ELEVATO DEBITO PUBBLICO - Dipartimento di Economia

DEFICIT E DEBITO PUBBLICO
Deficit e debito pubblico
• Se il governo di uno Stato spende più di quanto incassa, si
genera un deficit pubblico. Viceversa, si parla di surplus.
• Il deficit è finanziato dallo Stato ricorrendo a prestiti
ottenuti indebitandosi con il settore privato (nazionale o
estero).
• Il debito pubblico, quindi, è frutto dell’accumulazione dei
deficit del passato, al netto di eventuali surplus.
• Sia il deficit che il debito pubblico vengono spesso espressi
in rapporto al PIL (nominale).
• Ad agosto 2012, secondo la Banca d'Italia, il debito pubblico
italiano era pari a quota 1.975.631 mld. di €. Il rapporto
debito/PIL era pari a circa il 126%. Il rapporto deficit/PIL era
invece pari a -2,8%.
UME: Esiste coordinamento tra politica
fiscale e monetaria???
Nell’UME è assente un bilancio federale confrontabile con quello degli Stati
Uniti.
La politica fiscale europea è costituita in realtà da vincoli ai bilanci nazionali.
Assenza di coordinamento fra politica fiscale e politica monetaria.
Questi riflette l’approccio monetarista per cui la seconda deve perseguire la
sola stabilità dei prezzi, mentre la prima deve ottenere il pareggio di bilancio.
E chi si incarica della piena occupazione?
Le politiche nazionali di flessibilità del mercato del lavoro.
C’e necessità di un coordinamento ex ante di queste politiche?
No, in quanto se ciascun soggetto esegue i propri compiti – la BC la stabilità
dei prezzi, i governi il pareggio di bilancio e i mercati assicurano la flessibilità –
un coordinamento ex ante non è necessario.
Questo è il quadro della politica economica europea quale delineato da
Otmar Issing (2002), un influente economista tedesco che ha diretto la ricerca
della BCE sino a qualche anno fa. Emerge l’ossessione tedesca per le regole,
un tratto nazionale di quel paese, oltre che l’estremo conservatorismo degli
economisti tedeschi.
IL VINCOLO DI BILANCIO DEL GOVERNO
• Il disavanzo di bilancio nell’anno t è:
disavanzo  rBt 1  Gt  Tt
• Bt-1= debito pubblico alla fine dell’anno t-1
• r = tasso di interesse reale (costante)
• r Bt-1= tassi di interesse reali corrisposti sui titoli pubblici in
circolazione
• Gt = spesa pubblica in beni e servizi nell’anno t
• Tt = imposte al netto di trasferimenti
IL VINCOLO DI BILANCIO DEL GOVERNO
• Tre caratteristiche:
• 1. la spesa per interessi è misurata in termini di
beni – la misura corretta del disavanzo è talvolta
chiamata “disavanzo corretto per l’inflazione”;
• 2. la spesa pubblica, G, non include i
trasferimenti, che vengono sottratti dalle imposte
T;
• 3 il disavanzo è finanziato solo con l’emissione di
nuovi titoli di stato, non tramite signoraggio.
DISAVANZO FINANZIATO CON TITOLI
• Da cui il vincolo di bilancio del governo:
Bt  Bt 1  disavanzo
Bt  Bt 1  rBt 1  Gt  Tt

Bt  (1  r ) Bt 1  Gt  T
Andamento del rapporto debito/Pil
Finora abbiamo analizzato l’andamento del livello
del debito pubblico, ma in un’economia in cui la
produzione cresce nel tempo, ha più senso
considerare il rapporto tra il debito pubblico e il
Pil
• Solo così possiamo valutare se il debito è troppo
elevato, dove troppo è definito in relazione
all’abilità del governo di ripagare il debito
• Se tale rapporto è in crescita, ciò significa che
quel paese sta aggravando il peso del proprio
debito e dovra’ generare tasse maggiori per
stabilizzarlo.
Il vincolo di bilancio del governo in termini del
Pil può essere scritto come:
Bt
Yt 1 Bt 1 Gt  Tt
 (1  r )

Yt
Yt Yt 1
Yt
• Utilizzando il tasso di crescita abbiamo:
Bt
Bt 1 Gt  Tt
 (1  r  g )

Yt
Yt 1
Yt
da cui :
Bt Bt 1
Bt 1

 (r  g )

Yt Yt 1
Yt 1

crescita debito corretta
per la crescita del Pil
Gt  Tt
Y
t 
disavanzoprimario
Il vincolo di bilancio del governo in termini del Pil
La variazione del rapporto debito/Pil è
uguale alla somma di due termini:
1)Spesa per interessi, in termini reali, corretta
per la crescita della produzione (r-g)
moltiplicato per il rapporto debito/Pil esistente.
A seconda che r sia maggiore o minore di g, questo
termine è un fattore di aumento o di riduzione del
debito
2) Rapporto tra il disavanzo primario e il Pil.
Comportamento Dinamico del Rapporto Debito / PIL
Bt
bt 
Yt
debito / PIL
Gt  Tt
dt 
Yt
disavanzo primario / PIL
bt  bt 1  (r  g )bt 1 


crescita debito
corretta crescita PIL
dt

Disavanzo
primario
La relazione tra variazione del rapporto debito/PIL e suo livello corrente è lineare, con
pendenza pari alla differenza tra tasso di interesse reale e tasso di crescita del PIL, e
intercetta uguale al disavanzo primario relativo al PIL.
• Questa equazione illustra che se il tasso d’interesse supera il tasso
di crescita del Pil (r > g), persistenti disavanzi primari (g > t)
condurrebbero a un aumento del rapporto debito/Pil, un sentiero in
genere definito insostenibile.
• Se il governo intendesse stabilizzare il rapporto debito/Pil
• (cioè b-bt-1= 0),
• esso dovrebbe invece realizzare un corrispondente avanzo primario
(g – t). Tale avanzo primario dovrà essere ben più cospicuo se il
governo volesse diminuire il rapporto debito/Pil.
• Il problema è che la realizzazione di avanzi primari attraverso tagli
della spesa o aumenti delle imposte deprimono il tasso di crescita
per cui il tentativo di ridurre il rapporto debito/Pil può diventare
una fatica di Sisifo devastante economicamente e socialmente.
• Questa sembra essere stata l’esperienza europea in questi anni.
Coordinamento della politica
monetaria e fiscale
L’equazione mostra anche che una politica
monetaria accomodante che mantenesse il tasso
medio d’interesse sul debito inferiore al tasso di
crescita (r < g) sarebbe compatibile con la
stabilizzazione del rapporto debito/Pil (cioè Δb=0)
con un disavanzo primario (g > t).
Questo mix di politica monetaria e fiscale
consentirebbe all’Europa di sostenere la crescita
attraverso politiche espansive (l’opposto
dell’austerita) senza un aggravio dei conti pubblici in
misura del Pil.
Il Patto di Stabilità e Crescita
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Il Patto di stabilità e crescita (PSC) è un accordo stipulato e sottoscritto nel 1997
dai paesi membri dell'UME inerente al controllo delle rispettive politiche di
bilancio pubbliche.
In base al PSC gli Stati membri che, soddisfacendo tutti i cosiddetti parametri di
Maastricht, hanno deciso di adottare l'euro devono continuare a rispettare nel
tempo quelli relativi al bilancio pubblico ovvero:
- un deficit pubblico non superiore al 3% del PIL (rapporto deficit/PIL < 3%);
- un debito pubblico al di sotto del 60% del PIL (o, comunque, un debito pubblico
tendente al rientro) (rapporto debito/PIL< 60%).
Il PSC contemplava delle procedure volte ad allertare (early warning) gli Stati
qualora si fossero avvicinati a una violazione dei parametri fiscali, seguito da
relative raccomandazioni di misure correttive che, se non diligentemente adottate,
sarebbero state seguite da sanzioni.
Le disposizioni del PSC sono state recepite nella cosiddetta costituzione europea o
Trattato di Lisbona.
• Vincoli di bilancio: i paesi che si collocano su
sentieri “insostenibili” con rapporti crescenti
debito/Pil nuocerebbero agli altri membri virtuosi
dell’UM (problemi di opportunismo).
• Questo in quanto i paesi non virtuosi
ricorrerebbero in misura crescente al comune
mercato dei capitali facendo aumentare il tasso
dell’interesse, accrescendo cosi l’onere del debito
anche per i paesi virtuosi o “spiazzando” gli
investimenti privati anche in questi paesi.
• Un’argomentazione che fu addotta ai tempi del
disegno della moneta unica fu che sarebbero stati
i mercati a sanzionare attraverso più elevati tassi
di interesse i paesi ad alto debito.
• Mercati finanziari efficienti, si argomentava,
avrebbero attribuito a ciascun paese un premio
specifico per il rischio sul debito.
• I vincoli erano così presentatati come una misura
preventiva affinchè paesi imprevidenti non
incorressero negli strali dei mercati.
I rischi di un elevato debito pubblico:
default versus convertibilità risk
• Il rischio sul debito pubblico è in genere classificato in due classi: rischio di
inadempienza (default) e rischio di svalutazione (convertibility o
redenomination risk).
• Quest’ultimo e il rischio di veder cadere di valore dei titoli acquistati in
termini di valuta estera se la divisa in cui sono denominati si svaluta.
• Almeno negli anni pre-crisi questo rischio sembra scomparire
dall’orizzonte europeo essendo i titoli tutti denominati in euro – esso
ricomparirà invece con la crisi.
• Il rischio default invece aumenta in un’unione monetaria. Infatti paesi
dotati di una propria banca centrale sovrana e che emettono titoli
denominati nella valuta di emissione non possono per principio incorrere
nell’insolvenza: il governo può infatti sempre farsi rifinanziare
dall’emissione di moneta della banca centrale e restituire qualunque
finanziamento. Il caso invece di un paese partecipante a un’UM è
assimilabile a quello di un paese che emette titoli denominati in una
valuta estera.
In questo caso una crisi di fiducia, anche poco motivata, verso i titoli
pubblici può essere determinante in quanto il paese non può ricorrere
all’istituto d’emissione.
Per un paese membro dell’UME la BCE è infatti a tutti gli effetti una
banca centrale straniera.
Negli anni pre-crisi questo aspetto non sembrò tuttavia preoccupare gli
investitori che erano evidentemente fiduciosi nella garanzia non scritta
che gli altri paesi (e forse la BCE) sarebbero venuti in soccorso (bail
out) di un paese la cui solvibilità fosse stata in dubbio.
Secondo De Grauwe (2013: 271), negli anni post-2008 l’assenza di una
“garanzia del rimborso dei titoli di stato, fornita dalla banca centrale
comune” ha innescato una “crisi di liquidita”, la difficolta a rifinanziare
il debito a tassi sostenibili, che può trasformarsi se persistente in crisi
d’insolvenza.
• Non si può tuttavia neppure argomentare che negli
anni pre-crisi i paesi periferici si siano approfittati di
tale convergenza per politiche fiscali “irresponsabili”: è
solo con la crisi che disavanzi e rapporti debito/Pil
peggiorano.
• Certo, si può argomentare che paesi come l’Italia non
abbiano colto l’occasione per ridurre in maniera più
sostanziosa il debito pubblico.
• Va però ricordato che il nostro paese sia cresciuto
pochissimo negli anni pre-crisi dell’euro, e un
aggiustamento maggiore avrebbe azzerato la crescita.
Con la crisi gli spread sui titoli decennali sono
aumentati considerevolmente.
Si tratta del tradizionale “convertibility risk”, cioè
del rischio di abbandono dell’UME da parte di
un paese il cui ricorso al mercato si facesse
insostenibile (vale a dire a tassi insostenibili).
Il punto di vista dominante è dunque che,:
(a) vuoi per la tentazione peccaminosa (moral hazard) di accrescere
l’indebitamento pubblico in seguito all’inefficacia delle sanzioni di
mercato ai paesi non-virtuosi (come nel pre-2008) accompagnate
dall’attesa di un bail-out da parte dei paesi virtuosi,
(b) vuoi per evitare che, invece, i paesi meno-virtuosi cadano preda
delle sanzioni dei mercati finanziari (come nel post-2008), è bene
che si pongano dei vincoli fiscali all’indebitamento pubblico. Meno
pregnante sembra invece la spiegazione di questi vincoli basata
sull’idea che i paesi indebitati accrescano il costo del debito per i
paesi più virtuosi: questo non è accaduto né prima della crisi
(quando peraltro sono stati i cosiddetti paesi più virtuosi ad aver
violato le regole fiscali), né con la crisi. Anzi con la crisi, i tassi
d’interesse per i paesi virtuosi sono diminuiti poichè i mercati
hanno visto nei titoli pubblici di quei paesi un “safe heaven” (un
bene rifugio) per gli investimenti (“flight to quality”).
• DIBATTITO SU MOLTIPLICATORI FISCALI E
AUSTERITA’ ESPANSIVA
Scelte di politica fiscale ispirate dal principio
dell’austerità ed evoluzione del debito pubblico.
Per valutare l’impatto delle politiche d’austerità
sul rapporto debito pubblico-PIL è importante,
in primo luogo,
• sapere quale effetto abbia una riduzione della
spesa pubblica G su Y, vale a dire, è
importante valutare la grandezza del
moltiplicatore keynesiano per il caso di una
variazione nella spesa pubblica.
A questo riguardo, in letteratura sono
emerse due posizioni.
La prima denominata dell’austerità espansiva, attribuisce un valore non
positivo al moltiplicatore keynesiano per il caso di una variazione nella spesa
pubblica e conclude che la relazione tra G e b è crescente.
Una politica d’austerità ha effetti stabilizzanti sul debito pubblico.
Si assume la validità del teorema di equivalenza ricardiana di Barro (1974), il
quale suppone che gli agenti economici sono razionali e quindi capaci di
prevedere che la riduzione della spesa pubblica causerà un abbassamento
delle aliquote d’imposta in futuro.
Quest’aspettativa induce gli agenti a rivedere i propri piani di consumo nel
tempo, incrementando quelli odierni. L’aumento dei consumi induce, a sua
volta, un aumento del PIL, delle entrate fiscali correnti e del saggio di crescita
reale dell’economia, assumendo costante il saggio d’inflazione (Alesina et al.,
1995; Alesina e Perotti, 1997; Alesina et al., 1998; Perotti, 2011).
Gli effetti appena descritti dovrebbe portare a una riduzione del rapporto
• debito pubblico-PIL.
• La seconda posizione sostiene la positività del
moltiplicatore keynesiano e conclude che la
relazione tra G e b è decrescente.
• In queste condizioni, una riduzione di G comporta
una contrazione della domanda effettiva e,
quindi, di Y e di T.
• Gli effetti su b sono destabilizzanti anche perché
siamo in presenza di una contrazione di g
(Blanchard e Leigh, 2012; Arestis, 2012; Zezza,
2012).
Gli effetti perversi del
consolidamento fiscale (Mario Nuti)
• http://www.sbilanciamoci.info/Sezioni/globi/
Gli-effetti-perversi-del-consolidamentofiscale-20423