vendere l’abitazione, continuando quindi a vivere nella propria casa. Il prestito ottenuto e gli interessi sono rimborsati dal debitore o dagli eredi in genere con i proventi della vendita della casa (o con altri fondi). Il progressivo invecchiamento della società (gli over 65 sono il segmento di popolazione con crescita più sostenuta) e l’elevata quota di anziani proprietari dell’abitazione in cui vivono (quasi 80%) sono condizioni che fanno presagire un aumento dei soggetti interessati a questo strumento al fine di assicurarsi un reddito per poter finanziare una serie di progetti o l’assistenza necessaria o, ancora, aiutare i figli. Anche in questo caso è logico quindi prospettare uno sviluppo di questo mercato e, in parallelo, un aumento della disponibilità di attivi che possono essere oggetto di cartolarizzazione. 5.3 Legge n. 130 del 30 Aprile 1999 Lo scopo del presente paragrafo consiste nella presentazione degli aspetti salienti del principale riferimento normativo italiano in tema di cartolarizzazione. Per tale ragione non verrà fornito un commento dettagliato dal punto di vista giuridico della Legge n. 130/1999 bensì verranno esposti gli elementi peculiari della Legge facendo leva sui pregi e i difetti della normativa che hanno determinato la nascita e lo sviluppo del fenomeno della securitisation in Italia. La nascita del mercato della cartolarizzazione italiano coincide convenzionalmente con l’entrata in vigore della Legge n. 130 del 30 Aprile 1999 che regolamenta lo strumento delle cartolarizzazioni e ne agevola l’utilizzo da parte degli originator nazionali. Rispetto alla diffusione delle operazioni di securitisation in Europa la definizione di un quadro regolamentare ad hoc è avvenuta con notevole ritardo 174; ritardo che la Legge n. 130/1999 contribuisce a colmare modernizzando il sistema economico attraverso la modernizzazione del sistema giuridico di riferimento. La mancanza di una regolamentazione specifica in materia di securitisation ovviamente ha limitato le potenzialità di questo strumento e la sua diffusione nonché ha generato incertezze sulla strutturazione dell’operazione e il sostenimento di costi elevati. Oltre alla necessità di aggiornare la base normativa e il sistema economico la Legge in commento si prefigge di raggiungere una serie di finalità, che per la maggior parte attengono al mondo bancario, quali: il miglioramento dell’efficienza allocativa del sistema finanziario, la ricomposizione del portafoglio delle banche, la diffusione di istituti di credito specializzati, l’ampliamento del ventaglio di scelta rischio-rendimento, il miglioramento dei ratio patrimoniali, la possibilità di disporre di una provvista alternativa e più economica di capitale proprio e, più in generale, il miglioramento della struttura creditizia del mercato. 174 Il ritardo accumulato dall’Italia è più che ventennale rispetto ai più avanzati sistemi legislativi di common law e agli altri paesi europei (ad esempio la prima base normativa è stata, in Spagna, la Legge n. 2/81; in Francia la Legge n. 1201/88 e in Belgio è stato consentito l’ingresso della cartolarizzazione nel 1990) dove la securitisation è ormai una tecnica consolidata. 141 La Legge sulla cartolarizzazione dei crediti si compone di sette articoli che definiscono la natura dell’operazione, i soggetti coinvolti, le modalità operative, gli obblighi fiscali e di bilancio e quelli di vigilanza. In base alle disposizioni dettate dalla Legge la cartolarizzazione italiana si configura come un’operazione che prevede la cessione a titolo oneroso di crediti pecuniari, sia esistenti sia futuri, individuabili in blocco (se si tratta di una pluralità di crediti) ad opera di un originator (anche non finanziario) ad un’entità esterna che ha natura di intermediario finanziario. L’art. 7, tuttavia, rende applicabili le norme anche ad operazioni di cartolarizzazione che si realizzano tramite l’erogazione di un finanziamento al soggetto cedente (subpartecipation) o mediante la cessione di crediti a fondi comuni di investimento. Di conseguenza, sono tre i modelli di securitisation tipizzati dalla legislazione italiana: la cartolarizzazione mediante SPV (modello anglosassone), la subpartecipation e la cessione dei crediti a fondi comuni di investimento (modello franco-spagnolo). La Legge n. 130/1999 non precisa la possibile natura del soggetto originator rendendo accessibile, in questo modo, la tecnica della cartolarizzazione a qualunque operatore interessato; al contrario il legislatore individua i crediti collateralizzabili, che devono essere pecuniari, esistenti o futuri e individuabili in blocco, se si tratta di una pluralità di crediti. Il veicolo, che il legislatore chiama “società per la cartolarizzazione dei crediti”, assume natura di intermediario finanziario, deve essere iscritto all’elenco generale 175 (ex art. 106 del TUB) e la sua attività viene circoscritta alla realizzazione di una o più cartolarizzazioni assicurando, in tal modo, la natura di special purpose company. La Legge in commento è contraddistinta da un carattere derogatorio che si è rilevato necessario al fine di rimuovere gli impedimenti normativi che per lungo tempo hanno ostacolato lo sviluppo della securitisation in Italia. I principali limiti alla conclusione delle operazioni di cartolarizzazione prima della Legge n. 130/1999 erano causati dall’art. 2410 C.C. e dal principio della responsabilità patrimoniale consacrato dall’art. 2740 C.C. che rendevano impossibile la realizzazione di securitisation interamente organizzate all’interno del nostro paese. Per questo motivo, la maggior parte delle operazioni concluse prima dell’entrata in vigore della Legge n. 130/1999 erano attuate grazie all’intervento di uno SPV estero che curava l’emissione dei titoli ABS. L’art. 2410 C.C. rappresentava il limite formale e sostanziale alla realizzazione di cartolarizzazioni in quanto rendeva impossibile l’emissione di obbligazioni oltre il valore del capitale sociale versato ed esistente secondo l’ultimo bilancio approvato. È evidente che l'art. 2410 C.C. inficiava uno dei benefici dell'operazione quello di smobilizzare i crediti per ottenerne liquidità – dal momento che il veicolo di diritto italiano, per offrire al pubblico i propri titoli, avrebbe dovuto necessitare di un capitale pari, almeno, al valore nominale dei titoli stessi 176 in netto contrasto con il connotato di thin capitalization proprio del veicolo. Il legislatore ha quindi previsto l’inapplicabilità (art. 5, comma 2) sia dei limiti quantitativi stabiliti per le emissioni obbligazionarie da parte delle banche sia dei limiti fissati dagli artt. 2410-2420 del C.C. per le imprese di altra natura 175 Il Decreto del Ministero del Tesoro del 4 Aprile 2001 aveva imposto l’obbligo di iscrizione del veicolo nell’elenco speciale (ex art. 107 del TUB) ma, con decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanze del 17 Febbraio 2009, n. 29, ha esentato le società per la cartolarizzazione dei crediti dall’iscrizione all’elenco speciale e disposto la cancellazione delle società per la cartolarizzazione dei crediti precedentemente iscritte. 176 È per questo motivo che prima della legge in materia di cartolarizzazione la raccolta di liquidità e l’emissione di titoli ABS veniva effettuata da uno SPV di diritto estero (diverso dalla società cessionaria dei crediti) che non risultava soggetto ai vincoli di patrimonializzazione per l’emissione di titoli e poteva anche permettere, in caso di residenza in paesi a fiscalità privilegiata, vantaggi di tipo fiscale. 142 sancendo l’irrilevanza del rapporto tra indebitamento derivante dall’emissione e il patrimonio della società veicolo nel caso di operazioni di securitisation. Ai sensi dell’art. 2740 C.C. il debitore risponde dell’adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri. Tale norma poneva dei problemi alla segregazione patrimoniale – isolamento del portafoglio crediti oggetto di cartolarizzazione sia dall’originator sia da altri portafogli cartolarizzati - e all’esigibilità limitata dei crediti incorporati in titoli – la garanzia dei titoli ABS risiede esclusivamente sui cash flow derivanti dal portafoglio crediti e non sul patrimonio del veicolo. La segregazione patrimoniale congiuntamente alla minimizzazione dei rischi di commistione tra i pool di asset e il patrimonio del veicolo è assicurata nella Legge n. 130/1999 dall’art. 3, comma 2 – “i crediti relativi a ciascuna operazione costituiscono patrimonio separato a tutti gli effetti da quello della società e da quello relativo alle altre operazioni. Su ciascun patrimonio non sono ammesse azioni da parte di creditori diversi dai portatori dei titoli emessi per finanziare l'acquisto dei crediti stessi” – il quale è posto anche a salvaguardia della caratteristica di bankruptcy remoteness del veicolo. Al fine, invece, di rendere il portafoglio cartolarizzato insensibile alle pretese di soggetti diversi dai sottoscrittori dei titoli ABS interviene l’art. 1, comma 1, lett. b che impone un preciso vincolo di destinazione agli incassi derivanti dal portafoglio cartolarizzato: “le somme corrisposte dai debitori ceduti sono destinate in via esclusiva, al soddisfacimento dei diritti incorporati nelle ABS e al pagamento dei costi dell'operazione”. L’effetto raggiunto è duplice in quanto i creditori ordinari non possono vantare diritti sul portafoglio ceduto e gli investitori si possono soddisfare esclusivamente sui flussi di cassa dei crediti ceduti e non anche sul patrimonio del veicolo. La norma deve essere coordinata con quanto disposto dall’art. 4, comma 2, ai sensi del quale, a partire dal momento della pubblicazione della notizia dell’avvenuta cessione in Gazzetta Ufficiale, sui crediti acquistati e sulle somme corrisposte dai debitori originari sono ammesse azioni soltanto a tutela dei diritti dei sottoscrittori delle ABS. La combinazione delle norme appena richiamate deroga al principio della responsabilità patrimoniale previsto all’art. 2740 C.C. nel senso della impossibilità che creditori ordinari aggrediscano il patrimonio segregato a seguito di cartolarizzazione (Rumi, 2001) garantendo, al tempo stesso, l’isolamento delle attività cartolarizzate e la bankruptcy remotness del veicolo ossia le due caratteristiche essenziali per il buon esito dell’operazione sia in termini di raggiungimento degli obiettivi prefissati sia in termini di successo del collocamento dei titoli e protezione degli investitori. La protezione degli investitori in ABS dipende, non solo dalla caratteristica di società a basso rischio di insolvenza dell’SPV, ma anche dalla modalità ed efficacia della cessione dei crediti disciplinata all’art. 4 della Legge in commento. L’efficacia della cessione è strettamente collegata con il problema dell’opponibilità nei confronti dei debitore ceduti. Tale problema ha costituito, per lungo tempo, un grave ostacolo alle cartolarizzazioni di portafogli di originator italiani poiché, a causa del rilevante numero di debitori normalmente ceduti in tali operazioni, le notificazioni della cessione risultavano estremamente onerose e time consuming. Il problema è stato superato dalla Legge n. 130/1999 la quale estende la procedura prevista dall’art. 58 del TUB (commi 2, 3 e 4); di conseguenza la notizia della cessione deve essere fornita mediante pubblicazione in Gazzetta Ufficiale e, a partire dalla data di pubblicazione, la cessione è vincolante nei confronti dei debitori ceduti, senza la necessità di una notifica individuale. Inoltre, con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale tutti i privilegi e le garanzie di qualsiasi tipo, inerenti i crediti ceduti, si trasferiscono automaticamente al veicolo, conservando la loro validità e il loro grado, senza bisogno di alcun adempimento aggiuntivo. Il risultato a cui giunge la disciplina in tema di cartolarizzazione è che l’opponibilità nei 143 confronti dei debitori prescinde sia dalla notifica sia dalla conoscenza che essi possono avere o non avere avuto della cessione. Infine, i sottoscrittori dei titoli cartolarizzati sono tutelati in caso di fallimento dei debitori ceduti mediante disposizioni particolarmente vantaggiose: i pagamenti effettuati dai debitori restano acquisiti a favore degli investitori finali senza possibilità di revocatoria anche se il cedente era a conoscenza dello stato di insolvenza del debitore ceduto, dal momento che essi costituiscono patrimonio separato e sono destinati al soddisfacimento dei portatori dei titoli. In caso di fallimento dell’originator o del veicolo, invece, la disciplina ha introdotto limiti temporali molto brevi per l’esercizio di azioni revocatorie favorendo l’isolamento del rischio del portafoglio dei crediti ceduti dal rischio della banca cedente o del veicolo. La Legge n. 130/1999 oltre ad essere dotata di natura derogatoria rappresenta anche una legislazione che lascia ampio spazio di operatività. Infatti, la Legge in merito alla scelta delle attività da cartolarizzare non pone limiti circa l’esistenza di tali attività - possono essere esistenti o future177 - e circa la loro qualità – è possibile cartolarizzare sia crediti in bonis sia nonperforming. Le possibilità di applicazione risultano quindi illimitate anche se circoscritte all’universo dei crediti pecuniari e limitate in parte dall’esigenza di selezionare assets in grado di garantire flussi di cassa prevedibili, stabili e quantificabili. Con riferimento alla cessione di crediti in sofferenza la cartolarizzazione viene interpretata come un nuovo approccio per affrontare la problematica dei crediti anomali che, alla fine degli anni Novanta, stava mettendo in pericolo l’efficienza di molti istituti italiani. La nuova normativa promuove l’utilizzo della securitisation per ristrutturare la gestione dei crediti anomali attraverso un trattamento contabile e fiscale delle perdite derivanti dalla cessione dei crediti di favore. Nello specifico l’art. 6, comma 3, prevede per le operazioni effettuate entro due anni dall’entrata in vigore della Legge stessa che le perdite e gli accantonamenti conseguenti alla cessione di crediti possano essere registrate in diminuzione delle riserve patrimoniali e incluse gradualmente nel conto economico della banca ripartendole in cinque anni. Tale disposizione conduceva a un vantaggio di tipo fiscale poiché, in deroga a quanto era previsto dal T.U. delle imposte sui redditi, determinava una ripartizione nel tempo anche delle deduzioni fiscali. Le agevolazioni fiscali conseguibili spiegano il dominio delle operazioni di securitisation di crediti anomali in Italia nel periodo successivo all’entrata in vigore della Legge. Il carattere di legislazione altamente flessibile riemerge dalla considerazione che non viene neppure stabilito il metodo di trasferimento degli attivi ossia se la cessione debba essere pro soluto o pro solvendo. L'unica condizione necessaria affinché si applichi la disciplina della cartolarizzazione è che la cessione dei crediti avvenga a titolo oneroso. Tuttavia, affinché l’originator possa beneficiare del trattamento off-balance sheet dei crediti cartolarizzati è necessario che la cessione all’SPV avvenga pro soluto; parimenti la natura di true sale si realizza quando il cedente si spoglia effettivamente del rischio e degli obblighi relativi agli attivi ceduti ovvero solamente a seguito di un trasferimento pro soluto. La legislazione in tema di cartolarizzazione è, quindi, caratterizzata da una natura altamente derogatoria, da elevata flessibilità e lascia ampi margini discrezionali in tema di strutturazione dell’operazione. Tra i pregi della normativa, oltre ad essere indispensabile per accelerare il processo di diffusione delle ABS, c’è da menzionare il buon livello di protezione riservato 177 Con il termine crediti futuri si indica i crediti non ancora esistenti generabili dal normale esercizio dell’attività del cedente e che abbiano una realistica probabilità di manifestazione; in sostanza non sono considerati i crediti la cui manifestazione dipende dal verificarsi di eventi particolari o improbabili. La possibilità di cartolarizzare anche i crediti futuri apre la strada alle cartolarizzazioni di tipo revolving. 144 agli investitori raggiunto con il trattamento di favore con riguardo alle norme sulla revocatoria fallimentare e sull’opponibilità della cessione. Infatti, da un lato, la deroga assoluta per i pagamenti dei debitori permette agli investitori in ABS di non correre il rischio di dover restituire le somme già incassate dai debitori ceduti italiani mentre la riduzione dei termini di revocatoria per gli altri casi testimoniano la volontà del legislatore di garantire investitori e mercati. Dall’altro lato, la notifica della cessione tramite pubblicazione in Gazzetta Ufficiale consente di rendere efficace la cessione senza oneri proibitivi. Gli investitori sono tutelati anche dalla natura di special purpose company riservata all’SPV al quale è imposto il divieto di intraprendere altre attività estranee alla cartolarizzazione evitando, in questo modo, il sorgere di debiti legati ad altre attività di natura finanziaria o industriale. Il grado di protezione degli investitori, infine, è assicurato anche dall’obbligo di rating per le ABS offerte a investitori non professionali. La scelta di non estendere tale requisito anche alle offerte rivolte a investitori professionali è giustificata dalle maggiori competenze nell’ambito di valutazione degli investimenti di questi operatori e dalla necessità di non aggravare i costi dell’operazione, tuttavia, l’assenza del rating potrebbe limitare il livello di circolazione dei titoli. È opportuno sottolineare la mancanza di disposizioni che garantiscano l’indipendenza dell’originator dal veicolo con la conseguenza che l’originator può detenere quote più o meno significative di capitale del veicolo. L’assenza di una richiesta esplicita di indipendenza giuridica della società veicolo dall’originator costituisce una lacuna della normativa italiana particolarmente rilevante in un’ottica di protezione degli investitori inoltre, potrebbe generare un rischio sistemico difficilmente valutabile. Considerando la caratteristica di mercato delle ABS giovane al momento dell’entrata in vigore della Legge n. 130/1999, deve essere interpretata favorevolmente la disposizione di previsione di un prospetto informativo anche per le sollecitazioni rivolte ai soli investitori istituzionali giustificata dall’esigenza di assicurare a tutte le operazioni di securitisation un grado di trasparenza che faciliti il collocamento e la negoziabilità dei titoli. È da considerare un pregio anche l’ampio grado di libertà concesso dalla legislazione. Tale qualità è rintracciabile nella facoltà lasciata agli operatori di scegliere l’opzione strutturale più conveniente tra il modello anglosassone, il modello franco-spagnolo e la subpartecipation. Inoltre, il legislatore ha voluto estendere la tecnica della cartolarizzazione a qualsiasi tipologia di credito pecuniario e, di conseguenza, ha permesso il ricorso alla securitisation a originator di qualsiasi natura. L’ampio margine discrezionale è affermato anche dalla possibilità, riconosciuta al veicolo, di svolgere contemporaneamente più programmi di cartolarizzazione e di avere rapporti con più originator e, al tempo stesso, il grado di tutela degli investitori è adeguatamente salvaguardato dalla netta separazione tra i diversi pool di asset e tra questi e il patrimonio del veicolo. È indubbio che la Legge n. 130/1999 attraverso l’elevata flessibilità di cui è dotata ha assicurato snellezza e speditezza alle operazioni di cartolarizzazione e al contempo il carattere derogatorio ha reso meno problematica l’articolazione dell’operazione stessa risolvendo la gran parte dei problemi di natura civilistica e fiscale che gli operatori avevano dovuto affrontare in assenza di una normativa specifica; tuttavia la disciplina italiana è risultata a tratti gravemente lacunosa ed è stata oggetto di problemi interpretativi ed applicativi. In quest’ottica comparando la Legge in commento e le normative degli altri paesi europei emerge la mancanza della figura del trustee, operatore rilevante per la trasparenza e la tutela degli investitori. Si ravvisano lacune in merito al richiamo all’art. 58 del T.U.B. dal momento 145 che non viene definito il contenuto della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale né il soggetto preposto a tale compito qualora il cessionario sia diverso dall’emittente. La scelta del legislatore di presentare la cartolarizzazione come uno strumento per fare pulizia nei bilanci delle banche e sbarazzarsi dei bad loans costituisce una visione distorta di tale strumento. La cartolarizzazione dei crediti nonperforming, infatti, può accentuare il peggioramento complessivo del portafoglio crediti per effetto della presenza del rischio di moral hazard nelle politiche di lending o potrebbe pregiudicare la possibilità per l’originator di accedere in futuro al mercato della cartolarizzazione. Lo stesso European Securitisation Forum (ESF) in una lettera del Giugno 2004 indirizzata alla Banca d’Italia e al Ministro dell’Economia e delle Finanze è intervenuto affermando la necessità di rivedere la Legge n. 130/1999 al fine di rafforzare la normativa stessa e rinvigorire il mercato italiano attirando l’attenzione sull’esigenza di ampliare gli asset type collateralizzabili e di risolvere alcuni problemi relativi alla segregazione degli attivi (European Securitisation Forum, 2004). Infatti, per quanto riguarda le classi di attivo passibili di cartolarizzazione, la legislazione italiana si riferisce esclusivamente alla cartolarizzazione di portafogli di crediti ed esclude, quindi, la conclusione di operazioni aventi come sottostante altre attività. Infine, a causa dell’assenza di una disciplina specifica per quanto riguarda la cartolarizzazione sintetica e repackaging il mercato italiano delle cartolarizzazioni, pur rappresentando uno dei mercati più sviluppati in Europa, è contraddistinto dalla quasi totalitaria presenza di securitisation di tipo tradizionale, mentre, le operazioni più sofisticate e innovative hanno trovato sporadica diffusione. Di fatti la Legge n. 130/1999 non sembra rappresentare il riferimento normativo ideale per le cartolarizzazioni innovative a causa dei limiti in ordine alla possibilità di cartolarizzare i crediti futuri, di segregare dal patrimonio dell’originator gli asset da cartolarizzare e, secondariamente, risulta penalizzante sul piano fiscale poiché prevede un regime di tassazione sfavorevole per i titoli che prevedono il rimborso del capitale entro i 18 mesi successivi all’emissione 178. Degno di nota è la modifica alla Legge n. 130/1999 con l’introduzione del nuovo art. 7 bis 179 (“Obbligazioni bancarie garantite”) che disciplina l’emissione dei covered bond sul mercato italiano. Il nuovo articolo accompagnato dal regolamento attuativo della Banca d’Italia ha reso realizzabile l’emissione di covered bond i quali potrebbero affermarsi come una valida alternativa alle cartolarizzazioni tradizionali soprattutto per le banche di maggiori dimensioni. Concludendo la Legge n. 130/1999 sebbene abbia costituito un buon punto di partenza per la modernizzazione del sistema finanziario italiano e abbia sopperito al grave ritardo accumulato nei confronti degli altri paesi europei non è risultata esente da limiti ed omissioni e, ad oggi, non rappresenta il quadro regolamentare adeguato per gli schemi di cartolarizzazione più sofisticati. 178 La Legge n. 130/1999 assegna alle ABS il trattamento fiscale previsto per le obbligazioni emesse da banche o da società per azioni con azioni negoziate in mercati regolamentati italiani (art. 6, comma 1) il che comporta, su interessi ed altri proventi maturati sui titoli, l’applicazione dell’aliquota del 12,50%, però, le ABS con scadenza inferiore ai 18 mesi subiscono una tassazione con aliquota del 27%. Da questa considerazione è evidente che il mercato dei titoli cartolarizzati con scadenze a breve termine risulta particolarmente penalizzato. 179 Modifica intervenuta per effetto del D.L. n. 35 del 14 marzo 2005, convertito, con modifiche, nella Legge n. 80 del 14 maggio 2005. 146 5.4 L’applicazione di Basilea 2 in Italia Nell’ordinamento italiano, come per gli altri paesi dell’Unione Europea, la disciplina sull’adeguatezza patrimoniale delle banche e delle imprese di investimento è entrata nell’ordinamento attraverso il recepimento delle Direttive 2006/48/CE (relativa all'accesso all'attività degli enti creditizi ed al suo esercizio) e 2006/49/CE (relativa all'adeguatezza patrimoniale delle imprese di investimento e degli enti creditizi). Il nostro sistema di vigilanza regolamentare ha recepito Basilea 2 con la Circolare n. 263 del 27 Dicembre 2006 della Banca d’Italia “Nuove disposizioni di vigilanza prudenziale per le banche”, che contiene la nuova disciplina prudenziale per le banche e i gruppi bancari. Il recepimento di Basilea 2 nell’ordinamento interno non è avvenuto con una mera trasposizione delle normativa comunitaria la quale è stata, invece, opportunamente adattata alle specifiche esigenze della realtà economica, giuridica e istituzionale del nostro paese. Le regole di Basilea 2 sono entrate in vigore nel Gennaio 2007 ma, di fatto, la maggior parte degli intermediari ha esercitato l’opzione di posticiparla di un anno. Si tratta di una decisione che riflette la complessità dei problemi da risolvere e la preferenza per soluzioni più complete e definitive. Le nuove disposizioni di vigilanza prudenziale si applicano: - su base individuale, alle banche autorizzate in Italia, ad eccezione delle succursali di banche extracomunitarie aventi sede nei paesi del Gruppo dei Dieci; - su base consolidata: - ai gruppi bancari; - alle imprese di riferimento, con riguardo anche alle società bancarie, finanziarie e strumentali controllate dalla società di partecipazione finanziaria madre nell’UE; - ai componenti del gruppo sub-consolidanti. La disciplina tende a evitare un’eccessiva prescrittività, fornendo, accanto a criteri generali e principi, linee guida applicative e indicazioni su prassi ritenute accettabili, diffuse e utilizzate presso gli intermediari. In tal modo si perseguono due ordini di obiettivi, da un lato, si cerca di preservare i vantaggi di una regolamentazione per obiettivi (adattabilità all’innovazione finanziaria e libertà per gli intermediari di introdurre nuove tecniche di gestione dei rischi); dall’altro, si mira a ridurre l’incertezza degli operatori sull’accettabilità delle metodologie da essi elaborate. Inoltre, come si vedrà nel testo di seguito, le nuove disposizioni prudenziali hanno dato larga attuazione al principio di proporzionalità in base al quale gli adempimenti richiesti agli operatori sono proporzionati alle loro dimensioni, alle caratteristiche operative e alla rilevanza dei rischi che assumono. Poiché la disciplina relativa alle operazioni di cartolarizzazione secondo Basilea 2 è stata ampiamente presentata al Capitolo 4 qui di seguito si riportano soltanto alcune caratteristiche peculiari della disciplina prudenziale applicata in Italia cercando di far risaltare il rigore con cui la Banca d’Italia ha applicato la vigilanza prudenziale sul capitale assicurando al sistema bancario nazionale una maggiore resistenza e robustezza a fronte del periodo critico di crisi. Requisiti patrimoniali Come si è avuto modo di vedere nel Capitolo 4 il Nuovo Accordo sul Capitale fa rientrare nello schema delle cartolarizzazioni tutte le operazioni che coinvolgono una o più esposizioni per le quali sia previsto (o sia possibile prevedere) la segmentazione (tranching) del profilo di 147 rischio di credito. L’approccio generale della nuova disciplina si basa sulla valutazione dell’effettivo ammontare di rischio di credito realmente trasferito o ristrutturato mediante la cartolarizzazione. Il requisito patrimoniale è diversificato sulla base del ruolo giocato dalle banche nell’ambito della cartolarizzazione. Le nuove disposizioni di vigilanza prudenziale definiscono il concetto di “trasferimento significativo del rischio di credito a terzi” che rappresenta uno dei requisiti che permettono alla banca originator di escludere le esposizioni cartolarizzate dal calcolo delle attività ponderate per il rischio. Prima di presentare le condizioni per cui si ha un trasferimento significativo del rischio di credito si definisce “requisito post cartolarizzazione” il requisito prudenziale calcolato in base all’applicazione della disciplina sulla cartolarizzazione e “requisito ante cartolarizzazione” il requisito prudenziale calcolato sulle attività cartolarizzate. Il rischio di credito non è considerato significativamente trasferito qualora il requisito post cartolarizzazione risulti uguale o superiore al requisito ante cartolarizzazione. Se, invece, il requisito prudenziale post cartolarizzazione risulta inferiore a quello ante cartolarizzazione si applicano i seguenti criteri: - si ha trasferimento significativo del rischio di credito se la banca detiene posizioni di tipo junior da sole oppure insieme a posizioni di tipo senior (in presenza di posizioni mezzanine) o se detiene solo posizioni senior; - se l’originator detiene posizioni verso la cartolarizzazione di tipo mezzanine da sole o unitamente a posizioni del tipo junior e/o senior, si distinguono due casi: - non si ha un trasferimento significativo del rischio di credito se l’originator detiene posizioni mezzanine e il rapporto tra requisito post cartolarizzazione e quello ante cartolarizzazione è pari o superiore al 90%; - la valutazione sul significativo trasferimento del rischio di credito è rimessa ai cedenti, avendo presente la sostanza economica qualora il rapporto tra il requisito patrimoniale post cartolarizzazione e il requisito patrimoniale ante cartolarizzazione è inferiore al 90%. I suddetti requisiti sono piuttosto severi soprattutto se comparati con la definizione di significatività di trasferimento del rischio di credito proposta dalla Commissione Europea. Nella proposta della Commissione si ha un significativo trasferimento del rischio di credito se: - l’ammontare dell’esposizione ponderata delle posizioni mezzanine detenute dall’originator non supera il 50% dell’ammontare complessivo delle esposizioni ponderate per il rischio attinenti a tutte le posizioni mezzanine; - in assenza di tranche mezzanine, l’originator non detiene più del 20% delle posizioni verso la cartolarizzazione che sarebbero soggette alla ponderazione del 1250%; - pur non essendo rispettate le suddette condizioni, l’Autorità di Vigilanza, sulla base di un’analisi caso per caso, ritiene che vi sia stato un significativo trasferimento del rischio di credito, qualora la riduzione di requisito patrimoniale per l’originator sia giustificato da un “commensurate and material” trasferimento del rischio a terzi. La proposta della Commissione sembra più favorevole al mercato rispetto all’interpretazione della Banca d’Italia. Si possono, infatti, simulare diversi casi in cui si avrebbe significatività del trasferimento del rischio di credito per la Commissione, mentre non lo si avrebbe seguendo la normativa della Banca d’Italia. È evidente, quindi, che la Banca d’Italia ha dato un’interpretazione severa in materia di trasferimento del rischio delineando in tal modo un trattamento prudenziale delle cartolarizzazioni fra i più rigorosi. 148 Come si detto al Capitolo 4 la banca vigilata ai fini del calcolo dei requisiti patrimoniali applica l’approccio standard o l’approccio IRB in base al metodo utilizzato per le attività sottostanti. Disciplina di controllo prudenziale Il recepimento del secondo pilastro da parte della Banca d’Italia tiene conto, non solo delle disposizioni contenute nel Nuovo Accordo ma anche delle indicazioni formulate dal Committee of European Banking Supervision (CEBS) relativamente al processo di controllo prudenziale. La regolamentazione italiana, se comparata a quella degli altri paesi europei, è particolarmente ricca nel dare un contenuto all’obiettivo che il secondo pilastro si prefigge di ottenere ossia un’autovalutazione di tutti i rischi che l’intermediario fronteggia compresi quelli meno probabili ma di maggiore impatto, dell’adeguatezza dei propri sistemi organizzativi e di controllo e della propria dotazione di capitale. Abbiamo visto come il secondo pilastro del Nuovo Accordo si possa scomporre in due fasi separate: l’ICAAP e lo SREP. L’ICAAP, di competenza dell’intermediario vigilato, consiste nella valutazione dell’adeguatezza patrimoniale che conduce alla determinazione del capitale complessivo adeguato in termini attuali e prospettici a fronteggiare tutti i rischi rilevanti. Lo SREP, invece, è di competenza della Banca d’Italia che espleta il vero e proprio momento di vigilanza. Su base annuale la Banca d’Italia verifica l’adeguatezza dei processi sottostanti l’ICAAP ed effettua una valutazione ulteriore dei rischi cui risulta esposto ogni intermediario. Il processo di controllo prudenziale si conforma al principio di proporzionalità, ravvisabile sia nell’ICAAP che nello SREP, inteso come criterio di esercizio del potere adeguato al raggiungimento del fine con il minore sacrificio degli interessi dei destinatari. In base al principio di proporzionalità: - i sistemi di governo societario, i processi di gestione dei rischi, i meccanismi di controllo interno e di determinazione del capitale ritenuto adeguato alla copertura dei rischi devono essere commisurati alle caratteristiche, alle dimensioni e alla complessità dell’attività svolta dalla banca; - la frequenza e l’intensità dello SREP tengono conto della rilevanza sistemica, delle caratteristiche, delle dimensioni e della complessità delle banche. Una conseguenza dell’applicazione del principio di proporzionalità si ritrova nella suddivisione degli operatori in tre classi distinte in base alla complessità dei sistemi di misurazione delle esposizioni alle varie fonti di rischio e/o in relazione alle loro dimensioni. La classe 1 comprende banche e gruppi bancari autorizzati all’utilizzo di almeno uno dei sistemi più avanzati per la misurazione del rischio di credito, operativo e di mercato (ossia il metodo IRB, o il metodo AMA o i modelli interni). La classe 2, invece, riunisce banche e gruppi bancari che utilizzano metodologie standardizzate, con attivo, rispettivamente, consolidato o individuale superiore a 3,5 miliardi di Euro. La distinzione tra la classe 2 e la classe 3 è meramente quantitativa dal momento che della classe 3 fanno parte le banche e gruppi bancari con attivo consolidato o individuale pari o inferiore a 3,5 miliardi di Euro. Per quanto riguarda l’ICAAP viene lasciata ampia discrezionalità agli operatori; non vengono fornite indicazioni di tipo obbligatorio bensì solamente linee guida applicative che costituiscono semplicemente delle best practice. Le singole banche, pertanto, hanno ampia autonomia sia per quanto concerne la scelta dei processi e delle metodologie organizzative funzionali alla rilevazione dei rischi a cui è esposta la banca, sia per la definizione delle strategie tese a individuare l’eventuale fabbisogno di capitale cui potrebbero essere esposte 149 per la presenza di rischi aggiuntivi rispetto a quelli previsti dal primo pilastro e non ultimo anche per l’individuazione dei sistemi di governance che meglio possano assicurare una gestione efficace dell’ICAAP. L’ICAAP può essere scomposto in quattro fasi distinte: 1) individuazione dei rischi da sottoporre a valutazione; 2) misurazione/valutazione dei singoli rischi e del relativo capitale interno; 3) misurazione del capitale interno complessivo; 4) determinazione del capitale complessivo e riconciliazione con il patrimonio di vigilanza. I rischi da sottoporre a valutazione comprendono: - i rischi del primo pilastro (di credito – compreso il rischio di controparte -, di mercato e operativo); - il rischio di concentrazione; - il rischio di tasso di interesse derivante da attività diverse dalla negoziazione; - il rischio di liquidità; - il rischio residuo; - i rischi derivanti da cartolarizzazioni; - il rischio strategico; - il rischio di reputazione. Il suddetto elenco non è esaustivo infatti, è di competenza della banca l’individuazione di tutte le fonti di rischio connesse alla propria operatività e ai mercati di riferimento. Per rischi derivanti da cartolarizzazione si intende il rischio che la sostanza economica dell’operazione di cartolarizzazione non sia pienamente rispecchiata nelle decisioni di valutazione e di gestione del rischio. Per questo tipo di rischio, difficilmente quantificabile, non vengono fornite regole di quantificazione concreta della reale esposizione al rischio, tuttavia la Banca d’Italia si attende che gli intermediari vigilati procedano ad un’autonoma ed adeguata valutazione (quantitativa o qualitativa) della possibile esposizione al rischio medesimo, imperniata su procedimenti e metodologie interne. Viene ribadita l’importanza delle tecniche di stress test le quali, da un lato, consentono la valutazione dell’esposizione al rischio in circostanze avverse e del capitale interno necessario a coprire il medesimo e, dall’altro, permettono di verificare il risultato e l’accuratezza dei modelli di valutazione del rischio. Le banche e i gruppi bancari trasmettono con cadenza annuale (banche individuali entro il 31 Marzo, gruppi bancari entro il 30 Aprile) alla Banca d’Italia un resoconto sul processo ICAAP, riferito al 31 Dicembre dell’anno precedente, contenente informazioni di tipo descrittivo e valutativo. La parte descrittiva comprende informazioni concernenti l’articolazione del processo ICAAP a livello aziendale mentre, la parte valutativa, comprende una sorta di autovalutazione del processo di pianificazione e gestione del patrimonio. Nonostante la periodicità annuale della determinazione del capitale interno complessivo, la valutazione/misurazione dell’esposizione ai singoli rischi è necessario che avvenga a intervalli più brevi in relazione sia alla tipologia di rischi, sia alle metodologie utilizzate. Al fine di tenere conto degli elementi di novità e della complessità del processo sottostante l’ICAAP la sua introduzione è stata graduale. È stato, infatti, previsto che i primi resoconti potessero prendere in considerazione solo i rischi più rilevanti e adottare metodologie non completamente affinate. Lo SREP consiste in un controllo ex post sull’efficacia dell’ICAAP ed è composto dalle seguenti fasi: 1) analisi dell’esposizione a tutti i rischi rilevanti assunti e dei relativi sistemi di controllo; 2) verifica del rispetto dei requisiti patrimoniali e delle altre regole prudenziali; 3) valutazione del procedimento aziendale di determinazione del capitale interno complessivo e dell’adeguatezza del capitale complessivo rispetto al profilo di rischio della banca; 4) 150 attribuzione di giudizi specifici relativi a ciascuna tipologia di rischio e di un giudizio complessivo sulla situazione aziendale; 5) individuazione degli eventuali interventi di vigilanza da porre in essere. Lo SREP è fondato sulla logica del confronto che costituisce parte integrante dell’intero processo di revisione e valutazione prudenziale svolto dalla Vigilanza. Infatti, un rapporto di costante collaborazione tra Autorità di Vigilanza e soggetti vigilati rende più agevole e meno burocratica l’attività di controllo espletata dalla Banca d’Italia. Il principio di proporzionalità è presente anche nello SREP infatti, l’attività di analisi e controllo, nonché l’intensità e la frequenza del confronto con le banche sono calibrate in funzione ai profili di rischio e alle dimensioni operative delle banche stesse. L’intervento della Banca d’Italia nello SREP avviene mediante un sistema di analisi aziendale a carattere standardizzato, imperniato su sistemi di rating della rischiosità degli intermediari, rispondenti a logiche di natura quantitativa (Iacopozzi, 2009). I controlli condotti dall’Autorità di Vigilanza possono essere a distanza o in loco presso l’intermediario tramite ispezioni; questi ultimi permettono di apprezzare in maniera diretta gli aspetti di natura organizzativa, la funzionalità degli assetti di governo, del sistema dei controlli interni, delle procedure aziendali e l’attendibilità di dati e informazioni comunicati all’Autorità Vigilanza. Nel caso in cui siano riscontrate inadeguatezze o carenze nell’ICAAP o, più in generale, criticità nella complessiva situazione aziendale sono richiesti degli interventi correttivi che vanno dal rafforzamento dei sistemi per la gestione dei rischi fino a provvedimenti specifici che mirano al rafforzamento della struttura patrimoniale. Informativa al pubblico É noto che il terzo pilastro mira a rafforzare gli obblighi informativi a carico delle banche vigilate al fine di potenziare la disciplina di mercato. Le banche sono perciò chiamate a diffondere in modo completo, dettagliato, corretto ed entro le scadenze previste un pacchetto di informazioni rilevanti fissato dall’Autorità di Vigilanza. La Banca d’Italia, dal canto suo, verifica l’esistenza dei presidi organizzativi idonei a garantire l’affidabilità dei processi di produzione, elaborazione e diffusione delle informazioni. Il terzo pilastro può trovare applicazione, a seconda dei casi, su base individuale o consolidata. Nello specifico, le informazioni da divulgare al pubblico devono essere rese note su base individuale qualora la banca sia autorizzata in Italia, con eccezione di quelle appartenenti a gruppi bancari, alle succursali di banche extracomunitarie aventi sede nei paesi del Gruppo dei Dieci e di quelle che, pur non appartenendo ad un gruppo bancario, sono imprese di riferimento oppure sono controllate da un'impresa madre europea ed hanno un attivo totale di bilancio inferiore a 10 miliardi di Euro. I gruppi bancari, ad eccezione di quelli controllati da un'impresa madre europea quando il loro attivo totale di bilancio è inferiore a 10 miliardi di Euro, e le imprese di riferimento, con riguardo anche alle società bancarie, finanziarie e strumentali controllate dalla società di partecipazione finanziaria madre nell’Unione Europea, devono produrre le informazioni su base consolidata. Il principio di proporzionalità incontrato nel secondo pilastro viene ripreso anche nel terzo, infatti, in base a tale principio il livello di approfondimento delle informazioni da comunicare al pubblico è commisurato al grado di complessità dell’attività aziendale e dell’operatività di ogni banca. Il sito internet della banca rappresenta il mezzo mediante il quale rendere pubbliche le informazioni; nel caso in cui siano presenti impedimenti relativamente a questa opzione la banca vigilata ricorrerà al sito internet della propria associazione di categoria o, in alternativa, 151 alla stampa. La pubblicazione delle informazioni deve avvenire con cadenza annuale; il termine è ridotto a sei mesi per determinate informazioni quantitative e solo per le banche autorizzate ad utilizzare i sistemi interni per il calcolo dei requisiti patrimoniali sui rischi di credito od operativi. Sebbene alcune informazioni siano già rese note in altri documenti è vietato il rinvio ad altre fonti al fine di salvaguardare l'organicità e l'accessibilità alle informazioni. Le informazioni da divulgare hanno carattere quantitativo e qualitativo e sono classificate in quadri sinottici (tavole), ciascuno dei quali riguarda una determinata area informativa. Sebbene gli effetti della crisi finanziaria siano stati in Italia meno forti grazie a un modello di intermediazione fondamentalmente sano, sostenuto da un quadro regolamentare e una vigilanza prudenti, anche nel nostro paese saranno introdotti gli aggiornamenti a Basilea 2 presentati al paragrafo 4.5. Le proposte regolamentari che si vanno delineando devono, infatti, essere interpretate nel quadro di un generalizzato rafforzamento della stabilità del sistema finanziario globale e, pertanto, esse investono anche sistemi bancari che hanno retto meglio di altri l’onda d’urto della crisi. Il beneficio di una riforma condivisa a livello internazionale sarà generalizzato: la crisi ha dimostrato che le ripercussioni dei rischi introdotti da soggetti governati da regole meno stringenti si estendono anche a sistemi, come quello italiano, basati su modelli di business mediamente meno rischiosi e su una più incisiva azione di controllo da parte delle autorità. Le banche italiane sono entrate nella crisi con un’esposizione complessivamente contenuta verso i prodotti della finanza strutturata e una minore dipendenza dai mercati della raccolta all’ingrosso. La specializzazione della gran parte delle banche italiane nell’attività bancaria tradizionale ha contribuito a contenere l’impatto delle turbolenze, a mantenere una maggiore cautela nell’emissione di strumenti complessi e opachi e a frenare l’attività di investimento in prodotti di finanza strutturata. Il patrimonio delle banche italiane è maggiore ai minimi regolamentari e, nel confronto internazionale, la qualità del capitale è elevata: il rigore con cui è stata valutata la computabilità degli strumenti finanziari nel patrimonio di vigilanza, anche in tempi in cui il mercato sembrava tollerare livelli di rischio particolarmente elevati, ha comportato benefici per le banche stesse e l’economia nel complesso. Il grado di leva finanziaria del sistema bancario italiano è basso: nel 2008 a fronte di un rapporto tra totale attivo (on balance) e patrimonio di base pari a 34 per le principali banche europee i maggiori gruppi italiani registravano in media un valore di 24. Il perimetro della regolamentazione in Italia è sempre stato mantenuto ampio in modo da ricomprendere una vasta gamma di rischi e di intermediari; sono state dettate regole precise sull’operatività in prodotti strutturati; sono stati adottati criteri stringenti in materia di trasferimento significativo del rischio nelle operazioni di cartolarizzazione; sono stati richiesti alle banche italiane maggiori impegni in sede di informativa di bilancio e trasparenza; sono stati sottoposti a regolamentazione e controllo gli hedge fund al pari degli altri fondi. Soprattutto le norme e prassi di supervisione prudenti adottate dalla Banca d’Italia in materia di cartolarizzazioni potrebbero aver contribuito a contenere l’impatto della crisi: sin dal 2001 la normativa nazionale prevedeva criteri stringenti per il calcolo del patrimonio di vigilanza soprattutto se il rischio di credito non risultava effettivamente trasferito; sul piano segnaletico, le società veicolo di diritto italiano hanno l’obbligo di registrarsi presso la Vigilanza e di segnalare i crediti cartolarizzati alla Centrale dei Rischi; dal 2005 è stato imposto il consolidamento dei veicoli fuori bilancio nei casi in cui benefici e rischi rimangono nei fatti a carico degli intermediari. La Banca 152 d’Italia ha seguito queste linee ben prima dell’insorgere della crisi, nella convinzione che il rischio di credito e quello di liquidità possano scaturire dalla necessità per le banche di preservare la reputazione sui mercati, onorando impegni anche non vincolanti nei confronti di veicoli finanziari off-balance. Sono inoltre operative da alcuni anni norme che consentono di operare in prodotti finanziari e derivati complessi solo a operatori con adeguati presidi organizzativi e di controllo. Dall’insorgere della crisi l’azione della Banca d’Italia ha reso più intensi il monitoraggio sulla liquidità e la valutazione della dotazione patrimoniale delle banche. I controlli sulla liquidità, avviati nell’autunno 2007, hanno permesso di porre rimedio alle situazioni di squilibrio mentre, sul fronte patrimoniale, le analisi sono state rese più frequenti e le banche sono state richiamate a rispettare criteri di prudenza nella gestione e pianificazione delle risorse patrimoniali. Sono state anche intensificate le prove di stress, tra l’altro già da tempo condotte con regolarità da parte della Banca d’Italia, al fine di valutare la resistenza degli operatori vigilati in condizioni macroeconomiche negative. La limitata operatività nel campo della finanza innovativa e nella negoziazione di prodotti di credito strutturati più sofisticati induce a prevedere che l’impatto dell’inasprimento dei requisiti patrimoniali risulterà in media contenuto per le banche italiane. Nonostante ciò indubbiamente le modifiche regolamentari proposte dal Comitato di Basilea richiederanno alle banche italiane significativi adeguamenti. Sebbene esse partano da una situazione migliore di quella di altri sistemi bancari rimangono aperti aspetti importanti che potrebbero determinare conseguenze di rilievo. È il caso della deduzione dal patrimonio delle attività per imposte anticipate, il cui ammontare assume valori di assoluto rilievo per effetto dei vincoli nazionali alla deducibilità fiscale delle perdite su crediti. Prima della crisi i profitti delle banche sono stati molto elevati, con livelli di redditività superiori a quelli registrati negli altri settori produttivi. Non si può negare che ciò sia anche il frutto dall’assunzione di rischi troppo elevati, non adeguatamente coperti da risorse patrimoniali e di liquidità. L’insieme dei provvedimenti in discussione potrebbe quindi determinare una contrazione dei profitti delle banche, ma comporterà anche a un contenimento dei rischi da loro assunti (Banca d’Italia, 2010b). 153 154 6. Analisi dei Residential Mortgage Backed Securities italiani 6.1 Introduzione Il presente capitolo sarà dedicato all’analisi dei Residential Mortgage Backed Securities (RMBS) – titoli emessi a fronte di operazioni di cartolarizzazione di mutui ipotecari residenziali - con specifico riferimento a quelli italiani. I mutui ipotecari residenziali rappresentano la classe di attivo più cartolarizzata dalle banche originator nazionali le quali accedono al mercato della cartolarizzazione con l’obiettivo di accedere a fonti alternative di finanziamento. Inoltre, i RMBS italiani si sono distinti, nel mercato della securitisation europeo, per le buone performance registrate negli anni più recenti nonostante la diffusione della crisi finanziaria. Sebbene, infatti, la crisi finanziaria abbia colpito duramente il mercato della cartolarizzazione mondiale i RMBS nazionali, se comparati con quelli spagnoli e inglesi, hanno retto bene all’urto della crisi in termini di allargamento degli spread e di downgrading. Nei paragrafi seguenti ci si pone pertanto l’obiettivo di ricercare quei fattori che hanno contribuito alle buone perfomance dei RMBS italiani. 6.2 Caratteristiche dei Residential Mortgage Backed Securities italiani I RMBS, riprendendone la definizione presentata al paragrafo 2.3, sono titoli che rientrano nella più ampia famiglia delle ABS emessi a seguito di operazioni di cartolarizzazione di portafogli composti da mutui ipotecari residenziali. La finalità del mutuo ipotecario non costituisce un elemento discriminatorio tra mutui collateralizzabili e non infatti, sono passibili di cartolarizzazione tanto i mutui concessi per l’acquisto o ristrutturazione dell’abitazione di residenza tanto quanto quelli destinati all’acquisto o ristrutturazione di altri immobili. I mutui ipotecari hanno rappresentato la principale classe di attivo cartoralizzata dalle banche italiane e, quindi, i RMBS hanno avuto un ruolo di primo piano per lo sviluppo del mercato della cartolarizzazione nazionale. L’importanza del mercato italiano dei RMBS è riconosciuta anche dalle principali agenzie di rating che, nel corso dell’ultimo decennio, hanno predisposto specifici criteri di valutazione di questi titoli. Le strutture di cartolarizzazione adoperate dalle banche originator italiane sono per lo più di tipo tradizionale, relativamente semplici e, normalmente, l’emissione è organizzata in più tranche contraddistinte da una diversa seniority. Inoltre, di norma, la tranche più rischiosa e priva di rating viene trattenuta dalla banca stessa al fine di allineare gli interessi con quelli degli investitori e superare, quindi, i problemi legati all’adverse selection e al moral hazard dovuti al possesso, in capo all’originator, di maggiori informazioni circa la qualità degli asset cartolarizzati. Oltre al credit enhancement endogeno alle strutture di cartolarizzazione tranched spesso l’originator interviene a supporto dell’operazione provvedendo alla costituzione di un conto di riserva, inoltre, un soggetto terzo o l’originator stesso forniscono supporto alla liquidità al fine di assicurare il corretto pagamento degli investitori e di sopperire ad eventuali mismatch di liquidità tra l’epoca in cui si ricevono i cash flow dai debitori originari e l’epoca in cui sono programmati i pagamenti ai sottoscrittori di RMBS. Le principali caratteristiche dei portafogli di mutui ipotecari residenziali sottostanti i titoli RMBS sono (Chiarelli et al, 2006): 155 - elevato tasso di owner occupation; basso loan-to-value (LTV, rapporto tra la somma richiesta per il mutuo e il valore dell’immobile che si sta acquistando); - maggioranza di mutui a tasso variabile; - buona diversificazione geografica che riflette la presenza della banca originator sul territorio nazionale; - buona differenziazione tra i contratti di mutuo; - in caso di operazioni di cartolarizzazione realizzate in team da più originator i mutui “impacchettati” rispecchiano diverse politiche di origination e underwriting. In Figura 6.1 si nota chiaramente che, dal 2000 fino 2007, la quota di nonperforming loan cartoralizzata si riduce progressivamente (ad eccezione del 2005) mentre aumenta la quota dei crediti in bonis utilizzata come collateral di operazioni di cartolarizzazione. Nell’arco temporale analizzato, inoltre, assume sempre più importanza la quota di prestiti agli household cartoralizzati (nello specifico si registra un passaggio dal 22% registrato nel 2000 al 48% nel 2006 e al 58% nel 2007, vd. Figura 6.2). Figura 6.1: Qualità dei crediti bancari cartolarizzati 2000-2007 Fonte: Affinito et al (2010) Dall’entrata in vigore della legge in materia di cartolarizzazione i RMBS hanno rappresentato per gli originator bancari italiani una fonte di funding ricorrente (Affinito et al, 2010; Agostino et al, 2009). Infatti, le banche, grazie alla cartolarizzazione dei crediti hanno avuto accesso a una fonte di finanziamento alternativa ai depositi e, probabilmente, meno onerosa 180 la quale ha sostenuto lo sviluppo della domanda di mutui legata alla crescita del mercato immobiliare. Nonostante la decisione di cartolarizzazione sia il prodotto di più fattori, quali il conseguimento di profitti derivanti dal differenziale positivo tra valore di mercato degli attivi 180 La raccolta di fondi mediante securitisation potrebbe essere preferita rispetto alla raccolta tramite depositi a causa della breve durata e dei costi di quest’ultimi nonché alle disposizioni in materia di riserva obbligatoria a cui sono soggetti. La ricerca di una fonte alternativa di raccolta di liquidità può essere stata dettata, inoltre, dallo spostamento delle scelte di allocazione del risparmio delle famiglie italiane dai depositi bancari verso fondi comuni di investimento e azioni soprattutto nella seconda metà degli anni Novanta. 156 e valore di bilancio o il miglioramento della redditività, l’esigenza di recuperare liquidità è preponderante. Figura 6.2: Le controparti dei crediti bancari cartolarizzati 2000-2007 Fonte: Affinito et al (2010) Lo studio empirico di Bonaccorsi di Patti et al (2008) dimostra invece che, a parità di altre caratteristiche, i mutui cartoralizzati sono ex post mediamente meno rischiosi di quelli non cartoralizzati, nonostante i mutui concessi dalle banche, che effettuano un volume di cartolarizzazioni maggiore, siano risultati mediamente più rischiosi. I lavori di Affinito et al (2010) e di Bonaccorsi di Patti et al (2008) permettono di giungere a importanti conclusioni in merito ai metodi e agli scopi delle cartolarizzazioni attivate dalle banche italiane: - le banche nazionali hanno avuto accesso al mercato della cartolarizzazione prevalentemente per esigenze di funding piuttosto che per perseguire l’obiettivo di trasferire il rischio a soggetti più deboli come avvenuto negli Stati Uniti. Tale conclusione è confermata anche dalla predominanza di cartolarizzazioni di tipo tradizionale che permettono la raccolta di fondi; se l’unico obiettivo fosse stato il trasferimento del rischio di credito la struttura sintetica era da preferire in quanto meno costosa; - dalla minore rischiosità ex post dei mutui cartoralizzati rispetto a quelli non cartoralizzati si evince la scelta delle banche nazionali di privilegiare, per le cartolarizzazioni di mutui ipotecari, quelli più affidabili ad elevato standing creditizio. I RMBS italiani sono noti per essere contraddistinti da portafogli sottostanti di ottima qualità (basso LTV , bassi livelli di insolvenze e politiche di lending degli istituti di credito conservative). La buona qualità dei RMBS italiani è stata confermata dalle recenti turbolenze innescate nel comporto subprime dei prestiti statunitensi le quali, attraverso un effetto contagio hanno poi coinvolto l’intero mercato della cartolarizzazione americano ed europeo. Infatti, nel contesto Europeo, i RMBS italiani sembrano aver retto bene all’urto della crisi, sia in termini di allargamento degli spread sia in termini di declassamenti da parte delle agenzie di rating, soprattutto se comparati ai RMBS spagnoli e inglesi (si ricorda che Spagna e Regno Unito sono, assieme all’Italia, i principali mercati europei della cartolarizzazione). 157 Gli spread di titoli RMBS, nel periodo precedente l’avvio della crisi subprime, hanno mostrato una scarsa volatilità e si sono collocati su livelli storicamente bassi (vd. Figura 6.3). Un deciso ampliamento degli spread di titoli RMBS europei viene registrato a partire dall’estate del 2007 in risposta al grave deterioramento della qualità dei mutui subprime statunitensi che hanno causato declassamenti su ampia scala dei rating di RMBS assistiti da questi mutui e la chiusura di vari hedge fund esposti a questo comparto. Le vicende, infatti, che hanno interessato inizialmente il mercato americano hanno alimentato timori e incertezze tra la comunità degli investitori del comparto dei prodotti strutturati tali da provocare il ritiro dal mercato e, conseguentemente, l’allargamento senza precedenti degli spread dei titoli RMBS. In quella che oggi possiamo chiamare “prima fase” della crisi finanziaria l’Italia è stato il primo mercato della cartolarizzazione in Europa a vedere una delle sue principali istituzioni finanziarie declassata (Banca Italease) a causa di ingenti perdite subite su contratti derivati. A causa del ruolo di primo piano svolto dall’istituzione finanziaria nel mercato della cartolarizzazione italiano (Banca Italease interviene frequentemente nelle operazioni di securitisation in qualità di servicer) i timori degli investitori si sono estesi a tutto il mercato dei titoli asset-backed causando variazioni negli spread tra le più alte in Europa. Nei mesi successivi, a causa del clima di disordine e di incertezza sui mercati finanziari, gli spread di strumenti strutturati si allargarono ulteriormente, tuttavia, il punto critico fu raggiunto il 15 Settembre 2008 quando Lehman Brothers ha chiesto di essere ammessa alla procedura fallimentare (vd. Figura 6.3). Come è possibile notare dalle Figure 6.3 e 6.4 l’allargamento degli spread dall’autunno 2008 ha interessato tutti i RMBS, anche quelli con rating massimo, sia italiani sia emessi negli altri principali paesi europei. Seguendo l’evoluzione degli spread dei RMBS italiani si nota che essi si collocano su livelli sistematicamente inferiori rispetto ai RMBS spagnoli e a quelli inglesi (i valori estremamente elevati degli spread dei UK RMBS ha imposto la necessità di rappresentarli in un grafico separato) e, prendono quindi le distanze dalle operazioni di cartolarizzazione strutturate su bolle speculative immobiliari. In seguito agli interventi delle Banche Centrali in risposta alla crisi mondiale, alla diminuzione dell’Euribor e al miglioramento delle aspettative per il futuro gli spread hanno iniziato in epoche più recenti la fase di discesa. Analoghe conclusioni possono pervenire dall’analisi dei downgrading (a causa della mancanza di informazioni circa i declassamenti che hanno coinvolto i RMBS suddivisi per paese europeo si riportano i declassamenti di prodotti strutturati aggregati per paese europeo, vd. Tabella 6.1, 6.2, 6.3), infatti le ABS italiane sono state meno colpite - in termini di numero di declassamenti (non si hanno informazioni invece sull’entità della variazione del rating) – rispetto a quelle spagnole e inglesi segnale di una migliore qualità creditizia dei portafogli sottostanti. La buona performance dei RMBS italiani, alla luce della recente crisi finanziaria, è riconosciuta anche da due principali agenzie di rating: - Standard & Poor’s conferma la buona tenuta delle cartolarizzazioni italiane costruite sui mutui per l’acquisto di abitazioni. Tali operazioni, infatti, prendono le distanze dalle cattive performance delle cartolarizzazioni costruite sulle bolle speculative immobiliari in Spagna e Regno Unito (Bufacchi, 2009); - FitchRatings conferma l’opinione di Standard & Poor’s “performance of Italian securitised mortgage pools has so far been less severely hit by the global recession than other jurisdictions such as the UK and Spain” e sottolinea che tale andamento è riconducibile al basso livello di indebitamento degli household italiani, alle politiche 158 di erogazione del credito conservative e a un calo contenuto dei prezzi delle abitazioni residenziali (FitchRatings, 2009d). Inoltre, per il 2010, l’outlook della performance degli asset sottostanti i RMBS italiani è stabile/in ribasso mentre per Spagna e per UK RMBS-prime è in ribasso (FitcRatings, 2010). Figura 6.3: Spread di RMBS con rating AAA e scadenza 3-5 anni per diversi paesi europei Fonte: European Securitisation Forum (anni vari) Figura 6.4: Spread di UK RMBS con rating AAA e scadenza 3-5 anni Fonte: European Securitisation Forum (anni vari) 159 Tabella 6.1: Numero di upgrading/downgrading di titoli cartolarizzati Standard & Poor’s (2007-2009Q3) 2007 2008 2009 Q1 Q2 Q3 Q4 Totale Q1 Q2 Q3 Q4 Totale Q1 Q2 Q3 Totale Francia 2/0 0/0 0/0 1/0 3/0 1/2 0/6 0/0 1/10 2/18 2/10 0/10 0/1 2/21 Germania 17/0 5/2 3/3 9/0 34/5 1/7 5/12 5/31 7/13 18/63 1/13 1/15 0/48 2/76 Italia 4/0 6/5 3/1 7/0 20/6 10/0 1/7 5/0 11/8 27/15 5/5 5/9 8/8 18/22 Olanda 12/0 4/0 0/0 1/0 17/0 0/0 6/0 0/0 0/5 6/5 10/18 8/1 9/1 27/20 Spagna 0/0 4/0 9/0 3/0 16/0 6/1 0/0 0/7 0/57 6/65 11/33 4/63 0/61 15/157 UK 22/12 11/5 17/4 27/1 77/22 6/52 65/496 23/253 3/252 3/232 29/737 Totale Europa 126/65 81/72 92/77 83/145 382/359 51/494 65/651 101/486 38/1913 255/3544 71/1223 45/1321 30/1191 146/3735 32/107 19/74 8/263 Tabella 6.2: Numero di upgrading/downgrading di titoli cartolarizzati Fitch Ratings (20072009Q3) 2007 Q1 Q2 Q3 Francia 3/0 0/0 0/1 Germania 0/0 3/9 11/4 2008 Q4 Totale Q1 0/0 3/1 20/8 34/21 2009 Q2 Q3 Q4 Totale 0/0 0/2 0/10 0/2 0/14 4/1 7/17 3/8 3/10 17/36 Q1 Q2 Q3 Totale 0/0 0/5 0/18 0/23 4/65 5/28 6/65 15/158 Italia 7/1 6/0 5/0 19/0 37/1 2/10 0/3 11/8 1/9 14/30 1/17 11/2 1/7 13/26 Olanda 10/0 12/0 27/0 13/0 62/0 0/0 14/0 2/0 11/18 27/18 1/1 0/0 0/6 1/7 2/0 7/0 22/2 31/2 0/0 0/13 12/10 4/18 16/41 0/97 2/58 3/17 5/172 8/8 27/190 26/656 83/894 4/123 5/149 2/125 11/397 Spagna 0/0 UK 91/18 45/3 70/38 72/129 278/188 22/40 Totale Europa 116/19 78/12 124/44 163/139 481/214 36/61 33/159 63/226 52/728 184/1174 13/657 27/582 23/300 63/1539 Tabella 6.3: Numero di upgrading/downgrading di titoli cartolarizzati Moody’s (20072009Q3) 2007 2008 2009 Q1 Q2 Q3 Q4 Totale Q1 Q2 Q3 Q4 Totale Q1 Q2 Q3 Francia 0/0 0/0 0/0 0/0 0/0 0/0 0/1 0/0 0/1 0/2 1/0 0/0 0/1 1/1 Germania 2/0 1/0 0/0 1/0 4/0 0/2 2/5 0/14 0/22 2/43 0/5 10/36 0/4 10/45 Italia 0/0 0/0 0/2 1/2 1/4 0/1 0/6 0/2 0/6 0/15 1/3 0/7 1/1 2/11 Olanda 17/0 3/0 0/0 0/0 20/0 0/0 0/0 0/2 0/3 0/5 0/2 0/11 4/23 4/36 Spagna 0/0 0/0 0/0 0/0 0/0 1/0 0/5 0/0 0/49 1/54 0/19 0/26 0/16 0/61 3/2 4/0 5/1 21/11 10/7 6/82 0/13 0/109 16/211 5/80 0/65 1/121 6/266 UK Totale Europa 101/38 62/42 38/76 9/8 81/94 Totale 282/250 22/257 67/655 8/359 1/1199 98/2470 11/1569 17/646 36/653 64/2868 Fonte: European Securitisation Forum, (anni vari) 160 6.3 Analisi empirica Nei paragrafi successivi il presente lavoro si occuperà di indagare i fattori sottostanti la buona tenuta delle operazioni RMBS italiane anche in presenza della diffusione della crisi finanziaria. Al fine di dimostrare la buona qualità dei RMBS italiani si procederà alla valutazione delle variabili che possono impattare sul rischio di credito del titolo stesso. Infatti, i sottoscrittori di RMBS, oltre ad essere esposti ai tipici rischi di mercato che attengono ai valori mobiliari, sono altresì esposti al rischio di credito collegato alla possibilità di incorre in potenziali perdite dovute all’insolvenza dei debitori sottostanti. In sostanza, il rischio di credito discende dalla capacità del portafoglio di mutui ipotecari residenziali cartoralizzato di generare i cash flow che saranno reindirizzati agli investitori a titolo di rimborso in conto capitale e interessi. Le variabili esaminate sono di natura sia macro sia microeconomica e sono atte a fornire indicazioni circa la rischiosità dei mutui sottostanti le operazioni di cartolarizzazione. Si precisa già da ora che, a causa della mancanza di dati pubblicamente disponibili che permettano di isolare e seguire nel tempo la performance dei soli mutui ipotecari cartoralizzati, l’analisi sarà estesa all’insieme dei mutui concessi alle famiglie italiane per l’acquisto di immobili residenziali. Il mutuo residenziale è considerato, in linea generale, di per sé un credito a basso rischio, che beneficia del valore della garanzia sottostante inoltre, i mutui concessi alle famiglie italiane sono noti per la loro bassa rischiosità. Tuttavia elementi di preoccupazione circa un possibile deterioramento oltre le aspettative della qualità creditizia dei mutui sottostanti alle operazioni RMBS derivano da alcuni fattori - quali l’aumentata concorrenza nel settore bancario e il lungo periodo di bassi tassi di interesse combinato con il favorevole ciclo immobiliare – che potrebbero aver favorito, nell’ultimo decennio, un allentamento delle politiche di credito, notoriamente prudenti, delle banche italiane consentendo l’accesso al credito di fasce di clientela finanziariamente più fragile. In secondo luogo la crisi finanziaria ha sicuramente avuto un impatto sull’indebitamento delle famiglie e, in particolare, sulla capacità di far fronte ai propri debiti. L’analisi sarà condotta sull’arco temporale che va dal 2000 al 2008. La scelta di iniziare lo studio dall’anno 2000 è condizionata dall’inesistenza di un mercato della cartolarizzazione negli anni precedenti (si ricorda che la Legge n. 130 che ha introdotto l’istituto della cartolarizzazione risale al 1999). La scelta, invece, di estendere l’analisi fino al 2008 si rivela necessaria al fine di apprezzare l’impatto della crisi finanziaria sulla capacità delle famiglie italiane di far fronte al rimborso dei propri debiti per l’acquisto dell’abitazione. Il periodo di tempo di riferimento permette, inoltre, di considerare “l’effetto Basilea” che potrebbe aver avuto sulle politiche di lending delle banche; sebbene la versione finale di Basilea 2 risalga al 2004 già sul finire degli anni Novanta si era a conoscenza della futura sostituzione dell’Accordo del 1988. Gli elementi che permetteranno di concludere circa l’effettiva buona performance dei RMBS italiani saranno individuati mediante le seguenti analisi a cui saranno dedicati i paragrafi successivi: - analisi del mercato immobiliare residenziale. L’andamento delle quotazioni immobiliari è un fattore determinante la rischiosità dei RMBS e, più nelle specifico, incide sulle possibilità di recupero del credito da parte della banca in caso di insolvenza del mutuatario. Infatti, i mutui ipotecari residenziali sono assistiti da 161 ipoteca sull’immobile che dà il diritto alla banca di far vendere il bene se il cliente non può restituire il finanziamento. Le variazioni nei prezzi degli immobili residenziali, inoltre, impattano direttamente sulla ricchezza netta delle famiglie e comportano, quindi, conseguenze dirette sui consumi e sulla capacità di rimborso dei debiti delle famiglie stesse (vd. paragrafo 6.3.1); - analisi del mercato dei mutui ipotecari residenziali. L’attenzione sarà focalizzata sulle dimensioni e sull’evoluzione del mercato italiano nonché sui tipi di finanziamento disponibili e sulle prevalenti politiche di lending degli intermediari finanziari nazionali. Spazio sarà dato, quindi, alla descrizione delle caratteristiche tipiche dei mutui ipotecari italiani (come ad esempio il tasso di interesse, la durata, il LTV ecc) che hanno un impatto sulla rischiosità dei titoli RMBS (vd. paragrafo 6.3.2); - analisi dell’indebitamento delle famiglie italiane per l’acquisto dell’abitazione di residenza. Si tratta di un’analisi delle caratteristiche dei mutuatari italiani condotta a livello microeconomico sulla base dei dati raccolti dall’Indagine sui bilanci delle famiglie italiane (Survey on Household Income and Wealth, SHIW) della Banca d’Italia. L’indagine SHIW fornirà molte informazioni preziose sui mutui concessi alle famiglie e attraverso elaborazioni dei dati si traccerà un identikit delle famiglie italiane indebitate nonché si cercherà di cogliere l’esistenza o meno di elementi di vulnerabilità finanziaria. In sostanza, l’elaborazione di queste informazioni a livello microeconomico, sono necessarie per dare validità alla tesi che le RMBS italiane sono costruiti su sottostanti di buona qualità (vd. Capitolo 7). Frequenti saranno nel corso dei successivi paragrafi i confronti con il contesto europeo al fine di avvalorare i risultati ottenuti. 6.3.1 Il mercato immobiliare residenziale L’andamento del settore immobiliare è un importante fattore che incide sulle performance dei RMBS. In particolare, il valore dell’immobile è una variabile rilevante per la loss-givendefault (LGD, il tasso di perdita in caso di insolvenza del cliente) dei mutui ipotecari in default perché incide sulla capacità di coprire i costi associati alla procedura esecutiva e il debito residuo ancora in essere al momento dell’insolvenza. In sostanza il prezzo a cui l’immobile è venduto influenza l’entità dei cash flow che poi saranno dirottati agli investitori in RMBS. Il settore immobiliare riveste anche un ruolo centrale per l’andamento dell’attività produttiva e per la stabilità finanziaria. Le attività immobiliari costituiscono oltre il 60% della ricchezza delle famiglie e, di conseguenza, variazioni del prezzo degli immobili impattano direttamente sulla ricchezza netta delle famiglie con implicazioni anche sui consumi e sulla capacità di rimborsare i debiti contratti. Dal punto di vista degli intermediari finanziari, invece, il credito erogato al settore (mutui alle famiglie, prestiti alle imprese di costruzioni e dei servizi connessi con le attività immobiliari) è circa un terzo degli impieghi bancari totali. Quindi, il sistema finanziario è esposto all’evoluzione del mercato immobiliare poiché la variazione del valore delle garanzie bancarie indotta dai corsi immobiliari influenza sia il costo e la disponibilità di credito, sia la qualità dell’attivo delle banche. Infine, i prezzi degli immobili incidono sulla capacità di onorare il servizio del debito da parte delle imprese di costruzioni. 162 In base all’indice dei prezzi delle case elaborato dalla Banca d’Italia (vd. Figura 6.5) dalla metà degli anni Sessanta si possono identificare quattro fasi cicliche dei corsi immobiliari valutati in termini reali: - la prima fase si chiuse alla fine del 1974, quando le quotazioni segnarono un forte e repentino incremento in connessione con il primo shock petrolifero e con il conseguente aumento dell’inflazione, che rafforzò il ruolo di “bene rifugio” degli immobili, sostenendone la domanda; - la seconda fase (fine 1974 - metà 1981) fu caratterizzata da un’elevata volatilità, soprattutto intorno al secondo shock petrolifero, e dal successivo, brusco rialzo delle quotazioni immobiliari, fino al picco toccato nella parte finale del periodo; - la terza fase, che si è protratta sino al secondo semestre del 1992, si avviò con una correzione che riportò nel 1986 le quotazioni reali ai valori minimi della fase precedente; la successiva espansione, al ritmo medio annuo superiore all’8%, culminò nel picco del 1992; - la quarta fase, notevolmente più lunga delle precedenti, è iniziato con la recessione dei primi anni novanta, che ha dato avvio a un declino delle quotazioni reali proseguito sino al 1999. Negli ultimi dieci anni il calo del costo del denaro connesso con l’introduzione dell’Euro e il recupero del potere di acquisto delle famiglie hanno interagito con le innovazioni introdotte nel mercato dei mutui immobiliari alimentando la domanda e generando una prolungata crescita dei prezzi. E’ indubbio che sul lungo ed intenso ciclo di sviluppo immobiliare, che ha caratterizzato il periodo 1998-2007, abbia influito il miglioramento delle condizioni di accesso al credito, tanto per le famiglie quanto per gli operatori professionali (questo aspetto verrà approfondito al paragrafo 6.3.2). La fase di espansione si è pressoché interrotta dalla fine del 2008. Figura 6.5: Il ciclo dei prezzi delle abitazioni in Italia (indici 2005=100) Fonte: Panetta et al (2009) Analizzando l’andamento dei volumi di compravendite (NTN) del settore residenziale si nota chiaramente il lungo ed intenso ciclo positivo di crescita del mercato dal 1996 al 2006 anno in 163 cui le compravendite hanno raggiunto il massimo storico di 845.051 segnando un incremento del 75% circa rispetto al 1996 (vd. Figura 6.6). Figura 6.6: Andamento delle NTN (migliaia) 1985-2008 Fonte: Agenzia del Territorio (2009) Le compravendite hanno segnato un’inversione di tendenza a partire dal 2007 che si è poi accentuata nel 2008 con una riduzione media del 15% circa rispetto al 2007 raggiungendo i valori della fine del decennio precedente. In base ai dati forniti dall’Agenzia del Territorio, nel 2008 la maggior diminuzione delle compravendite si è registrata al Nord e nei comuni non capoluogo; quest’ultimi erano stati interessati dalla crescita del volume di compravendite fino al 2006 mentre il mercato dei capoluoghi aveva già subito una frenata a partire dal 2005. Anche le quotazioni hanno risentito della fase di debolezza del mercato immobiliare anche se in misura più contenuta se commisurata alla brusca caduta registrata dalle compravendite di abitazioni (vd. Tabella 6.4). Le quotazioni medie annuali per il 2008 hanno mostrato una leggera crescita (+2,9% rispetto al 2007) ma il ritmo era già rallentato dal 2007; sul peggioramento incidono probabilmente il calo delle compravendite e lo scoppio della crisi subprime. Tabella 6.4: Variazioni percentuali delle quotazioni delle compravendite di abitazioni Variazione percentuale delle quotazioni delle compravendite di abitazioni 2005 2006 2007 2008 7,4% 8,3% 6,1% 2,9% Fonte: Agenzia del Territorio (2009) 164 Si tratta comunque di una crescita mediamente inferiore al tasso di inflazione dei prezzi al consumo (+3,3% nel 2008). Il rallentamento della crescita delle quotazioni immobiliari residenziali risulta particolarmente evidente per le grandi città. Anche le quotazioni mostrano quindi una fase di interruzione alla prolungata e sostenuta espansione del mercato immobiliare dell’ultimo decennio. Tra il 2000 e il 2007, infatti, la crescita cumulata delle quotazioni nominali è risultata compresa tra il 52% del Nord Ovest e il 90% del Centro. Per quanto riguarda gli andamenti più recenti, nel 2009 si conferma il calo delle compravendite che continua ad essere più pronunciato al Nord e nei comuni non capoluogo. Il valore medio nazionale delle quotazioni del settore residenziale, invece, nel primo semestre 2009, per la prima volta dal 2004, registra una lieve flessione. Su base annua, nel primo semestre 2009, le quotazioni sono diminuite mediamente dello 0,3% e il calo risulta più marcato nei comuni capoluogo. I dati che emergono dall’analisi del mercato immobiliare residenziale sono certamente più confortanti soprattutto nel confronto internazionale. L’aumento delle quotazioni degli immobili residenziali tra il 1999 e il 2007 è un fenomeno che ha accomunato gli altri Stati europei seppure con intensità diverse da paese a paese (vd. Tabella 6.5). Anche il settore immobiliare statunitense ha sperimentato, parallelamente a quello europeo, una vigorosa crescita ma non solo; esso ha rappresentato anche il luogo in cui la crisi finanziaria è divampata, nell’estate del 2007. Tabella 6.5: Variazioni percentuali annue dei prezzi degli immobili residenziali in diversi paesi dell’Area Euro 2001 2002 2003 2004 2005 2006 Francia 1997 2000 4,4% 7,9% 8,3% 11,7% 15,2% 15,3% 12% Germania -0,5% 0,2% -1,3% -1,3% -1,6% -1,6% 0,3% Italia 1,5% 7,4% 13,7% 10,6% 9,2% 9,6% 6,7% Olanda 14,1% 11,2% 8,5% 4,9% 4,1% 4,8% 4,5% Spagna 6,2% 9,9% 15,7% 17,6% 17,4% 13,9% 10,4% Area Euro 3,7% 5,6% 7,1% 7,0% 7,4% 7,9% 6,4% Fonte: BCE (2007) La Figura 6.7 mostra chiaramente come in Italia non si siano verificate bolle speculative immobiliari come, invece, è accaduto in Spagna e Regno Unito. In questi Paesi si è assistito nell’ultimo decennio a una straordinaria crescita dei prezzi degli immobili ben oltre l’effettivo valore degli asset. Gli effetti della crisi subprime sono stati più pronunciati proprio per questi paesi e hanno esercitato forti pressioni al ribasso sulle quotazioni immobiliari. In Italia, quindi, sebbene sia riscontrabile un rallentamento del mercato immobiliare più accentuato nel 2009 l’andamento delle quotazioni immobiliari nell’ultimo decennio non segnalano andamenti anomali nel confronto storico. 165 Figura 6.7: Quotazioni delle abitazioni in Europa (prezzi correnti; indici 2002=100) Fonte: Panetta et al (2009) Sembra quindi che l’Italia - al contrario degli Stati Uniti, del Regno Unito e della Spagna - sia stata immune dal fenomeno delle cosiddette bolle speculative immobiliari che al loro scoppio hanno innescato una rapida perdita di valore degli immobili. La mancanza di segnali di precedenti sopravvalutazioni degli immobili residenziali riduce il rischio di aggiustamenti repentini nelle quotazioni nel prossimo futuro. La leggera flessione dei prezzi registrata nel 2009 può, pertanto, dipendere dal debole andamento del quadro economico generale e dal rallentamento delle compravendite. Considerando la maggiore stabilità strutturale del mercato immobiliare italiano è, quindi, rilevabile un ridotto rischio delle RMBS italiane per due ordini di motivi. In primis, la limitata volatilità dei prezzi degli immobili non provoca rilevanti variazioni del valore delle garanzie bancarie e quindi sulla loro capacità di recupero del credito. In secondo luogo, l’assenza di un vero e proprio boom nei prezzi immobiliari tra il 2003 e il 2006 ha limitato le operazioni speculative sugli immobili. Al contrario, nel Regno Unito, numerosi sono stati gli acquisti speculativi di immobili, finanziati con mutui, allo scopo di cederli in affitto. Per questi investimenti, al momento dello scoppio della bolla immobiliare e al brusco calo delle quotazione, è venuto a mancare l’incentivo a onorare il debito facendo scattare quindi la vendita dell’immobile (in questo modo si alimenta anche la discesa delle quotazioni immobiliari per effetto dell’aumento dell’offerta). 166 6.3.2 Il mercato dei finanziamenti immobiliari L’analisi del mercato dei finanziamenti immobiliari permette di considerare le dimensioni e l’evoluzione negli ultimi anni del mercato, consente di individuare le principali caratteristiche dei mutui per l’acquisto delle abitazioni infine, permette di fornire indicazioni circa le condizioni di accesso al credito e le politiche di origination e underwriting delle banche italiane. L’acquisto dell’abitazione è, in genere, l’investimento più importante di una famiglia poiché molto costoso e, frequentemente, si colloca in specifiche classi di età, il più delle volte in connessione con eventi familiari non agevolmente differibili (formazione di una nuova famiglia, trasferimenti, nascita di figli, ecc.). Per tali ragioni le famiglie, al fine di affrontare l’acquisto dell’abitazione, accedono al mercato del credito, attraverso contratti di mutuo, in modo di dilazionare nel tempo i pagamenti. La quota di famiglie italiane proprietarie dell’abitazione di residenza è più elevata della media dei paesi europei e si colloca tra quelli con le quote più elevate. Il possesso dell’abitazione di residenza è ovviamente collegato alle disponibilità economiche della famiglia però, nel corso del tempo, il miglioramento generale delle condizioni di benessere della popolazione ha consentito l’accesso a tale forma abitativa anche ad una parte consistente delle classi relativamente meno agiate. In Italia, nello specifico, le particolari caratteristiche del mercato della casa e l’elevata propensione all’acquisto dell’abitazione come “bene rifugio” si sono tradotte in una marcata preferenza delle famiglie verso formule abitative più stabili. I finanziamenti al settore immobiliare rappresentano una quota significativa del credito bancario complessivo; essi includono sia i mutui alle famiglie consumatrici, sia gli impieghi alle imprese di costruzioni e dei servizi con le attività immobiliari. Nel presente paragrafo ci si concentrerà solamente sui mutui alle famiglie i quali, peraltro, costituiscono la componente di maggior rilevo (circa il 60%) del totale finanziamenti al settore immobiliare. L’espansione dei prestiti per l’acquisto di abitazioni è un fenomeno che ha avuto avvio dalla seconda metà degli anni Novanta ma ha segnato un’accelerazione soprattutto negli anni più recenti (vd. Figura 6.8). Dopo la vigorosa espansione dei prestiti erogati per l’acquisto dell’abitazione tra il 2000-2006 a partire dal 2007 si nota un rallentamento che diviene più marcato nel 2008 (vd. Figura 6.8) in linea con l’evoluzione del mercato immobiliare e con gli effetti della crisi del mercato dei mutui subprime americani. Sul rallentamento delle erogazioni incide la flessione della domanda di prestiti da parte delle famiglie a causa della scarsa attività del mercato immobiliare e della caduta dei consumi di beni durevoli. Sull’andamento del credito hanno influito anche politiche di offerta più caute adottate delle banche in seguito all’aumento del costo della provvista, alla parziale chiusura dei canali di raccolta sui mercati internazionali, al deterioramento del merito di credito della clientela, alla necessità di rafforzare il rapporto tra patrimonio e attivo per far fronte alle pressioni provenienti dai mercati, in una fase di elevata incertezza (Banca d’Italia, 2009). È opportuno precisare che le erogazioni comprendono sia i nuovi mutui sottoscritti per l’acquisto di una abitazione sia le erogazioni a fronte di una sostituzione di un mutuo già in atto; per tale ragione risulta complesso comprendere totalmente la dinamica delle erogazioni nel 2008. 167 Figura 6.8: Erogazioni di finanziamenti oltre il breve termine a famiglie consumatrici per acquisto di immobili 2000-2008 (milioni di Euro) 70000 62873 62758 56980 56266 60000 48817 50000 € milioni 42875 40000 35338 29149 30057 2000 2001 30000 20000 10000 0 2002 2003 2004 2005 Q1 Q2 Q3 Q4 2006 2007 2008 Totale Fonte: Base Informativa Pubblica – Tavola TDB10430 Note: Per finanziamenti oltre il breve termine si intendono quei finanziamenti con una durata originaria superiore a 12 mesi, a partire da Dicembre 2008, e superiore a 18 mesi per i periodi precedenti. I fattori che hanno contribuito all’evoluzione dei finanziamenti concessi per l’acquisto dell’abitazione, oltre ai bassi tassi di interesse nominali e reali e al ciclo economico positivo, riguardano anche aspetti di operatività delle banche italiane. Con riferimento a quest’ultimo fattore, si ricorda l’introduzione del Testo Unico Bancario (T.U.B.) nel 1993 che sancì il modello di banca universale181 e definì, per la prima volta, le finalità dell’attività di vigilanza. La normativa è stata quindi rivista in modo radicale con l’eliminazione di tutte le barriere di prodotto e territoriali inoltre, grazie alla generale privatizzazione del sistema bancario si sono eliminate le distorsioni preesistenti. Il nuovo contesto normativo ha condotto a un aumento del numero di intermediari operanti nel comparto dei mutui alle famiglie il quale, a sua volta, ha incrementato l’offerta di finanziamenti. L’aumento della concorrenza è stata causata anche dall’ingresso sul mercato italiano di operatori esteri: il quadro regolamentare negli anni Novanta infatti si evoluto profondamente con il riconoscimento in Europa dei principi di libertà di stabilimento e dell’home country control che equiparano l’attività delle banche locali ed estere. Il risultato è stato un innalzamento del grado di concorrenza che ha portato a un aumento di efficienza del mercato italiano dei mutui ipotecari il quale si è tradotto in una migliore accessibilità al credito da parte delle famiglie. Anche lo spostamento verso forme di raccolta fondi più market-oriented intervenuto tra il 1999 e il 2007 ha contribuito negli ultimi anni a finanziare la forte espansione dei prestiti delle banche italiane. Le cessioni dei mutui, realizzate prevalentemente per mezzo delle cartolarizzazioni, hanno rappresentato un’importante forma di finanziamento per le banche 181 La legge bancaria del 1936 basata sulla specializzazione aveva creato un sistema segmentato per categorie: aziende di credito, focalizzate prevalentemente sul breve termine e sul finanziamento dei cicli produttivi, e istituti e sezioni di credito speciale, operanti a medio e lungo termine a sostegno dell’attività di investimento. 168 italiane sebbene esse siano più proiettate verso strumenti di funding più tradizionali (depositi e obbligazioni al dettaglio). La cessione dei mutui tra il 2001 e il 2007 hanno costituito in media il 30% delle nuove erogazioni di mutui; nel 2008 tale quota è raddoppiata riflettendo quasi interamente l’aumento delle operazioni di autocartolarizzazione volte a costituire le garanzie necessarie per ottenere finanziamenti presso l’Eurosistema (Panetta et al, 2009). Sull’aumento delle erogazioni hanno dunque probabilmente influito le nuove opportunità di raccolta fondi fornite dalla cartolarizzazione a disposizione delle banche italiane. La possibilità di diversificare le fonti di raccolta si sono ampliate ulteriormente nel 2007 grazie all’introduzione dei covered bond. La lunga fase espansiva del comparto dei mutui ha caratterizzato la gran parte dei paesi dell’Area dell’Euro, sebbene con intensità diverse. Nonostante la crescita delle erogazioni per l’acquisto di immobili, il mercato dei mutui italiano nel confronto internazionale risulta di dimensioni ridotte e poco sviluppato (vd. Figura 6.9). I crediti alle famiglie erogati da intermediari creditizi per l’acquisto di abitazioni erano pari al 21,8% alla fine del 2007, contro una media per l’Unione Europea del 41,5%; l’Italia pertanto si situa tra gli ultimi paesi dell’Unione per la dimensione di questo indicatore. Parimenti il mercato italiano dei mutui è tra i più piccoli in Europa in termini di quote percentuali sul totale Area Euro: la quota dell’Italia per questo segmento di attività si è attestata, nel 2009, al 7,9% contro valori del 27,1%, 20,2% e 18,5% di Germania, Francia e Spagna. Tuttavia, per l’Italia, l’incremento dei mutui alle famiglie è risultato elevato e superiore alla media: tra il 2001 e il 2006 i crediti per l’acquisto di abitazioni sono aumentati a un tasso medio annuo del 17,8% a fronte di un incremento medio nell’Unione Europea dell’11,2% (Rossi, 2009). Figura 6.9: Prestiti alle famiglie per l'acquisto di abitazioni in rapporto al PIL 2007 (valori percentuali) 100,0% 89,4% 90,0% 73,9% 80,0% 69,4% 70,0% 61,5% 60,0% 44,6% 50,0% 40,7% 40,0% 37,1% 35,8%35,0% 34,6% 40,0% 41,5% 30,3% 30,0% 24,9% 21,8% 20,0% Fonte: BCE (2009) 169 Area Euro Italia Austria Grecia Finlandia Francia Belgio Malta Germania Lussemburgo Cipro Spagna Portogallo Irlanda Olanda 0,0% Slovenia 7,7% 10,0% Negli ultimi dieci anni l’incremento di concorrenza registrato nel comparto dei finanziamenti alle famiglie per l’acquisto di abitazioni si è associato a numerose innovazioni di processo e di prodotto nell’offerta di prestiti. a) Processo di concessione dei prestiti La fase di selezione dei soggetti che richiedono un prestito è estremamente importante per l’attività dell’intermediario e per la sua stabilità finanziaria. L’innovazione tecnologica ha apportato significativi miglioramenti in questa attività con effetti sui processi di origination e underwriting dei prestiti. Di recente, infatti, sono state introdotte da un numero crescente di intermediari tecniche di credit scoring utilizzate per l’erogazione di mutui alle famiglie a supporto delle decisioni in merito alla concessione del prestito, all’importo del finanziamento e per la valutazione periodica del rapporto di clientela. Il credit scoring è un sistema usato per valutare in modo efficiente la solvibilità del consumatore attraverso l’elaborazione di una serie di informazioni sul soggetto da finanziare. Le informazioni più rilevanti utilizzate sono di quattro tipologie: - quelle relative al prenditore di fondi (come ad esempio: il reddito disponibile e il lavoro svolto); - quelle relative alle caratteristiche del finanziamento da erogare (come ad esempio: durata e importo del finanziamento); - quelle relative al bene da finanziare; - quelle relative al grado di indebitamento del richiedente credito censite, ad esempio, nelle Centrali dei Rischi. L’output dei sistemi di scoring è ovviamente un punteggio in funzione del quale l'intermediario trae elementi utili per accettare o rifiutare il finanziamento nonché per determinare l’entità del finanziamento e il tasso di interesse applicato. I vantaggi del credit scoring risiedono nella possibilità di sfruttare tutte le informazioni disponibili presso l’intermediario le quali, attraverso l'applicazione di metodi o modelli statistici, producono un giudizio sintetico sul profilo di rischio, affidabilità o puntualità nei pagamenti del soggetto richiedente. Inoltre, il credit scoring basandosi su sistemi automatizzati è utilizzabile in modo sistematico e replicabile. L’introduzione delle nuove tecniche di valutazione dovrebbe facilitare l’ampliamento della gamma di prodotti offerti per soddisfare le diverse esigenze della clientela, in particolare quella più giovane e meno abbiente, inoltre comporrebbe una maggiore standardizzazione della documentazione che assiste le pratiche di affidamento, passaggio necessario per eventuali operazioni di cartolarizzazione (Rossi, 2008). b) Principali caratteristiche dei finanziamenti per l’acquisto di abitazioni Il mutuo è un contratto tipizzato dal Codice Civile all’art. 1813 “col quale una parte consegna all'altra una determinata quantità di danaro o di altre cose fungibili, e l'altra si obbliga a restituire altrettante cose della stessa specie e qualità”. Il mutuo è, infatti, un finanziamento a medio-lungo termine, in genere con una durata che va da 5 a 30 anni, erogato dalla banca in un’unica soluzione, a fronte della quale il mutuatario è obbligato a corrispondere una successione di versamenti periodici, destinati a pagare interessi e quote del capitale prestato, secondo un piano di ammortamento definito all’atto della stipulazione del contratto. La tipologia di finanziamento più utilizzata per sostenere l’acquisto di immobili prende il nome di mutuo ipotecario ossia un prestito assistito da ipoteca di primo grado su un immobile, 170 a titolo di garanzia del rimborso delle rate dovute dal mutuatario. L’ipoteca, nello specifico, attribuisce al creditore la facoltà di espropriare i beni vincolati a garanzia del suo credito e di essere soddisfatto con preferenza sul prezzo ricavato dall'espropriazione. Gli elementi caratterizzanti del contratto di mutuo sono il tasso di interesse e la durata. Il tasso di interesse, espresso in termini percentuali, misura gli interessi che il cliente deve corrispondere alla banca a titolo di compenso per il prestito erogato. I principali tipi di mutuo sono quelli a tasso fisso o a tasso variabile. I mutui a tasso fisso, come il nome suggerisce, mantengono fisso il tasso di interesse pattuito per tutta la durata del mutuo. Se da un lato il mutuo a tasso fisso permette di conoscere a priori gli importi delle singole rate e l’ammontare complessivo del debito da restituire dall’altro non consente di beneficare di eventuali riduzioni dei tassi di mercato inoltre, generalmente, le condizioni applicate dall’intermediario risultano più onerose rispetto al mutuo a tasso variabile. Il tasso di interesse dei mutui a tasso variabile può variare, rispetto al tasso di partenza, a scadenze prestabilite durante la vita del contratto in base all’evoluzione del parametro di riferimento. In tal caso, il rischio principale è l’aumento imprevedibile dell’onerosità della rata da rimborsare. Di norma, all’inizio del contratto, il tasso variabile è più basso del tasso fisso ma, a causa delle sua aleatorietà che può comportare aumenti consistenti della spesa per interessi, è consigliabile a soggetti che possono sostenere eventuali aumenti dell’importo delle rate. Negli ultimi tempi, grazie a innovazioni intervenute nella gamma di finanziamenti offerti dagli intermediari bancari, sono disponibili anche mutui a tasso misto - il tasso di interesse può passare da fisso a variabile (o viceversa) a scadenze fisse e/o a determinate condizioni indicate nel contratto – e mutui a due tipi di tasso - il mutuo è suddiviso in due parti: una con il tasso fisso, una con il tasso variabile. In base alla tipologia di tasso applicato varia il parametro di riferimento: in genere il principale parametro di indicizzazione per i mutui ipotecari a tasso fisso è l’Euris (Euro Interest Rate Swap o Irs) a 5/10 anni ossia un tasso interbancario pari ad una media ponderata delle quotazioni alle quali le banche operanti nell'Unione Europea realizzano l'Interest Rate Swap; i mutui a tasso variabile sono invece indicizzati all’Euribor (Euro Interbank Offered Rate) a 1/3/6 mesi calcolato come media ponderata dei tassi di interesse ai quali le banche operanti nell'Unione Europea cedono i depositi in prestito. In alternativa all’Euribor, per i mutui a tasso variabile, può essere preso come parametro di indicizzazione (dal 1 Gennaio 2009) il tasso BCE ovvero quel tasso al quale la Banca Centrale Europea concede prestiti alle banche operanti nell’Unione Europea. Il tasso di interesse definito dal parametro di indicizzazione viene maggiorato di uno spread che rappresenta il guadagno dell'istituto di credito e varia in base alla capacità di rimborso del mutuatario (in genere lo spread varia tra l'1% ed il 2%). La durata del mutuo ipotecario è a medio-lungo termine e va, in genere, tra i 5 e i 30 anni; la durata media si aggira intorno ai 20 anni. Il mutuatario deve comunque tener presente quando concorda una durata con l’intermediario che la durata del mutuo incide sull’importo della rata. Infatti, a parità di importo del finanziamento e di tasso di interesse, quanto più breve è la durata, tanto più alte sono le rate ma più basso l’importo dovuto per gli interessi; quanto più lunga è la durata, tanto maggiore è l’importo dovuto per gli interessi ma meno onerose le rate. Ulteriore elemento che caratterizza il contratto è il piano di ammortamento; esso, oltre a stabilire la data entro la quale il debito deve essere interamente rimborsato, definisce la periodicità delle singole rate (mese, trimestre, semestre) e i criteri per determinare l’ammontare di ogni rata che è composta dalla quota interessi e dalla quota capitale. Esistono varie tipologie di ammortamento ma, in Italia, il più comune è il cosiddetto ammortamento 171 “alla francese”. In base all’ammortamento “alla francese” la rata rimane costante durante la durata del contratto mentre cambiano al suo interno la quota interessi e la quota capitale; nello specifico per i mutui a tasso fisso all’inizio del contratto si pagano soprattutto interessi mentre via via che il capitale viene restituito l’ammontare degli interessi diminuisce e la quota capitale aumenta. Il mercato italiano dei mutui alle famiglie risulta meno evoluto che in altri paesi anche sotto il profilo della varietà di prodotti offerti (vd. Tabella 6.6). La quota finanziata del valore dell’immobile è tra le più basse nel confronto internazionale e ben al di sotto la media dell’Area dell’Euro (65% contro il 79% per l’Area Euro). Infatti, in Italia tipicamente l’intermediario concede un importo che non supera l’80% del valore dell’immobile (stabilito in base a perizia effettuata da un esperto). Uno dei fattori che può aver avuto un effetto negativo sull’ampliamento del LTV è la scarsa diffusione di strumenti di payment protection insurance ovvero prodotti assicurativi che consentono di gestire i rischi di insolvenza delle famiglie. Tabella 6.6: Caratteristiche dei finanziamenti per l’acquisto di abitazioni (2007) LTV Tasso di interesse prevalente mutui a tasso variabile totale mutui Tasso di riferimento Durata tipica (anni) 70% Fisso 15% Tasso a lungo termine 25-30 Spagna 72,5% Variabile 91% Euribor 12-mesi 30 Francia 91% Fisso 15% Euribor 12-mesi 19 Italia 65% Variabile 47% Euribor 3-mesi 22 Olanda 101% Fisso 18% Tasso a lungo termine 30 Area Euro 79% - 43% - - Germania Fonte: BCE (2009) In Italia sono più diffusi i mutui a tasso variabile e il parametro di riferimento per il tasso di interesse di norma è l’Euribor a 3 mesi. Sebbene a livello europeo il tasso variabile sia più diffuso la situazione varia da paese a paese; nel 2005 si è assistito in tutti gli Stati dell’Area Euro a un grande incremento della quota di mutui a tasso variabile (BCE, 2009). La durata media dei mutui per l’acquisto dell’abitazione nell’Area Euro va da un minimo di 19 anni a un massimo di 30. In Italia la durata media è pari a 22 anni. Si è assistito in tutta l’Area Euro, nell’ultimo decennio, a un allungamento della durata dei mutui ipotecari, in parte causato dall’aumento delle quotazioni immobiliari che, a sua volta, ha comportato la richiesta di importi di finanziamenti maggiori sostenibili solo con un allungamento delle scadenze. Altri fattori che possono aver influito sul protrarsi della scadenza dei mutui ipotecari sono: 172 l’aumento dell’aspettativa di vita, l’aumento dell’età pensionabile e, dal lato dell’offerta, la disponibilità di fonti di raccolta a lungo termine come la cartolarizzazione e i covered bond. Sebbene il mercato dei mutui italiano, se comparato a quelli degli altri paesi europei, appare poco sviluppato con riferimento alla varietà di prodotti disponibili, nell’ultimo decennio si è assistito all’ampliamento delle caratteristiche contrattuali dei mutui, stimolato anche dalla maggiore concorrenza, che ha reso possibile l’aumento della quota di famiglie che ha avuto accesso a questi strumenti di indebitamento rispetto al passato. L’innovazione nelle forme contrattuali ha riguardato principalmente tre aspetti: - la durata: sono stati sviluppati mutui con durate pari o superiori ai 30 anni. L’offerta di questi mutui, secondo l’indagine di Rossi (2008), risulta più diffusa tra le banche di grandi dimensioni, localizzate nelle regioni del Nord Est e del Centro; il valore dei mutui erogati nel 2006 con durata almeno trentennale era pari al 18% delle erogazioni complessive e rappresentava il 5 per cento circa dello stock di mutui in essere alla fine del 2006; - la flessibilità del profilo di rimborso e, in particolare, mutui con rate di ammortamento costante e durata variabile. Secondo lo studio di Rossi (2008) circa l’8% dei mutui erogati nel 2006 dalle banche del campione presentava questa caratteristica; - la quota del valore dell’immobile finanziata (loan to value, LTV). Le banche hanno iniziato ad offrire mutui con LTV superiore all’80%. Questi mutui, in base all’indagine di Rossi (2008) risultano meno diffusi nelle regioni meridionali e il loro peso è pari al 6,4% dei mutui erogati nel 2006. In Italia, hanno avuto una diffusione molto limitata, invece, prodotti più innovativi come i mortgage equity withdrawal che consentono di ottenere nuovo credito dalla banca a seguito di un apprezzamento dell’immobile oggetto del mutuo originario. Nonostante il segnale di apertura del mercato dei finanziamenti immobiliari verso nuove forme contrattuali la loro diffusione è fortemente limitata come testimoniato dall’indagine di Rossi (2008) e l’erogazione è subordinata alla presentazione di maggiori garanzie e, spesso, all’applicazione di condizioni meno favorevoli per il cliente. c) Procedure esecutive immobiliari In caso di inadempimento dell'obbligazione garantita con l’ipoteca, la banca può far vendere, mediante procedura esecutiva, il bene dato in garanzia (l’immobile nel caso dei mutui ipotecari) al fine di recuperare il credito. In Italia le procedure esecutive immobiliari sono molto costose e time-consuming infatti, sono tra le più lunghe in Europa. La durata delle procedure esecutive immobiliari è in media pari a 55 mesi (contro una media per l’Area dell’Euro di circa 24 mesi) con una forte variabilità in funzione della provincia o della regione di ubicazione dell’immobile. Nel Nord Italia la durata media è di 4,3 anni, nel Centro di 6,4 anni al Sud di 11,1 anni con picchi di 15 anni in Sicilia. Tempi di recupero del credito così elevati incidono sulla rischiosità dei RMBS e, in particolare, aumentano la loss-given-default. Tuttavia le banche italiane, a causa dei problemi di escussione della garanzia, tendono ad evitare di dover vendere l’immobile cercando piuttosto di portare avanti il mutuo eventualmente rinegoziandolo o sospendendo temporaneamente i pagamenti. Inoltre, le cartolarizzazioni italiane di mutui ipotecari tengono conto di questa inefficienza e adottano un meccanismo di riserva di cassa molto conservativo. In sostanza la liquidità in eccesso nella struttura di cartolarizzazione viene canalizzata in appositi conti di riserva a cui il veicolo attinge per pagare le cedole e rimborsare i RMBS quando il tasso di insolvenza aumenta. 173 d) Nuove misure in materia di mutuo Negli anni più recenti e, in particolare, a partire dal 2007 il legislatore ha apportato importanti innovazioni alla normativa relativa ai rapporti tra clienti e intermediari, al fine di aumentare la concorrenza nel mercato dei mutui residenziali, abbassare le barriere all’uscita e di proteggere i contraenti di mutui a tasso variabile dall’aumento dei tassi di riferimento. La Legge n. 40 del 2 Aprile 2007 che ha convertito il cosiddetto “Decreto Bersani bis” ha introdotto nel nostro paese importanti novità in materia di mutui stipulati per l’acquisto o la ristrutturazione di unità immobiliari adibite ad abitazione o allo svolgimento della propria attività economica o professionale da parte di persone fisiche. In primis viene introdotta la possibilità di estinguere anticipatamente, totalmente o parzialmente, il mutuo senza l’applicazione di penali. La disposizione ha carattere fortemente innovativo infatti, fino all’introduzione della Legge n. 40/2007, l’estinzione anticipata del debito era scoraggiata proprio per la presenza di penali. La disciplina si applica solo ai contratti di mutuo stipulati a decorrere dalla data di entrata in vigore del Decreto Legge (2 Febbraio 2007); per quanto riguarda i contratti di mutuo stipulati anteriormente alla predetta data la definizione delle regole generali per la riconduzione a equità della penale è stata demandata all'ABI e alle associazioni dei consumatori più rappresentative a livello nazionale. La stessa Legge n. 40/2007 regola la “portabilità” di mutui e altri contratti di finanziamento la quale consente al debitore di “trasferire” il mutuo o altri finanziamenti contratti ad altri intermediari bancari e finanziari. Il cliente, in base alle nuove disposizioni, può quindi sostituire un nuovo finanziatore a quello originario, utilizzando la provvista messa a disposizione da un nuovo finanziamento stipulato allo specifico scopo di rimborsare anticipatamente quello precedente. La garanzia viene trasferita in capo alla nuova banca infatti, l’ipoteca non dovrà essere cancellata e poi ricostituita ma si conserverà a favore del nuovo intermediario. A causa del forte aumento dei tassi di interesse che prima della crisi ha caratterizzato i mercati finanziari internazionali è emersa una situazione di fragilità finanziaria per le famiglie italiane che negli anni precedenti avevano contratto prestiti a tasso variabile imponendo l’esigenza di intervenire sul piano della sostenibilità dei costi connessi ai mutui. Il Decreto Legge n. 93 del 27 Maggio 2008 ha, pertanto, introdotto la rinegoziazione dei mutui a tasso variabile accesi prima dell’entrata in vigore del Decreto stesso per l’acquisto, la costruzione e la ristrutturazione dell’abitazione principale. Il MEF e l’ABI, mediante un’apposita convenzione, hanno definito le modalità e i criteri per la rinegoziazione dei mutui la quale permette di ridurre l’importo delle rate attraverso un calcolo basato sull’applicazione, all’importo originario del mutuo, del tasso risultante dalla media dei tassi applicati nell’anno 2006 ai sensi del contratto. Il nuovo importo della rata così calcolato rimane fisso per la durata residua del contratto e risulterà più sostenibile per la clientela. Più recentemente, invece, al fine di sostenere i rapporti di credito con le famiglie in difficoltà a seguito della crisi è stata approvato dall’ABI il Piano Famiglie. L’obiettivo che il Piano Famiglie si propone è quello di rendere più sostenibile la rata del mutuo per quelle famiglie che hanno perso fonti di reddito a causa della crisi. In particolare da Gennaio 2010 è scattata la moratoria sulle rate dei mutui ossia la sospensione del pagamento delle rate per 12 mesi 182 qualora si siano verificati specifici avventi avversi che hanno comportato la perdita di una fonte di reddito (perdita del posto di lavoro da parte di lavoratori a tempo indeterminato, lavoratori autonomi che hanno cessato l’attività, lavoratori in cassa integrazione ecc.). 182 La sospensione della rata comporterà lo slittamento in avanti dell’intero piano di ammortamento. 174 Gli strumenti per rinegoziare i mutui ovvero per cambiare intermediario hanno avuto un notevole successo da parte delle famiglie e gli effetti delle nuove disposizioni hanno avuto un impatto anche sui titoli RMBS italiani e, in particolare, sul rimborso anticipato. Il rischio di rimborso anticipato per i RMBS italiani, prima dell’introduzione delle nuove disposizioni in materia di mutui, era pressoché irrilevante a causa della bassa percentuale di mutuatari che decideva di estinguere prima della scadenza il proprio debito proprio per la presenza di quelle penali la cui applicazione è stata esclusa dal Decreto Bersani. L’effetto combinato tra le nuove misure in materia di mutuo, gli elevati tassi di interesse e la maggiore concorrenza tra le banche hanno spinto molti mutuatari a cambiare intermediario estinguendo anticipatamente il “vecchio” mutuo facendo così impennare il prepayment rate dei RMBS che da valori stabili al 4-5% registrati negli anni precedenti è passato al 10,8% nel 2008 (raggiungendo in questo modo valori simili a quelli degli altri paesi europei). Il rimborso anticipato del debito produce effetti sulla struttura di cartolarizzazione e, in particolare, impatta sulla scadenza dei rimborsi in conto capitale spettanti agli investitori in RMBS e sui cash flow a titolo di interesse attesi dal portafoglio di mutui ipotecari cartoralizzati. L’elevato tasso di rimborso anticipato raggiunto non ha comunque provocato variazioni di giudizio sui RMBS espressi dalle agenzie di rating, infatti i livelli raggiunti sono ancora inferiori alle assunzioni dei CPR utilizzate dalle agenzie di rating per simulare scenari di stress al fine di attribuire una valutazione a questi strumenti finanziari. Da un punto di vista degli investitori in RMBS, invece, la ricezione anticipata di parte del rimborso del capitale non ha provocato rischio di reinvestimento dal momento che essa è avvenuta in un periodo in cui i tassi erano in una fase di crescita. Al momento, considerata la libertà consentita ai mutuatari di rimborsare anticipatamente il debito, sono sotto studio nuove tecniche di hedging al fine di mitigare gli effetti di più elevati prepayment rate. L’analisi del mercato dei finanziamenti immobiliari mette in luce l’importante fase di espansione che ha interessato questo comparto nell’ultimo decennio tuttavia, nel confronto internazionale, il mercato nazionale è ancora sottosviluppato soprattutto per quanto riguarda la gamma di mutui offerta dagli intermediari finanziari. Infatti, sebbene siano ravvisabili alcune innovazioni di prodotto che hanno reso l’offerta più ampia e flessibile, nel comparto dei mutui ipotecari risultano predominanti gli strumenti di finanziamento tradizionali. È importante sottolineare come il passaggio verso una società di proprietari dell’abitazione di residenza sia avvenuto nel contesto di modalità di finanziamento che sono rimaste sempre prudenti. La prudenza nella concessione dei mutui, la regola di rimanere al di sotto di certe soglie di loan-to-value se da un lato hanno rallentato il processo dall’altro hanno impedito il verificarsi di fenomeni di degenerazione che hanno avuto luogo in altri paesi. La prudenza da parte degli intermediari che offrivano il mutuo abbinata alla cautela da parte di chi lo chiedeva hanno permesso la creazione di un modello caratterizzato da maggiore robustezza. 175 176 7. Analisi del rischio dei mutui concessi alle famiglie italiane 7.1 Introduzione La forte espansione dei prestiti concessi per l’acquisto dell’abitazione che ha caratterizzato soprattutto la prima metà del decennio, evidenziata al paragrafo 6.3.2, induce a una riflessione in merito alla sostenibilità dei debiti stessi sollecitata, peraltro, dall’impatto della recente crisi sul reddito familiare. Nei paragrafi seguenti si procederà all’analisi della rischiosità dei mutui per l’acquisto dell’abitazione concessi alle famiglie italiane con l’obiettivo di ottenere informazioni sulla qualità del collateral sottostante i titoli RMBS. L’analisi del rischio dei mutui si basa sul campione di famiglie indebitate estrapolato dall’Indagine sui Bilanci delle Famiglie Italiane (Survey on Household Income and Wealth, SHIW) della Banca d’Italia nel periodo di tempo che va dal 2000 al 2008. I microdati SHIW permettono, infatti, di fotografare il livello di indebitamento delle famiglie italiane, di evidenziare le principali caratteristiche dei mutui concessi alle famiglie e di calcolare alcuni indicatori di fragilità finanziaria. Dopo una breve descrizione del dataset utilizzato si procederà alla presentazione delle stime ottenute dall’elaborazione dei dati SHIW e, infine, verranno esposti i principali risultati ottenuti da un’analisi econometrica della probabilità di ritardo col pagamento di almeno una rata del mutuo. 7.2 Il dataset: la SHIW Le variabili microeconomiche che possono fornire informazioni sulla rischiosità dei mutui immobiliari sono state estrapolate dall’Indagine sui Bilanci delle Famiglie Italiane (Survey on Household Income and Wealth, SHIW) della Banca d’Italia. Si tratta di un’indagine campionaria a cadenza biennale nata negli anni Sessanta che persegue l'obiettivo di raccogliere informazioni su i redditi, i risparmi, la ricchezza e altri aspetti inerenti i comportamenti economici e finanziari delle famiglie italiane. I risultati dell'indagine vengono regolarmente pubblicati nei Supplementi al Bollettino Statistico della Banca d’Italia e sono disponibili gratuitamente per elaborazioni e ricerche con due anni di ritardo rispetto all’anno di riferimento (l’ultima indagine disponibile, quindi, pubblicata a Febbraio 2010 riguarda i dati 2008). Nelle ultime indagini il campione è formato da circa 8.000 famiglie (24.000 individui), distribuite in circa 300 comuni italiani (vd. Tabella 7.1). Dal 1989 per favorire l'analisi dell'evoluzione dei fenomeni oggetto di indagine, è stato introdotto uno schema che prevede la presenza nel campione di una quota di unità già intervistate in occasione di precedenti indagini (le cosiddette famiglie panel). Il questionario sottoposto agli intervistati si compone di una parte di base, nella quale sono rilevati i fenomeni ai quali tutte le famiglie sono interessate, e di diversi allegati, in cui sono raccolte informazioni che riguardano soltanto specifici sottoinsiemi di famiglie. I dati rilevati dall’indagine possono presentare incoerenze infatti, da parte dell’intervistato possono esserci problemi di comprensione della domanda, di memoria nel fornire una risposta adeguata o anche reticenza nel fornire informazioni percepite come riservate. Al fine di rendere coerenti i dati raccolti essi vengono sottoposti a una fase di controllo e successivamente viene effettuata 177 l'imputazione delle mancate risposte per tutte le variabili elementari che costituiscono le componenti di variabili aggregate 183. Tabella 7.1: Famiglie intervistate nel corso del tempo e quota panel Fonte: Banca d’Italia (2010a) Un altro problema, tipico delle indagini statistiche, è quello che attiene alle mancate interviste dal momento che i campioni di segmenti di popolazione meno disposti a collaborare possono essere sottorappresentati, producendo stime distorte (selectivity bias). La soluzione a quest’ordine di problema ha lo scopo di sensibilizzare le famiglie sull’importanza dell’indagine e a rassicurarle sulla riservatezza delle informazioni fornite al fine di ridurre progressivamente il fenomeno della mancata risposta. Altre misure adottate, invece, riguardano i criteri di estrazione delle famiglie “sostituto” le quali sono estratte mediante criteri casuali negli stessi comuni della famiglia che non è stato possibile intervistare. Un ulteriore aspetto che può influire sulla qualità delle stime riguarda il fenomeno dell’underreporting soprattutto quando viene chiesto all’intervistato di fornire informazioni sulle proprie fonti di reddito o sulle forme di attività finanziarie o reali possedute. Procedure di correzione della distorsione delle stime campionarie della ricchezza finanziaria causata dalla reticenza delle famiglie intervistate (under-reporting) sono state proposte da D’Aurizio et al (2006) al fine di tener conto sia dell’under-reporting sul possesso di attività/passività finanziarie sia di 183 Il numero dei dati imputati è in generale modesto, dell’ordine di qualche decina di casi per la maggior parte delle variabili. L’imputazione avviene mediante l’utilizzo di modelli di regressione i quali consentono la stima dei valori da attribuire alle mancate risposte sulla base di altre informazioni disponibili. Successivamente, al fine di evitare una eccessiva concentrazione intorno ai valori medi, al dato stimato viene aggiunta una componente casuale, estratta da una variabile di tipo normale, con media zero e varianza pari a quella dei residui del modello di regressione utilizzato. In tal modo si intendono preservare la media e la varianza che caratterizzano i dati effettivamente rilevati. 178 quello sul valore. Il processo di correzione, tuttavia, è piuttosto complesso e laborioso e, per quanto riguarda le passività finanziarie, l’aggiustamento è minimale; pertanto le stime sui dati SHIW che seguono non sono state corrette per la distorsione da under-reporting. In linea generale si riscontra una difficoltà crescente a ottenere l'intervista al crescere del reddito, della ricchezza e del titolo di studio del capofamiglia. Minori difficoltà si incontrano, invece, con le famiglie con un ridotto numero di componenti, residenti al Sud e Isole o in comuni di piccole dimensioni, con capofamiglia anziano o non occupato. Sebbene il livello di attendibilità non è omogeneo all’interno del campione esso risulta per tutte le indagini in media soddisfacente. Nel presente lavoro, al fine di coprire l’arco temporale di analisi, saranno utilizzate le ultime cinque indagini, ossia da quella del 2000 fino ad arrivare a quella più recente del 2008. Le informazioni rilevanti ai fini del presente studio riguardano le passività finanziarie delle famiglie italiane e, nello specifico, i mutui per l’acquisto o ristrutturazione di immobili. I dati estratti dalla SHIW e successivamente elaborati altro non sono che le risposte alle sezione D “Abitazione di residenza, altri beni immobili ed indebitamento” del questionario e, in particolare, le informazioni più rilevanti riguardano: - l’esistenza di un debito al 31 Dicembre per l’acquisto o la ristrutturazione dell’abitazione di residenza; - l’ammontare residuo del mutuo al 31 Dicembre (disponibile a partire dal 2004); - l’ammontare complessivo (capitale e interessi) della rata annua; - l’importo iniziale del mutuo; - l’anno in cui il mutuo è stato ottenuto; - la durata del mutuo inizialmente stabilita; - il tipo di tasso applicato; - il ritardo nel pagamento di una rata per oltre 90 giorni nel corso dell’anno (disponibile solo nell’indagine per il 2008). Le informazioni sull’indebitamento sono poi corredate dalle variabili socio-demografiche (età, sesso, area di residenza, condizione lavorativa ecc.) ed economiche (reddito disponibile, ricchezza familiare ecc.). Le prime sono riferite al capofamiglia, nella presente analisi, inteso come il responsabile dell’economia familiare; le seconde vengono utilizzate a livello aggregato di unità familiare. Si precisa fin da ora che, benché possano costituire collateral di titoli RMBS sia i mutui concessi per l’acquisto dell’abitazione di residenza sia quelli contratti per l’acquisto di altri immobili, l’analisi basata sui dati SHIW sarà circoscritta ai primi. L’indagine SHIW infatti, permette di conoscere solo l’esistenza o meno di un debito verso istituzioni finanziarie per l’acquisto o ristrutturazione di altri immobili e il debito residuo ma, a causa della mancanza di informazioni circa l’anno in cui è stato ottenuto il mutuo o la vita residua, risulta impossibile risalire al piano di ammortamento e ad altre informazioni rilevanti per lo studio di quella particolare categorie di mutui. Per la creazione e la gestione del dataset si è utilizzato il software Microsoft Excel attraverso cui sono state prodotte statistiche descrittive poi organizzate in forma tabellare o grafica. Le statistiche descrittive riguardano il livello di indebitamento per l’acquisto dell’abitazione di residenza degli household italiani; analisi più approfondite (come ad esempio lo studio della distribuzione dell’indebitamento in base a variabili demografiche ed economiche e della vulnerabilità finanziaria), coerentemente allo scopo dell’analisi (valutazione della rischiosità 179 di un campione di mutui concessi alle famiglie italiane), sono riferite al solo universo delle famiglie indebitate. In tutte le elaborazioni, come per altro suggerito dalla stessa Banca d’Italia, sono stati utilizzati i coefficienti di ponderazione per ottenere stime non distorte e, in particolare, si è fatto uso dei coefficienti di ponderazione PESOFL2 che consento una buona comparabilità delle stime tra indagini diverse. 7.3 Analisi descrittive dei dati sull’indebitamento delle famiglie italiane Di seguito si riportano i principali risultati ottenuti dall’elaborazione dei dati dell’indagine sui bilanci delle famiglie italiane nell’arco di tempo che va dal 2000 al 2008. Dopo aver delineato il livello di indebitamento delle famiglie italiane e la sua evoluzione nel periodo di analisi si procederà alla ricerca della presenza o meno di elementi di fragilità finanziaria tra gli household indebitati per l’acquisto dell’abitazione di residenza. Come conseguenza della crescita delle erogazioni di prestiti (vd. paragrafo 6.3.2), tra il 1998 e il 2008, la percentuale di famiglie italiane che ha fatto ricorso a istituzioni finanziarie per ricevere finanziamenti ha registrato un rapido aumento (vd. Tabella 7.2). La contrazione della percentuale di famiglie indebitate nel 2002 – nel 2002 il 22% delle famiglie è indebitata contro il 25% del 2000 – può essere in parte spiegata dall’aumento della ricchezza investita in attività finanziarie nella seconda metà degli anni Novanta i cui capital gain potrebbero aver ridotto il numero di famiglie con necessità di finanziamenti. L’incremento della percentuale di famiglie italiane nel periodo più recente è stato influenzato, tra l’altro, dal basso livello dei tassi di interesse e dallo sviluppo dell’industria finanziaria, che ha reso più ampia e flessibile l’offerta di prodotti per le famiglie, per esempio per il credito al consumo o per l’acquisto di attività reali. Tabella 7.2: Percentuale di famiglie indebitate 1998-2008 % di famiglie indebitate Tasso di crescita dell'indebitamento 1998 2000 2002 2004 2006 2008 19,10% 24,80% 22,10% 24,60% 26,10% 27,80% 29,84% -10,89% 11,31% 6,10% 6,51% Fonte: elaborazione propria su dati SHIW Considerando il solo lato della domanda di prestiti a banche o a società finanziarie da parte delle famiglie, si nota che nel periodo 2002-2006 è progressivamente aumentata la percentuale di famiglie che si è rivolta a istituzioni finanziarie per ottenere un finanziamento; il picco massimo è stato registrato nel 2006 (vd. Figura 7.1). Solo nel 2008 la domanda di finanziamenti si abbassa di quasi un punto percentuale, rispetto al 2006, a causa del rapido e generale peggioramento del clima di fiducia e per il rallentamento delle compravendite di immobili e delle quotazioni immobiliari. La flessione della domanda di prestiti registrata in Italia è un fenomeno comune a tutti i principali paesi europei dal momento che la recente crisi finanziaria ha interessato i vari paesi a livello globale esercitando un deterioramento delle prospettive economiche sulle scelte di consumo delle famiglie. 180 Figura 7.1: Percentuale di famiglie che ha richiesto un prestito ed esito della richiesta 20002008 100,00% 6,00% 90,00% 5,50% 80,00% 5,00% 70,00% 4,50% 60,00% 50,00% 4,00% 40,00% 3,50% 30,00% 3,00% 20,00% 2,50% 10,00% 0,00% 2,00% 2000 completamente accolta 2002 2004 parzialmente accolta 2006 rifiutata 2008 Richiesta prestito Note: I dati relativi a “Richiesta prestito” su asse dx. Fonte: elaborazione propria su dati SHIW Analizzando la Figura 7.1 dal punto di vista dell’esito della richiesta del prestito si nota invece un aumento delle richieste di mutuo parzialmente accolte e di quelle rifiutate nel 2006 e l’andamento è confermato anche per il 2008. Sembra profilarsi, quindi, nel 2006 e, in particolare, nel 2008 una maggiore cautela delle banche nell’erogazione del credito causata principalmente dallo scoppio della crisi subprime e dalle collegate difficoltà sui mercati della provvista (in particolare sul canale interbancario). L’incremento del ricorso al credito delle famiglie italiane è stato sostenuto, in modo particolare, dalla componente per l’acquisto di abitazioni. I debiti per l’acquisto di immobili costituiscono, infatti, la quota maggiore delle passività finanziarie degli household italiani e, parallelamente, le attività immobiliari costituiscono la componente principale della ricchezza delle famiglie. Come mostrato dalla Figura 7.2 i debiti per immobili rappresentato il 60% e il 74,3%, nel 2006 e nel 2007 rispettivamente, del debito familiare totale. Seguono i debiti contratti per esigenze lavorative, quelli per beni di consumo (come ad esempio auto, elettrodomestici, vacanze, oggetti preziosi ecc.) e, infine, i debiti nei confronti di amici o parenti non conviventi. Focalizzando l’analisi solo sui debiti per immobili di residenza osserviamo che la percentuale di household che hanno dichiarato di essere indebitati per l’acquisto dell’abitazione di residenza, nel periodo di tempo analizzato, aumenta costantemente passando dal 6,10% del 2000 al 10,87% nel 2008 (vd. Tabella 7.3). 181 Figura 7.2 : Struttura dei debiti familiari 2006-2008 80,0% 74,3% 70,0% 60,0% 60,0% 50,0% 40,0% 26,1% 30,0% 16,0% 20,0% 10,3% 10,0% 8,1% 1,8% 1,6% 0,0% Debito per immobili Debito per beni di consumo Debito per attività lavorative 2006 Debito verso parenti o amici 2008 Fonte: elaborazione propria su dati SHIW Tabella 7.3: Percentuale di famiglie indebitate per l’acquisto dell’abitazione di residenza (2000-2008) % di famiglie indebitate per l'acquisto dell'abitazione di residenza Tasso di crescita dell’indebitamento 2000 2002 2004 2006 2008 6,10% 7,09% 8,14% 8,28% 10,87% 16,23% 14,81% 1,72% 31,28% Fonte: elaborazione propria su dati SHIW L’aumento della percentuale di famiglie italiane impegnate nella restituzione di capitale preso a prestito per l’acquisto di un’abitazione testimonia la crescita delle erogazioni osservate nell’arco temporale oggetto di analisi (vd. paragrafo 6.3.2). Nell’ultimo decennio l’incremento del tasso di indebitamento delle famiglie per l’acquisto di abitazioni è stato registrato anche nella maggior parte dei principali paesi dell’Area dell’Euro. L’Italia nel confronto internazionale, nonostante la crescita dell’indebitamento osservata, si colloca sui valori più bassi (inferiori alla media dell’Area dell’Euro). La Spagna, al contrario, evidenzia a partire dal 2005 il livello di indebitamento delle famiglie per l’acquisto di abitazioni più elevato. La crescita dei finanziamenti alle famiglie per l’acquisto di abitazioni può essere ricondotta a fattori economici e a fattori comportamentali. Tra i fattori economici rientrano: - il cambiamento dello scenario dei tassi. Il costo del debito, in termini reali, molto basso ha reso conveniente l’indebitamento ipotecario; - il ciclo immobiliare favorevole caratterizzato da un numero di scambi in forte aumento e da valori immobiliari elevati e tendenzialmente crescenti; - le politiche di offerta degli intermediari i quali, grazie anche all’innovazione finanziaria, hanno ampliato la gamma di prodotti per il finanziamento delle famiglie e 182 hanno sviluppato nuove forme contrattuali maggiormente rispondenti alle esigenze della clientela. Il periodo analizzato, inoltre, è stato contraddistinto da condizioni di accesso all’abitazione di residenza migliori rispetto al passato; infatti la condizione di stabilità finanziaria osservata tra il 2003 e il 2005 ha consentito l’accesso a mutui che, per tassi e altre condizioni, sono risultati assai favorevoli tanto da compensare l’incremento nel valore delle abitazioni (D’Alessio et al, 2007). Probabilmente anche il crescente ricorso da parte delle banche italiane alle operazioni di cartolarizzazione ha contribuito alla crescita dei mutui alle famiglie dal momento che hanno ampliato le possibilità di funding. Infine, anche l’elevata aleatorietà delle performance degli investimenti finanziari potrebbe aver sospinto l’investimento in immobili. I fattori comportamentali riguardano, invece, l’evoluzione socio-economica della famiglia e il cambiamento di mentalità verso l’indebitamento. Il progressivo passaggio verso un’accezione meno negativa dello status di “indebitato” verso il settore finanziario è testimoniato anche dalla ridotta quota di debiti verso amici e parenti rispetto all’intero “portafoglio” debiti delle famiglie (vd. Figura 7.2). Molte famiglie, infine, mosse dal crescente desiderio di un miglioramento della condizione abitativa verso una forma di abitazione stabile come quella della casa di proprietà hanno avuto accesso al canale del credito per finanziare l’acquisto dell’immobile. L’insieme dei suddetti fattori potrebbe far sorgere perplessità circa la rischiosità dei mutui alle famiglie italiane, peraltro tradizionalmente molto bassa, poiché possono aver favorito l’accesso al credito di segmenti di clientela più marginali precedentemente escluse dal mercato. Quest’ultimo aspetto verrà adeguatamente indagato nel corso del testo; l’aumento in sé della percentuale di famiglie indebitate, invece, non è al momento fonte di preoccupazione poiché la partecipazione al mercato del credito delle famiglie italiane è ancora inferiore rispetto ai principali paesi industriali. La rappresentazione delle informazioni riguardanti la distribuzione dei prestiti per l’acquisto dell’abitazione di residenza scomposte sulla base di variabili demografiche ed economiche risulta particolarmente utile ai fini della nostra analisi, in primis, per fornire una sorta di identikit delle famiglie indebitate e, in secondo luogo, per individuare l’esistenza o meno di elementi di fragilità finanziaria. La Figura 7.3 mostra la distribuzione delle famiglie indebitate per l’acquisto dell’immobile di residenza in base ai quartili di reddito disponibile familiare netto. Sebbene la distribuzione delle famiglie indebitate per quartile di reddito risulti abbastanza omogenea è possibile osservare che le famiglie appartenenti al primo quartile, ossia quelle con redditi più bassi, risultano meno indebitate rispetto alle famiglie rientranti nel quarto quartile, ossia quelle con redditi più alti. Tuttavia, l’aumento dell’indebitamento tra le famiglie italiane, nell’arco di tempo considerato, ha interessato soprattutto le famiglie appartenenti al quartile di reddito più basso (vd. Figura 7.4). Probabilmente l’arricchimento della gamma di finanziamenti disponibili, l’aumento della concorrenza e l’allargamento dell’attività di prestito verso nuove fasce di clientela ha consentito l’aumento della quota di famiglie indebitate rientranti nel primo quartile precedentemente escluse dal mercato del credito. Anche la dinamica del mercato immobiliare può spiegare l’aumento della percentuale di household rientranti nel primo quartile infatti, nell’arco di tempo 2002-2008 la domanda di abitazioni proveniva essenzialmente da giovani coppie “mutuo dipendenti” con una ridotta capacità di spesa. 183 Figura 7.3: Percentuale di famiglie indebitate per l’acquisto dell’abitazione di residenza per quartile di reddito familiare disponibile netto 2000-2008 35,00% 30,00% 25,00% 20,00% 15,00% 10,00% 5,00% 0,00% 2000 2002 2004 2006 2008 1° quartile 22,16% 26,27% 23,11% 23,37% 24,52% 2° quartile 25,67% 23,56% 24,17% 24,76% 23,99% 3° quartile 23,35% 21,61% 23,18% 24,82% 24,68% 4° quartile 28,82% 28,56% 29,66% 27,04% 26,81% Note: Il reddito familiare disponibile netto è dato dalla somma di: reddito da lavoro dipendente netto, pensioni e trasferimenti netti, reddito da lavoro autonomo netto, reddito da capitale ed è al lordo degli oneri finanziari dovuti su debiti verso banche e società finanziarie. Fonte: elaborazione propria su dati SHIW Figura 7.4: Percentuali di famiglie indebitate per l’acquisto dell’abitazione di residenza per quartile di reddito familiare disponibile netto: confronto 2000-2008 35,00% 30,00% 25,00% 20,00% 15,00% 10,00% 5,00% 0,00% 1° quartile 2° quartile 3° quartile 2000 4° quartile 2008 Note: Il reddito familiare disponibile netto è dato dalla somma di: reddito da lavoro dipendente netto, pensioni e trasferimenti netti, reddito da lavoro autonomo netto, reddito da capitale ed è al lordo degli oneri finanziari dovuti su debiti verso banche e società finanziarie. Fonte: elaborazione propria su dati SHIW Parallelamente, si è assistito a un progressivo calo della percentuale di famiglie indebitate a più alto reddito. La minor diffusione dei mutui ipotecari nella classe di reddito inferiore mette in luce una minore rischiosità dei mutui concessi alle famiglie; è infatti palese che la probabilità di riscontrare difficoltà nel rimborso del prestito è maggiore per le famiglie più 184 povere. Tale risultato è in linea, inoltre, con la relazione positiva tra elevato livello di reddito e probabilità di ottenere un prestito. Se da un lato questo risultato è confortante in quanto segnala il basso rischio dei mutui per l’acquisto della “prima casa” dall’altro testimonia l’esistenza di diseguaglianze soprattutto in un comparto dell’attività bancaria - la concessione di fondi per l’acquisto dell’abitazione di residenza - ad elevato contenuto sociale e civile. L’abitazione di residenza costituisce un elemento determinante della qualità della vita degli individui in quanto genera una maggiore sicurezza nella disponibilità di un alloggio quindi, negare l’accesso al credito per l’acquisto della “prima casa” alle fasce di popolazione più disagiate, significa negare loro un miglioramento sociale. Tuttavia, quello che rileva ai fini della presente analisi è, in prima istanza, la bassa rischiosità delle famiglie italiane indebitate dovuta alla maggiore diffusione dell’indebitamento tra le classi più agiate. Le famiglie che ricorrono al credito sono più giovani, infatti la quota di famiglie indebitate con capofamiglia di età inferiore ai 30 anni risulta in aumento, ad eccezione del 2006, anno in cui si registra un calo sebbene la quota percentuale sia comunque più elevata rispetto al 2000 (vd. Figura 7.5). Tale andamento è ben rappresentato nella Figura 7.6 in cui viene confrontata l’età media del capofamiglia dell’intero campione con l’età media del capofamiglia indebitato: l’età media del capofamiglia indebitato è sistematicamente inferiore all’età media calcolata per l’intero campione e, nel periodo 2000-2004, in calo. L’accesso al mercato del credito di una quota maggiore di mutuatari di età inferiore ai 30 anni è il riflesso delle innovazioni intervenute nei contratti di mutuo al fine di incontrare le esigenze della clientela. L’aumento di soggetti indebitati giovani profila una maggiore rischiosità dei mutui concessi alle famiglie italiane infatti, sulla base dello studio di Bonaccorsi di Patti et al (2008), i mutui concessi a persone di età non superiore a 30 anni sono più rischiosi, con una probabilità di entrare in sofferenza più elevata dello 0,1% e con una probabilità che il credito sia registrato come scaduto più elevata dello 0,7%. Figura 7.5: Percentuale di famiglie indebitate per età del capofamiglia 2000-2008 40,00% 35,00% 30,00% 25,00% 20,00% 15,00% 10,00% 5,00% 0,00% 2000 2002 2004 2006 2008 fino a 30 anni 4,91% 5,86% 8,01% 5,90% 7,56% da 31 a 40 anni 35,03% 35,87% 36,13% 35,25% 32,06% da 41 a 50 anni 32,51% 33,21% 33,16% 34,86% 36,22% da 51 a 65 anni 23,11% 20,38% 19,20% 20,28% 18,90% oltre 65 anni 4,44% 4,69% 3,49% 3,72% 5,27% Note: Le caratteristiche individuali sono riferite al capofamiglia inteso come il responsabile dell’economia familiare. Le percentuali sono calcolate sul campione delle famiglie indebitate per l’acquisto dell’abitazione di residenza. Fonte: elaborazione propria su dati SHIW 185 Figura 7.6: Età media del capofamiglia: confronto 2000-2004-2008 60 50 55,14 56,1 55,18 45,13 43,57 45,33 40 30 20 10 0 2000 2004 Totale famiglie 2008 Famiglie indebitate Note: le caratteristiche individuali sono riferite al capofamiglia inteso come il responsabile dell’economia familiare. Fonte: elaborazione propria su dati SHIW Tra le famiglie indebitate quelle con capofamiglia di sesso maschio prevalgono su quelle in cui il capofamiglia è femmina; tuttavia si rileva una tendenza del maggior ricorso al debito (fino al 2006) per i nuclei con capofamiglia femmina probabilmente a causa dell’aumento delle capofamiglia di sesso femminile nell’indagine SHIW (vd. Tabella 7.4). Considerando lo stato maritale del capofamiglia si osserva un progressivo aumento della quota di famiglie indebitate il cui capofamiglia è single (inteso come celibe/nubile, separato/divorziato o vedovo). Nello specifico la percentuale di capofamiglia single indebitati cresce di nove punti percentuali tra il 2000 e il 2008 (vd Tabella 7.4). Il ricorso al debito diminuisce all’aumentare del numero dei percettori della famiglia (vd. Tabella 7.4). Più della metà delle famiglie italiane indebitate sono composte da due percettori, quindi, tali famiglie possono contare su due fonti di reddito per il rimborso del debito tuttavia, si registra un incremento della quota di famiglie indebitate costituite da un solo percettore. Dal punto di vista della condizione professionale del capofamiglia non si rilevano cambiamenti significativi nell’arco di tempo analizzato è possibile, tuttavia, apprezzare un aumento del ricorso al credito per la componente mutui immobiliari dei percettori di redditi da lavoro dipendente (vd. Tabella 7.4). La percentuale relativamente contenuta di famiglie indebitate in cui il capofamiglia è lavoratore autonomo segnala un ridotto rischio dei mutui per l’acquisto di abitazioni. Infatti, i mutui concessi a lavoratori autonomi sono considerati più rischiosi rispetto a quelli concessi a lavoratori dipendenti poiché la fonte di reddito dei primi deriva dalle performance della propria attività invece che da un lavoro svolte alle dipendenze. Analizzando la scomposizione delle famiglie indebitate in base al titolo di studio risulta che il capofamiglia di quasi la metà delle famiglie indebitate possiede un diploma di scuola superiore; mentre la percentuale di capofamiglia con laurea rimane pressoché costante nell’arco di tempo considerato (vd. Tabella 7.4). 186 Tabella 7.4: Scomposizione delle famiglie indebitate per l’acquisto dell’abitazione di residenza in base ad alcune variabili socio-demografiche 2000-2008 2000 2002 2004 2006 2008 6,10% 7,09% 8,14% 8,28% 10,87% Maschi 75,73% 70,45% 70,44% 69,85% 71,78% Femmine 24,27% 29,55% 29,56% 30,15% 28,22% Sposato 84,57% 84,04% 81,47% 74,29% 75,57% Single 15,43% 15,98% 18,53% 25,71% 24,43% 1 percettore 30,86% 29,45% 30,57% 37,83% 34,95% 2 percettori 53,36% 57,25% 58,98% 51,35% 54,04% 3 percettori 11,88% 10,52% 7,37% 8,84% 8,48% 4 percettori 2,95% 2,12% 2,58% 1,24% 2,21% oltre 4 percettori 0,94% 0,66% 0,50% 0,73% 0,31% Lavoratore dipendente 56,07% 54,59% 57,81% 61,64% 58,37% Lavoratore autonomo 22,39% 26,26% 24,73% 24,49% 24,08% Condizione non professionale 21,53% 19,14% 17,47% 13,88% 17,55% Nessuno/licenza elementare 10,36% 11,86% 8,53% 6,70% 5,87% Media inferiore 27,32% 27,82% 28,53% 26,88% 31,43% Media superiore 44,45% 46,87% 46,12% 47,96% 46,24% Laurea 17,86% 13,44% 16,81% 18,46% 16,46% Nord 68,31% 64,22% 63,50% 56,75% 56,15% Centro 13,47% 20,76% 17,04% 26,62% 19,15% Sud e Isole 18,22% 15,02% 19,46% 16,63% 24,71% fino a 20.000 abitanti 38,73% 42,91% 44,14% 47,37% 51,02% da 20.000 a 40.0000 abitanti 11,23% 12,89% 15,15% 11,66% 9,76% da 40.000 a 500.000 abitanti 36,17% 29,49% 28,94% 22,32% 23,62% oltre 500.000 abitanti 13,88% 14,71% 11,77% 18,65% 15,60% Famiglie indebitate Sessoa Stato maritalea Numero percettori Condizione professionalea Titolo di studioa Area geografica di residenzaa Ampiezza comune di residenzaa a Le caratteristiche individuali sono riferite al capofamiglia inteso come il responsabile dell’economia familiare. Note: le percentuali sono calcolate sul campione delle famiglie indebitate per l’acquisto dell’abitazione di residenza. Fonte: elaborazione propria su dati SHIW 187 L’indebitamento è più diffuso al Nord e al Centro, ma la quota di famiglie indebitate residenti al Sud e nelle Isole è aumentata di quasi sei punti percentuali dal 2000 (vd. Tabella 7.4). L’area geografica può incidere sulla rischiosità dei mutui, in particolare, le famiglie residenti al Sud sono caratterizzate da una probabilità di incontrare difficoltà più elevata di quelle residenti al Centro-Nord (Bonaccorsi di Patti et al, 2008). Tuttavia, i pool di mutui ipotecari sottostanti i RMBS italiani sono dotati di una buona diversificazione geografica che riflette la presenza della banca erogante sul territorio inoltre, la diversificazione è favorita anche dal diverso sviluppo economico dell’Italia – le regioni del Nord sono contraddistinte da un robusto sviluppo economico e si contrappongono alle regioni del Sud più povere e con un’economia più debole. Un forte aumento delle famiglie indebitate, con una crescita media annua dell’8% circa, si è registrata per le famiglie residenti in paesi con una popolazione fino a 20.000 abitanti e, nel 2008, queste famiglie rappresentano oltre la metà del campione di household indebitati. Si tratta di un dato coerente con l’andamento del mercato immobiliare infatti, le compravendite dal 2004 fino al 2006 hanno evidenziato un notevole aumento soprattutto nelle classi di comuni più piccoli. Elementi di preoccupazione circa la fragilità finanziaria delle famiglie italiane indebitate potrebbero derivare dalla netta prevalenza di mutui a tasso variabile nel periodo 2000-2006 (vd. Figura 7.7). Figura 7.7: Distribuzione del tasso di interesse dei mutui per l’acquisto dell’abitazione di residenza 2000-2008 e andamento dell’Euribor 3-mesi 70,00% 4,64% 4,40% 4,27% 5,00% 4,50% 60,00% 4,28% 4,00% 3,32% 50,00% 3,50% 3,08% 3,00% 40,00% 2,50% 2,11% 30,00% 2,33% 2,00% 2,18% 1,50% 20,00% 1,00% 10,00% 0,50% 0,00% 0,00% 2000 2001 2002 Tasso fisso 2003 2004 2005 Tasso variabile 2006 2007 2008 Euribor 3-mesi Note: i dati relativi a “Euribor 3-mesi” su asse dx. Le percentuali sono calcolate sul campione delle famiglie indebitate per l’acquisto dell’abitazione di residenza. Fonte: elaborazione propria su dati SHIW e BCE La maggior diffusione di mutui a tasso variabile tra le famiglie italiane indebitate è certamente la conseguenza dei bassi livelli dei tassi di interesse; in corrispondenza dell’andamento discendente dell’Euribor 3-mesi si assiste all’aumento della quota di mutui a 188 tasso variabile (oltre la metà degli household indebitati nel 2004 e 2006 aveva un mutuo a tasso variabile). Sembra, quindi, che l’elevata preferenza per il tasso variabile discenda dalla scelta operata dalle famiglie che hanno avuto accesso al mercato del credito di ridurre nell’immediato il peso delle rate. Ulteriori spiegazioni della predominanza dei mutui a tasso variabile possono essere ricercate nell’aumento della concorrenza tra i vari intermediari che potrebbe essere stata esercitata maggiormente sul comparto variabile (il tasso variabile permette alle banche di proporsi alla clientela con condizioni più alettanti). Inoltre, sull’ampia quota di mutui a tasso variabile potrebbe aver inciso anche una certa convenienza da parte delle banche italiane le quali, finanziandosi prevalentemente per mezzo di depositi e obbligazioni, ottengono un limitato grado di trasformazione delle scadenze. I mutui a tasso variabile possono rivelarsi più rischiosi in caso di aumento dell’onerosità del servizio del debito a carico delle famiglie poiché variazioni in aumento del tasso di interesse di riferimento impattano direttamente sul costo del mutuo. Tale situazione prospettata si è verificata tra il 2006-2008; a causa di un forte aumento dei tassi di interesse è venuta a delinearsi una situazione di elevato rischio per le famiglie italiane sul piano della sostenibilità del costo del mutuo. Lo studio econometrico di Bonaccorsi et al (2008) dimostra che in media, i mutui a tasso variabile hanno un tasso di sofferenza o ritardo nel pagamento circa doppio rispetto a quello stimato per i mutui a tasso fisso. La predominanza del tasso variabile si è nettamente invertita nel 2008. La fase rialzista dei tassi di interesse nel periodo 2005-2007 ha alimentato la crescita dei contratti a tasso fisso mentre le famiglie che negli anni precedenti avevano contratto mutui per l’acquisto dell’abitazione a tasso variabile probabilmente hanno optato per la rinegoziazione il mutuo stesso 184. Al fine di analizzare l’entità dell’esposizione degli household italiani indebitati verso il settore finanziario viene seguito l’andamento dell’importo medio erogato. L’importo medio del mutuo negli anni 2000-2006 mostra un andamento crescente - passa da Euro 44.433 nell’anno 2000 a Euro 98.201 nell’anno 2006 - coerente con l’elevato livello dei prezzi degli immobili raggiunto in quegli anni, con la maggiore flessibilità dell’offerta nonché con la diminuzione del potere di acquisto della fascia di popolazione con redditi medio-bassi (vd. Figura 7.8). Risulta più difficile, invece, dare una spiegazione al calo del 5,2% dell’importo erogato nel 2008. Esso, infatti, può essere il risultato di una domanda di mutui di importo minore da parte delle famiglie o, al contrario, di un razionamento del credito operato dalle banche o, ancora, essere il frutto di entrambi. Particolarmente importante ai fini dello studio è la verifica della presenza dei cosiddetti jumbo loan ossia di quei finanziamenti che, in base alla definizione di Standard & Poor’s, eccedono l’importo di Euro 150.000. Essendo, per i jumbo loan, l’importo erogato elevato essi risultano più rischiosi. Secondariamente è più probabile che erogazioni molto elevate siano destinate all’acquisto di abitazioni di prestigio dal valore anch’esso elevato; proprio per questo tipo di mutui ipotecari il rischio è ancora maggiore poiché, in un’ottica di recupero del credito in caso di insolvenza, presentano una LGD più elevata poiché il mercato per queste abitazioni è ridotto e poco liquido. Nel periodo considerato si assiste a un accelerazione della percentuale di jumbo loan nel periodo 2004-2006; sull’andamento è intuibile che incida la crescita delle 184 Sono stati circa 50.000 i clienti, alla fine di Novembre 2008, che hanno deciso di sfruttare le opportunità di rinegoziazione della Convenzione tra il Ministero dell’Economia e l’Associazione bancaria. Il controvalore dei mutui rinegoziati con tale modalità è pari ad oltre 5 miliardi di Euro. 189 quotazioni immobiliari congiuntamente alle innovazioni intervenute nelle forme contrattuali dei mutui (vd. Figura 7.9). Figura 7.8: Importo medio erogato del mutuo per l’acquisto dell’abitazione di residenza 2000-2008 120.000,00 45,00% 40,14% 35,61% 40,00% 100.000,00 35,00% 30,00% 80.000,00 25,00% 16,29% 20,00% 60.000,00 15,00% 10,00% 40.000,00 5,00% -5,22% 0,00% 20.000,00 -5,00% - -10,00% 2000 2002 2004 Importo medio mutuo 2006 2008 Variazione percentuale Note: I dati relativi a “Variazione percentuale” su asse dx. Fonte: elaborazione propria su dati SHIW Figura 7.9: Percentuale di mutui “jumbo” 13,70% 14,00% 12,18% 12,00% 10,00% 8,00% 6,00% 4,14% 4,00% 2,00% 1,77% 0,88% 0,00% 2000 2002 2004 2006 2008 jumbo loan Note: Le percentuali sono calcolate sul campione delle famiglie indebitate per l’acquisto dell’abitazione di residenza. Fonte: elaborazione propria su dati SHIW Con i dati disponibili dell’indagine, qui di seguito, si cercherà di fornire indicazioni circa la vulnerabilità finanziaria degli household indebitati, un tema su cui la crisi finanziaria ha concentrato l’attenzione. Il termine vulnerabilità finanziaria non indica necessariamente una 190 situazione di insolvenza o di ritardo nei pagamenti delle rate bensì denota una maggiore probabilità di riscontrate una situazione di ritardo nei pagamenti o di insolvenza. Come variabile proxy della vulnerabilità finanziaria si adotta il debt-to-income ratio (DTI) calcolato come il rapporto tra la rata annua – comprensiva di capitale e interessi – e il reddito disponibile netto annuo delle famiglie indebitate. Si precisa che il reddito disponibile netto nella SHIW è fornito al netto delle tasse e al netto degli interessi passivi pagati sui mutui per l’acquisto dell’abitazione; dal momento che un reddito espresso al netto degli oneri finanziari avrebbe prodotto stime del DTI ratio non sensate ai fini dell’analisi si è provveduto alla correzione dell’aggregato lordizzandolo degli interessi passivi. Già precedenti studi in materia hanno utilizzato il rapporto tra la spesa complessivamente sostenuta per il rimborso del debito e il reddito disponibile quale indicatore del grado di sostenibilità del debito grazie al suo contenuto informativo atto a verificare la vulnerabilità finanziaria (BCE, 2009, 2005; Banca d’Italia, 2010, 2008) La Figura 7.10 mostra l’andamento del rapporto rata su reddito nell’intervallo di tempo analizzato; esso aumenta in tutte le wave anche se l’intensità dell’aumento rallenta nel 2008. Spostando l’attenzione al contesto Europeo, l’incidenza del costo del mutuo sul reddito delle famiglie italiane, sebbene sia chiaramente cresciuta, rimane sempre più bassa rispetto ad altri paesi Europei, come ad esempio Spagna, Grecia e Olanda (BCE, 2009). L’analisi delle dinamica delle variabili che permettono il calcolo del DTI ratio risulta utile al fine comprendere le cause sottostanti la crescita del rapporto. La Figura 7.11 riporta pertanto le variazioni percentuali annue intervenute nella rata totale annua media e nel reddito familiare annuo medio. Seguendo l’evoluzione della sola rata annua notiamo che essa assume un andamento crescente e registra il picco dell’aumento nel 2006 (+ 22,72%) a causa, probabilmente, della crescita della spesa per interessi per i mutui a tasso variabile. Solo nel 2008 la rata media si mantiene sul medesimo livello registrato nel 2006 grazie, probabilmente, all’introduzione dei vari strumenti normativi nell’ordinamento a partire dal 2008 indirizzati a sostenere le famiglie indebitate. Anche il reddito familiare annuo medio cresce nel periodo 2002-2006 mentre nei periodi 2000-2002 e 2006-2008, entrambi accumunati dal rallentamento dell’economia, registra un calo del 2% circa. Tuttavia l’intensità dell’aumento del reddito familiare medio è minore rispetto all’intensità con cui la rata media del mutuo è cresciuta. Per tale ragione la rata ha avuto un’incidenza sempre maggiore sulle disponibilità di reddito delle famiglie indebitate. Considerando, invece, il rapporto tra debiti finanziari complessivi delle famiglie e reddito disponibile familiare annuo esso risulta relativamente contenuto nel confronto internazionale. Tale rapporto, infatti, si assesta su valori di poco inferiori al 60% ben al di sotto al rapporto medio per l’Area dell’Euro (93%) e ai valori registrati in Spagna (130%), in Germania (90%) e Francia (80%) (BCE, 2009). Informazioni preziose circa la sostenibilità del debito derivano dal calcolo del DTI ratio in base ai percentili di reddito (vd. Figura 7.12). Coerentemente con le attese il valore del rapporto risulta più elevato per le famiglie a più basso reddito (primo quartile) le quali destinano in media il 20% del proprio reddito disponibile a sostegno dei pagamenti connessi al mutuo per l’acquisto dell’abitazione di residenza. In genere tra le famiglie indebitate risultano più vulnerabili a shock inattesi (variazioni dei tassi di interesse o del reddito disponibile) proprio quelle a basso reddito. Tali famiglie in Italia, come abbiamo visto, detengono comunque una percentuale relativamente contenuta del debito complessivo, intorno al 25% nel 2008. In linea generale, il valore del rapporto ha segnato un andamento 191 crescente per tutti i quartili di reddito nel periodo 2000-2008 tuttavia, degno di nota, è la diminuzione del DTI ratio per le famiglie del primo quartile nel 2006 e 2008 rispetto ai valori degli anni precedenti. Figura 7.10: Andamento del debt-to-income ratio medio 2000-2008 18,00% 16,00% 16,38% 14,23% 16,61% 15,32% 14,85% 14,00% 12,00% 10,00% 8,00% 6,92% 6,00% 4,36% 4,00% 3,16% 2,00% 1,40% 0,00% 2000 2002 2004 Debt-to-income ratio 2006 2008 Variazione percentuale annua Fonte: elaborazione propria su dati SHIW Figura 7.11: Variazione percentuale del debt-to-income ratio, rata annua e reddito familiare annuo 25,00% 22,72% 22,50% 20,00% 17,50% 15,00% 12,51% 11,11% 12,50% 10,00% 7,50% 11,38% 5,57% 5,00% 2,50% 6,92% 1,40% 4,36% 3,16% 0,00% -2,50% 2002 2004 2006 -2,03% -0,03% 2008 -1,99% -5,00% Variazione percentuale debt-to-income ratio Variazione percentuale rata annua Variazione percentuale reddito familiare annuo Fonte: elaborazione propria su dati SHIW 192 Figura 7.12: Debt-to-income ratio per quartile di reddito disponibile familiare netto 20002008 25,00% 20,00% 15,00% 10,00% 5,00% 0,00% 2000 2002 2004 2006 2008 1° quartile 20,89% 21,53% 22,93% 19,34% 21,16% 2° quartile 15,65% 13,89% 15,94% 18,14% 17,65% 3° quartile 12,36% 14,10% 12,80% 16,93% 15,60% 4° quartile 9,36% 10,06% 10,84% 11,69% 12,43% Note: il reddito familiare disponibile netto è dato dalla somma di: reddito da lavoro dipendente netto, pensioni e trasferimenti netti, reddito da lavoro autonomo netto, reddito da capitale ed è al lordo degli oneri finanziari dovuti su debiti verso banche e società finanziarie. Fonte: elaborazione propria su dati SHIW Il DTI ratio tende a ridursi all’aumentare dell’età del mutuatario (vd. Figura 7.13). Sull’andamento rilevato incide il fattore reddito infatti, il reddito tende ad aumentare nell’arco della vita lavorativa. Le stime, inoltre, confermano la minor inclinazione dei capofamiglia rientranti nelle classi di età superiori a manifestare situazioni di stress finanziario proprio per la minor incidenza della spesa annua a titolo di rimborso prestito sul reddito disponibile. Figura 7.13: Debt-to-income ratio medio in base all’età del capofamiglia 2000-2008 25,00% 20,00% 15,00% 10,00% 5,00% 0,00% 2000 fino a 30 anni 2002 da 31 a 40 anni 2004 da 41 a 50 anni Fonte: elaborazione propria su dati SHIW 193 2006 da 51 a 65 anni 2008 oltre 65 anni Dallo studio della dinamica del DTI ratio sulla base di alcune variabili socio-demografiche riferite al capofamiglia è possibile trarre alcune conclusioni (vd. Tabella 7.5): - tra il 2000 e il 2004 il DTI ratio era superiore alla media per i lavoratori autonomi mentre tra il 2006 e il 2008 risulta maggiore per i lavorati dipendenti. Proprio il DTI ratio calcolato per i capofamiglia lavoratori dipendenti nell’arco temporale di analisi registra costante aumento (+ 25,5% rispetto al 2000); - il DTI ratio risulta più elevato per i soggetti meno istruiti (senza diploma, licenza elementare o diploma media inferiore) e diminuisce all’aumentare del titolo di studio. Il risultato ottenuto è coerente con un “effetto reddito”; i capofamiglia indebitati con un livello di istruzione superiore percepiscono un reddito più elevato quindi l’incidenza della rata annua è minore; - per le famiglie residenti al Sud e Isole il rapporto tra spesa per il mutuo e reddito disponibile risulta essere, in tutte le wave, superiore al DTI medio per l’intero campione di famiglie indebitate nonché superiore al DTI medio calcolato per le famiglie residenti al Nord e al Centro. Tuttavia si rileva una netta accelerazione del DTI per le famiglie residenti al Nord nel 2008 (+18,5% rispetto al 2006). Tabella 7.5: Debt-to-income ratio in base ad alcune variabili socio-demografiche 2000-2008 2000 2002 2004 2006 2008 14,23% 14,85% 15,32% 16,38% 16,61% Lavoratore dipendente 13,55% 14,18% 14,26% 16,71% 17,01% Lavoratore autonomo 17,63% 18,33% 17,64% 15,78% 14,81% Condizione non professionale 12,44% 11,99% 15,52% 15,94% 17,73% Nessuno/licenza elementare 16,75% 13,64% 19,95% 18,90% 17,97% Media inferiore 15,34% 16,41% 16,93% 16,85% 19,34% Media superiore 14,18% 14,06% 14,97% 16,58% 15,58% Laurea 11,16% 15,45% 11,20% 14,24% 13,77% Nord 13,18% 13,90% 14,30% 14,28% 16,92% Centro 14,99% 14,05% 15,98% 17,48% 14,50% Sud e Isole 17,58% 20,02% 18,07% 21,78% 17,53% DTI ratio Condizione professionalea Titolo di studioa Area geografica di residenzaa a Le caratteristiche individuali sono riferite al capofamiglia inteso come il responsabile dell’economia familiare. Note: Il DTI ratio è calcolato sul campione delle famiglie indebitate per l’acquisto dell’abitazione di residenza. Fonte: elaborazione propria su dati SHIW Come era logico attendersi il DTI ratio calcolato in base al tipo di tasso del mutuo risulta essere superiore per i mutui a tasso fisso nelle fasi discendenti dell’Euribor viceversa nei 194 periodi di crescita dell’Euribor (vd. Figura 7.14). Nei periodi 2000-2002 e 2006-2008, in corrispondenza ad elevati livelli dell’Euribor, il DTI ratio è maggiore per i mutuatari a tasso variabile. Al contrario nel 2004 quando l’Euribor si assestava sui livelli minimi il DTI ratio era nettamente minore (circa due punti percentuali) per i mutuatari a tasso variabile. Sulla dinamica del DTI ratio incide la rata annua comprensiva di capitale e interessi pagata dalle famiglie indebitate. Le famiglie indebitate a tasso variabile infatti, nella fase calante dell’Euribor, a causa dell’impatto diretto esercitato dal parametro di indicizzazione sulla spesa per interessi, hanno beneficiato del basso tasso di interesse sostenendo una spesa minore per il mutuo rispetto alle famiglie indebitate a tasso fisso. Figura 7.14: Debt-to-income ratio in base al tasso del mutuo 2000-2008 e andamento dell’Euribor 3-mesi 20,00% 18,00% 5,00% 4,40% 4,64% 4,27% 4,50% 16,00% 14,00% 4,00% 4,28% 3,32% 3,50% 3,08% 12,00% 3,00% 2,18% 10,00% 8,00% 2,33% 2,50% 2,00% 2,11% 6,00% 1,50% 4,00% 1,00% 2,00% 0,50% 0,00% 0,00% 2000 2001 2002 Tasso fisso 2003 2004 2005 Tasso variabile 2006 2007 2008 Euribor 3-mesi Note: i dati relativi a “Euribor 3-mesi” su asse dx. Il DTI ratio è calcolato sul campione delle famiglie indebitate per l’acquisto dell’abitazione di residenza. Fonte: elaborazione propria su dati SHIW e BCE È prassi nel mondo bancario considerare un prenditore di fondi ad alto rischio quando il rapporto tra la rata del mutuo e il reddito disponibile è maggiore del 30%. La soglia del 30% del reddito disponibile tiene in considerazione che il debitore, durante la vita del contratto di mutuo, deve sostenere una serie di spese correnti (oltre al rimborso del prestito) nonché spese impreviste o riduzioni di reddito (causate, ad esempio, da malattie o infortuni). Pertanto, un DTI ratio superiore al 30% è considerato un valido predittore di una futura situazione di insolvenza (DeVaney et al, 1995; BCE, 2005). Al fine di analizzare la vulnerabilità finanziaria del campione di famiglie indebitate per l’acquisto dell’abitazione di residenza si presentano in Tabella 7.6 le percentuali di famiglie per le quali il DTI è risultato superiore alla soglia del 30%. Si osserva tra il campione una fragilità finanziaria abbastanza contenuta infatti, nel 2008 meno del 10% delle famiglie indebitate può essere considerata in una situazione di vulnerabilità finanziaria. Alcune preoccupazioni possono derivare, invece, dal ritmo di crescita di tale stima infatti, nel 2008 segna un aumento rispetto alla precedente wave del 77%. 195 Tabella 7.6: Percentuali di famiglie indebitate con debt-to-income ratio maggiore del 30% Percentuale di famiglie con DTI > 30% 2000 2002 2004 2006 2008 6,94% 6,42% 5,45% 4,26% 7,55% Note: Il DTI ratio è calcolato sul campione delle famiglie indebitate per l’acquisto dell’abitazione di residenza. Fonte: elaborazione propria su dati SHIW Alcune informazioni sulla qualità ex post dei mutui del campione possono essere ricavate dall’analisi del comportamento delle famiglie indebitate nel rimborso del mutuo. Si tratta di un dato molto importante ai fini dell’analisi in quanto dai flussi di rimborso dei mutuatari dipendono direttamente i cash flow di competenza degli investitori in RMBS. Questo tipo di analisi può essere condotta solo per l’ultima indagine per la quale si dispone di informazioni circa il verificarsi di situazioni di ritardo nei pagamenti delle rate per oltre 90 giorni. Un ritardo di oltre 90 giorni nel pagamento delle obbligazioni associate al proprio debito, in base alle regole di Basilea 2, individua una situazione di inadempienza (default) tuttavia, in Italia, tale termine è stato innalzato a 180 giorni fino al 31 Dicembre 2011. Quando si registra un ritardo di 90 giorni o più nel pagamento di almeno una rata, il credito viene definito scaduto e la banca può: - non considerarlo come incagliato; - segnalarlo come incagliato esprimendo, quindi, un giudizio di dubbio sulla capacità di rientro del debitore; - classificarlo come sofferenza ossia come esposizione nei confronti di un soggetto in stato di insolvenza o in situazioni equiparabili. L’informazione disponibile permette, quindi, di individuare le situazioni di difficoltà che si sono registrate nel campione di famiglie. Si è consapevoli tuttavia, che trattandosi di un’informazione che potrebbe essere percepita dal soggetto intervistato come “sensibile”, potrebbe essere soggetta ad under-reporting. Dalle stime risulta che solo una piccola percentuale di famiglie indebitate (2,62%) ha dichiarato di essere stata in ritardo nel pagamento di una rata per oltre 90 giorni nel corso del 2008 (vd. Tabella 7.7). Il ritardo nel pagamento di una rata risulta più frequente tra i capofamiglia di sesso maschile, tra quelli che rientrano nelle fasce di età centrali, per i disoccupati e per coloro che risiedono al Sud e Isole. Altrettanto interessante è l’analisi dei ritardi in base all’anno in cui è stato ottenuto il mutuo; l’intenzione è quella di verificare la presenza di una maggiore rischiosità per i mutui concessi nella fase di discesa dei tassi. Le stime mostrano che il 3,47% delle famiglie che hanno contratto il mutuo tra il 2001 e il 2005 hanno incontrato difficoltà nel far fronte al pagamento delle rate nel corso del 2008 Probabilmente le famiglie indebitate a tasso variabile che hanno contratto il mutuo negli anni in cui i tassi ufficiali erano ai minimi sono state “sorprese” da un aumento degli oneri da interessi a causa della crescita dei tassi nel 2008. Secondariamente il dato rilevato potrebbe supportare l’ipotesi che negli anni più recenti abbiano avuto accesso al credito fasce più ampie di clientela prima escluse dal mercato. La variabile “ritardo” sarà utilizzata nel paragrafo successivo per un’analisi econometrica al fine di individuare quali variabili influiscono sull’eventualità di verificarsi ritardi nel pagamento delle rate del mutuo per l’acquisto dell’abitazione di residenza. 196 Tabella 7.7: Percentuale di famiglie per le quali si è verificato un ritardo nel pagamento della rata (+ 90 giorni) in base a variabili socio-demografiche del capofamiglia e a caratteristiche del prestito 2008 Famiglie in ritardo = Fam. in ritardo 2,62% Fam. indebitate Sessoa Maschi = maschi in ritardo 2,76% tot. maschi indeb. Femmine = femmine in ritardo 2,26% tot. femmine indeb. Etàa fino a 30 anni = <31 anni in ritardo tot. <31 anni indeb. da 31 a 40 anni = 31<anni<41 in ritardo tot. 31<anni<41 indeb. da 41 a 50 anni = 41<anni<51 in ritardo tot. 41<anni<51 indeb. da 51 a 65 anni = 51<anni<66 in ritardo tot. 51<anni<66 indeb. oltre 65 anni = anni>65 in ritardo tot. anni>65 indeb. Condizione professionalea Lavoratore dipendente = lav. dip in ritardo tot. lav. dip. indeb. Lavoratore autonomo = lav. aut. in ritardo tot. lav. aut. indeb. Condizione non professionale = cond. non prof. in ritardo tot. cond. non prof. indeb. 0,61% 0,14% 2,62% 3,73% 0,00% 1,76% 2,61% 5,50% Area geografica di residenzaa Nord = resid. nord in ritardo 2,11% tot. resid. nord indeb. Centro = resid. centro in ritardo 2,81% tot. resid. centro indeb. Sud e Isole = resid. sud in ritardo tot. resid. sud indeb. Anno mutuo fino al 2000 = mutui in ritardo ante 2001 tot. ritardi ante 2001 dal 2001 al 2005 = mutui in ritardo 2001-05 tot. ritardi 2001-05 dal 2006 al 2008 = mutui in ritardo 2006-08 tot. ritardi 2006-08 a 3,64% 2,84% 3,47% 1,35% Le caratteristiche individuali sono riferite al capofamiglia inteso come il responsabile dell’economia familiare. Fonte: elaborazione propria su dati SHIW 197 Alla luce delle stime presentate è possibile tracciare alcune conclusioni: a) l’indebitamento delle famiglie italiane è cresciuto molto negli ultimi anni – la percentuale di famiglie indebitate è passata dal 19,10% nel 1998 al 27,80% nel 2008. La crescita è stata sostenuta specialmente dalla componente debiti per immobili, al cui aumento si associa anche l’incremento del debito contratto. Nonostante ciò, nel confronto internazionale, è rilevabile un basso tasso di indebitamento degli household italiani a causa della presenza di fattori sia socio-culturali sia macroeconomici. Tra i fattori socio-culturali si ricordano: (i) l’alta percentuale di famiglie italiane già proprietarie di abitazioni (80%); (ii) la scarsa mobilità del lavoro ha consentito alle famiglie italiane di vivere stabilmente nella stessa abitazione per tutta la vita lavorativa; (iii) la presenza di stretti legami familiari ha reso i debiti verso parenti una delle principali fonti di finanziamento degli italiani. I fattori macroeconomici che possono aver avuto un’incidenza sul basso grado di indebitamento sono: (i) gli alti tassi di interesse che hanno caratterizzato il mercato italiano prima del passaggio verso l’Euro; (ii) una minore attenzione all’innovazione di prodotto; b) dall’analisi del campione di famiglie indebitate si rileva una maggiore percentuale di household appartenenti alle classi di reddito più elevate; tuttavia nel periodo in esame il mercato del credito ha mostrato segnali di apertura verso le famiglie a minor reddito (le famiglie indebitate che rientrano nel primo quartile di reddito sono passate dal 22,16% nel 2000 al 24,52% nel 2008); c) tra il 2000 e il 2008 si è registrato un maggior accesso al credito ipotecario da parte di soggetti di età inferiore ai 30 anni, residenti al Sud e Isole e in comuni di piccole dimensioni (fino a 20.000 abitanti); d) la maggior parte dei mutui contratti dal campione di famiglie è a tasso variabile; nel periodo di discesa dei tassi di interesse la quota dei mutui a tasso variabile ha raggiunto il picco massimo (53%) nel 2006. I mutui a tasso variabile possono risultare più rischiosi rispetto a quelli a tasso fisso soprattutto nel caso in cui i tassi di riferimento aumentano. Si tratta di un’eventualità che si è manifestata tra il 2005 e il 2008, si consideri infatti che nel 2008 l’Euribor era cresciuto di quasi 2,5 punti percentuali rispetto ai valori minimi registrati negli anni precedenti, delineandosi pertanto una situazione di elevato rischio per le famiglie italiane che negli anni precedenti avevano contratto mutui a tasso variabile. Tuttavia, un miglioramento sul piano della sostenibilità dei costi connessi al mutuo è stato possibile grazie alla possibilità di rinegoziare i mutui a tasso variabile accesi prima di Maggio 2008; e) il DTI ratio nel periodo di osservazione cresce costantemente a causa di aumenti della rata che non sono pienamente compensati da aumenti del reddito disponibile familiare. Tuttavia la crescita del rapporto DTI, al momento, non è preoccupante soprattutto se si procede a un confronto internazionale e se si considera il basso grado di indebitamento delle famiglie italiane. Il DTI ratio risulta più elevato per i mutuatari giovani, con basso reddito e residenti al Sud e Isole; f) alcuni elementi di preoccupazione possono derivare dall’analisi della percentuale di famiglie per cui le spesa per il rimborso di capitale e interessi supera il 30% del reddito familiare disponibile. Per queste famiglie infatti la probabilità di risultare insolventi è più elevata. Nel 2008 meno del 10% delle famiglie indebitate poteva essere considerata in una 198 situazione di fragilità finanziaria; meno confortante è il ritmo di crescita registrato dall’indicatore (+77% rispetto al 2006) che, al 2008, ha segnato il livello più elevato a partire dal 2000; g) la percentuale di famiglie che ha dichiarato di essere stata in ritardo nel pagamento di almeno una rata per oltre 90 giorni nel 2008 è molto bassa: solo il 2,62% del campione di famiglie indebitate. I ritardi risultano più frequenti per i mutuatari tra i 41 e i 65 anni, disoccupati e residenti al Sud e Isole. Inoltre, in base alle stime, appaino più rischiosi i mutui contratti nella fase di discesa dei tassi di interesse tra il 2001 e il 2005. 7.4 Analisi econometrica della probabilità di ritardo Nell’ultima indagine SHIW è disponibile la rilevazione di situazioni di ritardo con il pagamento di una rata tra le famiglie indebitate. La disponibilità di questa informazione fornisce l’occasione per approfondire questo tema. Nello specifico la SHIW rileva il verificarsi o meno di una situazione di ritardo nel pagamento di una rata per oltre 90 giorni nel corso del 2008. Lo scopo dell’analisi, di seguito proposta, è quello di investigare i fattori che hanno un’incidenza sulla probabilità di manifestazione di una situazione di ritardo nel rimborso del proprio debito. Nonostante l’aumento del numero di famiglie indebitate, il loro comportamento nel rimborso del debito è un fenomeno non sufficientemente studiato (Duygan-Bump et al, 2008). L’importanza del fenomeno in esame è sottolineata anche dalla recente crisi, innescata nel segmento subprime del mercato del credito alle famiglie statunitensi, che sollecita l’esigenza di un approfondimento della conoscenza dei fattori che possono incidere sul flusso dei rimborsi del debito dei household. Con specifico riferimento al caso italiano lo studio delle variabili che possono influenzare il verificarsi di situazioni di ritardo nel servizio del debito da parte delle famiglie indebitate costituisce, a nostra conoscenza, un tema poco studiato. Infatti, fino ad ora non erano disponibili informazioni pubbliche circa i ritardi nei pagamenti e, soprattutto, il dataset estrapolato dalla SHIW permette di mettere in relazione i ritardi nei pagamenti sia con variabili attinenti il contratto di mutuo sia con variabili socio-demografiche attinenti il capofamiglia o la famiglia. Tuttavia, se da un lato l’informazione sui ritardi costituisce un elemento di novità, dall’altro ne limita le possibilità di analisi in quanto il periodo in cui il fenomeno può essere studiato è circoscritto al 2008. Inoltre, si è consapevoli che il fenomeno analizzato può essere soggetto ad under-reporting; dal momento che l’intervistato potrebbe percepire la domanda sui ritardi troppo personale e, di conseguenza, la risposta potrebbe non essere veritiera. Partendo dall’informazione sui ritardi nei pagamenti della rata l’analisi si proporrà pertanto di analizzare la dinamica a livello micro sottostante il rimborso del debito da parte dei household. Coerentemente con l’analisi condotta al paragrafo precedente, il campione estrapolato dall’indagine SHIW è composto dai nuclei familiari che, nel 2008, hanno dichiarato di avere un debito nei confronti delle banche per l’acquisto dell’abitazione di residenza. Il campione così definito, composto da 736 famiglie, è stato successivamente filtrato al fine di considerare solo mutui di importo superiore a 5.000 Euro. Il campione utilizzato per l’indagine econometrica è composto, quindi, da 732 famiglie di cui 27 hanno dichiarato di aver avuto ritardi nel pagamento di almeno una rata per oltre 90 giorni. 199 Poiché la variabile oggetto di studio rileva il fatto che si sia verificata o meno una situazione di ritardo, essa è una variabile binaria, ovvero può assumere solo due valori: - 1 se la famiglia ha dichiarato di essere stata in ritardo nel pagamento di una rata per oltre 90 giorni - 0 altrimenti. Pertanto si adotta un modello di regressione non lineare, il modello Probit, specificatamente disegnato per variabili dipendenti binarie. La regressione Probit utilizza la funzione di ripartizione (poiché produce probabilità tra zero e uno) normale standard. Il modello di regressione Probit è: Pr(Y = 1|X1, X2, …, Xk) = Ф (β0 + β1X1 + β2X2 + ... βkXk) dove: Ф indica la funzione di ripartizione normale standard. L’equazione stimata assume pertanto la seguente forma: Prob(RITARDO = 1) = f(variabili mutuo, variabili cliente) L’analisi econometrica pone quindi in relazione la probabilità che la famiglia risulti in ritardo col pagamento di una rata del mutuo per oltre 90 giorni, con alcune caratteristiche del contratto di mutuo e della famiglia stessa. In Tabella 7.8 si presentano le variabili per le stime con la rispettiva definizione nonché alcune statistiche descrittive. Le variabili “cliente” si riferiscono al capofamiglia del nucleo familiare indebitato per l’acquisto dell’abitazione di residenza e attengono a caratteristiche demografiche e sociali, ad eccezione della variabile LOGREDFAM che si riferisce al reddito disponibile familiare: - ETA ha la funzione di verificare l’incidenza dell’età del capofamiglia sul comportamento di rimborso del mutuo. Ci si attende un effetto negativo sulla probabilità di ritardo per i nuclei familiari con capofamiglia più anziano a causa del maggior reddito disponibile; - l’area di residenza del mutuatario è catturata da due variabili dummy (NORD e SUD_IS). NORD assume valore 1 se il capofamiglia risiede al Nord e 0 altrimenti; SUD_IS assume valore 1 se il capofamiglia risiede al Sud e Isole e 0 altrimenti. Sulla base delle statistiche descrittive al paragrafo precedente ci si attende una maggiore probabilità di incontrare ritardi nel pagamento delle rate tra i mutuatari residenti al Sud e Isole; - MALE è una dummy per il sesso del mutuatario, assume valore 1 se il mutuatario è maschio 0 se è femmina; - LAVORO cattura la condizione professionale del capofamiglia; assume, infatti, il valore 1 se il capofamiglia è occupato 0 se è disoccupato. Il segno atteso è negativo in quanto un debitore con un’occupazione lavorativa dispone di un reddito con cui far fronte al rimborso del mutuo e, quindi, si associa una minore probabilità di ritardo; - LAUREA assume valore 1 se il capofamiglia è laureato 0 negli altri casi. L’inclusione della variabile vuole verificare l’esistenza di un effetto negativo tra un elevato titolo di studio che implica maggiore reddito e maggiori conoscenze con la probabilità di incontrare difficoltà nel rimborso del mutuo; 200 - - - - - EDU_FIN è una dummy che cattura il livello di conoscenze finanziarie in materia di mutui del capofamiglia. È stata costruita sulla base delle risposte alla domanda in materia di mutui contenuta nel questionario dell’indagine SHIW; assume pertanto valore 1 se la risposta è giusta e 0 se sbagliata; NUM_FIGLI è la variabile che cattura il numero dei figli che fanno parte del nucleo familiare intervistato. Ci si attende una relazione positiva tra numero dei figli e probabilità di manifestare ritardi nei pagamenti delle rate; SINGLE è una dummy costruita sulla base dello stato maritale del capofamiglia. Essa è uguale a 1 se il capofamiglia è celibe/nubile o separato/divorziato o vedovo, al contrario assume valore 0 se è sposato. AVV_RISK è una variabile dummy che cattura l’avversione al rischio. È uguale a 1 se avverso al rischio e 0 negli altri casi. In presenza di asimmetrie informative, ci si potrebbe attendere un fenomeno di moral hazard, ovvero il segno atteso è negativo: ossia i soggetti più propensi al rischio potrebbero essere anche più inclini ad indebitarsi oltre le proprie possibilità di rimborso; LOGREDFAM è il logaritmo naturale del reddito familiare disponibile annuo. Il segno atteso è negativo in quanto variazioni in aumento del reddito familiare dovrebbero comportare una minor probabilità di sperimentare ritardi nel rimborso dei propri debiti. Le variabili “mutuo”, invece, rappresentano le principali caratteristiche del mutuo e sono: - LOGIMPMUT è logaritmo naturale dell’importo erogato dalla banca; - TASSO è una dummy che assume valore 1 se il mutuo è a tasso variabile e 0 altrimenti. Il segno atteso è positivo: variazioni nei tassi di interesse di riferimento impattano direttamente sulla spesa per il mutuo, a sua volta, la maggiore onerosità, potrebbe provocare tensioni finanziarie tra le famiglie indebitate a tasso variabile; - DTI esprime il debt-to-income ratio. La relazione attesa tra DTI e probabilità di ritardo è positiva dal momento che una maggiore incidenza della rata sul reddito testimonia una maggiore fragilità finanziaria. In Tabella 7.9 sono presentati i risultati della prima regressione Probit. Solo cinque coefficienti sono statisticamente significativi (tre al livello 5% e due al livello 10%) probabilmente a causa dello scarso numero di osservazioni nei ritardi. Per quanto riguarda i coefficienti delle variabili socio-demografiche risultano significativi al 10% ETA e ETAQ e al 5% LAVORO e LOGREDFAM. La probabilità di ritardo, contrariamente alle attese, aumenta con l’età e diminuisce con l’età al quadrato; i risultati quindi segnalano una rischiosità che aumenta all’aumentare dell’età fino a un certo punto per poi calare. Il coefficiente della variabile LAVORO risulta statisticamente significativo al 5% e, coerentemente con le attese, il segno è negativo segnalando una minore probabilità di sperimentare ritardi nei pagamenti delle rate del mutuo per i soggetti occupati. Il reddito familiare risulta una determinante significativa della rischiosità, a parità di altre condizioni. Il segno negativo del coefficiente LOGREDFAM implica che variazioni in aumento del reddito provocano una minore probabilità di ritardo. Il risultato è abbastanza intuitivo infatti, un reddito disponibile maggiore permette di far fronte più agevolmente alle spese del mutuo. Nello specifico una variazione in aumento dell’1% del reddito familiare disponibile provoca sulla probabilità di incontrare ritardi una riduzione del 3,4%. Tra i regressori attinenti alle caratteristiche del mutuo risulta significativo al livello 5% solo il coefficiente dell’importo del 201 mutuo (LOGIMPMUT). All’aumentare dell’importo erogato il rischio aumenta e, per la precisione, un aumento dell’1% nell’importo erogato esercita un effetto positivo sulla probabilità di avere un ritardo nel pagamento delle rate pari al 2,3%. Tabella 7.8: Variabili per le stime, definizioni e statistiche descrittive Num. osservazioni campione famiglie indebitate per acquisto abitazione di residenza Num. osservazioni campione famiglie “filtrato” Num. osservazioni campione famiglie in ritardo Variabile Definizione Media 736 732 27 St. Dev. Max Min 0,188 1 0 0,693 0,462 1 0 0,156 0,363 1 0 0,533 0,499 1 0 0,195 0,397 1 0 0,272 0,445 1 0 47,180 11,760 82 20 0,751 0,433 1 0 49.388,50 37.645,40 791.180,1 7.318,98 0,1844 0,3881 1 0 0,791 0,407 1 0 0,425 0,494 1 0 1,213 1,047 5 0 85.086,10 54.633,30 319.000 5.000 0,444 0,497 1 0 0,166 0,094 0,819 0,008 Variabile dipendente RITARDO Dummy (1 se la famiglia è stata in ritardo per oltre 90giorni nel pagamento di una rata, 0 altrimenti 0,0367 Variabili cliente MALE LAUREA NORD CENTRO SUD_IS ETA LAVORO REDFAM SINGLE EDU_FIN AVV_RISK NUM_FIGLI Dummy (1 se maschio, 0 se maschio) Dummy (1 se laureato, 0 altrimenti) Dummy (1 se residente al Nord, 0 altrimenti) Dummy (1 se residente al Centro, 0 altrimenti) Dummy (1 se residente al Sud o Isole, 0 altrimenti) Età in anni Dummy (1 se occupato, 0 se disoccupato) Reddito disponibile netto della famiglia in Euro Dummy (1 se celibe/nubile o separato/divorziato o vedovo, 0 se sposato) Dummy (1 se possiede conoscenze in materia di mutuo, 0 altrimenti) Dummy (1 se avverso al rischio, 0 altrimenti) Numero dei figli che fanno parte del nucleo familiare Variabili mutuo IMPMUT TASSO DTI Importo del mutuo Dummy (1 se mutuo a tasso variabile, 0 altrimenti) Debt-to-income ratio In Tabella 7.10 si riportano i risultati di una seconda regressione Probit in cui viene aggiunta la variabile SINGLE al fine di controllare se lo stato maritale del capofamiglia può determinare il fenomeno dei ritardi. Tuttavia, il coefficiente di SINGLE non risulta significativo quindi lo stato maritale non sembra determinare la probabilità di ritardo. La Tabella 7.11 riassume i risultati di una terza regressione Probit in cui la variabile LAUREA è stata sostituita dalla variabile EDU_FIN al fine di verificare la presenza di una relazione tra 202 conoscenze finanziarie specifiche in materia di mutuo e la probabilità di incontrare ritardi. Il coefficiente di EDU_FIN risulta essere, contrariamente alle attese, di segno positivo, ma comunque non significativo. Risultano, invece, nuovamente significativi al 5% sia per la regressione in Tabella 7.10 che per quella in Tabella 7.11, i coefficienti di LAVORO, LOGREDFAM e LOGIMPMUT confermando quindi la robustezza dei risultati. I coefficienti di ETA e ETAQ, invece, nella stima in Tabella 7.11 non possono essere considerati diversi da zero sebbene nella prima e seconda regressione fossero risultati marginalmente significativi. Infine, in Tabella 7.12 si presentano i risultati di una quarta regressione Probit in cui viene inserita la variabile DTI al fine di comprendere la relazione tra l’incidenza delle spese per il rimborso del mutuo sul reddito e la probabilità di incontrare ritardi nei pagamenti. Il coefficiente di DTI positivo e statisticamente significativo al 10% segnala una relazione positiva tra il rapporto della rata sul reddito disponibile e la probabilità di ritardo: all’aumentare del DTI ratio aumenta la probabilità di incorrere in ritardi nel servizio del debito. Infatti, all’aumentare dell’incidenza della rata del mutuo sul reddito disponibile diminuisce la sostenibilità del debito profilando quindi una situazione di vulnerabilità finanziaria che potrebbe manifestarsi in ritardi nel rimborso del prestito. Probabilmente la significatività marginale del coefficiente della variabile DTI è dovuta al fatto che in Italia difficilmente si incontrano rapporti rata-reddito molto elevati. È nuovamente confermata la significatività del coefficiente della variabile LAVORO il quale in quest’ultima stima risulta significativo al livello 1%. Tabella 7.9: Stima Probit della probabilità di ritardo nel pagamento di una rata per oltre 90 giorni Variabile Coefficiente Errore Std. Statistica t p-value dy/dx Const -2,5720 2,7829 -0,9242 0,3553 -0,0120 TASSO -0,1969 0,1939 -1,0155 0,3098 0,0095 MALE 0,1560 0,2201 0,7087 0,4785 -0,0008 NORD -0,0134 0,2376 -0,0567 0,9548 -0,0117 LAUREA -0,1922 0,3059 -0,6284 0,5297 -0,0170 SUD_IS -0,2788 0,2478 -1,1250 0,2605 * 0,0074 ETA 0,1219 0,0736 1,6571 0,0975 * -7,993e-05 ETAQ -0,0013 0,0007 -1,7447 0,0810 ** -0,0300 LAVORO -0,4915 0,2436 -2,0175 0,0436 0,0018 AVV_RISK 0,0308 0,1865 0,1655 0,8685 ** -0,0331 LOGREDFAM -0,5433 0,2600 -2,0893 0,0366 0,0078 NUM_FIGLI 0,1290 0,0868 1,4864 0,1371 ** 0,0222 LOGIMPMUT 0,3637 0,1448 2,5119 0,0120 SINGLE 0,1147 0,2469 0,4648 0,6421 0,0070 Media di RITARDO = 0,037 Pseudo-R2 di McFadden = 0,0845157 Note: La stima è effettuata con una specificazione Probit usando le 732 osservazioni. Gli errori standard sono calcolati con il metodo Huber-White. L’effetto marginale (dy/dx) misura l’impatto di una variazione nella variabile tra 0 e 1. Il coefficiente è significativo al: **5%, *10%. 203 Tabella 7.10: Stima Probit della probabilità di ritardo nel pagamento di una rata per oltre 90 giorni Variabile Coefficiente Errore Std. Statistica t p-value dy/dx const -2,8051 2,8122 -0,9975 0,3185 -0,0123 TASSO -0,2015 0,1945 -1,0360 0,3002 0,0118 MALE 0,1941 0,1808 1,0735 0,2831 -0,0125 LAUREA -0,2052 0,3072 -0,6679 0,5042 -0,0008 NORD -0,0128 0,2382 -0,0538 0,9571 -0,0165 SUD_IS -0,2714 0,2494 -1,0885 0,2764 0,0076 ETA 0,1242 0,0733 1,6959 0,0899 * -8,15793e-05 ETAQ -0,0013 0,0007 -1,7942 0,0728 * 0,0219 LOGIMPMUT 0,3616 0,1456 2,4840 0,0129 ** -0,0317 LAVORO -0,5206 0,2314 -2,2500 0,0245 ** 0,0019 AVV_RISK 0,0319 0,1867 0,1714 0,8639 -0,0319 LOGREDFAM -0,5256 0,2648 -1,9850 0,0472 ** 0,0084 NUM_FIGLI 0,1389 0,0919 1,5111 0,1308 SINGLE 0,1147 0,2469 0,4648 0,6421 0,0070 Media di RITARDO = 0,037 Pseudo-R2 di McFadden = 0,0851379 Note: La stima è effettuata con una specificazione Probit usando le 732 osservazioni. Gli errori standard sono calcolati con il metodo Huber-White. L’effetto marginale (dy/dx) misura l’impatto di una variazione nella variabile tra 0 e 1. Il coefficiente è significativo al: **5%, *10%. Tabella 7.11: Stima Probit della probabilità di ritardo nel pagamento di una rata per oltre 90 giorni Variabile Coefficiente Errore Std. Statistica t p-value dy/dx const -2,8480 2,7993 -1,0174 0,3089 -0,0092 TASSO -0,1558 0,2015 -0,7735 0,4392 0,0137 MALE 0,2317 0,1787 1,2961 0,1949 0,0031 NORD 0,0519 0,2491 0,2087 0,8347 -0,0141 SUD_IS -0,2380 0,2558 -0,9304 0,3522 0,0069 ETA 0,1160 0,0782 1,4836 0,1379 -7,44931e-05 ETAQ -0,0013 0,0008 -1,5782 0,1145 ** 0,0216 LOGIMPMUT 0,3646 0,1464 2,4911 0,0127 ** -0,0339 LAVORO -0,5728 0,2317 -2,4722 0,0134 0,0031 AVV_RISK 0,0528 0,1860 0,2837 0,7766 ** -0,0324 LOGREDFAM -0,5469 0,2546 -2,1483 0,0317 0,0088 NUM_FIGLI 0,1483 0,0950 1,5604 0,1187 0,0069 SINGLE 0,1162 0,2430 0,4783 0,6325 0,0234 EDU_FIN 0,3947 0,2502 1,5776 0,1147 Media di RITARDO = 0,037 Pseudo-R2 di McFadden = 0,0924689 Note: La stima è effettuata con una specificazione Probit usando le 732 osservazioni. Gli errori standard sono calcolati con il metodo Huber-White. L’effetto marginale (dy/dx) misura l’impatto di una variazione nella variabile tra 0 e 1. Il coefficiente è significativo al: **5% 204 Tabella 7.12: Stima Probit della probabilità di ritardo nel pagamento di una rata per oltre 90 giorni Variabile Coefficiente Errore Std. Statistica t p-value dy/dx ** const -4,6477 1,9682 -2,3614 0,0182 -0,0104 TASSO -0,1625 0,1991 -0,8160 0,4145 0,0134 MALE 0,2102 0,1760 1,1942 0,2324 0,0051 NORD 0,0803 0,2444 0,3286 0,7425 -0,0134 SUD_IS -0,2093 0,2412 -0,8681 0,3854 0,0073 ETA 0,1148 0,0801 1,4344 0,1514 -8,38325e-05 ETAQ -0,0013 0,0008 -1,5898 0,1119 *** -0,0401 LAVORO -0,6268 0,2377 -2,6368 0,0084 0,0072 AVV_RISK 0,1123 0,1822 0,6164 0,5377 0,0085 NUM_FIGLI 0,1330 0,0914 1,4550 0,1457 0,0101 SINGLE 0,1585 0,2442 0,6491 0,5163 0,0247 EDU_FIN 0,3870 0,2439 1,5864 0,1127 * 0,1013 DTI 1,5845 0,8467 1,8714 0,0613 Media di RITARDO = 0,037 Pseudo-R2 di McFadden = 0,0704839 Note: La stima è effettuata con una specificazione Probit usando le 732 osservazioni. Gli errori standard sono calcolati con il metodo Huber-White. L’effetto marginale (dy/dx) misura l’impatto di una variazione nella variabile tra 0 e 1. Il coefficiente è significativo al: *10%, **5%, ***1%. I risultati delle stime econometriche suggeriscono alcune conclusioni sulla probabilità di manifestare ritardi nel pagamento di almeno una rata del mutuo per oltre 90 giorni tuttavia, i risultati devono essere interpretati con cautela a causa del campione di famiglie in ritardo estremamente limitato e della disponibilità di informazioni sul fenomeno studiato circoscritta al solo anno 2008. L’analisi econometrica mostra che sulla probabilità di manifestare ritardi incidono sia variabili socio-demografiche sia variabili attinenti alle caratteristiche del mutuo. In particolare, tra le variabili che catturano le caratteristiche del mutuo, l’importo erogato risulta essere determinante per la rischiosità ex post del mutuo stesso. Mentre, per quanto riguarda le variabili “cliente”, le variabili LAVORO e LOGREDFAM costituiscono dei fattori che aiutano a spiegare il manifestarsi di ritardi nel pagamento delle rate del mutuo. Come era già intuibile dalle statistiche descrittive riportate al paragrafo precedente, la condizione lavorativa del capofamiglia risulta essere la variabile principale che influenza il verificarsi di ritardi nel servizio del debito infatti, il coefficiente del regressore LAVORO è statisticamente diverso da zero nelle regressioni sopra riportate confermando quindi la robustezza del risultato. Il risultato ottenuto probabilmente risente della critica congiuntura economica (nella seconda metà del 2008 il tasso di crescita reale delle economie occidentali è diventato negativo); poiché i driver della probabilità di ritardo possono evolvere nel tempo l’analisi qui presentata può costituire un punto di partenza per ulteriori approfondimenti qualora i prossimi archivi SHIW saranno disponibili. 205 206 Conclusioni Il presente lavoro ha trattato il tema della cartolarizzazione ossia quell’operazione in cui la banca originator decide di cedere un portafoglio di attività atte a generare flussi di cassa ad una società veicolo creata ad hoc (Special Purpose Vehicle, SPV) la quale, a fronte di esse, emette titoli finanziari negoziabili sul mercato (Asset Backed Securities, ABS). La prima parte dello studio è stata dedicata all’approfondimento delle tecniche di cartolarizzazione al fine di fornire le conoscenze necessarie per la comprensione di queste particolari operazioni. Nello specifico si è parlato delle varie strutture di cartolarizzazione, della gamma di strumenti finanziari garantiti dagli attivi cartolarizzati, degli effetti, in termini di benefici e rischi, che questa operazione comporta e del trattamento prudenziale delle esposizioni derivanti da cartolarizzazione. I contenuti della prima parte sono funzionali alla lettura della seconda parte della tesi in cui il tema della cartolarizzazione viene contestualizzato al caso italiano. L’Italia, infatti, si colloca ai primi posti nel mercato europeo della securitisation insieme a Regno Unito e Spagna. Sebbene inizialmente il mercato nazionale della cartolarizzazione sia stato trainato dalle cartolarizzazioni pubbliche l’uso di tale tecnica si è estesa progressivamente anche al comparto bancario. Infatti, nel corso degli ultimi anni, le banche italiane hanno dedicato particolare attenzione alle tecniche e alle opportunità di cartolarizzazione e ne hanno tratto i relativi benefici, come ad esempio la possibilità di raccogliere fondi a costi relativamente contenuti o, ancora, la possibilità di liberare capitale di vigilanza. Lo studio del caso italiano è stato circoscritto ai titoli emessi a fronte della cartolarizzazione di mutui ipotecari residenziali (Residential Mortgage Backed Securities, RMBS) i quali rappresentano oltre il 50% delle emissioni totali. Oltre all’importanza che i RMBS rivestono per le banche italiane come fonte di funding essi, in epoche più recenti, hanno dimostrato una buona tenuta, in termini di spread e downgrading, all’urto della crisi. Sebbene l’Italia condivida i primi posti del mercato della cartolarizzazione europeo con Spagna e Regno Unito i titoli RMBS nazionali prendono le distanze dalle operazioni di cartolarizzazione strutturate sulle bolle immobiliari spagnole e inglesi. L’analisi si è proposta quindi come obiettivo la ricerca dei fattori che hanno contribuito a determinare la relativa buona qualità dei titoli RMBS italiani. Dal momento che il rischio preponderante per i sottoscrittori di RMBS è il rischio di credito e che tale rischio dipende essenzialmente dalla capacità dei debitori ceduti di rimborsare il proprio debito lo studio si è focalizzato sulla rischiosità dei mutui ipotecari residenziali. La mancanza di dati pubblici disponibili sui soli mutui ipotecari cartoralizzati limita le potenzialità dell’analisi che, pertanto, ha avuto ad oggetto i mutui ipotecari per l’abitazione di residenza concessi alle famiglie. Al fine di carpire elementi attinenti la rischiosità dei mutui ipotecari italiani si è deciso di analizzare il campione di famiglie indebitate per l’acquisto dell’abitazione di residenza estrapolato dall’indagine SHIW della Banca d’Italia sull’arco temporale che va dal 2000 al 2008. L’elaborazione dei microdati SHIW, infatti, permette di stilare un identikit delle famiglie indebitate sulla base di variabili socio-demografiche ed economiche e di studiarne l’evoluzione nel tempo nonché di calcolare importanti indicatori di vulnerabilità finanziaria. L’indebitamento delle famiglie italiane per l’acquisto dell’abitazione di residenza è un argomento attuale e di interesse, su cui la recente crisi finanziaria ha posto l’attenzione, e ad elevato contenuto sociale per il ruolo ricoperto dall’abitazione di residenza per il benessere 207 degli individui. Si ritiene, pertanto, che i risultati esposti nella parte dedicata al caso italiano possano costituire il punto di partenza per ulteriori approfondimenti sul tema dell’housing finance. Le stime testimoniano il rapido aumento dell’indebitamento delle famiglie italiane trainato dalla componente debiti per immobili; il livello di indebitamento seppure in crescita resta tuttora contenuto nel confronto internazionale. L’incremento del tasso di indebitamento per l’acquisto dell’abitazione principale nel periodo più recente, è stato influenzato, tra l’altro, dal basso livello dei tassi di interesse e dallo sviluppo dell’industria finanziaria. L’analisi delle variabili socio-demografiche ha mostrato che durante il periodo 2000-2008 è aumentato, in modo particolare, l’accesso al credito da parte di famiglie con capofamiglia giovane (di età inferiore ai 30 anni) e residenti al Sud e Isole. Tuttavia, la maggior parte dei soggetti indebitati ricade nelle fasce centrali di età (tra i 31 e i 50 anni), per le quali il reddito da lavoro raggiunge i massimi livelli, prestano il proprio lavoro alle dipendenze, possiedono un diploma di scuola media superiore e risiedono al Nord. Dal calcolo della percentuale di famiglie indebitate per quartile di reddito emerge una maggior ricorso al credito da parte delle famiglie più agiate (appartenenti al quarto quartile di reddito) le quali rappresentano più del 25% dei nuclei familiari indebitati. Tuttavia, nell’arco di tempo considerato la quota di famiglie rientranti nel primo quartile di reddito risulta in crescita (passa da 22,16% nel 2000 a 24,52% nel 2008) e segnala l’apertura del mercato dei mutui immobiliari verso fasce di clientela più marginali. Per quanto riguarda le caratteristiche dei mutui ipotecari si rileva la netta prevalenza di mutui a tasso variabile nel periodo 2000-2006 mentre nel 2008 si registra un inversione di tendenza a causa probabilmente della crescita dei tassi di interesse e delle possibilità di rinegoziazione del mutuo. Al fine di produrre un indicatore della sostenibilità del debito è stato calcolato il rapporto tra la spesa annua complessivamente sostenuta per il rimborso del debito (comprensiva di capitale e interessi) e il reddito disponibile annuo (al lordo degli interessi passivi); tale rapporto prende il nome di debt-to-income ratio. Alla luce dell’attuale crisi il tema della capacità delle famiglie indebitate di onorare il servizio del debito è di centrale rilevanza soprattutto a causa degli effetti che l’avversa congiuntura economica può avere sul reddito familiare. L’analisi mostra un andamento crescente di tale indicatore nell’arco temporale di studio; l’incremento è stato determinato da variazioni in aumento della rata annua non controbilanciati da aumenti di egual misura del reddito disponibile familiare. Dal calcolo del rapporto, inoltre, emerge una maggiore fragilità finanziaria per le famiglie con capofamiglia più giovane, poco istruito e residente nel Sud e Isole. Appare sussistere una connessione anche tra la classe di reddito e la fragilità finanziaria: le famiglie a reddito più basso infatti devono destinare una quota maggiore del proprio reddito disponibile a sostegno degli oneri finanziari connessi al mutuo rispetto alle famiglie appartenenti alle classi più agiate. L’identikit delle famiglie che hanno fatto ricorso al credito è tale da non fare emergere particolari criticità dal punto di vista della sostenibilità del debito soprattutto dato il fatto che la maggior parte delle famiglie indebitate appartiene al quartile di reddito più elevato. L’osservazione di una maggioranza di famiglie indebitate appartenenti alle fasce di reddito medio-alte fa presupporre una ridotta rischiosità dei mutui ipotecari dal momento che, in prospettiva, tali famiglie avranno una maggiore capacità di sostenere il debito e, quindi, di rimborsare puntualmente e totalmente il debito. Tuttavia alcuni elementi di preoccupazione derivano dal ritmo di crescita registrato dalla percentuale di famiglie per le quali il debt-to-income ratio supera la soglia del 30%. Infatti, sebbene nel 2008 meno del 10% delle famiglie indebitate registrasse un debt-to-income ratio superiore al valore soglia, la 208 quota di queste famiglie è in netta crescita rispetto al 2006 e registra il valore massimo nel periodo di tempo analizzato. Limitatamente all’ultima indagine SHIW disponibile si sono analizzate le determinanti dei ritardi nel pagamento delle rate del mutuo per oltre 90 giorni. La percentuale di famiglie indebitate che dichiara di essere stata in ritardo per più di 90 giorni nel pagamento di almeno una rata nel 2008 è estremamente bassa (2,62%). Le statistiche descrittive mostrano una maggiore frequenza di ritardi tra i capofamiglia di età compresa tra i 51 e i 65 anni, disoccupati e residenti nel Sud e Isole; si rileva inoltre una maggiore frequenza di situazioni di ritardo per i mutui concessi nel periodo di discesa dei tassi di interesse (2001-2005). Il comportamento dei household italiani nel rimborso dei propri debiti è stato ulteriormente approfondito attraverso un’analisi econometrica allo scopo di evidenziare le determinanti delle situazioni di ritardo tra un set di regressori attinenti sia a variabili personali del capofamiglia sia a caratteristiche del contratto di mutuo. I risultati mostrano che la probabilità di incorrere in ritardi nel pagamento di una rata per oltre 90 giorni dipende sia da variabili socio-demografiche proprie del capofamiglia sia da variabili che definiscono il contratto di mutuo. In particolare le stime dimostrano che la probabilità di ritardo aumenta all’aumentare dell’età, in caso di disoccupazione, in corrispondenza di variazioni negative del reddito familiare disponibile infine, cresce al crescere dell’importo erogato dalla banca, confermando le attese ed evidenziando, come diremo fra poco, preoccupazioni per l’andamento futuro. Dalle analisi svolte non si rilevano quindi segnali che possano fare presagire un’effettiva crisi del mercato dei mutui: la crescita del credito alle famiglie appare accompagnata da valutazioni del credito molto più stringenti rispetto alla realtà statunitense, spagnola e inglese. Le caratteristiche dell’offerta ancora frequentemente basata su strumenti tradizionali, le politiche di lending estremamente prudenti adottate dalle banche nazionali accompagnate da un ridotto livello di indebitamento delle famiglie italiane costituiscono elementi che segnalano la robustezza del sistema nazionale e che hanno favorito le buone performance dei mutui ipotecari concessi alle famiglie. Sulla rischiosità delle RMBS incide anche l’andamento del mercato immobiliare residenziale dal momento che esso influisce sulla domanda di nuovi finanziamenti per l’acquisto della casa e, più importante, anche sul valore delle garanzie ipotecarie e quindi sul grado di recuperabilità del credito. Anche l’analisi del mercato immobiliare italiano rileva informazioni confortanti per la rischiosità dei RMBS: appare chiaro, infatti, che il mercato immobiliare italiano è rimasto estraneo ai fenomeni delle cosiddette bolle immobiliari risultando pertanto immune da consistenti ribassi delle quotazioni immobiliari. Sebbene i prezzi degli immobili abbiano registrato una leggera flessione nel 2009 l’entità della variazione è ben lontana dalle rapide perdite di valore degli immobili che si sono verificate in Spagna e Regno Unito. Oltre alla buona qualità del collateral posto a garanzia dei pagamenti spettanti agli investitori in RMBS le buone performance di questi strumenti finanziari sono favorite anche da meccanismi di credit enhancement molto conservativi. Ci si riferisce in particolare alla costituzione di riserve di cassa, a cui affluisce l’excess spread prodotto dalla struttura di cartolarizzazione, che tengono in considerazione i tempi eccessivamente lunghi delle procedure esecutive immobiliari. Le riserve di cassa così costituite hanno la funzione di fronteggiare momentanei gap di liquidità al fine di garantire in modo regolare i flussi di pagamento di competenza degli investitori. 209 Concludendo, l’analisi presentata dimostra una contenuta rischiosità degli attivi posti a garanzia dei cash flow spettanti ai sottoscrittori di RMBS i cui principali driver risiedono: (i) nel basso livello di indebitamento delle famiglie italiane; (ii) nelle politiche di concessione del credito prudenti adottate dalle banche italiane; (iii) nella fase positiva del mercato immobiliare residenziale accompagnata da contenuti apprezzamenti degli immobili residenziali che oggi riducono il rischio di rapide perdite di valore degli immobili. Tuttavia, alcune preoccupazioni circa un possibile deterioramento della qualità creditizia dei mutui ipotecari possono emergere dall’attuale contesto macroeconomico e in particolare dall’aumento del tasso di disoccupazione, che oramai ha superato l’8%, e sulle capacità dell’Italia di uscire dal contesto di crisi. L’esperienza storica mostra infatti come nelle fasi cicliche la qualità del credito tende a peggiorare a riflesso delle minori disponibilità reddituali. È possibile pertanto concludere che le banche italiane, pur essendo tra le protagoniste del mercato europeo della cartolarizzazione al pari di quelle spagnole e britanniche, godono oggi di una posizione più solida in materia di crediti immobiliari grazie all’adozione di politiche prudenziali nell’erogazione dei prestiti caratterizzate da una maggiore selettività dei prenditori di fondi. Occorre, inoltre, sottolineare che l’aumento rilevante delle cartolarizzazioni dei mutui immobiliari da parte di originator italiani è avvenuto all’interno di un contesto normativo di gran lunga più stringente rispetto ad altri paesi. Nonostante la ridotta rischiosità dei mutui ipotecari posti a garanzia di RMBS dimostrata dal presente lavoro, la possibilità per le banche originator italiane di ricorrere a cartolarizzazioni al fine di reperire risorse appare oggi inevitabilmente compromessa dal maggiore grado di rischiosità percepita dagli operatori di mercato. Le cartolarizzazioni e il connesso modello di business originate-to-distribute hanno svolto, infatti, un ruolo determinante per le dinamiche con cui la crisi subprime si è presentata. La presa di coscienza, da parte degli investitori in prodotti strutturati, dei caratteri di opacità degli strumenti finanziari acquistati e dei rischi in essi incorporati ha provocato un allontanamento in massa dal mercato asset-backed. Sono necessari, quindi, importanti interventi che possano ripristinare la fiducia nel mercato della cartolarizzazione nonché una migliore regolamentazione a livello globale che miri ad evitare gli usi distorti delle tecniche di securitisation e il ripresentarsi degli eccessi che hanno portato alla “grande crisi” avviata nella seconda metà del 2007. La ripresa del mercato delle cartolarizzazioni è indispensabile: infatti la cartolarizzazione, se sorretta da giusti incentivi, rappresenta una valida tecnica di risk management, contribuisce allo sviluppo, alla diversificazione e all’efficienza dei mercati e, di primaria importanza, rappresenta uno strumento di raccolta fondi. Un minore interesse da parte degli operatori di mercato verso i titoli emessi a fronte di operazioni di securitsation pone dei problemi di liquidità per il sistema e, in prospettiva, una minore disponibilità di credito per le famiglie. 210 eterogenee (ad esempio obbligazioni, prestiti commerciali erogati da banche, tranche di emissioni di cartolarizzazione ecc.) (§ 2.3). Glossario Arranger: banca d'investimento responsabile nei confronti dell'originator della strutturazione di una operazione di cartolarizzazione. Si avvale di consulenti legali e cura i rapporti con le agenzie di rating e gli altri soggetti coinvolti nell'operazione (§ 1.7.2). CDO squared (o CDO2): operazioni CDO che hanno come collateral altri CDO (§ 2.4 d). Collateralized Loan Obligation (CLO): titoli assistiti da garanzia reale costituita da un portafoglio di finanziamenti erogati da finanziatori istituzionali, in genere banche commerciali (§2.4.1). Arbitrage CDO: operazione CDO che consiste nell'acquisto di attività sul mercato secondario ad un prezzo complessivo inferiore rispetto al prezzo complessivo al quale possono essere venduti i titoli emessi in relazione all'operazione (§ 2.4.1). Commercial Mortgage Backed Securities (CMBS): titoli assistiti da garanzia reale costituita da immobili commerciali (§ 2.2 a). Asset Backed Commercial Paper (ABCP): strumenti finanziari con scadenza a breve termine (1, 3 o 6 mesi) in cui il rimborso in linea capitale ed interessi derivano dai cash flow di un portafoglio di attività sottostanti (§ 2.2). Conduit: istituzione legale che acquista asset da diversi venditori, finanziando gli acquisti tramite transazioni emissione di ABCP (§ 1.4) Credit Card Receivable – Backed Securities: titoli ABS emessi a fronte di portafogli di crediti derivanti dall’utilizzo di carte di credito (§ 2.3 b). Asset Backed Securities (ABS): titoli di credito garantiti da un portafoglio di attivi ampio e omogeneo (§ 2.2). Credit Default Swap (CDS): strumento derivato in base al quale un soggetto, a fronte del pagamento di un premio, si impegna a corrispondere ad un altro soggetto un importo prefissato, qualora, entro una certa data, un terzo soggetto diventi insolvente (§ 1.3 - Riquadro 1). Asset manager: figura deputata a costituire e/o gestire il collateral. Esso assume un ruolo rilevante nel caso di gestione dinamica del collateral (§ 1.7.2). Auto ABS: titoli emessi a seguito della cartolarizzazione di un portafoglio di prestiti concessi per l’acquisto di un auto (§ 2.3 c). Credit Derivative: strumenti derivati finalizzati a trasferire il rischio da una parte ad un'altra, ad esempio credit default swap, total return swap, e credit-linked note (§ 1.3 - Riquadro 1). Cartolarizzazione tradizionale: (detta anche: classica, cash o true sale) operazione finanziaria con la quale la banca originator elimina una parte dei suoi attivi dal proprio bilancio e li trasferisce, per mezzo di una cessione pro soluto, a una terza società (Special Purpose Vehicle, SPV) appositamente creata la quale emette titoli (asset backed securities, ABS) garantiti dalle attività cedute (§ 1.2). Credit enhancement: è uno strumento che migliora la qualità del cash flow di una o più attività rispetto alla qualità intrinseca del credito inoltre, prevede elementi di tutela degli investitori dalle perdite subite dalle attività sottostanti (§ 1.8). Covered Bond (CB): obbligazioni garantite da un flusso di interessi e rimborsi relativo ad attività finanziarie (come prestiti immobiliari, prestiti a imprese o prestiti pubblici) le quali, a differenza delle cartolarizzazioni, non comportano il trasferimento delle attività a una società veicolo ma rimangono nel bilancio dell'emittente (§ 5.2). Cash flow waterfall: regole in base alle quali il cash flow a disposizione dell'emittente viene allocato per ripagare le obbligazioni relative alle varie classi di titoli emessi nell'ambito dell'operazione di cartolarizzazione (§ 1.8). Clean-up call: opzione di riscatto di titoli esercitabile nel momento in cui il collateral outstanding è inferiore ad una soglia prestabilita (§ 4.2.2). Debt-to-income ratio (DTI): rapporto tra la rata del mutuo e il reddito del mutuatario (§ 7.2). Early amortization event: evento previsto nelle strutture con revolving period e definito nei documenti dell'operazione. Il suo verificarsi comporta la fine immediata del periodo rotativo ed il rimborso anticipato della quota capitale dei titoli (§ 1.4). Collateralized Bond Obligation (CBO): titoli che hanno obbligazioni corporate come garanzia reale (§ 2.4.1). Collateralized Debt Obligation (CDO): titoli che hanno come garanzia un portafoglio di attività Excess spread: differenza tra il flusso di ricavi derivanti dalle attività cartolarizzate e gli oneri e 211 spese connessi con la cartolarizzazione (ad esempio, cedole corrisposte ai detentori dei titoli ABS, commissioni di servicing) (§ 1.8). Residential Mortgage Backed Securities (RMBS): titoli emessi attraverso la cartolarizzazione di crediti garantiti da ipoteca immobiliare residenziale (§ 2.2 a). Jumbo loan: mutuo ipotecario residenziale di importo superiore a 150.000 Euro (§ 7.2). Revolving Period: periodo durante il quale nuovi mutui o nuovi crediti possono essere aggiunti o sostituiti al portafoglio di mutui o altri crediti preesistenti di un'operazione rotativa (§ 1.4). Lead manager: banca d'investimento o intermediario finanziario incaricato della vendita delle attività cartolarizzate e della stesura del prospetto informativo per il collocamento dei titoli (§ 1.7.2). Servicer: soggetto responsabile della gestione delle attività cedute dall'originator allo SPV. Esso è incaricato delle procedure di gestione di cassa e di pagamento relativamente ai crediti ceduti, nonché del recupero dei crediti dai debitori ceduti insolventi (§ 1.7.2). Loan-to-value (LTV): rapporto tra ammontare del finanziamento e valore dell'immobile posto a garanzia (§ 6.2). Loss-given-default (LGD): quota dell’esposizione che andrà perduta in caso di insolvenza. Special Purpose Vehicle (SPV): (detto anche: Special Purpose Entity, SPE) società veicolo (nella forma di società di capitali, trust, o altra forma societaria) che acquista le attività dell’originator e si finanzia emettendo titoli ABS garantiti dalle attività stesse. Soddisfa i requisiti di bankruptcy remoteness (§ 1.7.1). Mortgage Backed Securities (MBS): i titoli con garanzia di rimborso costituita da un portafoglio di mutui ipotecari. Gli investitori ricevono il pagamento d'interessi e capitale sulla base dei pagamenti ricevuti sui mutui ipotecari sottostanti (§ 2.2 a). Single tranche CDO: operazione CDO sintetica che porta all’emissione di un’unica tranche di CDO (§ 2.4 d). Note: titoli emessi dalla società veicolo in un’operazione di cartolarizzazione. Overcollateralization: tecnica di credit enhancement in base alla quale il portafoglio di attività a sostegno del debito emesso è superiore all'ammontare del debito stesso (§ 1.8). Sponsor: soggetto che ha interesse a porre in essere l’operazione di cartolarizzazione. Quindi, può essere l’originator, l’entità a cui fanno capo gli underlying asset, l’arranger o l’asset manager (§ 1.7.2). Pass-through: caso di cartolarizzazione nel quale lo SPV trasmette ai detentori dei titoli ABS flussi corrispondenti a quelli provenienti dalle attività cedute, al netto delle commissioni prestabilite (§ 1.2). Structured Investment Vehicle (SIV): tipo di conduit specializzato nell’acquisto di prodotti di finanza strutturata che finanzia l'acquisto mediante l’emissione di ABCP (§ 1.5). Tranching: tecnica di internal credit enhancement che consiste nella suddivisione dell’emissione di titoli ABS in due o più classi caratterizzate da un diverso livello di seniority (§ 1.8). Pay-through: caso di cartolarizzazione nel quale la società-veicolo trasmette ai detentori dei titoli ABS flussi non necessariamente corrispondenti a quelli provenienti dalle attività cedute, ma sulla base di una tempistica predefinita (§ 1.2). Trigger Event: il verificarsi di un evento indicante che la condizione finanziaria dell'emittente o di altre parti interessate all'operazione stia andando deteriorandosi. Solitamente si tratta di eventi definiti nella documentazione, che a sua volta regola le variazioni strutturali e/o nella priorità dei pagamenti (§1.8). Prepayment rate: tasso al quale avviene il rimborso anticipato del prestito. È espresso come percentuale del capitale residuo del portafoglio (§ 3.4). Prepayment risk: rischio che la redditività di un investimento risenta negativamente del fatto che il capitale investito venga rimborsato per intero o in parte prima della scadenza (§ 3.4). Trustee: è il soggetto che rappresentar gli interessi degli investitori nei confronti delle altre parti coinvolte nell'operazione di cartolarizzazione (§ 1.7.2). Reserve Account: forma di credit enhancement che prevede la costituzione di un conto con fondi a disposizione dello SPV per uno o più scopi prestabiliti (§ 1.8). Underwriter: è un operatore in titoli che si impegna ad acquistare, interamente o in parte, un'emissione ad un prezzo prestabilito (§ 1.7.2). 212 Bibliografia ADAMO R. (2007), Basilea 2: i nuovi riferimenti di vigilanza sull’attività di cartolarizzazione, in Securitization, CDO e covered bonds. Strumenti e tecniche di frontiera per le banche: caratteristiche, mercato e rating, Drago D. (a cura di), Bancaria, Roma. AFFINITO M., TAGLIAFERRI E. (2010), Why do (or did?) banks securitize their loans? Evidence from Italy, Banca d’Italia, Working Paper, n. 741, January. 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