Che cos`è lo Stoicismo

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CHE COS’E’ LO STOICISMO
La Scuola stoica
Le origini dello stoicismo risalgono all’inizio del III secolo a.C., quando un fenicio, Zenone di Cizio (333-263
a.C.), dopo aver frequentato ad Atene filosofi accademici, megarici e cinici, fondò una propria scuola, la Stoà, della
quale abbiamo poche notizie storicamente attestate, ma che ebbe tuttavia un considerevole successo, tanto da
darsi un’organizzazione. stabile e da divenire presto una tra le più importanti istituzioni culturali di Atene,
soprattutto con i successori di Zenone.
Il nome della scuola deriva da Stoà poikìle, che significa “portico dipinto”, ed era il luogo presso cui i filosofi
stoici tenevano le loro lezioni; presto il portico, che era nel cuore di Atene, su uno dei lati dell’agorà, divenne il
simbolo della scuola.
Con il tempo lo stoicismo divenne una delle dottrine fondamentali per la vita culturale dell’Ellenismo e
quando Roma conquistò la Grecia finì con il diventare l’orientamento filosofico prevalente del ceto colto romano.
Nel I e nel II secolo d.C., inoltre, l’ideale di vita stoico fu adottato da una parte consistente del ceto dirigente
romano sotto l’Impero, per essere posto ai margini, e in seguito abbandonato, soltanto con l’imporsi del
cristianesimo, che tuttavia in parte ne subì l’influsso.
Come l’epicureismo e diverse altre scuole ellenistiche, lo stoicismo è innanzitutto una pratica spirituale e una
concezione del mondo: fornisce a chi segue i precetti della scuola un orientamento razionale per la propria vita
mediante una visione scientifica del cosmo e una definizione dei valori essenziali. Vale quindi per lo stoicismo
quanto abbiamo detto per l’epicureismo: la filosofia è, insieme, discorso razionale sul mondo della natura e
sull’uomo e guida per condurre la propria vita secondo saggezza.
Lo schema riportato nella pagina a fianco sintetizza i momenti fondamentali della vita della scuola lungo il
corso di cinque secoli. A differenza dell’epicureismo, i singoli filosofi stoici hanno condotto ricerche originali,
dando interpretazioni personali dei principi di base della scuola. Mentre quindi la filosofia di Epicuro e
l’epicureismo coincidono quasi completamente, lo stoicismo ha dato vita a percorsi filosofici differenziati.
In questo capitolo studieremo i principi fondamentali della scuola e mostreremo le vie seguite da alcune
delle maggiori personalità attraverso i brani proposti nell’Antologia. Ricordiamo che dei testi dell’Antica e Media
Stoà ci rimane molto poco, a fronte di una produzione che sappiamo essere stata immensa.
ANTICA STOÀ — Atene, III secolo a.C.
Zenone
In principio, il circolo di Zenone di Cizio (333-263 a.C.), che si raccoglieva presso la Stoà poikìle, costituì più che una scuola una libera
comunità spirituale. Con il tempo, però, Zenone fu circondato da numerosi seguaci.
Cleante
Cleante (304 ca.-232 a.C.) conservò viva l’eredità di Zenone. Fu uno spirito profondamente religioso. Durante i trent’anni della sua
permanenza come scolarca della Stoà ricevette ovunque consensi e attestazioni di stima; tuttavia, proprio in questo periodo, la Stoà dovette
affrontare una grave crisi a causa delle divergenze che si crearono al suo interno e che provocarono frequenti scissioni.
Crisippo
La scuola ricostituì la sua unità con Crisippo (281 ca.-204 a.C.), il successore di Cleante. Grazie alla vivacità del suo ingegno e alla sua
straordinaria dialettica ebbe un grande successo, tanto che già i contemporanei dicevano di lui: «Se non ci fosse Crisippo, non ci sarebbe la
Stoà».
MEDIA STOÀ Atene e Roma, II-I secolo a.C.
Panezio
Il primo caposcuola della Media Stoà fu Panezio di Rodi (185 ca.-110 a.C.). Visse a Roma, dove fu in contatto con il circolo degli Scipioni,
e in Oriente. Tornato ad Atene nel 129 assunse la direzione della Stoà. La sua originale personalità diede una svolta alla scuola, che assunse
un orientamento eclettico adatto alle esigenze della società romana del tempo.
Posidonio
Posidonio di Apamea (13 5-51 a.C.) intraprese numerosi viaggi, studiando sia gli aspetti storico-culturali sia quelli prettamente
naturalistici di ogni luogo visitato. Tenne scuola a Rodi. Fu un grande ricercatore e si occupò di molte discipline scientifiche e storiche:
geologia, matematica, storia, etnologia, astronomia e psicologia. Proseguì l’indirizzo eclettico impresso allo stoicismo da Panezio.
NUOVA STOÀ— Roma, I-II secolo d.C.
Seneca
Personalità politica di rilievo, Seneca(4 a.C.-65 d.C.) è il primo rappresentante della Nuova Stoà a Roma. Concentrò la sua attenzione
sull’uomo, e ancora di più sulla propria coscienza, cercando di incarnare la figura ideale del saggio.
Epitteto
Nato schiavo, poi liberato, Epitteto (50 ca.-138 d.C.) è il primo stoico che, mosso dall’esperienza personale, parla di una vera e propria
uguaglianza degli uomini, in quanto aventi tutti in sé la stessa scintilla divina. Epitteto sostenne con estremo rigore i principi più ortodossi
della Stoà, evitando però di delineare in termini astratti la figura del saggio perfetto.
Marco Aurelio
Imperatore, Marco Aurelio Antonino(121 -180 d.C.) condusse una vita semplice, il più possibile lontana dalle passioni, e cercò di
adempiere degnamente e con umanità al proprio compito. Scrisse un celebre libro di meditazioni, ispirate ai principi dello stoicismo: i
Ricordi.
L’enciclopedia delle scienze filosofiche
Quanto esporremo diffusamente e analiticamente in questo capitolo è sinteticamente racchiuso in due tesi,
che rappresentano i principi fondamentali dello stoicismo:
la natura è un Tutto, ordinato e unitario, governato da una razionalità interna che la mente
dell’uomo è in grado di comprendere;
la vita dell’uomo è tanto più saggia quanto più segue l’ordine razionale della natura, di cui
egli stesso è parte.
Ciò avviene secondo natura, e nulla è male di quanto avviene secondo natura.
MARCO AURELIO, Ricordi
Come per gli epicurei, anche per gli stoici il discorso filosofico, l’interpretazione teorica del mondo secondo
verità, è indispensabile al fine di guidare l’uomo verso una vita condotta con saggezza e virtù, dunque libera e
felice: siccome una vita libera è una vita secondo natura, è indispensabile descrivere teoricamente la natura delle
cose e la natura dell’uomo come basi per l’azione.
Nelle pagine successive esporremo dunque la dottrina della Stoà seguendo la partizione data dagli stoici
nelle loro scuole, che articolavano l’enciclopedia del sapere filosofico in:
1. fisica
2. logica
3. etica
secondo la partizione che era stata proposta dall’epicureismo e che nel corso del periodo ellenistico divenne
canonica.
Il saggio stoico, come vedremo trattando dell’etica, utilizzava il discorso filosofico nella sua interezza,
ispirandosi a esso per le scelte quotidiane, mentre la partizione tra le discipline filosofiche aveva un senso per la
scuola ed era legato alla necessità di progredire gradualmente nell’apprendimento e nella meditazione dei principi della dottrina. L’oggetto della filosofia stoica, come avremo modo di vedere, è però unitario e si identifica con
la natura profonda del Tutto, di cui ogni cosa, compreso l’uomo, è parte e manifestazione.
La fisica
L’obiettivo della ricerca fisica degli stoici è lo stesso di quello dei primi filosofi ionici, di Democrito,
Anassagora e poi di Aristotele: studiare la phj7sis al fine di comprenderne l’origine e le leggi. La fisica stoica si
muove così sulla linea della ricerca ionica che, tra Eraclito e Anassagora, ha concepito il cosmo come un Tutto
ordinato e governato secondo una legge razionale: il Lògos eracliteo, il Notis di Anassagora. Nel portare avanti
queste antiche intuizioni la ricerca stoica poteva contare, nel III secolo a.C., su un tessuto di osservazioni e di
studi ormai molto avanzati. Si tenga presente che Zenone e i suoi successori avevano a disposizione l’enorme
massa di conoscenze raccolte ed elaborate dalle ricerche naturalistiche di Democrito, di Aristotele, della scienza
ellenistica allora nel pieno della sua prima fioritura. Il risultato cui pervengono gli stoici è una nuova concezione
del Légos come principio regolatore dell’universo fisico, in grado di accordarsi con l’esperienza e di rendere
conto dei progressi della ricerca naturalistica sperimentale.
La dottrina del Lògos
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Secondo gli stoici la sfera del pensiero non può avere una realtà indipendente dalla materia, così come
pensavano Platone, con la teoria delle idee, e in forma molto diversa lo stesso Aristotele, con la concezione di Dio
come «pensiero di pensiero».
Il cosmo stoico è unitario: la Ragione universale, il Lògos, permea fisicamente tutta la realtà dell’universo
come una forza interna e vivifica la materia dandole movimento ed energia; non è concepito come un intelletto
separato, una Mente diversa dalla materia, ma come una forza interna al cosmo.
Da questa concezione derivano una serie di teorie che l’indagine dei vari filosofi stoici arricchirà, ma che
rimarranno pressoché costanti nei cinque secoli di vita della scuola:
1. il cosmo è intimamente razionale: la leggibilità del mondo per l’intelletto umano è garantita
dal fatto che la nostra mente trova in esso lo specchio di se stessa; il Lògos dell’uomo, in
quanto ragione discorsiva, è espressione del Lògos universale che governa dall’interno il
mondo;
2. il cosmo è dunque buono, in quanto espressione perfetta e immutabile della razionalità del
Tutto; soltanto dalla prospettiva limitata dell’uomo la realtà può apparire imperfetta, perché
solo a fatica l’uomo riesce a comprendere le ragioni che governano gli eventi; se l’uomo
potesse collegare ogni evento alla totalità degli eventi, comprenderebbe l’universo e ne
coglierebbe la bellezza e la bontà; la scoperta delle leggi fisiche conferma quest’idea,
mostrando l’ordine immutabile della natura;
3. il cosmo è unitario, legato in ogni sua parte dalla forza cosmica del Lògos; ogni evento
singolare e locale è espressione del Tutto, nessuna cosa è isolata, una rete di rimandi lega il
mondo;
4. la legge dell’immanenza unisce il mondo: la realtà non è composta nè da sostanze individuali,
come riteneva Aristotele, nè da particelle elementari, come ritenevano gli atomisti;
l’universo è un continuo flusso di eventi, l’espressione di un’unica forza che, con razionalità,
si dispiega nella materia e dà vita all’orizzonte degli eventi. Per gli stoici le cose stesse sono
dunque eventi, momenti passeggeri di un fluire continuo ed eterno, e così è anche per
l’uomo.
Il male che sopraggiunge negli accadimenti terribili ha una ragione (Lògos) sua propria:perché anch’esso
avviene in certo modo in accordo con la ragione universale, e, per così dire, non è senza utilità in relazione al tutto:
senza il male infatti non ci sarebbero i beni.
H. VON ARNIM, Stoicorum veterum fragmenta
Immanenza
Sviluppando un uso invalso nella filosofia moderna, utilizziamo il termine immanenza per designare quelle
filosofie che, come lo stoicismo, danno un’interpretazione unitaria della realtà: l’immanenza descrive il fatto che
ogni cosa/evento è connesso con gli altri e nulla esiste al di fuori dell’orizzonte spazio-temporale degli eventi;
non si danno realtà trascendenti, come il mondo platonico delle idee o il Dio aristotelico, sottratte alle leggi del
cosmo materiale.
L’immanenza presuppone un’unità del reale e una legge necessaria che leghi gli eventi. Per questo motivo
l’epicureismo, che pur non contempla alcun elemento trascendente, non può essere considerato una forma di
immanentismo, perché ammette al suo interno un elemento di casualità, il clinamen, e non riconduce tutto il
reale a un principio unitario.
La dottrina del pnéuma
Che cosa sono dunque gli individui? Quali leggi regolano il divenire del Tutto? Il cosmo è concepito dagli
stoici come un insieme saldamente unitario, finito e circolare, compatto, legato dalla forza cosmica; non esiste
dunque il vuoto all’interno del cosmo, ma solo al suo esterno: lo spazio senza materia lo circonda da ogni parte,
lo contiene.
Il cosmo è uno solo e finito ed è di forma sferica, perché una tal forma è la più adatta al movimento, come
afferma Posidonio nel quinto libro della Fisica di Antipatro e i suoi seguaci nell’opera Sul cosmo. All’esterno del
cosmo è diffuso il vuoto infinito che è incorporeo.
DIOGENE LAERZIO, Vite dei filosofi
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Il Lògos, che muove e governa questa massa compatta di materia, è concepito come una forza che opera sul
mondo dal suo interno: è quindi l’energia produttrice della natura, capace di plasmare la materia facendole
assumere tutte le forme possibili.
Per spiegare questo concetto l’antico stoicismo si è richiamato alla nozione di fuoco di Eraclito. Questi, in
frammenti di difficile interpretazione, aveva concepito il Lògos come fuoco, forse perché individuava nel calore la
sorgente della vita e ammirava nel fuoco l’incessante movimento e la forza di trasformazione e purificazione
degli elementi. Gli stoici riprendono quest’antica concezione e indicano nel soffio vivificatore del fuoco
l’elemento che plasma la materia. Il termine stoico per indi-carlo è pnéuma, parola che in greco significa
letteralmente “soffio”, e che nei primi filosofi indicava l’anima come principio vitale dell’uomo.
La teoria del pnéuma deriva dall’esigenza di interpretare in modo unitario la varietà dei fenomeni naturali.
Alcuni storici della filosofia ritengono che possa avere avuto un peso lo studio di fenomeni fisici come le eruzioni,
che i greci potevano osservare nei vulcani attivi dell’Italia meridionale, come l’Etna. Le eruzioni mostrano che
sotto la crosta terrestre c’è il fuoco vivo e che in particolari condizioni emerge verso la superficie. Lo stesso fuoco
gli stoici potevano osservare nei cieli, nel Sole soprattutto, fonte primaria di vita per l’universo e, sotto forma di
calore, negli esseri viventi, che lo producono al loro interno.
Così l’origine degli elementi può essere pensata a partire dal fuoco, come accade quando il vulcano erutta
polveri, gas, lava, materia infuocata e fluida, che raffreddandosi diviene dura come pietra; dopo la lunga azione
del Sole e del vento sulla lava raffreddata, le prime piante possono crescere su di essa, che diventa terreno coltivabile: così dalla materia infuocata ha origine la vita.
L’espressione pnéuma, soffio vivificatore, richiama anche l’esperienza della respirazione, che nel mondo
greco è sin dalle origini uno dei simboli della vita animale ed è connessa, anche nella tradizione mitica, con
l’anima.
L’universo è dunque concepito come un’immensa (ma finita) quantità di materia, permeata dal soffio vitale,
che esprime l’energia del Lògos. Naturalmente anche l’uomo, in quanto parte del grande ciclo della natura, è
concepito negli stessi termini: la sua anima è espressione del pnéuma universale.
Questa grandiosa visione cosmica accomuna l’uomo alla radice stessa della natura e sottolinea i legami,
piuttosto che le differenze, tra l’individuo e l’ambiente, tra l’elemento fisico e l’elemento spirituale, tra la materia
e il pensiero, in sintesi: tra l’uomo e il Tutto. Una sola fonte di energia è in ogni cosa.
Necessità ed eternità delle leggi di natura
In questo contesto si colloca la concezione stoica del tempo. La nozione più comune rappresenta il tempo
come un procedere lineare, un flusso continuo che non torna mai su se stesso. Quest’idea, legittimata dalla
riflessione sull’esperienza psicologica dello scorrere del presente, pone tuttavia il problema dell’origine e della
fine:
il tempo ha avuto inizio? C’è un termine al suo cammino? Che cosa è avvenuto all’origine della physis? Che
cosa c’era prima?
Tra i filosofi precedenti alcuni, come Empedocle, avevano supposto che l’intero cosmo seguisse un ciclo
vitale. Empedocle pensava allo stato attuale dell’universo come a un momento del fluire del tempo in cui l’Amore
e l’Odio si bilanciano, ma pensava anche a due momenti opposti — iniziale e finale — in cui l’uno o l’altro, ciclicamente, finisse con il prevalere.
Diversa la concezione degli stoici, che considerano la vita dell’universo come un ciclico fluire sul fondamento
di una concezione circolare del tempo. Secondo la loro dottrina alla fine dei tempi l’universo terminerà con una
conflagrazione universale e sarà distrutto completamente dal fuoco: questo evento cosmico, chiamato ekpyrosis,
“incendio”, “conflagrazione”, porrà fine allo stato attuale dell’universo. Dopo questo evento però, avrà di nuovo
inizio l’attività del Lògos che ciclicamente, attraverso il pnéuma, plasma il mondo, vivificando la materia e
avviando ancora l’opera di formazione della natura.
Il fuoco è elemento universale i cui princÌpi sono dio e la materia, corporei l’uno e l’altra. Nel corso dei periodi
fatali l’universo intero va in fiamme, e quindi s’inizia una nuova costituzione mondiale.
Il fuoco primordiale è come un seme che ha in sé tutte le ragioni e le cause degli esseri che furono, che sono e che
saranno: l’intreccio e la serie di esse (ragioni e cause e loro effetti) è il fato, la scienza, la verità, la legge
dell’esistenza: legge a cui non è dato sottrarsi e sfuggire. E per essa tutto il mondo è governato meravigliosamente,
come nel più retto e giusto reggimento statale.
H. VON ARNIM, Stoicorum veterum fragmenta
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Il nuovo ciclo è concepito assolutamente identico al precedente, e così all’infinito —da sempre e per sempre
— nel Grande Anno, cioè nel periodo di tempo compreso tra il momento della formazione e quello della
distruzione del cosmo. La ragione per cui ogni cosa tornerà a essere, in un nuovo mondo, così com’era nel
precedente, risiede nel fatto che il movimento complessivo del cosmo è regolato dal Lògos che è perfetto e opera
ogni volta al meglio, e quindi in maniera identica alla precedente, visto che non ha condizioni esterne che
possano influenzarne il corso.
Il mondo nella sua forma attuale non è dunque eterno, perché nasce e muore ciclicamente, ma eterna è la
sostanza di cui è composto.
Gli stoici osservano nella realtà una grande molteplicità di elementi qualitativamente differenti, che si
trasformano secondo la loro intima natura: osservano il ciclo vitale che permette alla terra di nutrire le piante,
agli animali di cibarsi di elementi vegetali trasformandoli nelle componenti del proprio corpo e così via. Da queste osservazioni traggono la conclusione che l’unico Lògos si attua nel mondo differenziandosi in mille forme e
trasformandosi nella molteplicità degli elementi fondamentali della natura che chiamano logoi spermatikoi,
“ragioni seminali”.
Da questi semi traggono origine, sviluppandosi, tutti gli esseri del mondo, nei quali vive la forza del Lògos.
Dopo la conflagrazione universale, l’ekpyrosis, il mondo riprende il proprio incessante ciclo attraverso questi
elementi, gli anelli intermedi tra l’unico Lògos e la molteplicità delle forme della physis, che dall’interno plasmano
la materia, conferendo a ogni cosa la sua propria natura, destinata a evolversi secondo l’intima sua necessità.
La logica
Nell’enciclopedia delle scienze dello stoicismo la logica occupa un posto di grande rilievo ed è propedeutica
alle altre discipline. Essa, infatti, studia tanto i processi di dimostrazione della verità quanto i percorsi della
conoscenza umana volti alla ricerca della verità. Su questo fondamento il filosofo può costruire la scienza della
natura e la conoscenza del bene.
Quale premessa allo studio della logica ricordiamo che l’intelletto umano è concepito dagli stoici come
espressione del Lògos cosmico, come sua manifestazione individuale: allo stesso modo in cui la razionalità
governa il cosmo, così la ragione umana deve governare la vita dell’uomo. Studiare le regole per pensare bene,
cioè secondo verità, è quindi indispensabile se si vuole guidare la propria vita secondo le leggi della razionalità.
L’origine delle idee
La mente dell’uomo è concepita come passiva nella fase di ricezione delle informazioni che provengono dal
mondo esterno, mentre è considerata attiva nella fase di elaborazione delle impressioni sensibili ritenute nella
memoria.
Le esperienze sensibili sono nuove solo per il bambino nelle prime fasi dell’apprendimento. A mano a mano
che avviene la crescita l’esperienza si accumula e le nuove informazioni del mondo esterno richiamano alla
mente le precedenti, che hanno lasciato la loro traccia nella memoria.
Attraverso questo meccanismo mentale si formano le prolessi, cioè le anticipazioni che la mente è in grado di
compiere sulla realtà futura: poiché l’esperienza passata ha mostrato con costanza determinate associazioni, la
mente si attende che un certo evento si verifichi al verificarsi di un altro, come è avvenuto nel passato.
L’accumularsi delle esperienze permette all’uomo di formare le idee, cioè le nozioni comuni, capaci
di unificare una grande massa di informazioni sensibili in virtù della loro affinità. Per gli stoici le idee
non hanno quindi una natura eterogenea rispetto al mondo materiale, come riteneva Platone, perché
l’intelletto dell’uomo non opera se non in rapporto al mondo di cui è parte.
Non esiste dunque una conoscenza puramente intellettiva perché le idee sono gli elementi comuni che la
mente astrae dalle esperienze: sono una generalizzazione dei dati dell’esperienza, che tutti gli uomini si formano
in maniera molto simile, perché identica è la loro mente e la realtà in cui vivono.
L’assenso e i giudizi di valore
La realtà viene rappresentata nella nostra mente attraverso le informazioni sensibili, ma non tutte le
rappresentazioni vengono accolte dal légos.
Per pensare secondo verità l’uomo deve concedere il proprio assenso solo alle rappresentazioni che
appaiano evidenti o su cui i dubbi siano stati fugati e così giunge alla rappresentazione catalettica, cioè accolta
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dalla mente. Chi conosce può quindi sospendere il giudizio di verità e procedere a delle verifiche, o può rifiutare
il proprio assenso di fronte a un’informazione che appaia contraddittoria o equivoca. Il meccanismo dell’assenso
è di particolare importanza perché dimostra che la mente possiede un’autonomia di fronte al mondo esterno, che
si rivelerà decisiva in sede etica.
Anche l’analisi della formazione dei giudizi di valore riveste un ruolo decisivo nella dottrina stoica, perché è
sulla base di questi che l’uomo compie le proprie scelte pratiche. Quando l’uomo dà l’assenso a una
rappresentazione non lo fa mai in modo neutro rispetto al problema del valore, perché la mente istintivamente
riflette sull’utilità o sui pericoli legati a quanto accade nel mondo esterno. Così, per ogni rappresentazione,
l’uomo formula un giudizio di valore guidato dal proprio istinto di conservazione. L’abitudine a formare questi
giudizi concorre a determinare nell’uomo un criterio per la determinazione di ciò che porta alla felicità e di ciò
che invece provoca dolore: su questa base egli impara a utilizzare un corretto criterio per distinguere la virtù dal
vizio.
In sede etica si dovrà tenere conto del fatto che l’uomo può raggiungere la saggezza solo se è in grado di
formare nella maniera più corretta i giudizi di valore, e quindi andrà posta una cura particolare nel percorso
pedagogico che conduce il giovane alla formazione della propria personalità.
Zenone non a tutte le immagini dava credito, ma solo a quelle le quali portavano con sé una cena evidenza delle
cose rappresentate; un’immagine di tale natura quando si considera per sé è il “comprensibile” [katalépton], ma
quando essa sia accolta e approvata, la chiamava “comprensione’ quasi fosse un afferrare la realtà. Questa analogia
suggerì il vocabolo di “catalessi”, mai prima usato da altri, e moltissimi altri, ugualmente nuovi, ne adoperò a
esprimere nuovi concetti. Ciò che si comprende attraverso i sensi chiamava “senso”, e se il senso così saldamente era
compreso da non poter essere smosso dalla ragione lo definiva “conoscenza”, altrimenti “ignoranza”. Da essa deriva
anche l’opinione”, che è una comprensione mal ferma, la quale ha in sé elementi falsi e ignoti.
CICERONE Academica
La logica proposizionale
Gli stoici, e soprattutto l’Antica Stoà, hanno studiato a fondo la dinamica del pensiero umano, conducendo un
tipo di analisi non lontana da quella svolta da Aristotele nell’Organon, ma con questa differenza:
la logica aristotelica è una logica dei termini, delle loro relazioni, del nesso che lega soggetto,
copula e predicato; con questa impostazione si costruisce una teoria che segue i processi del
pensiero quando risponde alla domanda “che cos’è?”; è possibile cioè identificare la sostanza
delle cose esprimendo il rapporto tra il particolare e l’universale;
la logica stoica è una logica delle proposizioni, che studia non le sostanze, ma gli eventi, i
fatti: gli stoici partono dalla proposizione costituita da soggetto e predicato verbale, perché
questa unità descrive la realtà, l’accadere di un evento; essi quindi non si pongono la
domanda “che cos’è?”, ma “che cosa accade?”, perché la loro concezione fisica pone come
principio di spiegazione del mondo non l’essere delle cose (le sostanze di Aristotele), ma
quanto accade (gli eventi) nel continuum spazio-temporale che costituisce il Tutto.
Una proposizione del tipo “Dione cammina” esprime l’evento del camminare che è sia l’oggetto della
proposizione sia il contenuto della percezione sensibile che ci fa conoscere la realtà: quel che vediamo non è né
soltanto Dione, nè soltanto il camminare, ma Dione che cammina.
Obiettivo della logica stoica è allora quello di studiare il significato di una proposizione, al fine di
determinare le condizioni in cui è vero oppure falso.
Al fine di esemplificare il modo di procedere stoico abbiamo riportato nella tabella qui sotto le cinque forme
dell’argomentazione (schemi fondamentali di ragionamento) considerate valide, capaci cioè di rispondere alla
domanda se il significato di una proposizione è vero o falso.
I CINQUE SCHEMI DI RAGIONAMENTO FONDAMENTALI
Se il primo, allora il secondo; ma il primo, allora il secondo.
Esempio: Se è giorno, allora c’è luce; ma è giorno, allora c’è luce.
Se il primo, allora il secondo; ma non il secondo, allora non
il primo.
Esempio: Se è giorno, allora c’è luce; ma non c’è luce, allora non è giorno.
Non assieme il primo e il secondo; ma il primo, allora non il secondo.
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Esempio: Non assieme è giorno ed è notte; ma è giorno, allora non è notte.
O il primo, o il secondo; ma il primo, allora non il secondo.
Esempio: O è giorno, o è notte; ma è giorno, allora non è notte.
O il primo, o il secondo; ma non il secondo, allora il primo.
Esempio: O è giorno, o è notte; ma non è notte, allora è giorno.
L’etica
Il saggio stoico si rivolge alla filosofia per cercarvi la pace dell’anima, il quietarsi delle passioni, la sicurezza
degli obiettivi e dei valori; egli sa quello che fa, perché la conoscenza della superiore ragione che domina
l’universo lo porta a pensare che il Tutto è governato secondo razionalità e bontà: allora la felicità deve essere
possibile, in armonia con la natura e con il suo profondo principio razionale.
Questo è il messaggio di speranza che lo stoicismo rivolge agli uomini del suo tempo, messaggio raccolto per
secoli nei luoghi più diversi, da Roma all’Oriente, che avvicina la Scuola stoica a quella epicurea. Rimangono però
molto diversi tanto il modo di concepire l’ideale del saggio quanto la concezione della natura, a cui entrambe le
filosofie rimandano per la comprensione dell’uomo.
Se il mondo epicureo era dominato dal movimento meccanico e casuale degli atomi, per gli stoici il regno
della physis è dominato dalla legge — razionale e volta al bene — della necessità; essa sfugge al dominio
dell’uomo, e anzi l’uomo stesso ne è assoggettato: da un punto di vista materiale, l’individuo è dominato dalla
necessità naturale e per sopravvivere deve comportarsi come qualsiasi altro essere vivente, sottomettendosi al
ritmo della respirazione, procurandosi il cibo, riparandosi dal freddo e così via. Anche la malattia e il dolore sono
eventi della physis, necessari all’ordine del Tutto, che colpiscono l’uomo. La morte stessa, infine, è propria di ogni
vivente e inerisce alla vita stessa, perché questa è un ciclo che ha un termine iscritto nel suo percorso. Questi
eventi non dipendono dall’uomo e di conseguenza, compiuto tutto quello che umanamente è possibile, il saggio
stoico accetta il corso del mondo come razionale, come un dato di fatto che resta al di fuori delle scelte etiche
perché è al di fuori del controllo dell’uomo.
La sfera propria dell’etica, su cui si esercita l’azione razionale dell’uomo e in cui entra in gioco la sua
responsabilità, non è questa: è la sfera della realtà che dipende dalle scelte dei singoli e dall’opera collettiva; è la
sfera delle scelte private e delle scelte pubbliche, del mondo in quanto dipende da noi.
Il saggio, tuttavia, sa che tutto avviene nel quadro delle inesorabili leggi di natura, che alla fine prenderanno
il sopravvento. L’uomo, del resto, può modificare il corso del mondo a suo vantaggio, per esempio attraverso il
lavoro e l’attività politica, perché egli stesso è un elemento del sistema-universo guidato dal Lògos. Quando
l’uomo lavora, trasformando la natura, il Lògos opera attraverso di lui in modo non differente da quanto accade
con l’azione del vento o delle acque che incessantemente modificano il volto della Terra. Una serena e razionale
considerazione delle cose porta dunque lo stoico a questa conclusione: compiuto tutto ciò che è umanamente
possibile, dobbiamo accettare come positivo e razionale il fatto che il mondo ha un suo corso che non dipende da
noi. Il saggio contempla questo necessario fluire e lo accetta perché in esso vede l’impronta della razionalità del
Tutto che sente operare nella sua stessa ragione e se il corso del mondo implica dolore e apparente insensatezza,
il saggio sa che così doveva essere, così è bene che sia.
L’uomo e il Logos
Lo storico della filosofia Max Pohlenz evidenzia il carattere antropocentrico del cosmo stoico: solo l’uomo,
infatti, è consapevole di far parte del Lògos universale ed è in grado di cogliere la bellezza e la perfezione del
mondo.
Si presentava agli stoici un problema: qual è lo scopo ultimo che la natura persegue nel suo creare? Se noi
vediamo una casa ben arredata, non ci domandiamo soltanto chi l’ha costruita ma anche per chi è stata costruita.
La risposta per loro non è dubbia: tutte le forme di vita inferiori esistono in funzione di quelle superiori. La terra
nutre le piante, queste nutrono gli animali, e gli animali servono all’uomo come strumento e come cibo. Infatti,
sebbene fisicamente l’uomo sia inferiore per molti aspetti agli animali, col suo Lògos egli si rende padrone di loro
e di tutto il mondo. Egli è usufruttuario di tutte le cose ed è pure il solo essere atto e chiamato ad apprezzare la
grandezza e la bellezza del mondo e a trarne motivo d’edificazione. Grazie al Lògos egli è imparentato con la
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divinità. Dio e uomo sono gli esseri razionali, la più alta forma dell’essere, la quale svela lo scopo e il senso del
mondo. Il cosmo secondo Crisippo è un sistema costituito dagli dèi, dagli uomini e dalle cose create per loro. (M.
Pohlenz, Stoà)
Che cos’è il bene?
Che cosa dobbiamo intendere esattamente con i termini bene e buono, se applicati alla natura umana, intesa
come frammento del Tutto? L’essenza dell’uomo è racchiusa nel Lògos, cioè nella razionalità del suo intelletto
individuale, attraverso il quale coopera con la divinità nell’ordinato governo del mondo, per quel che sta in lui.
Buono è dunque tutto ciò che sviluppa la perfezione e la libertà del Lògos, male tutto ciò che la limita. Bene è
tutto ciò che permette alla physis dell’uomo di maturare nella sua pienezza. Male è tutto ciò che corrompe la
natura umana, che deve essere guidata dalla ragione: e dunque, innanzitutto, male è per l’uomo lasciarsi dominare dalle passioni, che sviano la ragione dalla retta via.
Tutto ciò che è in sintonia con te, o Universo, è in sintonia anche con me. Nulla di ciò che per te giunge a tempo
debito, per me giunge troppo presto o troppo tardi.
H. VON ARNIM, Stoicorum veterum fragmenta
Il bene e il male, intesi come comportamenti tra i quali scegliere, sono dunque concetti che appartengono
interamente alla sfera dell’uomo, alla sua coscienza, mentre il mondo esterno è tutto in sé buono. Si tratta di
coglierne il valore attraverso l’attento studio del Lògos che domina l’universo fisico. Da un punto di vista etico,
invece, tutto ciò che è esterno alla coscienza è indifferente, come evidenzia Hadot: «per gli stoici l’unico bene era
la virtù, l’unico male il vizio. Vizio e virtù dipendevano dalla nostra volontà, erano in nostro potere, ma tutto il resto,
la vita, la morte, la ricchezza, la povertà, il piacere, il dolore, la sofferenza, la fama, non dipendevano da noi. Queste
cose — indipendenti dalla nostra volontà, dunque estranee all’antitesi bene/male - erano indifferenti. Accadevano
indifferentemente ai buoni e ai cattivi, in virtù della decisione iniziale della provvidenza e della concatenazione
necessaria delle cause»
(P. Hadot, Che cos’è la filosofia antica?).
INDIFERENTI
Traduciamo con “indifferenti” il termine stoico adiàfora (utilizzato anche dai cinici, a cui lo stoicismo delle
origini si ispirò molto), con cui si indicava tutto ciò che è eticamente indifferente rispetto alla virtù: sono
indifferenti, per esempio, le ricchezze, o la salute o gli eventi che non dipendono da noi e che “accadono”. La loro
“indifferenza” è legata al fatto che il saggio può utilizzarli per accrescere la propria virtù o per diminuirla, ma in
sé non hanno una dimensione etica.
La libertà come autonomia
Una responsabilità morale esiste se c’è qualcosa che non è eticamente indifferente, e non lo è ciò che dipende
dall’uomo e può essere modificato sotto il controllo della ragione. È quindi di primaria importanza per l’etica
capire in che senso l’uomo è libero, e dunque in che senso una sfera della vita dipende dalle sue scelte ed è sottratta alla necessità naturale, visto che l’universo nel suo complesso è perfetto e immutabile.
Il termine libertà nella concezione stoica può essere inteso in due accezioni diverse:
libertà come libero arbitrio: benché il mondo sia sottoposto alle inesorabili leggi di natura e
si presenti quindi come un cosmo deterministico, l’uomo conserva un certo margine di
libertà come libero arbitrio, cioè come capacità di scelta. Secondo un’immagine di Cleante,
all’uomo accade come al cane che i contadini legano al carro utilizzato per i lavori agricoli:
una corda piuttosto lunga permette al cane una certa libertà di manovra, ma fissa al
contempo un limite preciso; se il cane volesse andare in direzione opposta a quella del carro,
dopo un po’ sarebbe trascinato via. Così è il libero arbitrio dell’uomo; poca cosa in fondo,
anche se nei limiti della “corda” l’uomo è realmente sovrano delle sue scelte, mentre il carro
— cioè il cosmo guidato dal Lògos — prosegue il suo cammino necessario.
libertà come indipendenza della coscienza: per gli stoici è una forma di libertà assai più
importante, che conferisce all’uomo una particolare dignità nel contesto dell’universo e che
consiste nel mantenere la coscienza indipendente di fronte al fluire delle cose; questa forma
di libertà rappresenta la più profonda essenza dell’ideale stoico del saggio.
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Per comprendere il punto di vista stoico dobbiamo fare appello all’esperienza della separazione del nostro
mondo interiore dal mondo esterno. Certamente assai forte, e spesso decisiva, è l’interazione tra coscienza e
mondo (il mondo agisce sulla nostra coscienza o, viceversa, la nostra coscienza determina le scelte e ci permette
di agire sul mondo), ma nella loro più radicale essenza, coscienza e mondo hanno un elemento di indipendenza.
Si pensi all’esperienza del dolore fisico, cui gli stoici sono particolarmente attenti. L’uomo rifugge dal dolore
istintivamente, perché spinto a ciò dall’istinto di conservazione. Vi sono però occasioni in cui il dolore è
necessario per la salute del corpo, per esempio quando siamo costretti a subire un intervento chirurgico. In questo caso accettiamo il dolore perché ne comprendiamo l’utilità. La nostra coscienza sente il dolore sia quando lo
fugge come un male, sia quando lo accetta come necessario per riacquistare la salute perduta. Nel secondo caso,
però, a un dolore fisico potrà non accompagnarsi la perdita della tranquillità dell’animo: al contrario, la nostra
coscienza potrà reagire positivamente, perché c’è sì una forte connessione tra mente e corpo, ma nella sua più
intima natura la coscienza può mantenere una grande autonomia da esso.
Gli stoici non concepiscono la mente e l’anima dell’uomo come puramente spirituali poiché entrambe
esprimono a due livelli diversi l’unico Lògos cosmico. L’anima, in quanto elemento attivo che domina sulla
passività della materia, è indipendente nella sua essenza dal mondo esterno.
Tutta l’etica stoica è un percorso spirituale per esercitare l’anima a rimanere coerente con la sua natura, a
distaccarsi dal mondo ed elevare in massimo grado la propria indipendenza, la più alta forma di libertà che sia
data all’uomo di vivere.
L’indipendenza dell’anima daI mondo esterno non significa che sia immortale: in quanto pnéuma, anch’essa
si dissolve dopo la morte nel ciclo universale della vita e dunque l’etica stoica si concentra sulla pienezza della
vita nel mondo e non — come era accaduto in Platone e accadrà nel cristianesimo — sull’esistenza terrena intesa
come preparazione alla vita oltre la morte.
Da questo punto di vista lo stoicismo non predica il distacco dell’anima dal corpo, ma l’autonomia della sfera
spirituale e interiore dalla sfera affettiva e passionale nel rapporto con il corpo.
Lo stoicismo intende la filosofia come esercizio spirituale ininterrotto, volto a liberare l’anima dalla
sudditanza al corpo. In questo senso Zenone, il fondatore della scuola, scrive che l’ideale del saggio è vivere
secondo natura: vivere, cioè, rimanendo fedele alla più autentica natura dell’anima, che è pienamente autonoma
e quindi libera.
L’anima dell’uomo ha molte parti che, nell’economia dell’organismo vivente e senziente, assolvono diverse
funzioni. La parte centrale, quella che presiede alle funzioni direttive, è l’hegemonikòn, la “parte direttiva”, quella
che contiene il Lògos nella sua purezza e che garantisce l’unità dell’anima a cui fanno capo i sensi e l’intelligenza.
Crisippo, per indicare il ruolo dell’hegemonikòn, usa l’immagine del ragno al centro della sua tela. La parte
direttiva dell’anima corre il pericolo più serio di ammalarsi, restando preda delle passioni: da attivo
l’hegemonikòn si fa passivo e l’uomo soffre, la sua anima è preda di tutte le paure e di tutte le angosce.
Compito del saggio sarà sviluppare armonicamente la sua personalità in modo che ciascuna parte dell’anima
svolga il ruolo che le compete, nel rispetto della sua natura. È dunque l’hegemonikon a dover guidare l’uomo, non
le passioni, e per farlo deve riuscire a essere indipendente da esse, libero.
Il saggio: un uomo che esercita la virtù
L’uomo non può conoscere il proprio futuro individuale né comprendere l’oggettivo corso del mondo nei
dettagli. Come comportarsi dunque? Il saggio dovrà, come l’uomo comune, far dipendere la serenità dello spirito
dal corso degli eventi?
Se così facesse, il destino della propria anima dipenderebbe sempre da qualcosa di esteriore ed essa sarebbe
schiava delle circostanze; ma il saggio punta alla libertà della coscienza.
Anche per lui i legami tra la mente e il mondo esterno sono forti e conservare l’indipendenza è un compito
arduo; gli stoici non si nascondono questa difficoltà e spesso sembrano parlare del saggio più come di un modello
ideale che non come di una realtà. Tuttavia, nella storia, ci sono stati alcuni uomini straordinari, davvero saggi:
come spiegare altrimenti la serenità di Socrate davanti alla morte?
Secondo gli stoici la virtù, per quanto difficile da raggiungere, è frutto di un costante esercizio. A chi vuol
diventare saggio la scuola propone dunque un percorso di rigenerazione interiore: si tratta di abituare lo spirito
a raggiungere l’indipendenza, l’ataraxìa, cioè l’imperturbabilità, la capacità di completo autodominio.
Il metodo di educazione proposto è volto a irrobustire il Lògos dell’uomo e a renderlo libero, come esso è
nella sua natura. Secondo gli stoici l’io può essere indipendente sia dalie cose che dagli eventi: questa verità è
però difficile da imparare, perché le passioni fanno ammalare la ragione e spesso la fanno deviare dal retto
cammino, oscurando nell’uomo la visione del mondo e rendendolo schiavo. Il filosofo è quindi simile al medico e
la filosofia è un esercizio di liberazione, di conversione della propria anima.
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Provvidenza e Fato
Gli stoici utilizzano i termini Provvidenza e Fato per indicare il fatto che il Lògos guida l’intera natura verso il
bene secondo razionalità. Il bene non è concepito al!a maniera platonica come un’istanza superiore ed eterna, ma
si realizza nel mutevole mondo dell’esperienza, si evolve, perché tutto è soggetto al movimento del tempo ed è il
movimento stesso a essere buono, perché pone ordine a tutto l’essere in ogni sua fase. Il bene è dunque
immanente nel mondo, anche se al nostro debole occhio il male può apparire una realtà vincente. Ciò dipende dal
fatto che non cogliamo il significato vero delle cose e degli eventi: li osserviamo da un’angolazione ristretta, da
un’ottica particolare, e non capiamo che sono necessari al fine della perfezione del Tutto. Niente accade per caso,
perché l’universo abbia ordine e misura. La Provvidenza non è l’intervento della divinità che dall’esterno agisce
sul mondo per guidarne corso verso il bene, ma è la stessa ragione intima delle cose, è il senso oggettivo
dell’evoluzione cosmica. Il Fato è quindi il necessario corso del mondo e si identifica con la Provvidenza,
perdendo quei caratteri di insondabile oscurità che aveva presso la cultura greca arcaica e classica. Anche il Fato,
il destino individuale e cosmico, è razionale. L’uomo deve affidarsi a questo cammino dalle tappe già segnate e
abbandonarsi con fiducia alla perfezione divina.
Gli stoici, intellettuali “impegnati”
Il mondo esterno, in quanto estraneo alla coscienza e al Lògos, è per gli stoici moralmente indifferente, ma
questo non significa che il saggio debba disinteressarsene, perché la ragione ha pur sempre un ruolo e un potere
sul corso del mondo.
Innanzitutto l’uomo vive nel mondo e la Provvidenza opera attraverso di lui: se è ammalato, certo guarirà se
è destino che guarisca, ma dovrà prendere delle medicine per guarire. La Provvidenza opera attraverso la
volontà di guarire e le azioni che ne conseguono: il concorso umano è indispensabile.
La natura, inoltre, è il luogo in cui la divinità manifesta il suo splendore e il saggio deve imparare a godere di
essa cogliendovi il riflesso della perfezione divina.
C’è poi un altro campo su cui il saggio concentrerà la propria attenzione, quello della politica, perché qui la
vita esteriore è per eccellenza espressione dell’uomo. Lo Stato, infatti, è un’organizzazione umana al servizio dei
bisogni dei cittadini e solo l’uomo può amministrarlo correttamente e secondo giustizia.
Il saggio stoico è quindi un intellettuale “impegnato”: considera suo dovere porre se stesso e la propria opera
al servizio dello Stato, cioè, in ultima analisi, dei suoi simili, con la tranquilla coscienza che, così facendo,
coopererà con la Provvidenza per la salvezza del mondo. Naturalmente la sfera della vita interiore del saggio sarà
distaccata dalle passioni della politica e scevra da ogni sete di potere. Il governo è concepito come servizio reso ai
propri simili, né la legalità ha nulla a che vedere con la moralità: quest’ultima riguarda la vita interiore, quella la
vita esteriore.
L’architetto non viene a dire: «Ascoltatemi discutere sull’arte del costruire» ma, fatto il contratto per una casa,
la costruisce, e così mostra di possedere l’arte. Agisci anche tu in tal modo: mangia come un uomo, bevi come un
uomo, ornati come un uomo, sposati, abbi dei figli, fa’ il cittadino; resisti agli insulti, sopporta un fratello dissennato,
sopporta il padre, un figlio, un vicino, un compagno di viaggio. Mostrati queste cose, perché possiamo renderci conto
che hai davvero imparato qualcosa dai filosofi. [...] Ed è per questo che i giovani hanno abbandonato le loro patrie e
i loro genitori, per venire a sentire te che spieghi delle belle frasi? Non bisogna che ritornino a casa loro capaci di
sopportare, pronti a cooperare, impassibili, imperturbabili, in possesso ditali provviste per il viaggio della vita, da
poter sopportare nobilmente, col loro ausilio, ogni avvenimento, e in questo distinguersi?
EPITTETO, Diatribe
Il saggio stoico, cittadino del mondo
Lo stoicismo esalta la fratellanza universale ed enuncia il principio — rivoluzionario nel mondo antico — che
per natura nessun uomo è schiavo e tutti gli uomini sono nati per essere liberi: è il principio dell’uguaglianza, che
richiama analoghe prese di posizione dei sofisti. Gli stoici non si impegnarono però attivamente contro la
schiavitù: per loro ciò che contava veramente era la libertà interiore, e si può essere liberi da schiavi e servi da
imperatori, perché la vera servitù è l’essere schiavi delle proprie passioni e la vera libertà è quella della mente.
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L’idea dell’uguaglianza è coerente con un tratto caratteristico dell’Età ellenistica, dove compare la figura
dell’uomo universale, il cosmopolita: è il cittadino del mondo — e non più di una polis o di un regno — che
ritrova in ogni suo simile il proprio stesso Lògos e il segno della presenza della Ragione universale.
A questo impersonale fratello, nel viaggio per il mondo che è la vita, si rivolge l’opera del saggio che serve lo
Stato: si tratta di fare un tratto di strada insieme. A tale servizio l’uomo è spinto anche dal proprio istinto: l’uomo
è un essere comunitario, portato all’amore per i suoi simili da un sentimento innato. Sul terreno dell’impegno
politico il distacco tra stoicismo ed epicureismo non potrebbe essere più netto.
Lo spirito di servizio stoico è stato proprio di diversi uomini di potere nella Roma imperiale, e prima ancora
di alcuni sovrani e uomini di Stato dei Regni ellenistici. Dovere, per lo stoico, è tutto ciò che è conforme alla
natura ed è giustificato dal punto di vista del Logos universale e del Lògos individuale.
Alcuni di questi uomini, come Seneca nella Roma di Nerone, in coerenza con la concezione stoica della vita,
giunsero al suicidio. La dottrina di questa scuola, infatti, considerava come supremo valore non la vita — di cui la
natura, non l’uomo, è padrona — ma la virtù, di cui l’uomo è l’unico depositano, in piena autonomia e libertà. Se il
saggio viene a trovarsi nella situazione di non potersi mantenere fedele al principio supremo della virtù, e il
suicidio si mostra come l’unica via d’uscita per non venir meno alla propria coerenza, egli può legittimamente
darsi la morte. Non si tratta per gli stoici di un segno di debolezza, ma di nobiltà e di grandezza d’animo.
Il «suicidio ben ponderato» è, per gli stoici, un diritto morale dell’uomo: di fronte a eventi di particolare
gravità, uscire di scena con coraggio e dignità è un diritto per il saggio, o per colui che — umanamente — cerca di
avvicinarsi a questo ideale.
(tratto da Philosophica, Vol. I, De Agostini)
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