Psichiatria Lezione 8 Prima parte 15-04

Psichiatria
Lezione 8
Prima parte
15-04-2015
Riprendiamo due concetti che avevamo visto la lezione precedente e poi iniziamo con il nuovo argomento.
Abbiamo parlato del disturbo bipolare, distinguendolo
in :
 disturbo bipolare di tipo 1,
 di tipo 2,
 disturbi ciclotimici.
Abbiamo distinto questi tre tipi di disturbi sulla base
dell’entità degli episodi. Quando sia presente un
episodio maniacale franco, si pone la diagnosi di
disturbo bipolare 1 indipendentemente dal fatto che
questa persona abbia avuto o meno un episodio depressivo. Quando siamo in presenza di un episodio
ipomaniacale, se non sono presenti in anamnesi episodi maniacali franchi, ma questa persona ha avuto in
passato episodi depressivi, allora si pone la diagnosi di episodio bipolare di tipo 2. Per quanto riguarda la
diagnosi di disturbo tipo ciclotimico, si pone per quei casi nei quali pur non essendoci episodi che
raggiungono la soglia né dell’episodio maniacale , né dell’episodio depressivo , la continua ciclicità di
episodi sottosoglia pone la persona in una situazione di disagio e disfunzionalità. Abbiamo detto che
nonostante dal punto di vista sintomatologico (talvolta anche del decorso a lungo termine) il disturbo
bipolare 1 sia più grave, anche il disturbo bipolare 2 pone problemi in termini di gravità di decorso, perché
talvolta quest ultimo è un disturbo difficilmente diagnosticabile. La difficoltà diagnostica consiste nella
difficoltà di riconoscere in anamnesi i disturbi e gli episodi soprattutto ipomaniacali. Nella maggior parte
delle volte, la persona si presenta dal medico in depressione, raramente si presenta in una situazione di
ipomania. Quando il paziente si presenta in una situazione di ipomania, solitamente sono i parenti a
portarlo alla visione del medico. In questa situazione, il paziente è convinto di star bene,è convinto che gli
altri stanno male, che gli altri sono noiosi, che non hanno capito niente della vita , lui sta benissimo ed
invece tutti gli altri sono dei poltroni in quanto dormono 8 ore al giorno mentre al paziente bastano 2 ore
di sonno per riposare. Difficilmente quindi, la persona arriva all’osservazione del medico in una situazione
di ipomania, arriva alla visione del medico quando è depresso e non ricorda gli episodi ipomaniacali come
episodi di sofferenza, li ricorda come episodi di benessere e quindi è lì che nasce la difficoltà diagnostica.
Sottolineiamo inoltre, che si ricorda spesso la mania come sinonimo di euforia e invece non sempre è
presente l’umore euforico , anzi talvolta (nei nostri contesti
forse è la maggior parte delle volte) si presenta con l’umore
irritabile. E’ importante quindi stare molto attenti all’umore
irritabile perché soprattutto nel disturbo bipolare 1 è ancora
più difficile da diagnosticare.
Il decorso ,la vita di una persona che ha un disturbo bipolare
è data dall’ alternarsi di depressioni ,di manie, ipomanie
episodi misti. Talvolta però gli episodi non sono cosi
interfrequenti, infatti il paziente può avere un episodio
depressivo, poi sta bene per anni , poi ha un altro episodio depressivo, sta bene ancora per anni, poi una
mania OPPURE ha una mania all’inizio, sta bene 30 anni e poi ha un altro episodio.
Lo stato misto è definito dalla presenza di tre sintomi contropolari e nella nuova classificazione(cioè nel
DSM5) possiamo definire ed identificare sia episodi depressivi con sintomatologia mista, che episodi
maniacali con sintomatologia mista. E’ un elemento comunque ancora controverso, perchè la maggior
parte degli psichiatri in presenza di un episodio misto fanno comunque diagnosi di disturbo bipolare.
Nella slide osserviamo uno schema che è bene ricordare dal punto di vista delle ipotesi patogenetiche. In
quest ultimo osserviamo cosa distingue la depressione
maggiore dal disturbo bipolare.
Il contributo genetico, il peso della vulnerabilità genetica
è presente ma non è determinante nella depressione
maggiore mentre invece è molto importante nel disturbo
bipolare. Questo non significa che non ci possono essere
casi sporadici, non tutti i casi di disturbo bipolare sono
familiari, ci sono anche casi sporadici tuttavia la relazione
familiare è molto forte.
La disfunzione della sensibilità dei recettori e il tono dei
neurotrasmettitori è importante nei disturbi come anche la disregolazione del cortisolo. Abbiamo visto
infatti, come la sensibilità ai neurosteroidi è importante. Sono presenti inoltre, modificazioni dell’attività di
regioni del cervello che sono coinvolte nel controllo delle emozioni in entrambi i disturbi.
E’ importante sottolineare che nella mania e solo nella mania, è presente alle prove di Brain imaging
funzionale una iperattività a livello dello striato.
Nel disturbo bipolare, come abbiamo detto, sono presenti modificazioni a livello delle membrane cellulari
che rendono l’individuo più vulnerabile al tono dei neurotrasmettitori. Ecco perché la chiave della terapia è
la stabilizzazione della membrana cellulare.
Detto questo riepiloghiamo brevemente due concetti di terapia. Abbiamo detto che il punto centrale nella
terapia farmacologica del disturbo bipolare è la stabilizzazione, lo stabilizzante dell’umore. Cosa si fa in
mania? Se la mania è lieve la prima scelta è uno stabilizzante come il litio,se la mania è grave non basta lo
stabilizzante bisogna associare uno di quegli antipsicotici atipici che abbiamo visto. Questi farmaci hanno
un effetto diverso dal punto di vista dell’ effetto sedativo (infatti nell’ eccitamento maniacale dobbiamo
sedare il paziente). Talvolta , quando è presente il delirio , dobbiamo anche avere un impatto deliriolitico
quindi diamo l’ antipsicotico. Se non c’è delirio diamo sicuramente un antipsicotico atipico,se c’è delirio
molto forte si può dare in certi casi anche un antipsicotico tradizionale.
Fra gli antipsicotici atipici quelli che hanno un effetto maggiore dal punto di vista sedativo sono l’olanzapina
e il risperidone. Questi sono abbastanza efficaci, si danno in mania acuta in genere in aggiunta allo
stabilizzante. Una volta che riusciamo a tamponare la mania acuta ,se si può ,si toglie l’antipsicotico e si
lascia lo stabilizzante. Talvolta,abbiamo visto che, alcuni antipsicotici hanno anche una proprietà
stabilizzante e si lascia come stabilizzante l’antipsicotico.
Abbiamo detto invece che nell’episodio depressivo bipolare il concetto importante è che non si dà
l’antidepressivo da solo infatti la prima scelta è un antipsicotico atipico: la quetiapina. C’è anche un altro
antipsicotico atipico , che è appena uscito ed è già in commercio negli Stati Uniti,in Europa è stato già
approvato all’EMA ma non è ancora in commercio in Italia(al momento è solo in commercio in alcuni paesi
scandinavi in Europa). Questo farmaco però, entrerà a breve in commercio anche in Italia e si chiama
Lurasidone quindi due antipsicotici atipici sono la prima scelta.
Come seconda scelta,possiamo utilizzare un antipsicotico atipico come l’olanzapina associato ad un
antidepressivo; oppure terza scelta uno stabilizzante associato ad un antidepressivo. Quando si riesce a
stabilizzare bene un disturbo bipolare è molto meno probabile avere episodi acuti gravi però talvolta capita lo stesso
di averli.
Adesso parliamo della presa in carico del paziente depresso e la presa in carico del paziente con disturbi
dell’umore.
Il punto di vista del professore non sarà quello di uno specialista psichiatra ma quello di un operatore medico o non
medico che lavora nella primary care. In Italia i servizi psichiatrici territoriali sono accessibili da parte del
paziente senza prescrizione da parte del medico della
medicina generale, cioè il paziente si può presentare
direttamente presso gli istituti psichiatrici territoriali e ha
diritto di essere trattato. Nonostante questo ,in Italia la
maggior parte dei farmaci antidepressivi viene prescritta
direttamente dal medico di base, non per ripetizione della
ricetta specialistica. Questo perchè i servizi territoriali
psichiatrici hanno in carico nella massima parte i pazienti
più gravi,quindi il paziente con una depressione lieve,in
genere, non lo cura lo pschiatra.
Si è eseguito uno studio su cosa pensasse la gente riguardo dei quadri , che erano perfettamente consoni
con una diagnosi di depressione. In questi studi si chiedeva alla gente cosa pensasse che fosse questo tipo
di disturbo, che cosa consiglierebbe a questa persona se fosse un suo amico con queste problematiche.
Nella maggior parte dei casi la risposta della gente è stata lo psicologo.
Da un punto di vista legale, lo psicologo non può curare nulla. Uno psicoterapauta può curare con la
psicoterapia. Lo psicoterapeuta può essere un medico (anche non psichiatra) o uno psicologo che ha fatto
un corso di specializzazione in psicoterapia. Se lo psicoterapeuta è anche medico può anche prescrivere
farmaci,se psicologo non può prescrivere farmaci. E’importante non fare confusione,è importante che si
mandino dei messaggi precisi alla gente. Siccome si ha paura dello stigma “psichiatra uguale follia” può
succedere che il paziente pensi che non è pazzo,che il disturbo che ha non è da psichiatra, quindi non si
rivolge allo psichiatra. Il problema di questo discorso è che può succedere di vedere con anni di
ritardo,persone che si sarebbero potuti curare molto bene se un medico psichiatra le avesse visto da
subito. Un altro concetto è che molti medici di medicina generale inviano dal neurologo, prima del ‘78 le
due specializzazioni erano unite “neuropsichiatria” . Successivamente queste specializzazioni si sono scisse:
il neurologo cura le malattie come il parkinson, la demenza e nel suo percorso di formazione non sono
previste le malattie dell’umore, dell’ansia, delle malattie cosiddette mentali. In questo contesto può
succedere che le persone mandino dal neurologo perchè così il paziente non è “stigmatizzato”. Bisogna fare
chiarezza su questo punto, bisogna cercare di togliere queste etichette stigmatizzate che non hanno più
senso.
Lo psichiatra cura le malattie mentali e in caso di consulenza si invia dallo psichiatra e soprattutto il medico
ha competenza a fare una diagnosi, lo psicologo ,anche quando sia psicoterapeuta, non fa diagnosi. Oggi in
Italia le scuole di psicoterapia sono scuole private ma riconosciute dal ministero, una cosa un po’ strana.
Non tutte le scuole di psicoterapia fanno delle psicoterapie di provata efficacia per tutti i disturbi , anzi
magari ogni scuola è efficace per un determinato disturbo.
Domanda: A chi sono aperte queste scuole?
Risposta: Medici e psicologi, medici anche non specialisti. Questo significa che qualsiasi medico può
iscriversi a una scuola di psicoterapia ,fare il corso e poi ci sono due liste separate nei due ordini, l’ordine
dei medici e l’ordine degli psicologi, ognuno dei due ordini ha la lista speciale di psicoterapeuti. Per
esempio un ortopedico può fare la scuola di psicoterapia oppure in questo periodo, con molte richieste di
sessuologia, molti ginecologi fanno scuola di psicoterapia per fare gli psicoterapeuti in quell’area.
Domanda: Cosa può fare uno psicologo che non è psicoterapeuta?
Risposta: Lo psicologo non psicoterapeuta può fare il counseling , cioè l’ascolto attivo. In molti paesi europei
come la Svezia gli infermieri in certe aree possono fare anche psicoterapia,discutibile,però possono farla. E’
auspicabile che figure come gli infermieri facciano il counseling , qualche volta non lo fanno affatto e anche
i medici non lo fanno ma dovrebbe essere fatto sempre.
La maggior parte dei pazienti con depressione che vengono visti in medicina generale, non vengono
riconosciuti. C’è da dire anche che, a proposito del tanto vituperato sistema nazionale italiano, gli studi di
comunità parlano chiaro: mentre in Italia se fate uno studio nella popolazione generale, scoprite che la
metà delle persone che identificate come aventi depressioni gravi , la metà sono curate ; negli stati Uniti
solo il 10 % nel Canada solo il 20%. Questo avviene perchè non c’è un sistema nazionale sanitario, la gente
non si cura perché non ha i soldi per curarsi.
Che cosa è necessario per prendere in carico o supportare,secondo la diversa tipologia del professionista, il
paziente con depressione? Bisogna conoscere la psicopatologia di base cioè conoscere i sintomi,
riconoscere il disturbo, avere un approccio centrato sul paziente, avere nozioni di counseling, sapere alcuni
concetti relativa alla terapia antidepressiva. Il medico di medicina generale in particolare, quindi non il
cardiologo o il tecnico , avrà il vantaggio o talvolta lo svantaggio di dover relazionarsi con tutta la famiglia e
nei casi in cui sia necessario bisogna avere il coraggio di inviarlo dallo specialista o ricoverarlo.
Cosa si intende dicendo che è necessario un approccio centrato sul
paziente?
Questo è un concetto che vale oggi per tutte le patologie croniche: vale
in psichiatria non solo per le depressioni, vale in cardiologia , in
reumatologia , in tutte le patologie croniche. In questo tipo di patologie,
il nostro successo in gran parte deriva dall’alleanza che riusciamo a
creare col paziente, possiamo essere il medico più geniale, più capace ad
impostare la terapia del mondo che se il paziente decide di non
prendere la terapia noi non valiamo niente. Il nostro successo dipende quindi da quello che decide il
paziente e la decisione del paziente, la sua volontà di collaborare, dipende dalla misura in cui noi
riusciamo a creare un’alleanza terapeutica.
Per un approccio centrato sul paziente, prima di proporre il nostro punto di vista medico: “io penso che
quello che tu hai si chiami depressione, che è una patologia curabile” bisogna capire cosa ne pensa il
paziente, perché talvolta il fatto che il paziente abbia delle idee completamente diverse dalle nostre e non
ci confrontiamo è quel requisito per il non creare un’alleanza terapeutica . Noi medici utilizziamo un
modello medico, quindi utilizziamo un modello verificabile. E’ facile dire che bisogna essere buoni col
paziente, che bisogna amare il paziente, lo dicono tutti e non è un dato verificabile . Se partiamo da un
approccio di medicina del diritto, penso che il paziente non è mio amico,che è una persona che ha diritto
ad essere curato anche se fosse antipatico.
Secondo un approccio corretto centrato sul paziente,il medico deve avere la possibilità di verificare perché
il nostro compito medico è avere delle verifiche e allora dobbiamo avere delle domande chiare nella
nostra testa a cui il paziente deve rispondere:
1) come interpreta il paziente il suo malessere, cosa crede che sia il suo malessere?
2)Da che cosa creda possa dipendere il suo malessere?
3)Come pensa di potersi curare?
4)Cosa crede che noi possiamo fare?
Quando abbiamo una risposta a queste domande abbiamo fatto un passo avanti importante nella
conoscenza del paziente e nello stesso tempo misurabile, perché sto rispondendo a domande misurabili.
Dopo posso proporre il mio punto di vista medico e posso cercare di convincere il paziente che ho visto
altre persone che stavano come lui che sono migliorate e la mia proposta sarà tanto più convincente
quanto più avrò ascoltato il paziente e quanto più avrò capito il suo contesto.
Purtroppo sempre di più si vedono pazienti che sono estremamente delusi dal loro rapporto con i medici
perché i medici non li ascoltano e col paziente depresso , è molto facile che il paziente sia antipatico
almeno per il medico di medicina generale. Il medico
di medicina generale, solitamente ha poco tempo,
quando dedica 10-20 minuti ad un paziente è già
oltre perché ha l’ambulatorio pieno ,pensiamo ad un
paziente che va frequentemente dal medico sempre
con richieste diverse senza dire esplicitamente che è
depresso (perché non lo sa che è depresso!) . Questo
è un paziente a cui molte volte possiamo dare delle
risposte inadeguate ,il paziente depresso si presenta
coi sintomi più vaghi ansia,insonnia ,dolori di
somatizzazione, deficit cognitivo, disfunzioni sessuali
e se non abbiamo la capacità di sentirlo , di capirlo e
di inquadrarlo diamo appunto delle risposte che non
sono adeguate. Dobbiamo essere capaci di valutarlo, dobbiamo valutare come si pone, valutare non solo
quello che dice ma anche come lo dice. Il paziente depresso infatti, parla piano (a meno che non sia agitato,
ma è l’eccezione ), tutto quello che dice è sempre in una chiave negativa, una visione negativa di se, del
futuro, del mondo, se iniziamo a vedere queste cose possiamo magari iniziare ad inquadrare il paziente.
Domanda: “Quando un paziente arriva da lei ,per poter analizzare il paziente, quanto tempo è
necessario?”
Risposta: “Il mio è un setting diverso da quello di cui vi sto parlando,il mio è un setting specialistico dove
anche la prima visita io ho un’ora di tempo, non si può chiarire tutto in un’ora ma in un’ora si può chiarire
bene. Io vi sto invece parlando di un setting non specialistico dove avete 20 minuti a disposizione, però
alcune cose potete chiarirle soprattutto se è un paziente che conoscete bene perché si presenta spesso”
Domanda: “Il medico di medicina generale non può fare in teoria diagnosi di malattia croniche , perché
può fare diagnosi di depressione e dare anti depressivi?”
Risposta: “Perché Innanzitutto la depressione non è una patologia cronica, abbiamo detto che bastano 15
giorni per far diagnosi di depressione ,è una patologia più che cronica recidivante”
Domanda: “Comunque è una patologia specialistica?”
Risposta: “Per quello che vi ho detto il disturbo depressivo maggiore oggi nel 60-70% dei casi in Italia è
curata dal medico di medicina generale. Questo è abbastanza ovvio in quanto è un disturbo che interessa 1
persona su 6 nel corso della vita, la prevalenza in un momento della vita della depressione maggiore è 4-5 6 % della popolazione generale e come farebbero i servizi specialistici a curare tutta questa gente?
L’interland cagliaritano ha 400 mila abitanti, quindi se parliamo del 5% stiamo parlando di migliaia di
persone. Tenete conto, che già i servizi specialistici psichiatrici devono curare quel 2-3 % di “zoccolo duro”
di patologie gravi che sono le psicosi affettive quindi disturbi depressivi psicotici, i disturbi bipolari più
gravi, schizofrenia, disturbi di personalità quindi hanno già un carico enorme, per forza li devono curare i
medici di medicina generale. Fermo restando che , il medico di medicina generale, ogni volta che ha un
allarme,che pensa che si tratti di un disturbo bipolare per le questioni di cui abbiamo parlato, deve
immediatamente inviarlo allo specialista.”
La depressione la incontreremo quotidianamente nell’ambito della medicina generale. L’eccitamento maniacale lo
incontreremo in guardia medica ed anche la depressione grave quando il paziente tenta il suicidio.
Stavamo dicendo l’importanza della comunicazione non verbale. Quando abbiamo il sospetto e stiamo
formulando una diagnosi di depressione, un elemento
fondamentale è la comunicazione della diagnosi. In
genere le persone rifiutano questo tipo di diagnosi,
perchè la depressione fa paura: in una società
competitiva dove bisogna essere vincenti ,la depressione
può essere sinonimo di debolezza (quindi il paziente
entra in un meccanismo dove si sente debole,dove si
sente un perdente). Il medico deve far comprendere che
non è sinonimo di debolezza anzi, sulla base di quello che
abbiamo detto quando abbiamo parlato di stili di
attaccamento, le ricerche dicono che tendono a
deprimersi le persone che si iper responsabilizzano.Le
persone a cui non gliene frega niente di niente non si deprimono mai, non vanno in depressione, non si
fanno carico di niente, magari si ammalano di altro ma non di depressione. E’ importante sottolineare il
concetto che, siccome si tratta di un disturbo, non è assolutamente proficuo l’atteggiamento “devo farcela
da solo”. Questo atteggiamento è tipico delle persone che si iper responsabilizzano ,cioè proprio le persone
che si iper responsabilizzano ,sono quelle che si ammalano di depressione, e sono quelle che di più pensano
che devono farcela da sole ,che non devono ricorrere al medico,che non devono prendere medicine.
Questo atteggiamento è sbagliato: la persona ha bisogno di aiuto e la buona volontà da sola non risolve la
depressione.
Questo concetto del “devo farcela da solo”, è anche più accentuato dalla sintomatologia depressiva. Come
abbiamo visto, la depressione accentua i sensi di colpa della persona e quindi è per questo che la persona
si mette in questa prospettiva di rifiuto del trattamento.
Un altro elemento importante che bisogna comunicare in questa presa in carico accogliente ,in questo
counseling, è che il paziente si dia un tempo: proprio perché noi siamo convinti che quello che il paziente
ha si può curare e si può curare anche in fretta, si rimandano le decisioni,si consiglia al paziente di
concedersi una pausa. La persona che prende decisioni quando è depressa il più delle volte sbaglia perché
vede tutto in questa chiave distorta negativa, vede che non c’è via d’uscita anche quando magari c’è la via
d’uscita, per cui deve prendersi una pausa, gli fa anche bene l’dea. Il paziente potrebbe rispondere che non
può prendersi una pausa,in questo caso si invita
nuovamente il paziente a concedersi una pausa, per
esempio di un mese, dando agli altri i compiti.
E’ necessario comunicare chiaro il messaggio che gli
antidepressivi non fanno effetto subito, è una realtà
indiscutibile. L’antidepressivo non fa mai effetto prima
di 2 settimane, l’effetto pieno comincia a sentirsi dopo
un mese e mezzo e quando arriva l’effetto il paziente lo
sente, ma il paziente lo deve sapere.
Perché fa effetto così tardi? Prima si pensava che fosse
per un problema di controllo autorecettoriale. Sappiamo infatti che ci sono molti autorecettori che servono
da “meccanismo di troppo pieno”. Per esempio quando aumenta la noradrenalina, i primi recettori a
recepire l’aumento di noradrenalina sono gli autorecettori che bloccano gli altri, per cui se io aumento la
dopamina,serotonina la noradrenalina con i farmaci,si pensava che il ritardo fosse dovuto al fatto che i
primi a reagire fossero gli autorecettori.Si è visto che questo può essere vero ma c’è un altro fatto molto
importante: gli antidepressivi stimolano la neurogenesi a livello ipotalamico. Probabilmente questo è un
meccanismo fondamentale e quindi il ritardo dipende dallo stimolo all’attività a livello dell’intero lobo
limbico.
Dovete sempre verificare se è presente il rischio di suicidio ,come si fa? Ad una persona depressa non
chiediamo di colpo se ha tentato di suicidarsi perchè è come se si creasse una frattura tra voi e il paziente.
Però se state parlando e il paziente sta raccontando che è disperato, chiedere “ma ha pensato veramente
che la vita non valga la pena di essere vissuta?” A questa domanda rispondono tutti e se il paziente
risponde si , è più facile chiedere “ma ha pensato che magari sarebbe stato meglio morire?” e se vi
rispondesse si “ma ha pensato anche di farlo lei direttamente?” . Quindi l’importante è andare per gradini,
e se vi avesse detto di sì, chiedete anche se ha pensato come fare, perché tutti questi sono gradini che
indicano la gravità rispetto al rischio suicidario. Se il paziente ha già tentato il suicidio, è importante
ricordare che non c’è nessuno più a rischio di suicidio di una persona che l’ha già tentato.
Il prof racconta una sua esperienza: ci avevano chiamato per un TSO , quando siamo arrivati i vigili erano già presenti e
un vigile diceva a quello che era nel tetto “buttati che è tardi, devo andare a mangiare dai buttati!”. Questo
comportamento è terribile, a volte funziona ma il problema non è che funziona in molte volte ma il problema è che
qualche volte non funziona e quello si butta davvero quindi non fate mai cose di questo tipo. Inoltre questo gesto è
terribile perché togli al paziente la possibilità della fuga con onore.In questo caso non si è buttato quindi è finita bene.
Domanda: “Abbiamo parlato sul come porre gradualmente (per scalini) alcune domande ai pazienti per
comprendere il rischio di suicidio. Man mano si fanno queste domande i pazienti sono sinceri nelle
risposte?
Risposta: “Guardate sul tentativo di suicidio non sempre sono sinceri, ma sulle informazioni precedenti si
generalmente. Quindi è vero che sul tentativo di suicidio non lo dicono e non lo dicono per pudore ,non lo
dicono perché sotto sotto pensano che lo faranno altre volte e che tanto non potete fare nulla per loro .
Tante volte in queste vicende possiamo notare degli sdoppiamenti : è come se una parte della persona vi
nascondesse delle cose,mentre l’altra parte chiede aiuto è strano ma è così ,vi dovete alleare con quella che
chiede aiuto”.
Un paziente depresso soffre e con lui soffre la famiglia
sempre(quando ha una famiglia). Quando è solo,
soprattutto quando è anziano, è una situazione di
rischio. La famiglia soffre in quanto talvolta prova un
senso di impotenza, vuole fare qualcosa ma non sa cosa
fare.Talvolta è il fatto che, non percependo il disagio di
una persona che soffre come una malattia, la famiglia
reagisce colpevolizzando il paziente e siccome non
sempre i punti di vista ,neanche in famiglia, sono
comuni a volte ci sono conflitti.
Un concetto importante è che noi oggi abbiamo una
concezione legata ad una vulnerabilità allo stress nei confronti di questi disturbi, ed effettivamente è cosi.
Una situazione familiare stressante, dove ci sono forti conflitti, si ripercuote sul paziente e ne aggrava il
decorso ed è un gatto che si mangia la coda, perché la tensione familiare aggrava la situazione del paziente,
la situazione del paziente si riverbera sulla famiglia e diventa un corto circuito che bisogna rompere.
Il medico di medicina generale deve sostanzialmente informare di quello che sta facendo, chiedere alleanza
al paziente, chiedere alleanza al paziente e ai familiari insieme al paziente ,non chiederlo mai senza che il
paziente acconsenta perché altrimenti si possono creare delle situazioni non piacevoli, ci vuole sempre il
consenso del paziente. Ad esempio, il paziente
che non sappiamo se prenderà le medicine, gli
chiediamo il consenso di coinvolgere un
familiare e gli chiediamo di scegliere che
familiare vuol coinvolgere e quel familiare gli
darà le medicine.
Una cosa importante è che bisogna informare la
famiglia che messaggi del tipo: reagisci, tirati su,
sono assolutamente deleteri, fanno male alla
persona. La persona depressa quando si sente
dire reagisci, tirati su prima si sente in colpa
perché non può reagire, secondo si sente
incompreso.
Molti familiari quando glielo dici reagiscono male e allora si può utilizzare una tecnica di comunicazione che
dice cose vere sostanzialmente, ma magari le dice in maniera strategica.
Questa strategia consiste nel comunicare alla famiglia che messaggi come “tirati su” , “reagisci” siamo
abituati a dirlo a familiari ed amici che sono demoralizzati. Il prof racconta una sua esperienza: “quando ero
studente mi era andato male un esame, ero molto triste, ero all’ospedale marino, non era andato bene ,ero passato
ma ero passato male, e il mio amico mi aveva detto facciamoci un bagno vestiti, reagisci, tirati su! Funziona! Andiamo
avanti lo stesso non ce ne frega niente!” . In una persona che non è depressa ma è demoralizzata questo
consiglio funziona e noi siamo abituati a dare questi consigli a persone demoralizzate.
E’ importante riferire alla famiglia che il depresso, la persona che ha la depressione assomiglia alla persona
demoralizzata, ma è qualcosa di peggio ,qualcosa che la persona che vuole aiutare non è abituata a
conoscere. Comunicando in questa maniera decolpevolizziamo la famiglia: “da bravo fratello lo vuoi aiutare
ma per te la depressione è una cosa nuova e quindi ti devi abituare a qualcosa che è nuovo, quando tuo
fratello era solo demoralizzato bastava dire tirati su adesso purtroppo ha un disturbo vero”. Questo tipo di
comunicazione funziona, non parliamo di psicoterapia, queste sono tecniche di counseling,sono tecniche
attraverso le quali si possono dare dei consigli di aiuto alla famiglia e al contesto che funzionano.
Ricordatevi sempre di dire al paziente che ci vorrà un po’ di tempo affinchè l’antidepressivo funzioni, ditelo
anche ai familiari che magari fremono. Quando i familiari ci chiedono come possono aiutare il paziente, noi
li incoraggiamo ad aspettare l’ effetto dei farmaci. Se per caso capitasse che i farmaci non funzionano
(perché i farmaci sono calibrati sulla persona) oppure danno effetti collaterali e li dobbiamo cambiare,
supportiamo il paziente. In particolar modo, quando il paziente inizia a vedere che il farmaco sta
cominciando a funzionare (e si vede!), questo dato vuol dire che qualcosa sta cambiando e questo ci
incoraggia ed è questo che dobbiamo dire ai familiari come informazione. Talvolta il paziente non se accorge
neanche dell’effetto del farmaco però, per esempio, può succedere che prima stava tutti i giorni a letto e quando il
farmaco inizia a fare effetto il paziente comincia ad alzarsi per andare a mangiare e comincia a mangiare qualcosa.
Ci sono altri interventi che possono essere efficaci . L’ agopuntura per esempio è efficace? Si ,ci sono degli
studi che dimostrano che l’agopuntura è efficace,
però attenzione l’agopuntura è poco democratica.
Noi non sappiamo che quello che hanno pubblicato
all’Università di Pechino facendo studi randomizzati
controllati su 20 000 pazienti e con i punti segnati,
son gli stessi punti che punge l’agopuntore che ha
fatto il corso di una settimana chissà dove. In pratica,
il farmaco è più facilmente controllabile. Tuttavia
l’agopuntura funziona, ci sono studi randomizzati
controllati che dimostrano l’ efficacia dell’agopuntura.
Per quanto riguarda l’omeopatia, personalmente sono
contrario. Ho cercato in letteratura e non c’è assolutamente nulla sull’efficacia dei trattamenti omeopatici.
Il professore racconta una sua esperienza: “Personalmente ho visto una paziente che era compensata vent anni con
un gravissimo disturbo bipolare che assumeva litio. Qualcuno le ha detto che con il litio omeopatico poteva prendere
1 mg di litio con lo stesso effetto. Il litio è un sale minerale e quello resta! Indipendentemente dal fatto che lo si chiami
litio omeopatico o lo si chiami litio benedetto. Questa paziente prendeva 900 mg di litio al giorno stava bene da trent
anni,qualcuno gli ha tolto tutto, gli ha dato il litio omeopatico che corrispondeva ad un milligrammo e la paziente si è
fatta un ricovero terribile al servizio di diagnosi e cura psichiatrico in trattamento sanitario obbligatorio con un delirio
terribile da cui non è più tornata sana come era prima”
È efficace l’esercizio fisico, perché agisce a diversi livelli dall’endorfine alla serotonina. Nessuno si azzardi a
dare l’esercizio fisico e basta. E’ stato visto, che l’esercizio fisico è molto efficace come terapia aggiuntiva.
Il problema è che la persona depressa l’esercizio fisico non lo fa. Il “vantaggio” nostro è che possiamo avere
addetti alla persona a costi bassissimi perché c’è una disoccupazione giovanile terribile. Quando vedo
persone che potrebbero trarre beneficio con l’esercizio fisico, gli indico dei ragazzi che sono appena
laureati,e loro a 10 euro all’ora vanno li prendono e li portano in palestra. Questo è molto efficace, è una
cosa che funziona ed è il trattamento alternativo più efficace nella depressione.
[pausa…..]
Durante la pausa , alcuni hanno posto delle domande molto interessanti che magari completano alcune
cose che non abbiamo detto.
Una domanda è stata se la terapia per il disturbo bipolare bisogna prenderla tutta la vita. E’ una domanda
chiave, i pazienti spesso pongono questo quesito al medico. Cosa bisogna rispondere? Certe linee guida
dicono si, bisogna dare la terapia tutta la vita; altre linee guida sono meno rigide, dicono che dopo quattro
anni di stabilizzazione di benessere si può cercare gradualmente di discontinuare. La mia esperienza è che
in certi casi ho discontinuato la terapia ai pazienti: in certi casi è andata bene, rari purtroppo. Il messaggio
fondamentale deve essere che c’è la possibilità che la terapia finisca, ma la cosa importante è che il
paziente con la terapia stia bene,poi se riusciamo ad interromperla è un altro obiettivo, ma non è
l’obiettivo principale e comunque non è escluso. Non bisogna incoraggiare un paziente che sta benissimo
ad interrompere la terapia. In genere il paziente che sta benissimo con il disturbo bipolare è lui che per
primo chiede di non interrompere la terapia. Il più delle volte è il paziente scompensato, che sta iniziando a
prendere la terapia, che si pone dei dubbi, si chiede se la dovrà prendere tutta la vita. Se la terapia va
bene, è per primo il paziente che chiede di non interrompere la terapia.
Abbiamo detto che i pazienti bipolari in fase depressiva sono rallentati, generalmente si esprimono con
difficoltà. Nello stesso tempo conosciamo dalla letteratura ,dal mondo dell’arte che tantissimi artisti hanno
avuto diagnosi di disturbo bipolare o l’ hanno avuta aposteriori. Questa non è una contraddizione!
Innanzitutto è un disturbo che colpisce ognuno in modo diverso. E’ un disturbo che non è sinonimo di
creatività (non è che quando arriva il disturbo, il paziente diventi creativo), però in genere le persone molto
creative hanno un temperamento ciclotimico e non vuol dire che sono bipolari! Vuol dire che hanno questa
voglia di esplorare, altrimenti non sarebbero neanche artisti,per esempio Modigliani, pensiamo a tantissimi
artisti, tantissimi scrittori che hanno avuto questo tipo di diagnosi. Attenzione non pensiamo neanche che
sia un sinonimo di creatività. Ci sono persone che hanno un disturbo bipolare e sono pochissimo creative,
però molte persone che invece hanno istinto di esplorazione, sono creativi, hanno una base ipertimica e
quindi sono quelli più portati ad ammalare di disturbo bipolare. Anche se queste persone si ammalassero,
non è detto che poi il disturbo annulla completamente la capacità creativa, è possibile che la stemperi.
Una curiosità è che quando leggete gli scritti di una persona che vira da una situazione di depressione
all’eccitamento maniacale sembra di leggere gli scritti di un altra persona,non si riconoscono.
Domanda: La terapia antidepressiva si continua per tutta la vita!?
Risposta: In genere no. Se non esistono dei forti fattori di cronicizzazione,in genere in 6-9 mesi si conclude
e quindi i farmaci piano piano si discontinuano.Quello che può succedere è che se ci sono dei forti fattori di
cronicizzazione , per esempio una malattia cronica autoimmune, per esempio un fattore contingente
ambientale, in quel caso si può cronicizzare e si può decidere di continuare a dare per lungo tempo la
terapia. In genere però, gli antidepressivi, dopo un certo periodo di tempo bisognerebbe discontinuarli
perché poi nasce il rischio di aumento dell’ irritabilità.
Questa slide ci dà un’informazione sugli antidepressivi,
ma anche un’ informazione su come porgere
l’informazione sugli antidepressivi.
Gli antidepressivi agiscono sui neurotrasmettitori che
devono essere potenziati nelle persone che soffrono di
depressione, quindi agiscono a livello del sistema
nervoso centrale potenziando i neurotrasmettitori . Sono
agenti chimici naturali, semplicemente gli antidepressivi
li rendono più disponibili.
A proposito di terapie alternative, adesso c’è il mito di
curarsi con le erbe e fra le erbe ce ne sono di efficaci. L’
iperico è efficace , agisce su tutti e tre i
neurotrasmettitori implicati aumentandone la potenza a
livello dei recettori quindi serotonina, noradrenalina e
dopamina.
Questo sito dava un consiglio: non c’è bisogno del
medico, se avete la persona depressa consigliate l’iperico
che così non c’è bisogno di medicine. Una sostanza che
sia di sintesi o sia naturale, quando agisce, agisce sui
recettori e ha sempre effetti collaterali. Segue un piccolo excursus riguardo il “mito” delle terapie naturali: La
mandragola per esempio è una sostanza naturale e abbiamo visto sul giornale 10 giorni fa, alcune persone sono
andate a prendere le cicorie non le conoscevano bene,e avevano preso la mandragola. Fra l’altro la mandragola è un
farmaco afrodisiaco dato a dosaggi bassi ,infatti la signora che l’aveva presa, dice che vedeva gli infermieri che erano
angeli. Per fortuna è stato chiamato il medico ed è finito tutto bene. Il concetto è: non perché una cosa è naturale
e non è di sintesi ,allora è pura ,fa bene. L’iperico che è un farmaco naturale , non di sintesi, ha tantissimi
effetti collaterali, ad esempio è il meno adatto fra tutti gli antidepressivi a essere dato in associazione con
altri farmaci perché interagisce a livello di citocromi epatici,moltissimo di più degli SSRI. Ci sono stati dei
casi di parti dovuto all’iperico,persone che prendevano la pillola la cui efficacia era tamponata dalla
cosomministrazione dell’iperico e si son ritrovati incinta: forse meglio che si lasci perdere queste cose. Se
possibile, preferisco usare farmaci di sintesi perché suppongo che il dosaggio sia più controllato,l’iperico
non so quanto ne sto dando.
Abbiamo già parlato del tempo di utilizzo degli
antidepressivi.
Esistono diverse classi di antidepressivi, i più usati sono i
farmaci serotoninergici,in particolare quelli che si
chiamano SSRI. Gli SSRI sono farmaci che agiscono
aumentando la ricattura della serotonina nel neurone distale. Sono serotoninergici anche il trazodone e il
nefazodone ,questi ultimi vengono usati oggi molto
meno perché erano precedenti alla scoperta degli
SSRI,sono abbastanza sedativi di conseguenza si
usano di meno. Voi dovete conoscere, per usarli in
qualche caso, soltanto gli SSRI sostanzialmente.
Riguardo gli altri farmaci, vedrete pazienti che li
usano su prescrizione specialistica.
Gli SSRSI sono la paroxetina che è il più sedativo di
tutti ed anche quello che fa ingrassare di più, però è
un farmaco molto efficace ;la fluoxetina
famosissimo prozac, il primo ;il citalopram, la
fluvoxamina e la sertralina ,sono praticamente 5.
Recentemente è uscita una particolare forma di citalopram,che è la forma racemica efficace e purificata :
l’escitalopram. Questo è un farmaco completamente diverso dal citalopram. Siccome è un antidepressivo
potentissimo e molto stimolante, vi sconsiglio di usarlo, è un farmaco molto efficace ma è meglio da
utilizzare dallo specialista. Quando uscì l’escitalopram, veniva presentato dagli informatori scientifici come
un citalopram purificato. In quel periodo al servizio “diagnosi e cura psichiatrica” hanno visto decine di casi
da eccitamento maniacale da escitalopram perché i medici di base che erano abituati ad utilizzare il
citalopram, (che è un farmaco molto maneggevole e che dà scarso rischio di switch maniacale perchè ha
una certa efficacia, ma non è potentissimo) tranquillizzati da questa propaganda passarono tranquillamente
dal citalopram all’ escitalopram. Praticamente è come se per uccidere una mosca sparassi con un fucile,
sostanzialmente era molto più potente. I colleghi hanno visto eccitamenti maniacali uno dopo l’altro alla
diagnosi e cura psichiatrica, quindi l’escitalopram non è da usare in chiave di medicina generale.Da un
punto di vista specialistico, è un ottimo farmaco soprattutto nelle formi resistenti.
Gli specialisti invece, usano molto i farmaci che agiscono non solo sulla serotonina ma anche sulla
noradrenalina in particolare la venlafaxina e la duloxetina, che sono inibitori del reuptake sia della
serotonina che della noradrenalina. Agisce sui due neurotrasmettitori anche la mirtazapina ma agisce con
effetto diverso. Ripetiamo che, sono farmaci con un’azione complessa, molto potenti, con molti effetti
collaterali, dovete conoscerli ma non usarli.
I triciclici tradizionali sono sempre meno usati, ormai forse l’unico ancora usato è l’amitriptilina (laroxyl),
che viene usato più che altro a basso dosaggio come ipnoinducente non come antidepressivo.
In genere i triciclici si usano oggi in pazienti che non rispondono agli SSRI, ci sono fra questi farmaci alcuni
che sono più noradrenergici come l’imipramina, alcuni che sono più serotoninergici come la
clomipramina,mentre l’amitriptilina è intermedio infatti è sia serotoninergico che noradrenergico.
Abbiamo a disposizione farmaci noradrenergici poco usati. Invece, abbastanza usati sono i dopaminergici
che sono soprattutto stimolanti, viene utilizzato in particolare il bupropione e molto usate sono anche le
benzamidi a basso dosaggio. Le benzamidi sono farmaci strani:

a basso dosaggio sono antidepressivi perché agiscono sugli autorecettori dopaminomimetici
bloccandoli ;

ad alto dosaggio bloccano i post recettori, e quindi sono farmaci che bloccano la dopamina e sono
antispicotici.
Fanno parte delle benzamidi l’amisulpride, la sulpiride. Oggi la più utilizzata è l’amisulpride, a 50 mg è in
commercio con l’indicazione distimia (in realtà funziona anche come antidepressivo però leggero); a
200/400 mg è in commercio con l’ indicazione di schizofrenia.
I derivati della melatonina sono andati di moda 3-4 anni fa soprattutto con l’agomelatina, adesso abbiamo
visto che hanno talmente tanti effetti collaterali che son passati di moda.