FRANCESCO BUCCELLATO
DIPARTIMENTO DI DISCIPLINE GIURIDICHE E AZIENDALI DELL’UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PERUGIA
MUTAMENTO NELLA TITOLARITÀ DELL’IMPRESA,
DIVIETO DI CONCORRENZA,
CIRCOLAZIONE DELL’AZIENDA
*
SOMMARIO: -I. SUCCESSIONE NELL’AZIENDA E SUBENTRO NELL’IMPRESA: SOPRAVVENUTA ATTUALITÀ DI
UNA RISALENTE DISTINZIONE.
ALLA
– II. L’ART.2112 C.C. E LA NOZIONE DI <<CESSIONE CONTRATTUALE>> DI CUI
DIRETTIVA 2001/23/CE DEL CONSIGLIO DEL 12 MARZO 2001. - III. – L’APPLICAZIONE ANALOGICA
DELL’ART.2557 C.C. IN ALCUNE RECENTI SENTENZE DELLA CASSAZIONE.
– IV. – QUESTIONI IN TEMA DI
DIVIETO DI CONCORRENZA E SUBENTRO (MANCATO) NELL’IMPRESA, INDIVIDUALE E SOCIETARIA.
I. - SUCCESSIONE NELL’AZIENDA E SUBENTRO NELL’IMPRESA: SOPRAVVENUTA ATTUALITÀ DI UNA
RISALENTE DISTINZIONE
-
Gli studi sull’azienda, pur nelle differenti impostazioni, hanno portato ad accreditare la
disciplina di cui agli artt. 2556 ss. come primario riferimento normativo di ogni fenomeno che ne
realizza la circolazione.
L’affermazione assume rilevanza se si considera la frammentarietà e disorganicità
dell’impianto codicistico che, per un verso non tiene conto dei trasferimenti a titolo gratuito, di
quelli mortis causa, delle vicende restitutorie del compendio aziendale legate alla patologia dei
negozi di trasferimento (nullità, annullabilità, risoluzione, rescissione), per altro verso sembra
dimentico della varietà degli strumenti, anche tipizzati, che ne possono realizzare l’effetto traslativo
(conferimento, permuta, provvedimenti giurisdizionali e amministrativi) 1. E sebbene il sistema
introdotto dal legislatore del ‘42 sembri muovere da un ambizioso, presupposto, implicito
riconoscimento di diritti reali e di godimento sull’azienda (così l’art.2556 c.c. ha riguardo ai
contratti che ne hanno per oggetto il trasferimento della proprietà o il godimento e ai successivi
* Il desiderio di condividere i percorsi di studio e riflessione finora affrontati mi induce a
pubblicare lo scritto, pur nella consapevolezza che, nell’attuale veste, esso si propone solo come prima
compiuta elaborazione su temi e problemi che richiedono certo una più congrua esposizione.
1
estraneo al fenomeno della circolazione dell’azienda in senso stretto, l’utilizzo dell’azienda quale
oggetto di diritti di garanzia è notoriamente fenomeno parimenti non disciplinato.
1
artt.2561 e 2562 sono poste specifiche regole di un trasferimento tipizzato, a completamento della
disciplina, attraverso il richiamo alle figure dell’usufrutto e dell’affitto; mentre già il codice di
procedura civile del ’40, all’art.670 c.p.c. ammette il sequestro giudiziale dell’azienda, che
notoriamente presuppone una sussistente controversia sulla proprietà, oltre che sul possesso) è stato
dimostrato che a tali evocative espressioni lessicali è arduo riconnetere una consistente portata
disciplinare 2. L’impostazione si dimostra infatti problematica e deviante, laddove – lo si è chiarito 3
- induce a considerare in apice la questione della natura dell’azienda, intesa quale oggetto di diritti
assoluti o relativi, noti essendo invece i limiti di un simile approccio alla materia, riassumibili nella
constatata opinabilità di ogni relativa opzione e dei limitati concreti risvolti derivanti da simili scelte
di principio; limiti che portano a constatare come la questione possa forse dirsi superata, con le tesi
più accreditate, nel guardare all’azienda non tanto in funzione della ricerca e descrizione di
qualsivoglia posizione soggettiva ex novo insorta in capo al suo titolare, suo artefice o acquirente
che sia, ma, più semplicemente, quale entità la cui concreta rilevanza giuridica emerge, alla luce dei
dati positivi, quando essa sia oggetto di trasferimento, determinandosi allora talune modificazioni in
ordine alle discipline di norma applicabili alle vicende successorie attinenti i singoli suoi elementi
costitutivi 4.
2
G.E.COLOMBO, L’azienda e il suo trasferimento, in L’azienda e il mercato, in Trattato di diritto
commerciale e di diritto pubblico dell’economia, diretto da F.Galgano, vol.III, Padova, 1979, 10 ss..
3
COLOMBO, op.loc.cit. e, più di recente, G.CAMPOBASSO, Diritto Commerciale, 1, V ed., Torino,
2007, 142 ss..
4
Rifiutata ogni impostazione dogmatica, si muove dalla ricognizione delle specifiche regole
concernenti il trasferimento dell’azienda e dei singoli beni aziendali (art. 2556 c.c. comma 1), accreditandosi
l’idea che siano semmai le residue lacune di disciplina che devono superarsi avendo riguardo alla predicata
qualificazione dell’unità funzionale dell’azienda: in tal senso essa è riconosciuta riconducibile
all’universitas, anche solo in via analogica (in tal senso ad esempio F.MARTORANO, in Manuale di diritto
commerciale, a cura di V.Buonocore, VIII ed, Torino, 2007, 519 ss., spec. 521; CAMPOBASSO, op.cit.;
recenti applicazioni in CASS., sez. II, 26-09-2007, n. 20191, in Giust. civ., 2008, I, 365, ad avviso della quale
<<Qualora l’acquirente di un’azienda con patto di riservato dominio ne effettui a sua volta la vendita, tale
vendita non è nulla ma integra una ipotesi di acquisto a non domino (e pertanto deve qualificarsi come
vendita di cosa altrui) anche se l’acquirente non sia stato a conoscenza dell’esistenza del patto di riservato
dominio, giacché il complesso di beni costituito in azienda costituisce una tipica universalità di beni ai sensi
dell’art. 816 c.c., per la quale non può trovare applicazione il principio dell’acquisto immediato in virtù del
possesso, ai sensi dell’art. 1153 c.c., in virtù dell’esplicita esclusione sancita dall’art. 1156 c.c.>>; in
CASS., sez. II, 15-01-2003, n. 502, in Vita not., 2003, 269: <<Mentre è soggetta a collazione per
imputazione, prevista dall’art. 750 c.c. per i beni mobili, la quota di società, in quanto - non conferendo ai
soci un diritto reale sul patrimonio societario riferibile alla società, che è soggetto distinto dalle persone dei
soci - attribuisce un diritto personale di partecipazione alla vita societaria, va compiuta, secondo le
modalità previste dall’art. 746 c.c. per gli immobili, la collazione della quota di azienda, che rappresenta la
misura della contitolarità del diritto reale sulla universitas rerum dei beni di cui si compone, sicché - ove si
proceda per imputazione - deve aversi riguardo al valore non dei singoli beni ma a quello assunto
dall’azienda, quale complesso organizzato, al tempo dell’apertura della successione.>>. La qualificazione
dell’azienda come universitas iuris è ampiamente utilizzata in giurisprudenza: v. di recente A. MILANO, 2803-2002, in Giur. it., 2003, 1659, n. SPOLIDORO: <<In caso di donazione dell’azienda non si richiedono
l’elencazione dei beni e l’indicazione del loro valore, in quanto nella suddetta fattispecie l’oggetto dell’atto
di disposizione è l’azienda intesa come universitas rerum e non la pluralità dei beni che la costituiscono.>>;
2
Il risultato di tale richiamato percorso interpretativo trova allora un consistente contrafforte
nella collocazione sistematica in chiave oggettiva dell’azienda: <<Il diritto non può non distinguere
– anche al fine di predisporre una congrua disciplina – il soggetto, l’atto, l’oggetto: e così il codice
identifica l’imprenditore come soggetto, l’impresa come attività economica e professionale
organizzata per la produzione o lo scambio, l’azienda come complesso di beni organizzati per
l’esercizio dell’attività … >> 5, descritta quest’ultima efficacemente come << … il risvolto
<<oggettivo>> di uno dei requisiti dell’acquisto della qualità di imprenditore … >> 6.
E’ in tale contesto che mi sembra sia da collocare l’avvenuto progressivo accantonamento
del risalente autorevole orientamento dottrinale che distingueva fra trasferimento d’azienda e
successione nell’impresa, identificata quest’ultima fattispecie nel fatto che << … nell’esercizio di
quella particolare attività organizzata che costituisce una determinata impresa, ad un soggetto se
ne sostituisce un altro.>> 7.
L’assunto alla base di tale tesi – che per ogni fenomeno di successione nell’impresa fosse
condizione necessaria e sufficiente la successione nell’azienda – sembrò ad una serrata critica
foriero di inutili duplicazioni concettuali, poiché – si disse (Pettiti) - nessuna delle norme di cui agli
artt.2555 ss. àncora o subordina l’esplicarsi della sua efficacia all’effettivo subentro nell’attività
d’impresa da parte di chi acquisisce la titolarità o il godimento dell’azienda 8.
CASS., sez. I, 19-07-2000, n. 9460, in Fallimento, 2001, 767, n. RUSINENTI, in Dir. fallim., 2001, II, 902:
<<Nell’ipotesi in cui beni immobili vengano concessi in comodato ad una società poi fallita, al fine di
stabilire se la domanda di restituzione dei beni stessi debba essere proposta dal comodante, nei confronti del
fallimento, con la procedura dell’art. 103 legge fall., è necessario accertare se i beni costituiscano elementi
esclusivi della universitas iuris qual è l’azienda, al punto da configurarla giuridicamente ed
economicamente (tanto che la loro restituzione corrisponda alla restituzione dell’intera sua entità), ovvero
mere componenti di tale universalità, per tale verso conservando la suscettibilità a formare oggetto di
separati atti e rapporti giuridici (la suprema corte ha così cassato la sentenza che, in relazione ad alcuni
impianti di carburante concessi in comodato ad una società petrolifera poi fallita, aveva ritenuto che la
domanda di restituzione proposta dal comodante doveva essere proposta con le forme dell’art. 103 legge
fall., limitandosi ad affermare che si trattava di beni inclusi in un complesso aziendale e che l’azienda aveva
natura giuridica mobiliare).>>; v. ancora CASS., sez. II, 27-03-1996, n. 2714: <<La cessione dell’azienda
ha carattere unitario ed importa il trasferimento al cessionario di tutti gli elementi costituenti l’universitas,
senza necessità di una specifica pattuizione nell’atto di trasferimento.>>. Per ulteriori riferimenti,
CAMPOBASSO, cit., 143, nt.12.
5
G.OPPO, Realtà giuridica globale dell’impresa nell’ordinamento italiano, in Riv.dir.civ., 1976, I,
591 ss., e in Diritto dell’impresa. Scritti giuridici, I, Padova, 1992, p.56 ss., 57. Ad avviso di COLOMBO,
op.cit., 1 s., il risultato più evidente dell’elaborazione precodicistica, che ha portato al riconoscimento di
un’esplicita disciplina sull’azienda, fu proprio quello di chiarire definitivamente la natura oggettiva
dell’azienda, liberandone la nozione << … da quell’insieme di elementi soggettivi (attività imprenditoriale,
diritto ad essa, comunità di lavoro, ecc.) che ne hanno a lungo intralciato una chiara configurazione>> (il
virgolettato è di A.VANZETTI, Trent’anni di studi sull’azienda, in Riv.dir.comm., 1958, I, 32 ss., richiamato
da COLOMBO, ivi, loc. cit.).
6
F.MARTORANO, op.cit., 518.
7
A.GRAZIANI, L’impresa e l’imprenditore, Napoli, 1959, 159.
8
D.PETTITI, Il trasferimento volontario d’azienda, Napoli, 1970, 194 ss., ma già, analogamente e
approfonditamente, E.ZANELLI, Il trasferimento delle c.d. imprese elettriche nella sistematica della
3
Vero è però che, l’acquisita consapevolezza circa i limiti e le insidie del linguaggio
utilizzato in materia dal legislatore – << … in realtà oggetto del trasferimento è quella particolare
posizione soggettiva che meglio si definisce come <<titolarità>> dell’azienda, riflesso dell’unità
funzionale che lega i diversi elementi e che si accompagna alla varietà di posizioni (diritto di
proprietà, diritto reale o personale di godimento) che il titolare può avere rispetto ai vari beni
aziendali.>>
9
- postula ancora oggi la necessità di approcciare la disciplina scorgendo in essa le
regole sulla futura attività economica dell’alienante oltre che sulla sorte del c.d. patrimonio
aziendale (da considerare in una alle regole specifiche del tipo negoziale in base al quale avviene il
trasferimento)
10
. E che la sostituzione nell’attività di impresa (che non configura successione in
senso tecnico) in termini giuridicamente rilevanti possa avere rilievo causale nelle vicende traslative
dell’organizzazione resta un affermato insegnamento 11 .
Tre fatti nuovi sopravvenuti, nelle reciproche influenze, danno ragione dell’esigenza di
ripensare ad una sopravvenuta problematica attualità della distinzione tra successione nell’azienda e
subentro nell’impresa. Mi riferisco:
- a.
alle modifiche apportate all’art.2112 c.c. attraverso il recepimento della Direttiva
2001/23/CE del Consiglio del 12 marzo 2001 – Concernente il ravvicinamento delle legislazioni
degli Stati membri relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti di
imprese, di stabilimenti o di parti di imprese o di stabilimenti 12, particolarmente significativa nelle
applicazioni rese dalla Corte di Giustizia ;
circolazione dell’azienda e della successione nell’impresa, in Riv.soc., 1964, 237 ss., e in Studi in onore di
Paolo Greco, Padova, 1965, II, 1127 ss., ad avviso del quale di successione nell’impresa, << … Di questo
preteso fenomeno, in quanto concepito come evento giuridico che sovrasta e determina il trasferimento
d’azienda anziché esserne consequenziale e condizionato, non si ha traccia nel nostro sistema..>> (così a
p.1137 e, in coerenza, infra, le successive pagine). Non è dunque facilmente comprensibile perché il Pettiti
annoveri le tesi esposte in tale contributo tra quelle dei sostenitori dell’orientamento dottrinale che collega il
trasferimento dell’azienda alla c.d. successione nell’impresa (per cui rimanda al Casanova, oltre che, in senso
più limitato a Graziani e in senso parzialmente diverso a Ghidini): v. Il trasferimento cit., 194, testo e nt.1.
9
ancora MARTORANO, cit., 523. G.AULETTA, Avviamento Commerciale (voce), in Enc.Giur.,
Ist.Enc.it. Treccani, Roma, 1988, riferisce che per primo a parlare di titolarità dell’azienda è Casanova
(Impresa e azienda, in Tratt.Vassalli, vol.X, t.1, Torino, 1974, 348-356).
10
MARTORANO, op.loc.ult.cit..
11
OPPO, Profilo sistematico dell’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, in
Diritto dell’impresa, Scritti Giuridici, I, Padova, 1992, 536 s., e già in Riv.dir.civ., 1981, I, 223 ss..
12
La dottrina commercialista, se si esclude il prezioso contributo di V.BUONOCORE, Il «nuovo»
testo dell’art. 2112 del codice civile e il trasferimento di un ramo di azienda (nota a Cass., Sez. Lav., 23
luglio 2002, n.10761 e Cass., Sez. Lav., 23 ottobre 2002, n.14961, in Giur.comm., 2003, II, 313 ss.), ha
pressocchè tralasciato di considerare la possibile rilevanza sistematica delle norme di cui all’art.2112 c.c., e
ciò sebbene la dottrina lavoristica abbia tratto argomenti dalle nuove disposizioni di legge, per accreditare
impegnative ipotesi interpretative di dubbio fondamento. Così è per l’enucleazione di una presunta originale
autonoma nozione di azienda, rilevante esclusivamente a fini lavoristici (v. in tal senso G.DELLA ROCCA, La
nuova disciplina del trasferimento d’azienda, in Mass.giur.lav., 2001, 588; A.PIZZOFERRATO, La nozione
giuslavoristica di trasferimento d’azienda fra diritto comunitario e diritto interno, in Riv.it.dir.lav., 1998, I,
429 ss.), radicalmente criticata da BUONOCORE, nel suddetto scritto (ivi, 316 ss., v. però quanto sostiene
4
- b.
alla giurisprudenza in tema di applicazioni analogiche del divieto di concorrenza
di cui all’art.2557 c.c a taluni casi di trasferimento di partecipazioni sociali; 13
- c.
naturalmente alle modifiche di sistema, rivenienti dall’ancor recente riforma del
diritto societario.
I temi sub a e sub b saranno oggetto di specifico esame nei paragrafi a seguire. Quanto al
tema sub c, mi limiterò nello svolgimento dell’indagine a segnalare taluni spunti che mi sembrano
rilevanti nella considerazione del tema, riconducibili ad autorevoli letture che della nuova disciplina
sono state offerte.
Vorrei intanto chiarire in anticipo, per favorire la lettura delle seguenti note, quale sia il
senso della ricerca qui proposta.
Chi, come sopra ricordato, guardò criticamente alla distinzione tra successione nell’azienda
e subentro nell’impresa, non ne negò l’astratta configurabilità, ma piuttosto la concreta rilevanza
giuridica. Così: << … intendendo la successione nell’impresa come continuazione dell’attività del
primo imprenditore (alienante) da parte dell’acquirente dell’azienda, a tale successione non può
attribuirsi un preciso valore tecnico, poiché il mero fatto che una attività fino ad un certo momento
svolta da un determinato soggetto, venga successivamente proseguita da altri, non è idonea a
importare apprezzabili conseguenze sul piano giuridico. Le implicazioni che da tale prosecuzione
di attività potrebbero in astratto trarsi, infatti, altro non sono che l’imputazione al secondo
imprenditore dei rapporti facenti capo al primo, e la possibilità che il secondo imprenditore sfrutti
l’avviamento (eventuale) del primo. Queste conseguenze però non sono collegate dall’ordinamento
alla successione nell’impresa, ma – entro certi limiti – alla semplice alienazione dell’azienda;
d’altro canto, è pensabile ad una simile successione dell’impresa senza che necessariamente ne
discendano le cennate conseguenze.>> 14.
Sembra dunque che, nelle tesi dell’illustre Autore, trovi spazio innanzitutto il superamento
di un passaggio fondante della tesi originaria di Graziani, che mi sembra intendesse esprimere una
corrispondenza biunivoca tra i fenomeni di successione nell’impresa e nell’azienda, stante la
CAMPOBASSO, op.cit., 139, nt 2, per cui infra, nt.74); ma, a ben vedere, anche per la più recente autorevole
proposizione di una tesi che indica nell’attività (oltre che nell’organizzazione), l’oggetto del trasferimento
rilevante ai fini dell’applicazione dell’art.2112 c.c. (G. SANTORO PASSARELLI, Trasferimento d’azienda e
rapporto di lavoro, Torino, 2004, 18 ss.), seppur l’affermazione muova dalla consapevolezza che << …
l’attività, a rigore, non può essere oggetto di trasferimento dal momento che la qualità di imprenditore si
acquista a titolo originario e non derivativo … >> (così a p.5).
13
Infra, § 3.
14
PETTITI, cit., 195 s., che viceversa indica di seguito (a p.197) anche taluni casi in cui v’è subentro
nell’impresa, ma non successione nell’azienda. Analogamente COLOMBO, op.cit., 30, reputa << …
irrilevanti – ai fini dell’esistenza di un trasferimento d’azienda – sia la circostanza che l’azienda già sia
stata utilizzata per l’esercizio di un’attività d’impresa, sia la circostanza che l’acquirente intenda a sua
volta, con i beni acquisiti, esercitare un’impresa (o, come impropriamente si dice, succedere
nell’impresa).>>.
5
necessitata identificazione dell’impresa attraverso il riferimento all’azienda. Nel pensiero di Pettiti –
se leggo bene – le fattispecie sono identificate come sovrapponibili nella sola prevalenza dei casi;
ma di una fattispecie rilevante di subentro nell’impresa non si avrebbe luogo a discettare, essendo la
disciplina esclusivamente ricollegata al trasferimento dell’azienda e non al sub ingresso
nell’impresa.
E’ proprio tale ultima indicazione dottrinale che mi sembra debba essere riesaminata alla
luce delle richiamate intervenute novità, poiché queste indirizzano a chiedersi nuovamente se ad
una configurazione dei fenomeni che realizzano il subentro nell’attività d’impresa concettualmente
autonoma rispetto al trasferimento d’azienda si ricolleghino oggi significative ricadute in punto di
disciplina.
Quanto alla rilevanza, a tal riguardo, del (riesame della giurisprudenza sul) divieto di
concorrenza, essa è chiara nelle parole di Ascarelli: è << … proprio l’esame del divieto di
concorrenza nella circolazione dell’azienda quanto da un lato ha posto in evidenza i caratteri
propri di una disciplina della concorrenza e dall’altro (a mio avviso) quelli della stessa azienda, e
così la considerazione unitaria dell’azienda nei negozi giuridici che presiedono alla sua
circolazione, ma insieme l’impossibilità di ravvisare nella azienda unitariamente considerata una
nuova res, oggetto di diritti reali concorrenti con quelli che hanno per oggetto i beni che la
compongono.>> 15.
II. - L’ART.2112 C.C.
E LA NOZIONE DI
<<CESSIONE CONTRATTUALE>> DI CUI ALLA DIRETTIVA
2001/23/CE DEL CONSIGLIO DEL 12 MARZO 2001 -
- II.1
Preliminarmente è d’uopo soffermare brevemente l’attenzione sugli interessi primari
tutelati dalle norme di cui all’art. 2112 c.c., di seguito alle ripetute modifiche legislative introdotte
16
.
15
ivi, 74.
T.ASCARELLI, Teoria della concorrenza e dei beni immateriali, III ed., Milano, 1960,70 ss. e,
16
Il previgente comma quinto dell’art. 2112 del codice civile, introdotto con decorrenza 1° luglio
2001 ad opera dell’art. 1, d.lgs. 2 febbraio 2001, n. 18, di attuazione della direttiva 98/50/CE, che modifica la
direttiva 77/187/CEE concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al
mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di
stabilimenti, disponeva: <<Ai fini e per gli effetti di cui al presente articolo si intende per trasferimento
d’azienda qualsiasi operazione che comporti il mutamento nella titolarità di un’attività economica
organizzata, con o senza scopo di lucro, al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi,
preesistente al trasferimento e che conserva nel trasferimento la propria identità a prescindere dalla
tipologia negoziale o dal provvedimento sulla base del quale il trasferimento è attuato ivi compresi
l’usufrutto o l’affitto d’azienda. Le disposizioni del presente articolo si applicano altresì al trasferimento di
6
Va ricordato in proposito che, stante la natura derogatoria delle disposizioni di cui all’art.
2558 c.c. (comunque dispositive), rispetto all’art. 1406 c.c. - mi riferisco all’effetto naturale del
subentro nei contratti che l’acquisto dell’azienda realizza - , la portata della deroga è accresciuta
all’art. 2112 c.c., ivi stabilendosi con norma imperativa che il trasferimento determina ipso facto il
subentro e specificandosi che il trasferimento d’azienda non costituisce di per sé motivo di
licenziamento.
Quanto al recesso, che l’art. 2558 attribuisce al contraente ceduto ove sussista giusta causa,
nel caso in esame al lavoratore compete la facoltà (aggiuntiva o forse solo specificativa della giusta
causa) di rassegnare le proprie dimissioni, con gli effetti di cui all’art. 2119, comma 1, se le
condizioni di lavoro subiscono una sostanziale modifica nei tre mesi successivi al trasferimento
dell’azienda (art. 2112, commi 1 e 4).
La protezione degli interessi dei lavoratori opera in una duplice direzione.
In primo luogo, le disposizioni di cui al nuovo art. 2112 c.c., ribadito e tutelato l’interesse
del lavoratore a seguire l’azienda (o il ramo d’azienda cui è addetto), quando se ne realizzi il
trasferimento, ampliano il novero delle operazioni in cui si dà protezione a tale interesse (5°
comma, per la cui lettura, infra). I medesimi presupposti valgono per l’applicazione delle altre
norme di favore, ulteriormente derogatorie, rispetto a quelle della disciplina generale della cessione
d’azienda, previste sia con riguardo al subentro nei contratti (comma 3), ma anche con
l’affermazione della responsabilità solidale del cessionario ben oltre i limiti di cui all’art. 2560,
comma 2, c.c. (comma 2).
In secondo luogo, mi sembra che le disposizioni di cui all’art. 2112 c.c., lette alla luce della
direttiva, confermino che solo la concreta riscontrata consistenza “aziendale” di quanto dedotto ad
oggetto dell’operazione detta di “trasferimento” valga a giustificare quella deroga all’art. 1406 c.c.
che anche il lavoratore subisce, vale cioè a supplire al difetto del suo consenso in quanto contraente
ceduto; ciò al fine di impedire abusi tesi a emarginare, in strutture orientate su “binari morti”,
parte dell’azienda, intesa come articolazione funzionalmente autonoma di un’attività economica organizzata
ai sensi del presente comma, preesistente come tale al trasferimento e che conserva nel trasferimento la
propria identità.». Queste le principali difformità tra le due disposizioni: in primo luogo, nella novella il
riferimento alle operazioni è delimitato dall’inciso << … che, in seguito a cessione contrattuale o fusione, …
>>. In secondo luogo, nella novella cade la specificazione, riferita all’attività economica organizzata per la
quale si realizzi il mutamento di titolarità, << … al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi
, … >>. In terzo luogo, l’estensione della disciplina al trasferimento di parte dell’azienda ne determina
l’accezione, intendendosi questa come articolazione funzionalmente autonoma di un’attività economica
organizzata, ma nella novella essa è << … identificata come tale dal cedente e dal cessionario al momento
del suo trasferimento.>>, mentre nella previgente versione è << … preesistente come tale al trasferimento e
che conserva nel trasferimento la propria identità>>. Inoltre cade nella versione riformata la limitazione di
cui all’espressione << … ai sensi del presente comma>>. Infine, è aggiunto, il seguente sesto comma:
<<Nel caso in cui l’alienante stipuli con l’acquirente un contratto di appalto la cui esecuzione avviene
utilizzando il ramo d’azienda oggetto di cessione, tra appaltante e appaltatore opera un regime di
solidarietà di cui all’art. 1676>>.
7
maestranze scomode o che comunque si ritenga di voler espellere in violazione della normativa
imposta concernente la risoluzione dei rapporti di lavoro (è questo un profilo inderogabile ed
irrinunciabile della disciplina, nonostante l’apparente antinomia creatasi con l’ultima modifica,
laddove si stabilisce che le disposizioni dell’art. 2112 si applicano altresì al trasferimento di parte
dell’azienda, identificata come tale dal cedente e dal cessionario al momento del suo
trasferimento17).
Come ho sopra ricordato, la novella del 2003, in attuazione della direttiva, circoscrive
l’ambito delle operazioni rilevanti - tali poichè comportano il mutamento nella titolarità di
un’attività economica organizzata - a quelle che avvengono << … in seguito a cessione contrattuale
o fusione … >> .
Se il riferimento alla fusione è alquanto chiaro, almeno nell’individuazione della fattispecie
e della disciplina richiamata, non altrettanto sembra possa dirsi per l’inciso cessione contrattuale.
L’esigenza di trovare la nozione di tale espressione pone all’interprete di diritto interno
quesiti di non agevole soluzione se si considera l’esigenza di muoversi su un terreno di concreta
attuazione comune della direttiva 18. Ed in effetti il problema si è dimostrato nel corso degli anni di
cruciale centralità, come attesta la copiosa giurisprudenza della Corte di Giustizia sul punto.
- II.2
La direttiva 2001/23/CE del Consiglio del 21 marzo 2001, concernente il ravvicinamento
delle legislazioni degli Stati membri relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di
trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di stabilimenti
17
19
, conferma l’ampliamento
<<Un complesso di beni è o non è azienda per le sue qualità oggettive, non per l’intenzione
soggettiva di alienante ed acquirente d’azienda… >>: così COLOMBO, cit., 27 e v. ulteriormente 31 ss.; sulla
nozione di ramo v. anche G.RACUGNO, Lo “scorporo” d’azienda, Milano, 1995, 26 ss.. Che la prosecuzione
imposta del rapporto di lavoro con il cessionario di un presunto ramo d’azienda possa tradursi in un
boomerang per il lavoratore, di certo più protetto allora dal tradizionale meccanismo civilistico della
cessione del contratto, è ben chiaro ai lavoristi. V. per tutti, ancora di recente G.SANTORO P ASSARELLI,
Opinioni sul trasferimento d’azienda, in Giorn Dir. Lav., 2006, 689 ss., che reputa plausibili solo due
interpretazioni della disposizione innovativa di cui all’ultimo cpv. del comma 5 dell’art.2112 c.c.: o la nuova
norma nulla innova rispetto alla situazione pregressa (v. in tal senso CASS., 30 dicembre 2003, n.1983,
ovvero costituisce violazione della norma comunitaria, ferma l’esigenza di rilevare nelle forme prescritte tale
antinomia (op.ult.cit., 695). Affermano la perdurante necessità della preesistenza dell’autonomia funzionale
del ramo d’azienda oggetto di trasferimento sulla base della supremazia del diritto comunitario TRIB.
MILANO - SEZ. LAV., 29 febbraio 2008 e TRIB. ROMA, SEZ. LAV., 3 marzo 2008, entrambe in
Riv.giur.lav.prev.soc., 2008, II, 673 ss., nota di A.RAFFI.
18
E’ opportuno ricordare che, a mente dell’art. 32 del D.Lgs 10 settembre 2003, n.276, recante
modifiche all’art. 2112, comma quinto, del Codice Civile, in attuazione della Direttiva 2001/23/CE del
Consiglio del 12 marzo 2001, il comma quinto dell’art. 2112 del codice civile è sostituito dall’attuale testo
vigente «Fermi restando i diritti dei prestatori di lavoro in caso di trasferimento d’azienda di cui alla
normativa di recepimento delle direttive europee in materia, … ».
19
La Direttiva 2001/23/CE, nella sua versione più aggiornata, stabilisce:
8
dell’impianto della direttiva 77/187/CEE (del Consiglio del 14 febbraio 1977) realizzato con
l’intervento di riforma del ’98 (direttiva 98/50/CE del Consiglio del 29 giugno 1998).
Gli obiettivi primari delle modifiche introdotte nel ’98 furono dichiaratamente di rivedere
la direttiva 77/187/CEE alle luce dell'impatto del mercato interno, delle tendenze legislative degli
Stati membri per quanto riguarda il salvataggio delle imprese con difficoltà economiche, della
direttiva 75/129/CEE, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia
di licenziamenti collettivi, delle norme legislative già in vigore nella maggior parte degli Stati
membri, della giurisprudenza della Corte di giustizia (così il terzo “Considerando”).
Con riguardo a tale ultima finalità, qui di più specifico interesse, il quarto “Considerando”
precisava ulteriormente << … che la sicurezza e la trasparenza giuridiche esigono un chiarimento
della nozione giuridica di trasferimento alla luce della giurisprudenza della Corte di giustizia, …
>>, pur non intendendosi così modificare la sfera di applicazione della direttiva 77/187/CEE quale
interpretata dalla Corte.
Così, al comma 1 dell’art.1, divenuto lettera a) del medesimo luogo (<<La presente
direttiva si applica ai trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di stabilimenti ad un nuovo
imprenditore in seguito a cessione contrattuale o a fusione.>>), furono affiancati ulteriori due
capoversi, la lettera b), a mente della quale <<Fatta salva la lettera a) e le disposizioni seguenti del
presente articolo, è considerato come trasferimento ai sensi della presente direttiva quello di
un'entità economica che conserva la propria identità, intesa come insieme di mezzi organizzati al
fine di svolgere un'attività economica, sia essa essenziale o accessoria.>>; e la lettera c), a mente
della quale <<La presente direttiva si applica alle imprese pubbliche o private che esercitano
un'attività economica, che perseguano o meno uno scopo di lucro. Una riorganizzazione
amministrativa di enti amministrativi pubblici o il trasferimento di funzioni amministrative tra enti
amministrativi pubblici, non costituisce trasferimento ai sensi della presente direttiva.>>.
I “chiarimenti” di cui a tale ampliata e tuttora vigente formulazione realizzano – come è
noto - il recepimento nel testo normativo di una parte delle pregresse elaborazioni e indicazioni
Articolo 1 - 1. a) La presente direttiva si applica ai trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di
imprese o di stabilimenti ad un nuovo imprenditore in seguito a cessione contrattuale o a fusione. Articolo 1
- 1.b) Fatta salva la lettera a) e le disposizioni seguenti del presente articolo, è considerato come
trasferimento ai sensi della presente direttiva quello di un’entità economica che conserva la propria identità,
intesa come insieme di mezzi organizzati al fine di svolgere un’attività economica, sia essa essenziale o
accessoria. Articolo 1 – 1.c) La presente direttiva si applica alle imprese pubbliche o private che esercitano
un’attività economica, che perseguano o meno uno scopo di lucro. Una riorganizzazione … (omissis).
Articolo 2 - 1. Ai sensi della presente direttiva si intende: a) per “cedente”, ogni persona fisica o giuridica
che, in conseguenza di un trasferimento a norma dell’art. 1, paragrafo 1, perde la veste di imprenditore
rispetto all’impresa, allo stabilimento o alla parte dell’impresa o dello stabilimento; b) per “cessionario”,
ogni persona fisica o giuridica che, in conseguenza di un trasferimento a norma dell’art. 1, paragrafo 1,
acquisisce la veste di imprenditore rispetto all’impresa, allo stabilimento o alla parte dell’impresa o dello
stabilimento. … (omissis).>>.
9
giurisprudenziali. L’ottavo Considerando della direttiva 2001/23 ribadisce ora ulteriormente che
quei chiarimenti, resi nel ’98, non hanno modificato l’ambito di applicazione della direttiva, quale
praticata dalla Corte.
Tale rinnovata dichiarata consapevolezza del legislatore comunitario circa il perimetro
tracciato in via giurisprudenziale, espressa anche con riferimento alle decisioni successive alle
modifiche del ’98, avvalora ulteriormente la portata di quelle pronunzie, orientando decisamente
l’interprete verso una lettura del dato normativo coerente con la giurisprudenza.
Tale fatto assume una peculiare rilevanza con riguardo ai problemi sollevati dalla
delimitazione del campo di applicazione della direttiva ai trasferimenti di imprese etc. << … in
seguito a cessione contrattuale o a fusione.>>.
Va infatti ricordato che, in una risalente pronunzia
20
la Corte ebbe ad esprimere
consapevolezza del fatto che <<Il raffronto delle varie versioni linguistiche della disposizione di cui
trattasi mette in luce divergenze terminologiche, per quel che riguarda il trasferimento da cessione.
Mentre le versioni tedesca (‘vertragliche uebertragung’), francese (‘cession conventionnelle’),
greca (‘SYMSSATIKH EKXVRHSH’), italiana ('cessione contrattuale') e olandese ('overdracht
krachtens overeenkomst') si riferiscono chiaramente solo alle cessioni operate in forza di contratto,
consentendo così di concludere che ne vengono escluse altre modalità di cessione come quelle
risultanti da un atto amministrativo o da una sentenza del giudice, le versioni inglese ('legal
transfer') e danese ('overdragelse') pare definiscano un campo d’applicazione più ampio.>> (punto
11).; aggiungendo che << … Date queste divergenze, non si può valutare la portata della
disposizione litigiosa in base alla sola interpretazione letterale. E’ quindi opportuno chiarire il suo
significato alla luce dello spirito della direttiva ... >> (punto 13); e aggiungendo ancora che << …
la tutela dei lavoratori in caso di trasferimento di imprese, che la direttiva si propone di garantire,
rientra nella prospettiva dell’evoluzione economica e della necessità, enunciata dall’art. 117 del
Trattato, di promuovere il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro della manodopera che
consenta la loro parificazione nel progresso. L’obiettivo della direttiva è quindi di impedire che la
ristrutturazione nell’ambito del mercato comune si effettui a danno dei lavoratori delle imprese
coinvolte. … >> (punto 18).
A dispetto di tale acclarata incertezza e nonostante le due occasioni di modifica della
disciplina, sulla questione il legislatore comunitario si è limitato ad avallare le soluzioni
interpretative avanzate dalla Corte.
20
CORTE DI GIUSTIZIA, sentenza del 7 febbraio 1985, H.B.M. Abels c. Direzione Bedrijfsvereniging
voor de Metaalindustrie en de Electrotechnische Industrie, causa 135/83.
10
Tralasciata ogni valutazione sulla tecnica adottata dal legislatore comunitario che, in ordine
alla rilevanza dell’interpretazione giurisprudenziale, sembra recepire esperienze (o forse solo
suggestioni) di ordinamenti diversi dal nostro, lasciata da parte parimenti ogni considerazione sulla
coerenza, rispetto a tale sorta di manifesto programmatico (mi riferisco al caso Abels), delle
soluzioni di poi adottate in concreto dalla Corte, ogni riflessione sulla direttiva e sulle norme
nazionali di recepimento sembra dunque dover muovere dall’interpretazione che di quel testo ha
fatto la Corte, interpretazione che si dimostra nodale proprio sulla questione della rilevanza
contrattuale della cessione.
- II.3
A scorrer le sentenze della Corte, si nota subito che, nonostante quanto ora rilevato, manca
una compiuta espressione, per così dire “didascalica”, su cosa debba intendersi per cessione
contrattuale.
Il fatto non sorprende, poiché tendenzialmente, ma qui a ben vedere accade con
implicazioni maggiori che altrove, le opzioni della Corte si misurano con riferimento alla
risoluzioni del caso concreto, restando poi l’inquadramento sistematico di tali decisioni un
problema dell’interprete, soprattutto di recepimento nel diritto interno.
L’attenzione muove prioritariamente da talune risalenti pronunzie in cui, alla dichiarata
esigenza di fondare sulle finalità della direttiva la nozione di cessione contrattuale (resa incerta,
ribadisco, dalla differente portata che il riferimento letterale postulava nei diversi Stati comunitari),
fa seguito qualche specifica significativa indicazione sul punto, utile a comprendere come sia andata
delineandosi ed affinandosi l’interpretazione.
In una risalente sentenza della Corte
21
, il giudice nazionale chiede se l’art.1, n.1, della
direttiva comprenda il caso in cui il proprietario dell’azienda data in godimento ricominci ad
esercitarla in seguito ad inadempimento del contratto da parte del conduttore. Contestata dalla parte
resistente la sussistenza di una cessione volontaria, la Corte afferma che << … Il nuovo esercizio
avviene anch’esso in base al contratto di locazione. Di conseguenza, qualora abbia l’effetto di far
perdere al conduttore la qualità di imprenditore, qualità che il proprietario acquista di nuovo, esso
deve del pari essere considerato un trasferimento d’impresa ad altro imprenditore, dovuto a
cessione contrattuale ai sensi dell’art.1, n.1, della direttiva.>> (punto 14).
Nella sentenza Harry Berg e J.T.M. Busschers c. Ivo Martin Besselsen
22
, richiamati i
contenuti della suddetta precedente pronunzia, si specifica che occorre prescindere << … dal se la
21
nella causa 287/86 (SEZIONE III, 17 dicembre 1987, Landsorganisationen i Danmark for
Tjenerforbundet i Danmark c. Ny Moelle Kro
22
nelle cause riunite C-144 e C-145/87 (SEZIONE V, 5 maggio 1988).
11
risoluzione derivi da un accordo fra le parti contraenti, da una dichiarazione unilaterale di una
delle parti oppure da una pronunzia giudiziaria. Infatti in tutti questi casi il trasferimento
d’impresa di cui trattasi rientra nell’ambito dei rapporti contrattuali. Di conseguenza la
restituzione dell’impresa, qualora abbia l’effetto di far perdere all’acquirente la qualità di
imprenditore, qualità che il venditore acquista di nuovo, deve essere considerata un trasferimento
d’impresa ad un altro imprenditore, dovuto a cessione contrattuale, ai sensi dell’art.1, n.1, della
direttiva.>> (punto 19).
Tale pronuncia (che vale anche a chiarire il senso della precedente, in effetti alquanto
oscuro) evidenzia che “l’elemento contrattuale” ricorre nella restituzione, quindi nello svolgimento
del rapporto contrattuale; lascia intuire altresì che la qualificazione contrattuale della vicenda non
esclude la rilevanza di altri concomitanti fattori nella realizzazione del “trasferimento di impresa”.
Occorre infatti che il venditore acquisti la qualità di imprenditore, il che non avviene ipso facto, in
forza della restituzione.
E’ di poco antecedente il caso "Daddy' s Dance Hall" 23 in cui la Corte afferma di già che
<< … Il fatto che … il trasferimento abbia luogo in due fasi, nel senso che l’azienda è dapprima
retrocessa dall’affittuario-gestore iniziale al proprietario, il quale ultimo la trasferisce poi al nuovo
affittuario-gestore, non esclude l’applicazione della direttiva, sempre che l’entità economica
conservi la propria identità, il che avviene in particolare quando, come nella fattispecie, la gestione
dell’impresa venga proseguita senza interruzione dal nuovo affittuario-gestore con lo stesso
personale impiegato nell’impresa prima del trasferimento.>>.
Similmente, nella sentenza nel caso Bork International 24, dopo aver specificato che << …
La direttiva si applica … in tutti i casi di cambiamento, nell'ambito di rapporti contrattuali, della
persona fisica o giuridica responsabile dell'esercizio dell'impresa che assume le obbligazioni del
datore di lavoro nei confronti dei dipendenti dell'impresa stessa .>> (punto 13), si confermano,
affinandole, le precedenti indicazioni: <<Ne consegue che, quando il conduttore avente la qualità di
imprenditore perda detta qualità alla fine del contratto di locazione ed un terzo la acquisti
successivamente in forza di un contratto di compravendita stipulato con il proprietario,
l'operazione che ne risulta può rientrare nella sfera d'applicazione della direttiva definita nell'
art.1, n.1, della stessa. Il fatto che, in un'ipotesi del genere, il trasferimento abbia luogo in due fasi,
nel senso che l' impresa è dapprima ritrasferita dal conduttore al proprietario, il quale la
trasferisce poi al nuovo proprietario, non esclude l'applicazione della direttiva, sempreché
l'impresa conservi la propria identità, il che avviene quando si tratti di un'entità economica ancora
23
causa 324/86, risolta con sentenza 10 febbraio 1988.
causa 101/87, III SEZIONE, 15 giugno 1988, P. Bork International a/s ed altri c. Foreningen AF
Arbejdsledere i Danmark e Junkers Industrier A/S.
24
12
esistente il cui esercizio è effettivamente proseguito o ricominciato dal nuovo imprenditore con le
stesse attività economiche o con attività analoghe .>> (punto 14).
Ad assumere rilievo è l’operazione (in entrambi i casi tre i soggetti coinvolti, due i contratti
presi in esame), distinta in fasi ma riconosciuta unitaria, ed alla operazione nel suo complesso
sembra debba parametrarsi la verifica circa la sussistenza di rapporti contrattuali; l’esistenza dei
quali dovendosi evincere dal fatto che l’impresa ha conservato la propria identità. Per
l’affermazione di tale ultima condizione sono due gli elementi valutati necessari: la persistenza
dell’entità economica e la prosecuzione, ovvero l’inizio ex novo, da parte del nuovo imprenditore,
di uguali o analoghe attività. Se su quest’ultimo profilo la Corte farà in seguito ulteriore chiarezza,
assume di già rilievo un’implicita, ma sufficientemente delineata impostazione, secondo cui la
vocazione contrattuale della vicenda sembra possa attestarsi in via indiretta attraverso la verifica
sull’identità dell’impresa trasferita.
Nella sentenza Redmond Stichting
25
, il caso in cui un comune, che finanzia, attraverso
sovvenzioni, le attività di una fondazione per l’assistenza ai tossicomani, decide di porre ad esse
fine, provocando così la cessazione delle attività della fondazione stessa, per trasferirle ad un'altra
fondazione, che prosegue le stesse attività, viene equiparato per analogia al precedente sopra
esaminato (punto 14). Al quesito del giudice a quo << … se la circostanza che la decisione di
trasferimento sia presa in maniera unilaterale dall'ente pubblico e che non risulti da un accordo
concluso da quest'ultimo con gli enti sovvenzionati non renda inapplicabile la direttiva … >>
(punto 15) si dà risposta negativa in quanto << … Al riguardo, non va presa in considerazione la
natura della sovvenzione, che è concessa mediante atto unilaterale accompagnato da talune
condizioni in alcuni Stati membri, mediante contratti di sovvenzione in altri.>>, ma il fatto che <<
… In ogni caso, il cambiamento del beneficiario della sovvenzione si compie nell'ambito di rapporti
contrattuali ai sensi della direttiva e della giurisprudenza. >> (quella da ultimo sopra richiamata),
come si evince altresì dal fatto (richiamato a ben vedere solo per incidens) che << … Per giunta,
benché la fondazione Redmond contesti, nelle sue osservazioni dinanzi alla Corte, che siano stati
conclusi accordi, il Kantongerecht rileva espressamente nella motivazione della sua ordinanza che
"sia la ricorrente che la fondazione Sigma si sono dichiarate pronte a collaborare attivamente al
'trasferimento' dei clienti/pazienti dalla ricorrente alla fondazione Sigma, ed al riguardo è stato
creato anche un gruppo di lavoro 'inserimento delle attività della fondazione Redmond nella
fondazione Sigma" … >> (punto 17).
Se non è la struttura delle sovvenzioni, negoziale o meno, che assume rilievo, al fine di
qualificare come contrattuale il trasferimento, resta qui incerto se (ammesso e non concesso che
25
causa 29/91, 19 maggio 1992, Dr. Sophie Redmond Stichting c. Hendrikus Bartol e altri.
13
l’attività svolta dalla fondazione sia riconducibile alla nozione di impresa) si debba, a quel fine,
comunque fare riferimento al rapporto tra il Comune e le Fondazioni.
Delle due l’una: posto che altrove la Corte aveva già chiarito che, se il trasferimento ha ad
oggetto attività comportanti l'esercizio di pubblici poteri, non si configura trasferimento di impresa
ai sensi della direttiva 26 o la Corte ha ritenuto che la concessione delle sovvenzioni non costituisse
esercizio di pubblici poteri (ma l’affermazione è del tutto indimostrata) e allora si può dare risposta
affermativa al quesito.
Oppure, più verosimilmente, si apre ad un’altra prospettiva, attribuendosi rilevanza alle
connessioni tra dismissione e ripresa dell’attività, nel senso che, ove lo strumento d’impresa
(l’insieme di mezzi organizzati al fine di svolgere un’attività economica) non abbia mutato identità,
si giustifica sì il riconoscimento di una relazione di natura contrattuale, ma tra le due fondazioni (e
non dunque tra il Comune e le fondazioni), poiché in concreto i risultati dell’operazione sono quelli
di una cessione.
Ciò non esclude che, nella considerazione unitaria dell’operazione, si riconosca esser stata
la revoca delle sovvenzioni da parte del Comune a determinare la cessazione dell’impresa da parte
della fondazione Redmond e che la prosecuzione (o la ripresa) della medesima impresa sia stata resa
possibile dall’attribuzione delle stesse sovvenzioni a Sigma.
Nella sentenza Mercx e Neuhuys
27
, la Corte (punto 30) chiosa le precedenti, rese nei
richiamati casi Redmond, Daddy’s Dance Hall e Bork, affermando che << … Da questa
giurisprudenza deriva che, affinché la direttiva trovi applicazione, non è necessario che esistano
rapporti contrattuali diretti tra il cedente ed il cessionario. … >>
28
. Il che mi sembra valga a
rimarcare non tanto il fatto che tali rapporti possano essere indiretti, ma che i soggetti tra cui si
ritiene debbano intercorrere rapporti contrattuali sono, nei sensi di cui sopra, il cedente e il
cessionario.
Il successivo caso Süzen
29
delinea un’ulteriore distinzione. Si dice : <<L'assenza di un
legame contrattuale tra il cedente e il cessionario ovvero, come nella specie, tra i due imprenditori
ai quali siano stati in successione affidati i lavori di pulizia di un istituto scolastico, ancorché possa
costituire indizio quanto all'assenza di un trasferimento ai sensi della direttiva, non può rivestire
importanza determinante al riguardo.>>, ribadendosi quindi, attraverso un esplicito richiamo alla
26
sentenza 15 ottobre 1996, causa C-298/94, Henke, Racc. pag. I-4989, punti 14 e 17.
sentenza 7 marzo 1996, cause riunite C-171/94 e C-172/94, Mercx e Neuhuys.
28
E facendo applicazione del principio, la Corte prosegue: << … Di conseguenza, quando si pone
fine ad una concessione di vendita di autoveicoli con una prima impresa ed una nuova concessione di
vendita viene attribuita ad un' altra impresa che continua a svolgere la stessa attività, il trasferimento di
impresa deriva da una cessione contrattuale ai sensi della direttiva, come interpretata dalla Corte.
29
Nella sentenza dell'11 marzo 1997, Ayse Süzen c. Zehnacker Gebäudereinigung GmbH
Krankenhausservice - Causa C-13/95.
27
14
sentenza Merckx e Neuhuys, che << … Ai fini dell'applicazione della direttiva non è pertanto
necessaria l'esistenza di rapporti contrattuali diretti tra il cedente e il cessionario, atteso che la
cessione può essere effettuata anche in due fasi per effetto dell'intermediazione di un terzo, quale il
proprietario o il locatore>>.
Ad avviso della Corte sembra dunque potersi postulare la sussistenza di un rapporto
contrattuale, utile a configurare la nozione di cessione contrattuale, pur in assenza di un legame
contrattuale 30.
Nella sentenza nella causa C-343/98
31
, richiesta «Se rientri nel campo di operatività
dell'art. 1 della direttiva CEE 77/187 il caso di un trasferimento oneroso, autorizzato con legge
dello Stato e disposto con decreto di un Ministro, di un'impresa esercita da un ente pubblico diretta
emanazione dello Stato ad una società privata, costituita da altro ente pubblico che ne detiene tutte
le azioni, quando l'attività oggetto del trasferimento sia affidata alla società privata in regime di
concessione amministrativa … >>, la Corte ha ritenuto soddisfatta l’esigenza di riscontro
dell’esistenza di un rapporto contrattuale attraverso un semplice rinvio al caso Redmond Stichting,
richiamato a sostenere l’assunto che:
<< ... il fatto che il trasferimento risulti da decisioni
unilaterali delle pubbliche amministrazioni e non da un concorso di volontà non esclude
l'applicazione della direttiva.>> (punto 34).
Alla luce di quel richiamo ed in considerazione della peculiarità del caso di specie, quale
che sia il fatto, o i fatti, che hanno determinato il trasferimento, un negozio (unilaterale o bilaterale),
una decisione della P.A., o anche la legge, non è dunque compito dell’interprete di risolvere il
problema della ricorrenza di una cessione contrattuale indagando la natura, contrattuale o meno, di
quei fatti.
Nel caso
32
Abler richiamata la formula ormai granitica che la direttiva << … trova
applicazione in tutti i casi di cambiamento, nell’ambito di rapporti contrattuali, della persona fisica
o giuridica responsabile dell’impresa, che assume le obbligazioni del datore di lavoro nei confronti
dei dipendenti dell’impresa stessa. >> (punto 39), la Corte ribadisce che <<Ai fini dell’applicazione
della direttiva 77/187 non è pertanto necessaria l’esistenza di rapporti contrattuali diretti tra il
30
Tale approccio, confermato nella successive sentenze nella cause riunite C-173/96 e C-247/96
(SEZIONE V, 10 dicembre 1998, Hidalgo e.a. c. Asociaciòn de Servicios Aser e altri), punti 22 e 23 e C-17599 (26 settembre 2000, Didier Mayeur c. APIM) punto 45, sembra meno nitido nella sentenza nella causa C51/00 (VI SEZIONE, 24 gennaio 2002, Temco Service Industries c. Samir Imzilyen e altri) in cui la Corte pur
riportandosi a quanto già chiarito nelle precedenti sentenze (esplicitamente richiamati i casi Merckx e
Neuhuys e Süzen) ritiene sufficiente, al fine di configurare il carattere contrattuale della cessione << …che il
trasferimento s’inserisca nell’ambito degli stessi rapporti contrattuali indiretti.>> (punti 30 -34).
31
CORTE DI GIUSTIZIA, SEZ. VI, 14 settembre 2000, Collino e Chiappero c. Telecom.
32
sentenza nella causa C-340/2001, SEZIONE VI, 20 novembre 2003, Abler e altri c. Sodexo MM
Catering Geselschaft mbH, l, in Il lavoro nella giurisprudenza, 2004, 27 ss., nota di D.Casale.
15
cedente e il cessionario, atteso che la cessione può essere effettuata per effetto dell’intermediazione
di un terzo, quale il proprietario o il locatore … >> 33.
L’esperienza delle precedenti richiamate pronunzie chiarisce a questo punto come il
riferimento ad una funzione intermediaria non implichi alcuna vocazione tecnica del termine.
Analoga rilevanza, nel contesto delle operazioni esaminate, è stata infatti riconosciuta all’esercizio
delle prerogative istituzionali da parte della P.A. (caso Redmond Stichting cit.), come pure
all’intervento del legislatore (caso Collino e Chiappero cit.).
Nella pronuncia, resa nella causa C-460/02 34, in cui la Corte dichiara incompatibile con la
direttiva 96/67 il regime di protezione sociale previsto all’art. 14 del nostro d.lgs n.18/99, poichè
l’obbligo imposto alle imprese interessate al subentro nella gestione dei servizi aeroportuali di terra
di riassumere il personale del precedente prestatore di servizi svantaggia i nuovi concorrenti
potenziali rispetto alle imprese già operanti e compromette l’apertura dei mercati dell’assistenza a
terra), a fronte dell’eccezione sollevata dalla Commissione, che denunciava nel caso di specie la
mancanza dell’<< …elemento chiave della cessione dell’impresa, cioè un accordo negoziato
implicito o esplicito …>>, la Corte glissa sul punto, ritenendolo evidentemente assorbito dalla
riaffermazione dei principii cardine, utili a stabilire se vi sia o meno un trasferimento ai sensi della
direttiva. Così si ribadisce che << … il criterio decisivo per stabilire se si configuri un trasferimento
ai sensi di tale direttiva consiste nella circostanza che l’entità in questione (n.d.r.: l’impresa, lo
stabilimento, la parte d’impresa o di stabilimento) conservi la propria identità, che risulta in
particolare dal fatto che la sua gestione sia stata effettivamente proseguita o ripresa>>
35
e che
<<Per determinare se sussistano le caratteristiche di un trasferimento di un’entità del genere, la
Corte ha dichiarato che deve essere preso in considerazione il complesso delle circostanze di fatto
che caratterizzano l’operazione di cui trattasi, fra le quali rientrano in particolare il tipo di
impresa o di stabilimento in questione, la cessione o meno di elementi materiali, quali gli edifici e i
beni mobili, il valore degli elementi immateriali al momento della cessione, la riassunzione o meno
33
ivi gli ulteriori richiami alle sentenze 7 marzo 1996, cause riunite C-171/94 e C-172/94, Mercx e
Neuhuys, Racc., I-1253, punti 28-30; 11 marzo 1997, causa C-13/95, Süzen, cit., Racc., I-01259, punto 12, 24
gennaio 2002, causa C-51/00, Temco, Racc., I-969, punto 31. L'assenza di un legame contrattuale tra il
cedente e il cessionario, ovvero tra i due imprenditori ai quali siano stati in successione affidati il servizio di
aiuto a domicilio o il compito di sorveglianza del deposito sanitario, ancorché possa costituire indizio quanto
all'assenza di un trasferimento ai sensi della direttiva 77/187, non può rivestire importanza determinante al
riguardo (sentenza Süzen, cit., punto 11). Nel caso Abler, ora richiamato (v. testo) e nel successivo di cui alle
cause riunite Nurten Güney-Görres (C-232/04), Gul Demir (C-233/04) contro Securicor Aviation (Germany)
Ltd, Kötter Aviation Security GmbH & Co. KG, definito con sentenza della Corte 15 dicembre 2005,
l’intervenuta risoluzione di un appalto, seguito dalla stipula di un successivo non esclude affatto la natura
contrattuale della cessione, ai fini dell’applicazione della direttiva.
34
CORTE DI GIUSTIZIA, SEZ. I, 9 dicembre 2004, Commissione Comunità europee c. Repubblica
italiana.
35
ivi i richiami alle sentenze 18 marzo 1986, causa 24/85, Spijkers, Racc. pag. 1119, punti 11 e 12,
nonché 11 marzo 1997, causa C-13/95, Süzen, Racc. pag. I-1259, punto 10.
16
della maggior parte del personale da parte del nuovo imprenditore, il trasferimento o meno della
clientela, nonché il grado di analogia delle attività esercitate prima e dopo la cessione e la durata
di un’eventuale sospensione di dette attività. Tali elementi costituiscono tuttavia soltanto aspetti
parziali della valutazione complessiva cui si deve procedere e non possono, perciò, essere
considerati isolatamente.>> (punti 38 e 39) 36.
Costituisce un parziale elemento discontinuità rispetto alle precedenti pronunzia quanto la
Corte afferma in una recente sentenza
37
, stabilendo che la necessità di un’interpretazione elastica
della nozione di cessione contrattuale << … riguarda anche la forma del «contratto» con cui si
realizza detta cessione. La nozione di cessione contrattuale può pertanto corrispondere, a seconda
dei casi, ad un accordo scritto o verbale tra il cedente ed il cessionario vertente su un cambiamento
dell’identità del responsabile della gestione dell’entità economica in esame o ancora ad un accordo
tacito concluso tra questi ultimi e risultante da elementi di cooperazione pratica da cui traspare
una comune volontà di procedere a siffatto cambiamento … .>>. Il perimetro precedentemente
tracciato – come si è visto – è ben più ampio: ma la dichiarata volontà della Corte di legarsi alle
precedenti sentenze commentate induce a rimandare ad eventuali ulteriori pronunzie ogni
considerazione circa un eventuale mutamento giurisprudenziale, allo stato da ritenersi improbabile
38
.
- II.4
L’esame compiuto, finalizzato ad individuare la nozione di cessione contrattuale
selezionata dalla Corte, apre a due distinti possibili esiti; preciso subito che uno dei due mi sembra
però possa accantonarsi, per talune incoerenze che esso sembra scontare.
Potrebbe infatti ritenersi, dando eccessivo credito a qualche apertura lessicale rinvenuta
nelle sentenze, che per la Corte si configuri cessione contrattuale ogni qual volta l’operazione che
dà luogo al sub ingresso nella gestione dell’impresa si realizzi in un contesto del quale sia elemento
un contratto; a dire cioè che, rispetto alla sequenza degli atti e dei fatti che determinano il
trasferimento e che descrivono la relativa operazione, sia sufficiente che preesista una relazione di
36
Casi Spijkers, punto 13 , Caso Redmond cit., punto 24, Süzen, punto 14.
CORTE DI GIUSTIZIA, 3 settembre 2007, nel procedimento C-458/05, causa Mohamed Jouini + 24
contro Princess Personal Service GmbH, punto 25 della motivazione.
38
Cfr. CORTE DI GIUSTIZIA, 3 settembre 2007 cit., punto 24 della motivazione. Ulteriori dubbi
sono indotti dall’esame del caso concreto, concernente l’affermata applicazione della direttiva
sostanzialmente ad un caso di sviamento di clientela e di storno parziale di dipendenti di un’impresa di
lavoro interinale, operato dall’ex direttore industriale in un contesto di crisi aziendale dell’impresa
qualificata cedente. Che il caso descritto evidenzi un accordo tacito, anche solo risultante da elementi di
cooperazione pratica, da cui traspaia la comune volontà di procedere al trasferimento d’impresa, francamente
non sembra perspicuo, riferendosi in motivazione della sola volontà dei soggetti poi passati alla nuova
gestione.
37
17
tipo contrattuale, ovvero che essa possa riconoscersi esistente di seguito al trasferimento. Non
sarebbe nemmeno postulato in tal senso come necessario il riscontro di rapporti funzionali, causali,
tra le relazioni contrattuali prese in esame e il trasferimento.
Il fatto però che, nelle sentenze prese in esame, la Corte abbia ripetutamente prestato
decisiva attenzione alle relazioni contrattuali tra cedente e cessionario (individuati così come la
direttiva li qualifica), a configurare il presupposto richiesto dalla direttiva, vale a chiarire che
l’approccio della Corte è diverso, più articolato di quanto questa prima lettura potrebbe far pensare
e induce ad accantonare l’ipotesi.
Vero è che la Corte, come la direttiva, segue l’operazione nel suo dispiegarsi.
Un soggetto (il cedente) perde la veste di imprenditore rispetto ad un’impresa (ad uno
stabilimento o a parte dell’impresa o dello stabilimento) ed un altro l’acquisisce (il cessionario).
L’(effettiva) prosecuzione o ripresa della gestione d’impresa, da parte di un soggetto
diverso rispetto a quello cui era in precedenza riferibile, è considerata nella sua valenza di primo,
generico indice della persistenza dell’<<entità economica>> nella sua identità, riconosciuta dunque
tale, per gli effetti che rilevano, anche al mutare del suo riferimento soggettivo.
Ma perché possa parlarsi di prosecuzione o ripresa della gestione e, quindi, perché tale
affermazione di identità sia possibile e plausibile, occorre poter riscontrare la sussistenza in fatto di
una serie di circostanze, rilevanti in diversa guisa, a seconda della tipologia di impresa: l’utilizzo da
parte del nuovo imprenditore dei medesimi elementi materiali (quali gli edifici e i beni mobili) e
immateriali, la riassunzione della maggior parte del personale, il passaggio della clientela, il grado
di analogia delle attività esercitate prima e dopo la cessione, la durata di un’eventuale sospensione
di dette attività.
La prosecuzione o ripresa della gestione e tali circostanze, fatti complessivamente
considerati, determinano la rilevanza dell’operazione ai sensi dell’art. 1, n.1, della direttiva, aprendo
all’affermazione dell’avvenuto trasferimento 39.
Occorre sottolineare che la lett.b del comma 1 dell’art.1 della direttiva, diversamente da
quanto sembrerebbe voler suggerire la lettera della norma, non enuncia alcuna nozione di
“trasferimento”, limitandosi invece ad indicare quale sia l’oggetto del trasferimento rilevante.
39
Nella richiamata sentenza CORTE DI GIUSTIZIA, 15 dicembre 2005, nei procedimenti Nurten
Güney-Görres (C-232/04), Gul Demir (C-233/04) contro Securicor Aviation (Germany) Ltd, Kötter Aviation
Security GmbH & Co. KG, si afferma che << … si deve ricordare che il trasferimento dei mezzi di
produzione rappresenta solo un aspetto parziale della valutazione complessiva che il giudice nazionale deve
compiere nella verifica della sussistenza di un trasferimento d’impresa o di stabilimento ai sensi dell’art. 1
della direttiva 2001/23.>> (punto 44).
18
La nozione di trasferimento si determina in relazione alla funzione realizzatasi in concreto,
che si coglie nelle definizioni di cedente e cessionario che reca l’art. 2, comma 1, lett.re a) / b),
della direttiva, che più precisamente indicano i criteri connotativi delle operazioni da ricondurre alla
nozione di trasferimento.
Si intendono per tali quelle che, portando il cedente a perdere la veste di imprenditore
rispetto all’impresa e il cessionario ad acquisirla, realizzano la sostituzione tra due distinti soggetti
nella gestione di quel compendio descritto dalla direttiva e dettagliato dalla Corte.
Il fatto che tale vicenda debba qualificarsi contrattuale non postula per la Corte che gli esiti
dell’operazione descritta o delle sue fasi (perdita della qualità di imprenditore etc.) si configurino
quale effetto negoziale. Né, più nello specifico, il trasferimento in capo al cessionario dei diritti e
degli obblighi del cedente, che risultano dai rapporti di lavoro, realizzano una modificazione del
profilo soggettivo di tali rapporti che debba configurarsi come effetto negoziale.
E’, quest’ultimo, un effetto imposto e inderogabile, che grava su di un soggetto, il
cessionario, che la direttiva e, in coerenza la Corte, qualifica non già come parte contrattuale, ma
come persona fisica o giuridica che, in conseguenza di un trasferimento (a norma dell’art.1,
paragrafo 1), acquisisce la veste di imprenditore rispetto alla medesima impresa (allo stabilimento o
a parte dell’impresa o dello stabilimento).
Si è visto che, per la Corte, la sussistenza di un legame tra cedente e cessionario può essere
irrilevante per il determinarsi o meno dell’effetto imposto (sopra, caso Süzen); nondimeno, al fine di
poter realizzare l’imputazione al cessionario di quei diritti ed obblighi, occorre bene che si
configurino dei presupposti giuridici giustificativi.
Qui si evidenzia l’elemento di originalità dell’impostazione.
La latenza dello strumento contrattuale è superata attraverso il riscontro circa l’effettivo
esercizio dell’impresa, la cui imputazione vale quale criterio di attribuzione al cessionario di ogni
conseguenza ad esso esercizio riconducibile. E poiché la verifica positiva circa la permanenza
dell’identità dell’impresa esercitata (rispetto alla precedente) coglie il cessionario nella medesima
situazione giuridica dell’avente causa di un trasferimento aziendale, l’acclarato presupposto della
prosecuzione o dell’esercizio ex novo della medesima impresa consente di scavalcare a piè pari il
problema (altrimenti ineludibile) della volontarietà del comportamento del cessionario (in relazione
agli effetti inderogabili che la direttiva prescrive).
Tanto basta per imporre al cessionario l’imputazione dei diritti e degli obblighi di cui ai
rapporti di lavoro “aziendali” e, in coerenza, per postulare l’avvenuta modifica soggettiva del
rapporto di lavoro.
19
L’avvenuto compimento di una cessione va accertata, nei sensi sopra esplicitati, con
riferimento alle definizioni rese dalla direttiva. Ove il riscontro sia positivo si apre il problema della
sua qualificazione come contrattuale. Tale aggettivazione non postula però l’esistenza di un
contratto, né di un legame contrattuale; si limita a descrivere e qualificare quella posizione del
cessionario, che le enunciate peculiarità dell’operazione segnalano.
- III. L’APPLICAZIONE
ANALOGICA DELL’ART.2557 C.C. IN ALCUNE RECENTI SENTENZE DELLA
CASSAZIONE.
- III.1
Con la nota sentenza n.549/97 40, la Cassazione:
- afferma che il divieto di concorrenza disciplinato all’art. 2557 c.c. non ha carattere di
eccezionalità (rispetto al principio di libertà di concorrenza, presupposto dall’art.2596 c.c. e più in
generale, rispetto al riconoscimento della libertà di iniziativa economica privata sancita dall’art.41
Cost.);
- apre in coerenza ad una interpretazione estensiva della norma su base analogica;
- realizza una concreta applicazione analogica del disposto dell’art.2557 c.c. ad un caso di
trasferimento di partecipazioni in s.n.c., affermando che tale operazione configura un "caso simile"
all’alienazione di azienda prevista dalla norma, allorché dà luogo "sostanzialmente" allo stesso
fenomeno che essa ha inteso disciplinare;
- afferma che tale equiparazione va accertata in concreto tenendo conto di tutte le
circostanze e le peculiarità del caso e va condotta con estremo rigore 41.
Dichiarata premessa, alla base dello sviluppo argomentativo, è la riaffermazione
dell’orientamento espresso nella sentenza n.13762/1991, secondo il quale la "alienazione"
dell’azienda comprende non solo la vera e propria alienazione, ma tutte le ipotesi di sostituzione di
un imprenditore all’altro nell’esercizio dell’impresa come conseguenza diretta della volontà delle
parti o di un fatto da esse espressamente previsto.
40
CASS., SEZ. I, 20-01-1997, n. 549, in Foro it., 1997, I, 1498; in Contratti, 1997, 267, n.
CARNEVALI; in Dir. fallim., 1997, II, 448, n. LAPENNA; in Giust. civ., 1997, I, 1289, n. ALBERTINI. Nel caso
che ha dato origine alla sentenza, due soci di s.n.c. cedono ai restanti la propria partecipazione; informati che
gli ex soci stanno per intraprendere un’attività identica a quella ad oggetto della società, i restanti chiedono
tutela in giudizio ex art.2557 c.c..
41
V. anche APP. MILANO, 07-11-2003, Soc. Serigraf c. Colombo, in Giur. dir. ind., 2005, 208:
<<L’equiparazione sostanziale della cessione di quote sociali alla cessione d’azienda, costituente il
requisito indispensabile per l’applicazione della cessione di quote del divieto di concorrenza ex art. 2557
c.c., va accertata tenendo conto di tutte le circostanze e peculiarità del caso e con estremo rigore, il che
richiede necessariamente un approfondito esame dell’organizzazione dell’azienda che si assume ceduta, con
riferimento alle sue componenti materiali e personali e, soprattutto, al ruolo ricoperto e all’attività in essa
svolta dai soci cedenti.>>.
20
Non interessa qui ripercorrere le condivisibili argomentazioni che postulano il
convincimento circa la natura non eccezionale del divieto di cui all’art.2557 c.c. 42, ma focalizzare
l’attenzione sullo sviluppo argomentativo che da quella premessa muove 43.
42
Parafrasando la motivazione, la natura eccezionale della norma è stata per il passato desunta
dalla considerazione che essa costituirebbe eccezione al principio di libertà di concorrenza, i cui limiti di
ammissibilità sarebbero tracciati all’art. 2596 c.c. Che tale ultima norma sottenda il principio di libertà di
concorrenza è considerazione condivisa dalla Corte: ma da ciò non può indursi che il divieto di concorrenza
previsto dall’art. 2557, primo comma, c.c. costituisca eccezione al principio generale di libertà di
concorrenza. Le due distinte fattispecie disciplinano non la concorrenza in sé, e cioè la concorrenza di un
soggetto rispetti ad altri indeterminati soggetti, ma gli effetti che sulla concorrenza tra due soggetti
determinati ha il rapporto che questi stessi hanno instaurato tra loro.
43
Questa la parte saliente della motivazione: << … Occorre ora stabilire in astratto se sia
ipotizzabile l’applicazione analogica dell’art. 2557, primo comma, c.c. alla (ipotesi di) cessione di quote
sociali tenendo conto che per contrastare l’ammissibilità di tale applicazione è stato rilevato: a) che la
norma prevede solamente l’alienazione dell’azienda e richiede che l’alienazione concerna l’azienda nella
sua totalità in quanto non contempla la alienazione parziale (si è ritenuto che concreti l’ipotesi normativa
anche la alienazione di un ramo "autonomo" dell’azienda: ma in tal caso è agevole comprendere
l’estensione); b) che i due contratti - cessione di azienda e cessione di quote - sono stipulati da soggetti
diversi e che la cessione di quote può determinare eventualmente la ricostituzione della pluralità dei soci. Al
fine occorre premettere che con la norma si è inteso disciplinare espressamente in modo formale il divieto di
concorrenza, il quale nella vigenza del codice precedente non era previsto, ma era ritenuto operante - per
evitare che l’alienante, il quale con l’azienda aveva ceduto, ricevendone il corrispettivo, anche l’avviamento
e in particolare la clientela, potesse, iniziando la medesima attività, riappropriarsi, facilitato dalla sua
specifica capacità concorrenziale, del valore dell’avviamento - sulla base dei principi generali - inizialmente
individuati nella garanzia per evizione e nella correttezza professionale - di esecuzione dei contratti secondo
buona fede o di integrazione dei contratti secondo equità o dell’obbligo posto a carico del venditore di
garantire al compratore il pacifico godimento della cosa vendutagli. Si vuol con ciò rilevare che con la
norma si è inteso porre formalmente quella medesima tutela che prima veniva desunta da principi generali
dell’ordinamento, peraltro di diversa estrazione: con la conseguenza che devono ritenersi concretanti "casi
simili" - condizione questa per l’applicazione analogica - quelli che esprimono la medesima indicata
ragione di introduzione della norma, e cioè la necessità di quella tutela precedentemente accordata sulla
base di principi generali e che la norma - si ripete - ha solamente inteso ribadire espressamente.
E va al riguardo sottolineato che secondo il più recente orientamento di questa Corte il principio di buona
fede, che si specifica nel dovere di ciascun contraente di cooperare alla realizzazione dell’interesse della
controparte, si pone come limite di ogni situazione, attiva o passiva, negozialmente attribuita, determinando
così integrativamente il contenuto e gli effetti del contratto: Cass., n.3775/1994.Non sono quindi di ostacolo
- si ripete: in via astratta - all’ammissibilità dell’applicazione analogica della norma le considerazioni di cui
sopra (sub a e b). Esse rilevano invece in concreto, e cioè nell’accertare se effettivamente la cessione di
quote concreti "sostanzialmente" lo stesso fenomeno - alienazione di azienda: intesa nel senso di sostituzione
di azienda, come all’inizio indicato - che l’art. 2557, primo comma, c.c. ha inteso disciplinare. Dette
considerazioni difatti devono essere tenute presenti e valutate al fine della individuazione della ricorrenza
della sostanziale equiparazione della cessione di quote alla alienazione dell’azienda dal momento che tale
equiparazione dev’essere accertata in concreto, e quindi tenendo conto di tutti gli elementi che incidono positivamente o negativamente - sull’equiparazione stessa.
In conclusione la ricorrenza della sostanziale equiparazione va accertata in concreto tenendo conto: a) che
la sostituzione (come all’inizio individuata) di un soggetto ad un altro nell’azienda - e cioè la alienazione di
azienda prevista dall’art. 2557, primo comma, c.c. - può considerarsi verificata allorché sia stata posta in
essere una cessione di quote - la totalità, la quasi totalità o (anche) una quantità minore delle stesse - se
sulla base di tutte le circostanze del caso concreto, possa desumersi che tale cessione abbia concretato
quella sostituzione (alienazione di azienda) che la norma ha inteso disciplinare; b) che la verifica concreta
di tale sostanziale equiparazione deve essere condotta con estremo rigore perché con la equiparazione si
fanno discendere da una situazione fattualmente meno estesa di quella prevista dalla norma gli stessi effetti
che questa riconduce alla situazione fattualmente più ampia da essa stessa prevista>>.
21
Per affermare in via analogica la vigenza del divieto, nell’individuare gli elementi di
somiglianza delle fattispecie, giustificativi dell’applicazione della medesima disposizione (apertis
verbis, quella di cui all’art.2557 c.c.), bastava forse fermarsi a rimarcare:
- (a) l’esistenza comune alle due operazioni di un trasferimento (dell’azienda nell’ipotesi
tipizzata dal legislatore, delle partecipazioni sociali nell’ipotesi assimilata) che rende attuale il
rischio di una concorrenza differenziale;
- (b) che in entrambe il trasferimento qualifica il cedente come potenziale autore di
concorrenza differenziale.
Ci si poteva altresì fermare sulla soglia della riaffermazione di quei principii, pur
richiamati in motivazione, giustificativi di una concreta soluzione del caso sulla base dell’analogia
iuris.
Nell’accreditare viceversa una soluzione già meditata e propugnata
44
, si è scelto un
percorso che fa leva su nuove e peculiari argomentazioni, anche se poi sembra mancare un coerente
sviluppo delle premesse.
44
Una prima apertura a favore (a proposito del trasferimento dell’intero pacchetto azionario da
parte dell’unico azionista) già in F.FERRARA JR, Teoria dell’azienda, II ed., Firenze, 1949, p.373, nota 3 e in
risalenti pronunzie di merito: v. APP. BOLOGNA, 2 agosto 1954, in Foro Pad., 1954, I, 1124 e in Temi, 1955,
141 (nota adesiva di L.SORDELLI), dove anche la sentenza di primo grado TRIB.P IACENZA, 18 agosto 1953,
che ritenne applicabili al caso in esame (concernente il caso in cui uno dei due soci di una società cui fa capo
un’azienda commerciale cede all’altro socio la propria quota sociale e, per l’effetto di tale cessione,
quest’ultimo, sciolta la società, si trovi unico “proprietario” dell’azienda medesima) sia la norma sul divieto
di concorrenza ex art.2557 c.c. sia la tutela in tema di concorrenza sleale. La sentenza è cassata dal Supremo
Collegio con la pronunzia del 23 giugno 1956, n.2245, in Riv.dir.ind., 1957, II, 106 (nota critica di V.LA
GIOIA, Alienazione di quota sociale e obbligo di non concorrenza, ivi, loc.cit., spec. p. 112; cui addé
G.GUGLIELMETTI, Limiti negoziali della concorrenza, Padova, 1961, p. 256 ss.; avverso la sentenza cassata
si esprime parimenti ASCARELLI, Teoria della concorrenza e dei beni immateriali, III ed., 1960, p.76,
affermando che l’applicazione del divieto di concorrenza, in quel contesto, possa ritenersi ammissibile solo
ove si dimostri sussistente l’assunzione di un obbligo specifico al riguardo. Per quanto riguarda le società di
capitali, a seguire, l’illustre autore delinea di già la soluzione poi sviluppata nella più recente giurisprudenza,
stabilendo parimenti l’inapplicabilità della norma sul divieto di cui all’art.2557, a meno che, in base
all’interpretazione del caso concreto, la cessione di tutto o anche parte delle quote o azioni, secondo buona
fede, non sottenda in effetti una cessione d’azienda. G.AULETTA, in Alienazione dell’azienda e divieto di
concorrenza, in Riv.Trim.Dir.Proc.Civ., 1956, 1235 s. e in Dell’azienda, Commentario al Codice Civile a
cura di A.Scialoia e G.Branca, Bologna-Roma, 1961, 50 s, si dichiara favorevole a che, alienata un’azienda
da parte di una s.n.c., il divieto di concorrenza gravi non solo sulla società, ma anche sui singoli soci
(fondando sulla mancanza di personalità giuridica di tale compagine societaria); al medesimo risultato
perviene, valorizzando ulteriori percorsi interpretativi, CASANOVA, Impresa cit., 774 ss. Contrari
all’applicazione dell’art.2557 alla cessione di quote sociali GRECO, Corso di diritto commerciale, III ed.,
Milano, 1955, 305, G.FERRARI, voce Azienda (dir.priv.), in Enc.dir.., V, Milano, 1959, p.711. Tra i
favorevoli, COLOMBO, L’azienda cit., 183 ss., G.U.TEDESCHI, Le disposizioni generali sull’azienda, in
Tratt.dir.priv., diretto da P.Rescigno, Torino, 1983, 38. Riesamina criticamente le sentenze richiamate e
l’assimilazione tra partecipazioni e beni sociali, affermando << … l’impossibilità dal punto di vista
giuridico di ricondurre, seppur indirettamente, il trasferimento dei titoli azionari alla cessione dei beni
sociali … >>, A.TINA, Il contratto di acquisizione di partecipazioni societarie, Milano, 2007,186 ss. (ivi,
205).
22
La scelta qualificante della decisione mi sembra si palesi nel ricondurre il caso oggetto di
esame a quella dilatata nozione di trasferimento d’azienda secondo cui essa si configura non solo
nella vera e propria alienazione, ma in tutte le ipotesi di sostituzione di un imprenditore all’altro
nell’esercizio dell’impresa come conseguenza diretta della volontà delle parti o di un fatto da esse
espressamente previsto; a fronte di tale opzione di fondo, dichiarata a chiare lettere, la Corte non
realizza però l’applicazione in via immediata e diretta della disciplina di riferimento, come forse
sarebbe lecito attendersi, ma segue la strada dell’applicazione analogica.
Delle due l’una: o la fattispecie di riferimento ha concretezza e rilevanza giuridica, il che
vale se e in quanto al suo configurarsi sia ricollegata l’applicazione di una specifica disciplina,
ovvero l’inquadramento proposto resta del tutto vago e soltanto evocativo di un significato poi
disatteso.
Nell’economia delle valutazioni dalla Corte, indicate programmaticamente come snodo
fondamentale per la risoluzione di futuri casi simili, ciò che diventa dirimente è la verifica circa
l’avvenuta sostituzione di un soggetto ad un altro nell’azienda, che anche una cessione di quote è
potenzialmente in grado di realizzare, anche se essa è dichiaratamente presentata come situazione di
fatto meno estesa di quella situazione di fatto più ampia prevista dalla norma (il riferimento è
all’art.2557 c.c.): il che però – ad avviso della Corte – vale solo ad imporre che l’accertamento sia
particolarmente rigoroso.
Nella successiva nota pronuncia n.9682 del 2000
45
la Cassazione, questa volta chiamata a
valutare la rilevanza di un trasferimento di quote di s.r.l. al fine dell’applicabilità del divieto di
concorrenza a carico del cedente ex art.2557 c.c.:
- amplia il novero delle considerazioni svolte nel precedente caso richiamato, a sostenere la
natura non eccezionale del disposto di cui all’art.2557 e dunque la possibilità di una sua astratta
applicazione analogica 46;
- riconduce la scelta di fondo sull’applicazione dell’art. 2557 codice civile, ad una mera
valutazione del rischio concorrenziale cui l’operazione dà luogo, in relazione alla realtà economica
di mercato 47;
45
CASS., SEZ. I, 24-07-2000, n. 9682, in Foro it., 2000, I, 3115, n. RORDORF; in Guida al dir.,
2000, fasc. 35, 17, n. GAGLIONE; in Dir. e giustizia, 2000, fasc. 30, 50.
46
Secondo la Corte Suprema, poiché la libertà economica privata si identifica con la garanzia di un
libero mercato, e poiché quest’ultimo è tale se assicura identica libertà per ciascuno dei suoi attori, la legge
intende impedire che l’esercizio senza limiti del diritto di intrapresa da parte di taluno pregiudichi il diritto
del concorrente (cfr. anche Cass. n. 827 del 1999, resa in tema di L. n. 287 del 1999, ma utile nella specie per
i riferimenti generali), esprimendosì l’esigenza che il diritto del singolo ad intraprendere, di cui l’acquisto di
un’azienda è esercizio, non venga frustrato dal comportamento dell’alienante.
47
Questa la parte saliente della motivazione: << … è ben possibile che la cessione di quote di
partecipazione societaria realizzi il presupposto del pericolo concorrenziale analogo a quello conseguente
alla cessione di azienda vera e propria. E ciò indipendentemente dalla natura giuridica della società in
23
Così motivando, la Corte sembra invero preoccupata di decolorare la precedente
richiamata pronunzia di ogni tecnicismo in ordine alla riconosciuta riconducibilità della esaminata
cessione di quote alla dilatata nozione di alienazione di azienda (melius, di sostituzione di un
imprenditore all’altro nell’esercizio dell’impresa come conseguenza diretta della volontà delle parti
o di un fatto da esse espressamente previsto).
La Corte sembra assuma consapevolezza del fatto che, ad insistere nel percorrere quella
prospettiva, si palesa inevitabilmente un nodo da sciogliere: l’applicazione dell’art.2557 c.c., in
quanto derivante dall’assimilazione di quell’operazione ad una alienazione di azienda, postula la
necessità di affrontare il quesito circa l’ulteriore applicabilità delle norme che risultano inderogabili
in quel contesto, significativamente le disposizioni di cui agli artt. 2560 e 2112 del codice civile.
L’idea di fondo che si esprime (o forse l’espediente) è allora che la questione vada
impostata esclusivamente in termini di diritto della concorrenza, inteso (non so se a buon diritto)
come un universo separato non condizionato da esigenze di qualificazione univoche e unitarie del
fenomeno preso in esame (a dare ulteriore rilevanza alla tutela accordata al cessionario della quote
la Corte ne afferma l’interesse ad agire e la piena legittimazione, ma, letteralmente, sotto il profilo
della lesione del suo diritto di iniziativa economica a mezzo della attività concorrenziale posta in
essere dal cedente).
Che l’approccio prescelto nella sentenza ora commentata non sia proprio del tutto
convincente se ne avvede – se non erro - la stessa Corte, nella successiva pronuncia n. 6169 del
2003 48 in cui, pur richiamati i precedenti, si afferma l’inapplicabilità del divieto di cui all’art.2557
c.c. al socio che recede da società in nome collettivo, poiché in tale ultimo caso, a differenza che nei
pregressi, non si determina alcun trasferimento, diretto o indiretto, della titolarità dell’azienda.
questione ovvero dal fatto che essa sia di persone o di capitali, contrariamente a ciò che ritiene il resistente.
Non può escludersi infatti che attraverso la forma della cessione di quote si pervenga in realtà all’obiettivo
di cedere una precipua attività di impresa. Cosicché la concorrenza eventuale del cedente può realizzare, in
astratto, analoga pericolosità per l’effettivo dispiego del diritto di impresa a danno del cessionario,
attraverso analoga possibilità di sviamento di clientela.
La giurisprudenza più antica si è occupata della definizione del concetto di cessione di azienda, ma
essenzialmente nella prospettiva della responsabilità del cedente, anche lavoristica o fallimentare, in ordine
alle obbligazioni sociali, e sotto tale profilo ha escluso la equiparazione della cessione delle quote alla
cessione di azienda. (Cass. 2784 del 52; 980 del 55, 1786 del 1981, nonché per un caso di cessione di
pacchetto di controllo, sotto il profilo lavoristico, Cass. n. 8145 del 1992). Ma tali esperienze non
soccorrono nella specie giacché la prospettiva concorrenziale pone al centro della sua osservazione, come si
è detto, anche in armonia con il Trattato Cee, la realtà economica di mercato cui la cessione dà luogo. In
base ad essa si può prescindere, caso per caso, dalla visuale formale basata sulla distinta soggettività
giuridica del cedente rispetto alla società le cui quote sono in questione. Detta prospettiva pertanto ha da
tempo fatto sì che si pervenisse ad affermare, da autorevole e diffusa dottrina, la sostanziale analogia, sotto
il predetto profilo, delle fattispecie della cessione delle quote e della cessione di azienda. … >>.
48
CASS., SEZ. I, 17-04-2003, n. 6169, in Notariato, 2003, 465, in Giur. it., 2003, 2091.
24
L’iter processuale consente di puntualizzare, rispetto alla precedente pronunzia n.9682 del
2000, che: <<Una corretta impostazione del tema in discussione richiede anzitutto che si tengano
distinte due ipotesi in sé ben diverse: quella della violazione del divieto di concorrenza e quella
della concorrenza sleale. E' chiaro che, nel primo caso, l'illiceità della condotta imputata a chi
violi quel divieto sta nel fatto stesso di svolgere un'attività concorrenziale non consentita.
Prescinde, quindi, da qualsiasi ricerca di una specifica intenzionalità nociva e dipende dalla mera
violazione del divieto, legale e convenzionale: onde da essa si genera una responsabilità di natura
contrattuale. Nel secondo caso, viceversa, l'attività può essere in sé del tutto lecita, ma è il modo
del suo svolgimento che la rende sleale, e dunque illegittima, generandosi da essa una forma di
responsabilità assimilabile a quella aquiliana. (…). Non solo, peraltro, la previsione del citato art.
2557 appare, dal punto di vista giuridico, estranea al tema della concorrenza sleale - e presuppone
una "causa petendi" diversa da quella posta a base della domanda proposta nel presente giudizio ma essa configura una situazione comunque non riconducibile a quella che di fatto è stata dedotta
in causa. Altro è, infatti, la cessione di un'azienda dal precedente titolare ad un diverso soggetto,
che perciò di quella medesima azienda, con tutti i valori materiali ed immateriali da cui essa è
composta, divenga a propria volta titolare; altro è il recesso di un socio da una società personale,
la quale continua ad esistere come autonomo centro di imputazione giuridica cui sotto ogni profilo
è riferita la titolarità dell'azienda. … >>.
Sebbene il trattamento differenziato tra cessione di quote e recesso
49
, che la Cassazione
opera, appaia stridere con la sopravvenuta impostazione legislativa del recesso come strumento di
exit, la motivazione della sentenza in esame si evidenzia incisiva nel riaffermare l’ambito
contrattuale dell’azione ex art.2557 c.c., che mi sembra contraddica la tutela del cessionario
affermata nella pregressa sentenza sulla base di una riscontrata violazione del diritto di intrapresa.
- III.2
Che succede, ove quella peculiare figura di cedente descritta dai casi in esame, pur
considerato gravato dal divieto, per legge (ove si ritenga applicabile l’art.2557 c.c.) oppure per patto
49
Prosegue la Corte: << … E' vero che la più recente giurisprudenza di questa corte ha negato
carattere di eccezionalità al divieto stabilito dal citato art. 2557, ammettendone l'applicazione anche in caso
di cessione delle quote della società titolare dell'azienda, quando ciò produca sostanzialmente la
sostituzione di un soggetto ad un altro nella conduzione della struttura aziendale (Cass. 20 gennaio 1997, n.
549; 16 febbraio 1998, n. 1643; 24 luglio 2000, n. 9682). Ma, nel caso di recesso del socio, non si determina
alcun trasferimento, diretto né indiretto, della titolarità dell'azienda e non vi sarebbe quindi ragione per
porre a carico del socio receduto un generale divieto di concorrenza analogo a quello che la legge pone a
carico dell'alienante dell'azienda (e non rileva, a tal fine, se il recesso provochi il venir meno della pluralità
dei soci, non derivandone comunque l'immediata estinzione del soggetto societario né, comunque, una
situazione in qualche modo assimilabile ad un trasferimento di azienda). (…).>>. Il trattamento differenziato
tra recesso e cessione di quote risale ad autorevole dottrina; v. ASCARELLI, Teoria cit., 76.
25
negoziale, svolga poi attività in concorrenza con la società di cui ha ceduto la partecipazione
“qualificata”?
Nelle decisioni richiamate, che aprono all’interpretazione analogica dell’art.2557 c.c., si
assume implicitamente che il cessionario possa instare per ottenere il risarcimento del danno subito;
danno che si determinerebbe in ragione di una sopravvenuta minusvalenza della quota di
partecipazione acquisita che, prezzata nello strumento di trasferimento (anche) in ragione
dell’avviamento, subirebbe il riflesso delle conseguenze negative a carico dell’azienda societaria
portate dall’illegittima concorrenza del cedente.
Chiedo: in questa rappresentazione ipotetica, la società, titolare dell’azienda, resta
testimone muto ovvero, se non altro nell’interesse di eventuali soci minoritari, non è astrattamente
ipotizzabile un’ulteriore azione risarcitoria, da parte della società questa volta, esperibile sempre nei
confronti dell’ex socio che, ceduta la partecipazione qualificata, avvalendosi delle cognizioni e
dell’esperienza acquisite quale effettivo gerente dell’azienda societaria, si adopra a stornarne in
proprio favore l’avviamento?
Con consapevolezza pragmatica, la sentenza n. 6169 del 2003 sembra supporre la
plausibile valutazione di tale comportamento come atto di concorrenza sleale, ai sensi dell’art.2598
c.c..
Si apre così – mi sembra - ad una duplicazione di azioni, quella che fa capo al socio
cessionario e quella ora ipotizzata a vantaggio della società; non riterrei però che il
cedente/imprenditore possa esser chiamato a risarcire sia la società che il cessionario, perché, ove la
società venga risarcita, dovrebbe potersi dire che il danno a carico del cessionario venga meno
(sebbene non sia proprio semplice dire con quali conseguenze sul piano processuale) 50.
Che relazione si pone dunque tra le due azioni configurabili (quanto meno in astratto)?
A seguire la Cassazione, nella sentenza da ultimo richiamata, la causa petendi è diversa,
trattandosi nell’un caso di azione contrattuale e nell’altro di un’azione assimilabile all’aquiliana.
50
Grande interesse ha suscitato analoga questione, quella della spettanza o meno dell’azione
risarcitoria, ex art.2497 c.c. concessa ad azionisti “esterni” alle relazioni di gruppo e creditori contro la
società dominante, anche alla società eterodiretta. Ad avviso di P.ABBADESSA, La responsabilità della
società capogruppo verso la società abusata: spunti di riflessione, in Banca Borsa, 2008, 279 ss., spec. 282
ss., ove approfondimenti e ampi richiami bibliografici, la risposta, alla luce dei lavori preparatori, deve
ritenersi decisamente negativa. L’A. indica che la soluzione finale adottata dal legislatore, che ha portato alla
soppressione di un’esplicita norma di riconoscimento in tal senso, presente invece nello schema di d.lgs.
approvato dal Consiglio dei Ministri del 30 settembre 2002 (in Riv.soc., 2002, 1346 ss.), sia stata orientata
anche dall’esigenza di superare i non facili problemi che la concorrenza di azioni tra società da una parte,
soci esterni e creditori dall’altra, avrebbe comportato. Contra, per la permanenza dell’azione in capo alla
società eterodiretta, G.SCOGNAMIGLIO, Poteri e doveri degli amministratori nei gruppi di società dopo la
riforma del 2003, in Profili e problemi dell’amministrazione nella riforma delle società, a cura di
G.Scognamiglio, Milano, 2003, nt.3, 265 nt.20. La questione si lega alla considerazione della natura
dell’azione in questione, su cui v. infra, nota 83.
26
Quanto al petitum, ammesso e non concesso che esso sia il medesimo, rapportato per
quanto riguarda la società all’intero danno, mentre per quanto riguarda l’azione promossa dal
cessionario al riflesso pro quota del danno, occorre segnalare che v’è indipendenza tra le due sfere
patrimoniali, quella della società e quella del socio subentrato. Intendo dire che, comunque, non
costituirebbe un coerente sviluppo delle premesse accolte dalla Cassazione il voler intendere
l’azione del socio cessionario in qualche senso come sostitutiva di quella spettante alla società (sul
modello di quanto accade per l’azione della minoranza
51
o anche individuale nella s.r.l.
52
, ovvero
per l’azione di responsabilità dei creditori sociali nella s.p.a.): a parte il fatto che la diversità tra le
azioni dovrebbe escludere il ricorso ad una simile impostazione (e ciò non solo per una questione di
ordine classificatorio: basti pensare all’impostazione probatoria delle due diverse iniziative
processuali), né è <<sociale>> l’interesse alla reintegrazione, poiché il socio agisce a tutela della
propria sfera giuridico-patrimoniale violata, né, proprio in ragione di tale profilo, la società può
avocare a sé l’iniziativa del socio.
In altra direzione, allora, a sostenere la conclusione che al socio subentrante spetti l’azione
ex art. 2557 c.c. dovrebbe accreditarsi la tesi che essa spetti in primo luogo alla società: ma su quali
basi? E, semmai, si tratterebbe di un’azione contrattuale o aquiliana?
IV. – QUESTIONI
IN TEMA DI DIVIETO DI CONCORRENZA E SUBENTRO (MANCATO) NELL’IMPRESA,
INDIVIDUALE E SOCIETARIA.
51
a proposito dell’azione sociale della minoranza, introdotta con l’art.129 d.lgs. n.58, 1998, la
questione del sovrapporsi di interessi e prerogative facenti capo alla minoranza e alla società è impostata con
grande chiarezza da OPPO, L’azione <<sociale>> di responsabilità promossa dalla minoranza nelle società
quotate, in Riv.dir.civ., 1998, II, 405 ss., a p. 408, che vede in tale azione una singolare ipotesi di gestione
d’affari processuale.
52
Per quanto concerne la s.r.l., la previsione della spettanza dell’azione in favore del singolo socio
non sembra determinare modifiche quanto all’inquadramento della stessa come avente natura sostitutiva
dell’azione di responsabilità spettante alla società (che si ritiene implicitamente presupposta); cfr. in tal
senso S.AMBROSINI, Sub art.2476, in Società di capitali, Commentario a cura di Niccolini, Stagno
D’Alcontres, Napoli, Jovene, 2004, III, 1605, 1594; ID., La responsabilità degli amministratori nella nuova
s.r.l., in Soc., 2004, 295; GALGANO-GENGHINI, Il nuovo diritto societario, in Trattato di diritto commerciale
e di diritto pubblico dell'economia, diretto da Galgano, Padova, CEDAM, 2006, 873; F.MAINETTI, Il
controllo dei soci e la responsabilità degli amministratori nella società a responsabilità limitata, in Soc.
2003, 942; M. CRISTIANO, Azione di responsabilità contro gli amministratori della s.r.l. nella riforma del
diritto societario, in Soc., 2005, 1018; PECORARO, Esercizio dell'azione sociale di responsabilità in
pendenza del regime transitorio ex art. 223-bis disp. att. c.c., in Contr., 2006, 381; Lo Cascio, La riforma
delle società a responsabilità limitata e le procedure concorsuali, in Fall.to, 2005, 241; SILVESTRINI,
Responsabilità degli amministratori nella s.p.a. e nella s.r.l. dopo la riforma societaria, in Soc., 2004, 695;
R.LOLLI, Azione sociale di responsabilità e revoca dell'amministratore nella s.r.l, dopo la riforma, in Soc.,
2006, 739; G.MOLLO, La responsabilità per danni nella s.r.l., in Giur.Comm. 1008, I, p.814 s., TRIB.
MARSALA, 1° aprile 2005, in Contr., 2006, 375 e in Soc., 2006, 734. In senso contrario F.CIAMPI, Novità
della Novella per le azioni di responsabilità nelle s.r.l., in Soc., 2006, 287, in conformità a TRIB. MILANO, 12
aprile 2006, in Giur.it., 2006, 2096.
27
- IV.1
Il lessico utilizzato dalla Cassazione e dalle corti di merito nelle sentenze testé richiamate,
laddove attribuisce rilevanza alla sostituzione di un imprenditore all’altro nell’esercizio
dell’impresa, anche con riguardo a casi di cessione di partecipazioni sociali, non può recepirsi oltre
avulso da un qualche sano tecnicismo che le espressioni utilizzate impongono.
Il già ricordato progressivo affermarsi dell’idea (di cui quel lessico evocativo è
espressione) che gli artt. 2556 ss. siano disciplina comune e unitaria in relazione a ogni
trasferimento d’azienda non può infatti non subire le conseguenze di quell’ulteriore coevo processo,
all’apparenza destrutturante, dato dall’adeguamento della normativa e della giurisprudenza interna
alla direttiva 2001/23/CE e alla sua interpretazione resa dalla Corte di giustizia, sì che oggi, il fatto
del mutamento nella titolarità di un’attività economica organizzata – id est la sostituzione di un
imprenditore all’altro nell’esercizio dell’impresa – assurgendo a fenomeno normativizzato, deve
assumere una valenza giuridica definita.
Quale essa sia mi sono sforzato di chiarire, nel precedente II paragrafo, con precipuo
riferimento all’interpretazione delle decisioni della Corte di Giustizia; non perché in tema manchino
pronunzie rese in sede nazionale, ma perché queste recepiscono pedissequamente soluzioni già fatte
proprie dalla Corte europea, senza esprimere alcun approfondito tentativo teso ad armonizzare
quelle decisioni nel sistema dell’impresa 53.
53
CASS.. SEZ. LAVORO, 21 maggio 2002, n.7458, in Foro it., I, 2278 ss.; CASS., SEZ. LAV., 13-012005, n. 493 (in Foro it., 2005, I, 690, n. PERRINO, in Notiz.giur.lav., 2005, 249, in Riv. Crit. dir. lav., 2005,
173, n. MUGGIA, in Orient. giur. lav., 2005, I, 55, in Orient. giur. lav., 2005, I, 275 m, n. ALVINO), secondo
cui <<Si configura trasferimento d’azienda in tutti i casi in cui muti il titolare dell’impresa,
indipendentemente dalla sussistenza di rapporti contrattuali diretti tra cedente e cessionario (nella specie, si
è ravvisato trasferimento d’azienda in un’ipotesi di successione nell’appalto di servizi con passaggio di beni
di non trascurabile entità)>>, così motiva: << … Nessun dubbio può permanere sul versante poi
dell'applicabilità al caso di specie dell'art. 2112 c.c. in quanto, come ha ben evidenziato il giudice d'appello,
il trasferimento d'azienda postula soltanto che il complesso organizzato dei beni dell'impresa - nella sua
identità obiettiva - sia passato ad un diverso titolare in forza di una vicenda giuridica riconducibile al
fenomeno della successione in senso ampio, dovendosi così prescindere da un rapporto contrattuale diretto
fra l'imprenditore uscente e quello che subentra nella gestione (cfr. al riguardo ex plurimis: Cass. 4 gennaio
2000 n. 23; Cass. 27 dicembre 1999 n. 14568). E l'assunto che il trasferimento d'azienda sia configurabile
anche in ipotesi si successione nell'appalto di un servizio sempre che si abbia un passaggio di beni, di non
trascurabile entità ma tale da rendere possibile lo svolgimento di una specifica impresa, trova conforto
anche in numerose decisioni della Corte di Giustizia che - attribuendo valore decisivo all'assunzione da
parte della nuova impresa di alcuni o di tutti i dipendenti già addetti presso la precedente - ha ritenuto che
la nozione di "cessione contrattuale", suscettibile di concretizzare il trasferimento d'azienda sia estensibile a
tutti i casi di mutamento della persona fisica o giuridica, responsabile dell'impresa e che assume le
obbligazioni del datore di lavoro nei confronti dei dipendenti dell'impresa medesima, sicchè non è richiesta
la sussistenza di rapporti contrattuali diretti tra cedente e cessionario tanto che la cessione può essere
realizzata anche in due fasi per effetto della intermediazione di un terzo (sentenza Mercx del 7 marzo 1996,
C-171/94 e C-172/94). Indirizzo, questo, poi ribadito con la statuizione dell'applicabilità della direttiva
77/187/Cee "ad una situazione nella quale un ente pubblico, che aveva dato in concessione il proprio
servizio di assistenza a domicilio delle persone disabili o aggiudicato l'appalto per la sorveglianza di alcuni
28
Accade così che le richiamate sentenze sull’estensione del divieto di concorrenza a
specifici casi di trasferimento di partecipazioni sociali presuppongano espressamente l’orientamento
introdotto con la sentenza n.13762/1991, indicata a fondamento di una nuova accezione della
nozione di trasferimento di azienda
54
; ma è opportuno ricordare che tale sentenza si limitò invero
ad applicare anche al divieto di concorrenza ex art.2557 c.c. l’interpretazione estensiva dell’art.2558
c.c. propugnata da una precedente pronunzia
55
, (articolo di legge) ivi ritenuto astrattamente
applicabile anche ai casi di restituzione del compendio aziendale di seguito a cessazione
“negoziale” dell’usufrutto e dell’affitto d’azienda; vero è però che la lettura di quest’ultima
sentenza chiarisce come l’orizzonte con essa dischiuso fosse in vero ancora piuttosto limitato,
stabilendosi in concreto, anche se per un caso di cessazione di affitto d’azienda, l’inapplicabilità
dell’art. 2558 c.c., proprio perché la restituzione del compendio, attuata in esecuzione di un lodo per
suoi locali ad una prima impresa decida, alla scadenza o in seguito a recesso del contratto che la vincolava
a quest'ultima, di dare in concessione tale servizio o assegnare tale appalto ad una seconda impresa,
qualora l'operazione sia accompagnata dal trasferimento di una entità economica tra le due imprese
(sentenza Hidalgo del 10 dicembre 1998 c-173/96). E che la suddetta direttiva debba trovare applicazione
anche in assenza di un atto negoziale tra due imprese - come avviene, appunto, nel caso di imprese resesi
aggiudicatarie di un appalto in ordine successivo - ha trovato ulteriore conferma anche in decisioni più
recenti (sentenza Temco del 24 gennaio 2002, c-51/00 e sentenza Abler del 20 novembre 2003 c-340/01), il
che ha indotto la dottrina - dopo un esaustivo esame della normativa comunitaria e degli approdi
giurisprudenziali - ad evidenziare come la Corte di Giustizia ritenga necessario che il trasferimento abbia
ad oggetto una entità economica organizzata in modo stabile, la cui attività non si limiti all'esecuzione di
una opera determinata, ma coinvolga durevolmente un complesso organizzato di persone e di elementi che
consentano l'esercizio di un'attività economica finalizzata al perseguimento di un determinato obiettivo. Per
concludere, la sentenza impugnata avendo fatto puntuale richiamo a precedenti pronunziati di questa Corte
di Cassazione ed avendo correttamente applicato i principi più volte enunciati dalla giurisprudenza
comunitaria, si sottrae ad ogni censura in questa sede.>>.
54
CASS., SEZ. I CIV., 20 dicembre 1991, n.13762, in Nuova giur.civ., I, 1, n. VERDIRAME. In
motivazione è richiamata altresì la analoga sentenza n.969 del 1979, a mente della quale <<La successione
dell'acquirente, dell'usufruttuario e dello affittuario di azienda, prevista dall'art 2558 cod civ, salvo patto
contrario, nei contratti a prestazioni corrispettive stipulati dal dante causa e non ancora interamente
eseguiti … deve ritenersi operante, in applicazione estensiva del citato art 2558 cod civ in ogni altra
analoga ipotesi in cui si verifichi sostituzione di un imprenditore all'altro nell'esercizio dell'impresa, come
conseguenza diretta della volontà delle parti, ovvero di un fatto dalle medesime espressamente previsto.
Pertanto, nel caso in cui l'esercizio della azienda si ritrasferisca dall'affittuario al locatore, per effetto di
cessazione del rapporto di affitto, l'indicata successione si verifica, nei confronti del locatore, solo se si tratti
di cessazione del rapporto per causa negozialmente contemplata, come il termine finale o la condizione
risolutiva, e non anche, quindi, nella diversa ipotesi in cui la cessazione medesima sia conseguenza diretta
di un fatto non negoziale, ancorché ricollegabile, ma solo in via mediata, ad una fattispecie negoziale. Da
tanto deriva che il locatore non subentra nei contratti stipulati dall'affittuario, pur se presentanti le
caratteristiche sopra specificate, qualora riacquisti il godimento dell'azienda; prima della scadenza del
contratto, in conseguenza della sua risoluzione per inadempimento dell'affittuario, sia essa pronunciata dal
giudice, ovvero disposta dalla determinazione di un arbitro irrituale designato dalle parti. ( Conf 632, mass
n 396782).>>. In ragione della vigenza dell’art.2112 c.c. è richiamata anche la sentenza n.ro 2644/1985.
55
CASS., SEZ. I CIV., 29 gennaio 1979, n.632, in Giust.civ., 1979, I, 1488 ss., con nota critica di A.
DI AMATO (Trasferimento non negoziale dell’azienda e successione nei contratti, ivi, 1493 ss.) e, v., in senso
contrario, di già TRIB.MILANO, 19 dicembre 1974, in Giur.comm., 1976, II, 123.
29
arbitrato irrituale (pur riconosciuta la natura negoziale di tale strumento di risoluzione della
controversia) non fu ritenuta riconducibile alla volontà delle parti 56.
Viceversa, sviluppi assai significativi delle implicazioni derivanti dal subentro
nell’impresa, si ritrovano ora in ambito lavoristico, laddove la Cassazione, in coerenza con i già
citati precedenti della Corte di Giustizia, giunge ad affermare che anche una requisizione
amministrativa di un’azienda configura ipotesi di trasferimento (in seguito a cessione contrattuale)
rilevante ai fini dell’applicazione dell’art. 2112 c.c. 57.
E’ l’imputazione ad un soggetto di una gestione di impresa prima riferibile ad altro
soggetto il perno intorno a cui ruota oggi l’applicazione delle disposizioni di cui all’art.2112 c.c..
L’innovativa disposizione di cui al comma 5 del richiamato art.2112 sembra stabilire anche
per diritto interno la sussistenza di un’originale fattispecie; laddove, al susseguirsi dell’imputazione
di una medesima (attività di) impresa in capo a due distinti soggetti, sono ricollegati taluni degli
effetti un tempo legati al trasferimento “negoziale” d’azienda (o all’attribuzione negoziale del suo
godimento).
L’esigenza di sostenere una lettura di tale prescrizione coerente, nei sensi già illustrati, con
l’interpretazione della direttiva fornita dalla Corte di Giustizia, è imprescindibile, come attestano le
sentenze dei giudici nazionali che a quell’interpretazione si sono conformati. E così, a fronte del
lessico utilizzato dal legislatore, che richiede che il mutamento nella titolarità dell’attività avvenga
in seguito a cessione contrattuale (o in seguito a fusione), taluni effetti, inderogabili ma comunque
tradizionalmente giustificati sulla base di un fenomeno negoziale avente ad oggetto l’azienda, si
producono parimenti al verificarsi di diversi presupposti.
56
Più di recente v. APP. MILANO, 05-04-2006. Soc. Leva c. Soc. Maxcom petroli, in Giur. it., 2006,
2316: <<Il divieto di concorrenza di cui al 1º comma dell’art. 2557 c.c., essendo volto a salvaguardare
l’azienda nella sua funzione economico-sociale di complesso di beni organizzato per l’esercizio
dell’impresa, è applicabile non solo all’ipotesi, espressamente prevista, di alienazione dell’azienda da parte
del proprietario, ma a tutti i casi di circolazione dell’azienda medesima, inclusa quella di retrocessione
dell’azienda al proprietario da parte dell’affittuario.>>.
57
CASS., SEZ. LAV., 22-10-2007, n. 22067 <<Posto che la requisizione dell’azienda o di parte di
essa configura trasferimento d’azienda, da un lato sussiste nei confronti del lavoratore che abbia prestato la
propria attività senza interruzioni la responsabilità solidale del gestore dell’azienda requisita in ordine ai
crediti vantati al tempo del trasferimento e, dall’altro, a seguito del ritrasferimento del lavoratore
all’originario datore, va esclusa l’obbligazione del gestore di corrispondere il trattamento di fine rapporto
maturato>>; la precedente CASS., 29-03-2006, n. 7250, resa dalla III sezione, stabilisce viceversa che << …
In tema di cessione di azienda, deve escludersi un trasferimento di azienda tutte le volte in cui più soggetti si
succedano in un’attività oggetto di concessione amministrativa, poiché, in tal caso, la concessione deve
intendersi rilasciata a titolo originario in capo al cessionario.>>: ma che in tale ultimo caso possa trovare
applicazione l’art.2112 non mi sembra revocabile in dubbio alla luce di quanto stabilito – come già ricordato,
v. supra … - dalla Corte di Giustizia nella causa C-343/98,00, Collino e Chiappero c. Telecom: << ... il fatto
che il trasferimento risulti da decisioni unilaterali delle pubbliche amministrazioni e non da un concorso di
volontà non esclude l'applicazione della direttiva.>> (punto 34).
30
Come già rilevato, ciò sembra accadere poiché la (riscontrata avvenuta) sostituzione di un
imprenditore ad un altro nella titolarità di una medesima attività d’impresa coglie l’imprenditore
subentrante nella medesima situazione giuridica dell’avente causa di una cessione negoziale
d’azienda e determina così il prodursi di taluni (ma più estesi) degli effetti inderogabili di quel
fenomeno.
Il soggetto interessato a far valere l’applicazione delle norme di tutela di cui all’art.2112
c.c. non è chiamato – mi sembra - a dare alcuna prova di un negozio traslativo, che per avventura
può anche non sussistere, ma soltanto della sostanziale identità dell’attività in relazione alla quale si
attesta avvenuta la sostituzione del titolare
58
. In tal senso, l’impostazione, già selezionata dalla
Corte di Giustizia, mi sembra attribuisca originale rilevanza al profilo probatorio.
Beninteso, per attività in titolarità non mi sembra allora qui possa intendersi un mero
sinonimo di azienda
59
.
Se e in quanto non possa dirsi sussistere un bene azienda oggetto di relazione dominicale
60
, ma unicamente rapporti giuridici (in rem o in personam) in ordine ai quali, per l’esplicarsi della
funzione causale del trasferimento o dell’attribuzione del godimento, il legislatore ha stabilito che la
58
Ad oggi si afferma in giurisprudenza che <<Ai sensi dell’art. 2555 c.c. l’azienda, quale
complesso di beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa, è compiutamente identificata
mediante la specificazione del tipo di attività svolta e dei locali nei quali essa è esercitata, trattandosi di
indicazioni idonee a comprendere l’insieme degli elementi organizzati in detti locali e destinati allo
svolgimento dell’attività dell’impresa, mentre la analitica individuazione di detti beni rileva al solo scopo di
prevenire eventuali contestazioni in ordine alla riconducibilità degli stessi alla azienda; pertanto, deve
ritenersi correttamente pronunciata dal giudice di merito, ex art. 1497 c.c., la risoluzione del contratto per
mancanza delle qualità promesse ed essenziali per l’uso a cui la cosa è destinata, qualora l’azienda,
trasferita ai sensi dell’art. 2556 c.c., sia risultata priva di un elemento essenziale per l’esercizio dell’attività
commerciale dedotta in contratto anche se esso non sia stato menzionato tra i beni aziendali (nella specie, è
stata pronunciata la risoluzione della cessione di un’azienda alimentare che, essendo sprovvista delle canne
fumarie - peraltro non indicate fra i beni aziendali - non era stata in grado di svolgere l’attività di cottura
dei cibi alla quale era preordinata per mancanza delle prescritte autorizzazioni amministrative, di cui il
cedente aveva dichiarato l’esistenza).>>; (così CASS., sez. II, 15-05-2006, n. 11130). Similmente CASS., 2101-2004, n. 877 << … l'azienda, quale complesso dei beni organizzati per l'esercizio di una determinata
impresa, è sufficientemente identificata, ove si tratti di attività commerciale di rivendita al pubblico, con la
specificazione del tipo di attività e dei locali in cui venga svolta, trattandosi di indicazioni idonee ad
abbracciare tutte le cose che siano presenti in quei locali e siano destinate all'attività medesima.
L'elencazione di tali cose, se può essere influente per la prova della consistenza del complesso produttivo in
un certo momento, e anche opportuna per prevenire l'insorgenza di contestazioni al riguardo, non è quindi
indispensabile per l'individuazione del bene-azienda. Ne consegue che l'atto negoziale o giudiziale inerente
ad azienda di commercio al dettaglio, quando contenga dette notazioni essenziali, non è affetto da nullità
per indeterminatezza ed indeterminabilità dell'oggetto. >>.
59
Ma v. V.BUONOCORE, Il <<nuovo>> cit., p.318 s., a ribadire (la tesi di Oppo) che azienda e
titolarità dell’attività economica rappresentano due profili di quell’unico ideale prisma che è l’impresa, a
dire cioè (p.319) quanto << … sia importante il profilo soggettivo, non tanto riguardando il problema dal
punto di vista dell’imputazione dell’attività d’impresa, quanto, e forse soprattutto, per affermare
l’indispensabilità della <<titolarità>> con la conseguente negazione di un’impresa senza titolare e quindi
della figura dell’<<impresa senza imprenditore>>.
60
La più recente autorevole manualistica si attesta ormai su tale posizione (v. supra, nota … ).
31
loro considerazione come unitario oggetto negoziale possa valere, in taluni casi
61
l’applicazione di specifiche norme derogatorie rispetto alla disciplina comune
62
, a determinare
; se, ancora, la
nozione di attività (d’impresa) altro non è che sintesi di atti, operata dal legislatore realizzandone
un’imputazione soggettiva unitaria foriera di effetti giuridici specifici e ulteriori, rispetto a quelli
derivanti da ogni singolo atto partitamente considerato
63
, su tali premesse è forse allora plausibile
considerare che il legislatore prescinda da un’oggettivazione di fonte negoziale dell’attività in
azienda e stabilisca conseguenze – quelle inderogabili di cui all’artt.2112 – per il solo fatto che si
acquisisca giuridica contezza dell’avvenuta sostituzione di un soggetto ad un altro nella titolarità di
quegli atti e rapporti che qualificano l’attività come di impresa e il soggetto agente quale
imprenditore 64.
Nei sensi indicati, l’applicazione del disposto di cui all’art.2112 c.c., che stabilisce la
responsabilità solidale del subentrante (il cessionario, nel lessico della direttiva) per ogni
obbligazione facente capo al pregresso imprenditore (il cedente), ai casi di usufrutto e affitto
d’azienda, pur pleonastica, stante la fissazione nel medesimo articolato di una norma generale che
61
Quando cioè assumano un rilievo unitario come incontrovertibile portato di esperienza
economica. Le parole sono di Pettiti, richiamate e commentate da Rivolta: << … Ogni forma di circolazione
è caratterizzata dal passaggio di un insieme di elementi idoneo a consentire all’avente causa di esercitare
l’impresa>> (Il trasferimento volontario d’azienda nell’ultimo libro di Domenico Petitti, in Riv.dir.civ.,
1973, I, 54).
62
P.SPADA, Articolazione del patrimonio da destinazione iscritta, in RDS, 2007, 18 ss (e v. nota 9,
p.19).
63
P.SPADA, Impresa (voce), in Digesto (discipline privatistiche – sez. commerciale), VII, UTET,
40 ss.; ID., Diritto Commerciale, I, Cedam, 2004, 44 s., ma v. già G.RIVOLTA, Gli atti d’impresa, in
Riv.dir.civ., 1994, I, 10 ss., ed ivi 115 ss., 141 s.
64
<<La nozione di azienda è, nel sistema del codice, una nozione derivata: essa presuppone
quella di impresa, della quale costituisce lo strumento. Se non vi è impresa, non vi è azienda in senso tecnico
e non si applicano i particolari princìpi che per essa sono posti.>> così G.FERRI, ad apertura della
trattazione sull’azienda nel suo Manuale (XII edizione, a cura di C.Angelici e G.B.Ferri, Torino 2006, 179).
V. anche G.RACUGNO, Lo “scorporo d’azienda”, Milano, 1995, 9. Quanto a G.SANTORO PASSARELLI, che
sostiene che il trasferimento regolato dall’art.2112 c.c. ha come oggetto l’impresa intesa come
organizzazione e attività, e non l’azienda intesa come complesso di beni potenzialmente idoneo all’esercizio
dell’impresa, poiché << ... Se, infatti, si ammette che l’oggetto del trasferimento può essere costituito dal
complesso dei beni potenzialmente idonei all’esercizio dell’impresa, e cioè anche dall’azienda inerte, si
estende di conseguenza la cerchia dei potenziali acquirenti.>>, determinandosi un accresciuto rischio di
lesione dei diritti dei lavoratori, quando l’impresa poi non prosegua (Opinioni cit., 690 ss.), osservo, con
molta prudenza, in attesa che voci più autorevoli vogliano confermare questa mia impressione, che il
pensiero di Oppo, richiamato a fondamento della tesi esposta, non giustifica affatto le affermazioni svolte da
Santoro Passarelli, incentrate come sono sul profilo traslativo della vicenda (come i riferimenti richiamati
indubitabilmente sottendono). Letteralmente (Oppo): <<Ho pure altra volta ammesso che possa esservi, se
non <<successione>>, sostituzione nell’attività d’impresa in termini giuridicamente rilevanti e che anzi tale
sostituzione possa avere rilievo causale nelle vicende traslative dell’organizzazione; ma appunto la
sostituzione, a differenza da una (non prospettabile) successione in senso proprio, non configura continuità
dell’attività né dell’impresa, ancorchè configuri, se così ci si vuole esprimere, continuità dell’organizzazione
(aziendale)… >> (così in Profilo cit., 536 s.; e v. altresì i Princìpi, in Tratt.dir.comm., diretto da
V.Buonocore, Sez.I, t.I, Torino, 2001, 50 s,, dove le deroghe alle regole che riguardano la (imputazione
dell’) attività sono lette alla luce dell’esigenza dell’organizzazione (ivi, riferimenti agli artt. 1330, 1674,
1722, 2112, 2208, 2558 del codice civile).
32
quell’ipotesi contempla, non sembra possa indicarsi oltre costituire eccezione alla regola di cui
all’art.2560, comma secondo.
Si è detto - a sostenere che la normativa sul trasferimento d’azienda risponda
fondamentalmente all’esigenza di favorire il trasferimento dell’avviamento - che << … l’autonomia
dell’azienda dall’impresa (attività) esiste in funzione della circolazione dell’azienda e che è in
funzione di questa circolazione che si pone il tema dell’imputazione alla sola azienda dei risultati
dell’impresa>> 65.
Vero è però che di quel complesso di norme che guardano all’azienda e ai suoi elementi
costitutivi nell’ottica del trasferimento è elemento portante altresì una disciplina inderogabile, posta
nell’interesse di terzi
66
. E siccome l’esperienza ha suggerito che più e diversi strumenti, anche
coordinati in operazioni, sul piano oggettivo come su quello soggettivo, possono realizzare una
funzione traslativa dell’avviamento (come degli elementi che esso hanno generato e generano),
potendosi ottenere risultati in deroga alla disciplina imposta in caso di trasferimento volontario
d’azienda (o di attribuzione del suo godimento), il legislatore ha ritenuto di svincolare la disciplina
inderogabile – allo stato, con relativa sicurezza, quella di cui all’art.2112 c.c. - dal solo
accertamento della sussistenza di un negozio sull’azienda, rendendola applicabile altresì al caso in
cui l’imputazione di una medesima (attività di) impresa sussegua in capo a due distinti soggetti.
- IV.2
Stante la naturale vocazione dell’impresa verso il mercato, nella prospettiva di poter
registrare il trasferimento della ricchezza investita, mi sembra che l’effettivo passaggio di mano
dell’avviamento resti elemento fortemente connotativo non solo di ogni vicenda che abbia
realizzato il trasferimento d’azienda, come si è detto funzionale al conseguimento di tale risultato,
ma, in senso lato, di ogni tipologia di avvicendamento di una gestione imprenditoriale ad un’altra 67.
65
G.AULETTA, Avviamento Commerciale cit., 4, riprendendo mi sembra il pensiero di ASCARELLI,
Teoria della concorrenza cit., 70 ss. e, ivi, 74, già richiamato supra, testo, in chiusura del § I.
66
CASS., SEZ. LAV., 2 maggio 2006, n.10108, in Dir.Merc.Lav., 2006, 355 (nota critica di
G.QUADRI, Trasferimento d’azienda, frode alla legge e tecniche di tutela del lavoratore, ivi, 360 ss.), cassa
con rinvio la decisione di merito (APP. SALERNO) che aveva ritenuto la nullità della cessione di ramo
d’azienda per frode alla disciplina sui licenziamenti collettivi, sulla base di accertamenti in fatto, (anche)
relativi al periodo successivo alla cessione – tra questi la rilevata cessazione dell’attività e il successivo
fallimento da parte della cessionaria. Ma la successiva CASS., SEZ.LAV., 7 febbraio 2008, n.2874, in
Riv.giur.lav.prev.soc., 2008, II, 554 ss., (nota di E.GRAGNOLI), stabilisce in contrario senso che <<L’affitto o
la cessione di un ramo d’azienda può essere dichiarata nulla quando sia stato disposto con l’obiettivo di
eludere le tutele garantite ai lavoratori dall’art.18 Stat.lav.. Con la conseguenza che il contratto stipulato
viene considerato come concluso in frode alla legge>>.
67
Anche chi propugnò l’irrilevanza in punto di disciplina del fenomeno della successione
nell’impresa ne convenne che : << … la rilevanza giuridica dell’esercizio dell’attività imprenditrice e della
successione in essa in ordine al fenomeno del trasferimento d’azienda si rivela pertanto solo nella
disposizione dell’art.2557, in cui il divieto di concorrenza stabilito a carico dell’alienante dell’azienda è
33
Si consideri l’ipotesi limite di una fattispecie negoziale di cessione d’azienda e si consideri
che, di seguito alla cessione, il cedente svolga viceversa attività in concorrenza con il cessionario e,
ulteriormente, che in ragione della concorrenza esercitata dal cedente, non si realizzi (o non si
realizzi significativamente) quel << … mutamento nella titolarità di un’attività economica
organizzata … >> di cui fa parola l’art.2112 c.c..
E’ da accogliere in tale contesto un’eventuale istanza del lavoratore tesa a proseguire nello
svolgimento delle prestazioni lavorative in favore del cedente?
Si rilevò in dottrina
68
che, in ragione della natura derogabile del divieto di cui all’art.2557
c.c., non sempre il trasferimento di azienda postula il sub ingresso nell’impresa da parte
dell’acquirente. Ma già Colombo ridimensiona l’affermazione: << … non si può trascurare che
dalla qualificazione del negozio come avente per oggetto l’azienda anziché singoli beni aziendali
derivano conseguenze rilevanti per i terzi (in particolare per i dipendenti, per i quali è in gioco la
continuazione del rapporto di lavoro, e per i creditori in genere, in relazione alla responsabilità ex
lege dell’acquirente per i debiti risultanti dalle scritture contabili) … >>
69
, sì che non sarebbe
affatto incongruente considerare che l’assenza o il mancato rispetto del divieto in una cessione
appunto in funzione di quella continuazione dell’impresa in capo all’avente causa che si accompagna alla
cessione del complesso aziendale>>; così E.ZANELLI, cit., 114 s., che soggiunge però << … ritengo
d’altronde che in effetti questa regola introduca in modo specifico nella disciplina del trasferimento
d’azienda proprio la considerazione di quel fenomeno di successione nell’impresa che ne è una conseguenza
più che una componente.>>.
68
Ricorda Pettiti (a criticare la tesi di Casanova che trasferimento d’azienda e successione
nell’impresa costituiscano un’entità essenzialmente unitaria - Il trasferimento cit.,195) che la cessazione
dell’impresa da parte dell’acquirente fu comunque giudicata modalità di prosecuzione della stessa, poiché,
pur se l’acquirente decidesse di liquidare l’azienda, ciò atterrebbe ad un momento successivo a quello del
trasferimento, idoneo di per se solo a determinare la successione nell’impresa; in tal senso CASANOVA, Le
imprese commerciali, Torino, 1955, 669. Viceversa (come peraltro rileva lo stesso PETTITI, Il trasferimento
cit., 37 s.), Casanova ritiene che, condizione per l’applicazione del divieto di concorrenza, in caso
trasferimento d’azienda, sia il pregresso esercizio dell’impresa da parte dell’alienante. Così il divieto è
reputato inapplicabile al caso di trasferimento d’azienda operato dall’erede dell’imprenditore defunto titolare
dell’azienda (e dell’impresa): v. Le imprese cit., 668 e Impresa e Azienda cit., 767 s.. Analogamente Barbero,
Sistema del diritto privato italiano, Torino, 1965, I, 239 ss., II, 304 ss. In senso contrario, FLORIDIA,
Cessione d’azienda in fase organizzativa e divieto di concorrenza, in Riv.dir.civ., 1964, II, 554, ivi, 564 , ove
ulteriori riferimenti.
69
Colombo che, ribadendo pressoché alla lettera quanto affermato da Pettiti (Il trasferimento cit.,
37) osserva però ulteriormente come <<… l’esclusione pattizia del divieto possa al massimo costituire un
indizio del fatto che oggetto dell’alienazione non sia l’azienda: indizio comunque in sé non decisivo, e da
valutarsi con particolare prudenza.>>: così a p. 178, richiamando così quanto già evidenziato da
ASCARELLI, Teoria della concorrenza cit., 77 s., a chiarimento delle ragioni della natura derogabile della
norma di cui all’art.2557 c.c.: << … glie è piuttosto che, in quanto il negozio abbia per oggetto un’azienda,
esso ha appunto per oggetto un insieme di beni coordinati quale strumento di un’attività imprenditrice, ciò
che importa appunto, quale conseguenza che trova in via definitiva la sua stessa giustificazione nella stessa
interpretazione del negozio, il divieto di concorrenza dell’alienante, potendo perciò (se pur non dovendo)
l’esclusione di questo implicare anche l’esclusione di una considerazione unitaria dei beni quale strumento
di un’attività imprenditrice e dovendosi allora ravvisare nel negozio non più una vendita dell’azienda, ma
una vendita di singoli beni, considerati collettivamente, e non più unitariamente.>>. V. anche
GUGLIELMETTI, Limiti negoziali cit., 246.
34
possa valere a snaturare l’operazione, facendola divenire una cessione di semplici beni aziendali e
non d’azienda.
La prosecuzione dell’attività d’impresa da parte del cedente, nell’esempio formulato, apre
ad una considerazione degli effetti della concorrenza da questi esercitata. Ove la stessa impedisca
un sostanziale sub ingresso del cessionario nell’avviamento, sarà questo fatto ad escludere che si sia
concretizzata l’effettiva sostituzione nella titolarità dell’attività e quindi a giustificare fondata
l’eventuale pretesa del lavoratore. Che l’operazione sia assistita o meno dal divieto di concorrenza,
che integra il contenuto negoziale quale effetto naturale ex lege, non mi sembra elemento che
assuma rilevanza nell’esempio, stante il profilo inderogabile della tutela da accordare ai lavoratori.
La questione introduce il tema di fondo delle conseguenze dell’affermata (in primis dal
legislatore) possibile coesistenza di due fenomeni, da monitorare distintamente nel loro esplicarsi:
l’uno traslativo dell’azienda o attributivo del suo godimento, l’altro riguardante il sub ingresso
nell’attività d’impresa (che, in senso tecnico, non ammette trasferimento, id est non può essere
oggetto negoziale di trasferimento).
Così, nell’esempio ora formulato, il cessionario resterebbe obbligato ai sensi dell’art.2560
c.c. comma 2? Ove la cessione d’azienda sia (giudizialmente) derubricata in cessione di beni
aziendali mi sembrerebbe dovuta una risposta negativa; ma che questo sia un inevitabile passaggio
non direi, potendo realisticamente coesistere la struttura aziendale ceduta, seppur depotenziata in
ragione della concorrenza prestata dal cedente, e l’impresa a quest’ultimo facente capo
70
, non
potendosi escludere a priori di dover considerare, sotto il profilo della concreta disciplina
applicabile, fenomeni di possibile duplicazione di imprese, e quindi di aziende 71.
Riferivo in principio dell’impostazione data da Pettiti alla questione della relazione tra
trasferimento d’azienda e subentro nell’impresa. In ragione delle novità di cui all’art.2112 c.c. mi
sembra che essa possa condurre a risultati parzialmente differenti.
Non penso ai casi in cui, operato un trasferimento d’azienda, l’acquirente non prosegua
nella gestione dell’impresa. In questi casi resta ferma l’applicazione delle norme inderogabili di cui
70
Credo che di fondo sia rilevante la considerazione che non esiste un luogo giuridico deputato ad
affermare univocamente, in senso vincolante, per tutti i soggetti coinvolti o toccati da una simile vicenda,
quale ne sia la corretta qualificazione.
71
Né, da questo specifico angolo visuale, mi sembrano da sopravvalutare, nella specifica
ricognizione delle possibili soluzioni del caso, i risultati concernenti l’individuazione del profilo
organizzativo delle imprese coinvolte in un’operazione rilevante ai sensi dell’art.2112 c.c., se, come rileva
V.BUONOCORE, L’impresa, in Tratt.Dir.Comm. diretto da V.Buonocore, Sez.I, t.2.1, Torino, 2002, 125 ss., a
proposito del contenuto minimale dell’organizzazione, << … il concorso fra lavoro del soggetto e gli altri
fattori della produzione può atteggiarsi nel modo più vario, potendo il lavoro concorrere con mezzi di
capitale proprio o altrui, con mezzi di lavoro altrui o con l’uno o l’altro di questi fattori ed essendo, altresì,
sufficiente anche il concorso di capitale proprio e di lavoro proprio.>> (ivi, conclusivamente, 126). Ma v.
quanto riferito infra, nota 75.
35
agli artt.2556 ss.
72
; ma l’Autore riferisce viceversa di casi in cui << … potrebbe aversi
prosecuzione della medesima attività già svolta da un imprenditore – e quindi <<successione>>
nella sua attività – da parte di un secondo imprenditore, anche senza trasferimento d’azienda: si
pensi al caso che l’imprenditore cessante non venda i suoi beni aziendali, ma si limiti a impegnarsi
verso un altro imprenditore a non proseguire la sua impresa, oppure al caso che egli venda, con
vari atti separati, i beni aziendali a diversi soggetti, in misura da escludere un trasferimento di
rami dell’azienda, e taluno degli acquirenti prosegua l’attività dell’alienante dopo aver costituito
ex novo una propria azienda; oppure, ancora, al caso che taluno prosegua l’attività di altri senza
accordi con questi, ma solo a seguito del fatto obiettivo della cessazione della precedente impresa.
… >> 73.
Anche in tali casi è difficilmente escludibile che trovi applicazione la disciplina di cui
all’art. 2112 c.c.. Vale a dire cioè che la successione nell’impresa sembra dover assumere concreta
autonoma rilevanza rispetto alla mancanza di un trasferimento negoziale d’azienda. Ed è allora
quanto meno dubitabile che possa confermarsi l’opinione di Pettiti che le norme di cui agli artt.2556
ss. tornino inapplicabili.
Assai rilevante questione è infatti se, dalle affermazioni svolte a proposito dell’art.2112
c.c., e quindi dal determinarsi di quegli effetti, concernenti i rapporti di lavoro, che l’applicazione di
quelle norme impone, si possa e si debba inferire il configurarsi di un meccanismo (quanto meno
presuntivo) di un avvenuto coevo effetto traslativo riguardante l’azienda e se dunque debbano
trovare applicazione anche le restanti norme inderogabili che il legislatore pone agli artt. 2555 ss..
Mi riferisco significativamente, ma non solo, alle prescrizioni di cui all’art.2560 c.c.. (basti pensare
alla problematica fiscale).
Si è autorevolmente detto
74
che appare peregrina l’idea di una nozione di trasferimento
aziendale che valga soltanto in ambito lavoristico.
72
<<Potrebbe, infatti, accadere che l’acquirente dell’azienda non prosegua l’impresa del
precedente titolare, ma la propria, tutt’affatto diversa; ovvero che egli non sia neppure imprenditore, e solo
interessato ad acquistare i principali beni aziendali dell’alienante, che questi peraltro non è disposto a
trasferire se non unitamente ai restanti elementi dell’azienda; oppure, ancora, che chi acquisti l’azienda
l’affitti subito (magari allo stesso alienante); oppure, infine, che l’impresa dell’alienante fosse stata
esercitata in virtù di particolari concessioni o autorizzazioni della pubblica amministrazione (art.2084 c.c.),
che l’acquirente non è riuscito ad ottenere a proprio nome.>>, così PETTITI, op.cit., 196 s.
73
PETTITI, op.cit.,197.
74
BUONOCORE, Il <<nuovo>> testo cit., 316 ss.. Altri ritiene ed avverte però che << … non
sempre il termine azienda è legislativamente utilizzato nel significato fissato dall’art.2555 ai fini della
disciplina del suo trasferimento (ed oggi anche nell’ambito della normativa codicistica sul trasferimento,
una specifica e più ampia nozione è stata introdotta per quanto riguarda la disciplina dei rapporti di lavoro:
art.2112, nel testo introdotto dal d.lgs. 2-2-2001, n.18). Perciò, anche per la nozione di azienda vale
l’avvertenza che le definizioni legislative della realtà hanno carattere relativo e non assoluto, in quanto
funzionali alla soluzione di determinati concreti problemi.>> (CAMPOBASSO, Diritto cit., 139 s., nota 2,
richiamando P.SPADA, Lezioni sull’azienda, in AA.VV., L’impresa, Milano, 1985).
36
Senza sottacere il dato di fondo, il fatto cioè che non esiste un luogo giuridico deputato ad
affermare univocamente, in senso vincolante, per tutti i soggetti coinvolti o toccati da una simile
vicenda, quale ne sia la veridica qualificazione, credo che la risposta risieda nell’ampiezza della
nozione che si intende eleggere di trasferimento d’azienda, fermo il fatto che occorre comunque
fare i conti con la richiamata assai diffusa giurisprudenza che la descrive, - pur senza piena
consapevolezza di ogni risvolto - come ogni ipotesi in cui si avveri la sostituzione di un
imprenditore all’altro nell’esercizio dell’impresa, come conseguenza diretta della volontà delle parti
o di un fatto da esse espressamente previsto.
In tal senso ci si può e ci si deve forse spingere allora fino a recepire nella nozione tutte le
esperienze disciplinate dall’art.2112 c.c. (ferma, se del caso, la concorrente ovvero prevalente
applicazione di altre specifiche norme che regolamentano l’operazione, come ad esempio può
accadere per la fusione, esplicitamente richiamata dal legislatore) 75.
- IV.3
Tratto saliente della fattispecie di cui all’art.2112 comma 5 del codice civile è anche che
essa figura come collante di esperienze che si collocano in luoghi e su piani diversi, riguardando il
profilo oggettivo, come pure, per certi versi, quello soggettivo dell’esercizio dell’attività di impresa.
Quanto già detto a proposito della rilevanza della sostituzione del soggetto nella titolarità
dell’impresa è cioè questione problematicamente attuale anche in tutte quelle operazioni societarie
straordinarie cui l’art. 2112 c.c. sembra implicitamente far riferimento: non è solo l’esplicito
richiamo alla fusione che pone il quesito circa l’applicabilità delle norme ai casi di scissione
76
, ai
conferimenti d’azienda 77, alle trasformazioni da e in comunione d’azienda 78, a tutti quei casi in cui
75
P.FERRO LUZZI, Riflessioni sulla riforma; I: la società per azioni come organizzazione del
finanziamento di impresa, in Riv.dir.comm., 2006, I, 673 ss.: <<Io ritengo … che la Riforma si innesti nelle
linee portanti del codice del 1942, completando e perfezionando il disegno di base di tale codice con il
collocare l’impresa al centro del fenomeno societario.>> (ivi, p.674). Su tale premessa, qualificare la
società come “organizzazione dell’esercizio, della responsabilità e del finanziamento” (ivi, 678) pone
l’esigenza di raccordare la lettura proposta del fenomeno societario alla disciplina dell’azienda (basti pensare
alla rilevanza attribuita all’organizzazione), restando l’impresa, nella sua prospettazione di antecedente di
fatto di ogni fenomeno, sia individuale che societario, un auspicato approdo in punto di ricostruzione di una
disciplina coerente e unitaria. V. anche B.LIBONATI, Introduzione a AA.VV, Diritto delle società (manuale
breve), Milano 2004, ivi, XXIX ss.
76
A.P ICCIAU, Scissione di società e trasferimento d’azienda, in Riv. Soc., 1995,1189 ss.; ID., La
scissione come negozio produttivo di effetti traslativi e la fattispecie del trasferimento d’azienda, in Riv.soc.,
1999, 1413 ss.; G.SCOGNAMIGLIO, Sulla circolazione dell’azienda per scissione, in Riv.dir.comm., 2001, I,
443 ss.; ID., Le scissioni, in Tratt. Soc. Az., diretto da G.E.Colombo – G.Portale, vol.VII, t. 2, 2004; G.E.
Colombo, Scissione e trasferimento d’azienda, A) Introduzione, in Studium Oeconomiae, 372; L.G.PICONE,
Commento all’art. 2506-bis c.c., in Commentario alla riforma delle società, diretto da P.Marchetti L.A.Bianchi – F.Ghezzi – M.Notari, Milano, 2005.
77
Evidenzia P.SPADA, Articolazione del patrimonio da destinazione iscritta, in RDS, 2007, 19,
come il conferimento in società (sui relativi profili, M.CASSOTTANA, Rappresentazioni e garanzie nei
37
’’ … la destinazione (ndr: patrimoniale) sia, per legge, atteggiata come attribuzione, postulandosi
un <<ente allo scopo>> (la locuzione è consapevolmente tautologica) al quale la cosa destinata è
attribuita’’
79
. Ed invero, il superamento dell’idea che la società sia strumento per l’esercizio
dell’impresa soltanto in forma collettiva
80
pone l’esigenza di una riconsiderazione unitaria degli
strumenti e delle regole che realizzano il subentro di un soggetto ad un altro nella titolarità
dell’attività d’impresa, anche con riguardo a quella formalmente in capo alla società 81.
Ciononostante, se la nozione economicistica annovera la cessione di una qualificata
partecipazione sociale quale strumento equipollente al trasferimento d’azienda, giuridicamente, tale
assimilazione, pur realizzata dalla richiamata giurisprudenza che applica a tali operazioni l’art.2557
c.c., si dimostra problematica: e si è visto come essa implichi sviluppi e corollari non recepiti e
difficilmente recepibili.
Il subentro di un socio/dominus ad un altro in una società non determina conseguenze
immediate sulle formali relazioni giuridico-patrimoniali tra il soggetto-società e il patrimonio che
alla medesima fa capo (che si risolvano o meno in un rapporto di titolarità di un’azienda). E’ vero
che vieppiù oggi, come avallano taluni interventi chiave della riforma, la soggettività della società si
scompone in regole di organizzazione di funzioni, articolate secondo pesi e contrappesi, cui occorre
dare concreta portata attraverso la disciplina
82
; così gli atti della società, che siano riconducibili a
direzione e coordinamento di altra società o ente, sono di certo imputabili alla società che li ha posti
in essere e sono espressione dell’attività della stessa; ma connotano e sono essenza parimenti
dell’attività di direzione e coordinamento (come indica il riconoscimento della responsabilità ai
sensi dell’art. 2497 comma 1
83
, azionabile solo se il socio o il creditore sociale non sono stati
conferimenti d’azienda in società per azioni, Milano, 2006) << … pur essendo, come comportamento
empiricamente osservato, una destinazione di beni a servizio di un’iniziativa collettiva – ma oggi anche
individuale – è trattato come una attribuzione (per esempio ai fini della trascrizione immobiliare.>>.
78
P.SPADA, nota precedente. Prosegue l’A.: << … lo stesso può dirsi per certe trasformazioni
eterogeneee (da e in comunione d’azienda), che a differenza delle altre comportano che una destinazione sia
impressa o soppressa.>>. V., del medesimo Autore, Dalla trasformazione delle società alla trasformazione
degli enti ed oltre, in Studi in onore di V.Buonocore, III, Milano, 2005, 3879 ss. ed ivi spec. 3893-3895. V.
ancora M.MALTONI E.TRADII, La trasformazione eterogenea da società di capitali in comunione di azienda
e viceversa, in Notariato, 2004, 148 ss..
79
P.SPADA, Articolazione cit, loc.cit..
80
P.SPADA, Diritto Commerciale cit., 85 ss, spec. 88.. Sulla centralità dell’impresa nella riforma,
supra, nota 75 e v. anche, M.ROSSI, Responsabilità ed organizzazione dell’esercizio dell’impresa di gruppo,
in Riv.dir.comm., 2007, 627 ss..
81
P.FERRO-LUZZI, Riflessioni cit., 677 ss..
82
V. ad esempio G.FERRI JR, Le nuove trasformazioni omogenee, in Scritti in onore di Vincenzo
Buonocore, vol. III, Diritto commerciale. Società, t.I, Milano, 2005, 2497 ss, spec. 2501, per il quale il
soggetto-società si risolve in disciplina dell’imputazione di posizioni giuridiche e rapporti giuridici.
83
<< … per attività di direzione … >> si è detto << … deve intendersi l’esercizio di una pluralità
sistematica e costante di atti di indirizzo idonei ad incidere sulle decisioni gestorie dell’impresa, cioè sulle
scelte strategiche ed operative di carattere finanziario, industriale, commerciale che attengono alla
conduzione degli affari sociali.>>, che non implica necessariamente completa eterogestione e che (come
38
soddisfatti dalla società soggetta all’attività di direzione e coordinamento, come dispone il comma
3 del medesimo articolo). Si pensi anche alla responsabilità solidale di amministratori e soci per
decisioni o autorizzazioni date intenzionalmente in relazione al compimento di atti dannosi per la
società, i soci o i terzi, di cui al comma 7 dell’art.2476 c.c. 84; ovvero anche alle norme sul patto di
famiglia 85, che attestano ulteriormente che il Legislatore attribuisce bene una qualche rilevanza alla
relazione tra titolarità di partecipazioni societarie ed esercizio dell’impresa da parte del socio
attraverso lo strumento societario 86.
Queste significative modifiche non giustificano tuttavia a mio avviso di considerare che il
semplice avvicendamento dei soci nella detenzione e gestione di una partecipazione qualificata,
possa valere a configurare quella sostituzione di un imprenditore all’altro nell’esercizio
ogni attività: ndr) è da accertare in fatto (P.MONTALENTI, Direzione e coordinamento nei gruppi societari:
princìpi e problemi, in Riv.soc., 2007, 321 s.). Sulla natura della responsabilità della capogruppo,
S.GIOVANNINI, La responsabilità per attività di direzione e coordinamento nei gruppi di società, Milano,
2007, passim, ma spec. 99 ss.; e poi naturalmente GALGANO-GENGHINI, Il nuovo diritto societario cit., 2004,
186 ss.; M.MAGGIOLO, L’azione di danno contro società o ente capogruppo, in Giur.comm., 2006, I, 176;
P.DAL SOGLIO, Direzione e coordinamento di società - Art.2497, in Il nuovo diritto delle società, a cura di
A.Maffei Alberti, III, Padova 2005, 2337 ss.; G.SCOGNAMIGLIO, Poteri e doveri degli amministratori nei
gruppi di società dopo la riforma del 2003, in ID (a cura di) , Profili e problemi cit., 189 ss., ivi, 195.; ID.,
Danno sociale e azione individuale nella disciplina della responsabilità da direzione e coordinamento, in Il
nuovo diritto delle società, Liber amicorum Gian Franco Campobasso, 3, Torino, 2007; P.ABBADESSA, La
responsabilità della capogruppo cit., 282 ss., spec. n.10 a p.283, dove ulteriori citazioni; R.SACCHI, La
responsabilità dell’impresa e il controllo dei rischi, in AA.VV., La responsabilità dell’impresa, Convegno
per i trent’anni di giurisprudenza commerciale, Bologna, 8-9 ottobre 2004, Milano, 2006,151 ss.; V. altresì
P.MARCHETTI, Sul controllo e sui poteri della controllante, in AA.VV., I gruppi di società. Atti del Convegno
internazionale di studi. Venezia, 16-17-18 novembre 1995, Milano, 1996, vol II, 1557-1558; G.PORTALE,
Osservazioni sullo schema di decreto delegato (approvato dal governo in data 29-30 settembre 2002) in
tema di riforma della società di capitali, in Riv.dir.priv., 2002, 717; A.GAMBINO, Responsabilità
amministrativa nei gruppi societari, in Giur.comm., 1993, I, 848; B.LIBONATI, Responsabilità nel e del
gruppo (responsabilità della capogruppo, degli amministratori, della varie società), in AA.VV., I gruppi di
società. Atti cit., vol.II, 1510 ss..
84
In tema M.RESCIGNO, Eterogestione e responsabilità nella riforma fra aperure ed incertezze:
una prima riflessione, in Soc., 2003, 332; V.MELI, La responsabilità dei soci nella s.r.l., in Il nuovo diritto
delle società. Liber Amicorum Gian Franco Campobasso, cit., vol. 3, Torino, 2007, 667 ss.;
F.PASQUARIELLO, Sub art.2476, in Il nuovo diritto delle società, a cura di Maffei Alberti, Padova, 2005,
III,1978; F.PARRELLA, Sub art. 2476, in La riforma delle società, a cura di Sandulli e Santoro, Torino, 2003,
132 s.; S. DI AMATO, Le azioni di responsabilità nella nuova disciplina della società a responsabilità
limitata, in Giur.Comm., 2003, I, 303; G.MOLLO, La responsabilità per danni nella s.r.l., in Giur.Comm.,
2008, I, 823 ss..
85
G.OPPO, Patto di famiglia e <<diritti della famiglia>>, in Riv.dir.civ., 2006, 439 ss., ed ivi 443;
P.VITUCCI, Ipotesi sul patto di famiglia, in Riv.dir.civ., 2006, 447; C.BITONTO, Patto di famiglia: un nuovo
strumento per la trasmissione dei beni d’impresa, in Soc., 2006, 797 ss.; A.MASCHERONI, Divieto dei patti
successori ed attualità degli interessi tutelati, in Fondazione italiana per il notariato, Patti di Famiglia per
l’impresa, Milano, 2006, 28; G.DE ROSA, Il patto di famiglia, presupposti soggettivi, oggettivi e requisiti
formali, in Fondazione cit., 177 ss..
86
Ante riforma v. F.CORSI, Lezioni di diritto dell’impresa, Milano, 1992, 166 e ora in Diritto
dell’impresa, 104 ss.; E.GLIOZZI, L’imprenditore commerciale. Saggio sui limiti del formalismo giuridico,
Bologna, 1998, 133 ss.; M.STELLA RICHTER, “Trasferimento del controllo” e rapporti tra soci, Milano,
1996, 252 ss..
39
dell’impresa (facente capo alla società), richiesta dalla legge quale presupposto per l’applicazione
delle disposizioni di cui all’art. 2557 c.c., al fine di scongiurare le conseguenze di una possibile
concorrenza differenziale nefasta per il socio subentrante e per la società.
Occorrerebbe, in tale prospettiva, poter sostenere che l’attività d’impresa imputabile alla
società vada allora riferita tout court anche al socio: ma a parte la difficoltà e l’opinabilità
dell’assunto, ribadisco quanto già evidenziato in chiusura del precedente § III e cioè che non si può
sottacere il fatto che a subire le conseguenze dell’eventuale attività concorrenziale del cedente è in
primo luogo la società.
Aggiungo che ingresso e fuoriuscita di un socio dalla compagine sociale sono vicende che
evidenziano, nella disciplina della responsabilità del socio, gli elementi tipologici delle diverse
forme societarie. Nessuno ritiene così ad esempio di poter gravare chi ceda un pacchetto azionario,
beninteso in quanto ex socio, dei vincoli di cui all’art. 2560 c.c., poiché è chiaro che così facendo si
contraddirebbe il codice essenziale di cui all’art. 2325 comma 1. Dunque, l’asserita sostituzione,
scelta con un certo arbitrio la via dell’interpretazione analogica, risulterebbe funzionale soltanto
all’affermazione del divieto di concorrenza, senza che nemmeno si possa fondare l’assunto su
quell’apertura che l’art.2112 c.c. ha realizzato nel sistema 87.
Forse, però, le novità qui commentate aprono comunque ad una possibile diversa
impostazione dei problemi sul tappeto.
- IV.4
La recente riforma ha inciso significativamente sul quadro normativo sia del divieto di
concorrenza a carico degli amministratori, sia delle operazioni in conflitto di interesse.
Sotto il profilo sistemico, alla più articolata e ampliata regolamentazione riguardante le
società per azioni (infra sub a) si giustappone per le società a responsabilità limitata la mancanza di
87
Secondo CASS., SEZ. LAV., 18-04-2007, n. 9251, <<Il trasferimento del pacchetto azionario di
maggioranza di una società di capitali non integra gli estremi del trasferimento di azienda ai sensi dell’art.
2112 c.c., ma comporta solo una modificazione degli assetti azionari interni della persona giuridica, la
quale, pertanto, conserva la sua soggettività esterna e, in particolare, la sua responsabilità nei confronti dei
propri dipendenti per le obbligazioni assunte.>>. Si legge in motivazione che << … Se è vero, infatti, che
la nozione di trasferimento di azienda va oggi riferita - come osserva la ricorrente - ad ogni
cambiamento della titolarità dell'azienda stessa, quale che sia lo strumento giuridico mediante il quale
si realizza la sostituzione dall'uno all'altro imprenditore, è altrettanto vero che nella fattispecie, quale
ricostruita dalla sentenza impugnata in termini incontestabili (nè pervero contestati dalla società), è
carente il presupposto stesso di tale istituto. Questa Corte ha affermato infatti in numerose pronunce
(da ultimo, Cass. 15.10.1991 n. 10829; 26.11.1994 n. 10068) - e qui ribadisce in assenza di censure di
carattere specifico da parte della ricorrente - che il trasferimento del pacchetto azionario di
maggioranza di controllo di una società non incide sull’autonoma soggettività giuridica delle società
interessate e non vale ad integrare il passaggio della titolarità dell'azienda dall'una all'altra società ai
sensi dell'art. 2112 cod.civ., non determinando, in definitiva, la sostituzione di un soggetto giuridico ad un
altro nella titolarità dei rapporti pregressi.>>.
40
un espresso divieto di concorrenza, oltre che una più circoscritta disciplina delle operazioni in
conflitto di interesse (infra sub b), mentre è rimasta intonsa, forse anche in ragione dei limiti della
delega, la disciplina di cui all’art.2301 c.c. (infra sub b):
- a.
Il divieto dell’art.2390 c.c. è ora di più ampia portata, negandosi altresì all’amministratore,
che non possa giovarsi di relativa autorizzazione assembleare, la coeva assunzione di incarichi
gestionali, sia come amministratore che direttore generale, in favore di società in concorrenza..
Questa modifica, che recepisce un già affermato orientamento
88
, indirizza ad accreditare
una conclusione ulteriore, in vero precedentemente quanto meno dubbia. Mi riferisco all’estensione
del divieto all’amministratore di fatto, a suo tempo contestata assumendosi che, in assenza di
formale incarico, non potrebbe prospettarsi sussistente quel rapporto fiduciario che il divieto
intenderebbe proteggere 89.
Posta ora la rilevanza della funzione gestionale espletata in altra compagine, che la stessa
risulti formalmente, ovvero soltanto in fatto, non sembra distinzione che possa giustificare alcun
distinguo al fine di sancire o meno la vigenza del divieto, escludendosi l’amministratore (direttore)
di fatto dal novero dei destinatari del 2390 c.c.; infatti, per entrambe le ipotesi sussiste una
medesima esigenza di protezione dell’impresa facente capo alla società.
Non
mi
riferisco
beninteso
soltanto
alla
sussistenza
del
divieto
a
carico
dell’amministratore, formalmente nominato, in relazione a funzioni gestionale da questi di fatto
espletate a vantaggio di società concorrente, poiché in tal caso è chiaro che potrebbe comunque
applicarsi la norma di protezione; mi riferisco anche alla vigenza del divieto a carico
dell’amministratore di fatto, in relazione al coevo espletamento di incarichi di gestione formalmente
o di fatto assunti in altra compagine. Non v’è infatti motivo di privare la società, che subisca gli
effetti della nociva concorrenza dallo stesso espletata, della tutela risarcitoria (escluso naturalmente
il rimedio della revoca) 90.
In secondo luogo, come è noto l’art. 2391 c.c. introduce la norma per cui <<
L’amministratore risponde altresì dei danni che siano derivati alla società dalla utilizzazione a
88
V.CALANDRA BONAURA, Potere di gestione e potere di rappresentanza degli amministratori, in
Trattato Colombo-Portale, IV, 1999, 217 s.; v. ora M.L. MONTAGNANI, Articolo 2390 – Divieto di
concorrenza, in Commentario alla riforma delle società, diretto da P.Marchetti cit., 400 s..
89
M.S.SPOLIDORO, Il divieto di concorrenza per gli amministratori di società di capitali, in
Riv.soc., 1983, 1370; sulla ratio del divieto, infra, 43 (testo).
90
come se lo svolgimento di funzioni gestionali di fatto fosse una condizione giuridica riprovevole
e non invece una realtà da fare emergere e disciplinare in tutte le sue implicazioni. In tal senso già
F.GUERRERA, Gestione <<di fatto>> e funzione amministrativa nelle società di capitali, in Riv.dir.comm.,
1999, I, 177 s..
41
vantaggio proprio o di terzi di dati, notizie o opportunità di affari appresi nell’esercizio del suo
incarico.>>.
Nei primi commenti a questa novella, si evidenzia come essa possa valere a recepire nel
nostro ordinamento l’esperienza giurisprudenziale della corporate opportunity doctrine statunitense
91
; ma mi sembra importante evidenziare che tale prescrizione orienti altresì verso una rilevante
modifica della portata normativa delle disposizioni di cui all’art.2390 c.c., sebbene lo studio delle
due problematiche – quella del divieto di concorrenza e quella delle operazioni in conflitto – sia
stato tradizionalmente impostato come avente oggetti ed ambiti distinti, non suscettibili di reciproca
significativa influenza 92.
Si rilevava, in costanza della previgente disciplina, come, a meno di specifica previsione
statutaria (non essendo sufficiente nemmeno una delibera assembleare) il divieto di concorrenza
non esplicasse vigore successivamente all’estinzione dell’incarico di amministrazione 93.
Si rimarcava nondimeno il dubbio circa la vigenza di una certa ultrattività del divieto,
derivante << … da un obbligo di buona fede, quanto meno nel senso di consentire un
prolungamento degli obblighi di riservatezza o nel senso di «convertire » il titolo della
responsabilità — nel caso in cui l'amministratore cessato compia atti rientranti nella fattispecie
della concorrenza sleale — da extra-contrattuale a contrattuale (come si sostiene avvenga per i
<<doveri di protezione ») … >> 94.
91
M.VENTORUZZO, Articolo 2391 – Interessi degli amministratori, in Commentario alla riforma
delle società, diretto da P.Marchetti cit., 490 ss.. Riferisce l’A. (ivi, 492 ss.) che la tutela della società
presuppone l’accertamento della ricorrenza di tre elementi chiave. E’necessario che l’operazione sia in linea
con l’attività effettivamente svolta dalla società al momento nel quale. E’ necessario che la società sia in
grado di sfruttare la business opportunity senza pregiudicare il proprio equilibrio patrimoniale. E’ necessaria
infine l’inerzia dell’amministrazione in relazione all’opportunità segnalata dall’amministratore interessato.
Su taluni profili di carattere generale del conflitto di interessi v. Il conflitto di interessi nei rapporti di
gestione e rappresentanza (atti del convegno, Pavia, 13-14 ottobre 2006), a cura di C.Granelli e G.Stella,
Milano, 2007.
92
Sul rapporto tra le norme di cui agli artt.2390 e 2391 del codice civile, v. incisivamente
V.CALANDRA BONAURA, Potere cit., 217: <<In realtà, l’art.2391 c.c. regola il conflitto di interessi, di
natura anche non concorrenziale, che si manifesta in concreto nella fase deliberativa: come tale esso si
applica anche all’amministratore che sia stato autorizzato dall’assemblea all’esercizio di un’attività
concorrente. Il divieto di concorrenza disciplina invece una situazione di conflitto potenziale allo scopo di
evitare che l’amministratore possa essere indotto a tenere comportamenti gestionali contrastanti con
l’interesse della società, anche al di fuori dell’attività deliberativa e del possibile capo di applicazione
dell’art.2391.>>
93
M.S.SPOLIDORO, op.cit, 1370.
94
M.S.SPOLIDORO, op.loc.cit., nt. 201, che richiama F.BENATTI, in Osservazioni in tema di doveri
dì protezione, in Riv. Trim. dir. proc. civ., 1960, 1342 ss. e C.CASTRONOVO, Obblighi di protezione e tutela
del terzo, in Ius, 1976, 125; più di recente A. DI MAJO, La protezione del terzo tra contratto e torto, in
Europa e dir.priv., 2000, 1: <<Si è ritenuto … che il dogma della <<relatività>> del contratto, se non è
idoneo ad incidere sulla situazione dei terzi, è tuttavia un fatto o <<valore>> che di per sé anche i terzi
sono tenuti a considerare, onde la possibilità che il terzo sia ritenuto responsabile per mancato rispetto del
contratto tra altri corrente.>> (5 s.) sì che è da segnalare << … l’emergere di nuove forme o atteggiamenti
42
Mi sembra ora che la sanzione per l’utilizzazione a vantaggio proprio o di terzi di dati,
notizie, o opportunità di affari appresi nell’esercizio dell’incarico, debba proiettarsi anche
sull’attività dell’amministratore successiva all’estinzione dell’incarico, riguardando non solo, ma
con relativa sicurezza, anche un’eventuale attività di impresa in concorrenza da questi avviata e
svolta giovandosi delle cognizioni (differenziali rispetto ad ogni altro concorrente
95
) acquisite in
costanza del mandato.
Il riferimento lessicale all’utilizzo a proprio vantaggio di dati, notizie (appresi
nell’esercizio dell’incarico), e l’utilizzo della congiunzione disgiuntiva - dati, notizie o opportunità
di affari: a dire cioè che non necessariamente dati e notizie devono esser forieri di opportunità di
affari contraddistinte dall’elemento della novità rispetto all’impresa sociale – mi sembrano elementi
sulla base dei quali non sia possibile mandare esente da obblighi risarcitori l’amministratore che di
quei dati e notizie realizzi l’utilizzo più gravemente rilevante, quello anticoncorrenziale, non
essendo perspicuo distinguere a seconda che esso si determini in costanza ovvero di seguito alla
cessazione delle funzioni gestorie prestate in favore della società.
La sussistenza della sanzione è coerente conseguenza della vigenza del divieto, che mi
sembra allora opportuno tradurre (altresì) in un ampliamento del tenore normativo di cui al
precedente art.2390 c.c..
Che l’affermazione di una vis espansiva di tale prescrizione, a regolare anche l’attività
successiva alla cessazione delle funzioni gestionali espletate, possa risultare incoerente con la
individuazione della ratio del divieto – inteso come finalizzato a prevenire un potenziale conflitto di
interessi nel perseguimento dell’interesse sociale, perseguimento che presuppone la costanza del
di responsabilità connessi prevalentemente a situazioni <<prossime>> a rapporti contrattuali e nelle quali
figurano soggetti-terzi la cui posizione è <<differenziata>> rispetto al quisque de populo … >> (ivi,11).
Sulla sopravvivenza dell'obbligo di non divulgare notizie attinenti all'organizzazione ed ai metodi e sul
permanere di un obbligo di riservatezza, successivamente alla cessazione del rapporto, F.SANTORO
PASSARELLI, Nozioni di diritto del lavoro, Napoli, 1991, 197 ss., e L.MENGONI, II contratto di lavoro nel
diritto italiano, in Il contratto di lavoro nei Paesi membri della CECA, Milano, 1965, 478: il primo illustre
A., richiamata la tutela penale di cui agli artt.622 e 623 c.p., traccia una distinzione tra divieto di concorrenza
e abuso di notizie, sul presupposto che un’attività in concorrenza da parte del lavoratore (in costanza di
rapporto o per estensione temporale pattizia del divieto) non debba necessariamente connotarsi come sleale.
A dire cioè che l’abuso, ove fondi un’attività concorrente, si traduce invece in concorrenza sleale, salva
l’eventuale rilevanza della fattispecie a fini penali penale; analogamente G.FERRI, Le Società cit., a proposito
dell’art.2301 (<< … sicuramente è atto di concorrenza sleale quello di chi si avvale delle notizie attinte in
funzione della sua posizione o del suo ufficio per danneggiare l’altrui azienda.>>, così p.193). Ancor più
interessante e attuale la posizione di Mengoni (ivi), che fonda l’assunto sul fatto che << … è una
caratteristica del principio di correttezza stabilito dall’art.1175 c.c. quella di determinare in certi casi la
sopravvivenza del rapporto obbligatorio, in funzione della tutela di un residuo interesse di protezione di una
delle parti.>>.
95
Sulla possibile rilevanza della potenziale pericolosità della concorrenza dell’amministratore al
fine di individuare la ratio dell’art.2390 c.c., di recente (ma prima della riforma), criticamente,
V.CALANDRA BONAURA, Potere cit., 215 s. e già diffusamente M.S.SPOLIDORO, op.cit. , p.1324 ss..
43
rapporto, ovvero nella tutela del rapporto di fiducia tra società e amministratore, fiducia irrilevante
cessato che sia il rapporto - non sembra questione che possa influenzare l’indagine sul punto.
L’individuazione della ratio, cui in via deduttiva si legano tali assunti, segue infatti, e non precede,
la ricognizione delle norme.
- b.
La proposta lettura delle nuove disposizioni concernenti il divieto di concorrenza può esser
trasposta in ambito s.n.c. / s.r.l.?
Per quanto concerne il divieto di cui all’art.2301 c.c., la Cassazione, sulla scorta
dell’affermato orientamento
96
per cui l'attività concorrenziale del socio di una società in nome
collettivo può costituire violazione del divieto di concorrenza di cui all'art. 2301 cod. civ. anche
quando si concretizza nella costituzione, da parte del socio stesso, di una società a responsabilità
limitata con identico oggetto, della quale egli assuma la qualità di amministratore, ha precisato
recentissimamente che a tal fine lo svolgimento di funzioni amministrative nella società di capitali
concorrente può altresì risultare di fatto, non essendo necessario l’accertamento di un formale
incarico 97.
Nella medesima sentenza, come in altre meno significative, in quanto precedenti la riforma
98
, la cessazione del rapporto limitatamente ad un socio sembra invece rappresentare ancora il
momento che segna il passaggio dalla tutela ex art.2301 c.c. a quella ex art.2598 c.c..
L’impostazione fonda sul convincimento che <<Il divieto di concorrenza mira a impedire
al socio l’esercizio di un’attività, che altrimenti sarebbe perfettamente lecita >> mentre << …
sicuramente è atto di concorrenza sleale quello di chi si avvale delle notizie attinte in funzione della
sua posizione o del suo ufficio per danneggiare l’altrui azienda.>> 99.
Ma v’è uno iato tra questa impostazione e l’esperienza applicativa, nella quale la difficile
distinzione tra estrinsecazione delle capacità imprenditoriali dell’ex socio e abuso delle precedenti
esperienze maturate in ambito societario, concreta espressione dell’animus nocendi, che è onere
della società dimostrare, si risolve spesso per quest’ultima in una negata tutela nei confronti dell’ex
socio; non sorprende allora che, sebbene in altro contesto, l’ultimo comma di cui all’art. 2391 c.c.
sopravvenga a sovvertire tale impostazione, riconducendo ad una violazione di obblighi gestionali,
e dunque a disciplinare come responsabilità contrattuale, l’utilizzo di dati e notizie appresi in
ragione di funzioni amministrative svolte in senso ad una s.p.a., vuoi che tale utilizzo sia coevo allo
svolgimento dell’incarico, vuoi che sia ad esso successivo.
96
Cass., 10 gennaio 1977, n.73.
Cass., sez. I, 23-05-2008, n. 13424.
98
Cass., sez. I, 17-04-2003, n. 6169 cit.
99
G.FERRI , Le società, in Tratt.Dir.civ. Vassalli, X.3, II ed., Torino, 1985, 193.
97
44
Non vedo argomenti a sostenere che la proposta innovata impostazione sia o debba esser
letta come specifica della sola s.p.a.
Quanto al silenzio del Legislatore a proposito del divieto di concorrenza nelle s.r.l.,
rilevato che i modelli di riferimento, la s.p.a. come la s.n.c., si connotano per la vigenza di
specifiche dettagliate regolamentazioni, il quesito non è tanto se – come a buon motivo si ritiene 100
- la lacuna possa esser colmata, in via analogica, facendo riferimento ad esse riferimento.
Il problema si pone con riguardo alla disciplina delle opportunità di affari di cui all’ultimo
capoverso dell’art.2391 c.c., poiché essa non è reiterata all’art.2475-ter
101
, che disciplina
autonomamente per esteso il conflitto di interessi degli amministratori di s.r.l..
A tal riguardo si è affermata una possibile lettura diversificata tra le due situazione prese in
esame, ritenendosi che, << … se per entrambi i tipi è innegabile il carattere illecito della
produzione di un danno alla società in conseguenza dell’interferenza di un interesse personale
dell’amministratore e se quindi analoga è necessariamente sotto questo profilo la concreta
conseguenza applicativa … >>
102
, sulla base della differente vocazione tipologica che la
100
C.ANGELICI, Note sulla responsabilità degli amministratori di società a responsabilità limitata,
in Riv.soc., 2007, 1217 ss.: il silenzio del Legislatore in ordine al codice di responsabilità degli
amministratori di s.r.l. può favorire l’applicazione analogica di differenti norme, da rinvenire primariamente
nella disciplina delle società di persone, non potendosi però escludere il ricorso alla disciplina della s.p.a., a
seconda del modello di s.r.l. in concreto utilizzato, a seconda cioè che i soci assecondino o meno la duttilità
del tipo a costituire strumento ideale per l’esercizio dell’impresa da parte di soci-manager. Critico
O.CAGNASSO, Gestione attribuita ai soci della società a responsabilità limitata e ruolo degli organi di
amministrazione e controllo, in RDS, 2008, 454 ss, ivi 458 s., sulla base della considerazione che la scelta
del tipo s.p.a. non implica necessariamente che l’impresa esercitata si connoti sotto il profilo dimensionale;
viceversa i principi fondamentali della governance della società per azioni postulano un adattamento ai
possibili differenti contesti operativi (v.2403 c.c.), così che lo spettro delle possibili soluzioni offerte in tema
di s.p.a. ben si adatterebbe a sopperire alle lacune del dettato legislativo in materia di amministrazione di
s.r.l.. Altri ricorda che <<L’esistenza del divieto in esame, anche per gli amministratori della s.r.l. può …
farsi derivare dalla natura stessa della funzione amministrativa che costituisce sempre, per chi ne sia
investito, sia egli un socio o un terzo, un dovere connesso all’esercizio degli speciali poteri propri di ogni
attività giuridica idonea a determinare effetti in una sfera di interessi estranei, in tutto o in parte a quella
dell’agente.>> (così M.M.GAETA, Il divieto di concorrenza degli amministratori di s.r.l., in Riv.dir.impr.,
2007, 592 ss., ivi 597 - a richiamo di MIGNOLI-NOBILI, Amministratori (di società), in Enc.dir., II, Milano,
1958 - nota (critica) a TRIB.NOCERA INFERIORE, 24 maggio 2006, ord., ivi, 591 ss., così massimata: <<La
violazione del divieto di concorrenza da parte dell’amministratore di s.r.l. non è ragione di revoca cautelare
dall’incarico gestorio, in quanto la disciplina della s.r.l. non richiama espressamente l’art.2390 c.c. del
quale, nel silenzio della legge, non è possibile l’applicazione analogica.>> (con fine dotto latinetto si
afferma nel provvedimento <<quem lex non dixit non voluit>> - proprio così).
101
In tal senso F.OLIVERO, Gli amministratori di s.r.l.. L’autonomia statutaria, Torino, 2005, 177;
possibilista M.VENTORUZZO, Art.2475-ter, in Società a resposanbilità limitata, a cura di L.A.Bianchi,
Commentario Marchetti cit., Milano, 2008, 601, testo e nota 6, ricordando come il dovere di dare la
precedenza alla società per lo sfruttamento delle opportunità d’affari nelle quali l’amministratore dovesse
incorrere, potrebbe – almeno in alcuni casi – discendere dai generali doveri di correttezza
dell’amministratore e dunque essere ravvisabile anche nella s.r.l.. Come ricordato, supra, 45 (testo),
M.S.SPOLIDORO, op.loc.cit., nota 201, riconduce invece tale dovere all’obbligo di eseguire il mandato
secondo buona fede.
102
C.ANGELICI, Note cit., 1227, nt.21.
45
regolamentazione amministrativa riflette << … diviene possibile pensare, anche in termini di
<<doverosità>> dei comportamenti e non soltanto sul piano delle <<sanzioni>>, che non sia di
per sé vietato avvalersi di opportunità sociali, ma solo quando ne deriva un danno per la società
medesima>> (leggasi s.r.l.).
Ove però fosse possibile avallare le considerazioni qui in precedenza espresse – e cioè che
quegli obblighi risarcitori, posti nell’ambito della regolamentazione del conflitto di interessi degli
amministratori di s.p.a., assumano altresì una specifica autonoma portata a completamento della
disciplina sul divieto di concorrenza, potendo trovare dunque in tale divieto quella norma primaria
che manca, in generale, nel disposto dell’art.2391 ultimo cpv., in quanto norma meramente
sanzionatoria - l’inquadramento normativo, per la s.p.a., come per le altre tipologie per le quali in
quei casi non sono espressamente sancite tali sanzioni risarcitorie, risulterebbe molto più agevole
103
.
- IV.5
La lettura offerta delle disposizioni sul divieto di concorrenza di cui agli artt.2390 e 2391
(ultimo cpv.) è foriera di ulteriori sviluppi.
Infatti, affermata la vigenza delle due norme sopra descritte – i.e. l’estensione del divieto
di concorrenza all’ amministratore / direttore di fatto e la sua vigenza ulteriore, anche per il periodo
successivo alla fuoriuscita dell’amministratore dalla compagine societaria – deve postularsi in
coerenza l’affermazione aggiuntiva che sia contra legem che un amministratore / direttore di fatto
(quanto meno di s.p.a.) utilizzi dati e notizie appresi nell’espletamento di funzioni gestionali,
coevamente o successivamente alle stesse, per avviare un’attività d’impresa in concorrenza.
Ma se così è, è vero allora altresì che, se e quando sia plausibile il riconoscere e qualificare
l’attività del socio/dominus come attività gestionale di fatto della società, essa attività per ciò stesso
subisca la vis attractiva della disciplina posta dal legislatore per la regolamentazione delle funzioni
amministrative, restando allora il soggetto in questione assoggettato al divieto di utilizzare dati e
notizie appresi nell’espletamento delle funzioni gestionali; non potendo dunque in concreto
103
C.ANGELICI, op.cit., 1226 s,, ritiene le conclusioni sopra richiamate, poiché, non potendosi
fondare le sanzioni di cui all’art.2391 ultimo comma, sull’istituto del trust, verrebbe meno altresì la
possibilità di giovarsi del risultato più appagante nei sistemi di common law, il disgorgement (remedy e non
punishment, "the act of giving up something (such as profits illegally obtained) on demand or by legal
compulsion" (BLACK'S LAW DICTIONARY).
46
svolgere attività in concorrenza con la società di seguito al trasferimento della qualificata
partecipazione 104.
In tal senso, l’opzione interpretativa proposta recepisce per altra via l’esigenza, sottolineata
di già in dottrina (Ascarelli) – e divenuta un refrain giurisprudenziale non so quanto perpicuo - che
l’applicazione analogica del divieto di concorrenza di cui all’art.2557 c.c. ai casi di subentro nella
titolarità della partecipazione di controllo di una società impone di focalizzare con estremo rigore
l’attenzione soprattutto verso l’individuazione di concreti riscontri rispetto << … al ruolo ricoperto
e all’attività in essa svolta dai soci cedenti.>> 105.
Ricondurre, ove possibile, le funzioni in concreto svolte dal cedente a quelle di un
amministratore/direttore di fatto induce la riflessione che il predicato divieto di concorrenza può di
già emergere come ulteriore applicazione di un codice specifico dell’attività gestionale
106
,
aprendosi così a riconoscere in favore della società una difesa molto più snella, emancipata
dall’onere probatorio che l’accertamento di una concorrenza sleale richiede.
Ma non solo la nuova impronta del divieto di concorrenza a carico degli amministratori di
s.p.a.,
lasciata
dalla
riforma,
consente
di
svincolarsi
dall’assai
incerta
equazione
azienda/partecipazione di controllo, al fine di poter fondare le conclusioni cui giunge la
giurisprudenza in caso di operazioni di subentro nel controllo endosocietario; essa, in altra direzione
accorcia comunque sensibilmente la distanza rispetto al disposto dell’art. 2557 c.c.
V’è infatti un elemento aggiuntivo assai importante da tenere in debita considerazione in
simili evenienze: la peculiare figura di amministratore di fatto in discorso si connota in primo luogo
104
Già prima della riforma V.CALANDRA BONAURA, Potere di gestione cit., 226 propone
l’applicazione del divieto al socio tiranno in ragione dell’utilizzo indiretto della società che questi realizza,
strumentale al perseguimento di un’attività in concorrenza (adde M.I.MONTAGNANI, op.cit., 408 s.). Lo
stesso Calandra Bonaura afferma però che <<La tesi che fonda la giustificazione del divieto sulla
particolare pericolosità della concorrenza dell’amministratore, per la possibilità che questi si avvalga di
segreti aziendali o di notizie riservate … non riesce a spiegare la ragione per la quale sia permesso
all’amministratore di partecipare ad imprese concorrenti in qualità di socio limitatamente responsabile, dal
momento che la limitazione di responsabilità non esclude affatto il rischio dello sfruttamento concorrenziale
di notizie sociali riservate.>> (ivi, 215). Alla luce di quanto esposto, che la partecipazione in qualità di socio
limitatamente responsabile sia strumento utile a consentire lo svolgimento di attività anticoncorrenziale da
parte dell’amministratore non è affermazione ulteriormente plausibile.
105
APP. MILANO, 07-11-2003, Soc. Serigraf c. Colombo, cit..
106
L’espressa previsione della responsabilità a carico del socio di cui all’art.2476 c.c., 7° comma,
ha introdotto il problema della comparazione tra la nuova figura di socio gestore (o cogestore) e quella di chi,
di fatto, svolga funzioni amministrative. La questione non è affatto semplice; si è intanto opportunamente
rimarcato come sia specifica alla previsione legislativa la necessaria intenzionalità della condotta e che la
responsabilità per amministrazione di fatto non presupponga in capo al gerente l’accertamento della qualità
di socio. In tal senso v. MELI, La responsabilità cit., 675 ss., cui addè G.MOLLO cit., 823 ss. Analogamente
F.PASQUARIELLO, Art.2476 – Responsabilità degli amministratori e controllo dei soci, in Il nuovo diritto
delle società, a cura di A.Maffei Alberti, Padova, 2005, 1979 s.
47
per il fatto che, nell’operazione di trasferimento della partecipazione, recupera dall’acquirente il
profitto dell’intrapresa (societaria).
Ho già rimarcato in che senso le pregresse interferenze di atti e comportamenti del socio
con l’attività gestionale dell’impresa in capo alla società siano elementi che possono orientare
un’eventuale attività del medesimo, successiva alla sua fuoriuscita dalla compagine societaria: ma
tali atti e comportamenti possono orientarla fino al punto che, a fronte dell’intrapresa del
cedente/gestore di fatto, si renda plausibile quel giudizio di sostanziale identità tra attività 107, quella
in capo alla società e quella in capo al socio fuoriuscito, che pone problematicamente l’esigenza di
una verifica dell’inquadramento della fattispecie ex art. 2112 c.c..
Il fatto che il cedente, già dominus dell’impresa formalmente in capo alla società, di
seguito ad una cessione contrattuale (quella tra cedente e cessionario) che determina un drastico
mutamento nell’esercizio dell’impresa formalmente in capo alla società (cui il legislatore non è
insensibile), intraprenda un’iniziativa che di quella sia una gemmazione, potrebbe configurare allora
di per se stesso, sotto altra ed originale prospettiva, quel mutamento nella titolarità di un’attività
economica organizzata indicato all’art.2112, comma 5, del codice civile, realizzando in concreto un
subentro dell’ex socio nell’impresa già facente capo alla società.
E’ come se il cedente, già dominus dell’imprenditore/società (come anche il solo effettivo
evolversi della vicenda dimostra), così operando, pur dismessa ogni posizione formale di “socio”,
ma ancora in condizione di perpetuare comportamenti già riferibili alla società, desse di fatto
attuazione in proprio favore ad una vicenda traslativa dell’azienda della società 108 (approfittando e
abusando del cessionario quale datore di provvista): attuazione che si configurerebbe – beninteso come risultato di un’attività (di gestione di affari nomine proprio) non autorizzata 109.
Il nostro ordinamento è già passato per un’esperienza analoga. A norma dell’art.113 codice
di commercio del 1882
110
, in caso di contravvenzione al divieto pei soci in nome collettivo di
107
Supra, § 4.2.
Sui rapporti tra esecuzione e conclusione del contratto, come pure sul contratto di fatto,
R.SACCO G.DE NOVA, Il contratto, I, in Tratt.Dir.Civ., diretto da R.Sacco, Torino, 1993, 122 ss., dove
l’indicazione di carattere generale che l’attuazione può tradursi anche nell’appropriazione di un bene
presente in una sfera aliena (v. anche 135 ss.).
109
ricostruisce la disciplina l’amministrazione di fatto riconducendo il fenomeno ad una gestione di
affari, F.GUERRERA, Gestione <<di fatto>> cit., 171 ss., necessario riferimento per l’individuazione di un
titolo di un rapporto diversamente privo di giustificazioni (a critica della posizione di F.BONELLI, La
responsabilità dell’amministratore di fatto, in Giur.comm., 1984, I, 107 ss., che ricostruisce la disciplina
dell’amministrazione come un corpo di regole obbiettive, che si applicano a prescindere dal titolo
giustificativo del potere). Su specifici profili attinenti della gestione d’affari cfr. R.SACCO G.DE NOVA, Il
contratto cit., 128 ss., C.M.BIANCA, Diritto civile, 3, Milano, 1984, 142 ss., ivi, 15 e più di recente,
C.ANGELICI, Rapporti contrattuali di fatto, in Enc. Giur., XXV, Roma, 1991; L.STANGHELLINI, Contributo
allo studio dei rapporti di fatto, Milano, 1997.
110
Lo ricordano G.FERRI, Le società cit., 195, nota 10, e M.S. SPOLIDORO, op.cit, 1317 s., nota 13.
VIVANTE, Trattato di diritto commerciale, II, Milano, 1929, § 363, descrive un << … diritto di appropriarsi
108
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prendere interesse come soci illimitatamente responsabili, in altre società aventi lo stesso oggetto,
né fare operazioni per conto proprio o per conto di terzi nello stesso commercio, senza il consenso
degli altri soci, la società (salva la disposizione dell’art.186) << … ha diritto di ritenere che il socio
abbia agito per conto di essa … >> (e o di conseguire il risarcimento del danno, estinguendosi tale
diritto dopo tre mesi dal giorno in cui la società venne a notizia del preso interesse o delle
operazioni fatte).
Dovrebbe allora potersi ipotizzare:
- a. che essendo tale attività, svolta dal dominus/cedente, non autorizzata e dunque
inidonea, salvo ratifica, ad impegnare la sfera giuridica della società, la stessa società sia
naturalmente facultata ad una protestatio, vale a dire al rifiuto dell’indebita esecuzione; ma non
escluderei a priori che si possa aprire ad una eventuale dichiarazione di voler approfittare
dell’operazione (il corrispettivo della quale è peraltro agevolmente determinabile in ragione
dell’accordo sottostante tra cedente e cessionario);
- b. che, anche da questo specifico punto di vista, di già acquisito al corpo della norme che
regolano l’attività dell’amministratore il divieto di cui all’art.2391 c.c. ultimo capoverso, la società
sia titolata ad una chiamata in responsabilità dell’ex socio gerente per i profili di danno da
riconnettere all’attività svolta, in quanto, sebbene rifiutata dalla società nei suoi risvolti formali, tale
attività
111
è comunque espressione di una funzione gestionale amministrativa di fatto espletata che
ha determinato delle conseguenze per la società, non formali, vista la protestatio, ma senza meno
sostanziali: la presenza di un danno è lì a dimostrarlo (ed è proprio dove v’è mala gestio che
l’assimilazione tra funzioni amministrative formalmente assunte e di fatto espletate assume concreta
rilevanza e utilità) 112;
i risultati dell’affare, come se fosse stato compiuto per conto suo.>>; SALV.ROMANO, Le riparazioni non
pecuniarie, in Annali Facoltà Giurisprudenza, vol.XLI – 1929 – serie V. vol VI, Ist. Giur. R. Università di
Perugia, Perugia 1930, 56, di << … un potere di diritto sostantivo che ha per effetto, appena lo si afferma, di
trasferire ipso iure la proprietà di determinati beni da un soggetto all’altro>>; PUGLIATTI, I trasferimenti
coattivi, 1931, 59, descrive un diritto potestativo il cui esercizio opera, con l’intervento del magistrato, un
trasferimento coattivo a favore della società dei diritti acquisiti dal socio con l’atto vietato. L.COVIELLO JR,
Divieto di concorrenza e sanzione negli articoli 112-113, 372 e 515 del codice di commercio, in Foro it.,
1936, IV, 293, afferma infine la natura eccezionale della sanzione, assimilando il rapporto tra socio e società
ad una commissione.
111
Sulla gestione di affari come attività e dunque come fatto, BIANCA, op.loc.cit..
112
Richiamo il nuovo corso in tema di responsabilità dell’amministratore di fatto introdotto da
CASS., 6 marzo 1999, n.1925, in Corr.giur., 1999, 1396 ss, con nota di A.Perrone; in Giur.comm., 2000, II,
167 ss., con nota di ABRIANI (Dalle nebbie della finzione al nitore della realtà: una svolta nella
giurisprudenza civile in tema di amministratore di fatto); ivi, ulteriormente, CASS., 14 settembre 1999,
n.9795. A seguire, v. anche CASS., 27 febbraio 2002, n.2906, in Giur.it, 2002, 7, 1424 ss. e, più di recente
CASS., SEZ. I , 12 marzo 2008, n.6719, in Soc., 2008, 1226 ss, con nota di G.Cavallaro, ivi, 1228 ss. Per
un’aggiornata sintesi del dibattito, A.Castagnazzo, Amministratore di fatto e responsabilità per illegittima
prosecuzione dell’attività d’impresa: un ulteriore assestamento giurisprudenziale (nota a Trib.Milano 8
marzo 2007), in Riv.dir.impr., 2007, 569 ss..
49
- c.
che il socio subentrante abbia ampi margini di manovra per agire a tutela del
proprio interesse, agendo, proprio in quanto socio, per la ricostituzione dell’integrità del patrimonio
sociale, facendo valere la responsabilità del proprio dante causa, comunque da qualificare in tale
prospettiva di natura contrattuale (così risultando qualificata la responsabilità dell’amministratore di
fatto) 113. Questo non vuol dire che il socio subentrante sia privato delle azioni da legge previste ex
contractu, ma soltanto che esse, se mi è permessa l’espressione, non possono essere proiettate nel
futuro, mutuando come patto della regolamentazione del subentro, in via di mera interpretazione, la
sussistenza di un divieto analogo a quello di cui all’art.2557 c.c..
Quale che sia la composizione finale degli interessi tra la società e soci coinvolti
nell’avvicendamento, ove la “clonazione aziendale” si configuri come un fatto non rimosso nelle
sue conseguenze, dovrebbe comunque potersi consentire, a tutela e ad istanza dei lavoratori,
l’applicazione di ogni norma di cui all’art.2112 c.c. 114 (restando quanto meno dubbio che l’ex socio
gerente non possa parimenti esser chiamato a rispondere ex art.2560, comma 2, codice civile).
113
Chiarisce CASS., 6 marzo 1999, n.1925 cit., in motivazione, che << … il discrimine tra
responsabilità contrattuale e responsabilità extracontrattuale va ricercato (non già nella fonte, ma) nella
natura della situazione giuridica violata: se si tratta di obbligazioni, anche se non derivanti da contratto, la
violazione dà luogo a responsabilità contrattuale; se invece essa consiste nel dovere generale di rispetto
delle situazioni giuridiche altrui, la responsabilità ha carattere extracontrattuale.>>.
114
V., CORTE DI GIUSTIZIA, 3 settembre 2007, nel procedimento C-458/05, causa Mohamed Jouini
+ 24 contro Princess Personal Service GmbH, già richiamato supra, nota 38.
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