gli aspetti normativi della valorizzazione dello sport

Anno III
Pubblicazione numero 3
2007
GiustiziaSportiva.it
Rivista Giuridica
Direzione e Fondatori
Enrico Crocetti Bernardi
Antonino de Silvestri
Enrico Lubrano
Paolo Moro
Jacopo Tognon
Comitato di Redazione
Giuseppe Agostini
Alessia Bellomo
Marco Mazzucato
Emanuele Paolucci
Michela Pigato
Jacopo Tognon
Direttore Responsabile
Mario Liccardo
_____________________________________________________________
Autorizzazione del Tribunale di Padova in data 1 ottobre 2004
al numero 1902 del Registro Stampa
- Periodico quadrimestrale -
1
INDICE DEL FASCICOLO 3°
PARTE PRIMA
DOTTRINA
PAOLO FANFANI, La causa del contratto di collaborazione sportiva.
pag. 4
Spunti per una ricerca
LUCA LEONE, Gli aspetti normativi della valorizzazione dello sport: un breve
pag. 16
confronto con il sistema francese
ENRICO CASSI’, Perplessità e riflessioni sul momento costitutivo del
pag. 37
rapporto di lavoro nel mondo del professionismo sportivo
PARTE SECONDA
NOTE A SENTENZA
ELISA BRIGANDI’, Delibera di esclusione da associazione sportiva e vincolo
pag. 43
di giustizia
ANTONINO DE SILVESTRI, Le questioni del lodo camerale: autonomia o
pag. 55
discrezionalità nelle federazioni sportive nazionali?
DOMENICO ZINNARI, La decisione del consiglio di giustizia
pag. 91
amministrativa: una nuova lettura dell’ articolo 2 Legge n.° 280/2003 ?
PARTE TERZA
GIURISPRUDENZA
DELIBERA DELLA COMMISSIONE DISCIPLINARE: La giustizia disciplinare in ambito
pag. 115
endoassociativo: quale valore alle fonti di prova?
DELIBERA 90/2007 FEDERAZIONE ITALIANA PALLACANESTRO: Quale futuro per
le discriminazioni alla libera circolazione in ambito sportivo?
2
pag. 119
PARTE PRIMA
DOTTRINA
SOMMARIO:
PAOLO FANFANI, La causa del contratto di collaborazione sportiva.
pag. 4
Spunti per una ricerca
LUCA LEONE, Gli aspetti normativi della valorizzazione dello sport: un breve
pag. 16
confronto con il sistema francese
ENRICO CASSI’,
Perplessità e riflessioni sul momento costitutivo del
rapporto di lavoro nel mondo del professionismo sportivo
3
pag. 37
La causa del contratto………
LA CAUSA DEL CONTRATTO DI COLLABORAZIONE SPORTIVA.
SPUNTI PER UNA RICERCA
di Paolo Fanfani (*)
La collocazione sistematica del rapporto di collaborazione sportiva nella sua multiforme
tipologia1, almeno a far tempo dalla ripresa piena dell’attività sportiva dopo il secondo conflitto
mondiale, ha suscitato un interesse che è andato oltre quello meramente scientifico e generale del
rapporto fra Ordinamenti2, con una progressività parallela all’aumento degli interessi economici in
gioco.
L’estate del 2006, scossa dalla crisi dell’etica e della lealtà sportiva con episodi di vera e
propria alterazione organizzata dei risultati sportivi3, ha provocato un diffuso desiderio di
cambiamento negli uomini e nelle regole tanto da auspicare che il dibattito torni ad interessarsi
anche della corretta sistemazione giuridica dei rapporti soggettivi che gravitano attorno alla
manifestazione sportiva e che possiamo generalmente chiamare “rapporti di collaborazione
sportiva”4 con una gamma che va dall’atleta agli addetti ai campi sportivi, dal medico sociale agli
osservatori.
1
Essa va dall’atleta professionista all’addetto alle lavanderie degli stadi passando attraverso le variabili del dilettantismo e del
professionismo da una parte e dalle Società di capitali alle Associazioni semplici dall’altra.
2
Fra le più utili ricostruzioni di questa tematica vedi recentemente, A. De Silvestri, Diritto dello Sport, Le Monnier, 2004, pagg. 1 e
segg.; Maria Teresa Spadafora, Diritto del lavoro sportivo, Giappichelli 2004, pagg. 1 e segg. Una esaustiva bibliografia in argomento
si trova in Stefano Oronzo e Davide Tupone, Il lavoro sportivo, sta in Manuale dello Sport, Franco Angeli 2004, pagg. 169 e segg.
3
Una riassuntiva scheda dei soggetti coinvolti e dei contenuti degli illeciti relativi al fenomeno, si trova in
http://it.wikipedia.org/wiki/Calciopoli.
4
Non credo che l’attuale assetto normativo di queste collaborazioni debba annoverarsi fra le cause del malcostume ma certo esso è
stato ed è causa continua di confusione ed è quindi un settore dove merita seriamente di mettere le mani; l’occasione potrebbe essere
propizia.
4
DOTTRINA
La causa del contratto………
Tutti questi rapporti, pur così diversi fra di loro quanto a contenuti dell’opera o del servizio,
hanno per altro in comune, in maniera più o meno marcata, il raggiungimento di uno scopo molto
singolare e molto esclusivo, a volte percepibile solo dagli addetti ai lavori, che è lo scopo sportivo
in senso lato al quale si aggiunge, ma non sempre, quello economico.
Lo scopo sportivo, nell’accezione più ampia del concetto, non è soltanto quello agonistico,
che è proprio degli atleti e dei soggetti più strettamente coinvolti nella manifestazione sportiva
(quali gli allenatori, gli arbitri, i giudici sportivi), ma più in generale è quello dell’appartenenza e
della partecipazione, è quello dell’appagamento personale, è quello del coinvolgimento, è quello di
gratificarsi di una immagine sportiva.
Senza questa percezione è facile considerare la collaborazione sportiva alla stregua di una
qualunque prestazione di opere e servizi facilmente assumibile nell’area dei rapporti di lavoro
autonomo o subordinato sia pure con qualche variabile anche marcata.
Detto questo, anche per i non addetti ai lavori, è abbastanza facile osservare come il diritto del
lavoro sia scarsamente congeniale al regime delle collaborazioni sportive in generale ed a quelle
degli atleti in particolare ed a nostro parere ne è anche ontologicamente lontano.
Il diritto del lavoro è il diritto della tutela del contraente debole; il diritto del lavoro è un
diritto per sua natura pervasivo ed invasivo nel senso che si impone anche dove le parti non lo
vogliono; esso è un diritto “formalmente diseguale” nel senso che tratta la parte “utilizzatrice delle
opere e dei servizi” in maniera difforme rispetto alla parte “fornitrice”5; la norma di fonte legislativa
e collettiva (i contratti collettivi di lavoro) si impone alla regola individuale rendendo le posizioni di
vantaggio rigide e scarsamente negoziabili (art. 2077, cc); i diritti dei lavoratori sono in larga
misura indisponibili (art. 2113cc) se non con certe particolari cautele; il ricorso all’arbitrato è
circondato da invalicabili paletti (art. 806cpc)6.
Le ragioni di questa “disparità e rigidità della regola” stanno ovviamente nell’intento di
ottenere così “una parità sostanziale” attraverso il sistema della protezione del contraente debole;
ma sotto questo profilo, nell’applicare il diritto del lavoro alle relazioni sportive, già sorge un
5
E se ciò appare assolutamente doveroso nei rapporti di lavoro subordinato in ossequio al principio di uguaglianza sostanziale, meno
si spiega nei rapporti di collaborazione sportiva. In altri termini appare spesso difficile giustificare il principio del “favor” per il
lavoratore (proprio dei rapporti di subordinazione) nelle relazioni sportive.
6
Anche se si sostiene da più parti che l’arbitrato sportivo avrebbe raggiunto la sua piena autonomia a seguito della l. 17 ott. 2003, art.
2; fra gli ultimi commenti alla legge vedi A.De Silvestri, in Diritto dello Sport, Le Monnier, 2004, pagg. 99 e segg.;- Maria Teresa
Spadafora, Diritto del lavoro sportivo, Giappichelli 2004. pag. 179 e segg.; mi si permetta anche un’autocitazione Paolo Fanfani,
Riflessi sostanziali di una norma processuale, sta in Diritto del Lavoro, 2003, pag. 77.
La Giurisprudenza della Cassazione ha attributo al cd “vincolo di giustizia sportiva”, in forza del quale l’ingresso nell’ordinamento
sportivo implicherebbe l’obbligo di soggezione alla Giustizia sportiva ed arbitrale, la stessa natura di una valida clausola
compromissoria (Cass. Sez. lav. 28 sett, 2005, n°18610).
5
DOTTRINA
La causa del contratto………
problema di carattere generale in quanto, se è facile capire chi è il contraente debole fra l’operaio e
l’impresa, nelle relazioni sportive non sempre risulta chiaro se il contraente debole sia l’atleta o la
Società che lo ha tesserato.
In passato le regole del diritto del lavoro hanno fatto clamorose incursioni sul terreno delle
relazioni sportive provocando notevoli difficoltà e tali incursioni si sono rese possibili in quanto il
rapporto di collaborazione sportiva degli atleti è attualmente collocato dal nostro ordinamento
giuridico nell’area dei rapporti di lavoro subordinato od autonomo (art.3. l. 23 mar. 1981, n° 91) ed
anche negli anni precedenti l’emanazione di questa legge la Giurisprudenza anche Comunitaria
aveva saldamente dato questa qualificazione che era la più facile ed “a portata di mano”7.
Ora, i rapporti del diritto sportivo con il diritto del lavoro, non costituiscono che “un aspetto”
dei rapporti fra Ordinamento sportivo ed Ordinamento statuale e nel momento di mettere le mani
alle riforme sentiamo la necessità che “i riformatori” sciolgano innanzitutto e definitivamente il
nodo dell’autonomia dell’Ordinamento sportivo perché dalla soluzione di questo generalissimo
problema dipendono a cascata le soluzioni di molti gli altri.
Dico subito che, se la strada delle riforme vorrà mantenere il proposito e la tendenza verso
una reale e sostanziale autonomia dell’Ordinamento sportivo rispetto all’Ordinamento statuale,
come il nostro legislatore ha anche recentemente ribadito (art.1, DL 19 ag. 2003, n° 220), anche il
regime dei rapporti di collaborazione nelle relazioni sportive dovrà essere rivisto, ma dovrà essere
rivisto dal legislatore (meglio ancora se comunitario) prima ancora che dall’Ordinamento sportivo
cercando una sistemazione tipologica diversa rispetto a quella attuale8.
Non è certo senza significato, a questo proposito, come anche il Trattato per una costituzione
europea, firmato a Roma il 29 ott. 2004, abbia apprezzato pienamente la singolarità del fenomeno
sportivo e la peculiarietà delle sue relazioni, se, all’art. III, 282, così recita: “L’Unione contribuisce
alla promozione dei profili europei dello Sport, tenendo conto delle sue specificità, delle sue
strutture fondate sul volontariato e della sua funzione sociale educativa.”9
7
Per una “essenziale” ricostruzione della dottrina e della Giurisprudenza anteriore all’emanazione della legge, vedi Stefano Oronzo e
Davide Tupone , Il lavoro sportivo, sta in Manuale dello Sport, Franco Angeli 2004, pagg. 169 e segg.
8
Per la verità sembra a chi scrive che una buono “spinta” verso la piena autonomia dell’Ordinamento sportivo sia stata data anche
dalla legge n° 280 del 2003, art. 1, che non può essere relegata fra le affermazioni di “mero stile” ma deve essere considerata un
principio generale che dovrà guidare l’interprete nella futura esegesi normativa. Vedi le considerazioni contenute nel contributo del
sottoscritto citato sub nota 6.
9
Come è noto la Costituzione europea non ha completato il suo iter formativo per la mancata adesione di Francia ed Olanda; l’Italia
ha ratificato il trattato con legge 07 aprile 2005, n° 57.
6
DOTTRINA
La causa del contratto………
Al di là della natura programmatica di certi principi generali non è senza significato che la
ripetizione di essi mostra una notevole sensibilità in argomento e conferma la riluttanza ad
inquadrare i rapporti di collaborazione sportiva negli schemi contrattuali tipici del lavoro autonomo
o subordinato che sia.
Come si è detto è il legislatore che ha qualificato “di lavoro” il rapporto che intercorre fra
l’atleta professionista e la Società di appartenenza e solo il legislatore potrà tornare validamente in
argomento; la legge n° 91 del 1981 (art. 3) qualifica questi rapporti come “rapporti di lavoro
subordinato” e, quando la prestazione atletica è marginale, come “rapporti di lavoro autonomo”; in
tale situazione è evidente che una simile qualificazione juris et de jure costituisce un serio ostacolo
per accreditare l’esistenza di eventuali diverse sistemazioni giuridiche suggerite dall’esperienza
oltre che da una attenta osservazione e dalla razionalità.
La dottrina ha cercato in ogni modo di trovare “variabili” nella sistemazione scientifica del
contratto di lavoro sportivo ma si sono mostrati tutti dei “palliativi” che non sono andati al di là del
“rapporto speciale di lavoro” comunque vincolato ed avvolto dalle regole del diritto del lavoro10.
Per quanto riguarda invece tutti gli altri “professionisti sportivi” indicati dall’art. 2, 1°co., l. n°
91 del 1981 (allenatori, direttori tecnico-sportivi, preparatori atletici) ed anche per quanto riguarda
tutta la galassia delle collaborazioni sportive minori (medici sportivi, osservatori, accompagnatori
per arrivare fino agli addetti ai campi sportivi ed al personale amministrativo) le regole per la
qualificazione del relativo rapporto rimangono quelle tradizionali; in altri termini si tratterà di
rapporti di lavoro subordinato di cui agli artt. 2094 e segg. cc se presenteranno gli elementi
fisionomici classici della subordinazione (soggezione al potere direttivo, organizzativo, gerarchico e
disciplinare della Società di riferimento); si tratterà di rapporti di lavoro autonomo di cui agli artt.
2222 e segg. cc ove i rapporti siano caratterizzati dall’autoorganizzazione e dall’autogestione
dell’attività e del servizio.
Le ricerche della dottrina in materia si sono interessate soprattutto dei contenuti e delle
modalità di svolgimento di questi rapporti; raramente si sono occupate della “causa” 11 del contratto
nemmeno nelle collaborazioni sportive diverse da quelle degli atleti seppure in quest’area,
svincolata com’è dalla qualificazione imperativa data dalla legge 91, una vasta operazione di
10
Una delle più complete opere collettanee in materia è costituita da “Il rapporto di lavoro sportivo”, Maggioli 1989, con i contributi
specifici di Matteo Dell’Olio, Michele De Luca, Raffaele Foglia, Dante Duranti, Armando De Vincentis.
11
Il massimo avvicinamento alla tematica della “causa” si è avuta in quella parte della dottrina che ha tentato una qualificazione dei
rapporti di collaborazione sportiva in senso associativo (vedi M.Mangani, Il contratto del calciatore inquadrato nella teoria generale
dei contratti, Rds, 1950, 49).
7
DOTTRINA
La causa del contratto………
verifica circa la causa del rapporto negoziale fra le parti avrebbe potuto portare a risultati
interessanti.
Una tale ricerca potrebbe comunque essere portata avanti con risultati che potrebbero non
rimanere nel mero ambito scientifico e potrebbero far rientrare nel limbo della “atipicità” buona
parte dei contratti di collaborazione sportiva (tutti quelli diversi di soggetti che non siano
classificabili come “atleti”) già ottenendo un notevole risultato sistematico: quello di sottrarli
all’area dei rapporti di lavoro di scambio quali sono quelli regolati dagli artt. 2094 e 2222cc12.
Per i rapporti di maggiore visibilità e di maggior impatto economico, quali debbono
considerarsi i rapporti con gli atleti professionisti (non solo quindi gli atleti più noti che sono i
calciatori, ma gli atleti di tutte le discipline sportive), la scelta di campo del nostro Ordinamento
risale nel tempo ed è stata, per lo più, nel senso della subordinazione anche prima della
qualificazione ex lege; questa scelta risale ormai ad oltre un sessantennio ed è frutto dell’opera
iniziale della Giurisprudenza oltre che di una “affrettata” legislazione dell’emergenza.
La stessa “storica” sentenza della Cassazione nel caso “Superga” se da una parte rilevò come i
calciatori tesserati non potevano costituire “beni aziendali” economicamente indennizzabili in sede
risarcitoria dall’altra omise di qualificare il rapporto che lega il calciatore alla Associazione sportiva
limitandosi ad assumerlo nell’ambito dei rapporti obbligatori; l’Associazione calcistica sarebbe in
altri termini titolare di un mero diritto di credito13.
Di lì a poco la Corte di Cassazione, con la sentenza Raccis, tornò per altro in argomento
sposando la facile (ma a nostro modo di vedere “superficiale”) alternativa del lavoro subordinato,
alternativa per lo più costantemente seguita negli anni che seguirono 14.
12
Nella giurisprudenza del settore si è a volte qualificato come “innominato” il contratto di lavoro dello sportivo (Trib. Torino, 18
gennaio 1955, Giur. It. 1955, I. 2, 312).
13
Cass. 04 lug. 1953, n° 2085.
14
La sentenza Raccis c/ AC Milan è la n° 2324 del 21 ott. 1961; in questa fase storica della questione, la Cassazione ebbe un
momentaneo arresto con la Sentenza AC Catania contro Dell’Aglio (n° 84 del 02 apr. 1963) che non andò oltre una qualificazione nel
senso della “atipicità” del rapporto cui non sarebbero state applicabili per altro le regole del lavoro subordinato ed in particolare
quelle sul collocamento. Tali sentenze si trovano commentate da A.Vigorita, in, “Il rapporto di lavoro nello Sport”, Giuffrè, 1965,
pag. 159.
8
DOTTRINA
La causa del contratto………
Questa storica opzione
ha provocato notevoli difficoltà applicative se non addirittura
situazione di vera e propria insofferenza della fattispecie sportiva rispetto alla regola lavoristica.15
Così il Tribunale di Reggio Emilia16 (caso “Ekong”) , ha messo in crisi le regole che limitano
l’utilizzazione degli atleti extracomunitari in ossequio al regime statuale che impone il principio di
territorialità del Diritto del lavoro per cui tutti i lavoratori che lavorano in Italia debbono godere
degli stessi diritti.
Il TAR del Lazio17 (caso “Gramajo”) ha annullato una norma del Regolamento della
Pallacanestro che limitava il diritto di iscrizione ai tornei professionistici alla condizione di aver
partecipato a tornei giovanili; la norma sarebbe stata lesiva del diritto al lavoro.
Il Tribunale di Verona
18
(caso “Gato”) ha dichiarato illegittima la limitazione di giocatori
extracomunitari nella rosa delle squadre di Pallavolo e ciò in ossequio al principio di non
discriminazione.
Il Tribunale di Pescara 19 ha dichiarato illegittime le norme limitatrici del numero dei giocatori
stranieri nelle squadre di Pallacanestro in quanto ostacolano l’accesso al lavoro.
La Giurisprudenza Europea non è stata da meno e basti qui ricordare il “caso Bosman”20; tale
sentenza, come per altro altri analoghi interventi della Corte di Giustizia21, contiene un
imperdonabile lacuna in quanto dà come assiomatico il fatto che il rapporto del calciatore
professionista sia di natura subordinata; era invece naturale che l’argomento dovesse essere
affrontato almeno a livello di Ordinamento Europeo (che non contiene una definizione ed una
15
I casi che si citeranno sono indicati, assieme ad altri, nel recente volumetto “Diritto dello Sport”. AA.VV., pagg. 179 e segg., Le
Monnier, 2004.
16
V
edila in FI, 2002, I, 897, con nota di Francesco Agnino: “Statuti sportivi discriminatori ed attività sportiva: quale futuro?”
17
Vedine la notizia sul Sole 24Ore Sport, n.17, del 2002; si tratta del caso “Gramajo” della Soc. Iglesias e della condizione di aver
partecipato a due campionati giovanili per ottenere l’iscrizione ad un campionato non professionistico; tale condizione per l’accesso
al lavoro è certamente illegittima nella logica del lavoro subordinato.
18
Vedine la notizia sul Sole 24Ore sport, n.17 del 2002; “Gato” è un giocatore cubano.
19
Vedila citata in FI, 2002, I, 897.
20
L’art. 48 del Trattato di Roma (art. 39, dopo le modifiche apportate dal Trattato di Amsterdam del 2 ott. 1997) stabilisce il principio
di libera circolazione della manodopera; la sentenza Bosman ha qualificato come “impedimento” alla libera circolazione la
circostanza che il trasferimento del calciatore Bosman dalla Federazione calcio belga a quella francese dovesse essere autorizzato
dalla Federazione stessa autorizzazione che questa non dette in quanto la Società Francese non era solvibile. Uno dei più recenti
commenti alla sentenza sta in “Diritto dello Sport”, AA.VV., Le Monnier, Firenze, 2004, pagg. 171 e segg.
21
Fra le più recenti ricostruzioni della Giurisprudenza Comunitaria in materia vedi Lina Musumarra, La qualificazione degli sportivi
professionisti e dilettanti nella Giurisprudenza Comunitaria, in Rivista di Diritto ed Economia dello Sport, 2005, pag. 39.
9
DOTTRINA
La causa del contratto………
sistemazione giuridica del contratto di collaborazione sportiva) se non a livello dei singoli
Ordinamenti interessati nel momento del provvedimento di remissione ai Giudici europei.
Sotto questo profilo appare molto significativo un certo “distinguo” recentemente confermato
dalla Corte di Giustizia UE secondo il quale l’applicabilità dei principi di libertà che caratterizzano
le attività economiche non sarebbero applicabili alle relazioni prettamente sportive, in altri termini,
nell’area delle relazioni sportive, si segnala l’esistenza di relazioni strettamente collegate alla
manifestazione ed altre per le quali tale collegamento è soltanto occasionale; a questa pregevole
sensibilità giuridica oltre che pragmatica non segue per altro il “coraggio” di soluzioni nette e
risolutive22
Ebbene difronte a questo dilagare delle incursioni dell’Ordinamento statuale e comunitario
nell’ambito di quello sportivo, spesso palesemente forzate23, occorre fare chiarezza e tale chiarezza
deve fare l’Unione Europea ed in Italia il nostro Parlamento24; questa chiarezza passa a nostro
avviso da un check point costituito dalla la sistemazione giuridica del rapporto di collaborazione
sportiva e prima fra tutti la collaborazione degli atleti professionisti.
Se il contratto di collaborazione sportiva è un contratto di lavoro subordinato esso deve
soggiacere alla legislazione sociale europea prima ed a quella italiana poi ma allora il campo è
veramente minato e le mine già esplose sono solo poca cosa difronte a quelle che potrebbero
esplodere; i casi sopra citati sono una parte delle mine esplose25; le mine ancora inesplose si
possono trovare ovunque; si prenda ad es. l’art, 94ter delle Noif recentemente modificato 26 che
esclude per i tesserati della lega Dilettanti ogni forma di lavoro autonomo o subordinato; la norma è
assolutamente inutile perché chi sia lavoratore autonomo o subordinato lo dice il Codice civile agli
22
Trattasi della sentenza C-519/04 P del 18 lug. 2006, Meca Medina dove si può leggere quanto segue: “25 La Corte ha tuttavia
dichiarato che i divieti che queste disposizioni del Trattato sanciscono non riguardano le regole che vertono su questioni che
interessano esclusivamente lo sport e che, come tali, sono estranee all'attività economica (v., in tal senso, sentenza Walrave e Koch,
cit., punto 8)”. Ci chiediamo allora come abbiano fatto i Giudici della “Bosman” a ritenere che le formazioni di una squadra di calcio
non siano un fatto che “interessa esclusivamente lo Sport”; vedi la nota che segue.
23
Ad es. nella stessa sentenza Bosman, la questione dei limiti numerici degli stranieri nelle squadre, che pur la sentenza ha affrontato
e deciso, non faceva assolutamente parte del contenuto della controversia; Bosman infatti aveva impostato la sua causa tutta sul fatto
che la Federazione Belga non aveva rilasciato il nullaosta in quanto il Dunkerque non aveva pagato il prezzo della cessione al Royal
Club Liegeois e non certo perché il Dunkerque avesse la rosa degli stranieri esaurita.
24
E non solo la legge ordinaria ma anche quella regionale visto che con le recenti modifiche dell’art. 117 Costituzione, le Regioni
hanno potere legislativo concorrente con quello statuale in materia sportiva.
25
Per la verità con qualche parere contrario nel senso della legalità delle scelte dell’Ordinamento sportivo: Trib. Pescara, 14 dic.
2001, in FI, 2002, I, 896.
26
Vedi Consiglio federale FIGC nella riunione del 14 maggio 2002, Comunicato Ufficiale n.34/A, in www,Figc.it, comunicati
ufficiali.
10
DOTTRINA
La causa del contratto………
artt. 2094 e 2222 e nessuna norma federale può affermare il contrario tanto è vero che la
Magistratura si è già espressa in tal senso27; mi chiedo che cosa avverrà se una calciatrice dovesse
essere richiesta da un sodalizio che intende inserirla nella rosa di un campionato maschile ed una
Lega dovesse escluderla perché donna (o viceversa).
Credo sia giunto il momento di rendersi conto che una gara sportiva e tutti i suoi dintorni sono
qualche cosa di diverso di un’occasione di lavoro e che la collaborazione sportiva, dall’atleta al
magazziniere di uno stadio, ha in se qualcosa di diverso e di caratterizzante rispetto ad una comune
prestazione di lavoro in senso tradizionale28.
Dunque occorre risolvere questo problema di fondo che a mio avviso è “la madre di tutti i
problemi” e che ha natura squisitamente “politica”; si tratta si sapere se gli Ordinamenti
comunitario e statuale intendano tenere sotto tutela stretta il fenomeno sportivo oppure se intendano
disinteressarsene almeno nelle fasi più propriamente organizzative e gestionali lasciando
pienamente libero l’Ordinamento sportivo di dettare tutte le regole che comunque si riferiscono
direttamente all’attività sportiva; dal punto di vista strettamente scientifico v’è da ritenere che il
concetto di “causa” costituisca un utile ed idoneo “grimaldello” che può facilmente giustificare la
creazione di un modello contrattuale tipico; spetta quindi alla politica del diritto orientarsi in una
direzione nuova o mantenere la collaborazione sportiva nella gabbia lavoristica.
Ed a questo punto bisogna evidentemente schierarsi; o si condivide la soluzione “sportiva” o
si opta per quella “statuale” ed è certo che solo la prima alternativa è quella che può garantire,
almeno teoricamente, la funzionalità, la tempestività e la flessibilità di cui le relazioni sportive
hanno istituzionalmente bisogno e che invece sono del tutto assenti nell’Ordinamento lavoristico.
Questa scelta di campo non comporterebbe oltretutto pericoli di sfruttamento e di
emarginazione sociale che il diritto del lavoro difende, visto che in ogni caso l’Ordinamento
sportivo dovrà sempre rispondere della correttezza delle sue regole essendo sottoposto al controllo
sia delle Federazioni sia del Coni oltre che, ovviamente, alla Costituzione ed ai principi generali del
nostro Paese.
Se si adotta questa soluzione, allora occorrerà che, nell’area delle collaborazioni sportive, il
legislatore affermi a chiare lettere che i relativi rapporti, non solo degli atleti ma di tutte le figure
27
Si tratta della sentenza n°518, dell’11 sett. 2003, di cui parla Mattia Grassani nell’articolo “Anche i dilettanti lavorano” che sta in
Sole24Ore Sport, n°17 del 2003.
28
La dottrina più attenta avverte senza mezzi termini questa difficoltà di inquadrare il fenomeno della collaborazione sportiva negli
angusti schemi del lavoro subordinato; vedi in tal senso Mario Sanino, Diritto sportivo, Cedam 2002, pag. 280; per una esaustiva
ricostruzione dei maggiori contributi in argomento, vedi Stefano Oronzo e Davide Tupone, Manuale dello Sport, Franco Angeli,
2004, pagg. 170 e segg,
11
DOTTRINA
La causa del contratto………
tipiche caratteristiche delle relazioni sportive, sono estranei alle tipologie del lavoro subordinato e
di quello autonomo o quantomeno stanno in una zona di confine fra il lavoro, lo svago, il desiderio
agonistico della personale affermazione e l’orgoglio di appartenenza che merita una propria
autonoma sistemazione scientifica; per coloro che abbiano una sufficiente frequentazione degli
ambienti sportivi è facile avvertire la presenza di una “ragione sportiva”, di una “motivazione
sportiva” e sostanzialmente di una “causa sportiva”29 che muove la maggior parte delle relazioni di
questo settore30.
In buona sostanza mi parrebbero maturi i tempi per “tipizzare” le varie forme di
collaborazione sportiva da quelle degli atleti a quelle dei collaboratori sportivi in senso stretto fino a
quelle dei collaboratori gestionali; mi parrebbero in altri termini maturi i tempi per codificare “il
contratto di collaborazione sportiva” facendone un contratto tipo, dotandolo di poche regole
“quadro” e rinviando poi massicciamente alla normativa degli ordinamenti sportivi di riferimento
come del resto già attualmente avviene31.
La creazione di un nuovo tipo contrattuale caratterizzato dalla “causa sportiva” mi pare
oltretutto compatibile con un recente orientamento del legislatore che, con il limitativo titolo di
“Disposizioni urgenti in materia di Giustizia sportiva”, ha poi dettato norme di chiara natura
sostanziale; l’art. 1, del dl 19 ag. 2003 n°22032 afferma infatti a chiare lettere che “La Repubblica
riconosce e favorisce l’autonomia dell’Ordinamento sportivo nazionale” e che “I rapporti tra
l’Ordinamento sportivo e l’Ordinamento della Repubblica sono regolati dal principio di
autonomia”; se tale lapidaria affermazione non deve rimanere un “flatus vocis” ci pare che il
legislatore si sia già abbondantemente compromesso.
Si tratta semmai di individuare l’esatta portata della nozione di “collaborazione sportiva” e
non dovrebbe essere difficile ritenerla comprensiva di ogni attività comunque organizzata, gestita e
controllata dalle istituzioni sportive riconosciute nell’ambito del CONI e delle organizzazioni
29
Siamo consapevoli che la nozione di causa non è univoca, ma certamente qualunque sia la nozione accolta, le caratteristiche della
collaborazione sportiva non potranno mai impedire una sua specifica tipizzazione in senso causale.
30
Alberto Caramella (leggilo in “Tipicità o atipicità del contratto di attività sportiva”, in “Il rapporto di lavoro nello Sport”, Giuffrè,
1965, p.79), definisce l’attività sportiva come “un gioco” che può essere fine a se stesso oppure diretto a fini “agonistici” e che può
costituire anche, ma non necessariamente, “spettacolo”; interessante è la definizione di “gioco”: “Il gioco è movimento, attività fine a
se stessa che non si pone e non vuol porsi altri fini se non di esprimersi disinteressatamente.”
31
In tal senso Vittorio Frattarolo, Il rapporto di lavoro sportivo, Giuffrè 2004, pagg.9 e segg.. Si veda anche il nuovo Statuto della
FIGC che agli articoli 7, 16, 4° co., e 30, detta penetranti regole cui i contraenti debbono obbligatoriamente attenersi (vedilo sul sito
della FIGC: - www.Figc.it).
32
Il decreto è stato convertito, con modificazioni anche sostanziali, con l. 17 ott. 2003, n° 280.
12
DOTTRINA
La causa del contratto………
similari; in altri termini non dovrebbe essere difficile affermare che i rapporti di collaborazione
sportiva sono quelli che fanno capo alle società ed associazioni sportive con un sistema
qualificatorio molto simile a quello usato dall’art. 2070 cc; si deve semmai fin d’ora avvertire la
necessità di dettare regole precise per l’individuazione della fattispecie evitando il ricorso alle
terminologie fumose ed adottando per quanto possibile le presunzioni Juris come del resto ha già
adottato la legge n° 91 del 1981 per distinguere il regime subordinato da quello autonomo.
Rimane un ultimo e non indifferente problema che è quello costituito dalla rilevanza e dignità
costituzionale del rapporto di lavoro; si vuol ricordare in altri termini che il rapporto di lavoro trova
la sua qualificazione nella Costituzione33 con la conseguenza che il legislatore non potrà mai
qualificare in senso diverso un rapporto che sia “di fatto” un rapporto di lavoro subordinato secondo
il modello descritto dal Costituente34.
Detto questo, poiché ogni attività umana può essere dedotta in un variegato numero di rapporti
nel senso che le opere ed i servizi prestati personalmente possono costituire oggetto di rapporti
anche diversi da quello di lavoro subordinato, ne deriva che ciò che ha rilevanza costituzionale è il
rapporto di lavoro che abbia non solo il contenuto ma anche la causa tipica dei rapporti subordinati;
una attività prestata personalmente costituisce oggetto di lavoro subordinato solo se è dedotta in un
rapporto la cui “causa” sia una causa di scambio oneroso; se la medesima attività è dedotta in un
rapporto la cui causa sia diversa (ad es. associativa o religiosa o familiare) oppure sia caratterizzato
dalla gratuità, il relativo rapporto non sarà più di lavoro subordinato pu “apparendo” tale nelle
modalità di svolgimento, ma sarà un rapporto appartenente ad altro tipo o sarà un rapporto a titolo
“grazioso” unicamente e soltanto per una caratterizzazione di tipo causale.
Se dunque il legislatore crea un rapporto che è genuinamente ed ontologicamente diverso da
quello di lavoro subordinato perché si regge su di una causa completamente diversa da quella di
scambio oneroso, sarà libero di dettare un regime anche diverso da quello previsto per il lavoro
subordinato in quanto escluso dalla previsione costituzionale.
33
In particolare l’art.4 per il “diritto-dovere al lavoro” e gli artt. 35 e segg. che sanciscono i diritti fondamentali del lavoratore
subordinato.
34
In tal senso la sentenza della Corte Costituzionale n° 121 del 29 mar. 1993 e n°115 del 31 mar.1994, nonchè l’ordinanza della
stessa Corrte n° 409 del 1994.
13
DOTTRINA
La causa del contratto………
La straripante attività nomofilattica della Corte Costituzionale sembrava aver messo sotto
tutela anche il legislatore ordinario quasi si trattasse di un “legislatore debole” diffidandolo
dall’architettare tipi contrattuali formali che finissero per restringere la catagoria “lavoro
subordinato”.
L’imbrigliamento del legislatore in questa area che ci pare effettivamente “di confine” (e che
meritava forse una diversa soluzione), finisce per altro per avere una valenza anche contraria.
La Corte di Giustizia Europea ha infatti in maniera condivisibile affermato che nemmeno può
essere classificato “subordinato” un rapporto che sostanzialmente non lo sia 35; il che è abbastanza
ragionevole in quanto il lavoratore subordinato usufruisce di tutta una serie di garanzie e tutele da
parte dell’Ordinamento che non sarebbe corretto estendere a chi lavoratore subordinato
sostanzialmente non sia; e, in effetti, facendo mente locale ai rapporti di collaborazione sportiva, si
avverte un certo imbarazzo a ritenere che l’ombrello del diritto del lavoro riesca a riparare in egual
misura sia l’operaio Cipputi che l’atleta Del Piero.
Il caso dell’atleta dilettante è emblematico; la causa per la quale egli si sottomette ad un ferreo
regime di allenamenti, con ritmi precisi e cadenzati, con la previsione di sanzioni costituite da
rimproveri e dalla estromissione da allenamenti e gare, sotto la guida di un istruttore che agisce in
nome e per conto di una società sportiva, non è di “scambio” e non è nemmeno poi oneroso almeno
nella previsione dell’Ordinamento sportivo; eppure se si ragionasse in termini di tradizionali
elementi fisionomici della subordinazione ce li troveremmo tutti; dalla faciendi necessitas, alla
soggezione gerarchica e disciplinare, dalla personalità della prestazione al dovere di obbedienza.
Se questo è quello che il rapporto de quo “non è”, ancor più qualificante è quello che in realtà
“esso è”; la motivazione che spinge l’interessato a sottoporsi a tale regime ed a porre a disposizione
di un terzo le proprie capacità atletiche non è economica o non lo è soltanto; essa è semplicemente
“ludica e sportiva in senso lato”; la sua attività non è un lavoro ma è un “gioco” le cui regole
“somigliano” ma non sono affatto quelle che caratterizzano i rapporti di lavoro subordinato.
Questo atleta dilettante non si aspetta “un guadagno”; attraverso quella attività egli realizza
invece intimi desideri di primato agonistico e di appartenenza all’ambiente; egli realizza il suo
35
Corte Giustizia, Sez. I, 15 giug. 2006, causa C-255/04, vedila in RGL 2007, II, 237, con Nota di Arianna Avondola,
L’indisponibilità del tipo contrattuale in Sede legislativa nella nostra Giurisprudenza Costituzionale ed in quella Comunitaria.
Contrariamente a questo A. che rileva un contrasto fra il Giudice delle Leggi italiano e quello Europeo, pare al sottoscritto che le due
posizioni siano al contrario molto coerenti; se il tipo “contratto di lavoro subordinato” non è disponibile da parte del legislatore
appare logico che non lo sia in nessun senso per elementari ragioni di eguaglianza.
14
DOTTRINA
La causa del contratto………
desiderio di accrescimento tecnico oltre che di partecipare ai successi dei suoi colori; tutto questo
non ha niente a che vedere con la causa tipica dei contratti di lavoro né subordinato né autonomo.
Ma se quello dell’atleta dilettante è l’esempio classico, una simile “motivazione” la si ritrova,
poco o tanto, in tutte le componenti collaborative del settore dilettantistico; anche gli allenatori, gli
accompagnatori, i medici fino agli addetti alle attrezzature ed agli indumenti sono spinti a tale
attività da una causa che non è certo di scambio oneroso ma che è, anche per loro, “sportiva”;
anche per loro “seguire la squadra” è “uno sport” o lo è, comunque, in maniera prevalente36.
Per il professionismo sportivo la situazione si fa ovviamente assai più complicata, a causa
della presenza di forti variabili economiche, ma già anche a questo livello vi è un settore nel quale
la diversità della causa è visibile e palpabile; alludo alle “nazionali” dove il desiderio di
partecipazione, di appagamento e di affermazione personale è la causa sicuramente unica ed
esclusiva che spinge gli atleti a partecipare.
Nell’ambito degli atleti professionisti siamo molto vicini all’area dei lavoratori dello
“spettacolo” dove si verificano identiche commistioni fra causa di scambio e causa “personale ed
intima” (desiderio di affermazione e di raggiungimento della “fama”).
Siamo in una zona di confine dove per altro il legislatore ha certamente ampio spazio di
manovra; si vuol dire che se la legge non potrà qualificare diversamente un rapporto che è
visibilmente di lavoro subordinato, nelle “zone di confine” dove il crinale è incerto come è l’intera
area sportiva, il legislatore potrà
sempre stabilire un nuovo “tipo contrattuale” sganciato ed
indipendente dagli artt. 2094 e 2222 cc; potrà in altri termini definire e regolare autonomamente il
“contratto di collaborazione sportiva” giustificando l’operazione con la tipizzazione della sua
causa negoziale.
(*) Avvocato del foro di Firenze, Professore di diritto del Lavoro nell'Università di Firenze
36
Chi ha praticato i campetti di periferia dove si svolgono i campionati giovanili avrà preso atto che giocatori ed accompagnatori
(nonni, padri, madri e fratelli maggiori che si occupano del trasporto degli atleti, della conservazione e manutenzione delle
attrezzature, degli allenamenti) “giocano”, non “lavorano”.
15
DOTTRINA
Gli aspetti normativi………
GLI ASPETTI NORMATIVI DELLA VALORIZZAZIONE DELLO
SPORT: UN BREVE CONFRONTO CON IL SISTEMA FRANCESE
di Luca Leone (*)
SOMMARIO:
1. Il problema dell’organizzazione e della promozione dello sport in chiave sociale.
2. La situazione italiana.
3. Il possibile modello francese.
4. Note conclusive.
16
DOTTRINA
Gli aspetti normativi………
1. Il problema dell’organizzazione e della promozione dello sport in chiave sociale..
In anni recenti si è andata affermando in Italia, come sostanzialmente in tutto il mondo c.d.
occidentale, la considerazione dello sport quale attività di interesse pubblico, in virtù del
riconoscimento di una sua funzione sociale1.
Questa trova fondamento, oltre che nei benefici per la salute di chi pratica l’attività sportiva,
anche nell’importante ruolo economico e sociale dello sport, di cui sono manifestazione evidenti la
sua idoneità a contribuire proficuamente all’inserimento e all’integrazione sociale, la sua
partecipazione al processo di educazione non formale, l’impulso che esso crea verso gli scambi
interculturali e la sua capacità di creazione di posti di lavoro.
Espressione del riconoscimento di utilità sociale allo sport sono, a livello internazionale,
l’adozione da parte dell’UNESCO della Carta Internazionale dell’Educazione Fisica e dello Sport
nel 1978 e la dichiarazione dell’anno 2005 quale International Year of Sport and of Physical
Education (IYSPE); nonché, a livello europeo, l’intensa attività svolta dal Consiglio d’Europa a
partire dalla Risoluzione 38 del 1966 sull’Educazione fisica, lo sport e l’attività all’aperto. Più
recente è invece l’impegno dell’Unione Europea, attraverso atti di indirizzo del Parlamento
Europeo2, accordi tra gli Stati membri, come la Dichiarazione sullo sport allegata al Trattato di
Amsterdam del 1997, e soprattutto grazie agli studi della Commissione Europea, che hanno portato
all’importante Relazione di Helsinki sullo Sport del 1999 e alla successiva elaborazione di un
programma - denominato Matching Expectations - di coinvolgimento del movimento sportivo
europeo nelle scelte delle politiche dell’UE riguardanti lo sport, anche in considerazione della
possibile introduzione della materia nel Trattato dell’Unione3.
La promozione dello sport rientra pertanto oggi tra le finalità dei governi e, per le sue stesse
caratteristiche, deve essere perseguita su più dimensioni: internazionale, comunitaria e nazionale,
con il coinvolgimento di istituzioni ed enti di vario tipo, anche di carattere privato.
Si è compreso come essa non possa limitarsi ad un generico incremento in termini numerici
della pratica agonistica, dovendosi più specificamente perseguire la diffusione di attività sportive e
ricreative, anche amatoriali, in tutte le fasce di età e in tutti i livelli sociali, indipendentemente dalle
condizioni economiche e personali e contestualmente all’affermazione dei principi di correttezza,
1
Sull'importanza sociale dello sport si veda, ad esempio, G. VICCARO (a cura di), Qualità della vita e sport per tutti, Pisa, 2003.
Ci si riferisce in particolare alle risoluzioni del 6 maggio 1994 e del 7 settembre 2000.
3
Lo sport risulta già contemplato nel testo della c.d. Costituzione Europea, come è noto non entrata in vigore. L'argomento della
promozione dello sport a livello internazionale è stato sviluppato più ampiamente in L. LEONE, La promozione dello Sport in
ambito internazionale ed europeo, in GiustiziaSportiva.it, Padova, 2006, III, p. 26-50.
2
17
DOTTRINA
Gli aspetti normativi………
lealtà e solidarietà legati allo sport. Solo in questo modo lo sport potrà svolgere un effettivo ruolo
educativo, specialmente per i giovani, ed esprimere al meglio la sua benefica funzione sociale.
Si evidenzia quindi l'importanza di un supporto normativo coerente ed efficace sul quale
costruire un’idonea attività di diffusione dello sport, le cui caratteristiche meritano alcune
considerazioni, anche di carattere comparativo.
In generale in tutti gli Stati europei si avverte il problema dell’interferenza di attività e di
obiettivi tra istituzioni pubbliche ed enti sportivi, che crea una difficoltà notevole nel coordinamento
di una politica unitaria nello sport volta ad esaltarne la funzione sociale; con la conseguente
esigenza di riuscire ad instaurare dei rapporti di collaborazione tra direzione politica e ordinamento
sportivo, le cui forme debbono essere sviluppate secondo criteri di stabilità e rigore organizzativo4.
In questo contesto, l'Italia soffre forse ancor più di altri paesi della sovrapposizione di ruoli
nello sport, a fronte dell’indiscussa autonomia dell’ordinamento sportivo e di una parcellizzazione
di competenze nell’ambito pubblico tra Stato, parastato ed enti locali. Significativo in questo senso
è la fallimentare esperienza del Comitato nazionale sport per tutti, creato nel 1999 all’interno del
CONI con lo scopo di creare una camera di composizione delle aspettative e delle attività svolte da
soggetti pubblici e privati nella diffusione della pratica sportiva e definitivamente soppresso nel
2004, una volta riscontrata la sua totale inefficienza.
Esiste poi una notevole differenziazione in ambito locale di quelle che sono le attività legate
alla promozione dello sport, con riferimento sia agli obbiettivi che alle modalità di esecuzione.
Volendo azzardare un confronto specifico con qualche altro Stato, può essere utile compiere
una breve analisi comparativa con la Francia, paese assimilabile al nostro in tema di sport per
tradizione giuridica e per prospettiva culturale. Difatti, sebbene in entrambe le nazioni venga
riconosciuto dal legislatore l'interesse pubblico connesso alla diffusione della pratica sportiva,
l'ordinamento giuridico italiano appare carente rispetto a quello transalpino nella creazione di un
sistema pubblicistico – l’unico che ancora oggi sembra in ogni caso utilizzabile dall’Italia, per
ragioni sia storiche che strutturali – che per quanto ‘leggero’ possa essere, preveda comunque per lo
Stato un ruolo di centralità.
4
Considerazioni rintracciabili nel documento del 1999 della Commissione Europea noto come “The European Model of Sport” (vedi
infra, nota 21).
18
DOTTRINA
Gli aspetti normativi………
2. La situazione italiana.
In Italia l'organizzazione dello sport riceve, quantomeno nelle previsioni normative, l'indirizzo
fondamentale da parte delle istituzioni pubbliche, attesi in particolare i compiti attribuiti al Comitato
olimpico nazionale italiano (il CONI), sottoposto oggi alla vigilanza del Ministro per le politiche
giovanili e le attività sportive. Già l’art. 2 della legge 16 febbraio 1942 n. 426, che ha dato le
disposizioni riguardanti l'organizzazione del CONI dopo la sua trasformazione in ente pubblico
avvenuta nel 1934, individuava quali suoi compiti istituzionali “l'organizzazione ed il
potenziamento dello sport nazionale e l'indirizzo di esso verso il perfezionamento atletico con
particolare riguardo al miglioramento fisico e morale”.
Sono decisamente più ampi i compiti definiti oggi dall’art. 2 del d.lgs. 23 luglio 1999 n. 242,
in base al quale il CONI, oltre l'organizzazione ed il potenziamento dello sport nazionale (con
particolare riguardo alla preparazione degli atleti e l'approntamento dei mezzi idonei per le
Olimpiadi e per tutte le altre manifestazioni sportive nazionali o internazionali), deve occuparsi
anche del contrasto al doping, mediante l'adozione di misure di prevenzione e repressione dell'uso
di sostanze proibite nelle attività sportive, d’intesa con l'apposita Commissione di vigilanza e
controllo istituita ex art. 3 legge 14 dicembre 2000 n. 376; oltre che della realizzazione di opportune
iniziative contro ogni forma di discriminazione e di violenza nello sport, assunte direttamente o
comunque promosse dal CONI. Inoltre, il CONI deve curare “la promozione della massima
diffusione della pratica sportiva” sia per i normodotati che, di concerto con il Comitato italiano
paraolimpico, per i disabili, come pure ribadito dall'art. 12 bis, che prevede espressamente che il
CONI si impegni "presso il CIO, presso ogni organo istituzionale competente in materia di sport e
presso le federazioni sportive nazionali e le discipline sportive associate, affinché sia promosso e
sviluppato, con risorse adeguate, nell’ambito di tali strutture, di concerto con il Comitato italiano
paraolimpico, lo sport dei disabili"5.
Ma di sport si possono trovare tracce anche in diverse altre parti del voluminoso tessuto
normativo italiano.
Tralasciando qui la spinosa questione dell'insegnamento dell’educazione fisica all'interno
degli istituti scolastici e universitari, che meriterebbe apposita trattazione, risulta di particolare
rilevanza la citazione contenuta nel d.p.r. 24 luglio 1977 n. 616, nell'ambito del trasferimento di
funzioni amministrative alle Regioni e agli enti locali, laddove l'art. 56, nello specificare quali siano
5
L'art. 12 bis del d.lgs. 23 luglio 1999, n. 242, è stato introdotto dalla legge 15 luglio 2003, n. 189.
19
DOTTRINA
Gli aspetti normativi………
le funzioni trasferite alle Regioni in materia di «turismo ed industria alberghiera»6 (sic!) chiarisce
che esse comprendono pure "la promozione di attività sportive e ricreative e la realizzazione dei
relativi impianti ed attrezzature, di intesa, per le attività e gli impianti di interesse dei giovani in età
scolare, con gli organi scolastici"7.
Sono ivi peraltro fatte salve "le attribuzioni del CONI per l'organizzazione delle attività
agonistiche ad ogni livello e le relative attività promozionali" e viene inoltre data l'indicazione di
avvalersi in ogni caso della consulenza tecnica di tale ente statale per ciò che concerne gli impianti
e le attrezzature. Analoga clausola di salvaguardia con riguardo alle competenze la troviamo oggi
nel sopra citato art. 2 del d.lgs. 23 luglio 1999 n. 242, secondo il quale il CONI "cura inoltre,
nell'ambito dell'ordinamento sportivo [...] la promozione della massima diffusione della pratica
sportiva [...] nei limiti di quanto stabilito dal decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977
n. 616".
Il criterio di riparto delle attribuzioni in tema di sport si radica quindi sulla distinzione, non
sempre facile, tra attività competitiva di livello agonistico, di competenza del CONI, e attività fisica
qualificabile come dilettantistica, di competenza delle Regioni e in parte dei Comuni, in quanto
sono ad essi attribuite, ai sensi dell’art. 60 del D.P.R. 616/1977 e in coerenza con l'art. 118 della
Costituzione, le funzioni amministrative in materia di "promozione di attività ricreative e sportive".
Nel successivo trasferimento di funzioni agli enti territoriali, operato con il d.lgs. 31 marzo
1998 n. 112 viene nuovamente toccata la materia dello sport con riguardo all’attività di
programmazione degli interventi per l’impiantistica sportiva prevista dal d.l. 3 gennaio 1987 n. 28.
Questo decreto aveva invero previsto le procedure e le modalità di finanziamento per la
realizzazione di "programmi straordinari di interventi per l'impiantistica sportiva, finalizzati alla
costruzione, all'ampliamento, al riattamento, alla ristrutturazione, al completamento, al
miglioramento, alla sistemazione delle aree di parcheggio e servizio e all'adeguamento delle norme
di sicurezza di impianti sportivi, ivi comprese le attrezzature fisse e l'acquisizione delle relative
aree" (art. 1); specificando che tali impianti sono destinati, oltre che per attività agonistiche, anche
"a promuovere l'esercizio dell'attività sportiva" mediante appunto la realizzazione di strutture
polifunzionali.
6
Esse, a norma di tale articolo, concernono in generale tutti i servizi, le strutture e le attività pubbliche e private riguardanti
l'organizzazione e lo sviluppo del turismo regionale, anche nei connessi aspetti ricreativi, e dell'industria alberghiera, nonché gli enti
e le aziende pubbliche operanti nel settore sul piano locale.
7
Un commento critico a tale impianto normativo, definito “metodologicamente deviante e poco persuasivo” si rinviene in C.
BOTTARI, Attività motorie e attività sportive: problematiche giuridiche, Padova, 2002, p. 17.
8
Il d.l. 3 gennaio 1987, n. 2, è stato convertito con modificazioni dalla legge 6 marzo 1987, n. 65, a sua volta poi successivamente
modificata.
20
DOTTRINA
Gli aspetti normativi………
L'elaborazione dei programmi, riservata prima ad un'apposita commissione tecnica, diviene
così di competenza regionale, secondo criteri e parametri definiti però dall'autorità di governo
competente e acquisiti i pareri del CONI e della Conferenza Unificata9; restando peraltro ferme le
competenze su questo tema dell'Istituto per il credito sportivo, ente parastatale, riorganizzato al fine
di garantire un'adeguata rappresentanza al suo interno delle Regioni e delle autonomie locali10.
Per quanto attiene le Regioni, inoltre, deve ricordarsi come esse abbiano ottenuto negli ultimi
decenni un rafforzamento delle loro competenze sullo sport anche sotto altri punti di vista – in via
‘indiretta’ per così dire – sia nell’ambito di altre materie alle quali l’attività sportiva è in qualche
modo collegata (lavori pubblici, edilizia e urbanistica, formazione professionale per l’abilitazione
all’esercizio delle professioni sportive e tenuta dei relativi albi, turismo e spettacolo), sia con
l’attribuzione di funzioni specifiche, come quelle relative alla tutela sanitaria svolta dai medici
sportivi, ai sensi dell'art. 27 lett. b del d.p.r. 24 luglio 1977 n. 616.
La riforma costituzionale di cui alla legge cost. 18 ottobre 2001 n. 3 ha inoltre previsto la
potestà legislativa concorrente da parte delle Regioni in materia di «ordinamento sportivo»,
completando quindi il quadro dei vari interventi pubblici operati secondo una netta prospettiva di
decentramento. Tale indicazione, peraltro, deve essere intesa, grazie anche ad alcuni opportuni
chiarimenti della Corte Costituzionale, come sinonimo di «sport», senza andare perciò ad invadere
la sfera riservata alle istituzioni sportive (CONI, Federazioni Sportive Nazionali e Discipline
Associate) di regolamentazione delle attività sportive agonistiche11.
Rispetto all'esercizio delle potestà legislative regionali in materia - osservando che non si
riscontrano finora cambiamenti di tendenza conseguenti alla suddetta modifica costituzionale, stante
una limitata attività di indirizzo da parte dello Stato, che dovrebbe indicare i principi e criteri
direttivi ai sensi dell’art. 117 della Costituzione - possono rinvenirsi nette differenze da Regione a
Regione, accentuate anche dal fatto che non dappertutto esiste una normativa in ambito sportivo
ovvero esiste solo su alcuni aspetti12.
9
Art. 157, d.lgs. 31 marzo 1998, n. 112. Un commento su tale articolo in M. SANINO, Diritto sportivo, Padova, 2002, p. 41 ss.
Sull’Istituto per il credito sportivo e la sua riorganizzazione, B. MARCHETTI, Lo sport, in Trattato di diritto amministrativo (a
cura di S. Cassese), Milano, 2003, p. 954-956.
11
Si osservino in particolare le sentenze della Corte Costituzionale 1 ottobre 2003 n. 303 e 16 dicembre 2004 n. 424; in dottrina, tra
gli altri, A. DE SILVESTRI, Lo sport nelle costituzioni italiana ed europea, in GiustiziaSportiva.it, Padova, 2006, II, p. 15 ss. Sul
concetto invece generale di ordinamento sportivo e sul tema della sua autonomia rispetto all'ordinamento statale ‘prevalente’ si veda
M. OLIVIERI, L’ordinamento giuridico sportivo, in Diritto e ordinamento istituzionale sportivo, Roma, 1996, p. 37 ss.
12
In F. DI LASCIO, L’ordinamento sportivo nelle recenti leggi regionali, in Giornale di diritto amministrativo, Milano, 2007, 7, p.
702 ss., vengono esaminate le diverse normative regionali in tema di sport, verificando come esse si muovano all’interno della
cornice delineata dalla normativa statale, sì che non sussistono quasi problemi di conflitti di legittimità costituzionale in materia.
Questo dato, tuttavia, pare interpretabile, diversamente dall’Autrice, come indicativo di una scarsa guida statale, tenendo presente che
la costruzione di un efficace tessuto normativo ripartito è fisiologicamente soggetta a contrasti e querelle, secondo i modi e i tempi
previsti dal ordinamento giuridico.
10
21
DOTTRINA
Gli aspetti normativi………
Più in dettaglio, le leggi regionali di Umbria, Lazio, Molise e Toscana hanno inteso ad
esempio regolare il fenomeno sportivo privilegiando la tutela sanitaria nella pratica sportiva e
motoria e la medicina dello sport; altre regioni, come Marche, Basilicata, Lombardia, Emilia
Romagna e Veneto hanno invece posto come loro obiettivi principali l’incremento delle strutture e
degli spazi destinati allo svolgimento dell’attività sportiva e le modalità della loro gestione, in
accordo oggi con le disposizioni dell’art. 90 della legge 27 dicembre 2002 n. 28913.
E mentre in Veneto si rileva pure una legge tesa allo sviluppo delle attività sportive rivolte in
favore delle persone disabili, in Emilia Romagna, Toscana, Sardegna e Piemonte si è legiferato
cercando anche di individuare i criteri di qualificazione degli operatori sportivi.
Si registrano peraltro degli interessanti tentativi di disciplinare la materia a livello regionale in
senso ‘codificatorio’, dei quali possono ricordarsi come esempi significativi la l.r. 6/2002 della
Liguria, la l.r. 8/2003 del Friuli Venezia Giulia e la l.r. 20/2000 dell’Abruzzo, riportanti tutte
l’indicazione di «testo unico». In queste leggi è più evidente l’ottica di regolamentazione generale
della materia, sì che viene dato maggior accento al carattere sociale dello sport e,
conseguentemente, valorizzata la funzione di promozione della pratica sportiva e motoria.
Deve poi segnalarsi l'esistenza in parecchie Regioni di un particolare organo che può svolgere
compiti di mediazione tra i diversi soggetti coinvolti in ambito locale, rappresentato dalla Consulta
regionale per lo sport - o altrimenti denominata - con compiti di consulenza della Giunta regionale
in materia di sport e tempo libero, in particolare con riferimento alle iniziative legislative in materia
e all'attività di programmazione. Questo collegio, costituito con decreto del Presidente della
Regione, comprende rappresentanti dei diversi enti pubblici e delle istituzioni sportive esistenti sul
territorio14.
13
La Corte Costituzionale, con sentenza 16 dicembre 2004 n. 424, ha chiarito, in particolare, che i commi 24, 25 e 26 dell’art. 90,
legge 27 dicembre 2002 n. 289, recano principi fondamentali della materia ‘ordinamento sportivo’, ai sensi dell’art. 117 della
Costituzione.
14
A titolo esemplificativo, la Consulta per lo Sport del Veneto, istituita ai sensi degli artt. 9 e 10 della legge regionale n. 12 del 5
aprile 1993, è presieduta dall'assessore regionale competente per materia o da un suo delegato ed è così composta: tre amministratori
di enti locali (uno in rappresentanza dei comuni designato dall'ANCI, uno in rappresentanza delle Comunità montane designato
dall'UNCEM e uno in rappresentanza delle province designato dall'URPV); il delegato regionale del CONI, oltre a un esperto
designato dalla delegazione regionale del CONI, nei casi in cui si tratti di impiantistica sportiva; tre rappresentanti delle federazioni
sportive nazionali, di cui uno in rappresentanza della FISD, designati dalla delegazione regionale CONI; tre rappresentanti degli enti
di promozione sportiva a carattere nazionale, riconosciuti dal CONI, maggiormente rappresentativi a livello regionale, tenuto conto
del numero delle società sportive o ricreative motorie affiliate, del numero di tesserati e dell'attività svolta nell'ambito della Regione;
un rappresentante per ogni Istituto superiore di educazione fisica con sede nel Veneto, ora sostituito dal Preside della Facoltà di
Scienze Motorie dell'Università degli Studi di Verona; il sovrintendente scolastico regionale o suo delegato; un rappresentante della
regione militare nordest; il dirigente del dipartimento sport e tempo libero.
22
DOTTRINA
Gli aspetti normativi………
Relativamente alla promozione e al sostegno allo sport si evidenzia nel modello organizzativo
italiano, come si è visto, una suddivisione di competenze pubbliche che vede la diffusione della
pratica sportiva agonistica come un compito statale, da attuarsi attraverso l'azione (o rectius la
direzione) del CONI, mentre la diffusione invece dell’attività sportiva amatoriale spetta alle Regioni
e agli enti locali, con chiare conseguenze anche sull'impiantistica. Come pure la Corte
Costituzionale ha avuto modo di precisare "la vera e unica linea di divisione fra le predette
competenze è quella fra l'organizzazione delle attività agonistiche, che sono riservate al CONI, e
quella delle attività sportive di base o non agonistiche, che invece spettano alle Regioni.
La ripartizione delle competenze sugli impianti e sulle attrezzature è del tutto consequenziale
alla precedente distinzione, nel senso che, mentre lo Stato è pienamente legittimato a programmare
e a decidere gli interventi sugli impianti e sulle attrezzature necessari per l'organizzazione delle
attività sportive agonistiche, le Regioni vantano invece la corrispondente competenza in relazione
all'organizzazione delle attività sportive non agonistiche", intendendo con quest'ultima espressione
soltanto quelle pratiche motorie "svolte per svago o dirette a sviluppare la forza o l'efficienza del
proprio corpo", quindi fondamentalmente di tipo ludico-ricreativo, cui riconnettere i relativi
impianti sportivi15.
Questa ripartizione, già in astratto opinabile, da luogo in concreto ad una situazione
quantomeno disordinata, caratterizzata dall'assenza di una direzione organizzativa, la cui necessità
tende ancor più ad accentuarsi quando si focalizza l'attenzione sui differenti rapporti che ciascuna
istituzione dedita alla valorizzazione dell'attività sportiva, sia privata che pubblica, intrattiene con le
scuole e le università, secondo assetti che si presentano, in modo piuttosto casuale, territorialmente
variegati.
Un tentativo di migliorare la situazione era stato fatto, in verità, dal d.lgs. 23 luglio 1999 n.
242 di riordino del CONI, che aveva istituito all'interno di esso, riconoscendogli valenza organica, il
Comitato nazionale sport per tutti, proprio con lo scopo di promuovere la diffusione della pratica
sportiva; nel tentativo di compiere un’importante operazione di raccordo tra l’organizzazione
centrale dello sport, l’associazionismo e il sistema delle autonomie locali.
Questo organo collegiale, composto da rappresentanti del CONI, del Ministero della pubblica
istruzione, degli enti di promozione, delle Regioni e degli altri enti locali, doveva occuparsi di
fissare gli indirizzi per la diffusione e lo sviluppo delle forme di pratica sportiva, proporre al
15
Corte Costituzionale, 26 novembre 1987, n. 517. Sul sistema organizzativo dello sport in Italia si veda anche M. COLUCCI (a cura
di), Lo sport e il diritto, profili istituzionali e regolamentazione giuridica, Napoli, 2004.
23
DOTTRINA
Gli aspetti normativi………
Consiglio e alla Giunta l’adozione di misure e iniziative attuative e, inoltre, collaborare alla
realizzazione di particolari eventi di promozione dello sport realizzati dai diversi soggetti
competenti in materia (in particolare dalle istituzioni universitarie e scolastiche), stabilendo anche i
criteri per eventuali finanziamenti erogati dal CONI.
Il Comitato, che per lo svolgimento delle proprie funzioni avrebbe dovuto avvalersi degli
uffici centrali e periferici del CONI, non si è mai insediato a causa della ferma opposizione delle
Regioni, che non hanno voluto riconoscersi in un organo di un ente statale, temendo evidentemente
di vedersi private della loro autonomia decisionale, ed è stato alla fine soppresso ad opera del d.lgs.
8 gennaio 2004 n. 15. Si è perduta così l'occasione di verificare se tale collegio sarebbe stato in
grado di porsi quale soggetto di riferimento e sede di incontro dei soggetti pubblici coinvolti nello
sviluppo dell’attività sportiva - intesa qui come servizio sociale da assicurare ai cittadini - al fine di
garantire un miglior coordinamento e una collaborazione più efficace tra le diverse istituzioni16.
Contestualmente alla soppressione del Comitato nazionale sport per tutti è stato riconosciuto
un maggiore peso all’interno del CONI agli «enti di promozione sportiva» e, in misura più limitata,
anche alle «associazione benemerite».
Si è ritenuto quindi di volgere gli sforzi istituzionali in materia di promozione dello sport in
un’altra direzione, evidentemente ritenuta migliore in termini di efficacia secondo il principio della
sussidiarietà orizzontale, che chiede di valorizzare le sinergie tra pubblico e privato attraverso
l’attribuzione di compiti a formazioni sociali adeguate allo svolgimento di compiti di natura
pubblicistica.
Gli enti di promozione si occupano infatti, senza scopo di lucro, di promuovere e organizzare
attività fisico-sportive con finalità ricreative e formative e ricevono annualmente un contributo dal
CONI, dopo avere ottenuto da esso il ‘riconoscimento’ formale, in relazione alla consistenza
organizzativa ed all’attività svolta; con conseguenti obblighi di relazione documentale alla Giunta,
che in caso di riscontrate irregolarità può proporre al Consiglio la sospensione o la riduzione dei
contributi, se non addirittura la revoca del riconoscimento sportivo.
È stato perciò concessa a tali enti, con la riforma del 2004, una corposa rappresentanza
all’interno degli organi di vertice del CONI (cinque nel Consiglio e uno nella Giunta); così come in
parte è accaduto anche per le associazioni benemerite, avendo ora esse un loro rappresentante
all'interno del Consiglio.
16
Sul punto L. LEONE, La riforma del CONI: significato e ripercussioni in un’ottica giuridica, in FUMAGALLI-BERTINATO (a
cura di), Sport: da fenomeno a bisogno della società, Padova, 2005, p. 102 ss.
24
DOTTRINA
Gli aspetti normativi………
Queste ultime sono state riconosciute dal CONI a partire dal 1979, in quanto enti nazionali
che svolgono attività culturali, scientifiche o tecniche di notevole rilievo (c.d. attività a vocazione
sportiva), mirate a propagandare e diffondere il valore dello sport e realizzate anche attraverso
iniziative promozionali a vari livelli17.
Tutti questi enti privati sono i medesimi che ricevono sostentamenti dalle Regioni e dagli enti
locali per lo svolgimento di attività di organizzazione e promozione dello sport amatoriale, cosicché
le loro iniziative, portate avanti con diversi interlocutori istituzionali, sembrano oggi rappresentare
l’unico punto d’incontro delle diverse prospettive pubbliche nel settore.
La struttura organizzativa italiana in materia di sport, formatasi su una normativa potenziata in
parte negli ultimi anni, ma decisamente frammentaria e con una netta propensione delocalizzante
nell'attribuzione dei compiti, può essere compiutamente valutata solo ‘sul territorio’, al fine di
verificare se alla ripartizione delle competenze corrisponda effettivamente lo svolgimento delle
funzioni e in che misura la promozione dello sport sia appannaggio delle istituzioni private piuttosto
che di quelle pubbliche.
Un riscontro delle attività svolte concretamente a sostegno della diffusione dello sport porta in
effetti ad evidenziare come sul territorio gli enti pubblici praticamente non promuovano quasi in
alcun caso la pratica sportiva in modo diretto, né pratichino proprie iniziative di sostegno,
limitandosi a supportare, economicamente e logisticamente, enti privati – federazioni sportive,
associazioni (per lo più Enti di promozione sportiva) e società sportive – attraverso la gestione di
appositi fondi e delle infrastrutture sportive18.
Questo modello organizzativo può risultare funzionale sotto vari aspetti, anche dal punto di
vista della spontaneità e varietà dell'offerta, ma soffre della mancanza di un reale centro di
coordinamento e direzione dell'intero sistema; a fronte di una normativa ancora legata ad una
matrice pubblicistica, che ripartisce competenze amministrative tra gli enti locali e mantiene la
natura pubblica dell'istituzione di vertice dello sport in Italia, il CONI, e che tuttavia non riesce poi
a fornire le soluzioni organizzative per un'effettiva e diretta attività di controllo e di direzione da
parte dello Stato e degli enti locali sugli attori del mondo sportivo.
17
Sulla soppressione del Comitato nazionale sport per tutti e la conseguente modifica nella composizione del Consiglio nazionale del
CONI si veda G. NAPOLITANO, L’adeguamento del regime giuridico del CONI e delle federazioni sportive, in Giornale di diritto
amministrativo, Milano, 2004, 4, p. 354, ove viene peraltro osservato che, con tale mutamento, si rischia che “la matrice politicosindacale degli enti di promozione introduca all’interno del CONI una dialettica estranea alle scelte di indirizzo sportivo".
18
Sulla gestione degli impianti sportivi e le possibilità di finanziamenti pubblici per attività sportive, F. ASCANI, Management e
gestione dello sport, Milano, 2004.
25
DOTTRINA
Gli aspetti normativi………
Inoltre, la parcellizzazione delle attività comporta inutili sovrapposizioni di compiti e la
tendenza ad una progettazione troppo legata alle capacità economiche e socio-culturali già esistenti
nel territorio, a sfavore degli sport meno conosciuti e a detrimento della situazione esistente nelle
aree geografiche sotto vari aspetti più disagiate. Le capacità dell'attuale impianto in termini di
efficienza tendono quindi a ridursi a causa di un sistema a monte che presenta aspetti di ambiguità,
poiché attribuisce a diverse strutture pubbliche le competenze in tema di sport, stante la
considerazione normativa della sua funzione sociale, ma lascia nel vago le modalità di effettivo
svolgimento di tali competenze, in un settore già caratterizzato di per sé da una dimensione
privatistica molto accentuata.
La situazione non sembra peraltro essere molto migliorata, almeno per ora, anche dopo
l'arrivo del Ministro (senza portafogli) per le politiche giovanili e le attività sportive, che costituisce
comunque una novità degna di rilievo, in quanto su tali materie sono state ad esso assegnate le
funzioni di "indirizzo e coordinamento di tutte le iniziative, anche di carattere normativo"19. In
particolare, per l'ambito sportivo, la delega di funzioni riguarda le proposte e l’attuazione di progetti
legati allo sport, la cura dei rapporti con enti ed istituzioni intergovernative - tra le quali, oltre a
Unione Europea, Consiglio d’Europa e UNESCO, si segnala anche la WADA (World Anti-Doping
Agency) – oltre che con le federazioni sportive e con gli altri soggetti operanti nel settore dello
sport, anche con riferimento alla prevenzione del doping e alla violenza nello sport. Il Ministro si
occupa, infine, della vigilanza sul CONI e sull’Istituto per il credito sportivo.
Valutando, dopo più di un anno di attività, l’attività del Ministro delle politiche giovanili e
delle attività sportive mirata a favorire la crescita del movimento sportivo, si osserva come le azioni
che sono state messe in atto a livello statale sotto la sua guida non segnano invero un cambio di
strategia e corrispondono per lo più alla (rinnovata) concessione di finanziamenti e di agevolazioni
fiscali, in relazione sia all’attività amatoriale che a quella agonistica20.
L’innovativa presenza di un Ministro dedicato non pare quindi andare molto al di là di un
semplice ruolo di studio e di indagine, svolto tramite statistiche, monitoraggi settoriali e raccolta di
dati, anche al fine di proposte legislative, ma ancora insufficiente per realizzare un’idonea attività di
19
D.P.C.M. 15 giugno 2006, art. 1, in G.U. n. 149 del 29 giugno 2006.
La finanziaria 2007, l. 27 dicembre 2006, n. 296, ha previsto in particolare, al fine della promozione dell'attività sportiva,
detrazioni fiscali a favore delle famiglie per l'attività sportiva praticata dai minori; finanziamenti per l'impiantistica, gestiti
dall'Istituto per il Credito sportivo; stanziamenti economici per sostenere le attività del CONI, del Comitato Italiano Paralimpico e
della Commissione per la vigilanza e il controllo sul doping e per la tutela della salute nelle attività sportive, istituita presso il
Ministero della Salute, ai sensi dell'art. 3, d.lgs. 14 dicembre 2000 n. 376.
20
26
DOTTRINA
Gli aspetti normativi………
coordinamento e direzione del movimento sportivo italiano, in funzione degli aspetti di interesse
pubblico ad esso connessi.
Nell’attuale assetto delle possibili azioni pubbliche legate alla diffusione dello sport,
stabilizzatosi da molti anni sulla distinzione tra attività sportiva agonistica e attività amatoriale per
quanto attiene il riparto di competenze, appare perciò ancora irrisolto in Italia, specialmente in
assenza di efficaci forme di coordinamento istituzionale, il problema di come riuscire a veicolare le
energie connesse allo sport agonistico di richiamo verso un’attenzione a livello diffuso nei confronti
di un’attività sportiva a matrice sociale, legata anche a valori culturali e antropici, oltre che di
salute.
3. Profili comparativi con il modello francese.
Uscendo dai confini nazionali si riscontra – anche limitando l'osservazione alla sola Unione
Europea e malgrado la possibilità di ravvisare un ‘modello europeo di sport’21 – una certa diversità
di organizzazione dello sport nei diversi paesi e notevoli differenze nella ripartizione dei ruoli tra
organizzazioni sportive e autorità governative.
Si possono infatti distinguere da un lato, Stati caratterizzati da un debole grado di immissione
delle autorità governative negli affari sportivi, ove esiste perciò un modello organizzativo dello
sport c.d. liberale, appannaggio per lo più dei paesi dell'Europa del nord e nel quale i soggetti
privati giocano un ruolo fondamentale; dall’altro lato, Stati dove viene viceversa seguito un modello
definibile come intervenzionista, tradizionalmente radicato nei paesi per la maggior parte riferibili
all'area dell'Europa meridionale22.
Un criterio per valutare l'incidenza dell’intervento statale in materia di sport può ricavarsi
anche dalla verifica dell'esistenza o meno di una legge generale sullo sport. Stati quali Austria,
Belgio e Francia, ma pure Finlandia (che fa quindi eccezione, in questo come in altri casi, rispetto
alla maggioranza degli Stati nordici), Portogallo e Spagna23 presentano simili leggi, che si
differenziano tuttavia per contenuto.
Varia poi notevolmente, da paese a paese, il livello di autonomia di cui godono gli organismi
territoriali interni e le relative potestà legislative in ambito sportivo: la Germania, ad esempio, ha
21
Ci si riferisce allo studio realizzato nel 1999 dalla Commissione Europea, Direzione Generale 10, noto come “The European
Model of Sport” e presentato quale documento integrativo della Relazione di Helsinki, ove venne svolta un’importante indagine sul
sistema organizzativo dello sport in Europa al fine di evidenziare le caratteristiche comuni tra i diversi paesi, sì da potersi parlare di
un vero e proprio modello europeo divergente da altri, come ad esempio quello statunitense.
22
Per una disamina del diritto sportivo e dell’organizzazione dello sport in ambito europeo, J.M. DE WALE – A. HUSTING (a cura
di), Sport et Union européenne, Bruxelles, 2001.
23
Deve segnalarsi come i due Stati iberici, al pari della Grecia, contemplano lo sport pure nella propria Costituzione.
27
DOTTRINA
Gli aspetti normativi………
lasciato ai Länder una piena capacità normativa sull'argomento, sì che cinque tra loro hanno
adottato una legge particolare sullo sport; e così la Spagna, che dispone di una legge sullo sport dal
1990, ha attribuito alle sue comunità autonome una potestà legislativa di carattere generale in
materia, esercitata da quasi tutte allo scopo di darsi una propria legislazione concernente lo sport.
Alcuni Stati invece, pur senza avere adottato leggi specifiche in tema di sport, si sono comunque
preoccupati di regolamentare alcuni suoi aspetti particolari; in particolare il Regno Unito,
d'orientamento incontestabilmente liberale, ha adottato una legislazione particolarmente repressiva
concernente le manifestazioni di violenza nello sport, al fine di contrastare il fenomeno degli
hooligans sul suo territorio.
E se l'Italia costituisce una sorta di anomalia, perché, sebbene presenti una normativa
nazionale sullo sport, si contraddistingue per un intervento pubblico nella pratica piuttosto
modesto24, è la Francia a distinguersi invece in seno all'Unione europea come uno dei paesi che più
si è spinto in avanti sotto questo profilo. È sintomatico che essa sia uno dei pochi Stati a disporre
d'un dipartimento ministeriale specificatamente dedicato allo sport, all'interno del Ministere de la
jeunesse, des sports et de la vie associative; mentre in Italia si è riusciti solo di recente a passare
dalla previsione di un sottosegretariato dedicato allo sport, all'interno del Ministero per i Beni e le
Attività Culturali, all’istituzione dell’autonoma figura del Ministro per le politiche giovanili e le
attività sportive, tuttavia privo, come si è già osservato in precedenza, di dicastero.
In particolare, l’organizzazione pubblica per lo sport in Francia prevede l’esistenza, a livello
centrale e territoriale, della citata compagine ministeriale, con servizi sparsi sul territorio, di 22
direzioni della gioventù e dello sport regionali e 83 dipartimentali, di 24 centri regionali per lo sport
e l'educazione fisica e di 5 scuole e istituti nazionali.
Lo Stato è responsabile dell’insegnamento dell’educazione fisica e sportiva, sotto l’autorità
del Ministro dell’educazione nazionale, e della formazione diretta all’esercizio delle differenti
professioni dell'insegnamento o del controllo di attività fisiche e sportive, sotto l’autorità del
dipartimento ministeriale per lo sport, che rilascia i diplomi di educatore sportivo.
Tra gli obiettivi legati allo sport perseguiti dal Ministero vi sono quelli di sostenere, a livello
nazionale, gli sforzi delle federazioni e delle leghe sportive e, a livello locale, i club e i comitati, per
favorire la strutturazione dell’offerta sportiva, la diversificazione delle pratiche e l’aumento dei
praticanti, con particolare attenzione ai giovani sfavoriti, alle donne, alle famiglie e ai disabili; di
24
Questo aspetto del sistema italiano in materia di sport è stato rilevato anche all’estero. Così in C. MIEGE, Sport et le droit, in
Cahiers Français, 2004, n. 320, p. 21 ss.
28
DOTTRINA
Gli aspetti normativi………
garantire l’alto livello internazionale dello sport francese, attraverso contributi specifici25 e fornendo
le attrezzature necessarie agli sportivi per prepararsi nel miglior modo possibile alle grandi
competizioni di riferimento (giochi olimpici e paraolimpici, campionati mondiali ed europei); di
organizzare la gestione degli impianti sportivi presenti su tutto il territorio nazionale, con
riferimento sia alle collettività territoriali che alle associazioni sportive, preoccupandosi anche di
favorire il maggiore accesso possibile a tutti i soggetti interessati; di operare una politica razionale
ed equilibrata di organizzazione del territorio e di sviluppo duraturo della pratica sportiva,
attraverso un'attività di censimento degli impianti sportivi, dei luoghi e degli spazi dedicati alle
pratiche e con il sostegno alle azioni di sensibilizzazione e d’informazione mirate ad un utilizzo
equilibrato dei siti, sopratutto con riguardo alle pratiche svolte in ambienti naturali; di svolgere
attività di studio e di controllo della normativa in tema di sport, verificandone anche la sua effettiva
applicazione; di elaborare, infine, una politica di salute in materia sportiva, al fine di proteggere la
salute dello sportivo e di preservare il suo valore di esempio positivo all'interno della società,
realizzando a tale scopo pure specifiche attività di contrasto al fenomeno del doping.
All'interno del Ministero opera anche il CNDS (Centro nazionale per lo sviluppo sportivo),
che mira a sviluppare la promozione sportiva a tutti i livelli attraverso la cooperazione di tutti i
soggetti che fanno parte del mondo sportivo, così come avrebbe dovuto fare in Italia il Comitato
nazionale sport per tutti, di cui si è detto in precedenza.
In Francia l'origine dell'intervento dello Stato nel campo dello sport risale essenzialmente alla
Carta degli Sport, edita nel dicembre del 1940 dal governo di Vichy, che risentì della particolare
situazione creata dagli eventi bellici. Con la fine della guerra, nel 1945, invece del ritorno
all'autonomia del movimento sportivo, vi è stata la consacrazione del principio della delega dei
poteri da parte dello Stato alle federazioni sportive, in virtù del riconoscimento della missione di
servizio pubblico che esse assumono nel diffondere la loro disciplina.
Questa struttura giuridica ha subito permesso di evidenziare il ruolo sociale che le federazioni
esercitano assicurando la promozione dello sport, assoggettandole così a una serie di obblighi, i cui
contorni hanno poi continuato a essere ridefiniti in via normativa e giurisprudenziale.
In particolare, la legge 16 luglio 1984 n. 84-610, relativa all'organizzazione e la promozione
delle attività fisiche e sportive e modificata numerose volte, ha fissato nel tempo gli aspetti
25
A tale scopo fornisce finanziamenti per l’attività del CNOSF (Comité National Olympique et Sportif Français), che è l'omologo del
nostro CONI.
29
DOTTRINA
Gli aspetti normativi………
fondamentali del sistema, riprendendo le disposizioni anteriori e riaffermando il principio della
ripartizione dei compiti tra Stato, federazioni sportive ed enti locali, sotto la guida statale26.
Il quadro normativo delineato da questa legge - oggi trasfusa nel nuovo Code du Sport - tiene
conto di una situazione di fatto che vede all'interno del mondo sportivo una moltitudine di soggetti,
tanto pubblici che privati, le cui motivazioni possono facilmente divergere. È perciò stato creato un
sistema che permette di tutelare le federazioni sportive, associazioni di diritto privato,
riconoscendone la partecipazione all'esecuzione d'un servizio pubblico, e che assicura tuttavia allo
Stato lo svolgimento in via esclusiva di una funzione di controllo e più largamente un ruolo di
coordinamento e direzione nei confronti del movimento sportivo.
Questo sistema, corrispondente appieno allo sviluppo della politica sportiva statale in favore
dello sport nei primi decenni della quinta Repubblica, è stato solo in parte incrinato dalla crescente
liberalizzazione transnazionale del settore sportivo, a seguito dei noti effetti della sentenza Bosman,
e si mostra tuttora come un peculiare modello organizzativo in tema di sport.
Le federazioni sportive esercitano la loro attività in piena indipendenza27, ma è altresì previsto
che siano assoggettate alla vigilanza del ministro incaricato dello sport, che verifica anche il rispetto
da parte delle federazioni delle leggi e dei regolamenti in vigore.
Le federazioni, in considerazione della capacità loro riconosciuta di partecipare all'esercizio
di una funzione di servizio pubblico – come pressappoco stabilito pure in Italia dall’art. 15 del d.lgs.
23 luglio 1999 n. 24228 – devono adottare all'interno degli statuti determinate disposizioni
obbligatorie e conformare i loro regolamenti disciplinari ad un regolamento tipo, definito attraverso
un apposito decreto dal Consiglio di Stato.
26
Questi gli argomenti trattati dalla fondamentale legge 16 luglio 1984, n. 84-610: lo sviluppo dello sport come attività di interesse
generale; il Consiglio nazionale attività fisiche e sportive (CNAPS); i soggetti, cioè lo Stato, il Comitato olimpico nazionale e
sportivo francese (CNOSF), le federazioni, le associazioni, i club professionistici, le collettività territoriali, le imprese e gli
intermediari; l'organizzazione delle attività fisiche e sportive; lo promozione delle attività fisiche e sportive; la regolamentazione delle
attività fisiche e sportive; il sostegno alla diffusione della pratica sportiva; la formazione. Per un commento all’ultima versione della
legge n. 84-610, P. BAYEUX, La nouvelle loi sur le sport, Voiron Cedex, 2003.
27
In questi termini si esprime l’art. 16-1, legge 16 luglio 1984, n. 84-610.
28
In tale articolo questa previsione è peraltro espressa in modo piuttosto limitato, attraverso un rinvio alle determinazioni del
Consiglio nazionale del CONI, dove la rappresentanza federale è molto forte, sì che finisce in pratica che siano le stesse Federazioni
sportive a decidere quali sono le loro attività di rilevanza pubblicistica. È infatti stabilito che "le Federazioni sportive nazionali e le
Discipline sportive associate svolgono l’attività sportiva in armonia con le deliberazioni e gli indirizzi del CIO, delle Federazioni
internazionali e del CONI, anche in considerazione della valenza pubblicistica di specifiche tipologie di attività individuate nello
Statuto del CONI". Queste tipologie sono indicate nell'art. 23 dello Statuto del CONI, deliberato dal Consiglio nazionale del CONI il
23 marzo 2004 e approvato con decreto ministeriale del 23 giugno, in base al quale "hanno valenza pubblicistica esclusivamente le
attività delle Federazioni sportive nazionali relative all'ammissione o all'affiliazione di società, di associazioni sportive e di singoli
tesserati; alla revoca a qualsiasi titolo e alla modificazione dei provvedimenti di ammissione o di affiliazione; al controllo in ordine al
regolare svolgimento delle competizioni e dei campionati sportivi professionistici; all'utilizzazione dei contributi pubblici; alla
prevenzione e repressione del doping, nonché le attività relative alla preparazione olimpica e all'alto livello alla formazione dei
tecnici, all'utilizzazione e alla gestione degli impianti sportivi pubblici".
30
DOTTRINA
Gli aspetti normativi………
Sono ivi stabilite, ad esempio, la composizione della federazione, le modalità di
funzionamento dei suoi organi, la natura delle sue risorse e le forme di controllo, sia interne che
esterne.
Tra le federazioni sportive lo Stato distingue poi quelle cui accorda una delega ministeriale
finalizzata allo svolgimento delle prerogative di potere pubblico, con riguardo principalmente
all'organizzazione delle competizioni al termine delle quali vengono consegnati i titoli ufficiali
(internazionali, nazionali, regionali o dipartimentali), anche allo scopo di procedere alle relative
selezioni e alla definizione delle regole tecniche proprie della disciplina sportiva.
Il meccanismo della delega ministeriale, oltre ad accrescere i poteri delle federazioni,
garantisce loro un vero monopolio nella capacità di rappresentare quella data disciplina sul piano sia
nazionale che internazionale; sotto la previsione, d’altro canto, addirittura di sanzioni penali in caso
di infrazioni. Parallelamente, gli atti delle federazioni sportive che si avvalgono dei poteri delegati
dal ministero possono essere portati dal Ministro incaricato dello sport davanti al giudice
amministrativo, se considerati illegittimi.
Per quanto concerne invece le possibilità di tutela per i cittadini in relazione alle decisioni
federali, ed in particolare a quelle che rivestono carattere disciplinare, fatta comunque salva la
possibilità di applicazione di procedure arbitrali, deve osservarsi come i contenziosi siano sottoposti
correntemente alla giurisdizione ordinaria e amministrativa, secondo la linea di demarcazione
definita nel corso del tempo dalla giurisprudenza.
Esiste in Francia una posizione di subordinazione effettiva del diritto sportivo al diritto
comune e una concomitante restrizione dell'autonomia delle federazioni, che sembrano invero dare
vita in misura molto minore che in Italia a quei moti di insofferenza e a quelle rivendicazioni di
autonomia da parte del mondo sportivo ai quali siamo stati abituati in anni recenti e che hanno
trovato l’avallo talora del legislatore, come nel c.d. decreto salva calcio del 200329.
È anche interessante notare come, con riguardo all'impiantistica sportiva, vi sia stato in terra
transalpina un tendenziale mutamento in anni recenti.
Lo Stato si è infatti occupato direttamente del miglioramento e del potenziamento degli
impianti sportivi, a partire dalla creazione, sotto il regime di Vichy, del Commissariato generale
all'educazione fisica e agli sport, con vasti compiti in relazione agli impianti e allo sport scolastico;
ma a partire dal 1982 le leggi di decentramento amministrativo hanno modificato la situazione a
favore di una più forte attribuzione di competenze in ambito locale. Così, mentre in precedenza il
29
Decreto legge 19 agosto 2003 n. 220, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 ottobre 2003 n. 280.
31
DOTTRINA
Gli aspetti normativi………
finanziamento di una parte del costo degli impianti (all’incirca il 30%) era assicurata dallo Stato,
che per contro dettava le regole per la gestione dei servizi, i Comuni si sono visti riconoscere una
serie di attribuzioni pubbliche, ulteriormente ampliata nel 1985, sì da permettere loro notevoli
margini di manovra con riguardo alla scelta e alla gestione delle installazioni dirette all'attività
sportiva.
In quell'epoca si affermò, in effetti, l'idea che lo sport e i suoi impianti potessero contribuire a
valorizzare i quartieri periferici e molte iniziative furono quindi proposte nel più ampio quadro
politico di sviluppo delle città; tra esse possono ricordarsi quelle rientranti nell'ambito dei c.d.
cinquanta grandi progetti di città, che hanno dato vita a grandi collaborazioni interistituzionali tra
gli enti territoriali e con l'ausilio dei diversi soggetti associativi, portando ad operazioni di
riqualificazione di siti e di rinnovamento urbano30.
La legislazione relativa al rinforzo e alla semplificazione della cooperazione intercomunale
diede poi nel 1999 un ulteriore slancio alla solidarietà territoriale, attraverso la creazione di
specifiche istituzioni dedicate alla cura degli agglomerati urbani di notevoli dimensioni.
Con la legge 25 giugno 1999 n. 99-533, dedicata alla pianificazione e allo sviluppo duraturo
del territorio, è stata pertanto coerentemente espressa l'ambizione in qualche modo di ‘declinare’ lo
sport in funzione delle diverse realtà locali, decidendo di porre al centro dei dispositivi di
pianificazione degli appositi schemi di servizi collettivi settoriali; con il triplice obbiettivo di
suscitare e raggruppare il dinamismo e la cooperazione in ambito periferico, di garantire e
ottimizzare il funzionamento dei servizi pubblici e di integrare le esigenze di uno sviluppo stabile.
Nell'attività di pianificazione successiva vennero presi in considerazione anche ambiti non
prettamente legati all'impiantistica sportiva, come gli spazi pubblici e gli spazi naturali e rurali,
trasformando così l'elaborazione stessa dei documenti di pianificazione secondo modalità di
esecuzione condivise e differenziate in base alle diverse realtà presenti sul territorio.
Dopo il ruolo fondamentale giocato in passato dallo Stato nella gestione della pratica sportiva
e nella gestione della pratica sportiva e nella creazione di impianti sportivi, oggi sono quindi gli enti
locali che, creando servizi e sostenendo progetti e altre forme di azioni pubbliche, contribuiscono
maggiormente allo sviluppo di una cultura sportiva rispondente alle aspettative della collettività, in
un'ottica di necessaria centralità dei c.d. territoires sportifs.
30
Sul tema delle politiche di decentralizzazione e di sviluppo dell’organizzazione territoriale in relazione allo sport, J.P. AUGUSTIN,
Politiques et territoires sportifs: d’un pilotage étatique à un pilotage décentralisé, in Cahiers Français, 2004, n. 320, p. 27 ss.
32
DOTTRINA
Gli aspetti normativi………
Ciò senza che sia comunque stata persa la forte dimensione pubblica dell’organizzazione dello
sport in Francia, oggi articolata nelle diverse realtà dipartimentali, sotto la direzione statale.
In Francia è stato da poco compiuto un ulteriore passo in avanti in materia di
regolamentazione dello sport, grazie all'emanazione nel 2006 di una corposa legge organica
costituente il Code du Sport31, che ha sostituito la legge 16 luglio 1984, n. 84-610
sull’organizzazione e la promozione delle attività fisiche e sportive, riunendone la normativa con le
altre disposizioni vigenti sullo sport. Sono state così raccolte con la legge del 1984 le norme
rintracciabili, ad esempio, nel codice della salute pubblica e nel codice dell’educazione, con
particolare riferimento, rispettivamente, al tema del doping e della salute dello sportivo e a quello
dell’insegnamento delle attività fisiche e sportive.
L’intento perseguito è perciò chiaramente quello di uniformare il diritto concernente lo sport e
di realizzare altresì uno strumento utile per la conoscenza e l'applicazione del diritto, in un settore
che per sua natura sfugge alle classificazioni a causa dei diversi ambiti ai quali afferisce. Il codice
rappresenta ora in effetti il testo di riferimento nel settore del diritto sportivo, essendo stati
opportunamente modificate le fonti che hanno contribuito alla sua creazione, in modo che riportino
un espresso rinvio al Code du Sport quando affrontano argomenti connessi allo sport.
Il codice dello sport consta di quattro libri e inizia con l'enunciazione di alcuni principi
generali, dove viene evidenziato l'interesse pubblico nella materia, ricordando come le attività
fisiche e sportive costituiscano un elemento importante dell’educazione, della cultura e
dell’integrazione sociale: oltre ad avere effetti benefici per la salute, esse contribuiscono infatti alla
lotta contro gli insuccessi scolastici e alla riduzione delle ineguaglianze sociali e culturali32; per
questi motivi "la promotion et le développement des activités physiques et sportives pour tous,
notamment pour les personnes handicapées, sont d'intérêt général" (art. 100-1).
La promozione dell’attività sportiva e più in generale dell’attività motoria rappresenta perciò
un obiettivo pubblico, dal quale derivano precisi obblighi amministrativi a carico dei soggetti
pubblici deputati ad occuparsi di sport e che, indirettamente, fornisce un criterio guida per lo
svolgimento delle attività connesse, vincolante per tutti i soggetti coinvolti, anche privati.
Su questa base, semplice ma ben definita, si regge il sistema di organizzazione dello sport in
Francia, dove tutti sono chiamati a collaborare – in quanto "l'Etat, les collectivités territoriales et
31
Di cui all'ordinanza governativa n° 2006-596 del 23 maggio 2006, in attuazione della delega attribuita dall'art. 84, legge 9
dicembre 2004, n. 2004-1343 di semplificazione del diritto..
32
Questa ulteriore specificazione della potenziale utilità sociale delle pratiche sportive e motorie è stata aggiunta nel Code du Sport
all'originaria formulazione della legge sulla promozione dello sport del 1984.
33
DOTTRINA
Gli aspetti normativi………
leurs groupements, les associations, les fédérations sportives, les entreprises et leurs institutions
sociales contribuent à la promotion et au développement des activités physiques et sportives" (art.
100-2) – e dove tuttavia i rapporti tra lo Stato e il movimento sportivo, caratterizzati da un certo
numero di prerogative statali nelle politica e nella gestione dello sport, mostrano un disequilibrio in
favore del primo. Ciò, appunto, in ragione delle finalità pubbliche di direzione e controllo di un
fenomeno socialmente utile di ampia dimensione collettiva, che si giustificano quanto mai in questo
settore; perché se sono assodati gli effetti benefici dello sport, sono altresì evidenti quali possono
essere quelli invece dannosi, per i singoli individui e più in generale per la società, nel diffondersi di
una pratica sportiva sconsiderata, che non tenga conto delle esigenze di salute e di sviluppo di una
cultura della solidarietà tra i cittadini.
4. Note conclusive.
In confronto al modello organizzativo italiano nel settore dello sport quello francese si
presenta con una maggiore propensione pubblicistica, in ragione di un'ormai quasi centenario
riconoscimento della valenza metaprivatistica di molti aspetti dell'attività sportiva, che giustifica
forti competenze pubbliche.
E se pure oggi esse sono in parte state ridistribuite a livello locale, nell'ottica di un
decentramento diretto a valorizzare il ruolo degli enti territoriali nella cura degli interessi collettivi
anche primari, il controllo sulle federazioni sportive avviene in ogni caso direttamente dallo Stato;
diversamente quindi da quanto accade in Italia, dove è affidato ad un'istituzione, il CONI, che
malgrado la natura pubblicistica è comunque principalmente il vertice dell'organizzazione sportiva.
Esso rappresenta in effetti, a norma di legge, "la Confederazione delle Federazioni sportive
nazionali e delle Discipline sportive associate e si conforma ai principi dell'ordinamento sportivo
internazionale, in armonia con le deliberazioni e gli indirizzi emanati dal Comitato olimpico
internazionale"33.
Non stupisce quindi che nell'organo direttivo del CONI i presidenti federali costituiscano la
maggioranza, ma ciò fa sorgere seri dubbi sull'efficienza del sistema di vigilanza, laddove
controllore (pubblico) e controllato (privato) in larga misura coincidano. Questo si ripercuote
inevitabilmente anche sulle scelte di fondo occorrenti per lo svolgimento delle attività più idonee a
soddisfare gli interessi pubblici legati allo sport e, in particolare, alla sua diffusione sul territorio e
33
D.lgs. 23 luglio 1999, n. 242, art. 2.
34
DOTTRINA
Gli aspetti normativi………
nei diversi settori della società, al di là di quelle che possono essere le politiche federali di
promozione del proprio sport.
La soluzione italiana è stata quella del mantenimento della natura giuridica pubblica del
CONI, incluso nel c.d parastato ai sensi della legge 20 marzo 1975 n. 70, perdurando l'eredità
lasciata dal regime fascista, che aveva voluto pubblicizzare l'associazione privata che raggruppava
dall'inizio del novecento le diverse federazioni sportive.
In Francia, viceversa, il corrispettivo comitato olimpico nazionale, il CNOSF, è ancora
un'associazione privata, come quando venne fondata nel 1908 (allora con il nome di Comité
National des Sports); e ciò malgrado la sua indiscussa utilità pubblica, riconosciuta per legge già nel
1922. Diversamente che in Italia viene così lasciato lo spazio a competenze ministeriali svolte
direttamente, corrispondenti agli scopi pubblici prefissati dall'ordinamento in materia di sport.
Tali scopi pubblici, peraltro, sono stati individuati pure all'interno dell'ordinamento italiano,
per quanto da molto meno tempo, essendo ad esempio stata espressamente riconosciuta la ‘valenza
pubblicistica’ di specifiche tipologie di attività delle federazioni sportive, anche se poi si è lasciata
carta bianca al Consiglio federale del CONI per quanto attiene la loro individuazione34.
E in ogni caso, se si guarda in specifico all'attività di promozione dell'attività sportiva - che
relativamente all'agonismo rientra tra le attività federali di interesse pubblico, ai sensi dell’art. 23
dello Statuto del CONI - si può verificare di come manchi, diversamente che in Francia, una guida
statale che ne detti le regole e ne organizzi e controlli i servizi, andando oltre ad un intervento di
mera elargizione di contributi finanziari.
Ma lo stesso vale, alla fine, pure per la diffusione della pratica motoria e sportiva amatoriale,
di competenza dello Stato e degli altri enti territoriali, sostanzialmente però affidata ad altri soggetti
privati, quali gli enti di promozione sportiva, che si avvalgono del sostegno economico pubblico pur
conservando la loro indipendenza, sia in fase di progettazione che di esecuzione delle attività.
Sarebbe perciò opportuno prendere spunto dal sistema francese e andare oltre il
convincimento che promuovere lo sport comporti per le amministrazioni pubbliche solamente
l'onere di aiutare economicamente i privati a realizzare i loro obiettivi.
Un'idonea attività pubblica di promozione non può in effetti limitarsi al conferimento di
sovvenzioni e agevolazioni fiscali, ma deve tenere conto di tutte le misure utilizzabili allo sviluppo
dell'attività sportiva, tra cui quelle di carattere organizzativo che consentano di creare e mantenere
appositi istituti dedicati allo sviluppo e divulgazione della cultura sportiva.
34
Art. 15, d.lgs. 23 luglio 1999, n. 242. Vedi nota 27.
35
DOTTRINA
Gli aspetti normativi………
L'asserita finalità pubblica rinvenibile nella diffusione dello sport dovrebbe quindi tradursi in
una maggiore autonomia della materia 'sport', sufficiente ad individuare specifici obbiettivi e
competenze e a concretizzare una realtà progettuale finalizzata al raggiungimento dei livelli minimi
delle prestazioni di volta in volta individuati attraverso i noti strumenti di pianificazione.
Ragionando de iure condendo, sarebbe in questo senso utile realizzare anche in Italia un’opera
di codificazione della normativa in tema di sport, rendendola realmente una materia autonoma
all’interno dell’ordinamento giuridico e giustificando altresì la creazione di un sistema di direzione
e controllo del movimento sportivo di spettanza prettamente pubblica, che dia la possibilità allo
Stato e agli enti territoriali di individuare i parametri ai quali tutti i soggetti operanti nel settore
dovrebbero conformarsi, in specie laddove la loro attività rivesta un'utilità pubblica.
Il sistema di intervento pubblico svolgerebbe altresì un ruolo di stimolo e di sostegno
dell’attività privata, trovando poi il proprio assetto territoriale secondo una ripartizione delle
competenze effettuata in base ai noti principi di efficienza, sussidiarietà e adeguatezza, e nel rispetto
delle potestà (esclusive) statali in materia di determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni
ex art. 117 comma 2 lettera m) della Costituzione, nella misura in cui si rinvengano diritti sociali
connessi allo sport.
Solo in questo modo, affrontando la tematica in termini di organizzazione di servizi lato sensu
sociali, si potrà rendere effettiva la considerazione della pratica sportiva e motoria quale attività di
interesse collettivo, che deve essere utilmente indirizzata per soddisfare le aspettative pubbliche
inerenti alla salute, in particolare dei giovani, degli anziani e dei disabili, e altresì alla possibilità di
crescita culturale e sociale degli individui; cioè, in ultima analisi, a quello sviluppo della personalità
enunciato e garantito dalla Costituzione.
(*) Professore di diritto amministrativo nell'Università di Verona
36
DOTTRINA
Perplessità e riflessioni………
PERPLESSITA’ E RIFLESSIONI SUL MOMENTO
COSTITUTIVO DEL RAPPORTO DI LAVORO NEL
MONDO DEL PROFESSIONISMO SPORTIVO
di Enrico Cassì (*)
Il riconoscimento dello status di lavoratore sportivo a determinate categorie di atleti (la
vecchia legge 91/81 riconosce tale status ai soli atleti professionisti per definizione federale; oggi è
allo studio una rivoluzione normativa tesa a superare tale concetto formale, legando piuttosto lo
status all’aspetto sostanziale del rapporto), se da un canto ha portato ad una maggiore certezza dei
reciproci rapporti e delle reciproche garanzie, dall’altro ha provocato la inevitabile evoluzione degli
accordi stessi, i cui connotati formali e sostanziali hanno subito una complessa estensione,
direttamente proporzionale all’enorme incremento degli interessi economici in gioco e delle norme
applicabili.
Ci riferiamo al mare-magnum normativo che regolamenta gli innumerevoli aspetti della nuova
categoria di appartenenza del lavoratore/atleta (si pensi ad esempio ai principi estraibili dallo statuto
dei lavoratori e dalle norme successive), al contratto collettivo raggiunto dalle rispettive
associazioni di categoria di appartenenza, o ai profili fiscali (per entrambi) e di bilancio (per le
società) derivanti dalla lievitazione dei costi e delle entrate.
I contraenti non sono più il giocatore ed il club di sportivi, bensì l’agente-manager del
campione e l’amministratore delegato della società di capitali titolare del diritto sportivo.
Per la normativa statale il rapporto di prestazione sportiva a titolo oneroso si costituisce con la
stipulazione di un contratto in forma scritta, a pena di nullità, tra atleta e club, secondo il contrattotipo predisposto da federazione e categorie (Art.4 l.91/81).
In proposito giurisprudenza e dottrina dominanti sono orientate nel senso di ravvedere
momento costitutivo del rapporto di lavoro sportivo nel deposito presso gli uffici competenti di uno
specifico modulo contrattuale prestampato, ed a non riconoscere alcuna validità o efficacia ad altre
scritture. In altre parole fin tanto che il modulo-tipo non viene depositato in federazione il rapporto
di lavoro sportivo non esiste.
37
DOTTRINA
Perplessità e riflessioni………
A nostro modo di vedere detta interpretazione lascia parecchio perplessi; riteniamo infatti che
essa non copra delle dovute tutele la fase iniziale del rapporto sportivo intercorso tra l’atleta ed il
club.
Premettendo che la nostra analisi muove dallo studio di quello che accade nel mondo della
pallacanestro, deve certamente convenirsi che il momento d’inizio di ogni stagione agonistica non
coincida affatto con il reale inizio dell’attività sportiva (la fase di preparazione di precampionato
inizia solitamente almeno un mese prima dell’inizio dei campionati); e pur tuttavia
è prassi
pressocchè costante che i club posticipino sino all’ultimo giorno utile il materiale deposito del
modulo contrattuale (così di fatto riservandosi sino all’ultimo la possibilità di “rivedere” e
“correggere” la formazione).
Con il risultato che l’intera attività già svolta dall’atleta per conto del società sportiva nel
periodo di preparazione precampionato (solitamente metà luglio/agosto) rimane per l’ordinamento
sportivo sprovvista di qualsivoglia tutela (ribadiamo che le retroestese considerazioni traggono
spunto da ciò che accade nella pallacanestro italiana, ma temiamo che discorso analogo possa valere
anche per il calcio professionistico, magari non apicale).
Riteniamo più logico al riguardo che la nullità radicale dell’accordo possa derivare soltanto
dalla sua eventuale mancata stipulazione in forma scritta e non anche dal suo mancato deposito
presso gli uffici federali, e ancor meno dell’eventuale difformità dello scritto contrattuale da moduli
prestampati e quant’altro. O meglio, riteniamo che la nullità o comunque la inefficacia dello scritto
“irrituale” o addirittura “non depositato” abbia senso e debba essere pertanto confermata per ciò che
concerne gli aspetti esterni, agonistico-federali, del rapporto (è pacifico che fin tanto che il modulo
contrattuale non sia stato depositato presso l’ufficio competente l’atleta non potrà scendere in
campo; così come è altrettanto evidente che l’impossibilità dell’utilizzo dell’atleta svuoti l’interesse
concreto degli altri club e della stessa federazione ad avere contezza del rapporto).
Di contro nullità e/o inefficacia delle scritture contrattuali suddette non si giustificano affatto
nei rapporti interni tra l’atleta e il club, tra cui comunque un rapporto di lavoro sportivo esiste a tutti
gli effetti: tale interpretazione, nell’ottica – assolutamente prioritaria - della tutela dei diritti del
lavoratore (costituzionalmente garantiti), ci pare più equilibrata rispetto a quella più rigoristica
attualmente dominante.
E’ ciò è ancor più vero se si pensa che in realtà atleti e club - ancor prima di compilare e
sottoscrivere gli scarni moduli contrattuali destinati al deposito federale - solitamente hanno già
regolamentato ogni aspetto del rapporto in un pregresso contratto ben più completo del modulo
38
DOTTRINA
Perplessità e riflessioni………
federale (il c.d. agreement), in forza del quale iniziano materialmente a svolgere l’attività (nessun
atleta straniero verrebbe in Italia senza prima avere scambiato e sottoscritto con la società, magari
anche solo via fax, una dettagliata scrittura contrattuale contenente previsioni economiche,
personali esigenze, reciproci oneri e garanzie, benefit, tipologia di alloggio, viaggi e quant’altro).
Se tutto ciò è vero come è vero, non sembra peregrino affermare che in realtà la vera fonte dei
rapporto di lavoro sportivo dovrebbe intendersi proprio l’agreement anzidetto (presenta pur sempre
la forma scritta); esso infatti sta a monte del contratto-tipo che in realtà non è altro che la sua sintesi
schematica.
Appare in sostanza evidente che tale ultima formalità, ed ancor più il suo successivo deposito,
siano incombenze esclusivamente ”documentali”, finalizzate cioè a rendere noto anche ai terzi (la
federazione e gli altri affiliati) quanto già nella scrittura-base è stato per intiero concordato e
“contrattualizzato” inter partes ( ).
Ed allora dalla sottoscrizione del contratto di lavoro scritto (in qualsiasi forma esso sia
redatto) l’atleta dovrà comunque mettersi a disposizione del club, allenarsi, rispettarne le regole
interne e quant’altro, ma fintanto che la società non avrà regolarizzato la posizione anche per la
federazione (compilando e depositando l’apposito modulo contrattuale secondo le pattuizioni
dell’agreement) non potrà comunque essere schierato in campo in partite ufficiali.
In altre parole, se da un punto di vista “pubblicistico” e quindi esterno ai rapporti tra i due
contraenti (club e atleta), l’unica scrittura atta a sortire effetti deve ritenersi quella predisposta
secondo le particolari modalità previste dalla legge, con riferimento invece ai rapporti interni tra la
società e l’atleta, nelle rispettive vesti di datore di lavoro e lavoratore, ritenere carta straccia precisi
impegni contrattuali già sottoscritti dalle parti, ci sembra sotto ogni aspetto una forzatura eccessiva.
Peraltro l’interpretazione estensiva della nullità è incompatibile con i principi generali del diritto a
garanzia del prestatore di lavoro quale contraente debole; principi che ad esempio hanno ispirato
l’editto normativo di cui al II comma dell’art.2077 c.c., laddove la nullità intrinseca delle clausole
difformi al contratto collettivo (esplicitata dalla loro “sostituzione automatica”) è circoscritta alle
sole ipotesi in cui esse prevedano condizioni meno favorevoli per il lavoratore, e non anche alle
altre.
Così argomentando ci piace peraltro osservare che il rigore interpretativo dell’orientamento
dominante (di tenore opposto al nostro) cozza in modo stridente con i principi generali delle
obbligazioni statuiti dal Legislatore: troppo spesso si dimentica infatti che regolamenti e statuti
endofederali hanno potestà d’imperio sicuramente secondarie rispetto alla Legge dello Stato (l’art.
39
DOTTRINA
Perplessità e riflessioni………
2113 c.c., la L.300/70) od alla Carta Costituzionale (artt.4 – 36 – 38); e ciò è ancor più vero
nell’ambito del diritto del lavoro, nel cui ambito anni di battaglie giurisprudenziali e sindacali,
hanno imposto il rispetto di principi e garanzie speciali a tutela del lavoratore, quale contraente
debole (in proposito non devono fuorviare i lauti compensi di alcuni “fuoriclasse”, che
rappresentano solo una piccola percentuale rispetto alla moltitudine di atleti professionisti).
In tale ottica, piace a chi scrive ricordare che anche laddove si è in presenza di un contratto per
qualsiasi ragione “imperfetto” (perché non corredato della forma prevista), è pur sempre
ravvisabile, all’origine, quantomeno uno schema di consenso: ebbene, nell’ambito lavorativo,
dovendosi correttamente tutelare il contraente debole leso (il lavoratore sportivo) detto schema va in
qualche modo recuperato, sia pure sotto forma di mero fatto storico che entra a far parte di una
fattispecie più complessa insieme al comportamento esecutivo (l’inizio della preparazione
comprova la sussistenza del rapporto).
Da tale fattispecie complessa è giusto che derivino effetti analoghi a quelli che discendono
dall’atto completo, quantomeno tra i due contraenti.
In altri termini, in presenza di una precisa pattuizione scritta (allo stato “giuridicamente”
invalida ma) socialmente rilevante ricollegabile allo schema bilaterale intersoggettivo tipicamente
contrattuale (l’”agreement” comunemente sottoscritto tra l’agente, l’atleta e il club ancor prima
dell’inizio del precampionato), deve balzare in primo piano non già l’atto (che può anche mancare
in assoluto od essere imperfetto nella forma) ma il rapporto nella sua qualificazione sociale, prima
ancora che giuridica. In tali specifiche e particolarissime ipotesi (attinenti precipuamente l’ambito
del lavoro), il nostro ordinamento, prevedendo i principi cardini dell’equo contemperamento degli
interessi delle parti di cui all’art.1371 c.c. (in relazione alla disparità delle ben diverse forze
contrattuali del datore di lavoro e del lavoratore), unitamente ai principi conservativi estratti di cui
all’art.1367 c.c., tutela e prende in considerazione direttamente il rapporto con una disciplina che
può anche essere indipendente dalla disciplina di un correlato “contratto formalmente corretto”, nel
senso che può fondatamente crearsi un rapporto che determina effetti corrispondenti a quelli
contrattuali pur in difetto di un negozio formalmente perfetto (in senso squisitamente tecnico).
Applicando tali principi, non sembra peregrino sostenere che – quantomeno tra il club e
l’atleta – dal momento della redazione del primo contratto sia a tutti gli effetti in essere un rapporto
di lavoro sportivo (art.2126 c.c.).
Anche sotto tale aspetto, l’orientamento purtroppo dominante che ritiene la improduttività di
effetti dell’agreement a nostro parere rappresenta – come già accennato - una illogica forzatura, sia
40
DOTTRINA
Perplessità e riflessioni………
sotto un profilo giuridico che più prettamente sociale (l’interpretazione ad oggi corrente, è foriera
infatti di incertezza e precarietà del posto di lavoro già garantito all’atleta, dall’altro legittima di
fatto una inaccettabile facoltà per i club a recedere da un’obbligazione di lavoro già concordata,
redatta e sottoscritta).
Concludendo, sembra allora assai più corretto ed equo, ritenere che dal momento della
sottoscrizione dell’agreement tra le parti sia già esistente un preciso “rapporto contrattuale”,
sebbene magari imperfetto per la Federazione (per non essere stato ancora materialmente “calato”
nel documento previsto dalla FIP).
(*) Avvocato e Presidente della GIBA
41
DOTTRINA
PARTE SECONDA
NOTE A SENTENZA
SOMMARIO:
ELISA BRIGANDI’, Delibera di esclusione da associazione sportiva e vincolo
pag. 43
di giustizia
ANTONINO DE SILVESTRI, Le questioni del lodo camerale: autonomia o
pag. 55
discrezionalità nelle federazioni sportive nazionali?
DOMENICO ZINNARI, La decisione del consiglio di giustizia amministrativa:
una nuova lettura dell’ articolo 2 Legge n.° 280/2003 ?
42
pag. 91
Delibera di esclusione…
TRIBUNALE DI SALERNO , 31 ottobre 2006
I sezione civile
Il Giudice istruttore dott. Antonio Scarpa
visti gli atti dei proc. n. 1974/1998 (R.G. c. ASSOCALCIO CAMPANIA), sciogliendo la
riserva di pronuncia sulle deduzioni delle parti, di cui all'udienza del 30 ottobre 2006;
vista la domanda proposta da R.G. per l'annullamento - previa sospensione - , a norma dell'art.
23 c.c., delle delibere 8/12/1997 e 15/12/1997, con cui l'attore veniva escluso dall'associazione
ASSOCALCIO CAMPANIA, nonché per il risarcimento dei conseguenti danni;
rilevato come la convenuta
ASSOCALCIO CAMPANIA,
dopo essersi difesa nel merito, ed aver anzi essa pure formulato in via riconvenzionale
domanda per il risarcimento dei danni causatile dal R.G. quale presidente dell'associazione stessa,
all'udienza di trattazione del 5 giugno 2000 (cui si era pervenuti in prosieguo dopo meri rinvii su
richiesta delle parti alle altre udienze di trattazione del 31 maggio 1999, 5 luglio 1999 e 17 gennaio
2000) ha proposto eccezione di "incompetenza del Giudice adito", alla luce dell'art. 24 dello Statuto
della federazione Italiana Gioco Calcio, invocando in proposito la decisione resa dal Giudice
Sportivo sul reclamo proposto dal R.G.;
rilevato come l'art. 24 dello statuto della Federazione Italiana Giuoco Calcio (quale
associazione con personalità giuridica di diritto privato) preveda, appunto, l'impegno di tutti coloro
che operano all'interno della Federazione ad accettare la piena e definitiva efficacia di tutti i
provvedimenti generali e di tutte le decisioni particolari adottati dalla stessa F.I.G.C., dai suoi organi
e soggetti delegati, nelle materie comunque attinenti all'attività sportiva e nelle relative vertenze di
carattere tecnico, disciplinare ed economico, impegno dal quale è desumibile un divieto, salva
specifica approvazione, di devolvere le relative controversie all'autorità giudiziaria statuale;
evidenziato come tale norma statutaria integri una clausola compromissoria per arbitrato
irrituale, fondata, come tale, sul consenso delle parti, le quali, aderendo in piena autonomia agli
statuti federali, accettano anche la soggezione agli organi interni di giustizia;
43
NOTE A SENTENZA
Delibera di esclusione…
precisato come l'efficacia della clausola compromissoria contenuta nello Statuto o nel
Regolamento di un organismo sociale nel quale il soggetto entri a far parte non rivesta mai le
sembianze della clausola vessatoria, subordinata alla specifica approvazione per iscritto ai sensi
dell'art. 1341 c.c. (Cassazione civile , sez. I, 09 aprile 1993 , n. 4351)
ritenuto come siffatto vincolo, cui l'affiliazione delle società e degli sportivi alle diverse
federazioni comporta dunque volontaria adesione, ripeta oggi, altresì, la propria legittimità da una
fonte legislativa, per effetto delle disposizioni del d.l. n. 220 del 2003, convertito, con
modificazioni, nella legge n. 280 del 2003, che, all'art. 2, comma 2, prevede l'onere di adire gli
organi della giustizia sportiva nelle materie di esclusiva competenza dell'ordinamento sportivo, che
sono, a mente del comma 1 dello stesso art. 2, quelle aventi ad oggetto l'osservanza e l'applicazione
delle norme regolamentari, organizzative e statutarie dell'ordinamento sportivo nazionale e delle sue
articolazioni al fine di garantire il corretto svolgimento delle attività sportive ed agonistiche, nonché
i comportamenti rilevanti sul piano disciplinare e l'irrogazione delle relative sanzioni; mentre
subordina, come è desumibile dalla formulazione dell'art. 3, comma 1, al previo esaurimento dei
gradi della giustizia sportiva anche il ricorso a quella statuale nelle materie ad essa riservate (cfr.
Cassazione civile , sez. I, 28 settembre 2005 , n. 18919);
ricordato come, pur inteso il c.d. vincolo di giustizia sportiva quale rinuncia preventiva alla
tutela giurisdizionale statuale oggetto di clausola compromissoria per arbitrato irrituale, sia stata
comunque negata, in riferimento agli art. 24 e 102 cost., sotto il profilo di una pretesa violazione del
diritto di azione e di difesa e del principio del monopolio statale della giurisdizione, la illegittimità
costituzionale: dell' art. 5, ultimo comma, l. 16 febbraio 1942 n. 426, nella parte in cui prevede che
"le federazioni sportive nazionali stabiliscono, con regolamenti interni, approvati dal presidente del
comitato olimpico nazionale, e le norme tecniche ed amministrative per il loro funzionamento e le
norme sportive per l'esercizio dello sport controllato"; dell'art. 4, comma 5, 12 e 14 della legge n. 91
del 1981, ove si ritenga che da esse scaturisca il vincolo di giustizia sportiva; dell'art., 10 della
stessa legge, nella parte in cui, prevedendo come obbligatoria l'affiliazione alla federazione per
l'esercizio dell'attività sportiva professionistica, imporrebbe il rispetto del vincolo arbitrale e la
conseguente rinuncia alla tutela giurisdizionale; nonché del medesimo art. 24 dello statuto della
Federazione Italiana Giuoco Calcio;
reputato invero come, premesso che il fondamento dell'autonomia dell'ordinamento sportivo è
da rinvenire nella norma costituzionale di cui all'art. 18 cost., concernente la tutela della libertà
associativa, nonché nell'art. 2 cost., relativo al riconoscimento dei diritti inviolabili delle formazioni
44
NOTE A SENTENZA
Delibera di esclusione…
sociali nelle quali si svolge la personalità del singolo, debba rilevarsi come il vincolo di giustizia
non comporti rinuncia a qualunque tutela, in quanto l'ordinamento pone in essere un sistema, come
visto, nella forma dell'arbitrato irrituale ex art. 806 c.p.c., che costituisce espressione dell'autonomia
privata costituzionalmente garantita (v. Corte cost. n. 127 del 1977);
sicché tale sistema consente alle parti, sempre che si versi in materia non attinente ai diritti
fondamentali, di scegliere altri soggetti, quali gli arbitri, per la tutela dei loro diritti in luogo dei
giudici ordinari, ai quali è demandata la funzione giurisdizionale ai sensi dell'art. 102 cost.,
risultando detta scelta una modalità di esercizio del diritto di difesa di cui all'art. 24 cost. (ancora
Cassazione civile , sez. I, 28 settembre 2005 , n. 18919);
ritenuto quindi come rientri nell'ambito del c.d. "vincolo di giustizia", costituito dalla clausola
compromissoria di cui allo statuto della Figc, non solo l'ambito strettamente tecnico - sportivo, di
per sé irrilevante per l'ordinamento statale, ma anche l'intero contenzioso attinente all'ambito dei
diritti disponibili;
opinato come le questioni che insorgano sulla legittimità della delibera di esclusione
dell'associato ad associazione affiliata alla FIGC investano posizioni soggettive disponibili, che, in
quanto tali, possono essere oggetto di arbitrato irrituale;
rilevato, quanto alla tempestività dell'eccezione proposta dalla convenuta
ASSOCALCIO CAMPANIA,
come la questione circa la devoluzione della controversia ad arbitri, conseguente all'eccezione
di compromesso, ponga un problema non di competenza ma di merito per ogni tipo di arbitrato, sia
rituale che irrituale, (atteso che tanto l'arbitrato rituale quanto quello irrituale costituiscono
espressione della stessa autonomia negoziale, essendo liberi gli interessati di sottoporre la loro
controversia su diritti ad uno o più privati, anziché ai giudici dello Stato, e differenziandosi tra di
loro solo in ordine alla previsione dell'eventualità dell'omologazione del lodo); sebbene sia
innegabile che trattasi di eccezione riservata esclusivamente alla parte e soggetta alle preclusioni, di
tal che nel cosiddetto "nuovo rito" essa è soggetta alla regola della sua proposizione non oltre la
chiusura dell'udienza di trattazione di cui all'art. 183 c.p.c. (cfr. Cassazione civile, sez. I, 30
dicembre 2003, n. 19865);
evidenziato dunque come la menzionata questione preliminare di merito, attinente alla
clausola compromissoria, induca sia a rigettare l'istanza di sospensione della esecuzione delle
deliberazioni impugnate, sia a stimare irrilevanti le deduzioni istruttorie formulate dalle parti;
45
NOTE A SENTENZA
Delibera di esclusione…
P.Q.M.
rigetta l'istanza di sospensione della esecuzione delle deliberazioni della associazione
ASSOCALCIO CAMPANIA dell'8/12/1997 e del 15/12/1997;
rigetta le deduzioni istruttorie;
invita le parti a precisare le conclusioni, rinviando all'uopo all'udienza del 21 maggio 2007.
Manda alla cancelleria per la comunicazione alle parti.
Salerno, 31 ottobre 2006
46
NOTE A SENTENZA
Delibera di esclusione…
DELIBERA DI ESCLUSIONE DA ASSOCIAZIONE SPORTIVA
E VINCOLO DI GIUSTIZIA
di Elisa Brigandì (*)
SOMMARIO:
Premessa
1) La natura del vincolo di giustizia e profili di costituzionalità.
2 ) Vincolo di giustizia e clausola compromissoria
3 ) Conclusioni
47
NOTE A SENTENZA
Delibera di esclusione…
Premessa
La prima sezione del Tribunale di Salerno con sentenza del 31 ottobre 2006 è nuovamente
tornata ad affrontare la questione del riparto di giurisdizione tra giustizia sportiva e giustizia
ordinaria, inserendosi nella lunga lista di pronunce giurisprudenziali1 che negli ultimi anni si sono
soffermate sulla delimitazione dei rapporti tra l’ordinamento sportivo e l’ordinamento statale e sui
limiti di operatività del vincolo di giustizia dopo l’emanazione della legge n. 280/2003.
La sentenza in esame trae origine da una lunga controversia che vedeva la parte attrice
impugnare nanti il Giudice Statale ex art. 23 c.c. diverse delibere di esclusione dall’Associazione
Assocalcio Campania al fine di ottenerne l’annullamento, previa sospensione, nonché il
risarcimento dei danni patiti.
Giunti all’udienza di trattazione la convenuta, opponendosi alle domande avverse, eccepiva la
”incompetenza” del giudice adito ricordando l’esistenza in materia del c.d. “vincolo di giustizia”
( in questo caso dettato dalle norme della Federazione Italiana Gioco Calcio) ed invocando, in
particolare, la decisione resa dal Giudice Sportivo su reclamo anzitempo proposto dal medesimo
attore.
I giudici salentini, pertanto, nel decidere sull’accoglimento o meno dell’istanza di sospensione
avanzata dall’attore analizzano con attenzione le problematica inerenti il vincolo di giustizia, la sua
legittimità costituzionale nonché la possibilità o meno di configurarlo come una clausola
compromissoria per arbitrato irrituale, valutando così anche alcuni recenti interventi della Suprema
Corte di Cassazione che, in riferimento a tale ultimo quesito, come vedremo, si sono espressi in
senso positivo.
1
Cass. 28 settembre 2005 n. 18919 reperibile all’indirizzo www.utetgiuridica.it; TAR Lazio 21 aprile 2005 n. 2244; TAR Lazio
16 giugno 2005 n. 5024; Cons. St. 9 luglio 2004 n. 5025; TAR Lazio 22 Agosto 2006 n. 4666 e n. 4671, tutte reperibili sul sito
www.giustizia-amministrativa.it
48
NOTE A SENTENZA
Delibera di esclusione…
1) La natura del vincolo di giustizia e profili di costituzionalità.
Per quanto concerne la questione relativa alla funzione del vincolo di giustizia i giudici di
merito osservano in primis come lo Statuto FIGC2 (associazione con personalità giuridica di diritto
privato) preveda un preciso impegno di tutti coloro che operano all'interno della Federazione ad
accettare la piena e definitiva efficacia di tutti i provvedimenti generali e di tutte le decisioni
particolari adottati dalla stessa FIGC, dai suoi organi e soggetti delegati, nelle materie comunque
attinenti all'attività sportiva e nelle relative vertenze di carattere tecnico, disciplinare ed economico,
impegno dal quale è desumibile implicitamente un divieto, salva specifica approvazione, di
devolvere le relative controversie all'autorità giudiziaria statale.
Sul punto, il Tribunale interrogandosi sulla legittimità costituzionale o meno di tale previsione
compie una serie di osservazioni che si mostrano in linea con i recenti interventi della
giurisprudenza di legittimità3, dimostrando di condividere quelle argomentazioni per cui siffatto
vincolo - cui l'affiliazione delle società e degli sportivi alle diverse federazioni comporta dunque
una volontaria adesione - ripeterebbe oggi la propria legittimità da una fonte legislativa.
Per effetto delle disposizioni della legge n. 280 del 2003 all'art. 2, comma 2, infatti, si prevede
l'onere di adire gli organi della giustizia sportiva solo nelle materie di esclusiva competenza
dell'ordinamento sportivo, che sono, ai sensi dell’art. 2 comma 1, quelle aventi ad oggetto
rispettivamente l'osservanza e l'applicazione delle norme regolamentari, organizzative e statutarie
dell'ordinamento sportivo nazionale e delle sue articolazioni al fine di garantire il corretto
svolgimento delle attività sportive ed agonistiche, nonché i comportamenti rilevanti sul piano
disciplinare e l'irrogazione delle relative sanzioni.
Viene subordinato, invece, come è desumibile dalla formulazione dell'art. 3, comma 1, al
previo esaurimento dei gradi della giustizia sportiva il ricorso a quella statuale, statuendosi che ogni
altra controversia avente ad oggetto atti del Comitato Olimpico Nazionale Italiano o delle
Federazioni Sportive, non riservata agli organi di giustizia dell'ordinamento sportivo ai sensi
dell'articolo 2, è devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, ferma la
giurisdizione del giudice ordinario sui rapporti patrimoniali tra società, associazioni e atleti.
Più in particolare, nella sentenza in commento viene osservato come “il fondamento
dell'autonomia dell'ordinamento sportivo è da rinvenire nella norma costituzionale di cui all'art. 18
2
Lo Statuto Federale FIGC 2007 prevede il vincolo di giustizia all’art. 30 “Efficacia dei provvedimenti federali e clausola
compromissoria”.
3
Cassazione civile , sez. I, 28 settembre 2005 , n. 18919 cit.; Cassazione civile, 27 settembre 2006 n. 21006 reperibile all’indirizzo
www.utetgiuridica.it;
49
NOTE A SENTENZA
Delibera di esclusione…
Cost., concernente la tutela della libertà associativa, nonché nell'art. 2 Cost., relativo al
riconoscimento dei diritti inviolabili delle formazioni sociali nelle quali si svolge la personalità del
singolo” con la conseguenza che “il vincolo di giustizia non comporta rinuncia a qualunque tutela,
in quanto l'ordinamento pone in essere un sistema, come visto, nella forma dell'arbitrato irrituale
che costituisce espressione dell'autonomia privata” 4.
In particolare, proseguono i giudici, “tale sistema consente alle parti, sempre che si versi in
materia non attinente ai diritti fondamentali, di scegliere altri soggetti, quali gli arbitri, per la tutela
dei loro diritti in luogo dei giudici ordinari, ai quali è demandata la funzione giurisdizionale ai sensi
dell'art. 102 Cost., risultando detta scelta una modalità di esercizio del diritto di difesa di cui all'art.
24 Cost.”.
La sentenza in commento a ben vedere offre diversi spunti interessanti e meritevoli di nota,
primo fra tutto la lettura costituzionalmente orientata del vincolo di giustizia, che permette così di
superare tutte le critiche mosse a tale istituto che, altrimenti interpretato, peccherebbe di illegittimità
costituzionale.
In sostanza ad oggi il vincolo di giustizia, così come interpretato alla luce della L. 280/03 e
dalla recente giurisprudenza5, non può legittimamente operare come limite all’esercizio della tutela
giurisdizionale per le c.d. questioni “rilevanti” per l’ordinamento statale, mentre continua ad avere
un riconoscimento con riferimento alle c.d. questioni “irrilevanti” .
La giurisprudenza6, infatti, ha più volte osservato come l’istituto “può liberamente operare solo
nell’ambito strettamente tecnico sportivo, come tale irrilevante per l’ordinamento dello Stato,
ovvero nell’ambito in cui sia consentito dall’ordinamento dello stato e cioè in quello dei diritti
disponibili; non può invece operare nell’ambito degli interessi legittimi i quali atteso il loro
intrinseco collegamento con un interesse pubblico in virtù dei principi sanciti dall’art. 113 Cost.
sono in suscettibili di formare oggetto di una rinuncia preventiva, generale e temporalmente
illimitata alla tutela giurisdizionale” .
Né del resto si può tentare un recupero assoluto dell’istituto tramite il rinvio generale operato
dall’art. 3 della predetta normativa del 2003 che fa salvo “quanto eventualmente stabilito dalle
clausole compromissorie previste dagli statuti e dai regolamenti del Comitato olimpico nazionale
italiano e delle Federazioni sportive di cui all'articolo 2, comma 2, nonché quelle inserite nei
4
In tal senso si veda Corte cost. n. 127 del 1977 reperibile all’indirizzo www.utetgiuridica.it;
Cons. St. 9 luglio 2004 n. 5025, cit.
6
Cons. St. 30 settembre 1995 n. 1050 cit., Cass. 17 novembre 1984 n. 5838; Cass, 1 marzo 1983 n. 1531 reperibili on line
all’indirizzo www.utetgiuridica.it
5
50
NOTE A SENTENZA
Delibera di esclusione…
contratti di cui all'articolo 4 della legge 23 marzo 1981, n. 91” in quanto il predetto vincolo, per una
serie di considerazioni che meglio vedremo in seguito, non può essere generalmente considerato
una “clausola compromissoria” a tutti gli effetti.
Si pensi solo, al momento, che in tal senso depone, anzitutto, l’interpretazione testuale (che
parla di clausole compromissorie e non di vincolo di giustizia) ma anche teleologica della norma in
quanto sarebbe un controsenso che il legislatore abbia prima riconosciuto il diritto dei tesserati di
adire il giudice statale e poi abbia nell’ambito della medesima legge riconosciuto espressamente la
legittimità di un istituto che prevede il divieto di adire il medesimo giudice.
Secondariamente, si osserva che tale norma, di fatto fa riferimento all’eventualità che le
controversie insorgenti dall’applicazione di un contratto di lavoro debbano essere devolute ad un
Collegio Arbitrale appositamente costituito.
2) Vincolo di giustizia e clausola compromissoria
Tornando invece alla decisione in commento si evidenzia che la stessa presenta ulteriori aspetti
interessanti proprio in relazione all’accoglimento di quegli orientamenti tesi ad affermare una
pretesa osmosi assoluta tra clausola compromissoria e vincolo di giustizia.
Più in particolare, l’impostazione sopra considerata e conforme, come premesso, ai recenti
interventi
di legittimità7,
permette
ai
giudici
del Tribunale
di Salerno
di
avallare
quell’interpretazione che vede nella clausola di cui allo Statuto FIGC una clausola compromissoria
realizzante una forma di arbitrato irrituale comportante una rinuncia preventiva alla giurisdizione
statale.
I giudici salentini, infatti, osservano che “tale norma statutaria integra una clausola
compromissoria per arbitrato irrituale, fondata, come tale, sul consenso delle parti, le quali,
aderendo in piena autonomia agli statuti federali, accettano anche la soggezione agli organi interni
di giustizia”.
Si evidenzia comunque che tale rinuncia, ovviamente, per dimostrasi costituzionalmente
ammissibile dovrà vertere su diritti disponibili, non potendosi giungere alla stessa conclusione
quando entrano in gioco i diritti indisponibili o interessi legittimi.
Va precisato, altresì, che il Tribunale aderisce anche a quell’orientamento8 per cui “l'efficacia
della clausola compromissoria contenuta nello Statuto o nel Regolamento di un organismo sociale
7
8
Cassazione civile , sez. I, 28 settembre 2005 , n. 18919 cit.; Cassazione civile, 27 settembre 2006 n. 21006 cit.
Cassazione civile , sez. I, 09 aprile 1993 , n. 4351 reperibile all’indirizzo www.utetgiuridica.it;
51
NOTE A SENTENZA
Delibera di esclusione…
nel quale il soggetto entri a far parte non rivesta mai le sembianze della clausola vessatoria,
subordinata alla specifica approvazione per iscritto ai sensi dell'art. 1341 c.c.”
I giudici, invero, proseguono la loro analisi dell’istituto osservando come “rientri nell'ambito
del c.d. vincolo di giustizia, costituito dalla clausola compromissoria di cui allo statuto della Figc,
non solo l'ambito strettamente tecnico - sportivo, di per sé irrilevante per l'ordinamento statale, ma
anche l'intero contenzioso attinente all'ambito dei diritti disponibili”.
Facendo applicazione di tali principi di diritto il Tribunale osserva come “le questioni che
insorgano sulla legittimità della delibera di esclusione dell'associato ad associazione affiliata alla
FIGC investano posizioni soggettive disponibili, che, in quanto tali, possono essere oggetto di
arbitrato irrituale” e conclude definitivamente, esaminata così la questione preliminare sollevata
dalla Associazione, per il rigetto dell’istanza di sospensione dell’esecuzione delle deliberazioni
dell’Associazione ASSOCALCIO CAMPANIA, invitando le parti a precisare le conclusioni.
Proprio su tale ultimo punto, pare opportuno effettuare alcune brevi osservazioni poiché, come
anticipato, i due istituti non sempre mostrano la perfetta coincidenza che sembrerebbe evincersi
dalla decisione salentina, presentando, infatti, profili di differenziazione che emergono a seconda
del quadro di riferimento in cui si inseriscono.
La clausola compromissoria di per sé considerata, di fatto, impegna gli associati a non
devolvere le controversie originate dall’attività sportiva ai giudici statati, in favore di Collegi
Arbitrali.
Si intuisce, quindi, che se è ad entrambi comune la fonte di tale potestà (ossia l’autonomia
negoziale delle parti), la differenza tra le due previsioni risiede nel fatto che con il vincolo di
giustizia le parti si impegnano ad adire gli Organi federali all’uopo predisposti, mentre con la
clausola compromissoria l’impegno è verso i Collegi arbitrali, le cui decisioni, se ricorrono
determinati presupposti, possono avere efficacia anche nell’ordinamento statale.
Emerge allora un'altra questione che è quella relativa alla vera natura del c.d. Arbitrato
Sportivo, istituto inteso come metodo alternativo e residuale rispetto alla composizione “naturale”
delle controversie affidata agli organi di giustizia sportiva, che va quindi a rappresentare l’ulteriore
rimedio ideato dalle Federazioni per difendere la propria autonomia dalle ingerenze statali.
52
NOTE A SENTENZA
Delibera di esclusione…
Si osserva9, infatti, che se il vincolo di giustizia è l’istituto con cui si obbligano gli affiliati e
tesserati al rispetto delle decisioni degli organi di giustizia sportiva, la clausola compromissoria, per
contro, rappresenta l’alternativa dell’associato al ricorso alla magistratura ordinaria rappresentando
la manifestazione dell’autonomia dei privati manifestata nella volontà di risolvere e comporre i
conflitti senza l’intervento dello Stato, ciò ovviamente solo nelle materie compromettibili..
Ci si confronta, pertanto, con un arbitrato volontario che trova la propria fonte nella libera
scelta delle parti e non in una imposizione esterna.
Ancora, in ottica differenziata, si evidenzia come agli arbitri vengono devolute le controversie
riguardanti gli affiliati ed i tesserati, non le controversie in cui è parte una Federazione nè le
controversie che vedono in causa terzi estranei non affiliati o tesserati, quali per esempio gli
sponsor.
Emerge quindi in maniera evidente come i Collegi Arbitrali si caratterizzano per avere
esattamente una competenza residuale rientrando, infatti, nel loro campo operativo le materie che
non sono di competenza degli organi di giustizia sportiva.
Alla luce delle considerazione fin qui espletate, si comprende quindi agevolmente come
nell’ambito di questa cognizione residuale affidata ai Collegi Arbitrali, considerate le varie forme di
controversie sportive (di carattere tecnico, disciplinare, amministrativo ed economico), non
rientrano né le controversie tecniche (ossia quelle aventi ad oggetto il risultato di una gara), né
quelle disciplinari (ossia quelle aventi ad oggetto un provvedimento autoritativo della Federazione),
in quanto tali procedimenti presuppongono che sia parte la Federazione. Le questioni rimangono,
quindi, non arbitrabili e pertanto resteranno di competenza degli appositi Organi di giustizia
sportiva, con i limiti del c.d. principio di rilevanza stabilito dalla L. 280/03.
Diverso, invece, è il discorso relativo alle controversie economiche le quali, attenendo a diritti
patrimoniali rientrano a pieno titolo nella categoria dei diritti disponibili, vale adire in quella
categoria di diritti liberamente disponibili dalle parti nell’esercizio della loro autonomia privata.
A ben vedere, quindi, è in tali materie che il vincolo di giustizia si configura come una vera e
propria clausola compromissoria che, intervenendo su diritti disponibili, realizza una legittima
deroga alla giurisdizione ordinaria.
9
A. Merone, La giustizia sportiva nell’aspetto giurisdizionale, saggio pubblicato su www.judicium.it, n. 4/06 E. Lubrano , Il TAR
Lazio segna la fine del vincolo di giustizia. La FIGC si adegua in Riv. Dir. Ec. Sport, n. 2, 2005; P. Amato, Il vincolo di giustizia
sportiva e la rilevanza delle sanzioni disciplinari, in Riv Dir Ec Sport 3/2006;
53
NOTE A SENTENZA
Delibera di esclusione…
Ai limitati fini del presente lavoro, sinteticamente, giova poi ricordare come la legge 17 ottobre
2003, n. 280, stabilisca che, nei casi di situazioni giuridiche soggettive, connesse con l’ordinamento
sportivo, rilevanti per l’ordinamento della Repubblica, resta ferma la competenza dei Giudici
ordinari sui rapporti patrimoniali tra società, associazioni e atleti, ed è fatta salva la validità delle
clausole compromissorie previste dagli Statuti e dai Regolamenti del CONI e delle Federazioni
Sportive, nonché quelle inserite nei contratti di cui all’art. 4, legge n. 91/81.
Ne consegue che, allorché si discuta della lesione di interessi legittimi, la controversia non
potrà essere deferita ad un Collegio Arbitrale, stante l’intrinseco collegamento con un interesse
pubblico.
3) Conclusioni
Per concludere, si evidenzia come in sintesi il vincolo di giustizia dovrebbe essere inteso
esclusivamente come una forma di preclusione alla proposizione del ricorso davanti alla
magistratura ordinaria per l’impugnazione dei provvedimenti non rilevanti sotto il profilo giuridico,
siano essi di natura tecnica o disciplinare, il tutto per garantire invece la tutela necessaria ai diritti e
agli interessi che esulano dal contesto meramente sportivo, andando ad incidere sui diritti
fondamentali ed economici dei tesserati e affiliati.
Emerge comunque dall’analisi sopra compiuta che sul punto è auspicabile sia l’emanazione ad
opera del Legislatore di una normativa chiara e dettagliata che non lasci spazi a dubbi ed
interpretazioni, sia di interventi chiarificatori della giurisprudenza nell’ottica di pervenire ad una
soluzione delle numerevoli questioni sottese alle problematiche che caratterizzano il fenomeno
giuridico sportivo.
(*)Avvocato e Tutor al Corso di Perfezionamento Diritto Sportivo e Giustizia Sportiva
dell’Università Statale di Milano
54
NOTE A SENTENZA
Le questioni del lodo…
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio – Sezione Terza Ter
Composto dai Magistrati:
F.C. Presidente;
G.F. Componente;
S.F. Componente Relatore;
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso n. ............. del 2007 Reg. Gen. proposto dall’A.C. A. spa, in persona del legale
rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. G.P. presso il quale è elettivamente
domiciliata in ..................;
CONTRO
- Federazione Italiana Giuoco Calcio – F.I.G.C., in persona del legale rappresentante pro
tempore, rappresentata e difesa dagli Avv.ti M.G. e L.M., presso quest’ultimo elettivamente
domiciliata in ...............;
- Comitato Olimpico Nazionale Italiano – C.O.N.I., in persona del Presidente pro tempore,
rappresentato e difeso dall’Avv. A.A., presso il quale è elettivamente domiciliato in ........;
e nei confronti
della Lega Nazionale Professionisti di Serie A e B, in persona del legale rappresentante pro
tempore, della Camera di Conciliazione e Arbitrato per lo Sport presso il C.O.N.I., in persona del
legale rappresentante pro tempore, del Collegio arbitrale, in persona del Presidente pro tempore, del
R.C. F.C. s.r.l., dell’U.C. A. S.r.l., della A.C. C. S.p.a., del T. F. C. ..... S.r.l., del B. C. S.p.a., del F.
C. S.r.l., del V.C. S.p.a., della A.S. B. S.p.a., della U.S. T.C. S.r.l., della S.C. S.r.l., della U.S. L.
S.p.a., della F.C. C. S.r.l., della F.C. M. S.p.a., della V. H. F. C. S.p.a., del P.C. S.p.a., in persona dei
rispettivi legali rappresentanti pro tempore, soggetti tutti non costituiti in giudizio;
55
NOTE A SENTENZA
Le questioni del lodo…
per l’annullamento
- della decisione resa dalla Camera di Conciliazione e Arbitrato per lo Sport presso il C.O.N.I.
in data 12.12.2006, che ha confermato la decisione della Corte Federale della F.I.G.C., pubblicata il
1.9.2006 con cui è stata inflitta alla società ricorrente la sanzione di sei punti di penalizzazione nella
classifica del campionato italiano di calcio (serie B) da scontare nella stagione sportiva 2006-2007;
- della predetta decisione della Corte Federale della F.I.G.C. pubblicata il 1.9.2006;
- della delibera assunta dalla C.A.F. in data 17.8.2006, che ha inflitto all’A. la sanzione di
nove punti;
- di tutti gli atti del procedimento sanzionatorio, connessi e presupposti, ed in specie dei
provvedimenti di nomina della C.A.F. e della Corte Federale assunti dalla F.I.G.C.;
- nei limiti dell’interesse, dell’art. 32 dello Statuto della F.I.G.C. e dell’art. 21 del codice di
giustizia sportiva, nella parte in cui non individuano requisiti oggettivi di nomina alle Corte
federali; dell’art. 31 dello Statuto della F.I.G.C. e dell’art. 26 del codice di giustizia sportiva nelle
parti in cui non individuano i requisiti di nomina alla C.A.F.; degli artt. 6, IV comma e 9, III
comma, del codice di giustizia sportiva, ove si istituisce la fattispecie di responsabilità presunta in
capo alle società sportive;
nonchè per il risarcimento del danno
cagionato dai provvedimenti impugnati.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della F.I.G.C. e del C.O.N.I.;
Visto il ricorso per motivi aggiunti;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore, alla pubblica udienza del 7.6.2007, il Cons. S.F.;
Udito l’Avv. P. per la ricorrente, l’Avv. M. per la F.I.G.C. e l’Avv. A. per il C.O.N.I.;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.
56
NOTE A SENTENZA
Le questioni del lodo…
FATT O
Con atto ritualmente notificato e depositato la società sportiva ricorrente ha impugnato gli atti
in epigrafe indicati, recanti la comminatoria di una pesante penalizzazione nei propri confronti, a
titolo di illecito sportivo, per fatti connessi alla vicenda della c.d. “calciopoli”, insorta nella stagione
calcistica 2005/2006.
Il tutto nasce dall’intercettazione di una telefonata intercorsa il 16.5.2005 tra il sig. T.,
designato come guardalinee per la delicata partita A. – S., disputata il precedente 14.5, e terminata
con il risultato di 1 – 0, ed il sig. M., dirigente del M. ed amico del primo, ove si riferisce di un
incontro e di una conversazione intervenuta a Coverciano tra il medesimo T. ed il sig. M.,
vicecommissario della CAN ed incaricato della formazione fisica e tecnica degli assistenti di gioco,
nel corso della quale il M. avrebbe riservatamente rappresentato al proprio interlocutore di seguire
con attenzione la competizione sportiva; nel corso della telefonata, inoltre, il T. riferisce di un paio
di episodi di giuoco da lui segnalati all’arbitro (che non li aveva ritenuti fallosi) inseriti in azioni di
gioco che avrebbero potuto portare al pareggio della S..
Deduce a sostegno del ricorso principale i seguenti motivi di diritto:
1) Violazione del principio del giudice naturale precostituito per legge; violazione dell’art. 25,
I comma, della Costituzione; nullità radicale del procedimento.
L’art. 25 della Costituzione impone che siano predeterminati con una norma primaria i
meccanismi di individuazione del giudice e che essi non siano soggetti al potere discrezionale di
una qualunque Autorità.
Nel caso di specie nessuno di tali requisiti sussiste; alla scelta del giudice si è provveduto post
factum, e non già nell’esercizio di un’attività vincolata, ma sulla base di una decisione fondata
sull’intuitus personae.
Il principio della precostituzione del giudice per legge non si limita all’identificazione
dell’ufficio giudiziario, ma si estende anche all’individuazione del giudice – persona fisica
componente dell’organo giudicante.
Nè lo statuto della F.I.G.C. nè il codice di giustizia sportiva prevedono criteri di nomina dei
giudici sportivi, tanto della Corte federale, quanto della C.A.F..
2) Violazione dell’art. 102, II comma, della Costituzione; violazione del divieto di istituire
giudici straordinari; violazione dell’art. 111 della Costituzione; nullità radicale del procedimento.
57
NOTE A SENTENZA
Le questioni del lodo…
Giudice straordinario è quello costituito dopo che si è verificata la vicenda da giudicare.
Nella fattispecie in esame, è successo che un ufficio che non esiste secondo l’organizzazione
giudiziaria stabile dell’ordinamento sezionale è stato creato ad hoc, post factum.
3) Violazione dell’art. 51 del c.p.c.; violazione dell’art. 111, II comma, della Costituzione e
dell’art. 6 della C.E.D.U. del 14/11/1950, resa esecutiva in Italia con la legge 4/8/1955 n. 848;
nullità radicale delle decisioni assunte nella fase procedimentale.
I giudici che hanno concorso a comporre gli organi che hanno deciso nella presente vicenda di
giustizia sportiva non erano imparziali, in ragione delle modalità della loro designazione, e dunque
avrebbero dovuto astenersi, alla stregua di quanto disposto dall’art. 51 del c.p.c..
In quanto nominati intuitu personae, senza criteri predeterminati e senza motivazione, i
giudici designati dall’Autorità possono avere subito un’indebita influenza.
La violazione dell’obbligo di astensione per “interesse diretto” nella causa determina la nullità
delle deliberazioni assunte con il concorso dei giudici che vi si sono sottratti.
4) Violazione del principio di tassatività e delle norme che governano i procedimenti
sanzionatori, anche in relazione all’art. 111 della Costituzione.
Alla società ricorrente viene contestata una fattispecie di responsabilità presunta ex art. 9, III
comma, del codice di giustizia sportiva.
Si tratta di una figura di responsabilità sconosciuta all’ordinamento, che va anche oltre i
confini della già claudicante responsabilità oggettiva.
Inoltre, in linea di principio, la presunzione di responsabilità può essere vinta con la prova di
un fatto positivo, ossia con l’adozione di tutte le cautele necessarie; mai un fatto negativo può
essere provato da colui in capo al quale è posto l’onere di scagionarsi, salvo non volere istituire una
forma di prova impossibile.
Nella vicenda controversa è agevole riscontrare la violazione dei predetti principi, in quanto
nessuna relazione esisteva tra la società ed i soggetti intercettati, ed inoltre la società avrebbe
dovuto offrire una prova negativa.
5) Violazione dell’ordinamento della giustizia sportiva (art. 30 dello Statuto della F.I.G.C.);
violazione dell’art. 15 della Costituzione; difetto di istruttoria.
La responsabilità dell’A. è desunta solamente dall’intercettazione di una telefonata intercorsa
tra persone ad essa non legate.
Non esiste un fatto specifico da cui ricavare che la partita si è risolta in un certo modo grazie
all’intervento del guardalinee, (intervento) che, d’altro canto, è stato condiviso dall’arbitro.
58
NOTE A SENTENZA
Le questioni del lodo…
L’utilizzazione delle intercettazioni telefoniche non è prevista dall’ordinamento sportivo e le
stesse risultano acquisite da procedimenti penali.
In realtà, le intercettazioni non possono essere utilizzate al di fuori del processo penale; e
comunque non sono in grado di porsi quale unico mezzo di prova; il che ridonda anche in difetto di
istruttoria.
6) Violazione dell’art. 12 del codice di giustizia sportiva; errore nei presupposti; ingiustizia
manifesta.
Ex art. 12, I comma, del codice di giustizia sportiva la società ritenuta responsabile di fatti che
hanno influito sul regolare svolgimento di una sola gara non può essere punita con la penalizzazione
di punti da scontare in altro campionato.
Ciò comporta che la sanzione gravata è illegittima, oltre che sproporzionata, sia in assoluto,
che avuto riguardo alle sanzioni inflitte ad altre squadre di serie A e B parimenti coinvolte in
procedimenti disciplinari per fatti di ben maggiore gravità.
7) Violazione degli artt. 6 e 9 del codice di giustizia sportiva; manifesta illogicità e
travisamento dei fatti; difetto di istruttoria.
Dalla intercettazione telefonica non si ravvisa la configurabilità degli estremi della fattispecie
sanzionata, ed in particolar del tentativo e del conseguimento di un vantaggio.
Con successivo ricorso per motivi aggiunti, ritualmente notificato e depositato, vengono
dedotte le seguenti ulteriori censure:
8) Inesistenza del c.d. lodo per difetto di rituale sottoscrizione; violazione delle regole che
presiedono alla formazione e sottoscrizione del lodo arbitrale rituale (art. 823 e ss. del c.p.c.);
violazione dei principi generali che presiedono alla formazione e sottoscrizione dei provvedimenti
amministrativi, specie ad opera di organi collegiali c.d. perfetti; violazione e falsa applicazione della
natura del c.d. lodo arbitrale, per come inteso dalla giurisprudenza amministrativa.
Il lodo impugnato è stato deliberato in Roma in data 24.11.2006, ma è poi stato sottoscritto
dai vari arbitri in diversi luoghi e differenti date.
Ciò significa che il lodo non è stato sottoscritto nel medesimo luogo e nel medesimo
momento ad opera di coloro che ne hanno deliberato, in qualità di arbitri, il contenuto.
In realtà, è, questa, una facoltà che è concessa agli arbitri solo in caso di arbitrato rituale (art.
823 c.p.c.), fattispecie non ricorrente nel caso di specie, ove si verte, piuttosto, alla presenza di un
provvedimento amministrativo vero e proprio, secondo il prevalente indirizzo giurisprudenziale.
59
NOTE A SENTENZA
Le questioni del lodo…
In ragione di ciò, occorre ricordare che per i provvedimenti amministrativi imputabili ad un
collegio perfetto è necessaria la contestualità fra deliberazione e sottoscrizione della decisione.
9) Violazione degli artt. 808 ter ed 824 bis del c.p.c.; violazione dei principi generali che
presiedono alla formazione e sottoscrizione dei lodi arbitrali irrituali; violazione dei principi
concernenti la natura negoziale del lodo arbitrale irrituale.
Ad identica conclusione dovrebbe pervenirsi anche ove il lodo in questione sia inteso, anziché
come provvedimento amministrativo, in termini di lodo arbitrale irrituale; ed invero anche i negozi
giuridici sono sottoscritti non appena deliberati nel contenuto, in ossequio al principio di
contestualità spaziale e temporale.
È certo altresì che non si applica al lodo irrituale la normativa valevole per quello rituale.
10) Violazione dell’art. 15 della Costituzione; non utilizzabilità ed inesistenza delle
intercettazioni telefoniche; difetto di istruttoria e di motivazione; violazione degli artt. 271 e 266
del c.p.p..
L’acquisizione delle intercettazioni telefoniche da parte della F.I.G.C. è avvenuta a norma
dell’art. 2, III comma, della legge n. 401/89; si tratta degli atti del procedimento penale n.
................. della Procura della Repubblica di Napoli e del decreto di autorizzazione alle
intercettazioni del G.I.P. del Tribunale di Napoli in data 28.2.2005 .
Ad ogni buon conto, la ricorrente contesta la veridicità della trascrizione della intercettazione
utilizzata; tra l’altro, il verbale non reca la sottoscrizione dell’ufficiale di polizia giudiziaria che lo
avrebbe predisposto.
Inoltre i provvedimenti impugnati non hanno attribuito alcun rilievo alle dichiarazioni
rilasciate e firmate da M. e T. il 5 e il 10 giugno 2006, riguardanti la partita A. – S., il che è, di per
sè, sintomo di eccesso di potere.
Si consideri ancora che l’utenza in uso al M. è stata sottoposta ad intercettazione a partire dal
7.3.2005, quando il M. non era ancora iscritto nel registro delle notizie di reato, circostanza
verificatasi solamente il successivo 11.5.2006 per il reato previsto dall’art. 1 della legge n. 401/89
(che, tra l’altro, non consente le intercettazioni alla stregua di quanto disposto dall’art. 266 del
c.p.p.).
Ciò comporta che le intercettazioni all’utenza del M. sono state eseguite al di fuori dei casi
consentiti, con conseguente inutilizzabilità delle medesime a norma dell’art. 271 del c.p.p..
60
NOTE A SENTENZA
Le questioni del lodo…
Va ancora considerato che la Federazione non ha acquisito ulteriori prove rispetto alla
intercettazione della telefonata tra M. e T.; il che appariva invece doveroso in considerazione di un
quadro probatorio confuso, debole e contraddittorio.
Si sono costituiti in giudizio il C.O.N.I. e la F.I.G.C. eccependo, nel loro insieme,
l’inammissibilità del ricorso anzitutto per difetto di giurisdizione dell’adito giudice amministrativo
vertendosi al cospetto di una sanzione disciplinare sportiva, consistente nella penalizzazione in
classifica, e poi perchè trattasi di pronuncia arbitrale impugnabile solamente per vizi della volontà
ove ritenuta arbitrato irrituale, ovvero nei limiti dell’art. 829 del c.p.c. ove ritenuta arbitrato rituale,
ed ancora eccependo l’inammissibilità parziale del ricorso principale (ed in particolare delle prime
quattro censure), ove l’atto impugnato sia ritenuto un provvedimento amministrativo in ragione del
mancato rispetto della regola del c.d. vincolo dei motivi, e comunque l’infondatezza nel merito del
ricorso principale e dei motivi aggiunti; il C.O.N.I. ha altresì eccepito il proprio difetto di
legittimazione passiva, nell’assunto della non imputabilità al medesimo del lodo arbitrale ai sensi di
quanto disposto dall’art. 19, ultimo comma, del regolamento della Camera di Conciliazione ed
Arbitrato per lo Sport.
All’udienza del 7.6.2007 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. – Deve essere preliminarmente disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso per
difetto di giurisdizione dell’adito giudice amministrativo, sollevata dalla F.I.G.C. nell’assunto che
oggetto del gravame è una sanzione disciplinare sportiva (consistente nella penalizzazione in
classifica), destinata ad esaurire i propri effetti nell’ambito dell’ordinamento settoriale, con
conseguente irrilevanza per l’ordinamento statale, alla stregua anche di quanto disposto dall’art. 2
della legge 17.10.2003 n. 280.
Non ignora il Collegio la serietà degli argomenti difensivi posti a sostegno dell’eccezione di
difetto di giurisdizione, ed in particolare è consapevole della opinabilità di un criterio che fonda, in
ultima analisi, la competenza giurisdizionale sugli effetti indiretti che possono scaturire
dall’applicazione di una sanzione sportiva.
Purtuttavia la Sezione ha finora riconosciuto, ancorché implicitamente, la propria
giurisdizione, pure in fattispecie similari concernenti l’impugnativa di sanzioni disciplinari (anche
connesse alla vicenda di “calciopoli”) da parte di società sportive, sulla base di un’interpretazione
61
NOTE A SENTENZA
Le questioni del lodo…
estensiva del combinato disposto dell’art. 1, II comma, e dell’art. 2, I comma, lett. b), della legge n.
280/03, con la conseguenza che prevalenti ragioni di coerenza sconsigliano (tanto più alla luce del
contenuto della decisione) di sottoporre a revisione il proprio precedente indirizzo (cfr. ad esempio,
T.A.R. Lazio, Sez. III ter, 1.9.2006 n. 7910).
Ciò, è evidente, nella considerazione che non può negarsi, come dimostra, del resto, proprio la
vicenda dell’A., che, per effetto della penalizzazione, è incorso nella retrocessione nella serie
inferiore, una rilevanza per l’ordinamento giuridico statale di situazioni giuridiche soggettive
geneticamente connesse con la penalizzazione irrogata dall’ordinamento sportivo.
2. – Deve poi essere esaminata l’ulteriore eccezione di inammissibilità fondata sulla natura
giuridica della decisione emessa dal Collegio arbitrale, e che ha come corollario anche la richiesta
di estromissione dal giudizio del C.O.N.I..
A questo riguardo, le parti resistenti assumono che l’atto impugnato ha natura arbitrale,
trovando tale tesi ulteriore conferma nella considerazione che la controversia, di per sè non arbitrale
ai sensi dell’art. 27, III comma, dello Statuto federale all’epoca vigente, sia stata portata alla
cognizione della Camera di Conciliazione e di Arbitrato per lo Sport a seguito di uno specifico
accordo compromissorio, e quindi di un’investitura ad hoc.
Ritiene il Collegio che anche tale eccezione, pur nella problematicità delle questioni
giuridiche evocate, debba essere disattesa.
Anzitutto, la documentazione versata in giudizio non consente di evincere una specifica
natura del lodo arbitrale, oggetto del presente gravame, in quanto dal medesimo si evince
solamente, a fronte dell’istanza arbitrale presentata dall’A.C. A., una declaratoria di ammissibilità
della medesima, nell’assunto, tra l’altro, che la F.I.G.C. non ha contestato la competenza ed anzi ha
successivamente presentato la dichiarazione del Commissario straordinario, legale rappresentante
pro tempore, di “espressa accettazione dell’arbitrato, anche in deroga a quanto previsto dall’art. 27
St. F.I.G.C.”.
La stessa “istanza di arbitrato” non permette di prefigurare un accordo compromissorio non
inquadrabile nella ordinaria procedura arbitrale prevista dall’ordinamento sportivo in forza della
clausola compromissoria, e configurata come ultima fase della c.d. “pregiudiziale sportiva”.
Ricondotta in questi limiti, la questione della natura giuridica del lodo arbitrale assume i
connotati del dèjà-vu .
62
NOTE A SENTENZA
Le questioni del lodo…
Senza ripercorrere tutte le tappe della giurisprudenza, è sufficiente ricordare come la sentenza
del Consiglio di Stato, Sez. VI, 9.7.2004 n. 5025 abbia ritenuto che le decisioni della Camera di
Conciliazione e di Arbitrato, organo cui compete, ai sensi dell’art. 12 dello Statuto del C.O.N.I., la
pronuncia definitiva sulle controversie che contrappongono una Federazione a soggetti affiliati o
tesserati, previo esaurimento dei ricorsi interni alla singola Federazione, non costituiscono lodo
arbitrale, ma rappresentano la pronuncia in ultimo grado della giustizia sportiva ed hanno il
carattere sostanziale di provvedimento amministrativo; con la conseguenza che nei confronti delle
suddette decisioni, seppure emesse con le forme e le garanzie del giudizio arbitrale, non vige la
limitazione dei mezzi di impugnazione previsti dall’art. 829 del c.p.c. per i lodi arbitrali.
La Sezione, non condividendo l’ipotesi ricostruttiva di un’attività amministrativa in forma
arbitrale, con la sentenza 7.4.2005 n. 2571 è pervenuta alla diversa opzione ermeneutica che ravvisa
nella decisione della Camera un lodo irrituale, con conseguente esclusione di un sindacato pieno da
parte del giudice statale, che è peraltro consentito nei confronti del provvedimento amministrativo
originario, adottato dalla Federazione o dal C.O.N.I.
Peraltro con la successiva decisione 9.2.2006 n. 527 il Consiglio di Stato, Sez. VI, ha ribadito
il proprio orientamento, confermando la tesi della natura amministrativa del giudizio della Camera
di Conciliazione e Arbitrato, essenzialmente in ragione della natura di interesse legittimo della
posizione giuridica azionata e della incompromettibilità in arbitri di tali posizioni giuridiche
soggettive.
Spettando al Giudice d’appello la funzione nomofilattica, strumentale rispetto al valore
imprescindibile della certezza del diritto, in assenza di elementi nuovi, che diano alimento
all’attività ermeneutica, ritiene il Collegio di dover conformarsi al dictum del Consiglio di Stato in
ordine alla natura amministrativa della decisione della Camera arbitrale.
Ciò impone anzitutto di disattendere l’eccezione di inammissibilità del ricorso, argomentata
dalle parti resistenti nella duplice prospettiva che si tratti di lodo rituale, ovvero irrituale.
Al contempo, deve peraltro essere precisato come la configurazione in termini di
provvedimento amministrativo della decisione del Collegio arbitrale non comporti l’inammissibilità
del ricorso principale (e conseguenzialmente anche dei motivi aggiunti, di “prima generazione”) per
la mancata evocazione in giudizio della Camera arbitrale, od, ancora, del Collegio arbitrale.
Ed invero, sotto questo profilo, in disparte la considerazione che apparirebbe ben strano
evocare in giudizio come contraddittore l’organo che ha deciso, in sede di riesame giustiziale, su di
un reclamo amministrativo, si deve comunque considerare che seppure l’art. 19 del regolamento
63
NOTE A SENTENZA
Le questioni del lodo…
camerale, al quinto comma, dispone che il lodo è imputabile esclusivamente al Collegio arbitrale o
all’arbitro unico, ed in nessun caso può essere considerato atto della Camera o del C.O.N.I., ciò non
può automaticamente valere a configurare detto organo come Autorità resistente, occorrendo,
verosimilmente, allo scopo, un’autorizzazione legislativa al conferimento di una potestà
pubblicistica.
In ogni caso, come statuito, nella materia in esame, dalla già richiamata decisione del
Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 527/2006, in applicazione analogica della discplina concernente i
ricorsi amministrativi, seppure “la decisione del ricorso gerarchico (proprio od improprio),
specialmente quando è confermativa del provvedimento impugnato, sostituisce ed assorbe il
provvedimento stesso, va anche rilevato che, nella giurisprudenza amministrativa si è sempre
ritenuto che, nel caso di successivo esperimento della tutela giurisdizionale, si determinano effetti
devolutivi che consentono al giudice non solo di pronunciarsi sulla decisione gerarchica, ma altresì
di sindacare il provvedimento sottostante (con conseguente carenza di interesse alla contestazione
dei vizi propri della decisione giustiziale quando siano dedotti, con effetto devolutivo, vizi, in
astratto risolutivi per la soddisfazione dell’interesse del ricorrente, che affrettano il provvedimento
sottostante) considerando legittimo contraddittore l’autorità che ha emanato il provvedimento
impugnato e non quella che ha adottato la decisione giustiziale”.
Nella vicenda controversa appare dunque inequivoco come contraddittore necessario sia la
F.I.G.C..
3. – Diverso spessore, nel descritto background pubblicistico, viene invece ad assumere
l’ulteriore eccezione di inammissibilità del ricorso con riguardo al c.d. vincolo dei motivi, in
ragione del quale non potrebbero trovare ingresso in questa sede le prime tre censure del ricorso
principale, con le quali si deducono vizi procedimentali, nonchè la quarta censura concernente
l’impugnativa dell’art. 9, III comma, del codice di giustizia sportiva, ossia della norma che prevede
la responsabilità presunta, in quanto non previamente dedotte in sede amministrativo-arbitrale.
L’eccezione merita sostanziale condivisione.
Occorre muovere dalla considerazione che, effettivamente, con l’istanza di arbitrato del
26.10.2006 l’A. S.p.a. si è limitata a dedurre l’insussistenza dell’illecito (1° motivo), a contestare la
configurabilità di una propria responsabilità presunta ex art. 9 del codice di giustizia sportiva (2°
motivo), ed infine ad invocare una riduzione della penalizzazione (3° motivo).
64
NOTE A SENTENZA
Le questioni del lodo…
Sono dunque effettivamente rimaste estranee alla fase amministrativa le censure, dedotte in
questa sede, relative ai vizi procedimentali, e soprattutto quella che sorregge l’impugnativa delle
norme del codice di giustizia sportiva che disciplinano la fattispecie della “responsabilità presunta”
delle società sportive.
Anche in questa prospettiva, il Collegio non può che richiamare la giurisprudenza del
Consiglio di Stato, che, coerentemente con la premessa della natura di atto amministrativo del “lodo
arbitrale”, ritiene inammissibili le censure dedotte per la prima volta in sede giurisdizionale.
Ciò nella considerazione che l’art. 2 della legge n. 280/03 ha previsto che gli atti delle
federazioni sportive possono essere impugnati in sede giurisdizionale solo dopo la preventiva
impugnazione, quale condizione di procedibilità, innanzi alla Camera arbitrale, dovendo trovare
contemperamento i principi sulla tutela giurisdizionale con quelli sull’autonomia dell’ordinamento
sportivo (in termini Cons. Stato, Sez. VI, 19.6.2006 n. 3559).
4. – Peraltro, anche a voler interpretare non restrittivamente tale indirizzo giurisprudenziale,
non applicando dunque al rapporto tra giustizia sportiva e giurisdizione statale la preclusione della
previa deduzione dei motivi (ad instar di quanto avviene nel rapporto tra ricorso amministrativo e
ricorso giurisdizionale: in termini Cons. Stato, Sez. VI, 30.3.1994 n. 455; Cons. Stato, Sez. IV,
19.3.1996 n. 355), ma solo quella della previa impugnazione degli atti federali dinanzi alla Camera
arbitrale, le prime tre censure del ricorso principale devono comunque essere disattese, perchè
infondate.
In particolare, è infondato il primo motivo del ricorso principale con il quale si deduce la
violazione del principio, solennemente proclamato dall’art. 25 della Costituzione, del giudice
naturale precostituito per legge, lamentandosi come, nella vicenda che ha portato all’adozione dei
provvedimenti impugnati, tanto le persone fisiche componenti dalla C.A.F., quanto quelle della
Corte federale siano state nominate post factum, e per di più in assenza di un qualsivoglia criterio
normativamente predeterminato.
Ed invero, a prescindere dal fatto che il principio della precostituzione del giudice
prioritariamente impone che l’organo sia determinabile sulla base di regole vigenti del dies facti,
occorre considerare che l’invocata norma costituzionale non è certamente applicabile alla C.A.F. od
alla Corte federale.
65
NOTE A SENTENZA
Le questioni del lodo…
La Sezione ha avuto recentemente occasione (cfr. T.A.R. Lazio, Sez. III ter, 8.6.2007 n. 5280)
di ricordare come le decisioni degli organi di giustizia sportiva in questa sede gravati siano
l’epilogo di procedimenti amministrativi (seppure in forma giustiziale), e non già giurisdizionali, sì
che non possono ritenersi presidiati dalle garanzie del processo.
Alla “giustizia sportiva” si applicano, dunque, oltre che le regole sue proprie, previste dalla
normativa federale, per analogia, quelle dell’istruttoria procedimentale, ove vengono acquisiti fatti
semplici e complessi, che possono anche investire la sfera giuridica di soggetti terzi.
Ora, a parte che la dedotta illegittimità della “tardiva” nomina dei componenti della C.A.F.
non è stata dedotta da parte ricorrente dinanzi alla Corte federale, si è trattato comunque di atto
dovuto, in ragione del fatto che, secondo quanto rappresentato dalla F.I.G.C. nei propri scritti
difensivi, erano venuti a mancare nell’”organico” della C.A.F. ben quattordici componenti (a
seguito della delibera del C.S.M. del 15.6.2006) con la conseguenza che ne rimanevano in carica
solamente dodici componenti, e dunque un numero inferiore a quanto prescritto dall’art. 31, II
comma, dello Statuto federale, e dall’art. 26 II comma, del codice di giustizia sportiva.
Di qui l’indifferibilità di un provvedimento del Commissario straordinario di reintegra
dell’organico della C.A.F..
4.1. – Le considerazioni ora esposte inducono a respingere anche il secondo ed il terzo motivo
di gravame, con cui si lamenta, con argomentazioni similari a quelle poste a sostegno della
violazione dell’art. 25 della Costituzione, l’infrazione del divieto di istituire giudici straordinari,
nonchè la violazione dell’art. 51 del c.p.c..
Sotto il primo profilo, anche a prescindere dalla genericità della censura, appare sufficiente
ribadire, ancora una volta, come siano inapplicabili agli organi di giustizia sportiva le norme di
rango costituzionale che concernono l’attività giurisdizionale e l’organizzazione dei plessi
giudiziari.
Per quanto riguarda poi l’asserito dovere di astensione del giudice avente interesse diretto
nella causa, in ragione delle modalità di designazione, cui corrisponderebbe un diritto soggettivo
della parte alla ricusazione del giudice che tale obbligo abbia disatteso, quanto sopra osservato circa
le ragioni della reintegra dell’organico della C.A.F. (ammesso che a tale circostanza alluda parte
ricorrente) depone per l’infondatezza della censura.
66
NOTE A SENTENZA
Le questioni del lodo…
E comunque, a ragionare, ma impropriamente per quanto già osservato, in termini processuali,
la presenza di un iudex suspectus doveva essere quanto meno denunciata alla Corte federale che
sarebbe così stata chiamata ad esercitare un controllo specifico sul contenuto della pronuncia resa
con il concorso del medesimo.
Nella prospettiva del procedimento amministrativo, invece, ove, in generale, la ricusazione
costituisce una facoltà, e non un onere, sì che il difetto di legittimazione dei titolari della potestas
decidendi può essere fatta valere anche con l’impugnativa del provvedimento finale, occorre
peraltro considerare che la lamentata parzialità non è stata in alcun modo allegata, ma è solo
presunta, o, forse meglio, data per scontata.
Non è stata comunque dedotta la sussistenza di alcuna delle ragioni di astensione codificate
dall’art. 51 del c.p.c..
4.2. – Le considerazioni esposte nel punto sub 3) della presente motivazione inducono invece
a ritenere inammissibile la censura obiettivamente più delicata del gravame, e cioè il quarto motivo
mediante il quale si contesta, impugnandosi la prescrizione regolamentare che la prevede, la
legittimità della responsabilità presunta, deducendosi che nessuna relazione esisteva tra l’A. ed i
“soggetti intercettati”, ed, ancora, l’impossibilità, per la società, di fornire una prova negativa.
Non può negare il Collegio come tale ipotesi di responsabilità ponga (ben più della
responsabilità oggettiva, comunque fondata sul rapporto di causalità) problemi di compatibilità con
i principi che governano i procedimenti sanzionatori, e forse anche con i modelli di responsabilità
conosciuti dall’ordinamento giuridico statale.
Va però aggiunto come proprio tali ragioni, che attengono, in definitiva, all’enucleazione dei
limiti di relazione sistematica tra ordinamento sportivo ed ordinamento statale, imponevano che
della relativa questione fosse investito l’organo arbitrale, a tutela dell’autonomia dell’ordinamento
sportivo, e nel rispetto della clausola compromissoria accettata dai soggetti dell’ordinamento
federale quale parte integrante del vincolo associativo.
Come si è già osservato, si desume tanto dalla disamina del lodo arbitrale, quanto dalla lettura
dell’istanza di arbitrato, che la società ricorrente in sede arbitrale non ha impugnato, od almeno
contestato la legittimità dell’art. 9, III comma, del codice di giustizia sportiva (alla cui stregua “le
società sono presunte responsabili degli illeciti sportivi a loro vantaggio, che risultino commessi da
persone ad esse estranee”), ma ha solamente dedotto l’insussistenza in concreto di una siffatta
responsabilità.
67
NOTE A SENTENZA
Le questioni del lodo…
5. – Con il quinto motivo di ricorso si deduce poi il difetto di istruttoria, nella prospettiva che
la sanzione gravata troverebbe il proprio supporto probatorio esclusivamente nell’intercettazione
della conversazione telefonica intercorsa tra M. e T., da cui sarebbe stata erroneamente inferita
l’alterazione del risultato della gara A. – S. .
Anche tale censura non appare meritevole di positiva valutazione.
Giova premettere come le intercettazioni telefoniche provenienti dal procedimento penale
pendente dinanzi all’Autorità giudiziaria napoletana sono state acquisite dagli uffici federali ai sensi
dell’art. 2, III comma, della legge 13.12.1989 n. 401, che consente agli organi della disciplina
sportiva di chiedere copia degli atti del procedimento penale a norma dell’art. 116 del c.p.p..
Dette intercettazioni sono state legittimamente valutate in sede amministrativa, in conformità
del principio di libera utilizzazione degli elementi di prova acquisiti in procedimenti diversi, che
opera in assenza di un principio di tipicità dei mezzi di prova.
Quanto poi alla loro valenza probatoria, non può essere trascurato come anche la
giurisprudenza penale, ai diversi fini del giudizio penale, costantemente afferma che
nell’interpretazione dei fatti comunicativi le regole del linguaggio e della comunicazione
costituiscono il criterio di inferenza (premessa maggiore) che, muovendo dal testo della
comunicazione o comunque della struttura del messaggio (premessa minore), consente di pervenire
alla conclusione interpretativa.
Sicchè le valutazioni del giudice di merito sono censurabili solo quando si fondino su criteri
interpretativi inaccettabili (difetto della giustificazione esterna), ovvero applichino scorrettamente
tali criteri (difetto della giustificazione interna) (in termini Cass. pen., Sez. V, 9.2.2007 n. 5699,
nonchè Cass. pen., Sez. V, 16.2.2000 n. 6350).
Nel caso di specie, l’interpretazione del significato delle intercettazioni coinvolgenti l’A. è
adeguatamente e logicamente motivata nelle decisioni degli organi federali, e risulta compatibile
con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento, secondo la
formula ricorrente nella giurisprudenza penale.
Ne deriva, ancora, che l’interpretazione del fatto comunicativo (e cioè della conversazione
intercettata) è incensurabile in questa sede di giurisdizione di legittimità, seppure esclusiva.
6. – Con il sesto mezzo si allega la violazione dell’art. 12 del codice di giustizia sportiva,
nell’assunto che detta norma non consenta l’irrogazione della sanzione della penalizzazione di punti
da scontare in altro campionato in caso di alterazione del risultato di una sola gara, quale che sia il
titolo di responsabilità.
68
NOTE A SENTENZA
Le questioni del lodo…
La censura è infondata, se non anche inammissibile, per non essere stata dedotta in sede
amministrativa.
Ed, invero, la norma applicabile al caso di specie non è l’art. 12 del codice di giustizia
sportiva, ma l’art. 6 dello stesso corpus normativo, il quale, con riferimento all’illecito sportivo, al
quarto comma, stabilisce con previsione esaustiva che “se viene accertata la responsabilità oggettiva
o presunta della società ai sensi dell’art. 9, comma 3, il fatto è punito, a seconda della sua gravità,
con le sanzioni di cui all’art. 13, comma 1, lett. f), g), h) e i)”.
È proprio l’art. 13, sub lett. f), a contemplare la sanzione della “penalizzazione di uno o più
punti in classifica”, aggiungendo che “la penalizzazione sul punteggio, che si appalesi inefficace
nella stagione sportiva in corso, può essere fatta scontare, in tutto o in parte, nella stagione sportiva
seguente”.
Quanto alla dedotta ingiustizia manifesta, va ricordato come tale figura sintomatica
dell’eccesso di potere (smilarmente alla disparità di trattamento) richiede che situazioni identiche
siano disciplinate in modo ingiustificatamente diverso, ed è evidente che tale giudizio di
equivalenza risulta precluso dall’accertamento di autonome fattispecie di responsabilità.
7. – Con l’ultimo motivo del ricorso principale si deduce l’insussistenza della responsabilità
presunta per la commissione di un illecito sportivo, in quanto non risulta provato il coinvolgimento
(e/o la conoscenza) dell’A. nei fatti contestati al T..
Il mezzo è infondato, e non merita dunque una positiva valutazione.
Occorre considerare al proposito che l’illecito sportivo (di cui all’art. 6 del codice di giustizia
sportiva) si configura come illecito di pericolo, o, meglio, a consumazione anticipata, concretandosi
nel “compimento, con qualsiasi mezzo, di atti diretti ad alterare lo svolgimento o il risultato di una
gara ovvero ad assicurare a chiunque un vantaggio in classifica.”
Non assume dunque rilievo la condotta assunta in campo dal T., ed in particolare se la di lui
condotta sia stata effettivamente parziale, quanto piuttosto l’idoneità degli atti compiuti a mettere in
pericolo il bene protetto.
Al contempo, e nei limiti del sindacato di legittimità concesso al giudice amministrativo, la
disamina della trascrizione della comunicazione telefonica intercorsa tra M. e T. consente di ritenere
immune da vizi logici la decisione della Corte federale laddove afferma che “dagli atti si ricavano
elementi che .... consentono di ritenere fallita, e, dunque, non pienamente integrata, la prova,
incombente sull’incolpata, della estraneità all’illecito e della correlativa inconsapevolezza”.
69
NOTE A SENTENZA
Le questioni del lodo…
Depone quantomeno nel senso della conoscenza, da parte dell’A., della condotta illecita di
terzi quella parte della conversazione intercettata, ovviamente contestualizzata, in cui il T., su
domanda del M., identifica nella società odierna ricorrente il soggetto che sta facendo pressioni sul
vice-designatore M..
8. – Con il primo ed il secondo motivo aggiunto, che possono essere trattati congiuntamente,
in quanto connessi, la società ricorrente deduce poi l’inesistenza del lodo, o comunque la sua
illegittimità per difetto di rituale sottoscrizione, assumendo come solamente in caso di arbitrato
rituale, ex art. 823 del c.p.c., sia consentita la scissione tra il momento deliberativo ed il momento
della sottoscrizione della decisione, risultando invece ciò precluso sia nel caso in cui il lodo si
configuri in termini di provvedimento amministrativo, sia nel caso in cui lo si ritenga un lodo
irrituale, di natura dunque negoziale.
Le censure sono destituite di fondamento.
È infatti l’art. 19 del regolamento camerale, neppure fatto oggetto di gravame, a prevedere che
“il lodo è deliberato dall’organo arbitrale riunito in conferenza personale a maggioranza dei voti”; il
secondo comma stabilisce altresì, ai fini che qui rilevano, come “i componenti del collegio arbitrale
prima del deposito possano sottoscrivere il lodo in luoghi e tempi diversi. Ogni arbitro deve
indicare il luogo e la data in cui la firma è stata apposta. Le sottoscrizioni dei componenti del
collegio arbitrale possono risultare da esemplari diversi del lodo, purchè dichiarati tra loro conformi
dalla Segreteria.”
Ne discende che, quale che sia la natura giuridica del lodo in esame, e senza che possa
assumere rilievo la circostanza che l’organo arbitrale sia un collegio perfettto, risulta comunque
certamente consentita la dissociazione tra la deliberazione e la sottoscrizione del lodo.
9. – Con l’ultima censura si deduce l’inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche, acquisite
dalla F.I.G.C., ai sensi del combinato disposto degli artt. 266 e 271 del c.p.p., oltre che
l’insufficienza del quadro probatorio posto a fondamento del provvedimento sanzionatorio.
Il mezzo è infondato, se non anche irricevibile per tardività.
Con riferimento al profilo probatorio, i limiti del sindacato consentito al giudice
amministrativo, preclusivi di una nuova valutazione di merito, consentono di fare rinvio a quanto
già precedentemente esposto, in particolare al punto sub 7) della motivazione.
70
NOTE A SENTENZA
Le questioni del lodo…
Per quanto concerne invece la pretesa inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche, in
quanto asseritamente acquisite al di fuori dei limiti di ammissibilità previsti dall’art. 266 del c.p.p.,
ritiene il Collegio sufficiente osservare come il divieto di utilizzazione concerne il procedimento
penale, e comunque richiede un accertamento che rientra nella competenza esclusiva del giudice
penale (Cass., Sez. I, 30.3.1993, Grosoli ed altri), il quale dispone la distruzione della relativa
documentazione (art. 271, III comma, del c.p.p.).
Deve dunque condividersi l’orientamento giurisprudenziale alla stregua del quale
l’inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche non può spiegare effetti oltre gli ambiti processuali
penali e, pertanto, non può impedire l’apprezzamento delle stesse in sede disciplinare (così T.A.R.
Puglia, Bari, Sez. I, 19.4.2001 n. 1199).
10. – In conclusione, alla stregua di quanto precede, il ricorso, con la connessa domanda
risarcitoria, deve essere respinto, in quanto infondato.
Sussistono giusti motivi per disporre tra le parti la compensazione delle spese di giudizio.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio – Sezione III Ter,
definitivamente pronunciando, respinge il ricorso.
Compensa tra le parti le spese di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 7.6.2007.
71
NOTE A SENTENZA
Le questioni del lodo…
LE QUESTIONI DEL LODO CAMERALE:
AUTONOMIA O DISCREZIONALITÀ NELLE
FEDERAZIONI SPORTIVE NAZIONALI ?
di Antonino De Silvestri (*)
SOMMARIO:
1) Alle radici del problema: le “pubblicizzazioni giurisprudenziali” ed il
panamministrativismo” della dottrina.
2) La legge n. 280/2003: un brutto cappello per la testa sbagliata. Però…
3) La crisi di identità del lodo camerale nell’avvicendamento giurisprudenziale e nella
dottrina.
4) Il default del modello di tutela delle pretese sportive e lo “scollegamento” delle
federazioni sportive nazionali dal sistema.
72
NOTE A SENTENZA
Le questioni del lodo…
1) Alle radici del problema: le “pubblicizzazioni giurisprudenziali” ed il
“panamministrativismo” della dottrina.
Lo sport del terzo millennio dovrà sempre più misurarsi con il profondo cambiamento che sta
interessando tutti i diversi contesti giuridici nazionali, sempre più alle prese con le problematiche
che derivano da quello che, ormai, viene definito «lo spazio giuridico globale» (CASSESE 2002,
pp. 323 ss.).
È infatti in continuo crescendo l’interdipendenza economica e politica di tutti i Paesi del mondo
ormai riuniti, unitamente ad organismi sovranazionali ed internazionali, quali rispettivamente
l’Unione Europea e l’ONU, ma anche ad altre organizzazioni transnazionali di settore non costituite
da Stati, quali indubbiamente quelle sportive, i cui componenti operano a poteri condivisi (da qui le
possibilità di conflitti) con quelli delimitati territorialmente dalle singole nazioni (amplius in
CASSESE 2005, pp. 331 ss., che discorre di «sistemi regolatori globali e della loro global
governance).
Anche nel nostro Paese l’età della decodificazione, che a decorrere dagli anni Settanta ha visto i
codici diminuire progressivamente la loro funzione per la continua e sempre più incidente
emanazione di leggi speciali (IRTI 1999, passim), ha più in generale ceduto il passo allo
svuotamento di ruolo della stessa legge, sempre più esposta a disapplicazioni, e non solo per la
necessaria prevalenza di una fonte sovranazionale superiore, ma anche per la presenza di atti che, a
prescindere dalla loro qualificazione giuridica, si mostrano comunque idonei, sul piano
dell’effettività, a regolare in modo più puntuale interessi specifici (è il caso di quelli sportivi), né
può ignorarsi, negli ordinamenti a civil law, il concorrente e sempre più frequente ricorso al «diritto
mite» (ZAGREBELSKY 1992, passim), a tecniche di regolazione, cioè, che rifuggono dal
monopolio statuale del diritto in favore di strumenti più flessibili, quali i codici di autodisciplina a
cui corrisponde, sul piano processuale, la parimenti ricorrente scelta, in luogo della giurisdizione,
delle Alternative Dispute Resolution (ADR).
Nel nuovo quadro giuridico, non più centralizzato e monosistemico, ma frammentato e
disancorato dalla rigida e tradizionale gerarchia delle fonti, che ha comportato il ritorno ad una sorta
di «feudalesimo giuridico», in cui ogni potere opera secondo la forza che ha (DOMENICHELLI
2004, pp. 1 ss.), ed in cui la legislazione si è peraltro trasformata da attività normativa, guidata da
interessi generali, in un coacervo di provvedimenti specifici ed occasionali, spesso frutto di
«compromissismo» (SILVESTRE 2000, passim) tra valori difficilmente conciliabili (esemplare, in
73
NOTE A SENTENZA
Le questioni del lodo…
tal senso, proprio la disciplina del settore sportivo) la funzione della magistratura, esaltata da una
possibilità di opzioni ermeneutiche in precedenza impensate, risulta però esposta, al tempo stesso, a
incontrollate forme di “creatività”.
Non si è infatti mancato di osservare, citando esempi delle inappellabili magistrature superiori,
come i giudici, «favoriti dalla complessità dei livelli di produzione normativa», «alimentino
anch’essi l’asistematicità, sentendosi sempre più liberi non solo nella scelta della norma per il caso,
ma anche nei confronti dei dettami del legislatore» e come, «complice ancora il profluvio delle
norme sul cambiamento» gli stessi, che sembrano «aver smarrito il proprio ruolo nomofilattico»,
corrano sempre più il rischio che la loro creatività si trasformi in «anarchica casualità»
(DOMENICHELLI 2004, pp. 5 ss.).
È in tale contesto che hanno potuto trovare spazio le operazioni di “pubblicizzazione
giurisprudenziale”, e cioè la «reazione pubblicistica alla penetrazione degli istituti privatistici nel
diritto amministrativo […] rafforzata a seguito dell’affermazione della giurisdizione esclusiva», e
che, tra le «materie in cui il giudice amministrativo ha continuato ad applicare le categorie
pubblicistiche», sono state individuate espressamente proprio quelle relative alle federazioni
sportive, nonostante la loro «trasformazione in persone giuridiche private e la perdita, da parte delle
stesse, della qualità di organi del CONI» (NAPOLITANO 2003, pp. 546 ss.).
Benché l’esplicito riconoscimento della natura di associazioni private delle federazioni (che tali
erano peraltro anche in precedenza, pur se prive della personalità giuridica) non sembrasse offrire
molte possibilità di intervento alla magistratura amministrativa è stata infatti proprio a questa,
ostinata «nel tingere di pubblico tutto ciò che gli interessa(va)», nel «ri-pubblicizzare ciò che il
legislatore aveva privatizzato» (così CASSESE, Corriere della Sera, 21 Agosto 2003) ed ansiosa, al
tempo stesso, di «riproporre ovunque il dominio del giudizio di annullamento» (A. ROMANO
TASSONE 2003, p. 2280), ad emettere una serie di provvedimenti destinati, nel breve giro di pochi
anni, a mettere in scacco l’intera giustizia sportiva ed provocare, ancora più a monte, lo
“scollegamento” dal sistema delle stesse federazioni sportive nazionali.
L’”effetto domino” ha cominciato a prodursi subito dopo l’emanazione del D.lgs. n. 242/1999
perché un numero sempre crescente di tribunali amministrativi, utilizzando il grimaldello della
«valenza pubblicistica» di cui al relativo art. 15, comma 1 (su cui vedi ora, esaustivamente,
FERRARA 2007, pp. 22 ss.), manipolato a dismisura sino a far rivivere la non più sostenibile tesi
della “doppia natura” delle federazioni sportive, hanno ritenuto di doversi attribuire la giurisdizione
74
NOTE A SENTENZA
Le questioni del lodo…
in numerose controversie, anche dilettantistiche, in cui di interessi legittimi non v’era nemmeno la
minima traccia (amplius in DE SILVESTRI 2004b, pp. 121-122).
Lo spunto per un’ulteriore operazione di «pubblicizzazione giurisprudenziale» è stato offerto,
successivamente, dall’arcinoto pronunciamento della Corte Federale calcistica, che nel riaprire il
merito del contenzioso Siena – Catania, nonostante fossero stati esauriti i due gradi di giustizia
federale prescritti, ha consentito ai giudici siciliani, sia in prime cure che in appello, di radicare la
loro giurisdizione sul falso presupposto che la violazione delle regole sull’individuazione della
competenza degli organi giustiziali endoassociativi rifluisse, ancora, sulla “valenza pubblicistica”
dell’attività sportiva. Ed è proprio a questi, oltre che agli altri tribunali amministrativi chiamati in
causa nell’estate “calda” del 2003, che deve ascriversi il decreto n. 220/2003 adottato, ironia della
sorte, non solo allo scopo di «assicurare il regolare inizio dei campionati», ma anche per porre un
freno alla proliferazione di provvedimenti giudiziari «non esattamente in linea con i principi di
legge» (così si legge nella relazione governativa), quelli degli stessi giudici amministrativi, cioè…,
ai quali si è ritenuto di dover affidare l’intero contenzioso sportivo non patrimoniale (amplius, su
tali vicende, in DE SILVESTRI 2004b, p. 106).
Un’inaccettabile operazione di “pubblicizzazione giurisprudenziale”, per altro verso, è
sicuramente anche quella posta in essere dal TAr Sicilia, Sez. staccata di Catania (sentenza n. 679
del 19 aprile 2007, Pennisi + 81 c/ CONI, FIGC e altri), che nel contesto del decesso dell’ispettore
Filippo Raciti, ha ritenuto di dover accogliere le istanze di un gruppo di tifosi ipotizzando, con
emblematica sequenza logica, la natura provvedimentale degli organi di giustizia sportiva della
FIGC, la violazione, da parte di questi, delle regole di “correttezza, imparzialità e buona
amministrazione” e, quindi, l’esistenza di un «preciso interesse legittimo» a che le federazioni non
adottino provvedimenti sanzionatori, a carico delle società calcistiche, che risultino lesivi del
credito vantato dai loro abbonati (amplius sull’intera, inquietante vicenda, in SCUDERI 2007,
passim) anche se deve registrarsi, però, il recentissimo intervento correttivo dell’organo di appello
(Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Sicilia, sentenza n. 1048 dell’ 8 novembre
2007), che ha finalmente demolito la fantasiosa costruzione, dichiarando il difetto assoluto di
giurisdizione in materia (FERRARA 2005, passim).
75
NOTE A SENTENZA
Le questioni del lodo…
È stata, in ogni caso, la questione dell’impugnabilità dei lodi camerali ad «imparruccare»
(FERRARA 2005, passim) il Consiglio di Stato e ad indurlo all’ulteriore, destabilizzante opzione
ermeneutica che ha finito con il pubblicizzare anche il lodo camerale e, per necessaria attrazione,
l’intera attività di giustizia sportiva delle federazioni, trasformate in pubbliche e private al tempo
stesso, una sorta di Minotauro con testa e corpo di natura diversa.
Occorre
anche
sottolineare,
al
proposito,
il
ruolo
di
supporto
della
dottrina
«panamministrativistica», che perpetuando lo storico, antitetico approccio culturale di fondo che
caratterizza da sempre le problematiche di diritto dello sport, ha dapprima tentato di svalutare in
vario modo l’inequivoca portata del riconoscimento legislativo della natura di soggetti privati delle
federazioni per poi, al contrario, enfatizzare la successiva attribuzione del contenzioso sportivo alla
giurisdizione esclusiva del TAR Lazio, riguardata come una conferma della bontà della lettura
dell’intera legislazione specifica in termini, appunto, di diritto amministrativo (amplius in DE
SILVESTRI 2008, in corso di pubblicazione).
E se taluni autori, allo scopo di evitare il paradosso di un lodo di natura privata e negoziale,
riferibile direttamente alle parti se non impugnato, e di natura amministrativa in caso contrario
(VIGORITI 2007, p. 1054), non hanno esitato a concordare con la scelta interpretativa del
Consiglio di Stato, traendo anzi lo spunto da questa per derivarne tout court la natura di «decisioni
amministrative» di tutte le determinazioni degli organi giustiziali endofederali, e di
«ricorsi
gerarchici» dei rimedi contro le stesse (per tutti ANTONIOLI 2005, pp. 1051 ss.), occorre anche
render conto di una recentissima monografia, che rappresenta senz’altro l’acme di un persistente ed
inaccettabile «panamministrativismo» (GOISIS 2007, passim) nella quale l’autore, muovendo da
più generali premesse, asseritamente fondanti, è giunto in via diretta ad una ricostruzione
integralmente pubblica dell’intero sistema sportivo nazionale.
Patrocinando un’interpretazione della legge n. 280/2003 del tutto in contrasto con la dottrina e
la giurisprudenza, sia antecedenti che successive alla sua emanazione, oltre che con quanto si legge
nella stessa relazione governativa di accompagnamento al decreto convertito, ove si fa espresso
riferimento alla «completa indifferenza», da parte dell’ordinamento statuale, «verso la normativa
tecnica», il primo infondato presupposto su cui si basa è che quest’ultima, altrimenti definita come
«l’intrinseco dello sport», sarebbe invece concretamente rilevante come «materia di interesse diretto
e primario di un ente pubblico», tanto da «ascendere a interesse pubblico» per scelta di legge.
76
NOTE A SENTENZA
Le questioni del lodo…
In considerazione della circostanza che «il CONI è il vertice dell’ordinamento sportivo visto
nella sua unitarietà», si è quindi ritenuto di poter derivare l’ulteriore conseguenza che «le
federazioni, più che su interessi diversi» da quelli del predetto ente, «operino su una porzione più
ristretta», e ne ripetano quindi eguale natura pubblica, apparendo «paradossale» ipotizzare una
«dequotazione del (loro) potere (comunque ed identicamente) esercitato a potere privato (per
esempio associativo)» (GOISIS 2007, pp. 55 ss.).
Ci si dovrebbe convincere, insomma,
che le federazioni, nate come associazioni non
riconosciute private, e consacrate come tali, con aggiunta di personalità giuridica, dal D.lgs n.
242/1999, “disciplinate, per quanto non previsto nel (presente) decreto, dal codice civile e dalle
disposizioni di attuazione del medesimo”, sarebbero divenute pubbliche per effetto di una legge, la
n. 280/2003, che disciplinando dichiaratamente solo questioni di giurisdizione, non si vede come
possa aver innovato la loro natura.
L’idea di fondo che alimenta l’intera costruzione è quella della delega «per l’esercizio in via
indiretta della funzione amministrativa nel settore sportivo», che si estenderebbe all’ intero sistema
della giustizia sportiva, sia in virtù dell’art. 7 comma 2 lett. h- bis del decreto Melandri-Pescante,
relativo all’individuazione dei criteri generali di giustizia sportiva secondo principi prefissati, che
dello stesso art. 2 della legge n. 280/2003, apoditticamente ritenuta una «norma di (esplicito)
conferimento di potestà all’ordinamento sportivo, e quindi alle sue autorità», appunto le federazioni
e gli altri enti sportivi (GOISIS 2007, pp. 75 ss., 210 ss.).
Né ci si perita di sostenere, ancora, che benché la giustizia sportiva si risolva in una «funzione
amministrativa giustiziale» e quella tecnica, in particolare, in una precostituzionale «giurisdizione
speciale», le circostanze non dovrebbero ciononostante preoccupare a livello operativo, dovendosi
considerare il concreto esercizio del potere amministrativo comunque disponibile, al contrario della
sua attribuzione (GOISIS 2007, pp. 317 ss., 349 ss., 261 ss.).
In questo quadro di «appartenenza al diritto pubblico-amministrativo degli atti unilaterali con
cui le federazioni sportive amministrano il bene della vita appartenenza attiva all’ordinamento
sportivo», persino nelle controversie devolute alla giurisdizione del giudice ordinario quale «potestà
amministrativa giustiziale incidente su diritti soggettivi», non ci può essere, evidentemente, altra
conclusione se non quella che il lodo camerale rivesta natura sostanzialmente amministrativa, tale
essendo l’intero contesto in cui, in tesi, agiscono tutti gli enti sportivi..
77
NOTE A SENTENZA
Le questioni del lodo…
2) La legge n. 280/2003: un brutto cappello per la testa sbagliata. Però…
La legge n. 280/2003 è, innanzitutto, un brutto cappello, perché ha completamente fallito il suo
obbiettivo primario, quello dichiarato di «razionalizzare i rapporti tra l’ordinamento sportivo e
quello generale in termini di giustizia sportiva» per chiarire finalmente, in modo preciso, «gli ambiti
di rilevanza statuale da quelli che devono invece restare confinati nel giuridicamente irrilevante»
(così si legge nella relazione d’accompagnamento al decreto n. 220/2003).
Salutata dai panamministrativisti, evidentemente soddisfatti dall’attribuzione del contenzioso
sportivo alla giurisdizione esclusiva del TAR Lazio, come «una grande conquista dello sport […],
un momento fondamentale nell’evoluzione dei rapporti tra l’ordinamento sportivo e l’ordinamento
statale complessivamente considerato», tale da offire risvolti positivi «sotto il profilo della certezza
del diritto» (così LUBRANO 2004, pp. 182 e 183), la legge ha mostrato ben presto, in realtà,
assoluta inadeguatezza a discriminare le “due giustizie”, tanto da indurre un autore ad auspicare,
emblematicamente, l’intervento… del legislatore «perché chiarisse, una volta per tutte, le questioni
che assumono rilevanza per l’ordinamento giuridico dello Stato separandole da quelle
giuridicamente indifferenti» (VALORI 2005, p. 120).
Al di là della spropositata enfatizzazione del principio di “autonomia” dell’ordinamento
sportivo, che lungi dall’essere un prodotto legislativo affonda invece le sue radici, quanto agli enti
sportivi, nelle istanze pluralistiche della Costituzione, è stato l’altro principio di “rilevanza” delle
situazioni giuridiche connesse con l’ordinamento sportivo a creare insuperabili incertezze a livello
operativo, come del resto era stato agevole prevedere (DE SILVESTRI 2004a, p. 87).
Ricordata l’intrinseca tautologia in cui lo stesso si risolve, inutilmente ripetitivo dell’ovvia
giustiziabilità statuale, per dettato costituzionale, delle situazioni soggettive rivestenti natura di
diritti soggettivi o interessi legittimi, lo svuotamento giurisprudenziale dei due precetti di cui alle
lettere a) e b) dell’art. 2 della legge n. 280/2003 per effetto della loro lettura in senso
«costituzionalmente orientato» ha finito, infatti, con lo svincolare da ogni contenuto predeterminato
ogni indagine di giustiziabilità statuale delle singole, concrete fattispecie.
Con la conseguenza che l’autonomia dell’ordinamento sportivo, apparentemente concessa
dalla legge, continua a rivelarsi invece come una più generale «risultante di sistema», posto che le
questioni asseritamene riservate in realtà non lo sono affatto, mentre quelle irrilevanti, perché non
afferenti a interessi qualificati, non abbisognavano di riserva alcuna per essere rimesse
78
NOTE A SENTENZA
Le questioni del lodo…
esclusivamente al giudizio degli organi di giustizia endoassociativa (su tutte tali questioni, più in
dettaglio, vedi DE SILVESTRI 2008, in corso di pubblicazione).
Esemplare, a riprova dell’incertezza in cui si dibattono attualmente le pretese sportive a cagione
della mancanza di parametri sicuri in ordine alla loro giustiziabilità statuale, appare l’imprevisto,
recentissimo arresto del Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione siciliana (sentenza n.
1048/2007, cit), che ribaltando la consolidatissima giurisprudenza del TAR Lazio e del Consiglio di
Stato, oltre che l’opinione pressoché concorde di tutta la dottrina, ha patrocinato una interpretazione
rigorosamente letterale dell’art. 2 lett b della legge, respingendo ogni «diversa interpretazione
correttiva», asseritamente sconfinante in mera disapplicazione, per ritenere davvero riservati
all’ordinamento sportivo «i comportamenti rilevanti sul piano disciplinare e l’irrogazione delle
relative sanzioni disciplinari sportive», e prive di ogni rilievo statuale, quindi, tutte le notevolissime
conseguenze personali e patrimoniali da queste eventualmente derivanti.
Al di là della sua conclamata inettitudine selettiva, sono inoltre progressivamente crescenti i
dubbi di costituzionalità della legge (da ultimo, in tal senso FERRARA 2007, p. 24), che se in un
primo momento era stata ritenuta conforme al trend legislativo allora in atto, che aveva portato al
progressivo ampliamento della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo per «blocchi di
materie», dopo lo storico intervento demolitivo della Consulta, attuato con la sentenza del 6 luglio
2004, n. 204, e ribadito, successivamente, da due ulteriori pronunce, non appare più in linea in
ordine all’individuazione delle «particolari materie» di cui all’art. 103 della Costituzione in ragione,
essenzialmente, della carenza di potere autoritativo, che solo come tale può legittimare l’esistenza
di interessi legittimi, nell’attività delle federazioni (amplius in DE SILVESTRI 2008, in corso di
pubblicazione).
La legge n. 280/2003, un brutto cappello ex se per i motivi anzidetti, è stato in ogni caso posto
sulla testa sbagliata perché, dopo l’opzione per il privato nella disciplina sostanziale degli enti
sportivi, il legislatore si è invece incoerentemente orientato per il pubblico in quello processuale
(GIACOMARDO 2003, p. 109), offrendo così la stura per inferire l’esistenza di interessi legittimi,
con singolare inversione logica, proprio dalla presenza del giudice amministrativo (ROMANO
TASSONE 2005, p. 291), troppo semplicisticamente eletto a giudice naturale delle pretese sportive.
Occorre in ogni caso riconoscere che la legge, pur a fronte di un «coacervo (e “ircocervo”) di
pubblico e privato» (CONSOLO 2007, p. 1114), avrebbe potuto svolgere un pragmatico ruolo
“ordinante”, avendo comunque devoluto ad un giudice unico materie ricche di sfaccettature e
instriabili intrecci se il Consiglio di Stato, compiendo l’ennesima forzatura (così anche
79
NOTE A SENTENZA
Le questioni del lodo…
TORTORELLA 2007, p. 90 e, in precedenza VIGORITI 2005, p. 447, nonché NAPOLITANO
2004, p. 116), che lo ha portato a sostenere la conoscibilità dei lodi al di là dei limiti connessi alla
sua natura giuridica, non avesse trasformato la procedura camerale da strumento deflattivo,
alternativo alla giurisdizione nel suo complesso e finalizzato ad un giudizio più rapido, flessibile e
specializzato (FUMAGALLI 2004, pp. 147 ss.), in un opposto moltiplicatore inflattivo di gradi,
tempi e costi, trascinando i sistemi giustiziali endofederali in un background pubblicistico che ha
finito con lo “scollegare” le stesse federazioni dall’intero sistema.
3) La crisi di identità del lodo camerale nell’avvicendamento giurisprudenziale e nella
dottrina.
Ho già rilevato in altra sede (DE SILVESTRI 2004b, pp. 9 ss.) come il legislatore dal 1999, nel
tentativo di superare la lacerante contrapposizione tra le «due giustizie», abbia cercato di
contemperare l’irrinunciabile sovranità dello Stato con le peculiarissime aspirazioni di autodichia
delle federazioni nazionali, soggette per altro verso ai dettami delle corrispondenti federazioni
internazionali, assegnando al CONI, per consentirgli di regolare e di garantire entrambe le esigenze,
l’«anfibia posizione di apparato, a un tempo pubblico e confederativo di associazioni (di
associazioni) private» (FERRARA 2007, p. 27),
È appunto in tale contesto che il CONI, mutuando gli schemi sperimentati con successo dal
TAS in ambito sovranazionale, ha dato vita alla Camera di Conciliazione e Arbitrato per lo sport
(amplius in FUMAGALLI 2004, pp. 147 ss.) al duplice scopo, cioè, di apprestare un valido
strumento giustiziale alternativo alla giurisdizione e di consentire alle federazioni, tenute a svolgere
l’attività sportiva «in armonia con le deliberazioni e gli indirizzi», oltre che del CONI e del CIO,
anche delle corrispondenti «federazioni internazionali», unanimi nell’imporre due gradi di giudizio
endofederali ed un definitivo ricorso ad una camera arbitrale (vedi, ad esempio, gli artt. 61 St.
UEFA e 60, n. 2, lett. c) St. FIFA, amplius in VIGORITI 2007, pp. 1048 ss.).
L’esplicita riserva di salvezza delle clausole compromissorie di cui all’art. 3 della legge n.
280/2003, anche di quelle previste dagli statuti e dai regolamenti del CONI, non sembrava peraltro
offrire spazio a dubbi circa la reale natura di lodo (rituale prima, e irrituale successivamente, a
seguito della modifica regolamentare introdotta il 3 febbraio 2005) dei dicta camerali, né che a
questi fosse applicabile, come del resto era pacifico prima dell’entrata in vigore della legge, il
relativo regime codicistico delle impugnazioni, devolute ovviamente al naturale giudice civile.
80
NOTE A SENTENZA
Le questioni del lodo…
Tale riserva appariva assolutamente in linea, peraltro, con il crescente favor per il modulo
arbitrale, che aveva già trovato sbocco nella riforma del diritto societario di pochi mesi prima (D.
Lgs. 17 gennaio 2003, n. 366) e le cui linee ispiratrici, con particolare riguardo alla rottura del
tradizionale nesso tra arbitrabilità e disponibilità delle situazioni dedotte, apparivano senz’altro tali
da legittimare la conclusione, essendo anche quella sportiva una giustizia “di gruppo”, e non tra
estranei, che le materie che erano socialmente decidibili all’interno delle federazioni dovevano
ritenersi parimenti arbitrabili, anche in considerazione dei risvolti patrimoniali e di onorabilità
compresenti nelle stesse.
L’opzione per la reale natura di lodo sembrava porsi nel solco, inoltre, di un percorso intrapreso
da tempo dalla giustizia amministrativa, iniziato con l’arcinota sentenza n. 500/1999, che ha posto
le basi per riconoscere come l’azione risarcitoria affondi sempre e comunque le radici in un diritto
soggettivo, e proseguito con la legge 21 luglio 2000, n. 205, che ha aperto la strada al giudizio
arbitrale per le controversie rientranti nella giurisdizione del giudice amministrativo. La stessa
giurisprudenza amministrativa, del resto, aveva più volte mostrato di non credere più al «dogma»
della indisponibilità degli interessi legittimi, e la dottrina più avanzata aveva preso da tempo a
riguardare questi quali situazioni individuali tutelate direttamente in quanto tali, e non
indirettamente, in occasione della cura di un interesse pubblico (ORSI BATTAGLINI 2005, pp. 147
e passim).
La scelta ermeneutica in favore della reale natura del lodo non risultava nemmeno contraddetta
dalla questione dell’asserita obbligatorietà della procedura camerale, (sulla differenza tra arbitrati
obbligatori e arbitrati “da legge” vedi, in materia, TORTORELLA 2007, pp. 87-88) potendo la
validità della convenzione arbitrale di rinvio alla stessa fondarsi sulla volontaria adesione al
contratto associativo (amplius, su quanto osservato sinora, con relative citazioni, in DE SILVESTRI
2008, in corso di pubblicazione), né poteva sostenersi, per altro verso, che la questione
dell’impugnativa dei lodi in materie ricomprese nella giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo costituisse un novum, essendo stato già esplorato, relativamente a quelli emessi in
tema di diritti soggettivi arbitrabili ai sensi dell’art. 6, comma 2, della citata legge 205/2000, tutto il
ventaglio delle soluzioni astrattamente prospettabili circa l’individuazione dell’organo di appello:
Consiglio di Stato, TAR, Corte d’Appello, Corte d’Appello per il rescissorio e giudice
amministrativo per il rescindente (amplius in ROMANO TASSONE 2003, passim).
81
NOTE A SENTENZA
Le questioni del lodo…
Il taglio sistematico di questa nota mi esime dal render conto, nello specifico, dell’articolata
diatriba ermeneutica che ha visto, nell’anno 2004, la Cassazione e S.V. (imidenter tantum, sentenza
n. 5775 del 23 marzo), il Tar Lazio (sentenza n. 2987 del 1 Aprile) e la stessa Camera (lodo del 27
liuglio, AC Perugia Spa c/ FIGC e Parma FC Spa) pronunciarsi in favore della natura di arbitrato
amministrato della procedura camerale ed il Consiglio di Stato (sentenza n. 5025 del 9 luglio) per
quella, invece, di attività amministrativa in forma arbitrale nonché, successivamente a tale
fondamentale arresto, delle numerose “ribellioni” dei giudici amministrativi di prime cure, che
recependo variamente le argomentazioni sin qui avanzate, hanno tentato anche soluzioni mediate
per cercare di mantenere la natura arbitrale dei lodi (l’intero “valzer delle pronunce in
TORTORELLA 2007, pp. 80 ss e GOISIS 2007, pp. 22 ss., ai quali si riserva anche per la relativa
dottrina).
E’ certo, in ogni caso, che non ci si può esimere dal rilevare come, dopo l’ulteriore sentenza n.
268 del 25 gennaio 2007, con la quale il Consiglio di Stato ha ribadito il proprio convincimento,
l’eccezionale rilevanza della materia, la vivacità dei contrasti e gli sviluppi dottrinali successivi
avrebbero meritato, in luogo del mero ed acritico appiattimento alla funzione nomofilattica
dell’organo superiore, un ben diverso e adeguato tessuto motivazionale di sostegno (così anche
TORTORELLA 2007, p. 84).
È forte quindi il sospetto che i giudici della sentenza in commento, limitandosi a rilevare
come «la questione della natura giuridica del lodo arbitrale assum(a) i connotati del dejà-vu», si
siano in realtà «conformati al dictum» al di là del loro intimo convincimento: coacti tamen volentes.
4) Il default del modello di tutela delle pretese sportive e lo “scollegamento” delle
federazioni nazionali dal sistema.
A prescindere dai motivi di stretta interpretazione riportati nel paragrafo precedente, e
dall’osservazione che i giudici del Consiglio di Stato avrebbero semmai dovuto dichiarare nullo il
lodo, unitamente alla clausola compromissoria su cui si fondava, e non qualificarlo diversamente
(FERRARA 2005, p. 1245), sono in ogni caso assorbenti, e ben più pregnanti, i motivi d’ordine
sistematico che avrebbero comunque dovuto sconsigliare un’opzione ermeneutica che appare, per
più versi, “incostituzionalmente orientata”.
82
NOTE A SENTENZA
Le questioni del lodo…
Non si vede, innanzitutto, come dubitare, contra legem, della natura di associazioni private
delle federazioni e degli enti sportivi, né è possibile equivocare sull’operazione compiuta dal
legislatore con il decreto Melandri-Pescante, che ha costituito in ente pubblico solo ed
esclusivamente il CONI, e non anche gli enti sportivi, di cui è al tempo stesso «confederazione»,
con la conseguenza che questi, lungi dall’essere legittimati, o peggio ancora “delegati” dal primo,
sono dotati ex se di autonomia privata, che ripetono, oltre che dalle norme codicistiche sulle
associazioni, direttamente dagli articoli 2 e 18 della Costituzione (amplius in DE SILVESTRI
2004a, pp. 93 ss.), né per altro verso è sostenibile che negli stessi si entri a far parte “iure publico”
(così GOISIS 2007, p. 323), diversamente da come avviene negli altri contesti associativi
(correttamente, invece, VIDIRI 2007, p. 1119).
Non contrasta con quanto osservato la circostanza che le federazioni siano soggette, oltre che ai
controlli e agli indirizzi del CIO (che sicuramente pubblico non è), anche a quelli del CONI (che è
sì pubblico, ma che si uniforma anch’esso, a sua volta, anche ai principi dell’ordinamento sportivo
internazionale), e ciò non solo perché possono essere sottoposte ad indirizzo pubblico anche le
attività private (amplius, più in generale, sulla valenza “pubblicistica” di cui all’art. 15, comma 1,
del decreto Melandri-Pescante, in FERRARA 2007, pp. 22 ss.), l’adeguamento delle stesse ai fini
perseguiti dal CONI si attua, infatti, per il tramite del potere regolamentare, a questo attribuito, di
conformare l’autonomia delle confederate ai propri fini (vedi ALVISI 2006, p. 12) ed in tal senso
deve essere correttamente interpretato il disposto dell’art. 7, comma 2, lett. h-bis del decreto
Melandri-Pescante che, contrariamente da quanto sostenuto da GOISIS (vedi ante, sub 1), non
estende il pubblico all’intero sistema della giustizia sportiva, ma si limita a “funzionalizzare” per
principi, lasciando inalterata la loro natura e lo stesso regime degli atti, che rimane quello di diritto
privato (NAPOLITANO 2006, p. 5683).
Occorre poi districarsi dalla babele dei concetti, specie quelli di teoria generale, notoriamente
equivoci e polisensi, per non incorrere in pericolose confusioni di sostanza che precludono la reale
comprensione dei fenomeni.
Il concetto di ordinamento sportivo, infatti, al quale può essere ora riconosciuto solo un valore
meramente descrittivo, qualificandolo come sezionale o di settore, senza pretese di
autolegittimazione e senza possibilità di proficue applicazioni a livello di analisi di diritto positivo
(amplius in DE SILVESTRI 2008, in corso di pubblicazione), viene indifferentemente impiegato
con riferimento, appunto, al settore nella sua interezza, come sinonimo dell’ente pubblico di vertice,
ed in altri casi con riguardo invece ai singoli enti sportivi che lo compongono.
83
NOTE A SENTENZA
Le questioni del lodo…
Egualmente deve dirsi del concetto di autonomia, perché un conto è quando se ne discorre in
relazione all’ordinamento sportivo nella sua interezza, per contrapporre alla sovranità dello Stato
(spunti, in tal senso, nella relazione governativa d’accompagnamento al decreto convertito), altro è
il significato da attribuire allo stesso se correlato all’attività dei singoli enti sportivi-associazioni.
Se dunque è pacifico che l’ordinamento settoriale sportivo facente capo al CONI, in quanto
derivato, non è sovrano, nel senso che nel suo ambito non vi sono spazi di autoesenzioni dalla
giurisdizione statuale, altrettanto pacifico deve ritenersi che le federazioni sportive nazionali siano
dotate di autonomia privata che, com’è noto, «non si riferisce esclusivamente a quella contrattuale,
ma si estende anche alle manifestazioni di autodisciplina, tipiche delle persone giuridiche
associative, finalizzate alla tutela di interessi collettivi, pur sempre privati, ma sovraordinati per
regola pattizia agli interessi individuali dei singoli membri» (DE SILVESTRI 2004b, p. 104)
cristallizzati in atti, sovente denominati regolamenti, che non rivestono affatto natura di fonti del
diritto.
Le federazioni non sono affidatarie di un interesse pubblico che, divenendo necessario canone
comportamentale, le obbligherebbe altrimenti ad un agire discrezionale, finalizzate alla cura di quel
interesse, la loro attività non è affatto soggetta ai dettami costituzionali dell’art. 97 ed ai principi di
cui alla legge n. 241/1990 sul procedimento amministrativo né si vede, per altro verso, il
fondamento della legittimazione passiva del CONI nelle controversie in cui le stesse sono chiamate
in causa dai loro associati (contra Consiglio di Stato, sentenza n. 6673 del 13 novembre 2006, Lo
Russo Flavio c/ FIGC, AIA e CONI, che ha esplicitamente rigettato la pur chiesta estromissione dal
giudizio formulata dall’ente pubblico).
Che l’agire delle federazioni debba essere improntato ad autonomia, e non a discrezionalità
amministrativa deriva non solo dalla loro soggettività privata e dal modello confederale adottato dal
decreto Pescante, volto a consacrare «la piena “sovranità” delle organizzazioni preposte ai singoli
sport» (NAPOLITANO 2006, p. 5681) ma, prima ancora e al di là del disposto dell’art. 1, comma 1,
della legge n. 280/2003 (DE SILVESTRI 2004a, pp. 93 ss.), dalla stessa Costituzione, come ha
reiteratamente ed espressamente affermato la S.C., secondo cui «il fondamento dell’autonomia
dell’ordinamento sportivo» (id est dei singoli enti sportivi, non certo del CONI ente pubblico) deve
essere direttamente rinvenuto «nella norma costituzionale di cui all’art. 18, concernente la tutela
della libertà associativa, nonché nell’art. 2, relativo al riconoscimento dei diritti inviolabili delle
formazioni sociali nelle quali si svolge la personalità del singolo» (così Cass., sentenze nn.
18919/2005 e 21006/2006, rispettivamente del 28 settembre 2005 e 27 settembre 2006).
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NOTE A SENTENZA
Le questioni del lodo…
La scelta ermeneutica del Consiglio di Stato non appare, per altro verso, conforme alla
Costituzione neanche alla luce del principio di “sussidiarietà orrizzontale” di cui al novellato art.
118, 4° comma, secondo cui tutti gli enti pubblici territoriali, a partire dallo Stato, «favoriscono
l’autonomia iniziativa dei cittadini, sia singoli che associati, per lo svolgimento di attività di
interesse generale sulla base del principio di sussidiarietà», uno dei pilastri del costituzionalismo
contemporaneo, preordinato innanzi tutto alla libertà dei cittadini «e solo dopo, in funzione
strumentale, alla organizzazione dei pubblici poteri» (MARZUOLI 2005, p. 16).
La riforma costituzionale, passando un definitivo colpo di spugna sulla tradizionale obsoleta
immagine totalizzante di interesse pubblico, ed abbattendo per tabulas il mito secondo cui questo
sarebbe perseguibile solo per il tramite di soggetti pubblici, consente ora di vedere in una luce
diversa il privato che agisce per la cura di interessi generali.
E lo sport, oltre che pubblico nella misura in cui è considerato tale dal decreto MelandriPescante con riferimento all’ente pubblico CONI, integra senz’altro, per le sue finalità tipizzate in
termini oggettivi, anche un interesse generale (spunti in NAPOLITANO 2006, p. 5679) il cui
perseguimento, non riservato espressamente alla anzidetta Autorità, è parimenti consentito anche ai
privati, con la conseguenza che l’adozione della sussidiarietà quale criterio guida dell’attività
pubblica impone ora, per dettato costituzionale, di privilegiare scelte interpretative in favore
dell’autonomia privata delle federazioni sportive quali soggetti sussidiari ove questa, come nel caso
di specie, risulti più economica ed efficacie di quella pubblica.
«L’intervento continuo e sistematico della giustizia statuale è un disvalore che porterebbe alla
negazione dell’autonomia, invece, garantita» (VIGORITI 2007, passim, p. 1045), e l’intervento
della mano pubblica nelle controversie delle federazioni, deve essere riguardato come un estrema
ratio, «se e nella misura in cui le istituzioni dello sport non risultino in grado di predisporre
adeguate forme di tutela» (così NAPOLITANO 2004, p. 1162), laddove la soluzione criticata
finisce, al contrario, con l’istituzionalizzare la presenza di una (peraltro inesistente) P.A.,
degradando a ricorsi amministrativi («quel che resta della c.d. giustizia ritenuta», anacronistica
espressione di un «privilegio del potere»: così ROMANO TASSONE 2005, p. 293), strumenti
meramente interni, finalizzati esclusivamente ad oppugnare la corretta esecuzione delle regole del
contratto associativo consacrate nei regolamenti sportivi da parte delle federazioni per il tramite dei
loro organi giustiziali.
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NOTE A SENTENZA
Le questioni del lodo…
Né può sottacersi, ad ulteriore riprova dello scollegamento dal sistema cagionato dalla criticata
opzione, che la natura di decisioni amministrative di tutte le determinazioni comunque impugnate,
assunte direttamente dalle federazioni o dalle leghe, ovvero dai propri organi giustiziali
presupporrebbero inevitabilmente, per necessaria coerenza sistematica la corrispondente natura di
pubblici funzionari dei soggetti che le hanno adottate, ma anche il riconoscimento, in capo agli
stessi, della qualifica penalistica di pubblici ufficiali, con una serie di conseguenze (tanto) assurde
(quanto indesiderate) che rimetto nel dettaglio all’intelligenza del lettore.
La soluzione inflattiva, non consentendo la definizione delle controversie con il lodo camerale,
e ritardando quindi l’accesso alla tutela giurisdizionale solo dopo il previo e necessario esprimento
dei due gradi di giustizia endofederale, del tentativo di conciliazione (vedi, però, l’attuale art. 27 St.
FIGC, secondo cui lo stesso può essere esperito nel corso del procedimento arbitrale e del lodo
camerale) e dell’asserito terzo grado di giustizia sportiva, abbia così configurato una ipotesi di
“giurisdizione condizionata” che richiama l’obsoleta disciplina della necessaria definitività dei
procedimenti amministrativi per la loro impugnativa giudiziaria in aperto e ulteriore contrasto con
gli art. 24 e 113 della Costituzione, non potendo nella specie negarsi, a fronte dell’immediata
efficacia delle delibere federali, ovvero delle decisioni giustiziali interne, quell’eccessiva ed
ingiustificata compressione delle possibilità di tutela giurisdizionale del cittadino che ne decretano
inesorabilmente l’illegittimità (amplius, sul tema, in MANFREDI 2004, pp. 1012 ss.).
Una tale conclusione risulta invece scongiurata riconoscendo natura arbitrale, e non
amministrativa, alla procedura camerale, perché in tal caso i limiti posti al diritto di azione
sarebbero giustificati e compensati dalle finalità deflattive del contenzioso, come riconosciuto
peraltro dallo stesso TAR Lazio, che ha ritenuto di non dover accogliere la pur sollevata questione
di costituzionalità considerando il lodo come tale in senso sostanziale (sentenze nn. 2987/2004 e
2571/2005).
La giustizia sportiva, storicamente, è nota nel segno del valore forte dell’autonomia, né può
seriamente dubitarsi, al di là della lettera delle singole proposizioni normative, che pure depongono
in tal senso, che il proposito del legislatore, sia sostanziale che processuale, sia stato quello di
valorizzarla, non certo di mortificarla.
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NOTE A SENTENZA
Le questioni del lodo…
L’unica interpretazione possibile, se non si vuole conservare ancora un ruolo alla legge n.
280/2003, evitando così lo “scollegamento” delle federazioni sportive nazionali dall’intero sistema,
è quella di considerare il lodo camerale, sulla scorta dell’attuale regolamento adottato dal Consiglio
Nazionale del CONI il 3 febbraio 2005, impugnabile innanzi al Tribunale civile di Roma ex art. 808
ter c.p.c., escluse quindi le censure per gli errori di giudizio o la manifesta iniquità, né si vede
perché dovrebbe essere altrimenti.
(*)Avvocato del foro di Vicenza , esperto di Diritto dello Sport
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NOTE A SENTENZA
Le questioni del lodo…
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90
NOTE A SENTENZA
La decisone del Consiglio di Giustizia…
Consiglio di Giustizia amministrativa
per la Regione siciliana, 8 novembre 2007, n. 1048
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Giustizia amministrativa per la Regione siciliana, in sede giurisdizionale, ha
pronunciato la seguente D E C I S I O N E sul ricorso in appello n. 535/2007, proposto da
FEDERAZIONE ITALIANA GIUOCO CALCIO F.I.G.C. in persona del legale
rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti Letizia Mazzarelli, Luigi Medugno,
Mario Gallavotti e Salvatore Raimondi ed elettivamente domiciliata in Palermo, via Nicolò Turrisi
n. 59, presso lo studio dell’ultimo;
contro
P. M., e altri, rappresentati e difesi dall’avv. Vincenzo Vitale ed elettivamente domiciliati in
Palermo, via Nunzio Morello n. 40, presso lo studio dell’avv. Giovanni Pitruzzella;
C. A. R. e C. D. rappresentati e difesi dagli avv.ti Vincenzo Vitale e Giovanni Esterini ed
elettivamen-te domiciliati in Palermo, via Nunzio Morello n. 40, presso lo studio dell’avv. Giovanni
Pitruzzella;
A. A. G., A. R., G. R. e A. N. non costituiti in giudizio; la PROVINCIA REGIONALE DI
CATANIA, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti
Francesco Mineo e Nicolò D'Alessandro ed elettivamente domiciliata in Palermo, via Emilia n. 65,
presso lo studio dell’avv. Giuseppe Galioto; il COMUNE DI CATANIA, in persona del sindaco pro
tempore,
non
costituito
in
giudizio;
la
CONFEDERAZIONE
NAZIONALE
NUOVI
CONSUMATORI EUROPEI, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e
difesa dagli avv.ti Giuseppe Gitto e Santi Pappalardo ed elettivamente domiciliata in Palermo, via
Aspromonte n. 9, presso lo studio dell’avv. Marianna Oriti;
e nei confronti del COMITATO OLIMPICO NAZIONALE ITALIANO – C.O.N.I., in persona
del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv.ti Alberto Angeletti e
Salvatore Pensabene Lionti ed elettivamente domiciliato in Palermo, via Giusti n. 45, presso lo
studio del secondo; della LEGA NAZIONALE PROFESSIONISTI - L.N.P., in persona del legale
rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. Ruggero Stincardini ed elettivamente
91
NOTE A SENTENZA
La decisone del Consiglio di Giustizia…
domiciliata in Palermo, via Ruggero Settimo n. 78, presso lo studio dell’avv. Chiara Calafiore; della
SOCIETA' CATANIA CALCIO, in persona del legale rappre-sentante pro tempore, non costituita in
giudizio; della SOCIETA' MESSINA CALCIO, in persona del legale rappresentante pro tempore,
non costituita in giudizio;
per la riforma della sentenza del T.A.R. per la Sicilia - Sezione staccata di Catania (sez. IV) n. 679 del 19 aprile 2007.
Visto il ricorso, con i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’avv. V. Vitale per Pennisi Michele ed altri, degli avv.ti V. Vitale e G. Esterini per Calvino Angela Rita ed altri, degli
avv.ti F. Mineo e N. D’Alessandro per la Provincia regionale di Catania, degli avv.ti G. Gitto e S.
Pappalardo per la Confederazioni Nazionale Nuovi Consumatori Europei, degli avv.ti A. Angeletti e
S. Pensabene Lionti per il C.O.N.I. e dell’avv. R. Stincardini per la Lega Nazionale Professionisti;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti del giudizio;
Relatore, alla camera di consiglio del 10 maggio 2007, il Consigliere Ermanno de Francisco;
Uditi altresì gli avv.ti L. Medugno, L. Mazzarelli e S. Raimondi per la F.I.G.C., gli avv.ti F.
Mineo e P. De Luca, su delega dell’avv. N. D’Alessandro, per la Provincia regionale di Catania,
l’avv. S. Pappalardo per la Confederazioni Nazionale Nuovi Consumatori Europei, gli avv.ti A.
Angeletti e S. Pensabene Lionti per il C.O.N.I. e l’avv. L. Mazzarelli, su delega dell’avv. R.
Stincardini, per la Lega Nazionale Professionisti;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.
FAT T O
Viene in decisione l’appello avverso la sentenza indicata in epigrafe che ha accolto il ricorso
proposto in prime cure dal Sig. P. M. e dagli altri 81 suoi litisconsorti attivi indicati in epigrafe, tutti
titolari di abbonamenti per assistere alle partite casalinghe della società sportiva Catania Calcio
s.p.a., per l’effetto annullando il provvedimento del Giudice sportivo della F.I.G.C.
n. 67 del 14 febbraio 2007 e gli atti connessi (tra cui i provvedimenti confermativi della
Commissione disciplinare e della Corte di appello federale), nonché gli artt. 9, commi 1 e 2, e 11,
del “Codice di giustizia sportiva” della stessa F.I.G.C., e condannando altresì la F.I.G.C. al parziale
rimborso del costo dell’abbonamento sottoscritto dagli stessi ricorrenti (calcolato in relazione agli
92
NOTE A SENTENZA
La decisone del Consiglio di Giustizia…
incontri cui essi non poterono assistere a causa dei provvedimenti impugnati), nonché al
risarcimento del danno morale, liquidato in complessivi € 1.000 in favore di ciascuno dei ricorrenti
(di cui € 500 “a titolo di risarcimento del danno esistenziale” ed € 500 “a titolo di risarcimento del
danno all’onore e alla reputazione”); spese del primo grado compensate.
DIRITTO
1. – Lo svolgimento che la causa ha avuto in primo grado deve essere ricapitolato più in
dettaglio, anche per comprendere al meglio il thema decidendum devoluto a questo giudice di
appello.
Dopo i gravi turbamenti dell’ordine pubblico verificatisi in occasione della partita di calcio
Catania–Palermo del 2 febbraio 2007 (culminati con la morte di un Ispettore di Polizia), il giudice
sportivo, col provvedimento disciplinare sportivo qui impugnato, ha inflitto alla società sportiva
Catania Calcio s.p.a. la sanzione disciplinare della squalifica del campo fino al 30 giugno 2007,
altresì con l’obbligo di disputare a porte chiuse le rimanenti partite da giocare in casa, oltre
all’ammenda di € 50.000, poi ridotta a € 20.000.
Tale sanzione disciplinare (tranne la parte relativa all’am-menda) è stata impugnata davanti al
T.A.R. della Sicilia, Sezione staccata di Catania, da 82 abbonati del Catania Calcio, odierni
appellati, che hanno formulato altresì un’istanza cautelare.
Accogliendo tale istanza, il Presidente della IV Sezione interna del
T.A.R. di Catania con proprio decreto 4 aprile 2007, n. 401, ha sospeso l’efficacia degli atti
impugnati, ordinando “di consentire a quanti ne facciano regolare richiesta, l’accesso agli impianti
sportivi su tutto il territorio nazionale ove si svolgeranno le partite casalinghe del Catania Calcio”.
Con lo stesso decreto, il Presidente di detta IV Sezione interna ha fissato al 13 aprile 2007 la
camera di consiglio, per l’esame collegiale.
Reagendo a ciò, la F.I.G.C. ha presentato un proprio ricorso – senza impugnare alcun atto
amministrativo, ma in asserita “riassunzione del ricorso” già pendente davanti alla IV Sezione di
Catania – “dinanzi al T.A.R. del Lazio, funzionalmente competente ex lege n. 280/2003”.
Il T.A.R. del Lazio, Sezione Terza-Ter, con ordinanza 12 aprile 2007, n. 1664, ha ritenuto di
pronunciarsi nel senso di accogliere il ricordato atto processuale qualificato “istanza di
riassunzione” e, per l’effetto, ha “revocato” il decreto del presidente della IV Sezione del T.A.R. di
Catania n. 401 del 4 aprile 2007 e ha respinto l’istanza cautelare proposta dai Signori
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NOTE A SENTENZA
La decisone del Consiglio di Giustizia…
P. ed altri; in tale ordinanza si afferma altresì che il T.AR. del Lazio “manda alla Segreteria
della IV Sezione del T.A.R. di Catania di trasmettere alla Sezione Terza-Ter del T.A.R. del Lazio il
fascicolo di causa”.
Il 13 aprile 2007 la IV Sezione del T.A.R. di Catania, nella camera di consiglio fissata per
l’esame dell’istanza cautelare, ha trattenuto la causa in decisione, definendola con sentenza
succintamente motivata (ai sensi del combinato disposto degli artt. 21, X comma, e 26, V comma,
della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, e 3, comma 3, del decreto legge 19 agosto 2003, n. 220), la
quale è stata qui appellata.
Va anche aggiunto che il 19 aprile 2007, sotto la stessa data di pubblicazione di detta
sentenza, il Presidente della IV Sezione del T.A.R. Catania ha ritenuto di poter accogliere, con
proprio decreto monocratico n. 5 del 19 aprile 2007, il ricorso contestualmente proposto per
l’esecuzione della sentenza qui appellata, per l’effetto nominando tre commissari ad acta (in
persona di due magistrati amministrativi di primo grado e di un ufficiale dei Carabinieri) e dando
istruzioni agli stessi e agli organi della F.I.G.C. su come ottemperare al proprio dictum
giurisdizionale, nonché ordinando ai prefetti e ai questori di Roma, Milano, Modena e Catania, ai
comandanti provinciali dei Carabinieri delle stesse città e a quelli della Guardia di Finanza (tranne,
per questi, quello di Modena), “di disporre a semplice richiesta verbale di ogni commissario il
necessario intervento della forza pubblica per rendere possibile il regolare svolgimento dell’incarico
giudiziario affidato a ciascuno dei commissari, superando eventuali resistenze ed opposizioni
materiali alla concreta, integrale e definitiva esecuzione della sentenza di cui sopra e del presente
decreto”; tale atto, altresì, “fissa l’udienza in camera di consiglio per il prossimo 9 maggio 2007 per
la sottoposizione del presente decreto al Collegio”.
Con successivo proprio decreto n. 6 datato 21 aprile 2007, ma depositato il 23 aprile 2007
(lunedì), lo stesso Presidente della IV Sezione del
T.A.R. Catania ha ritenuto di poter accogliere un ricorso per l’ulteriore esecuzione alla
sentenza qui appellata, per l’effetto nominando “ad integrazione dei precedenti Commissari ad acta
di cui al Decreto presidenziale n. 5/2007, il Dr. F. B., Dirigente superiore della Polizia di Stato di
Catania”, disponendo che tale quarto Commissario ad acta “fissi lo svolgimento della partita
Catania–Ascoli per il prossimo giorno festivo disponibile e comunque non oltre il 25 aprile p.v.” ed
“adotti tutte le misure necessarie per il concreto soddisfacimento dei diritti dei ricorrenti, previa la
rigida predisposizione di tutti i mezzi atti a salvaguardare la sicurezza di tutti, se del caso anche
attraverso uno spiegamento particolarmente copioso delle Forze dell’Ordine”, nuovamente fissando
94
NOTE A SENTENZA
La decisone del Consiglio di Giustizia…
“l’udienza in camera di consiglio per il prossimo 9 maggio 2007 per la sottoposizione del presente
decreto al Collegio”.
Tutta la vicenda ha visto la sua fine il 24 aprile 2007, allorché è stato depositato il presente
appello, con l’istanza cautelare urgente di decreto monocratico inibitorio.
Il Presidente di questo Consiglio di giustizia amministrativa, con proprio decreto n. 402 dello
stesso 24 aprile 2007, ha infatti sospeso l’efficacia esecutiva della sentenza appellata, fissando la
camera di consiglio del 10 maggio 2007 per la trattazione cautelare dell’appello.
In tale circostanza, questo Collegio ha ritenuto di decidere la causa con sentenza
succintamente motivata ai sensi del cit. art. 3, comma 3, del
D.L. n. 220 del 2003, altresì depositando il dispositivo della presente decisione ai sensi dei
commi 2 e ss. dell’art. 23-bis della cit. legge n. 1034/1971, applicabili in forza dell’art. 3, comma 3,
D.L. n. 220/2003.
2. – Questo Consiglio ritiene che sulla domanda proposta vi sia difetto assoluto di
giurisdizione.
2.1. – Si premette che il presente giudizio di appello concerne esclusivamente la sentenza del
T.A.R. di Catania n. 679/2007, ma non anche la cit. ordinanza del T.A.R. del Lazio n. 1664/2007, la
quale ultima: “revoca” un provvedimento di un altro giudice di pari grado; “manda” (e nemmeno
“ordina”) alla segreteria di quello di trasmettere il fascicolo di un giudizio ivi pendente; si veste, in
sostanza, degli abiti di giudice di appello sul
T.A.R. di Catania, dichiarando di far ciò in base all’art. 3, comma 4, del
D.L. n. 220/2003 che, viceversa, disciplina solo “i processi in corso” alla data del 20 agosto
2003, per i quali era stata prevista (ma a fronte della sospensione ope legis in tale data dell’efficacia
delle misure cautelari concesse anteriormente ad essa da ogni altro T.A.R.) la possibilità della “parte
interessata” a ripristinare l’efficacia delle misure cautelari, in quanto rese inefficaci per legge, di
“riproporre … l’istanza cautelare” al T.A.R. del Lazio, purché entro il termine di 15 giorni
decorrente dalla data del 20 agosto 2003 e, dunque, solamente fino al 4 settembre 2003.
Premesso che nessuna competenza questo Consiglio ritiene di avere quale giudice di appello
sui provvedimenti giurisdizionali, di qualunque contenuto, resi dal T.A.R. del Lazio – giova infatti
sempre, ma vieppiù in questo caso, ribadire e rispettare i limiti delle attribuzioni di ciascun organo
giurisdizionale – sembra comunque evidente che l’odierna declaratoria di (assoluto) difetto di
giurisdizione, travolgendo ab imis il ricorso originario, renda priva di oggetto, e perciò anche di
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NOTE A SENTENZA
La decisone del Consiglio di Giustizia…
effetto, ogni statuizione che su di esso sia stata resa, ovvero che da esso abbia comunque tratto
origine.
2.2. – Circa il potere di rilevare, in questa sede d’appello, il difetto di giurisdizione, basti
osservare che la questione di giurisdizione è stata espressamente proposta nel secondo motivo di
appello; sicché – a prescindere dall’angolo prospettico con cui la parte appellante ha ivi trattato la
questione
– ciò esclude in radice che sulla susssistenza della giurisdizione si sia formata qualsivoglia
preclusione processuale che renda non più esaminabile il punto nel presente grado del giudizio.
2.3. – Quanto al carattere preliminare da riconoscere a quella di giurisdizione rispetto a ogni
altra questione (salvo quelle riguardanti la regolare costituzione del processo, ma comprese quelle
di competenza) – che in dottrina è stato contestato sull’assunto che sulla questione di giurisdizione,
come su ogni altra, possa pronunciare solo il giudice competente per la concreta controversia nella
quale la questione stessa è sollevata; assunto peraltro non condiviso dall’orientamento
giurisprudenziale tracciato da Cass., S.U., 4 ottobre 1974, n. 2594 – si evidenzia che, identificandosi
la competenza con la porzione di giurisdizione spettante a ciascun giudice di uno stesso plesso
giurisdizionale, in capo a nessun giudice può ritenersi radicata la competenza a conoscere di una
domanda per cui il plesso cui egli appartiene difetta in radice di giurisdizione; peraltro l’elemento di
chiusura del sistema
– atto a elidere ogni rischio di erronee declinatorie – è costituito dalle Sezioni unite della
Corte regolatrice, che verificano l’esattezza delle pronunce sulla giurisdizione mediante la
formazione del c.d. giudicato panprocessuale su di essa.
Pertanto, questo Consiglio ritiene di dover esaminare per prima la questione di giurisdizione,
oggetto del secondo motivo di appello, rispetto a quella di competenza, la quale – trattandosi di
competenza funzionale, per la quale non necessita il ricorso all’ordinario strumento del regolamento
ex art. 31 della legge n. 1034 del 1971 – è stata riproposta invece con il primo motivo dell’odierno
gravame.
3. –L’insussistenza della giurisdizione amministrativa, e al contempo di ogni altra
giurisdizione, deriva dalla corretta esegesi degli artt. 1, 2 e 3 del D.L. 19 agosto 2003, n. 220,
convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1 della legge 17 ottobre 2003, n. 280.
Tale fonte primaria, nel pieno rispetto dei principi costituzionali, “riconosce e favorisce
l’autonomia dell’ordinamento sportivo nazionale, quale articolazione dell’ordinamento sportivo
internazionale facente capo al Comitato Olimpico Internazionale”.
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NOTE A SENTENZA
La decisone del Consiglio di Giustizia…
Conseguentemente, ispira al “principio di autonomia” “i rapporti tra l’ordinamento sportivo”
e il diritto statuale, con l’unica eccezione dei “casi di rilevanza per l’ordinamento giuridico della
Repubblica di situazioni giuridiche soggettive connesse con l'ordinamento sportivo”.
L’art. 2 del decreto in esame fissa positivamente alcuni casi in cui tale rilevanza, per
definizione dello stesso legislatore, senz’altro non ricorre.
È dunque riservata all’ordinamento sportivo, in forza di tale norma di legge (con il corollario
che ogni giudice statuale difetta in radice di giurisdizione in proposito), ogni questione avente ad
oggetto:
“a) l’osservanza e l’applicazione delle norme regolamentari, organizzative e statutarie
dell’ordinamento sportivo nazionale e delle sue articolazioni al fine di garantire il corretto
svolgimento delle attività sportive;
b) i comportamenti rilevanti sul piano disciplinare e l'irrogazione ed applicazione delle
relative sanzioni disciplinari sportive”.
Lo Stato, dunque, ha dichiarato apertamente il proprio disinteresse per ogni questione
concernente “l’osservanza e l’applicazione delle norme regolamentari, organizzative e statutarie
dell’ordinamen-to sportivo nazionale” in ogni sua articolazione; ed altrettanto è a dirsi per ogni
questione che
concerna “i comportamenti rilevanti sul piano disciplinare e l'irrogazione ed applicazione
delle relative sanzioni disciplinari sportive”.
Il corollario è che nessuna violazione di tali norme sportive potrà considerarsi di alcun rilievo
per l’ordinamento giuridico dello Stato.
Infatti, l’art. 3 del decreto in esame conferma che – “ferma restando la giurisdizione del
giudice ordinario sui rapporti patrimoniali tra società, associazioni e atleti” (in quanto si tratta non
già di norme interne dell’ordinamento sportivo, ma della disciplina di rapporti di lavoro subordinato
o autonomo, o comunque ad essi assimilati) – tra “ogni altra controversia avente ad oggetto atti del
Comitato olimpico nazionale italiano o delle Federazioni sportive” soltanto quelle “non riservat[e]
agli organi di giustizia dell'ordinamento sportivo ai sensi dell'articolo 2, [sono] devolut[e] alla
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo”.
Solo per queste ultime, perciò, l’art. 3 del decreto stabilisce, al com-ma 2, la competenza
funzionale del T.A.R. del Lazio con sede in Roma.
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NOTE A SENTENZA
La decisone del Consiglio di Giustizia…
È dunque giocoforza concludere che “ogni altra controversia avente ad oggetto atti del
Comitato olimpico nazionale italiano o delle Federazioni sportive … riservata agli organi di
giustizia dell'ordinamento sportivo ai sensi dell'articolo 2” resta, viceversa, esclusa tanto dalla
giurisdizione del giudice ordinario, quanto da quella del giudice ammistrativo; sicché non vi è
competenza di alcun ufficio giudiziario, né dell’uno, né dell’altro plesso giurisdizionale.
In quanto restano riservate all’ordimento sportivo, per definizione di legge tali controversie
sono infatti prive di ogni rilievo per il diritto statuale.
Il Collegio ritiene che questa sia l’unica interpretazione del dato normativo coerente e
compatibile con esso.
4. – Da quanto esposto deriva la necessità di verificare soltanto, al fine di radicare o meno la
giurisdizione statuale, se la controversia in esame riguardi, o meno, rapporti per i quali, ai sensi del
cit. art. 2, è esclusa la rilevanza per l’ordinamento statuale, perché riservati a quello sportivo (a
siffatta verifica di specie, si procederà più avanti).
Nessun rilievo, viceversa, va attribuito a tali fini alle conseguenze ulteriori – anche se
patrimonialmente rilevanti o rilevantissime – che possano indirettamente derivare da atti che la
legge considera propri dell’ordinamento sportivo e a quest’ultimo puramente riservati.
Il legislatore ha operato una scelta netta, nell’ovvia consapevolezza che l’applicazione di una
norma regolamentare sportiva ovvero l’irrogazione di una sanzione disciplinare sportiva hanno
normalmente grandissimo rilievo patrimoniale indiretto; e tale scelta l’interprete è tenuto ad
applicare, senza poter sovrapporre la propria “discrezionalità interpretati-va” a quella legislativa
esercitata dal Parlamento.
È palese che l’erronea applicazione del regolamento può comportare l’ammissione o
l’esclusione di una società sportiva (né ha rilievo, contrariamente a ciò che è stato talora affermato
per radicare contra legem la giurisdizione statuale, il fatto, meramente estrinseco, che essa sia, o
meno, quotata in borsa) rispetto a una determinata competizione nazionale o internazionale, con le
ovvie ricadute economiche; né che identiche conseguenze sempre più spesso derivino
dall’applicazione di sanzioni disciplinari (quali, nel caso di specie, una lunga squalifica del campo e
l’obbligo di giocare a porte chiuse; ovvero, in altri casi notori e recenti, l’esclusione dal campionato
quale sanzione disciplinare per l’illecito sportivo commesso, con iscrizione a uno di rango
inferiore).
Non ignora certo il Collegio, né poteva ignorararlo il legislatore allorché emanò il decreto
legge n. 220 del 2003, che l’applicazione del regolamento – sia da parte dell’arbitro nella singola
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NOTE A SENTENZA
La decisone del Consiglio di Giustizia…
gara determinante per l’esito dell’intera stagione; sia da parte del giudice sportivo di primo o di
ultimo grado – e l’irrogazione delle più gravi sanzioni disciplinari (tra cui le penalizzazioni in
classifica e le retrocessioni in campionati inferiori: si pensi ai notori esempi verificatisi nell’estate
del 2006, in relazione ai quali in altre sedi è stata ammessa, ma erroneamente ad avviso di questo
Collegio, la sussistenza della giurisdizione amministrativa) quasi sempre producono conseguenze
patrimoniali indirette di rilevantissima entità.
Tuttavia tali conseguenze, quand’anche in ipotesi possano essere la remota causa di una
dichiarazione di fallimento, normativamente non di-spiegano alcun rilievo ai fini della verifica di
sussistenza della giurisdizione statuale; che infatti il legislatore ha radicato solo nei casi diversi da
quelli, espressamente eccettuati, di cui all’art. 2, comma 1, del decreto legge citato, e di cui si è già
detto.
Se una tale opzione normativa si fosse svolta a livello secondario, sarebbe stata passibile di
censure per indiretto contrasto col principio della generale tutela statuale sui diritti soggettivi
patrimoniali.
Viceversa, essendo stata operata a livello primario, non è soggetta ad altro vaglio che a quello
costituzionale; che, da un lato, non sembra in alcun modo interferire con le scelte sopra ricordate del
legislatore (almeno per quali riduttivamente risultanti dalla conversione in legge del decreto) e che,
dall’altro, nel disciplinare l’iniziativa economica privata ne afferma, all’art. 41 Cost., la mera
libertà.
In tale contesto risulta legittima la scelta del legislatore ordinario di stabilire che, quando un
imprenditore decida di operare nel settore dello sport, resti interamente ed esclusivamente
assoggettato alla disciplina interna dell’ordinamento sportivo (cui la legge ha voluto riconoscere la
più ampia autonomia), ma limitatamente ai due soli profili di cui alle ricordate lettere a) e b) del cit.
art. 2, comma 1, del decreto legge n. 220/2003.
Il Collegio, in sintesi, ritiene da un lato che il chiaro disposto normativo primario testé citato
non sia passibile di alcuna diversa interpretazione, se non che dandosi adito a una sua inammissibile
disapplicazione da parte del giudice; nonché, dall’altro lato, che esso neppure presenti profili di
sospetta illegittimità costituzionale, sicché palesemente non v’è luogo a sollevare alcuna questione
in proposito.
Non ignora, il Collegio, che in altre sedi (ma, a quanto consta, solo di primo grado; o, in
ultimo grado, solo cautelari) siano state compiute ben diverse “interpretazioni correttive” delle
norme che qui vengono in rilievo, in sostanza al fine di affermare pressoché sempre – con il sin
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NOTE A SENTENZA
La decisone del Consiglio di Giustizia…
troppo facile grimaldello esegetico delle conseguenze patrimoniali che sempre, ma indirettamente,
derivano dall’applicazione dei regolamenti sportivi o dalle relative sanzioni disciplinari; ma che
possono altresì derivare da ogni altra attività sociale giuridicamente indifferente – la sussistenza
della giurisdizione amministrativa; tuttavia ritiene che esse travalichino il limite, per ogni giudice
sempre insuperabile, della mera disapplicazione della legge.
È infatti insostenibile la tesi che il cit. D.L. n. 220/2003 trovi applicazione solo per le
questioni bagatellari, o per gli sport economicamente minori, ovvero infine per i soli campionati
giovanili o dilettantistici; esso, viceversa, concerne indiscutibilmente – come risulta dal suo stesso
tenore – in primo luogo gli sport professionistici, e tra essi senz’altro e soprattutto anche il giuoco
del calcio.
Va piuttosto ribadito che, ex art. 101, II comma, Cost. il giudice è soggetto alla legge dello
Stato, che egli è sempre tenuto ad applicare per quale essa è – ove non ritenga di sollevare questioni
circa la sua legittimità costituzionale – e comunque del tutto a prescindere da ogni soggettiva condivisione, o meno, delle scelte compiute dal legislatore.
Tra le più recenti espressioni di una contraria tendenza, invero non isolata, vanno tuttavia
ricordate le sentenze di T.A.R. Lazio, Sez. III-Ter, 21 giugno 2007, n. 5645, e 8 giugno 2007, n.
5280.
Esse, richiamandosi a precedenti resi in “in fattispecie similari … (anche connesse alla
vicenda di "calciopoli") da parte di società sportive”, hanno “riconosciuto”, ma questa volta in
modo del tutto esplicito, “la propria giurisdizione, pure in fattispecie similari concernenti
l’impugnativa di sanzioni disciplinari”.
Il fatto è che non costituisce altro che una mera petizione di principio (cioè, in altri termini,
una sovrapposizione delle scelte dell’interprete a quelle espressamente compiute in senso diverso
dal legislatore) l’asserzione che la sussistenza della giurisdizione debba derivare dalla
considerazione – fattualmente esatta, ma giuridicamente inconferente – “che non può negarsi, come
dimostra, del resto, proprio la vicenda dell’Arezzo, che, per effetto della penalizzazione, è incorso
nella retrocessione nella serie inferiore, una
rilevanza per l’ordinamento giuridico statale di situazioni giuridiche soggettive geneticamente
connesse con la penalizzazione irrogata dall’ordinamen-to sportivo”.
Nella legge, infatti, non vi è alcuna affermazione che gli atti, giusti o sbagliati, di applicazione
delle norme regolamentari sportive o delle sanzioni disciplinari debbano avere rilievo, o meno,
nell’ordina-mento giuridico dello Stato, secondo che derivino conseguenze patrimoniali (più o
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NOTE A SENTENZA
La decisone del Consiglio di Giustizia…
meno gravi) dalla decisione sportiva; in essa, viceversa, è espressamente stabilita l’irrilevanza per
l’ordinamento statuale di ogni applicazione di norme regolamentari o di sanzioni disciplinari
sportive, quali che ne siano le relative conseguenze indirette.
Sicché, secondo il Collegio, la contraria asserzione non costituisce affatto la conseguenza di
“un’interpretazione estensiva del combinato disposto dell’art. 1, II comma, e dell’art. 2, I comma,
lett. b), della legge n. 280/03”, ma solo di un sua aperta ed eclatatante violazione.
Della conformità ai principi costituzionali del dato normativo in esame si è già detto; giova
adesso aggiungere che la tutela degli associati nei confronti delle associazioni esiste in quanto è
positivamente prevista dagli artt. 23 e 24 cod. civ. che, riconoscendo come diritti gli interessi che
essi hanno internamente all’associazione, aprono la via della tutela giurisdizionale.
In proposito, va altresì ricordato che tale tutela è riconosciuta direttamente dall’ordinamento
giuridico solo per le situazioni giuridiche soggettive disciplinate espressamente da una norma di
legge (“Le deliberazioni dell'assemblea contrarie alla legge […] possono essere annullate”: art. 23
c.c.); mentre nella mancanza di una norma diretta che elevi un interesse di fatto a interesse
giuridicamente protetto, il parametro della tutela giurisdizionale è espresso solo dal negozio
associativo e dal suo contenuto (“[…] contrarie […] all’atto costitutivo o allo statuto […]”: art. 23
c.c.), come applicazione di specie del generalissimo principio di cui all’art. 1372, I com-ma, c.c.,
secondo cui “Il contratto ha forza di legge tra le parti”. Ove, cioè, la legge non disciplini
direttamente i comportamenti degli associati e le conseguenze di essi, la norma di riferimento è
quella stessa posta dal negozio associativo, e quindi, a maggior ragione, solo al negozio associativo
ci si deve riferire nel caso in cui l’ordinamento giuridico statuale espressamente riconosca di essere
indifferente rispetto a una disciplina destinata a regolare rapporti che nascono e si sviluppano solo a
causa e in funzione del negozio associativo, influendo in via diretta solo sui meccanismi interni
dell’associazione stessa.
Esattamente in questa ottica, e facendo applicazione di questi elementari principi liberali (di
libertà negoziale o, meglio, di libertà tout court), l’art. 2 del D.L n. 220/2003, nei ristretti limiti di
cui alle ricordate lett. a) e b) del comma 1, ha sostanzialmente qualificato quali meri interessi (non
tutelati, cioè, né in sede giurisdizionale né in sede amministrativa) tutti quelli concernenti
“l’osservanza e l’applica-zione delle norme regolamentari, organizzative e statutarie dell’ordinamento sportivo nazionale”, nonché l’esatta valutazione dei “comportamenti rilevanti sul piano
disciplinare e l’irrogazione delle relative sanzioni disciplinari sportive”.
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NOTE A SENTENZA
La decisone del Consiglio di Giustizia…
Tale
opzione
senz’altro
rientra
nell’esercizio,
costituzionalmente
legittimo,
della
discrezionalità del legislatore, che è tenuto bensì ad assicurare piena tutela ai diritti soggettivi e agli
interessi legittimi, ma senza che gli sia in radice preclusa la scelta di quali tra le molteplici
situazioni di interesse di fatto – che in sé non afferiscano direttamente a beni costituzionalmente
intangibili, tra i quali non si ascrivono certo le conseguenze patrimoniali indirette delle attività
sportive di qualsiasi livello – meritino di essere qualificate come diritti soggettivi o interessi
legittimi.
Poiché il decreto legge n. 220 del 2003 non ha operato tale scelta in modo criptico né
opinabile (giacché in tal caso assai ampio sarebbe stato lo spazio esegetico dell’interprete), bensì in
modo espresso e inequivoco, ritiene il Collegio che al giudice che voglia applicare la legge non resti
altra possibile alternativa, in tutti i già ricordati casi, che rendere la declaratoria di difetto assoluto di
giurisdizione.
5. – Conformemente a quanto opinato dal Collegio, anche in un autorevole contributo
dottrinale è stata affermata la non condivisibilità delle conclusioni cui, in punto di giurisdizione, è
pervenuto il T.A.R. Lazio, Sez. III-ter, in sede cautelare, con l’ord. 22 agosto 2006, n. 46 (a
proposito del ricorso ivi proposto da un noto ex direttore generale della Juventus, avverso una
sanzione disciplinare di cinque anni di squalifica e € 50.000 di ammenda comminatagli dalla
F.I.G.C.).
Invero, tutte le sanzioni sportive (ma lo stesso sarebbe a dirsi nei casi di mancata irrogazione
di esse a fronte di evidenti illeciti sportivi) producono in via immediata i loro effetti all’interno
dell’ordinamento di settore, mentre solo indiretti ed eventuali sono gli effetti che da esse
riverberano nell’ordinamento generale; sicché dalle citate disposizioni del D.L. n. 220/2003 è
corretto trarre la conclusione che sono giustiziabili per l’ordinamento statale solo le posizioni
soggettive riconosciute da quest’ultimo, ancorché connesse con l’ordinamento sportivo, e non
invece il contrario (come vorrebbero le cit. ordinanze).
6 – Altresì conforme all’esegesi qui sostenuta risulta l’orien-tamento espresso dalla Corte
regolatrice che, con la sentenza resa a Sezioni unite del 23 marzo 2004, n. 5775, ha così ricostruito
– per quanto viene ora in rilievo
– il sistema normativo introdotto dal cit. “decreto legge 19 agosto 2003, n. 220, contenente
disposizioni urgenti in materia di giustizia sportiva, convertito nella legge 17 ottobre 2003, n. 280”.
“Il decreto, prendendo implicitamente atto della complessità organizzativa e strutturale
dell'ordinamento sportivo, stabilisce che i rapporti tra questo e l'ordinamento dello Stato sono
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NOTE A SENTENZA
La decisone del Consiglio di Giustizia…
regolati in base al principio di autonomia, "salvi i casi di rilevanza per l'ordinamento giuridico della
Repubblica di situazioni giuridiche soggettive connesse con l'ordinamento sportivo" (art. 1 primo
comma)”.
“La "giustizia sportiva" si riferisce, così, alle ipotesi in cui si discute dell'applicazione delle
regole sportive; quella statale è chiamata, invece, a risolvere le controversie che presentano una
rilevanza per l'ordinamento generale, concernendo la violazione di diritti soggettivi o interessi
legittimi”.
“Per individuare i casi in cui si applicano le sole regole tecnico -sportive, con conseguente
riserva agli organi della giustizia sportiva della risoluzione delle corrispondenti controversie, è
stabilito che all'ordinamen-to sportivo nazionale è riservata la disciplina delle questioni aventi ad
oggetto: a) l'osservanza e l'applicazione delle norme regolamentari, organizzative e statutarie di
quell'ordinamento e delle sue articolazioni, al fine di garantire il corretto svolgimento delle attività
sportive; b) i comportamenti rilevanti sul piano disciplinare e l'irrogazione ed applicazione delle
sanzioni disciplinari sportive (art. 2, primo comma)”.
“In queste materie vige il sistema del cd. "vincolo sportivo". Le società, le associazioni, gli
affiliati ed i tesserati, infatti, hanno l'onere di adire, secondo le previsioni degli statuti e regolamenti
del Coni e delle federazioni sportive indicate negli articoli 15 e 16 del decreto legislativo n. 242 del
1999, gli organi di giustizia dell'ordinamento sportivo" (art. 2, secondo comma)”.
“I casi di rilevanza per l'ordinamento dello Stato delle situazioni giuridiche soggettive,
connesse con l'ordinamento sportivo, sono attribuiti alla giurisdizione del giudice ordinario ed a
quella esclusiva del giudice amministrativo”.
“Il primo comma dell'art. 3 del decreto legge, in particolare, devolve al giudice ordinario le
controversie aventi ad oggetto i rapporti patrimoniali tra società, associazioni ed atleti. Alla
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, invece, è devoluta "ogni altra controversia
avente ad oggetto atti del Comitato olimpico nazionale italiano o dalle Federazioni sportive non
riservata agli organi di giustizia dell'ordinamento sportivo ai sensi del-l'art. 2" ”.
“Il sistema, per quanto riguarda le questioni per le quali è stabilita autonomia
dell'ordinamento sportivo, continua ad essere imperniato sull'o-nere di adire gli organi di giustizia
dell'ordinamento sportivo (art. 2, secondo comma) e sulla salvezza incondizionata delle clausole
compromissorie previste dagli statuti e dai regolamenti del Coni, delle Federazioni sportive e di
quelle inserite nei contratti di cui alla legge istitutiva del Coni (art. 3, ultima parte)”.
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NOTE A SENTENZA
La decisone del Consiglio di Giustizia…
“Se ne ricava che, secondo il decreto legge n. 202 del 2003, la tutela fa riferimento alle
seguenti quattro situazioni”.
“Nella prima stanno le questioni che hanno per oggetto l'osservanza di norme regolamentari,
organizzative e statutarie da parte di associazioni che, per dirla con l'art. 15 del decreto legislativo n.
242 del 1999, hanno personalità giuridica di diritto privato. Le regole che sono emanate in questo
ambito sono espressione dell'autonomia normativa interna delle federazioni, non hanno rilevanza
nell'ordinamento giuridico generale e le decisioni adottate in base ad esse sono collocate in un'area
di non rilevanza (o d'indifferenza) per l'ordinamento statale, senza che possano essere considerate
come espressione di potestà pubbliche ed essere considerate alla stregua di decisioni
amministrative. La generale irrilevanza per l'ordinamento statale di tali norme e della loro
violazione conduce all'assenza di una tutela giurisdizionale statale; ciò non significa assenza totale
di tutela, ma garanzia di una giustizia di tipo associativo che funziona secondo gli schemi del diritto
privato, come questa Corte ha avuto già modo di rilevare (sent.
n. 4399 del 1989)”.
“Nella seconda situazione stanno le questioni che nascono da comportamenti rilevanti sul
piano disciplinare, derivanti dalla violazione da parte degli associati di norme anch'esse interne
all'ordinamento sportivo. Pure per queste situazioni v'è la stessa condizione di non rilevanza per
l'or-dinamento statale, prima indicata. Queste prime due situazioni, in definitiva, restano all'interno
del sistema dell'ordinamento sportivo propriamente detto e le possibili controversie che in esso
sorgono non possono formare mai oggetto della giurisdizione statale”.
“La terza situazione comprende l'attività che le federazioni sportive nazionali debbono
svolgere in armonia con le deliberazioni e gli indirizzi del Coni e del Cio, come dispone la prima
parte del già citato art. 15”.
“Nel testo del decreto legge n. 220 del 2003 anteriore alla legge di conversione, in essa
figuravano l'ammissione e l'affiliazione alle federazioni di società, di associazioni sportive e di
singoli tesserati e l'organizzazione e lo svolgimento delle attività agonistiche non programmate ed a
programma limitato e l'ammissione alle stesse delle squadre e degli atleti”.
“Indipendentemente dalla soppressione delle due categorie, l'indica-zione vale ancora come
esemplificazione delle corrispondenti controversie, l'oggetto delle quali è costituito dall'attività
provvedimentale delle federazioni, la quale, esaurito l'obbligo del rispetto di eventuali clausole
compromissorie, è sottoposta alla giurisdizione amministrativa esclusiva”.
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NOTE A SENTENZA
La decisone del Consiglio di Giustizia…
“Infine, stanno le questioni concernenti i rapporti patrimoniali tra società, associazioni ed
atleti”.
“Esaurito, anche in questo caso, l'obbligo del rispetto di eventuali clausole compromissorie, le
relative controversie sono devolute alla giurisdizione del giudice ordinario”.
La constatazione che anche le Sezioni unite abbiano ricostruito il sistema in termini
strettamente aderenti a quelli posti dal legislatore ordinario, conforta il Collegio nel ritenere che è
questa l’unica corretta esegesi del decreto legge n. 220/2003, in esame.
D’altra parte, non v’è dubbio che gli interessi fatti valere con il ricorso di primo grado vadano
inquadrati, nella quadripartizione prospettata dalle Sezioni unite, nell’ambito delle prime due
situazioni (e, segnatamente, nella seconda): sicché – per dirla con le già riferite parole della Corte –
essi, “in definitiva, restano all'interno del sistema dell'ordinamento sportivo propriamente detto e le
possibili controversie che in esso sorgono non possono formare mai oggetto della giurisdizione
statale”.
7 – Passando, quindi, alla verifica della concreta riferibilità della specifica controversia in
esame alle questioni, di cui si è ampiamente detto, per le quali il cit. art. 2 del D.L. n. 220/2003
esclude la rilevanza nell’ordinamento statuale – e, perciò, la sussistenza della giurisdizione – si
ricorda che con il ricorso di prime cure è stato richiesto l’annullamento “del provvedimento n. 67
del Giudice sportivo della F.I.G.C. di cui al comunicato ufficiale n. 227 del 14 febbraio 2007”, degli
atti connessi “e, per quanto occorrer possa, degli articoli 9, 11 e 14 del vigente "codice di Giustizia
Sportiva" della F.I.G.C.”; nonché “il rimborso e il risarcimento del danno patrimoniale e non
patrimoniale subito dai ricorrenti”.
Si è già visto che l’impugnato provvedimento n. 67 del 14 febbraio 2007 aveva disposto la
squalifica dello stadio Massimino di Catania sino al 30 giugno 2007, nonché lo svolgimento a porte
chiuse (cioè in assenza di pubblico) di tutte le partite casalinghe del Catania Calcio s.p.a. fino a
detta data, ovunque disputate.
7.1. – S’era fatta riserva (al superiore punto 4), di verificare, ai fini del radicamento o meno
della giurisdizione statuale, che la controversia in esame effettivamente riguardasse in via esclusiva
rapporti dei quali, per espressa previsione del cit. art. 2 del D.L. n. 220/2003, è escluso ogni rilievo
per l’ordinamento statuale, restando riservati a quello sportivo.
Alla stregua di quanto si è sin qui detto ed essendosi testé ricordato l’oggetto
dell’impugnativa, tale verifica risulta assai agevole.
105
NOTE A SENTENZA
La decisone del Consiglio di Giustizia…
Non si può infatti dubitare del fatto che l’impugnato provvedimento
n. 67 del Giudice sportivo in data 14 febbraio 2007, tanto nella parte in cui dispone la
squalifica del campo del Catania Calcio fino al 30 giugno 2007, quanto in quella in cui obbliga tale
squadra a giocare a porte chiuse tutte le partite casalinghe ovunque disputate fino alla stessa data,
costituisce irrogazione e applicazione di sanzioni disciplinari sportive, ai sensi e per gli effetti
– di cui si è già detto – dell’art. 2, comma 1, lett. b) del cit. D.L. n. 220 del 2003.
Neppure si può dubitare che l’ulteriore impugnativa, parimenti proposta in via di eventuale
estensione (“per quanto occorrer possa”) del petitum, che concerne gli articoli 9, 11 e 14 del vigente
"codice di Giustizia Sportiva" della F.I.G.C., integri comunque una questione avente a oggetto “i
comportamenti rilevanti sul piano disciplinare”, ai sensi del già cit. art. 2, comma 1, lett. b) del cit.
D.L. n. 220 del 2003.
Per quanto infine attiene all’ulteriore domanda di condanna delle controparti intimate in
primo grado al “rimborso e risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale subito dai
ricorrenti”, si vedrà fra breve che anch’essa, per come in questa sede proposta, esula dalla
giurisdizione, al pari delle domande principali di annullamento cui tale richiesta di condanna
dichiaratamente accede.
7.2. – L’unica peculiarità del caso in esame, rispetto ai vari altri consimili che negli ultimi
anni sono stati più volti portati all’esame della giustizia amministrativa, consiste nel fatto che la
domanda di annullamento della sanzione disciplinare sportiva è stata proposta non dalla squadra di
calcio disciplinarmente sanzionata dalla F.I.G.C., ma da alcuni suoi abbonati, titolari in quanto tali
del diritto contrattuale di assistere alle partite in casa della predetta squadra di calcio.
Il Collegio non ritiene di dover approfondire il tema della legittimazione ad agire dei
ricorrenti, perché il chiaro disposto del cit. art. 2 del D.L.
n. 220/2003 esclude in radice la giurisdizione di ogni giudice statale negli ambiti ivi indicati
riservati all’ordinamento sportivo, tra cui come si è ampiamente già detto rientra l’irrogazione e
l’appli-cazione delle sanzioni disciplinari sportive, sicché appare certo che tale difetto assoluto di
giurisdizione – vieppiù in quanto concerne la materia e non il profilo soggettivo del ricorrente – va
dichiarato a prescindere da chi sia il soggetto che, ritenendosi leso, devolva la controversia alla
giurisdizione statuale.
Sicchè – pur essendo quantomeno “inusuale” che il creditore ex contractu del destinatario di
un provvedimento amministrativo sfavorevole impugni quest’ultimo, la situazione risultando in
effetti analoga a quella del locatario di un ombrellone che volesse impugnare la revoca della
106
NOTE A SENTENZA
La decisone del Consiglio di Giustizia…
concessione demaniale marittima del titolare dello stabilimento balneare – si tralascia il profilo
della legittimazione ad agire, in quanto lo si reputa assorbito, erga omnes, dal difetto assoluto di
giurisdizione.
7.3. – Quest’ultimo parimenti assorbe, ovviamente, tutti gli ulteriori profili – primo fra tutti
quello della competenza territoriale, come si è già ampiamente visto supra – sia di rito, sia, a
fortiori, di merito.
Di essi, dunque, non deve conoscere alcun giudice dello Stato.
7.4. – Va infine ribadita, per completezza, l’inammissibilità in questa sede altresì della
domanda di tutela risarcitoria, che i ricorrenti hanno proposto in prime cure per asserita lesione di
loro diritti assoluti (danno all’onore e alla reputazione, nonché c.d. danno esistenziale) e relativi
(lesione dei diritti contrattuali acquistati con gli abbonamenti).
Si tratta, invero, di diritti che non interferiscono in alcun modo con le vicende interne
dell’ordinamento sportivo (le quali, per legge, sono riservate a quest’ultimo).
Sotto un primo profilo, la circostanza che gli odierni ricorrenti possano agire
contrattualmente, in altre sedi, verso il Catania Calcio s.p.a., non li abilita tuttavia ad agire per
l’annullamento (né per la disapplicazione) di atti dell’ordinamento sportivo rispetto ai quali la legge
dello Stato ha espressamente affermato il proprio disinteresse, avendoli qualificati a ogni effetto
come irrilevanti per l’ordinamento giuridico statuale. Infatti il diritto di credito dell’abbonato –
tutelato verso la società debitrice, ovvero anche erga omnes – non legittima quest’ultimo a
esercitare, in via sostanzialmente surrogatoria, azioni giurisdizionali che, ai sensi del cit. D.L. n.
220/2003 e alla stregua di quanto si è sopra osservato, sono radicalmente precluse a chiunque.
D’altronde, né i diritti contrattuali verso il Catania Calcio s.p.a. radicano nei creditori alcun
interesse legittimo rispetto a vicende sportive di cui è la stessa legge a escludere ogni rilievo per
l’ordinamento giuridico, e con esso la sussistenza di ogni giurisdizione pubblica; né, ai fini in
discorso, assume alcun rilievo il fatto che – a partire da Cass., S.U., 26 gennaio 1971, n.
174 – la giurisprudenza civile ammetta la tutela erga omnes del credito attribuendo al
creditore l’azione aquiliana verso il terzo che ha reso impossibile la prestazione.
Sotto ulteriore profilo, l’inammissibilità, per la ragione già esposta, delle esaminate domande
risarcitorie consegue, altresì, al fatto che le stesse sono state in questa sede concretamente formulate
come conseguenziali e complementari rispetto all’illegittimità degli atti impugnati, pretesamente
amministrativi, e dei quali era stato richiesto l’annullamento: sicché il difetto di giurisdizione sugli
107
NOTE A SENTENZA
La decisone del Consiglio di Giustizia…
atti interni all’ordinamento sportivo, che si dichiara con la presente decisione, preclude la
cognizione anche sulle formulate domande risarcitorie.
8. – In conclusione, in accoglimento nei sensi predetti del secondo motivo di appello, va
dichiarato il difetto assoluto di giurisdizione su tutte le domande proposte con il ricorso di prime
cure – ogni ulteriore profilo restando assorbito in tale declaratoria – con annullamento senza rinvio
della sentenza gravata; è, per l’effetto, inammissibile il ricorso di primo grado.
Le spese del doppio grado del giudizio, liquidate nella misura di cui in dispositivo, sono poste
a carico solidale dei soggetti ivi indicati, con riparto paritario di tali oneri, nei rapporti interni, tra
tutte le persone fisiche o giuridiche solidalmente obbligate a concorrervi.
P. Q. M.
Il Consiglio di Giustizia amministrativa per la Regione siciliana, in sede giurisdizionale,
accoglie l’appello, nei sensi di cui in motivazione, e per l’effetto annulla senza rinvio la sentenza
gravata e dichiara inammissibile il ricorso di primo grado.
Condanna, in solido, le parti private appellate costituite nonché la Provincia regionale di
Catania e la Confederazione Nazionale Nuovi Consumatori Europei a rifondere alla Federazione
Italiana Giuoco Calcio, al Comitato Olimpico Nazionale Italiano ed alla Lega Nazionale
Professionisti, parimenti con solidarietà attiva, le spese del doppio grado del giudizio, che liquida in
complessivi € 5.000,00 (Cinquemila/00) oltre accessori di legge.
Nulla per le spese nei confronti dei soggetti intimati e non costituitisi.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
108
NOTE A SENTENZA
La decisone del Consiglio di Giustizia…
LA DECISIONE DEL CONSIGLIO DI GIUSTIZIA
AMMINISTRATIVA:
UNA NUOVA LETTURA DELL’ ART. 2 LEGGE n. 280/2003 ?
di Domenico Zinnari (*)
La pronuncia del Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, di cui si offre
una succinta nota tesa ad evidenziare esclusivamente i profili di maggior interesse, è così eterodossa
rispetto ai recenti approdi della Giurisprudenza Amministrativa di settore (o forse così
profondamente ortodossa rispetto al dettato legislativo?) da apparire quale singolare caso di
“provocazione culturale”.
Essa giunge al termine di una complessa vicenda processuale che, pur ampiamente nota,
necessita di un sintetico riepilogo considerando come in ogni singola tappa che la caratterizza non
manchino motivi di certo rilievo.
Ottantadue abbonati ricorrono al TAR della Sicilia, Sezione distaccata di Catania, per
l’annullamento, previa sospensione, del provvedimento disciplinare reso dal Giudice Sportivo
FIGC e di ogni atto presupposto, derivato e consequenziale ( id est le pronuncie confermative della
Commissione Disciplinare e dell’allora Corte d’Appello Federale e , per quanto di interesse, gli artt.
9,11,14 Codice di Giustizia Sportiva F.I.G.C. al tempo vigenti) nei confronti della società sportiva
Catania Calcio S.p.a., nella parte in cui si irrogava la sanzione della squalifica del campo fino al 30
giugno 2007 nonché l’obbligo di disputare a porte chiuse le rimanenti partite da giocare in casa.
All’ invocata tutela demolitoria si accompagnava, contestualmente, la richiesta risarcitoria del
danno patrimoniale e non derivante dall’asserita illegittimità dei provvedimenti impugnati nelle
forme del rimborso pro quota parte dell’abbonamento in relazione agli incontri “casalinghi” cui i
ricorrenti non avrebbero potuto assistere in relazione alla sanzione della squalifica del capo di
giuoco, nonché del danno esistenziale e del danno all’onore ed alla reputazione.
Accogliendo la richiesta cautelare, il Presidente della Sezione IV^ interna del TAR Catania con
proprio decreto (4 aprile 2007, n. 401), sospendeva l’efficacia degli atti impugnati fissando per la
data del 13 aprile 2007 la camera di consiglio per l’esame collegiale.
109
NOTE A SENTENZA
La decisone del Consiglio di Giustizia…
Nelle more della celebrazione dell’ udienza la F.I.G.C. presentava atto di riproposizione in
riassunzione dinanzi al Tar Lazio del giudizio già pendente dinanzi al Tar Catania.
Con ordinanza 12 aprile 2007, n. 1664, il TAR del Lazio accoglieva la citata istanza e , per
l’effetto, revocava il decreto del presidente della Sezione IV^ del TAR di Catania, respingendo
altresì l’istanza cautelare proposta dagli abbonati.
Dal canto suo il TAR. di Catania, nella camera di consiglio fissata, tratteneva la causa in
decisione, definendola con sentenza
sostanzialmente confermativa del Decreto Presidenziale del 4
aprile 2007 annullando i provvedimenti impugnati e condannando la resistente F.I.G.C. al
risarcimento del danno.
Avverso tale sentenza veniva proposto appello dinanzi il Consiglio di Giustizia Amministrativa
con contestuale istanza cautelare urgente di decreto monocratico inibitorio. Il Presidente del
Collegio, con proprio decreto, sospendeva l’efficacia esecutiva della sentenza appellata, fissando la
camera di consiglio per la trattazione cautelare dell’appello.
L’iter processuale appena sunteggiato costituirebbe materiale sufficiente per una trattazione
esaustiva ab imis dei complessi rapporti tra ordinamento statuale ed ordinamento sportivo ed, in
particolare, dello stato dell’arte applicativo della L.n.280/2003.
Se le schermaglie processuali tra le parti in causa, originariamente, si incentravano su profili
inerenti la legittimazione ad agire dei ricorrenti – abbonati, la competenza funzionale inderogabile
ai sensi dell’art. 3 della L.280/2003 (sia detto per inciso, frutto dell’adesione ad un’ opzione
ermeneutica “spregiudicata”dei disposti di cui all’art. art. 3 co. 4 della L.280/2003 è l’Ordinanza 12
aprile 2007 n. 1664 del TAR Lazio) e , nel merito, la natura e limiti della c.d. responsabilità
oggettiva delle società in ambito sportivo, l’annotata sentenza prepotentemente evidenzia la natura
preliminare ed assorbente della questione afferente la sussistenza della giurisdizione statuale in
ordine alle controversie , con tralatizia definizione, di natura disciplinare.
Centrale, nell’economia del provvedimento del Consiglio di Giustizia Amministrativa per la
Regione Siciliana, la lettura interpretativa del combinato disposto degli artt.1 co.2 e 2 co.1 lett. b)
della Legge 280/2003.
Il rilievo patrimoniale indiretto derivante dall’ applicazione di una norma regolamentare
sportiva (art.2 co.1 lett. a) ovvero dall’ irrogazione di una sanzione disciplinare sportiva (art.2 co.1
lett. b), vale a ritenere sussistente la giurisdizione statuale su questioni riservate ex lege
all’Ordinamento Sportivo, ossia vale ad integrare la “rilevanza per l'ordinamento giuridico della
Repubblica di situazioni giuridiche soggettive connesse con l'ordinamento sportivo”?
110
NOTE A SENTENZA
La decisone del Consiglio di Giustizia…
L’orientamento dominante, attraverso una lettura correttivo-estensiva del combinato disposto
degli artt.1 co.2 e 2 co.1, onde preservarla da un possibile dubbio di legittimità costituzionale, ha
ritenuto di poter ravvisare anche nel mero potenziale rilevo patrimoniale indiretto della sanzione
disciplinare l’indicatore del non esaurimento dell’ incidenza della stessa nell'ambito strettamente
sportivo sulla scorta della rilevanza statuale della lesione di situazioni soggettive geneticamente
connesse con l’irrogata sanzione. (Tra le altre TAR Lazio, Roma, sez. III, 14 dicembre 2005, n.
13616; TAR Lazio, Roma, sez. III, 18 aprile 2005, n. 2801; TAR Lazio, Roma, sez. III, 22 agosto
2006, n. 4666; TAR Lazio, Roma, sez. III,1 settembre 2006, n.7910)
Tale indirizzo non pare in verità, da ultimo, caratterizzato dai connotati della graniticità .
Sul punto vedasi la sentenza TAR Lazio, Roma, sez. III, 7 giugno 2007 n. ove , ad esempio ,
tra le righe, traspare un’adesione quasi forzosa ai dicta precedenti nella consapevolezza della
“opinabilità di un criterio che fonda la competenza giurisdizionale sugli effetti indiretti che possono
scaturire dall’applicazione di una sanzione sportiva”, nonché, per quanto attiene le questioni
strettamente tecniche, la recentissima sentenza TAR Lazio, Roma, sez. III, 5 novembre 2007,
n.10911 ove si è affermato come esuli “ dalla giurisdizione del Giudice amministrativo, per
rientrare nella competenza degli Organi di giustizia sportiva, una controversia avente ad oggetto
l'impugnazione, da parte di un arbitro di calcio, del provvedimento con il quale si dispone
contestualmente la non ammissione dello stesso tra gli arbitri effettivi, e l'inserimento nella
categoria degli arbitri fuori quadro” mancando , nella specie, ” il connotato della rilevanza esterna
all'ordinamento sportivo degli effetti dei provvedimento impugnati, che si esauriscono all'interno
del predetto ordinamento non avendo alcun riflesso, né diretto né indiretto, nell'ordinamento
generale il giudizio di scarsa capacità tecnica resa nei confronti dell'arbitro”, non rilevabile neppure
dalla circostanza , notoria, che dall’applicazione del provvedimento possa conseguire un rilevante
danno patrimoniale in capo all’arbitro derivante dalla mancata percezione delle indennità
corrisposte agli ufficiali di gara.
La pronuncia del Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana pare però
porsi oltre una generica formula dubitativa circa l’ adeguatezza del criterio adottato o la sua
ricorrenza nel caso concreto, per analizzare funditus i principi sottostanti al riparto di giurisdizione
di cui alla L.280/2003.
Il CGA declinando la propria giurisdizione muove infatti dall’idea
che alcun rilievo è
attribuibile alle conseguenze ulteriori, anche se patrimonialmente rilevanti, che possano
111
NOTE A SENTENZA
La decisone del Consiglio di Giustizia…
indirettamente derivare da atti che la legge considera propri dell’ordinamento sportivo e a
quest’ultimo puramente riservati ai fini del radicamento della stessa.
A tale conclusione giunge attraverso un’ analitica esegesi del testo normativo.
Da esso emergerebbe, infatti, l’ inequivocabile volontà del Legislatore, pur consapevole che
secondo l’id quod plerumque accidit l’applicazione e delle norme regolamentari sportive o delle
sanzioni disciplinari possa porsi quale causa efficiente di conseguenze economiche indirette, di
annoverare comunque nell’ambito del giuridicamente irrilevante quali meri interessi (non tutelati,
cioè, né in sede giurisdizionale né in sede amministrativa) tutti quelli concernenti “l’osservanza e
l’applicazione delle norme regolamentari, organizzative e statutarie dell’ordinamento sportivo
nazionale”, nonché l’esatta valutazione dei “comportamenti rilevanti sul piano disciplinare e
l’irrogazione delle relative sanzioni disciplinari sportive”.
Le interpretazioni correttive degli artt.1 co.2 e 2 co.1 L.280/2003, caldeggiate dalla dominante
Giurisprudenza Amministrativa tese a valorizzare il profilo della rilevanza esterna degli atti
sub
specie di potenziale indiretta lesione di posizioni “economiche”, si porrebbero in contrasto con la
chiara opzione legislativa .
Se infatti il Legislatore è tenuto” ad assicurare piena tutela ai diritti soggettivi e agli interessi
legittimi”, ciò non toglie che non sia “in radice preclusa la scelta di quali tra le molteplici situazioni
di interesse di fatto – che in sé non afferiscano direttamente a beni costituzionalmente intangibili,
tra i quali non si ascrivono certo le conseguenze patrimoniali indirette delle attività sportive di
qualsiasi livello – meritino di essere qualificate come diritti soggettivi o interessi legittimi.”
Nell’ambito tecnico e disciplinare, considerando come le fonti normativa statali non
disciplinino direttamente i comportamenti degli associati e le conseguenze di essi, infatti la norma
di riferimento sarà quella stessa posta dal negozio associativo, e quindi “solo al negozio associativo
ci si deve riferire nel caso in cui l’ordinamento giuridico statuale espressamente riconosca di essere
indifferente rispetto a una disciplina destinata a regolare rapporti che nascono e si sviluppano solo a
causa e in funzione del negozio associativo, influendo in via diretta solo sui meccanismi interni
dell’associazione stessa”.
All’irrilevanza di tali norme conseguirebbe, pertanto, la non giustiziabilità in ambito statale
rectius la mera giustiziabilità in ambito endoassociativo.
112
NOTE A SENTENZA
La decisone del Consiglio di Giustizia…
Substrato teorico dichiarato di tale approccio la riconduzione nell’alveo privatistico, con
l’autorevole avallo della Suprema Corte di Cassazione a Sezioni Riunite Sent. 23 marzo 2004
n.5775 (ma per una lettura diametralmente contraria vedasi da ultimo F.Goisis, La Giustizia
Sportiva tra funzione amministrativa ed arbitrato, Milano, 2007, Giuffrè, pag.76 e seg.) , del sistema
di giustizia sportiva.
Nell’ottica assunta dal CGA,
verrebbe ad affermarsi una sostanziale insindacabilità dei
provvedimenti disciplinari federali che, se può esser assunta indubbiamente come “provocatorio”
contraltare al radicamento dell’opposto
sanzione disciplinare
principio della indiscriminata impugnabilità di ogni
al fine di giungere ad una soluzione interpretativa di sintesi, non pare
seriamente possa esser condotta alle estreme conseguenze.
Pur tralasciando la complessa problematica della natura amministrativa o privatistica della
giustizia sportiva, assumendosi le pronunce dei giudici sportivi in ambito tecnico e disciplinare
quali delibere associative, o meglio delibere rese da organi associativi, andrebbe pur sempre
valutata l’applicabilità dei disposti di cui agli artt. 23 e 24 C.C.
Trova allora conferma la posizione di chi, in dottrina, ha affermato l’inidoneità del portato
della L.280/2003 a discriminare le “due giustizie, posto che le questioni asseritamente riservate
all’ordinamento sportivo non lo erano affatto, mentre quelle irrilevanti non avevano bisogno ex se
di alcuna riserva” con la conseguenza che “la stessa avrebbe creato sicuramente più problemi degli
invero pochi risolti, costringendo l’interprete a misurarsi necessariamente con un referente specifico
palesemente inadeguato che avrebbe potuto persino mostrarsi fuorviante”.(A. De Silvestri, Il diritto
dello sport, Le Monnier, in corso di pubblicazione).
(*)Avvocato del foro di Lecce
113
NOTE A SENTENZA
PARTE TERZA
GIURISPRUDENZA
SOMMARIO:
DELIBERA DELLA COMMISSIONE DISCIPLINARE: La giustizia disciplinare in ambito
pag. 115
endoassociativo: quale valore alle fonti di prova?
DELIBERA 90/2007 FEDERAZIONE ITALIANA PALLACANESTRO: Quale futuro per
le discriminazioni alla libera circolazione in ambito sportivo?
114
pag. 119
La Giustizia disciplinare…
DELIBERA DELLA COMMISSIONE DISCIPLINARE
"COMITATO REGIONALE VENETO DEL 13.6.2007"
La Commissione Disciplinare composta dai signori: D. M. (Presidente), M. S. (Vice Presidente),
F.B. e S.C. (Componenti), M.L.M. (Segretario), con l’intervento di G.A. (Rappresentante A.I.A),
nella sua riunione del 12/6/2007 ha assunto le seguenti deliberazioni:
3.2.1. 1.1.1 RICORSO SIG. X.M. – PRESIDENTE A. C. V.
Avverso delibera Giudice Sportivo Comitato Regionale Veneto di cui al Comunicato n. 61 del
22/5/2007 – Inibizione per anni 5 con proposta di radiazione – Play-Off Campionato di 2^
Categoria
Il Sig. X. M. ha presentato ricorso avverso la delibera del Comitato Regionale Veneto pubblicata
con il Comunicato n. 61 del 22/5/2007, con la quale il Giudice Sportivo ha assunto nei suoi
confronti l’inibizione per anni cinque, con proposta di radiazione, per i seguenti motivi : “.... ... che,
gravemente contravvenendo ai doveri di dirigente addetto agli ufficiali di gara, non solo ingiuriava
l’arbitro, ma fingendo di dargli protezione all’esterno degli spogliatoi, una volta fuori dagli sguardi
del pubblico, ritardava intenzionalmente di aprire la porta degli spogliatoi degli ufficiali di gara in
modo da consentire ai calciatori della Soc. V. di raggiungerli e di mettere in atto i comportamenti
violenti già evidenziati, diventando coautore degli stessi. Inoltre ritardava per oltre 25 minuti di
consegnare all’arbitro le chiavi della macchina, facendo, infine, provvedere ad opera di terza
persona, non autorizzata.”
e
3.2.2. RICORSO SIG. R.M. – GIOCATORE / CAPITANO A. C. V.
Avverso delibera Giudice Sportivo Comitato Regionale Veneto di cui al Comunicato n. 61 del
22/5/2007 – Squalifica per anni cinque – Play-Off Campionato di 2^ Categoria
Il sig. R.M. ha presentato ricorso avverso la delibera del Comitato Regionale Veneto pubblicata con
il Comunicato n. 61 del 22/5/2007, con la quale il Giudice Sportivo ha assunto nei suoi confronti la
squalifica per anni cinque, per i seguenti motivi : “... ... che, contravvenendo ai propri doveri di
capitano, partecipava al comportamento minaccioso ed ingiurioso, tenuto dai compagni di squadra
nei confronti dell’arbitro e del primo assistente arbitrale. Reiterava insulti e minacce nei confronti
dell’arbitro negli spogliatoi, lo colpiva con un forte pugno all’addome, procurandogli forte dolore e
dispnea, per essi doveva recarsi al pronto soccorso. Uguale comportamento violento teneva, a fine
gara, nei confronti del primo assistente, accompagnando ingiurie e minacce con violenti spintoni e
tentativi reiterati di colpirlo con calci.”
e
3.2.3. RICORSO SIG. G.M. – GIOCATORE A. C. V.
Avverso delibera Giudice Sportivo Comitato Regionale Veneto di cui al Comunicato n. 61 del
22/5/2007 – Squalifica per anni quattro – Play-off Campionato di 2^ Categoria
Il Sig. G.M. ha presentato ricorso avverso la delibera del Comitato Regionale Veneto pubblicata con
il Comunicato n. 61 del 22/5/2007, con la quale il Giudice Sportivo ha assunto nei suoi confronti la
GIURISPRUDENZA
115
La Giustizia disciplinare…
squalifica per anni quattro, per i seguenti motivi: “... ... che, oltre a partecipare con gli altri giocatori
al comportamento ingiurioso e minaccioso nei confronti del primo assistente, lo colpiva con un
violento calcio all’addome, procurandogli forte dolore, probabile autore anche degli spintoni allo
stesso inferti alle spalle, che gli anno procurato persistente dolore. Anche il primo assistente ha
dovuto ricorrere al pronto soccorso.”
La Commissione Disciplinare
preliminarmente, riunisce in un unico giudizio i reclami avanzati:
dal sig. X.M. – Presidente A.C. V.
dal sig. R.M. – Giocatore Capitano dell’A.C. V.
dal sig. G.M. – Giocatore dell’A.C. V.
e relativi provvedimenti disciplinari indicati in epigrafe.
La Commissione Disciplinare
letti i ricorsi proposti da i predetti soggetti (dirigente e tesserati dell’A.C. V.);
esaminata la documentazione ufficiale in atti;
sentiti i ricorrenti assistiti dal legale Avv. D. B.;
sentiti, altresì, il direttore di gara ed i due assistenti arbitrali i quali hanno confermato i rispettivi
rapporti;
rilevata l’esistenza di significative divergenze tra le circostanze riportate nei referti della terna
arbitrale e l’annotazione di servizio del Maresciallo dei Carabinieri della Stazione di… intervenuto
nell’occasione, documento quest’ultimo offerto in comunicazione dai reclamanti;
ritenuta la necessità di ulteriori accertamenti, stante la particolarità del caso, si investe l’Ufficio
Indagine della F.I.G.C. dei necessari approfondimenti istruttori, all’esito dei quali la C.D. si riserva
di decidere.
P.Q.M.
la Commissione Disciplinare
delibera
di sospendere le decisioni riguardanti i provvedimenti disciplinari a carico dei signori X.M., R.M. e
G.M. (rispettivamente dirigente e giocatori dell’A.C. V.) in attesa del deliberato dell’Ufficio
Indagine della F.I.G.C..
GIURISPRUDENZA
116
La Giustizia disciplinare…
NOTA REDAZIONALE
LA GIUSTIZIA DISCIPLINARE IN AMBITO ENDOASSOCIATIVO:
QUALE VALORE ALLE FONTI DI PROVA?
Il tema della giustizia disciplinare (particolarmente trattato nel presente numero: cfr. anche
le note a sentenza di De Silvestri e di Zinnari nella parte II) si arricchisce di un altro interessante
caso (a quanto ci consta non risultano altri precedenti) che merita un seppur brevissimo cenno di
commento.
Tralasciando le problematiche relative all’art. 2 della legge n. 280/2003 – e dunque alla
competenza esclusiva della giustizia sportiva in materia disciplinare, spesse volte e rettamente non
ritenuta tale dai vari Tribunali amministrativi occupatisi della materia – il problema delle sanzioni
disciplinari applicate dai giudici sportivi è collegato essenzialmente al valore privilegiato di prova
che viene dato ai referti e ai rapporti arbitrali.
Se difatti il Giudice sportivo in primo grado giudica solamente sulle evidenze di detti
documenti (con questo non instaurando in nessun caso il contraddittorio con l’incolpato con buona
pace della salvezza dei suoi diritti di difesa), le Commissioni disciplinare adite in sede di gravame
hanno la possibilità, normalmente, di sentire le parti (e di dare ingresso financo a prove
testimoniali) nonché di sentire per le vie brevi anche gli ufficiali di gara, senza però anche in
questo caso permettere un contraddittorio pieno con gli stessi (cosa che a tutta evidenza non pare
garantire il maggiore e più penetrante diritto di difesa).
Siccome, nella prassi, non accade quasi mai che gli arbitri e gli assistenti cambino la
versione dei fatti (magari anche perché quella è la loro effettiva percezione degli avvenimenti) gli
organi di giustizia si trovano con “le mani legate” in merito ai provvedimenti da adottare anche in
sede di eventuale riforma delle decisioni del Giudice Sportivo.
È ovvio, e non occorre essere degli esperti della materia, che il problema principale è proprio
quello legato alla prova contraria, davvero diabolica, che deve essere fornito dall’incolpato che, il
più delle volte, si trova nella materiale impossibilità di contrastare i referti arbitrali.
Il caso che si porta oggi all’attenzione dei lettori – ben lungi dall’essere interessante sotto il
profilo metodologico e giuridico – pone però l’accento sulla possibilità in concreto di fornire la
controprova, (nel caso di specie fornita attraverso nota di servizio dei Carabinieri) per discordanze
nelle dichiarazioni rese dagli ufficiali di gara alla forze dell’ordine intervenute dopo la partita per
raccogliere le dichiarazioni dei “protagonisti”.
Dette discordanze consigliano (bene) la Commissione di sospendere l’efficacia delle
squalifiche pluriennali comminate in primo grado in attesa di accertamenti ulteriori.
Non si vuole entrare nel merito di una vicenda cui, per comprensibili motivi di privacy, non si
può accedere in pieno.
Però non si può neppure revocare in dubbio che il diritto di difesa degli incolpati in un
procedimento disciplinare in cui non accadano eventi “eccezionali” – quali quelli registrati dalla
forze dell’ordine – sia fortemente limitato e compresso.
La nostra, quindi, vuole essere solo una riflessione, che prende spunto da un caso concreto,
per riaprire nuovamente la discussione su un sistema di giustizia sportiva endoassociativa – già
intrinsecamente carente dei requisiti dell’indipendenza, dell’imparzialità e della terzietà – che non
permette di garantire un giusto processo a tutti coloro che ne finiscono sotto la scure.
GIURISPRUDENZA
117
La Giustizia disciplinare…
La speranza è che la riforma in itinere della giustizia sportiva preparata dai saggi nominati
dal CONI (tra i quali vi è anche il Vice Presidente della Commissione On. Franco Frattini) riesca a
mettere mano anche al giudizio disciplinare, talora carente della più elementari garanzie difensive
per gli incolpati recependo per oro colato quanto percepito soggettivamente dagli ufficiali di gara.
(J.T.)
GIURISPRUDENZA
118
Delibera 90/2007 FIP…
DELIBERA N. 90 /2007
FEDERAZIONE ITALIANA PALLACANESTRO
Il Consiglio Federale,
visti
lo Statuto e i Regolamenti federali;
vista
la nota 3597 del 08.03.2007 con la quale la Commissione Europea segnalava di avere ricevuto una
denuncia relativa a presunte irregolarità esistenti nei Regolamenti Federali nella parte in cui
disciplinano il Campionato di pallacanestro femminile (proc. di infrazione n. 2006/4366);
viste
le note FIP con le quali si fornivano chiarimenti in merito (nota prot. n. 202 del 27 aprile 2007 e
nota prot. n. 490 del 21 maggio 2007 indirizzate al Presidente del CONI, dott.);
vista
la nota C (2007) 3018 del 18.07.2007 indirizzata al Ministro degli Affari Esteri con la quale la
Commissione, all’esito delle sopra citate note, reitera quanto originariamente richiesto, ossia
l’abolizione di ogni discriminazione basata sulla cittadinanza tra atlete italiane e atlete straniere
appartenenti alla Unione Europea, nonchè la abolizione delle indennità di trasferimento e/o diritti di
tesseramento tra società affiliate, quali condizioni di svincolo per le atlete;
preso atto
che le indennità di trasferimento e/o diritti di tesseramento non sono contenute nella normativa
regolamentare, ma nelle integrazioni alle Disposizioni Organizzative Annuali 2007/2008, valide ed
efficaci solo per la stagione sportiva 2007/2008, che hanno acquisito alla disciplina federale
applicabile alla corrente annata sportiva, parte della normativa contenuta nel Regolamento interno
di Lega Basket femminile, e che per tale ragione, al fine di dare attuazione a quanto indicato dalla
Commissione Europea, a partire dalla stagione sportiva 2008/2009 tali disposizioni non verranno
reiterate nella disciplina federale;
ritenuto
che in forza del recepimento delle indicazioni della Commissione Europea, appare necessario
estendere l’adozione del criterio della “formazione italiana” con i conseguenti obblighi di iscrizione
a referto anche per i campionati femminili di Serie A1 e A2, intendendo per “atleta di formazione
italiana” ogni giocatrice, anche di cittadinanza straniera, che abbia partecipato ai campionati
giovanili FIP;
considerato
che al fine di ottemperare a quanto indicato dalla Commissione Europea è indispensabile
intervenire sulla attuale normativa regolamentare FIP, per operare le opportune modifiche, che
entreranno in vigore a partire dalla stagione sportiva 2008/09, non essendo possibile modificare in
corso di annata sportiva e di campionato la disciplina applicabile, per evidenti ragioni di certezza
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Delibera 90/2007 FIP…
del diritto sportivo e di non retroattività delle norme federali (atteso che l’ordinamento sportivo
fissa, nell’inizio della stagione sportiva il dies a quo e nel termine della stagione sportiva il dies ad
quem, anche agli scopi inerenti la modificazione della disciplina sportiva); ii) stabilire che quanto
contenuto nella integrazione alle Disposizioni Organizzative Annuali 2007/08 art. 6 non venga
reiterato, a partire dalla stagione sportiva 2008/09, nella disciplina federale;
ritenuto
che, prima della entrata in vigore delle suddette modifiche, al fine di recepire concretamente sin
d’ora le indicazioni della Commissione Europea, appare necessario dettare specificamente i principi
e le linee-guida che dovranno essere posti a base delle modifiche regolamentari da varare entro la
fine del corrente anno sportivo;
ritenuto
che ai fini suddetti i principi e le linee-guida possano essere indicati nel seguente modo:
1) Abolizione dei limiti di tesseramento per atlete provenienti da un paese dell’Unione
Europea per la Serie A1 ed A2 femminile;
2) Introduzione del concetto di formazione italiana nel settore femminile, intendendo per
“atleta di formazione italiana”, ogni giocatrice, anche di cittadinanza straniera, che abbia
partecipato a campionati giovanili FIP;
3) Eliminazione dei limiti di iscrizione a referto delle atlete provenienti da un paese
dell’Unione Europea per la Serie A1 ed A2 femminile e contestuale introduzione degli obblighi di
iscrizione a referto di una quota minima di atlete “di formazione italiana”;
4) Eliminazione, per la Serie A1 femminile, dei limiti massimi di schieramento in campo di
atlete di cittadinanza straniera e contestuale previsione di obblighi a carico delle società di schierare
contemporaneamente in campo un numero minimo di atlete di formazione italiana;
5) Stabilire che quanto previsto nelle integrazioni alle Disposizioni Organizzative Annuali
2007/2008, assunte con delibera n. 376 del Consiglio federale 24 giugno 2007, non venga reiterato
a partire dalla stagione sportiva 2008/09, nella disciplina federale;
e che a tali principi e linee-guida si dovrà attenere la Commissione Carte Federali cui viene dato
mandato di provvedere alle modificazioni regolamentari che entreranno in vigore a partire dalla
stagione sportiva 2008/2009, stabilendo che la Commissione Carte Federali sottoporrà alla
attenzione del Consiglio Federale le modifiche regolamentari predette per la necessaria
approvazione, che dovrà avvenire entro la fine della stagione sportiva in corso.
D ELI BERA
A) Recepire quanto indicato dalla Commissione Europea stabilendo i seguenti principi e
linee-guida:
1) Abolizione dei limiti di tesseramento per atlete provenienti da un paese dell’Unione
Europea per la Serie A1 ed A2 femminile;
2) Introduzione del concetto di formazione italiana nel settore femminile, intendendo per
“atleta di formazione italiana”, ogni giocatrice, anche di cittadinanza straniera, che abbia
partecipato a campionati giovanili FIP;
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Delibera 90/2007 FIP…
3) Eliminazione dei limiti di iscrizione a referto delle atlete provenienti da un paese
dell’Unione Europea per la Serie A1 ed A2 femminile e contestuale introduzione degli obblighi di
iscrizione a referto di una quota minima di atlete “di formazione italiana”;
4) Eliminazione, per la serie A1 femminile, dei limiti massimi di schieramento in campo di
atlete di cittadinanza straniera e contestuale previsione di obblighi a carico delle società di schierare
contemporaneamente in campo un numero minimo di atlete di formazione italiana;
5) Stabilire che quanto previsto nelle integrazioni alle Disposizioni Organizzative Annuali
2007/2008, assunte con delibera n. 376 del Consiglio federale 24 giugno 2007, non venga reiterato
a partire dalla stagione sportiva 2008/09, nella disciplina federale;
B) Dare mandato alla Commissione Carte Federali affinchè provveda alle modificazioni
regolamentari necessarie per dare attuazione ai detti principi e linee-guida, cui la Commissione
Carte Federali si dovrà attenere nell’effettuare le modifiche che entreranno in vigore a partire dalla
stagione sportiva 2008/09. La Commissione Carte Federali sottoporrà alla attenzione del Consiglio
Federale le modifiche per la necessaria approvazione che dovrà essere effettuata entro la fine del
corrente anno sportivo.
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Delibera 90/2007 FIP…
NOTA REDAZIONALE
Quale futuro per le discriminazioni alla libera circolazione in ambito sportivo?
Il Comunicato Ufficiale n. 90/2007 della Federazione Pallacanestro, oggetto di commento in
questa sede, ci da lo spunto per una veloce disanima dei principi in tema di discriminazione nello
sport.
I fatti sono molto chiari: in seguito ad una procedura di infrazione aperta dalla Commissione
Europea in merito ad alcune singolari limitazioni introdotte dalle Disposizioni Organizzative
annuali, l’Istituzione comunitaria apriva un dossier contro la Federazione chiedendo chiarimenti
in ordine alle discriminazioni introdotte.
I chiarimenti fatti avere a Bruxelles, peraltro, non furono ritenuti soddisfacenti al tal punto
che la Commissione fu costretta a reiterare le proprie doglianze.
La Federazione, in sintesi, aveva stabilito dei limiti al tesseramento delle atlete provenienti
da paesi comunitari nonché dei limiti all’iscrizione al referto e allo schieramento in campo delle
stesse.
Dette limitazioni contrastavano prime facie con i principi stabiliti dalla sentenza Bosman e
dalla successiva giurisprudenza comunitaria di merito; da qui la retromarcia frettolosa della
Federazione con il Comunicato Ufficiale in oggetto.
Se, però, una volta i principi summenzionati erano esclusivamente di matrice
giurisprudenziale, ora anche le Istituzioni hanno iniziato a recepire dette problematiche.
Ci riferiamo, in primo luogo, al Libro Bianco della Commissione dell’11.7.2007 mediante il
quale l’Istituzione ha invitato sentitamente gli Stati Membri e le organizzazioni sportive nazionali a
non praticare discriminazione tra gli atleti in base alla nazionalità e a non praticare restrizioni
ingiustificate all’accesso alle competizioni sportive.
Inoltre il recentissimo Trattato di Lisbona, siglato il 13 dicembre 2007, ha reintrodotto
appieno la specificità dello sport all’interno dell’art. 124 A dotando, dunque, l’Unione Europea di
una base giuridica per poter legiferare – con regolamenti e direttive – in materia sportiva.
Stupisce – piuttosto – che vi siano ancora Federazioni che possano operare discriminazioni
palesi (e a dire il vero l’esempio della pallacanestro è quasi “virtuoso” perché ha posto riparo ad
un errore precedente) senza tenere conto che, nel minimo, la partecipazione degli atleti comunitari
a tutte le manifestazioni, anche quelle a livello giovanile, deve essere garantita.
Ove peraltro non siano le Federazioni a porre rimedio a disparità manifeste di trattamento
occorre che supplisca l’occhio vigile degli interessati di modo da poter “costringere” gli organismi
preposti a cambiare regolamenti contra legem: anche il nostro sistema presenta gli strumenti
giudiziari per modificare le palesi ingiustizie e le violazioni di principi comunitari cristallizzati atti
a rimuovere ciò che di più “odioso” c’è per uno sportivo: l’impedimento al libero accesso alla
pratica sportiva e alle varie manifestazioni in cui si estrinseca l’abilità di ciascun atleta.
Così facendo le discriminazioni e le restrizioni all’accesso della pratica sportiva non
avrebbero più alcuna speranza di sopravvivere (J.T.).
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