Genericamente sono abbastanza preciso sulle cose che faccio, ma dato che “errare humanum est”, vi invito a verificarepersonalmente ciò che ho scritto, prima di fissare gli argomenti nella vostra memoria Domande raccolte dall’inizio del 2015 all’inizio del 2017 . gli * indicano la frequenza della domanda Scrittoda G.G. DOMANDE DI PATOLOGIA GENERALE(con relative risposte) GENERALE Infiammazione acuta e cronica **************************: ACUTA: caratterizzata da un esordio rapido (secondi o pochi minuti) che ha una durata massima di alcuni giorni. Può essere causata da infezioni, traumi, agenti fisici e chimici, necrosi e reazioni immunitarie. Ne consideriamo 4 aspetti: rubor (rossore), calor (calore), tumor (gonfiore) e dolor (dolore). È caratterizzata da diversi eventi ‐ ‐ ‐ alterazioni del calibro vascolare: il primo fenomeno è la vasodilatazione (dopo una fugacissima vasocostrizione che dura pochi secondi),che fa sì che le resistenze dei capillari diminuiscono, causando un aumento del flusso ematico (che causa calore regionale). Questa dilatazione viene causata da diverse sostanze quali: istamina, ossido nitrico, leucotrieni, bradichinine e sostanza P. Alcune di queste sostanze, come l’ossido nitrico inducono rilassamento della muscolatura liscia e causano vasodilatazione; altre sostanze come l’istamina, causano la contrazione di alcune proteine contrattili intracellulari delle cellule endoteliali; proteine (quali la miosina) “accorciano” la cellula dall’interno, costringendo le singole cellule a separarsi tra loro e a separare anche molte giunzioni cellulari. L’endotelio cosi si “fenestra” consentendo al plasma e ad alcune proteine di uscire all’esterno dei vasi, penetrando nella matrice dei tessuti. Anche altre sostanze possono causare vasodilatazione, quali TNF, IL‐1, IFN‐gamma, ma la loro azione è più prolungata nel tempo (24 ore o più). Ovviamente esistono altri modi affinchè i liquidi possano passare dai vasi al plasma, come: lesioni endoteliali dirette con necrosi e distacco delle cellule endoteliali, lesioni causate da irraggiamento con fonti di energia radiante (raggi X), lesione causata da metaboliti tossici derivati dal sistema immunitario. In ogni caso, all’aumentare del calibro/permeabilità vascolare abbiamo un aumento della pressione idrostatica, che, superando l’oncotica intravasale ed aiutata dall’oncotica extravasale, consente ai liquidi di passare nello spazio extravasale; il sangue aumenta di viscosità rolling, adesione iniziale e marginazione: nell’endotelio infiammato vengono espresse molecole che normalmente sono latenti nella cellula. Queste molecole, chiamate selectina E, selectina P e GlyCam si possono legare a recettori espressi sulla superficie leucocitaria e specificatamente, la selectina‐E si lega al Sialil‐Lewis‐X leucocitario, la selectina‐P si lega al Sialil‐Lewis‐X leucocitario e GlyCam si lega alla selectina‐L leucocitaria. Questo legame iniziale fa si che i leucociti “rotolino” sulla parete endoteliale, creando legami che si formano e si dissociano rapidamente a causa del flusso sanguigno, fin quando l’effetto frenante dato dalle continue adesioni non vince la forza del flusso, fermando sulla parete il leucocita. A questo punto, la parete endoteliale è tappezzata da leucociti che hanno “pavimentato” l’endotelio. Se in questa fase il vaso venisse preso e tagliato, alla sezione microscopica si osserverebbe una “marginazione” dei leucociti mentre i globuli rossi si troverebbero al centro adesione stabile: data dal successivo legame di molecole chiamate integrine e dei loro recettori. Sull’endotelio troviamo ICAM‐1 e VCAM‐1, mentre sui leucociti LFA‐1/Mac‐1 e VLA‐4; ICAM‐1 si lega a LFA‐1/Mac‐1 e VCAM‐1 si lega a VLA‐4. La produzione delle integrine può essere indotta da alcune citochine come TNF e IL‐1 Scaricato da www.sunhope.it ‐ ‐ ‐ ‐ diapedesi *: processo di passaggio dei leucociti attraverso l’endotelio; il passaggio avviene tramite movimenti ameboidi ed è indotto dal legame di CD31 endoteliale (o PECAM) con il suo recettore leucocitario, CD31R. La migrazione è spinta anche dal gradiente chimico. Una volta in prossimità della membrana basale, si suppone che i leucociti secernano collagenasi che consente di perforare la membrana e giungere nel sito interessato chemiotassi e attivazione ************: la chemiotassi è un processo di attrazione chimica dei leucociti nel sito di infiammazione. Le sostanze coinvolte sono varie: prodotti di origine batterica o virale, sia peptidici che lipidici; fattori endogeni come proteine del complemento, leucotrieni, chemochine (IL‐8). Sono comunque tutti ligandi di specifici recettori transmembrana accoppiati a proteine G che possono attivare alcune funzioni cellulari; nella fattispecie la funzione più importante contemplata è la polimerizzazione dell’actina che consente l’estensione dei filopodi che consentono il movimento, trascinando la cellula nella direzione dell’estensione dell’actina. La cascata chimica prevede che la proteina G recluti la PLCgamma (fosfolipasi‐C‐gamma) e la PI3K (fosfatidil‐inositolo‐3 chinasi); queste due aumenterebbero la concentrazione di calcio intramembrana e attiverebbero alcune GTPasi. Il concorrere di tutti questi eventi, consente la polimerizzazione dell’actina nella direzione dello stimolo (e il conseguente avanzamento cellulare). I prodotti di batteri, virus e cellule necrotiche possono anche agire direttamente sui leucociti, attivandoli. Questi prodotti vengono percepiti dal nostro sistema immunitario tramite strutture recettoriali specifiche: i tool like receptor (sono circa 10 e attivano i leucociti in modi diversi a seconda della molecola segnale; genericamente sono associati a chinasi che stimolano la produzione di sostanze microbicide), recettori transmembrana accoppiati a proteine G (possiedono 7 domini transmembrane e di norma sono stimolati da sostanze microbiche o danno endoteliale), i recettori per le opsonine (percepiscono agenti microbici rivestiti da anticorpi) e i recettori per le citochine (come il recettore per IFN‐gamma dei macrofagi). I leucociti attivati tramite meccanismi molto simili a quelli che concorrono nelle fasi precedenti (vale a dire attivazione mediata da Ca++ e da protein‐chinasi‐C), sono capaci di: produrre citochine, liberare gli enzimi lisosomiali, produrre metaboliti dell’acido arachidonico fagocitosi e liberazione di mediatori ********: la fagocitosi è una fase dell’infiammazione che prevede la rimozione delle cellule morte, di microbi e degli agenti lesivi dal sito coinvolto. Le cellule che vi prendono parte sono normalmente monociti e macrofagi (anche i neutrofili sono capaci di fagocitosi, ma oltre un certo numero di fagocitosi effettuate muoiono, formando il pus che deve essere rimosso). Prevede 3 fasi: riconoscimento dell’agente patogeno ed adesione a questo, ingestione dell’agente con formazione di vacuolo endocitotico, uccisione e degradazione del materiale ingerito. Riconoscimento ed adesione ‐> sono i recettori del mannosio e i recettori scavenger. I recettori per il mannosio captano questo zucchero, particolarmente presente sulle membrane dei microbi; i recettori scavenger captano le lipoproteine a bassa densità ossidate o acetilate. Ingestione dell’agente con formazione di vacuolo endocitotico ‐> avviene grazie alla polimerizzazione di filamenti di actina che tramite segnali chimici si direziona verso l’agente patogeno; arrivato in prossimità della membrana, il patogeno si lega ai recettori e viene internalizzato in un vacuolo endocitotico. Uccisione e degradazione del materiale ingerito ‐> il materiale viene degradato grazie alla formazione di intermedi reattivi dell’ossigeno; questa avviene grazie alla NADPH ossidasi che ossida il NADPH a NADP+, producendo ioni superossido successivamente convertiti in H2O2 e OH‐. Questi prodotti possono essere rilasciati anche negli spazi extracellulari, causando danno endoteliale risoluzione dell’infiammazione acuta: grazie al fatto che i mediatori dell’infiammazione hanno una certa emivita, parte dell’infiammazione tende a risolversi da sola con il tempo. Esistono comunque dei meccanismi antiinfiammatori, come il rilascio di citochine antiinfiammatorie (TGF‐beta) e cambiamenti nel metabolismo dell’acido arachidonico Scaricato da www.sunhope.it Altri fattori possono intervenire sulla vasodilatazione o sulla permeabilità vasale: ‐ ‐ ‐ ‐ ‐ ‐ le frazioni “A” dei fattori del complemento stimolano la liberazione di istamina, generando aumento della permeabilità vasale la serotonina la bradichinina causa contrazione dei muscoli lisci aumentando la permeabilità vasale e consente anche la dilatazione dei vasi. La bradichinina viene prodotta quando dal fattore 12 coagulativo viene prodotto il fattore 12n a causa del contatto col collagene; il fattore 12n converte la precallicreina in callicreina, che a sua volta cliva il chininogeno producendo bradichinina la plasmina nel contesto infiammatorio cliva C3 e anche il fibrinogeno; i fattori derivati promuovono la permeabilità vascolare il PAF (fattore di adesione piastrinica) viene rilasciato dai basofili nell’infiammazione. A concentrazioni basse, induce vasodilatazione e aumento della permeabilità con effetto molto maggiore all’istamina (a concentrazioni alte, media la vasocostrizione l’ossido nitrico (NO)causa vasodilatazione agendo in maniera paracrina e attivando GMP ciclico, che tramite una serie di cascate del segnale induce il rilassamento della muscolatura liscia vascolare e quindi la vasodilatazione. È prodotto da cellule endoteliali, neuroni e macrofagi tramite l’enzima ossido nitrico sintetasi, enzima che si attiva solo quando vi è un ingente flusso di calcio nel citoplasma della cellula. La sua sintesi può essere indotta anche da citochine. NO però impedisce sia il rolling che l’adesione leucocitaria CRONICA: caratterizzata da una maggiore durata, che può persistere anche per mesi o anni. Le cellule protagoniste sono linfociti e macrofagi e diversi processi, come fibrosi e necrosi tissutale concorrono in questa condizione. La vera peculiarità di questa condizione è che mentre l’agente scatenante continua la sua azione lesiva, il corpo cerca di ripararvi generando nuovo tessuto connettivo. L’infiammazione cronica può essere causata da infezioni persistenti, reazioni autoimmunitarie o esposizione prolungata a sostanze tossiche. È caratterizzata da ‐ ‐ ‐ ‐ ‐ infiltrazione di cellule mononucleate: i monociti vengono reclutati dal sangue e veicolati ai tessuti (tramite le vie già viste per l’infiammazione acuta). I fattori chemiotattici per i monociti sono: MCP‐ 1, C5a, PDGF, TGF‐alfa e chemochine prodotte da leucociti attivati. Quando penetrano in un tessuto si trasformano in macrofagi, cellule estremamente più durature (possono persistere anche per anni), che vengono attivati grazie ad alcuni fattori presenti nel luogo dell’infiammazione (l’IFN‐ gamma è il più potente attivatore macrofagico) attivazione macrofagica: sempre tramite molecole zonali secrete dal tessuto danneggiato o dai leucociti circostanti proliferazione dei macrofagi: raro nelle condizioni acute, ma di usuale riscontro nelle croniche, specie se gravi immobilizzazione dei macrofagi: causata da citochine che attraggono continuamente il macrofago in sede e da lipidi ossidati produzione di tessuto connettivo: prodotto dai macrofagi attivati, rappresenta un tentativo di arginare il danno e riparare il tessuto Infiammazione Granulomatosa *******: tipologia di infiammazione cronica. Può avere 2 cause essenziali: da corpo estraneo o da cause immunitarie (nei casi di infezione microbica persistente). Qualunque sia la causa, il granuloma ha una struttura ben definita, formata da: Scaricato da www.sunhope.it ‐ ‐ ‐ una regione periferica piena di leucociti mononucleati (soprattutto linfociti) e macrofagi attivati, una regione più interna di macrofagi attivati, aggregati e morfologicamente trasformati in cellule epitelioidi una regione centrale che contiene cellule giganti multinucleate, derivanti dalla fusione di più macrofagi epitelioidi tra loro i granulomi più vecchi possiedono una parete di fibroblasti e connettivo a limitarli. Quando si forma un granuloma da infezione persistente, la struttura non è così precisa come quella del granuloma da corpo estraneo (data la dispersione maggiore dei batteri); in questo tipo di formazione, si ha che i macrofagi fagocitano i microbi e li presentano ai linfociti T.helper, che rispondono attivandosi e producendo citochine come IL‐2 per amplificare l’effetto attivante, IFN‐gamma per attivare i macrofagi a produrre i ROS (specie reattive dell’ossigeno). Questa tipologia di macrofagi vengono chiamati M1 e sono preposti alla fagocitosi, al reclutamento di altri leucociti, alla presentazione dell’antigene tramite MHC classe 2 ai linfociti T.helper. Con il perpetrarsi dei fenomeni attivatori, i macrofagi si trasformano in cellule epitelioidi; al processo fagocitotico si affianca quello riparativo, i macrofagi si trasformano in macrofagi M2 grazie ad alcuni fattori prodotti dai linfociti T.helper (IL‐4, IL‐13) e secernono fattori di rimodellamento tissutale come PDGF (fattore stimolante la crescita dei fibroblasti), per far sì di favorire la formazione di tessuto connettivo. Genericamente, i granulomi infettivi dopo un tot di tempo vanno incontro a necrosi caseosa che si diparte dalla porzione centrale del granuloma a quella periferica, generando spazi vuoti (caverne) Opsonizzazione *: una volta che un microrganismo infetta l’individuo si possono formare (o essere già presenti) anticorpi, chiamati in questo contesto "opsonine", che legandosi alla struttura superficiale dell’invasore tramite la porzione Fab (Frammento legante l’antigene) consentono alle cellule fagocitiche di riconoscere e legare le porzioni Fc (frammento cristallizzabile) e internalizzare il batterio/virus per distruggerlo. Essudato e trasudato *******: differenze: ‐ ‐ l'essudato è un liquido infiammatorio con elevata concentrazione proteica che si raccoglie nei tessuti del corpo sottoposti a un processo d'infiammazione. Ne esistono varie tipologie: essudato purulento (costituito da plasma con neutrofili sia attivi che morti e cellule necrotiche; tipico delle infezioni, viene comunemente indicato come pus); essudato fibrinoso (composto principalmente di fibrinogeno e fibrina; si trova in condizioni gravi, come la polmonite batterica); essudato catarrale (si forma nel naso e nella gola ed è caratterizzato da un elevato contenuto di muco); essudato sieroso (si manifesta generalmente nelle infiammazioni lievi, con uno scarso contenuto di proteine); essudato maligno (tipico di condizioni derivate da una neoplasia maligna) il trasudato è una sostanza liquida derivata dal plasma per ultrafiltrazione; in sostanza si tratta di una parte liquida del plasma che ha attraversato l'endotelio capillare di vasi normali o una membrana semi‐permeabile; in genere è caratterizzato da un'alta fluidità e da un basso contenuto di proteine, cellule e detriti cellulari Per distinguerli si può utilizzare la prova di Rivalta: versando alcune gocce di liquido in una soluzione di acido acetico, se questo ha la composizione chimica dell'essudato, si formeranno delle strie simili a fumo, date dalla precipitazione di macromolecole, prevalentemente proteine Scaricato da www.sunhope.it Radiazioni ***: fenomeno per cui una sostanza o un corpo emette energia sotto forma di onde o di corpuscoli. Si dividono in 2 tipologie: radiazioni ionizzanti e non ionizzanti, a seconda del fatto che la loro energia sia maggiore o inferiore ai 10 eV (elettronVolt). A seconda della tipologia, si possono avere diversi effetti patologici. ‐ ‐ radiazioni ionizzanti: comprendono i raggi X ed i raggi gamma. Posseggono energia maggiore a 10 eV e sono così chiamate per la capacità di “ionizzare” la materia. Quando queste radiazioni incrociano una particella materiale cedono a questa energia, il che consente l’espulsione dell’elettrone dell’ultimo strato orbitale di questa particella, che assume carica + (ione positivo) mentre l’elettrone rilasciato risulterà di carica – (ione negativo). Se la fonte radiante colpisce direttamente il corpo il fenomeno viene definito “ionizzazione primaria”, se invece un secondo corpo viene colpito e ionizzato dallo ione negativo rilasciato dal primo corpo precedentemente ionizzato, si parlerà di “ionizzazione secondaria” (il fenomeno avviene solo se lo ione negativo ha ancora abbastanza energia per causare l’effetto). Gli effetti patologici negli esseri viventi sono dati proprio da questa cessione energetica: il DNA è il bersaglio primario, in quanto può andare incontro a rottura dei filamenti, ad appaiamento anomalo di basi, ad ossidazione delle basi, ad appaiamento con proteine. Per sopperire il corpo umano sfrutta alcuni meccanismi difensivi, come l’attivazione di P53 che induce l’apoptosi della cellula eccessivamente danneggiata, o l’attivazione di Nf‐kB che attiva diversi meccanismi preposti alla riparazione del DNA. Sono anche bersagliate le proteine (che possono andare incontro a dentaturazione) e costituenti lipidici (fosfolipidi in particolare, che si perossidano). La sintomatologia (in caso di intossicazioni gravi) è quella della “malattia da raggi”, ossia: sindrome gastrointestinale [meno grave delle altre, data da distruzione dell’epitelio intestinale con ingente diarrea; terapia antibiotica e sostitutiva dei liquidi persi], sindrome emopoietica [gravità intermedia, ma risolvibile con terapia adeguata; il paziente ha una gravissima pancitopenia e va incontro ad ipossia, difetti coagulativi, infezioni opportunistiche; la terapia prevede il trapianto midollare e la trasfusione sanguigna completa immediata, con reintegrazione delle componenti mancanti] e sindrome cerebrale [data dall’assorbimento di una dose troppo massiva di radiazioni, a esito letale; la sindrome prevede sintomi neurologici imponenti e la terapia possibile è solo palliativa] radiazioni non ionizzanti: comprendono (in ordine di lunghezza d’onda decrescente) onde radio, microonde, radiazioni infrarosse, radiazioni luminose,radiazioni ultraviolette. Posseggono energia minore a 10 eV e tra tutte le radiazioni ultraviolette risultano le più energetiche e con lunghezza d’onda più piccola. Gli effetti patologici delle onde radio sono supposti ma non comprovati. Le microonde hanno la capacità di aumentare l’energia rotazionale delle molecole polari, inducendo un aumento dell’attrito con effetto termico. Le radiazioni infrarosse inducono danno dipendente molto dalla vicinanza della sorgente e dalla durata dell’esposizione, ma genericamente si parla di effetto termico anche per queste radiazioni. Le radiazioni luminose, essendo quelle dello spettro visibile sono genericamente considerate innocue ed essenziali per la vita, ma se concentrate o se selezionate in fasci di luce monocromatica, possono causare danno termico ingente (laser). Le radiazioni ultraviolette, avendo maggiore energia, sono anche quelle considerate più dannose. Ne si distinguono 3 tipi, con 3 effetti diversi: ° UVA [possono essere assorbite esclusivamente da pigmenti fluorescenti] ° UVB [le maggiori responsabili di reazioni eritematose, flogistiche e bollose, del fotoinvecchiamento e della comparsa di mutazioni] ° UVC [posseggono potente azione battericida, ma sono totalmente trattenute dall’ozono] Scaricato da www.sunhope.it Il danno che possono indurre le ultraviolette avviene su due meccanismi: meccanismo fotochimico diretto [il danno avviene a carico diretto del cromatoforo (elementi cutanei preposti all’assorbimento delle radiazioni)] e fotosensibilizzazione [i cromatofori bersagliati e danneggiati, a causa della troppa energia ricevuta, trasmettono parte dell’energia radiante anche a cellule limitrofe, danneggiandole]. Le reazioni a cui danno luogo queste radiazioni, qualunque sia il meccanismo considerato, possono essere: reazioni fotodinamiche [generano ROS in presenza di ossigeno, con conseguente danneggiamento ossidativo cellulare], reazioni fototossiche [reazioni che alterano alcune molecole cutanee, trasformandole e generando molecole tossiche per il corpo] e reazioni fotoallergiche [in questo caso le radiazioni provocano una reazione simile a quella dell’ipersensibilità di 4° tipo] Apoptosi ******: parola greca che indica il cadere delle foglie, l’apoptosi è un processo di morte programmata causato dalla cellula stessa (e solo da quella cellula, senza colpire il tessuto circostante) in risposta ad alterazioni della sua struttura. Gli stimoli che possono portare ad alterazione sono sia interni che esterni, indotti da agenti fisici, chimici e biologici. Questo tipo di morte implica che la cellula formi delle vescicole esocitotiche, chiamati corpi apoptotici, nelle quali diverse strutture cellulari vengono incluse e rilasciate nell’interstizio o nel sangue, dove espongono in superficie marcatori glucidici che fungono da segnale e vengono captati dalle cellule fagocitiche che provvedono a rimuovere i corpi e a degradare i componenti alterati. Caratteristica dell’apoptosi è la mancanza dell’infiammazione. Esempi di apoptosi sono normalmente visibili nel nostro sistema immunitario come i metodi di selezione dei cloni linfocitari non correttamente maturati. Presenta due possibili vie: la via estrinseca e la via intrinseca ‐ Via estrinseca Scaricato da www.sunhope.it ‐ Via intrinseca I geni dell’apoptosi sono strutture che codificano per le proteine utili al processo apoptotico. Tra i più famosi troviamo p53 (inibisce indirettamente l’attività di Bcl‐2 inducendo la formazione di Bax) e Myc (a livello mitocondriale, stimola il rilascio di citocromo C) Necrosi **************: tipologia di azione patologica che ha portato alla morte le cellule di un dato tessuto; può avvenire per diverse cause: tossiche, ischemiche, infettive, ustioni. La cellula necrotica risulta un forte immunostimolante dato che vengono liberate numerose citochine pro‐infiammatorie associate al danno, chiamate DAMPs (HSP, IL‐1, fosfolipidi alterati, acido urico, HMGB‐1, proteine leganti il calcio). Queste sostanze fungono da fattori chemiotattici, richiamando sul posto diversi leucociti. Il tessuto necrotico può colliquare a seguito di digestione litica effettuata da macrofagi/monociti e neutrofili. Tipologie di necrosi più comuni: ‐ necrosi ischemica: esordisce quando l’ossigeno viene meno (per qualunque causa sia) e comporta un’iniziale “switch metabolico” che costringe la cellula ad abbandonare il metabolismo ossidativo (ampio produttore di ATP) e ad affidarsi totalmente alla glicolisi anaerobia (con una rendita di ATP molto più bassa). Una volta terminato il glucosio e acidificato l’ambiente (per colpa dell’acido lattico come prodotto di scarto terminale della glicolisi anaerobia), sparisce anche l’ultima riserva energetica della cellula e si va in deficit importante di ATP. A causa di una mancata attività delle pompe sodio‐potassio, un’ingente quantità d’acqua viene internalizzata nella cellula fino a danneggiarla; il nucleo si rimpicciolisce, la cromatina si addensa; il calcio penetra in abbondanza, sia quello che prima era segregato nel RE sia quello proveniente dall’esterno della cellula. Successivamente, le fosfolipasi‐calcio‐dipendenti vengono attivate dalla massiccia affluenza di Ca++, che distrugge definitivamente le membrane, causando la morte cellulare. Successivamente il Scaricato da www.sunhope.it ‐ calcio si legherà ai fosfolipidi, e genererà saponi di calcio che saranno responsabili delle calcificazioni dei focolai necrotici necrosi coagulativa: in questa tipologia di tessuto necrotico causato da sostanze tossiche o infezioni, la denaturazione proteica nella cellula ancora vivablocca l’azione degli enzimi litici. Segue un’intensa reazione infiammatoria che rimodella il tessuto. Spariscono le separazioni tra le cellule e la massa appare coagulata con pochi elementi cellulari distinguibili. Una variante di questa necrosi è quella caseosa, come quella derivante dal granuloma tubercolare Amiloidosi ******: antico nome delle odierne beta‐fibrillosi. L'amiloidosi è una malattia caratterizzata dalla deposizione in sede extracellulare di materiale proteico a ridotto peso molecolare ed insolubile, detto amiloide, per la proprietà simile a quella dell'amido di reagire con lo iodio. A differenza di quanto si pensasse inizialmente, la sostanza non è amorfa, ma ha una struttura a foglietto β, motivo per cui per la malattia si preferisce utilizzare il termine β‐fibrillosi. Le fibrille si compongono da vari protofilamenti assemblati tra di loro mediante interazione NH2 e COO, che formano legami idrogeno. La conformazione a foglietto beta rende indigeribili le fibre formate. A dispetto di quanto si possa pensare, le fibre con struttura più grossa sembrano meno lesive di quelle a struttura piccola. Possono inoltre formarsi sia nel citoplasma che nella matrice; sembra che quelle a localizzazione citoplasmatica siano capaci di attivare il complesso dell’inflammosoma (che attiva IL‐1beta inattiva). Unita alle fibrille troviamo la proteina AP chiamata anche componente P dell’amiloide; ha un precursore ematico (SAP) e serve come mezzo diagnostico. Di beta‐ fibrillosi ne esistono di varie tipologie: SISTEMICHE, LOCALIZZATE e INDOTTE DA PRIONI. Le SISTEMICHE si dividono essenzialmente in 4 gruppi: Reattive, Immunocitiche, Eredo‐familiari, da Emodialisi ‐ ‐ ‐ ‐ Reattive: chiamate anche AA (Amyloid Acute phase) compare nei soggetti portatori di focolai infiammatori o necrosi tissutale. Sembrano derivare dalla degradazione di una proteina plasmatica chiamata SAA, di sintesi epatica e componente delle HDL Immunocitiche: chiamate AL (Amyloid Light chain). In casi di mieloma multiplo o della malattia delle catene leggere, le catene leggere delle immunoglobuline possono assumere forma beta‐fibrillare e precipitare. Più spesso precipitano le catene leggere lambda che le kappa. Diagnostico il reperimento di un eccesso di catene leggere abnormemente glicosilate Eredo‐familiari: si dividono in non neuropatiche e neuropatiche. Le prime sono scatenate da una malattia (la febbre familiare mediterranea) che colpisce genericamente le persone di genia turca; successivamente alla malattia nel sangue si depositano le fibrille beta. Nelle seconde la transtiretina (TTR) è mutata a causa di una sostituzione di una valina con una metionina; ne consegue deposizione di fibrille a partire da questo substrato proteico, ragion per cui queste amiloidosi vengono chiamate ATTR da Emodialisi: evento che colpisce gli emodializzati di vecchia data (almeno 7‐10 anni). La proteina che causa questa amiloidosi è la beta‐2‐microglobulina, che a causa della disfunzione renale cresce di quantitativo nel siero di circa 50 volte Le LOCALIZZATE: sono 3, ma si dividono essenzialmente in 2 gruppi:Associate a patologie dell’invecchiamento; Associate a disordini metabolici e Presenti in tumori delle ghiandole endocrine ‐ Associate a patologie dell’invecchiamento: tra le più note si annovera l’Alzheimer. Questo tipo di patologie sono dovute a depositi di una proteina mutata, la proteina precursore amiloide (APP). La forma beta‐APP una volta formata si depone sia in sede locale delle cellule nervose, sia nei vasi sanguigni, specie cerebrali e meningei. Il gene beta‐APP si ritrova anche nella sindrome di Down Scaricato da www.sunhope.it ‐ Associate a disordini metabolici e Presenti in tumori delle ghiandole endocrine: in queste patologie si genera AE ossia Amiloide Endocrina, causata da forme mutate o sovraprodotte di ormoni normali (precalcitonina, peptide natriuretico atriale, amilina). Il meccanismo è essenzialmente lo stesso delle altre deposizioni Le INDOTTE DA PRIONI: i prioni sono strutture proteiche capaci di autoreplicarsi a partire da altre proteine. Una parte di queste proteine sono virus ma alcune sono normalmente codificate nel nostro DNA senza però avere effetto deleterio. Una di queste è la PrP/c, codificata sul cromosoma 20. Quando questa proteina muta, si viene a formare questa forma patologica denominata PrP/res, che varia la sua conformazione da alfa elica a foglietto beta, determinando deposizione di beta‐fibrille Alzheimer **: patologia degenerativa del sistema nervoso centrale, è la statisticamente più frequente. Le aree più colpite sono quelle dell’ippocampo e della corteccia telencefalica. Le possibili cause sono 2: (1) accumuli intracellulare di materiale fibrillare formati dalla proteina Tau iperfosforilata (2) placche amiloidi derivanti da un’anomala proteolisi della proteina APP, con reazione gliale. Nel secondo caso l’anomala degradazione dell’APP è dovuto all’azione di un complesso anomalo, ossia beta‐gamma secretasi al posto dell’ alfa‐ gamma secretasi. L’APP forma una struttura beta‐fibrillare che va a formare placche amiloidi indigeribili. Nei casi con familiarità è distinguibile un’alterazione di 2 principali geni, PSEN1 (cromosoma 14 braccio lungo) e PSEN2, codificanti per le preseniline 1 e 2, entrambi coinvolti nel processo degradativo. La presenilina1 è la subunità catalitica del complesso della gamma secretasi. Ci sono anche fattori di rischio per l’alzheimer. Ad esempio, il gene APOE che codifica per l’apolipoproteina E è presente in diverse isoforme alleliche: epsilon 2, epsilon 3 ed epsilon 4. La forma epsilon 4 iperfosforila la proteina tau e ne favorisce l’accumulazione in forma beta fibrillare ‐ ‐ epidemiologia: 20% dei pazienti over 80 anni clinica: in primo luogo, il linguaggio diventa meno articolato, la memoria a breve termine viene compromessa e le attività che richiedono una buona coordinazione (come il lavoro ai ferri) diventano difficili; nella fase intermedia il linguaggio diviene molto semplice, insorgono disturbi comportamentali e la memoria a lungo termine inizia a degenerare; l’ultima fase prevede la perdita del linguaggio, perdita della memoria a lungo termine, assenza di mobilità e perdita della percezione temporo‐spaziale, fino a che il paziente muore per cause infettive (in circa 5‐10 anni) Glicogenosi *****: Le glicogenosi sono un gruppo di malattie metaboliche rare e sono dovute alla carenza o al deficit funzionale di uno degli enzimi coinvolti nel metabolismo del glicogeno. I tessuti più colpiti sono fegato, muscoli e rene. I difetti enzimatici alla base delle glicogenosi si trasmettono per via ereditaria autosomica recessiva, tranne il tipo VIII, che si eredita come recessivo legato al cromosoma X. Si conoscono 10 forme di glicogenosi (di cui le ultime 2 di recentissima scoperta): ‐ Glicogenosi di tipo I: (o malattia di Von Gierke) l'enzima mancante è la Glusosio‐6‐fosfato‐fosfatasi (G6P‐fosfatasi). La carenza di questo enzima non consente la fosfatazione del G6P, che dovrebbe accumularsi nella cellula. In realtà questo non succede perché la via glicolitica e dei pentoso fosfati smaltisce questo eccesso. Tuttavia questa soluzione causa un aumento notevole di acido urico e (principalmente) di acido piruvico, da cui si origina una massiccia quantità di acetil‐CoA. Questo materiale inibisce la mobilizzazione di acidi grassi dal tessuto adiposo e favorisce l’insorgere di una steatosi epatica Scaricato da www.sunhope.it ‐ ‐ ‐ ‐ ‐ ‐ ‐ ‐ ‐ ‐ Glicogenosi di tipo II: (o malattia di Pompe) da deficit di maltasi acida (alpha‐1,4‐glucosidasi) lisosomiale). Il glicogeno non può essere digerito all’interno dei vacuoli autofagici in quanto l’enzima adibito alla digestione manca e di conseguenza si accumula nei vacuoli Glicogenosi di tipo III: l’enzima mancante è l'enzima deramificante (amilo‐1,6‐glicosidasi), quindi il glicogeno riesce ad essere degradato solo parzialmente. Si instaura un aumento di glicogeno anomalo, prevalentemente epatico ma anche muscolare, caratterizzato da numerose ramificazioni e catene laterali molto corte Glicogenosi di tipo IV: (o amilopectinosi) è tra le più rare di tutte le glicogenosi, l'enzima mancante è l'enzima ramificante (glucosil‐4,6‐transferasi), l'assenza di questo comporta una sintesi anomala di glicogeno con scarse ramificazioni ma catene estremamente lunghe che ricordano l’amilopectina. Le manifestazioni cliniche sono: epatomegalia, cirrosi con ipertensione portale Glicogenosi di tipo V: (o malattia di McArdle) deficit di fosforilasi muscolare (con impossibilità ad utilizzare il glicogeno annesso). Non consente al paziente di sostenere sforzi muscolari prolungati e intensi. Clinicamente causa crampi e deficit funzionale Glicogenosi di tipo VI: (o malattia di Hers)deficit di fosforilasi epatica. Può essere sia X‐Linked che Autosomica Glicogenosi di tipo VII: (o malattia di Tarui) deficit di fosfofruttochinasi muscolare, il compito di questo enzima è quello di convertire il Fruttosio‐6‐P in Fruttosio‐1,6‐BP. È un enzima chiave nella regolazione della glicolisi. Manifestazioni cliniche sono: affaticamento muscolare e intolleranza all'esercizio fisico Glicogenosi di tipo VIII: caratterizzata dalla presenza dell'enzima fosforilasi epatica ma in forma inattiva, che può tuttavia essere attivata tramite adrenalina e glucagone Glicogenosi di tipo IX: deficit di fosforilasi chinasi Glicogenosi di tipo X: difetto strutturale della fosforliasi chinasi che non viene più attivata da AMPc Glicogenosi di tipo XI: deficit del trasportatore GLUT‐2, negli epatociti, nel rene, nel pancreas e nell’intestino Formula leucocitaria *: Valori percentuali Numero di cellule per mm3 Neutrofili 40‐75% 2.000 ‐ 8.000/mmc Eosinofili 0,5‐6% 20 ‐ 600/mmc Basofili 0‐2% 2 ‐ 150/mmc Monociti 2‐10% 100 ‐ 900/mmc Linfociti 25‐55% 1.500 ‐ 5.000/mmc *ematocrito ‐> 55% plasma 45% eritrociti 1% buffy coat (globuli bianchi, linfociti, piastrine) Valori emoglobina: i valori di riferimento sono: Uomo ‐> emoglobina 13‐17 g/100 ml globuli rossi 4,5‐5,5 milioni/mm3 ematocrito 40‐45% Scaricato da www.sunhope.it Donna ‐> emoglobina 12‐16 g/100 ml globuli rossi 4‐5 milioni/mm3 ematocrito 36‐42% Valori colesterolo: Alto rischio Borderline Desiderabile Colesterolo Totale LDL Maggiore di 239 190‐239 Minore di 190 Maggiore di 160 100‐159 Minore di 100 HDL (uomo) Minore di 35 35‐39 Maggiore di 39 HDL (donna) Minore di 40 40‐45 Maggiore di 45 Trigliceridi Maggiore di 200 Minore di 150 150‐200 *valori intesi in mg/dl Anemie (classificazione e tipologie) **********************: per anemia si intende una riduzione della quantità totale di emoglobina (Hb) circolante. Un’anemia si considera lieve se Hb > 10 g/dl, moderata se 10 g/dl > Hb < 8 g/dl, e grave se Hb > 8 g/dl Le anemie si distinguono in 4 gruppi: ‐ I GRUPPO: anemia causata da ridotta eritroblastogenesi. In questo caso l’anemia è normocitica e normocromica perché la formazione eritroblastica ridotta o assente, fa sì che si instauri una riduzione consensuale del numero degli eritrociti e dell’emoglobina. Possono essere classificate in: Eritroblastopenia congenita, Eritroblastopenia acquisita, Eritroblastopenia da insufficienza renale.L’eritroblastopenia congenita è chiamata anche anemia di Diamond‐Blackfan ed è a trasmissione autosomica dominante. Una mutazione identificata nel 45% dei casi in RPS19 sarebbe responsabile di apoptosi massiva degli eritroblasti; clinicamente si hanno malformazioni congenite (cardiache, renali, scheletriche, ecc..) o ritardo mentale. La diagnosi prevede nel 90% dei pazienti un aumento di adenosina deaminasi eritrocitaria, enzima coinvolto nel metabolismo purinico. La terapia è con corticosteroidi nella maggior parte dei casi, ma si può anche ricorrere al trapianto midollare|||altra tipologia di anemia (ma non solo) èl'anemia di Fanconi, definita anche pancitopenia di Fanconi, è una rara malattia autosomica recessiva. I geni responsabili sono i FANC, di cui FANCA è il più rappresentativo (65% dei casi). La causa di malattia è genetica sono compromesse le vie di riparazione del DNA. Di tredici mutazioni almeno una sarebbe legata al cromosoma X. Per il resto delle altre mutazioni, essendo la patologia un disordine recessivo autosomico bisogna che entrambi i genitori siano dei portatori affinché un loro figlio o figlia erediti la anomalia manifesta, mentre la prole rimane portatrice se eredita la caratteristica da uno dei due genitori. L'aspetto più rilevante della affezione è legata alla funzione del midollo osseo che non riesce a produrre i globuli bianchi, i globuli rossi o le piastrine. Tale deficit può riguardare prevalentemente uno o più di tali elementi. Le anomalie di aspetto riguardano maggiormente lo scheletro, tipica la aplasia del radio; la pelle con iperpigmentazione (macchie di vino, o color caffellatte), occhi con microftalmia e nistagmo, che portano solitamente ad una diminuzione anche notevole delle capacità visive, in minore percentuale di incidenza si possono presentare: difetti cardiaci, renali e urogenitali, ed inoltre bassa statura, sordità e ipogonadismo. La malattia definita in origine come "Anemia aplastica" è detta più propriamente "Pancitopenia aplastica" essendo coinvolti nella mancata produzione del tessuto ematopoietico tutti i componenti del sangue, anche Scaricato da www.sunhope.it ‐ ‐ se risulta spesso prevalente la carenza di alcuni. Nei casi più gravi la malattia è fatale nei primi 5‐9 anni di vita. Per quanto si possa manifestare con una varietà di effetti somatici, la malattia è fatale prima di tutto per i suoi effetti ematici, dovuti al crollo della produzione dei componenti corpuscolati del sangue, in particolare delle piastrine per cui il decesso sopravviene per emorragia cerebrale. In realtà tutti gli elementi del sangue sono coinvolti, ma la carenza temporanea di globuli rossi e bianchi è maggiormente sopportabile. A causa delle emorragie, la sopravvivenza media è stimata a 16 anni. Il trattamento risolutivo è il trapianto del midollo osseo, altre terapie sono costituite da trasfusioni e somministrazione di cortisonici|||L’eritroblastopenia acquisita è associata a determinate condizioni: timoma, malattie neoplastiche ematologiche, carcinomi, infezioni (come quella del Parvovirus B19), malattie autoimmuni (contro le cellule eritroidi), farmaci e anche gravidanza. Può essere acuta, più facilmente riscontrata nell’infanzia a seguito di infezioni, o cronica, tipica dell’adulto. Diagnosi tramite aspirato midollare che mostra eritroblastopenia. Terapia con corticosteroidi genericamente, ma nel caso di malattie autoimmuni conclamate la ciclosporina risulta più efficace. L’eritroblastopenia da insufficienza renale è causata principalmente da insufficiente produzione di eritropoietina (EPO) che consente lo sviluppo eritrocitario midollare. Clinica tipica dell’anemia. Diagnosi per dosaggio dell’EPO. Terapia sostitutiva con eritropoietina ricombinante umana (rHuEPO) II GRUPPO: anemia causata da ridotta eritrocitogenesi. In questo caso l’anemia è macrocitica a causa dell’iperplasia eritroblastica, causata da un difetto nella sintesi del DNA. La sintesi dell’emoglobina è normale mentre quella del DNA avviene a rilento, causando crescita volumetrica degli eritroblasti data da una mancanza mitotica e lisi cellulare. Il difetto ha 3 cause principali: Carenza di B12, Carenza di folati, Farmaci. [Vitamina B12: o cobalamina, è costituita da un anello corrinico composto da 4 unità tetrapirroliche. Presente nelle carni, nei pesci, nell’uovo e nei latticini, è insintetizzabile dal corpo umano. L’assimilazione avviene tramite vari passaggi: nella saliva si lega alla proteina R, giunge nello stomaco dove si ritrova il fattore intrinseco di Castle (FI); nel duodeno viene slegata dalla proteina R e si lega all’FI; viene veicolata nell’ileo dove recettori specifici per B12‐FI endocitano il complesso; FI si dissocia dalla B12 nei lisosomi e la cobalamina si lega alla transcobalamina2, che trasporta la B12 nei tessuti] [Vitamina B9: o acido folico o acido pteroil(mono) glutammico, si compone di 3 parti (pteridina, acido p‐ammino‐benzoico, acido glutammico. Contenuti in frutta e verdura crude (sono termolabili). Dalla forma di poliglutammato viene trasformata in acido pteroilmonoglutammico, che si lega alle proteine di trasporto sulla membrana degli enterociti per poi essere assorbito ed entrare nel circolo sotto forma di acido N5‐ metil‐tetraidrofolato che viene poi veicolato a cellule e tessuti] La carenza di B12 comporta l’impossibilità di demetilare il N5‐metil‐tetraidrofolato a tetraidrofolato, che si accumulerebbe nelle cellule sotto forma di poliglutammato. Il N5‐metil‐tetraidrofolato invece esce dalle cellule e non potrebbe espletare i suoi ruoli cellulari sulla sintesi del DNA. Infatti nella carenza di folati si ha l’impossibilità di sintetizzare le basi purine e il deossitimidilato (dTMP), essenziali per la replicazione del DNA. La clinica delle due carenze è sovrapponibile, tranne per gli effetti neurologici che fa insorgere solo l’assenza di B12; il paziente è pallido e giallastro, con glossite di Hunter, scomparsa di papille, aftosi recidivante, demielinizzazione/degenerazione assonale e morte dei neuroni. La diagnosi è fatta sui dosaggi delle rispettive vitamine e la terapia è essenzialmente sostitutiva/integrativa III GRUPPO: anemia causata da ridotta sintesi emoglobinica. In questo caso l’anemia è ipocromica e microcitica perché la scarsa concentrazione di emoglobina consente una divisione mitotica in più, riducendo la grandezza eritrocitaria. Abbiamo essenzialmente 4 categorie fondamentali: varianti Scaricato da www.sunhope.it strutturali della catena globinica per sostituzione, perdita o aggiunta amminoacidica, alterazione quantitative della sintesi di emoglobine strutturalmente normali, sintesi a ritmo ridotto, persistenza di emoglobina fetale.Varianti strutturali della catena globinica per sostituzione, perdita o aggiunta amminoacidica: queste emoglobine non riescono a rimanere in soluzione nell’eritrocita ma si aggregano e polimerizzano. La più nota malattia è la Drepanocitosi o anemia falciforme. L’emoglobina di questa patologia o HbS deriva da una mutazione della catena beta per sostituzione di un amminoacido (acido glutammico) con un altro (valina). Perdendo una carica negativa, l’emoglobina si deforma, cristallizzando e facendo assumere una forma a falce al globulo rosso. Questi eritrociti deformi possono essere captati dai macrofagi o formare trombi nel torrente circolatorio. La clinica prevede una sintomatologia assente in eterozigosi, mentre una condizione grave e conclamata in omozigosi (crisi dolorose, danno d’organo e ipossia). La diagnosi è elettroforetica. La terapia che prima era solo conservativa, ora prevede il trattamento con 5‐ azacitidina o idrossiurea, composti capaci di stimolare la sintesi di emoglobina fetale (HbF), che funge da sostituto. È utilizzabile anche il trapianto midollare. Alterazione quantitative della sintesi di emoglobine strutturalmente normali: l’organismo è capace di produrre 6 catene globiniche (alfa, beta, gamma, delta, epsilon e zeta). Epsilon e sigma sono esclusive dell’età embrionale, gamma dell’età fetale (+ alfa), delta del neonato (+ alfa), beta e alfa dell’età adulta. Se si ha una carenza nell’età adulta o dell’una o dell’altra catena, si parlerà di talassemie. Le BETA TALASSEMIE seguono le regole Mendeliane di trasmissione e sono genericamente dovute a mutazioni del gene in “punti caldi” della trascrizione (i promoter ad esempio). A loro volta le beta talassemie di dividono in Talassemia Maiore Talassemia Minor. La Maiorsi divide a sua volta in Talassemia Trasfusione‐ Dipendente e Talassemia Non‐Trasfusione‐dipendente. La Talassemia Trasfusione‐Dipendente o morbo di Cooley è una grave malattia causata da una omozigosi per mutazioni talassemiche, in cui la sintesi delle catene beta è molto ridotta o assente; le catene alfa libere si associano tra di loro e precipitano sulla membrana, determinandone danno e lisi; si forma HbF perché una quota di eritroblasti capaci di produrre quest’emoglobina si trova favorita nella proliferazione rispetto a quelli che esprimono le catene beta; la clinica prevede anemia grave congenita, ittero, epatosplenomegalia, danno da deposizione tissutale del ferro, rarefazione della corticale delle ossa a causa dell’iperplasia eritroblastica della spongiosa, sviluppo somatico e sessuale incompleto, con facies “mongoloide” simil‐asiatica e accentuazione delle bozze fontali e delle ossa mascellari; la diagnosi è laboratoristica con 4‐6 g/dl di emoglobina, con 2 milioni di eritrociti/mm3 e i globuli rossi presentano forme atipiche (sottili, frammenti di emazie, a bersaglio); terapia con trasfusione a vita e Deferoxamina per rimuovere gli accumuli di ferro dall’organismo (possibile anche la splenectomia). La Talassemia Non‐Trasfusione‐dipendente è data da una doppia eterozigosi per geni talassemici lievi (capaci di produrre una certa quota di catene beta) o da una contemporanea omozigosi di una beta talassemia e alfa talassemia (il deficit contemporaneo riduce lo sbilanciamento della produzione di catene globiniche); la clinica è meno grave della precedente, ma a causa di un esaltato assorbimento intestinale del ferro causato dall’anemia si può sviluppare emosiderosi; la terapia è con Deferoxamina e occasionale trasfusione. La Talassemia Minor è data da eterozigosi per un gene beta talassemico; presenta lieve o nessuna anemia, apprezzabile solo laboratoristicamente; l’importanza sta nel comunicare al paziente la sua condizione per evitare che si accoppi con un altro eterozigote e rischi di generare un figlio omozigote; il livello emoglobinico non è mai inferiore a 8 g/dl e quindi non necessita di terapia. Le ALFA TALASSEMIEcolpiscono i geni alfa, che sono 4, e a seconda del quantitativo di geni de‐funzionalizzati determinano la patologia. Possiamo avere un genotipo ‐a/aa in cui solo un gene risulterà non funzionante; questo tipo di difetto non dà segno di se, né clinicamente, né necessita di terapia. Il genotipo ‐‐/aa manca di 2 geni, ma l’anemia è una lieve anemia ipocromica; viene definito “tratto alfa talassemico” e non necessitante di terapia. Il genotipo ‐‐/‐a invece genera un’anemia moderata o raramente grave; il Scaricato da www.sunhope.it ‐ paziente genera un eccesso di catene beta libere, che si associano formando un tetramero instabile, che tende a precipitare sulla membrana, irrigidendola e rendendola passibile di danno e quindi lisi eritrocitaria; è considerata quindi anche un’anemia emolitica con spesso splenomegalia; la diagnosi prevede la precipitazione laboratoristica dell’HbH tramite blu brillante di cresile; la terapia prevede acido folico, rare trasfusioni o anche la splenectomia per ridurre l’emolisi. Il genotipo ‐‐/‐‐ è incompatibile con la vita e provoca idrope fetale e morte intrauterina. Sintesi a ritmo ridotto: causate da carenze di componenti essenziali per la sintesi di emoglobina. La più conosciuta è l’Anemia Sideropenica o da carenza di ferro (carenza marziale). [Itinerario corporeo del ferro: il ferro alimentare può esser assorbito dagli enterociti o sotto forma di eme (nell’anello tetrapirrolico) o allo stato ferroso. L’assorbimento è regolato dall’epcidina. Questa è collegata alla ferroportina che, legata alla membrana, capta il ferro nel citoplasma dell’enterocita. Se l’epcidina è presente (condizioni di NON carenza di ferro), questa favorisce la degradazione della ferroportina/ferro nei lisosomi; quando l’enterocita desquamerà, porterà con se il ferro inutilizzato e lo eliminerà. Se l’epcidina NON è presente (condizione di carenza di ferro), la ferroportina potrà veicolare il ferro nel plasma, consegnandolo alla transferrina. La transferrina consegna il ferro nei tessuti e può circolare in 3 forme: apotransferrina (nessuno dei due siti occupati da ferro), transferrina monoferrica (occupato un solo sito) e transferrina diferrica (occupati entrambe). Si deposita principalmente nel fegato e nel midollo osseo sotto forma di ferritina e di emosiderina] L’esordio è graduale dato che il paziente si abitua al ridotto livello emoglobinico e può ritardare molto la visita. Dato che il ricambio del ferro nell’organismo è un evento estremamente lento (perdita di 1‐2 mg/die, reintegrati dalla dieta giornaliera), le cause dell’anemia genericamente sono imputabili a perdite parafisiologiche nella donna (mestruazioni) o cause organiche per entrambi i sessi (sanguinamento, emorragia). Il ferro oltre a formare l’emoglobina è componente indispensabile di diversi enzimi impiegati nel metabolismo energetico. I sintomi prevedono fragilità delle unghie, dei peli e dei capelli, lingua liscia e arrossata con atrofia delle papille, stomatite angolare, disfagia e gastrite con atrofia della mucosa gastrica. La terapia è correttiva della causa scatenante e integrativa del ferro mancante. Persistenza di emoglobina fetale: l’emoglobina fetale persiste nell’adulto a causa di mancato switch tra catene gamma e beta. Ne sono stati identificate due tipologie: da delezione e da non delezione. Genericamente la sintomatologia è assente IV GRUPPO: anemia causata da ridotta sopravvivenza eritrocitaria. In questo caso l’anemia è normocromica e dovrebbe essere normocitica, ma spesso è lievemente macrocitica a causa dei numerosi reticolociti che risultano più grandi degli eritrociti. Possono esserci 5 cause: Alterazioni congenite o acquisite della membrana eritrocitaria, Alterazione di alcuni enzimi eritrocitari impiegati nel metabolismo cellulare, Alterazioni congenite dell’emoglobina, Alloanticorpi e autoanticorpi, Cause meccaniche. Alterazioni congenite o acquisite della membrana eritrocitaria: noti 2 esempi patologici: la Sferocitosi Ereditaria e l’Emoglobinuria Parossistica Notturna. La Sferocitosi Ereditariaè una malattia a trasmissione autosomica dominante, causata da alterazioni (sostituzioni amminoacidiche e piccole delezioni) in alcune proteine importanti per mantenere la forma della membrana plasmatica eritrocitaria. Le alterazioni sono a carico di spectrina, anchirina, banda 3 e carenza di proteina 4.2; ciascuno di questi difetti indebolisce la coesione verticale del citoscheletro, facendo si che il globulo si deformi e assuma forma sferica. Quando l’eritrocita passa nella milza, viene danneggiato dai seni splenici e si rompe. Clinicamente evidenziabile ittero e colelitiasi con splenomegalia e anemia di grado variabile; complicanza rara è la crisi aplastica (da infezione da parvovirus B19). La terapia prevede la splenectomia e somministrazione vitaminica sostitutiva (per l’elevato metabolismo dell’eritrone). L’Emoglobinuria Parossistica Notturnaè una malattia caratterizzata da crisi emolitiche (non solo notturne, ma prima si pensava che fosse così). È data da difetti della membrana che consentono al sistema di inibizione del complemento di aderire Scaricato da www.sunhope.it alla membrana dell’eritrocita, causando la distruzione degli eritrociti e anemia conseguente. Un gene denominato Pig‐a controlla la sintesi di GPI (glico‐fosfatidil‐inositolo) che ancora diverse proteine inibitrici alla membrana. Tra queste ci sono DAF (dissocia C3bBb), CD59 (dissocia da C5 a C9), C8BP (inattiva C8). La patologia è caratterizzata dall’emissione di urine ipercromiche prevalentemente al mattino. Le crisi emolitiche ripetendosi possono dare danno renale cronico o episodi tromboembolici gravi. La diagnosi si fa dosando gli inibitori del complemento legati alle cellule. Terapia con eculizumab, anticorpo monoclonale diretto contro C5. Alterazione di alcuni enzimi eritrocitari impiegati nel metabolismo cellulare: l’eritrocita per sopravvivere ha bisogno di un certo apparato enzimatico. Procurandosi energia tramite due processi essenziali, Glicolisi anaerobia e Shunt degli esosomonofosfati, necessita di una buona funzione di almeno 2 enzimi essenziali: Piruvato chinasi e Glucosio‐6‐fosfato deidrogenasi. Un difetto nella Piruvato Chinasi (PK) è genericamente trasmesso in maniera autosomica recessiva e genericamente il deficit è sia quantitativo che qualitativo. Dato che l’enzima consente lo sviluppo di due moli di ATP per ogni mole di glucosio, un difetto di questo si esplicita nella scarsa capacità dell’eritrocita di sopperire alle richieste energetiche. La pompa sodio‐potassio della membrana diventa ipofunzionante e gli eritrociti tendono a lisarsi. La diagnosi prevede la determinazione della PK, test dell’autoemolisi positivo, normalizzato con aggiunta di ATP. La terapia prevede folati e splenectomia obbligatoria nelle forme gravi. Un difetto nella Glucosio‐6‐fosfato deidrogenasi (G‐6‐PDH) è trasmesso tramite il cromosoma X che ospita i geni per questo enzima (quindi risulta più facilmente grave per gli uomini che per le donne). L’enzima (tramite Shunt degli esosomonofosfati) rigenera il pool di NADPH dal NADP+, che a sua volta rigenera il glutatione ridotto (GSH) dal glutatione ossidato (GSSG) tramite la glutatione reduttasi. Il glutatione ridotto è essenziale per evitare che l’emoglobina si ossidi sui suoi gruppi sulfidrilici (SH). In carenza di questo enzima, l’emoglobina si denatura, precipita sulla membrana formando inclusioni (corpi di Heinz) e la danneggia permanentemente. Clinicamente il paziente mostra astenia, dolori lombari, febbre e colorito subitterico con feci e urine ipercromiche. La diagnosi si basa sulla determinazione della G‐6‐PDH e sul reperimento dei corpi di Henz. Trattamento profilattico evitando i fattori scatenanti, farmaci o sostanze ossidanti l’emoglobina (come ad esempio quelle contenute nelle fave) che siano. Alterazioni congenite dell’emoglobina: si formano emoglobine instabili che precipitano ed emolizzano il globulo; possono anche essere secondarie ad altre cause (anemia falciforme). Alloanticorpi e autoanticorpi: gli alloanticorpi che denotano malattia emolitica più comunemente trattati sono quelli della madre Rh‐ alla seconda gravidanza, dopo aver avuto un figlio Rh+; si svilupperanno alloanticorpi diretti verso l’antigene Rh+ che passeranno la barriera placentare alla seconda gravidanza e emolizzeranno gli eritrociti del feto (malattia emolitica del neonato); un’altra possibilità è causata da trasfusioni di sangue di gruppi diversi da quello del ricevente (a meno che il ricevente non sia AB+ o che il sangue del donatore non sia uno 0‐). Autoanticorpi possibili in malattie autoimmuni. Cause meccaniche: causate da protesi valvolari o protesi di segmenti vascolari arcaiche o da microangiopatie Senescenza ***: l'invecchiamento è il processo di deterioramento naturale che intercorre tra la nascita di una struttura biologica e la morte della stessa. Gli esseri viventi hanno sistemi che consentono loro di contrastare l'invecchiamento, ovvero di tendere a mantenere costante l'ordine della propria struttura fisica. Questi processi, almeno per gli organismi pluricellulari, hanno comunque una durata dopo la quale cominciano a funzionare meno, non consentendo più il blocco dell’invecchiamento.Esistono varie teorie sui meccanismi che presiedono alla senescenza: Scaricato da www.sunhope.it ‐ ‐ ‐ ‐ ‐ ‐ ‐ Teoria della senescenza replicativa:questa teoria prevede che l’accorciamento dei telomeri sia responsabile dell’invecchiamento cellulare. I telomeri* sono le regioni terminali dei cromosomi essenziali per la stabilità del patrimonio genetico. Sono costituiti da specifiche sequenze (TTAGGG) ripetute in tandem. Queste sequenze sono trascritte da un enzima denominato telomerasi, con funzione di trascrittasi inversa; la telomerasi è costituita da una subunità catalitica detta Tert, una componente di RNA e una proteina detta Discherina. La telomerasi usa uno stampo di RNA per replicare i telomeri all’estremità dei cromosomi. C’è da dire che la telomerasi è presente solo nelle cellule del reparto staminale; la sua assenza nelle altre cellule, infatti, causa la perdita di 50‐200 coppie di base ogni replicazione cellulare. Si è però supposto che, col passare del tempo, la telomerasi cominci a funzionare meno; a prova di questo ci sarebbe il dato chei telomeri delle cellule di soggetti di età più avanzata tendono ad essere più corti Teoria dell’invecchiamento prematuro:stimoli nocivi di varia natura possono indurre la comparsa di cellule con fenotipo Sasp, ossia secernente chemochine, citochine e metalloproteasi (2 e 4 prevalentemente) e fattori di sopravvivenza. Queste cellule generano un microambiente infiammatorio che invece di opporsi alle neoplasie (come dovrebbero fare le cellule senescenti), ne incoraggia la comparsa Teoria della regolazione genica:si suppone che l’espressione di determinati geni sia predittiva di possibile longevità Teoria dell’usura somatica: l’invecchiamento sarebbe causato da un progressivo accumulo di danni a carico del DNA nel corso delle varie replicazioni cellulari. La minore capacità di riparazione dei danni farebbe sì che le mutazioni si accumulassero al suo interno, compromettendo la funzionalità della cellula Teoria dei radicali liberi: si ipotizza che i radicali liberi ossidanti (o ROS, prodotti soprattutto dal metabolismo mitocondriale) siano gli artefici dell’invecchiamento. Queste specie reattive possono modificare il DNA e diverse altre molecole, compromettendone la funzionalità (la doppia catena del DNA viene rotta a causa della perossidazione del ribosio).A ridurre la loro pericolosità intervengono alcuni enzimi, come la superossido‐dismutasi, la catalasi. La somministrazione di sostanze antiossidanti in drosofila ha portato ad un allungamento della vita dei moscerini. Anche la perdita di funzione di geni come p67 o di sistemi che utilizzano O2 (come i citocromi), rallentano la senescenza Teoria della mutagenesi mitocondriale: si ipotizza che mutazioni a carico del DNA mitocondriale che compromettano il metabolismo energetico possano essere un fattore d’invecchiamento Teoria degli AGE: è da tempo risaputo che l’invecchiamento causa sclerosi connettivale. Gli AGE (advanced glication endproduct) sono in parte responsabili di questo fenomeno. Questi AGE si formano quando il gruppo amminico terminale di una proteina si lega ad uno zucchero (specie glucosio) e, tramite condensazione, forma un composto instabile; questo composto instabile va ad aggregarsi con altri composti simili, disidratandosi ulteriormente e generando gli AGE. Gli AGE reagiscono con RAGE, un recettore presente sui leucociti che consente a questi di individuare cellule necrotiche. Normalmente RAGE interagirebbe con HMGB1, ossia la vera citochina rilasciata da cellule necrotiche; tuttavia, a causa della capacità “mimetica” degli AGE, questi riescono ad ingannare il leucocita facendosi passare per HMGB1, inducendo così una risposta infiammatoria che può portare alla sclerosi [Geni della senescenza] Malattie mitocondriali ********: Scaricato da www.sunhope.it riguardano esclusivamente i mitocondri e i loro sistemi di trasporto/produzione. Ne abbiamo di due tipologie: primarie se il difetto è di origine genetica; secondarie se dipendono da fattori esterni che o impediscono il metabolismo mitocondriale o sono dati da carenza dei componenti essenziali per le funzioni mitocondriali o determinano l’accumulo di metaboliti che blocca la progressione delle vie di produzione energetica. Si manifestano genericamente con rigonfiamento dei mitocondri. Il DNA mitocondriale (o mtDNA) si trova sotto forma di un unico cromosoma circolare, contenente 37 geni totali, 13 dei quali codificanti per polipeptidi; non possiede istoni. I mitocondri sono puramente di derivazione materna dato che lo spermatozoo non li inserisce nella cellula uovo (si trovano sul collo dello spermatozoo che non penetra l’ovocita). Dato il numero dei mitocondri, non è detto che tutti subiscano mutazioni; genericamente si parla di un valore soglia di mitocondri con mutazioni, al di sotto del quale la patologia non risulta fenotipicamente evidente. Le malattie mitocondriali possono essere dovute a: ‐ ‐ ‐ ‐ ‐ ‐ Difetti di geni mtDNA che codificano per polipeptidio altre componenti del codice mitocondriale [quali l’ATPasi 6 (sindrome di Leigh e la NARP)] Difetti di geni nucleari utili per il metabolismo mitocondriale, quali la frataxina (per l’atassia di Friedreich) Difetti di geni nucleari che alterano la stabilità del mtDNA, dato che i fattori per la replicazione ed il riparo di quest’ultimo sono codificati dal DNA nucleare Deficit di produzione energetica Eccessiva generazione di ROS Innesco dell’apoptosi che può essere causato da un’aumentata esposizione alle ROS o ad un declino della produzione energetica o ad eccessiva assunzione di calcio, tutti eventi che possono aprire dei canali aspecifici capaci di generare un collasso del potenziale elettrochimico, con rottura della membrana esterna, rilascio di AIF e citocromo C e induzione dell’apoptosi NARP: sindrome Neuropatia, Atassia e Retinite Pigmentosa**** (NARP). È dovuta alla mutazione nel gene del mtDNA, MTATP6, che codifica per la subunità 6 dell'ATPasi. La mutazione causa un grave deterioramento della sintesi dell'ATP mitocondriale, che riduce l'energia e produce la morte cellulare, in particolare nei tessuti che dipendono fortemente dal metabolismo della fosforilazione ossidativa, come il cervello e la retina. La mutazione è anche presente nei pazienti con malattia di Leigh che viene chiamata MILS, ed è la forma clinica più grave della sindrome NARP, generalmente fatale nella prima infanzia. Il trattamento è solo sintomatico ‐ ‐ epidemiologia: 1/12.000 nati clinica: è clinicamente eterogenea, ma spesso è caratterizzata dalla combinazione tra neuropatia sensoriale‐motoria, atassia cerebellare e cecità notturna. La sintomatologia clinica comprende retinopatia precoce, retinite pigmentosa, pupille 'pigre', nistagmo, cecità, debolezza muscolare prossimale, ritardo di sviluppo, atrofia cortico‐spinale, demenza Riparazione cellulare/guarigione ferite ***: quando il corpo viene sottoposto ad un danno, si ha prima il fenomeno d’infiammazione e poi quello di risoluzione, tramite riassorbimento dell’essudato infiammatorio e tramite l’allontanamento dei fattori lesivi. Quando il danno causa scollamento delle strutture tissutali o perdita di sostanza tissutale, il semplice allontanamento dei mediatori infiammatori non basta a terminare il processo; in questo secondo caso il tessuto deve rigenerarsi e reintegrare le strutture connettivali perdute. Il processo richiede anche la Scaricato da www.sunhope.it formazione di strutture vascolari che forniscano i nutrienti necessari a sostenere il processo. La guarigione di una ferita può avvenire per 1° o 2° intenzione ‐ ‐ Laguarigione per 1° intenzione:prevede che i margini della ferita coincidano, che non ci sia stata perdita di tessuto e che non vi sia nessun processo di sepsi in atto. In pochi minuti lo spazio tra i due margini si riempie di sangue che coagula grazie alla presenza della fibrina e della fibronectina. Si forma successivamente una struttura disidratata chiamata crosta o escara, che funge da barriera verso i possibili agenti lesivi esterni. Dopo poche ore, i cheratinociti sopravvissuti ai lati della ferita si attivano, cominciando a migrare al disotto dell’escara, acquisendo caratteristiche fagocitiche. La migrazione è di circa 0,5 mm/gg. Genericamente la migrazione da sola riesce a garantire la copertura di ferite piccole, ma se la ferita risulta più grande può essere necessaria anche una proliferazione. Dopo 24‐48 ore sopraggiungono anche i leucociti; questi digeriscono in maniera controllata il coagulo. Il 3° giorno inizia il processo di neo‐vascolarizzazione, promosso dai fattori angiogenici e dall’ipossia; questo processo prevede lo spostamento delle cellule endoteliali verso il coagulo (anche queste cominciano a secernere proteasi per farsi strada nel coagulo). La migrazione è di circa 0,4 mm/gg. Avvenuta la vascolarizzazione si formerà un tessuto rosato e granulare, definito tessuto di granulazione. Infine i fibroblasti deporranno collagene (specie il tipo 3). Dopo 1 settimana lo spessore della pelle e il grado di cheratinizzazione saranno aumentati, mentre inizierà la formazione di una nuova membrana basale. Alla fine della 2° settimana si avrà una nuova epidermide ed una nuova membrana basale, mentre i vasi neoformati regrediranno. Nel mese successivo, continuerà il processo di sostituzione del collagene di tipo 3 con quello di tipo 1, aumentando il numero di legami stabili tra le varie fibre di collagene. A fine del processo, il tessuto cicatriziale rimarrà comunque meno solido rispetto alla cute normale (circa il 20% meno solido) La guarigione per 2° intenzione:prevede un’estesa perdita di sostanza, con un’area che può essere necrotica o infetta(può esserlo anche quando la guarigione è per 1° intenzione, ma l’area è estremamente più piccola in quel caso) e pertanto complicata da un'importante risposta infiammatoria.Gli eventi che caratterizzano la riparazione sono essenzialmente gli stessi, ma presentano una durata (e una deposizione di sostanza) molto più massiccia. Un fenomeno rilevante del processo di riparazione è la contrazione della ferita, tanto più importante quanto più estesa è stata la perdita di tessuto e la formazione di tessuto di granulazione. La contrazione può essere molto cospicua arrivando in alcuni casi a ridurre la superficie della lesione anche al 10% di quella originaria, ed è dovuta sia alla disidratazione del coagulo (soprattutto alla superficie esposta all' aria), sia all' azione dei miofibroblasti che assumono le caratteristiche proprie delle cellule muscolari lisce; internamente posseggono una struttura di microfilamenti composti da actina, miosina ed alfa‐actina ed è questa struttura che gli consente la contrazione I mediatori solubili per le varie fasi sono: PDGF [duplice ruolo: stimolazione dell’infiammazione precoce e proliferazione tardiva dei fibroblasti], EGF / TGF‐alfa [stimolano la riepitelizzazione], TGF‐beta [fattore chemiotattico per neutrofili, macrofagi e fibroblasti], HGF / SF [inducono la migrazione, la proliferazione e la produzione di proteasi dei cheratinociti], FGF [inducono la proliferazione dei fibroblasti e di altre specie cellulari], VEGF [fattore di crescita angiogenica], angiopoietina [regola il rimodellamento e la maturazione dei capillari neoformati] GENETICA Struttura generica di un gene: un gene eucariotico è massimalmente così composto (guardandolo da “sinistra a destra”): Scaricato da www.sunhope.it ‐ ‐ ‐ ‐ ‐ Quando presente, un “Enhancer”, ossia una sequenza di DNA che svolge il suo ruolo pro‐ trascrizione attraverso l'associazione con diverse proteine, tra cui diversi fattori coinvolti nell'avvio della trascrizione stessa. A differenza dei promotori, queste sequenze possono risultare molto grandi Un promotore, ossia una regione di DNA costituita da specifiche sequenze dette consenso, alla quale si lega la RNA polimerasi per iniziare la trascrizione di un gene; il promotore contiene la TATA‐box, una sequenza di Adenina e Timina ripetute che formano una regione che facilita l'attacco della RNA polimerasi Una regione del “cap” o cappuccio, presente poi sull’RNA messaggero in forma di Guanina modificata. Questa regione richiama enzimi specifici del “capping” che, legati alla RNA polimerasi 2, esplicano le loro funzioni prima della trascrizione (il “cap”regola il trasporto extra‐nucleare dell’RNA messaggero) Una regione centrale, formata da esoni (sequenze codificanti) ed introni (sequenze non codificanti) Una coda, formata da un sito di poliadenilazione; queste Adenine ripetute in tandem hanno un effetto protettivo sull’l’RNA messaggero, evitando la degradazione delle esonucleasi Dominanza incompleta ******: si parla di dominanza incompleta quando nessuno dei due alleli per un carattere è dominante sull'altro. Il fenotipo manifestato dall'eterozigote è un fenotipo intermedio tra quelli dei due omozigoti.Un esempio è dato dall'incrocio di due varietà floreali, l'una con fiori rossi, l'altra con fiori bianchi: supponendo si tratti di dominanza incompleta, si ha che l'individuo eterozigote presenterà un fenotipo intermedio, ossia fiori rosa (si osserva un'aploinsufficienza della copia normale del gene, cioè l'incapacità di una sola copia di garantire una funzione normale…?) Isocromosoma ***: L'isocromosoma è il risultato di un'aberrazione cromosomica strutturale intracromosomica causata da un errore di divisione durante l'anafase. Il cromosoma si rompe trasversalmente al livello del centromero e braccio lungo e braccio corto si separano. Il braccio che porta con sé il centromero, solitamente il lungo, può replicarsi, mentre l'altro viene generalmente perduto. Il nuovo cromosoma sarà quindi formato dall'esatta duplicazione di uno dei due bracci e genericamente risulta funzionalmente inattivo, dando luogo a patologie come la sindrome di Turner da isocromosoma X Codominanza: nella codominanza gli alleli di un medesimo gene sono espressi con piena funzionalità contemporaneamente, come accade nel gruppo sanguigno AB in cui sono espressi efficacemente entrambi i geni per gli antigeni A e B Epigenetica *: si riferisce ai cambiamenti che influenzano il fenotipo senza alterare il genotipo. Infatti è la branca della genetica che studia tutte le modificazioni ereditabili che variano l'espressione genica pur non alterando la sequenza del DNA. È data da diversi meccanismi, quali: Scaricato da www.sunhope.it ‐ ‐ ‐ ‐ modificazioni deel DNA mediiante addizio one covalentte di gruppi aa sequenze specifiche (m metilazione dellla citosina) d da parte dellee metiltrasfeerasi modificazione d delle proteine specifiche della cromattina (modificcazioni post‐traduzionali degli isto oni). Tra quesste modificazzioni vi sono o acetilazione e, metilazion ne, ubiquitinaazione, fosfo orilazione inatttivazione deel Cromosom ma X (Lyonizzzazione) silenziamento ggenico o l'accessibilità alle regio oni del genom ma, sulle quaali si legano p proteine e en nzimi Questi proccessi alterano deputati all'espressionee genica e qu uindi alterano o l'espressione del gene Non disgiun nzione meiottica: La non‐disgiunzione meeiotica è la m mancata separazione dei ccromosomi o omologhi nella prima divvisione dei cromatid di fratelli nella seconda divisione, porrtando a 2 ceellule finali ch he invece di avere 2 meiotica o d corredi crom mosomici ideentici, hanno o una cellula con tre crom mosomi e una cellula con n un solo cromosoma. La non disgiun nzione nella m meiosi 1 è più grave, dato o che il numero di cellulee mancanti d di un dato cro omosoma saranno 2, m mentre nellaa meiosi 2 sarà solo una ccellula ad ave ere questa m mancanza cro omosomica Anomalie crromosomich he strutturali **: isocromoso omi, traslocazzioni (roberttsoniane e no on), inversioni, delezioni,, duplicazion ni, cromosom mi ad anello Mosaicismo o **: fenomeno p per cui un individuo pressenta regionii del corpo caaratterizzatee da linee celllulari che, se ebbene derivino dallo stesso ziggote da cui derivano le altre, possiedo ono un patrimonio genettico differente in seguito a m mutazioni som matiche. Esem mpi: può verrificarsi per u un errore nellla separazio one dei cromosomi durante le d divisioni mito otiche nelle p prime fasi deella segmenttazione, per ccui si forma una linea cellulare con 47 cromoso omi anziché 4 46, che può eessere la cau usa di alcune e trisomie (o monosomie); altro esem mpio è Scaricato daa www.sunhope.it fornito in natura dal gatto calico femmina, che possedendo sulla X i geni per i pigmenti del manto, a seguito di un’inattivazione dell’una o dell’altra X in differenti cellule, mostra diverse pigmentazioni a “chiazze” Duplicazione segmentale (LCR): sono regioni genomiche duplicate nello stesso cromosoma; possono avere lo stesso orientamento (LCR dirette) o orientamento opposto (LCR inverse).Presenti in ogni essere umano in circa il 5% del DNA; sono presenti in varie regioni del genoma (spesso in regioni pericentromeriche), non sono polimorfiche altrimenti si tratterebbe di CNV* (copy number variation – segmenti di DNA che variano nel numero di ripetizioni; sono fattori di variabilità genetica e sono stati anche associati con disturbi quali la schizofrenia).Il disallineamento della LCR durante la ricombinazione omologa non allelica (NAHR) è un importante meccanismo alla base dei disturbi cromosomicicomeduplicazioni edelezioni. Molte LCR sono concentrate in "punti caldi", come la regione 17p. Le NAHR sono responsabili per una vasta gamma di disturbi, tra cui sindrome di Smith‐Magenis, William e de George. Quindi la duplicazione segmentale non è la causa di nessuna malattia, ma il probabile innesco di un fenomeno di ricombinazione omologa che può generare eventi come leduplicazioni e le delezioni,generando malattie SNP: polimorfismo a singolo nucleotide è una variazione del materiale genico a carico di un unico nucleotide, tale per cui l'allele polimorfico risulta presente nella popolazione in una proporzione superiore all'1%. Gli SNPs all'interno di un gene non necessariamente modificano la sequenza amminoacidica codificata, dal momento che il codice genetico codifica per varianti ridondanti. Gli SNPs costituiscono il 90% di tutte le variazioni genetiche umane; due SNPs su tre vedono una variazione tra citosina e timina. Lo studio degli SNPs è molto utile poiché variazioni anche di singoli nucleotidi possono influenzare lo sviluppo delle patologie o la risposta ai patogeni, agli agenti chimici, ai farmaci Allele Equivalente/Amorfo/Ipomorfo/Ipermorfo/Antimorfo/Neomorfo/Polimorfo ********: ‐ ‐ ‐ ‐ ‐ Equivalente: variazioni genetiche che non modificano né la quantità né la qualità del prodotto genico, producono un allele equivalente Amorfo: variazioni genetiche che eliminanoil prodotto genico tramite una delezione della sequenza corrispondente, producono un allele amorfo. Genericamente la condizione di emizigosi non genera malattia ma stato di portatore, a meno che non riguardi un gene il cui funzionamento in cooperazione con l’altro gene omologo non sia necessario per la normale funzionalità corporea. Esempi – emofilia, distrofia muscolare di Duchenne Ipomorfo: variazioni genetiche che riducono la quantità e la qualità del prodotto genico, producono un allele ipomorfo. Genericamente la condizione di emizigosi non genera malattia ma stato di portatore, a meno che non riguardi un gene non compenato da un altro gene omologo. Esempio‐ distrofia muscolare di Becker (gene locato sulla X, in soggetti maschi da sempre patologia) Ipermorfo:variazioni genetiche che aumentano la quantità del prodotto genico ela sua funzionalità, producono un allele ipermorfo. In qualunque condizione, l’altro allele non può limitare l’espressività di questo allele che diviene dominante causando le manifestazioni patologiche. Esempio ‐ acondroplasia Antimorfo: variazioni genetiche che modificano il prodotto genico, generando una proteina che si oppone alla funzione di altre proteine cellulari, producono un allele antimorfo. In qualunque Scaricato da www.sunhope.it ‐ ‐ condizione, l’altro allele non può compensare l’effetto di questo allele che interferisce con i prodotti dell’altro allele causando le manifestazioni patologiche. Esempio – malattie del collageno Neomorfo: variazioni geniche che codificano per funzioni nuove e nuovi prodotti proteici. Valgono le stesse condizioni espresse per l’allele ipermorfo. Esempio‐ meccanismi della carcerogenesi Polimorfo:variazioni geniche che codificano per uno stesso prodotto genico, ma in più forme fuzionali possibili. La variazione deve avere una prevalenza maggiore dell’1% nella popolazione. I polimorfismi possono essere silenti (se la variazione proteica mantiene la stessa funzione) o manifesti (se si avrà un cambiamento del fenotipo, come proteine modificate la cui funzione risulterà alterata). Un esempio di polimorfismo sono i gruppi sanguigni AB0 Penetranza ******: è la frequenza con cui gli individui che hanno un dato genotipo esprimono un certo fenotipo. È definita completa se tutti gli individui con lo stesso genotipo esprimono quel dato fenotipo. È definita incompleta se l’espressione fenotipica per lo stesso genotipo è solo parziale nella popolazione. Si può anche parlare di penetranza circoscritta se l’evidenza fenotipica avviene solo in un secondo momento, a seguito di un secondo fattore scatenante Espressività variabile ed eterogeneicità genetica *********: [esempi: retinite pigmentosa, Marfan, Waardenburg e osteogenesi imperfecta] l’espressività è l’insieme delle caratteristiche cliniche individuali di una patologia genetica, che possono però andare incontro anche ad una notevole variazione tra persona a persona, anche negli stessi nuclei familiari Aploinsufficienza ***********: condizione per cui servono entrambe i geni su entrambe gli alleli, provenienti sia dal cromosoma paterno che materno. In caso di mancanza anche solo di uno dei due geni, si genererà un prodotto insufficiente che determinerà patologia (emofilia, distrofia muscolare di Duchenne) Aneuploidie ********: condizione irregolare del numero di cromosomi in cui, a differenza della poliploidia, la variazione è limitata a uno o a pochi elementi dell’assetto cromosomico, per eccesso o per difetto. Rientrano le trisomie e le monosomie Poliploidie ****: anomalia della meiosi che consente la formazione di un corredo cromosomico a più copie del normale, considerando la totalità dei cromosomi e non un singolo. Se un gamete diploide si unisce con un gamete aploide normale, dà origine a uno zigote con 3n cromosomi, cioè triploide. Se un gamete diploide ne feconda un altro diploide, nasce un tetraploide 4n Scaricato da www.sunhope.it Mola Idatiforme *: conosciuta anche come gravidanza molare, è una forma anomala di gravidanza in cui un ovulo fecondato non vitale si impianta nell'utero e comporta l'instaurarsi di una gravidanza anormale, che non riuscirà ad essere portata a termine; può quindi essere considerata come un "mancato aborto spontaneo" in quanto la gravidanza è divenuta non vitale ma il prodotto del concepimento non è stato espulso. Si forma una massa a seguito del rigonfiamento di villi coriali, che si accrescono in gruppi e strutture cistiche che assomigliano a grappoli rigonfi di liquido. Una gravidanza molare può svilupparsi quando un ovulo privo di nucleo viene fecondato. Quest'ovulo non è poi in grado di convertirsi a tessuto fetale. Le gravidanze molari sono suddivisi in parziali e complete. Una mola completa è causata dalla penetrazione di un singolo spermatozoo (90% dei casi) oppure di due spermatozoi (restante 10% della casistica) all'interno di un ovulo che ha perso il suo DNA (lo spermatozoo poi si duplica formando un set "completo" di 46 cromosomi). Il genotipo è tipicamente 46, XX a seguito di successiva mitosi dello spermatozoo fecondante, ma può essere anche 46, XY nel caso di 2 spermatozoi. Una mola parziale si verifica quando un ovulo viene fecondato da due spermatozoi o da uno spermatozoo che duplica sé stesso dando luogo ai genotipi 69, XXY (triploide) o 92, XXXY (tetraploide). La mola idatiforme presenta un rischio abbastanza elevato di evolvere in coriocarcinoma Pseudogene: si intende una sequenza di nucleotidi simile ad un gene (a livello di struttura), ma priva di alcuna espressione all'interno della cellula. Solitamente si tratta di geni ancestrali che hanno perso la capacità di essere espressi o se trascrivibili, non sono in grado di generare un prodotto proteico funzionale, spesso a causa di mutazioni genetiche consolidatesi durante l'evoluzione. Sebbene gli pseudogeni siano spesso etichettati come DNA spazzatura, essi contengono all'interno delle loro sequenze informazioni riguardanti i meccanismi dell'evoluzione. Si dividono in: ‐ ‐ Pseudogeni processati (o retrotrasposti) –derivano da RNA messaggeri e sono composti solo da “esoni”; nel processo della retrotrasposizione, una porzione dell'RNA messaggero di un gene viene spontaneamente retrotrascritto in DNA e reinserito nel DNA cromosomico. Nel momento in cui questi pseudogeni si reinseriscono nel genoma, poiché derivano da un mRNA possiedono il sito di poliadenilazione, ma perdono il promotore (e di conseguenza la capacità di essere ri‐trascritti). Per questo motivo questi elementi non risultano codificare per proteine funzionanti Pseudogeni non processati ‐ hanno la struttura di un gene, con esoni e introni. Derivano dalla duplicazione di un gene con la seguente inattivazione a causa di mutazioni accumulate nell’evoluzione che distruggono la sequenza codificante, risultando non funzionali Pseudoermafroditismo maschile e femminile: Lo pseudoermafroditismo è una condizione per la quale un individuo presenta un aspetto del sesso opposto a quello cromosomico o un fenotipo sessuale ambiguo. Nei casi di pseudoermafroditismo maschile, le cause riguardano principalmente una scarsa produzione di androgeni (deficit enzimatici come quello della 5‐alfa‐reduttasi) o insufficiente risposta a questi (deficit della risposta recettoriale agli androgeni ‐ Androgen Receptor). Gli individui pseudoermafroditi per deficit della sintesi di diidrotestosterone (deficit di 5‐alfa‐reduttasi) genericamente hanno pene e testicoli di dimensioni ridotte e carenza di caratteri sessuali secondari come barba, peluria corporea, profondità della voce. Altri casi riguardano la sindrome da insensibilità agli androgeni; un individuo con un cariotipo 46, XY può svilupparsi come una femmina, ma presentando vagina a fondo cieco, assenza degli organi derivati dai dotti di Mueller, Scaricato da www.sunhope.it criptoorchidismo e amenorrea primaria. In caso di pseudoermafroditismo femminile, la causa principale è ormonale, determinata da difetti enzimatici (iperplasia surrenale congenita), dovuta alla difettosa produzione dell'enzima 21‐idrossilasi che converte il 17‐OH‐Progesterone in 11‐Deossicortisolo, precursore del cortisolo. Il deficit da questo enzima comporta la deviazione della sintesi ormonale verso quei metaboliti che non richiedono tale enzima per la loro sintesi, come testosterone, androstenedione. L'ipofisi, che funziona come una centralina di regolazione ormonale, registra l'assenza in circolo di cortisolo e produce ACTH (ormone adrenocorticotropo), la quale stimola le ghiandole surrenali a cominciare le tappe di produzione del cortisolo. Un eccesso di ACTH porterà accumulo di 17‐idrossi‐progesterone, dal quale derivano gli androgeni. Il tutto porterà ad un’accentuazione dei caratteri sessuali maschili in un soggetto femminile Inattivazione della X ****: fenomeno normalmente riscontrato negli individui di sesso femminile. Un cromosoma X viene inattivato per evitarne la sovraespressione. Questa inattivazione tuttavia non è assoluta; alcune regioni chiamate regioni PAR (che normalmente servono nel crossing over tra gli eterocromosomi, contengono dei geni chiamati SHOX che si ipotizza possano avere un ruolo centrale nel determinare l’altezza dell’individuo) non vengono mai inattivate. Il gene X che dovrà inattivarsi produce un RNA chiamato Xist che riveste il gene, inattivandolo. Il cromosoma X, una volta inattivato non si ri‐attiverà più e formerà una struttura molto più compatta e spiralizzata, chiamata corpo di Barr. Il processo è noto anche come Lyonizzazione ed è casualmente attivato allo stato di blastocisti. Esistono casi in cui l’inattivazione non è però casuale, ma preferenziale, ad esempio nelle traslocazioni del cromosoma X mutato sul cromosoma 9; in questo caso viene inattivata solo la X sana perchè si inattivasse la X mutata che ha traslocato sul cromosoma 9 si avrebbe anche l'inattivazione del cromosoma 9, quindi una monosomia del cromosoma 9 e morte della cellula Mutazione puntiforme *: determinano uno scambio di un nucleotide con un altro. Sono definite transizioni qualora vi sia un scambio di una purina con altra purina (A ↔ G) o di una pirimidina con un'altra pirimidina (C ↔ T); oppure transversioni quando lo scambio è di una purina con una pirimidina o viceversa (C/T ↔ A/G). Possono essere definite: ‐ ‐ ‐ mutazioni sinonimo: quando la mutazione determina un codone diverso ma che codifica per lo stesso amminoacido (questo è possibile grazie alla ridondanza del nostro codice genetico). Non si avrà alcun cambiamento nel prodotto genico mutazioni di senso errato: quando un codone viene sostituito con uno che codifica per un altro amminoacido. Se quest'ultimo avrà le stesse caratteristiche chimiche (dimensione, carica...) allora la sostituzione sarà conservativa altrimenti non conservativa. È chiaro che il secondo caso rende più probabile una variazione nella funzionalità del prodotto mutazioni non senso: quando la mutazione determina la formazione di un codone di stop all'interno della sequenza. Questo provoca, se il prodotto è una proteina, un'interruzione precoce della sua sintesi nella traduzione. In generale maggiore sarà il frammento non tradotto maggiore sarà il rischio di una mutazione svantaggiosa Mutazione da inserzioni/delezioni: Scaricato da www.sunhope.it se i nucleotidi vengono inseriti o deleti all’interno di una sequenza genica, si avrà questo tipo di mutazione. Si parla di 2 casi: ‐ ‐ mutazione indifferente: il prodotto proteico non varia di funzione se pur varia minimamente di forma. Questa condizione è possibile quando il numero di nucleotidi deleti o inseriti è di 3 o multiplo di 3 (ovviamente anche avere eccessivi multipli di 3 conferirà patologia). La proteina che si viene a formare pur avendo un amminoacido in + o in ‐, potrebbe comunque riuscire a funzionare non determinando patologia mutazione frame‐shift: il prodotto genico varia, perde o acquisisce un’altra funzione. Quando il numero di nucleotidi deleti o inseriti non è di 3 o multiplo di 3, si ha lo slittamento della cornice di lettura del DNA dell’intero gene, generando una proteina totalmente diversa da quella di partenza. Questa proteina può non riuscirsi a ripiegare e quindi non funzionare, o strutturarsi e acquisire una nuova funzione, positiva (raro) o negativa (tipico) che sia Mutazione de novo *****: mutazione genica che avviene nell’individuo senza che appartenga al corredo ereditato dalla famiglia. Genericamente queste mutazioni avvengono più spesso nella spermatogenesi. Se avvengono nel corpo di un individuo già formato, possono portare alla formazione di un tumore Premutazione ***: condizione genetica che riguarda le patologie da espansione di triplette. Se l’espansione di una data tripletta non ha ancora superato una lunghezza espansiva critica, il soggetto non ha nessuna malattia, ma è estremamente probabile che nella futura generazione questa malattia insorga per ulteriori mutazioni espansive. Questa condizione di predisposizione ad una malattia da espansione di triplette viene definita “premutazione” corpo di Barr: cromosoma X inattivato,formante una struttura molto più compatta e spiralizzata, chiamata corpo di Barr Regioni PAR o pseudoautosomiche **: sono regioni localizzate sui cromosomi sessuali X e Y che contiene geni che non vengono inattivati durante la inattivazione della X nella donna. Quindi sono trasmessi come se fossero dei geni autosomici anche se si trovano sui cromosomi sessuali. Questa regione è importante per la segregazione del bivalente XY nella meiosi maschile, perché è l'unica in cui si ha appaiamento tra i due cromosomi e crossing over che è fondamentale per la corretta segregazione. In realtà le regioni pseudoautosomiche sono due e si chiamano PAR1 e PAR2 localizzate una sul braccio corto e una sul braccio lungo dei cromosomi sessuali; contengono dei geni chiamati SHOX che si ipotizza possano avere un ruolo centrale nel determinare l’altezza dell’individuo MicroRNA ***: Scaricato da www.sunhope.it sono piccole molecole endogene di RNA non codificante a singolo filamento riscontrate nelcomplesso di trascrizione genica degli organismi a DNA. Si tratta di polimeri di RNA codificati dal DNA nucleare eucariotico lunghi circa 20‐22 nucleotidi e principalmente attivi nella regolazione dell'espressione genica a livello trascrizionale e post‐trascrizionale. I miRNA inducono il silenziamento genico tramite sovrapposizione con sequenze complementari presenti su molecole di RNA messaggero (mRNA) bersaglio. Tale legame comporta una repressione della traduzione o la degradazione della molecola bersaglio Cromosoma Marker: Un cromosoma marcatore è un cromosoma strutturalmente anomalo non identificabile in nessun altro cromosoma e si ipotizza possano derivare da trisomie “mancate”. Il significato di un marcatore è molto variabile, in quanto dipende da ciò che contiene il cromosoma: se il marker è composto di materiale genetico inattivo, ha poco o nessun effetto; viceversa se contiene materiale codificante la patologia espressa può essere variabile a seconda del contenuto Delezione/microdelezione (in che caso si ha la comparsa patologica) ************: la delezione è la perdita di un tratto di DNA cromosomico; se questo tratto perduto ha dimensioni molto piccole, si parla di microdelezioni cromosomiche. Entrambe le condizioni possono essere più o meno gravi a seconda del cromosoma e del tratto interessato. Se il tratto colpito non codifica per nessun messaggio (sequenze introniche) e la sequenza deleta rispetta l’organizzazione delle altre triplette (i tratti eliminati devono possedere un numero di nucleotidi multiplo di 3) non si ha patologia; in tutti gli altri casi, genericamente vi è la comparsa di mutazione patologica Anticipazione ****: l'anticipazione è un fenomeno noto nelle malattie di espansione delle triplette, per cui il fenotipo patologico insorge ad un'età sempre più precoce di generazione in generazione.Il fenomeno dell'anticipazione è sostanzialmente dovuto a errori di ricombinazione meioticache aumentano nella progenie il numero di ripetizioni delle triplette nel gene responsabile della patologia. In alcuni casi, l'espansione delle triplette non porta ad anticipazione ma ad un aggravamento del fenotipo (ad esempio nella Sindrome dell'X fragile) Traslocazioni(tipologie bilanciate e non)**********: (test predittivi) anomalie cromosomiche strutturali causate da riarrangiamenti di pezzi tra cromosomi non omologhi. Questo tipo di trasformazione è comune nelle cellule tumorali maligne. La traslocazione è bilanciata se lo scambio di segmenti cromosomici avviene senza nessuna perdita di informazioni genetiche (essenzialmente, abbiamo solo avuto lo spostamento di un tratto di cromosoma su un altro). La traslocazione sbilanciata invece prevede che oltre al trasferimento di una porzione cromosomica ci sia una perdita o un’acquisizione di DNA. Se l’acquisizione/perdita di DNA è piccola, potremmo avere una mutazione compatibile con la vita; in caso sia grande, genericamente l’individuo muore Traslocazione Robertsoniana*******: Scaricato da www.sunhope.it traslocazione che coinvolge i cromosomi acrocentrici 13, 14, 15, 21, 22. Questi cromosomi contengono un braccio corto privo di geni che può andare perduto con la fusione di 2 cromosomi acrocentrici. Se è bilanciata, non comporta patologia ma condiziona fortemente la possibilità riproduttiva. La più frequente è data dal cromosoma derivante 13q14q Inversione cromosomica *: rare variazioni cromosomiche che comportano la rottura di 2 punti delineanti un segmento di DNA specifico. Si dicono semplici se la rottura avviene su 2 punti di uno stesso cromosoma. Possono essere divise in: pericentriche se il segmento invertito contiene il centromero, paracentriche se riguardava solo uno dei due bracci Monosomie: Turner *******: La sindrome di Turner, nota anche come monosomia X (X0), conseguente ad un errore nel corretto appaiamento dei cromosomi durante la meiosi. La principale causa della sindrome è la non disgiunzione del cromosoma sessuale durante la meiosi, nella gametogenesi, che porta alla formazione di gameti aventi un soprannumero di questi o la totale assenza. Dall'unione di un gamete privo di cromosomi sessuali e uno normale contenente il cromosoma X nascono individui affetti da questa sindrome. Per più di un 80% dei casi dipende da un errore nella spermatogenesi che dovrebbe avere con sé un cromosoma sessuale e invece ne risulta privo. Può però anche risultare da un mosaicismo 45‐X0 e 46‐XX ‐ ‐ epidemiologia: nel 98% dei casi risulta letale e la gravidanza termina con aborto spontaneo; le femmine nate vivesono 1/2.500 clinica: collo corto e con pterigio, attaccatura delle orecchie bassa, bassa attaccatura dei capelli nella parte posteriore del collo, bassa statura (per colpa della mancanza di una regione SHOX) e mani e piedi gonfi, mandibola piccola (micrognazia).In genere le donne con la sindrome non hanno il ciclo mestruale, non sviluppano le mammelle e sono sterili. Frequentemente si verificano difetti cardiaci. La maggior parte delle persone affette dalla condizione hanno un quoziente di intelligenza normale Trisomie ******: malattie congenite dovute alla presenza di tre corredi cromosomici aploidi, generando un individuo geneticamente 2n+1 con 47 cromosomi. La causa di queste patologie più statisticamente importante è la non‐disgiunzione meiotica dei cromosomi patologici. La più frequente delle trisomie è la trisomia 16, che però porta ad aborto spontaneo. Quelle più rappresentate sono dunque: sindrome di Down (21), sindrome di Edwards (18), sindrome di Patau (13) ‐ sindrome di Edwards: si manifesta 1/6.000 nati vivi. Presenta malformazioni fisiche che includono testa piccola (microcefalia), orecchie malformate, possibile ciclopia, mandibola piccola (micrognazia), palatoschisi e altre malformazioni del massiccio facciale; le malformazioni viscerali includonomalformazioni renali, difetti cardiaci strutturali, difetti al sistema digerente difetti al respiratorio, difetti al SNC (come raccolte saccate di liquido intracraniche) e ritardo mentale Scaricato da www.sunhope.it ‐ sindrome di Patau: si manifesta 1/5.000 nati vivi. Gli individui con Patau presentano malformazioni fisiche quali microcefalia, microftalmia, possibile ciclopia, orecchie a basso impianto, palatoschisi e altre malformazioni del massiccio facciale; le malformazioni viscerali sono renali, cardiache, difetti dell’urogenitale, displasia della retina o distacco della retina e ritardo mentale Sindrome di Down *********: è la più frequente delle trisomie alla nascita ed è dovuta alla non‐disgiunzione meiotica del cromosoma 21 nella madre e tende ad essere più frequente mano mano che la madre aumenta con l’età. In una bassa percentuale dei casi è di origine paterna o anche da traslocazione del cromosoma 21 ‐ ‐ epidemiologia: causa aborto nel 75% dei casi; i nati vivi sono 1/1.000 clinica: i bambini nascono sottopeso, ipotonici. Gli occhi hanno taglio mongolico, bocca piccola, macroglossia, orecchie piccole con attaccatura bassa, mani corte e tozze; spesso si associa cardiopatia congenita o atresie del digerente (specie duodeno). Ritardo mentale molto comune, ma di grado variabile, con deficit del linguaggio e della memoria Trisomie sessuali Klineferter XXY *********: XXY è la più frequente trisomia dei cromosomi sessuali; 50% dei casi causato da una non‐disgiunzione paterna, ma sono anche possibili cariotipi a mosaico. Il prodotto del concepimento è maschio, con caratteri sessuali poco rilevabili. Una delle X viene genericamente inattivata come succede per le donne, tranne sulla regione Par, contenente SHOX (il che consente una statura maggiore) ‐ ‐ ‐ epidemiologia: causa aborto nel 50% dei casi; nati vivi 1/600 clinica: il soggetto presenta arti più lunghi, maggiore altezza, minore sviluppo dei caratteri sessuali, sia primari che secondari, criptorchidismo, lieve ritardo nel linguaggio e problemi comportamentali. Aumentati anche i livelli di estradiolo terapia: somministrazione di androgeni dalla pubertà XXX *: facente parte delle trisomie dei cromosomi sessuali, è caratterizzata da 3 X di cui 2 inattivate (e quindi 2 corpi di Barr) ‐ ‐ epidemiologia: 1/1.000 nate vive clinica: maggiore altezza e maggiore probabilità di ritardo mentale XYY *: facente parte delle trisomie dei cromosomi sessuali, è caratterizzata da 2 Y e una X ‐ ‐ epidemiologia: 1/1.000 nati vivi clinica: statura più alta e maggiore probabilità di ritardo mentale. In passato tale sindrome venne erroneamente associata ad atteggiamenti criminali Scaricato da www.sunhope.it Malattie da anomalie submicroscopiche *[ossia ri‐arrangiamenti genomici come microdelezioni, inversioni, inserzioni o duplicazioni che non superano le 5Mb] ‐> mutazione < 5 Mb Cri‐Du‐Chat (grido del gatto)****: causata da una delezione in eterozigosi sul braccio corto del cromosoma 5. Ed è la più grande delezione di un autosoma compatibile con la vita. Prende il nome dal grido del neonato che simula quello di un gatto appena nato, poiché la laringe è abnormemente sviluppata ‐ ‐ epidemiologia: 1/20.000 nati vivi clinica: il bambino nasce sottopeso, ipotonico e presenta il classico pianto. La testa è piccola, il naso ampio, micrognazia, aumento della distanza interoculare. Genericamente il Q.I. non supera il 50 Williams ****: [avviene sempre nello stesso punto (per le lcr)(grandezza della delezione 1,6 Mb)] causata da una delezione in eterozigosi sul braccio lungo del cromosoma 7. La delezione comprende 21 geni tra i quali quello dell’elastina, di fattori trascrizionali e di proteine leganti i microtubuli ‐ ‐ epidemiologia: 1/15.000 nati vivi clinica: personalità estremamente estroversa, esagerata loquacità, statura più bassa, naso con punta bulbosa, ipersensibilità acustica, ritardo mentale con Q.I. genericamente compreso tra 60‐70, difficoltà nella concentrazione, ipercalcemia, stenosi periferica. Dato che le fattezze della faccia ricordano quelle di un elfo, spesso viene chiamata anche sindrome “faccia da elfo” De George *********: causata da una microdelezione in eterozigosi ma con carattere dominante sul braccio lungo del cromosoma 22. La delezione comprende 30 geni per 3 Mb di basi. Dato il mancato sviluppo della terza e quarta tasca faringea che dà origine a timo, paratiroidi e all'ultimo corpo branchiale,comporta severa immunodeficienza con riduzione dei linfociti T al di sotto del 5 percentile ‐ ‐ epidemiologia: 1/4.000‐5.000 nati vivi clinica: difetti al sistema immunitario. Malformazioni cardiache, mancata formazione di paratiroidi e timo, anomalie del palato, anomalie facciali, ipocalcemia, difficoltà di apprendimento e difetti mentali Smith‐Magenis ***: causata da una microdelezione sul braccio corto del cromosoma 17 con mutazione nel gene RAI1. Questo porta alla produzione di una versione anormale o non funzionale della proteina RAI1, fattore di trascrizione che regola l'espressione di geni multipli, tra cui alcuni che sono coinvolti nel controllo del ritmo circadiano, come CLOCK. Per la diagnosi si usa la FISH ‐ ‐ epidemiologia: colpisce 1/25.000 nati clinica: sul piano clinico si evidenziano: ritardo mentale, disordini del comportamento con aggressività, disturbi del sonno(le persone colpite possono soffrire la sonnolenza durante il giorno, Scaricato da www.sunhope.it ma hanno difficoltà ad addormentarsi e si svegliano più volte ogni notte, a causa di un ritmo circadiano invertito di melatonina), obesità, bassa statura, mani e piedi piccoli, volto rotondeggiante con tratti grossolani e difetti renali e cardiaci Malattie autosomiche dominanti ***** Neurofibromatosi (genetica, segni e caratteristiche) ************: (o morbo di von Recklinghausen) è una delle più comuni malattie genetiche. Si distinguono 2 tipi, il tipo 1 ed il tipo 2. La prima tipologiaè causata da una mutazione (che può essere nonsenso o missenso) in eterozigosi del cromosoma 17 sul braccio lungo, che si trasmette con modalità autosomica dominante a penetranza completa ma espressività variabile. Il gene più sensibile è il NF1. Genericamente si presenta come malattia “de novo”, con perdita di funzione del NF1 che produce una GTPasi atta a bloccare l’azione di RAS ‐ ‐ epidemiologia: 1/3.000 nati clinica: macchie caffelatte almeno di 2 cm, sparse per il corpo, neurofibromi lentigginosi, displasia dello sfenoide, assottigliamento della corticale delle ossa lunghe. È caratterizzata dalla presenza di numerosi tumori benigni fibrosi (fibromi) della pelle e del tessuto nervoso (neurofibromi). Genericamente tende a non dare problemi, tranne in caso di tumori endocerebrali. I tumori cutanei vanno controllati e se risultano “attivi e proliferanti”, vanno rimossi Legius: condizione autosomica dominante caratterizzata da macchie caffellatte, spesso scambiata per neurofibromatosi di tipo I (NF‐1). È causata da mutazioni “perdita di funzione” nel gene SPRED1, localizzato sul braccio lungo del cromosoma 15 ‐ ‐ epidemiologia: non è nota con certezza a causa della confusione diagnostica con la neurofibromatosi 1 clinica: i pazienti mostrano più macchie caffè latte. Altri sintomi possono includere: lentiggini sotto le ascelle e/o l'inguine. Importante è l’assenza di noduli di Lisch, gliomi dei nervi ottici, anomalie delle ossa, neurofibromi. Altri sintomi significativi sono: disturbi dell'apprendimento, il disturbo da deficit di attenzione/iperattività (ADHD) e il ritardo dello sviluppo Marfan ************: causata da mutazioni in eterozigosi del gene FBN1 codificante per la fibrillina e inserito sul cromosoma 15 nel braccio corto. È a carattere autosomico dominante ele mutazioni che la causano sono di tipo missenso; genericamente insorgono de novo. La debolezza del tessuto a causa della mancanza della fibrillina si manifesta in tutto il corpo con aumento generalizzato dei livelli di TGF‐beta e perdita di rapporti saldi tra cellula e matrice ‐ ‐ epidemiologia: 1/5.000 nati clinica: aneurisma aortico prossimale, lussazione del cristallino, crescita eccessiva delle ossa lunghe, deformazione della gabbia toracica con sterno estroflesso in avanti o indietro, aracnodattilia Scaricato da www.sunhope.it Acondroplasia *****: (anche chiamata nanismo dismorfico) è causata una mutazione in eterozigosi autosomica dominante a penetranza completa e a carico del braccio corto del cromosoma 4. Questa mutazione sostituisce una glicina con un’arginina e modifica il recettore3 del Fibroblast Growth Factor (FGFR3), causando una mancata crescita delle cartilagini di accrescimento. Il tipo di mutazione è di “gain of function”, con attivazione indipendente dal ligando ‐ ‐ epidemiologia: 1/35.000 nati clinica: braccia e gambe non si sviluppano troppo oltre la grandezza che possedevano già dall’età infantile. La testa è grossa, la fronte prominente e il naso appiattito. L’altezza massima raggiunge all’incirca i 130 cm Ipercolesterolemia familiare **********: ne esistono 2 forme: monogenica e poligenica MONOGENICA patologia a trasmissione autosomica dominante, la malattia è determinata dauna mutazione che può fare sì che il LDLR non riesca a legarsi con le LDL, oppure che non venga proprio trasportato sulla superficie dell’epatocita; ne consegue che i livelli ematici di LDL aumentano in modo proporzionale alla riduzione dell'attività recettoriale, variabile dal 50 al 90‐95% circa.Il parallelo aumento della colesterolemia è dovuto all'alta percentuale di colesterolo contenuto all'interno di questa classe lipoproteica (LDL). Il gene per il recettore delle LDL è localizzato sul braccio corto del cromosoma 19. La mutazione comune è sempre in eterozigosi, quella omozigote è rarissima (1/un milione) ‐ ‐ epidemiologia: 1/500 nati clinica: gli esami indicano che i livelli plasmatici di colesterolo totale nel sangue sono circa 275–500 mg/dL negli eterozigoti e >500 mg/dL nei rari omozigoti. I depositi di colesterolo e LDLcompaiono tanto più precocemente quanto più grave è la malattia. I pazienti colpiti hanno un'elevata e precoce tendenza allo sviluppo di aterosclerosi, della malattia coronarica e delle sue espressioni (angina pectoris ed infarto miocardico), che risulta nettamente superiore per gli omozigoti rispetto agli eterozigoti POLIGENICA la più diffusa, in cui fattori disnutrizionali ed ambientali si sommano ed aggravano il dismetabolismo su base multi‐genetica (i fattori genici più importanti sono una isoforma atipica dell’apoE) ‐ ‐ epidemiologia: è particolarmente diffusa tra gli occidentali, dove interessa fino al 20% della popolazione clinica: depositi di colesterolo e LDL, con aterosclerosi e patologie cardiovascolari Le indicazioni terapeutiche sono essenzialmente mirate all’aumento di attività fisica, alla diminuzione di grassi e zuccheri semplici dalla dieta. La terapia prevede per i casi più gravi lestatine, farmaci inibitori dell'HMG‐CoA reduttasi (enzima chiave nella produzione di colesterolo) Rene policistico: Scaricato da www.sunhope.it malattia a trasmissione autosomica dominante. Il paziente è eterozigote per una mutazione del gene PKD1 sul braccio corto del cromosoma 16. PKD codifica per la policistina (c’è sia la policistina 1 che 2), proteina implicata nella regolazione delle interazioni cellula‐cellula e cellula matrice; tuttavia, dato che la sola mutazione non basta per definire una persona come “paziente con rene policistico”, si pensa che sia necessario un secondo imput per avere l’effetto patogeno ‐ ‐ epidemiologia: 1/1000 nati clinica: si formano numerose cisti renali che distruggono il parenchima, causano l’insorgenza di insufficienza renale, costringono il paziente prima alla dialisi e successivamente al trapianto Cowden: rara malattia ereditaria, autosomica dominante. La sindrome di Cowden è associata a mutazioni germinali del gene oncosoppressore PTEN, situato nel braccio lungo del cromosoma 10. La funzione di PTEN è quella di inibire i processi della via PI3K/Akt/mTOR che porta a proliferazione cellulare attraverso defosforilazione del fostatidil‐inositolo trifosfato (PIP3) a fostatidil‐inositolo bisfosfato (PIP2) ‐ ‐ epidemiologia: 1/200.000 nati vivi clinica: si presenta con manifestazioni cliniche multiple a carico di: cute(90% dei pazienti ha lesioni papulari in tutto il corpo, soprattutto sulla testa), mucose (80% presenta papule anche sulla lingua, che realizzano talvolta l'aspetto di "lingua scrotale”), tiroide (60% dei pazienti ha il gozzo, l’adenoma o il carcinoma), mammella (35% presenta mastopatia, fibroadenoma, carcinoma) e tubo digerente (30‐40% presenta polipi gastrointestinali di natura benigna). La prognosi è grave, soprattutto in relazione al rischio di tumori mammari e tiroidei Sindrome di Lynch: Il cancro colorettale ereditario non poliposico (HNPCC) o sindrome di Lynch è una sindrome ereditaria autosomica dominante, con un elevato‐medio grado di penetranza (30‐70%). Gli individui sono portatori di una mutazione nel gene MSH2, in MLH1 o nel gene MSH6. I geni la cui mutazione è associata a una sindrome HNPCC appartengono alla famiglia dei geni responsabili del riparo dei difetti di appaiamento del DNA (DNA mismatch repair o MMR), cioè nel controllo dell'esattezza della replicazione; conseguentemente aumenta la probabilità di acquisire ulteriori mutazioni a carico di geni oncosoppressori e proto‐oncogèni. Ciò porta allo sviluppo del tumore ‐ ‐ epidemiologia: circa il 60% delle volte la malattia è causata da MSH2 clinica: prevede lo sviluppo di tumori colorettali, endometriali, del piccolo intestino, delle vie urinarie. La sua diagnosi si basa su tre criteri: 1) almeno 3 soggetti colpiti con tumori confermati istologicamente che appartengono allo spettro della sindrome HNPCC; 2) uno dei soggetti deve essere un parente di primo grado degli altri due su due generazioni; 3) almeno uno dei tumori diagnosticato prima dei 50 anni. Nelle famiglie identificate secondo questi criteri i pazienti sviluppano principalmente tumori colorettali e/o endometriali con un rischio cumulativo di 70‐80% ai 70 anni. Si consiglia monitoraggio con colonscopia ogni due anni dopo i 20 anni. È anche consigliato monitoraggio ginecologico delle donne dopo i 30 anni. Ci sono due tipi di sindrome: ‐ sindrome di Lynch I: caratterizzata dall'insorgenza di un tumore al colon Scaricato da www.sunhope.it ‐ sindrome di Lynch II: oltre al tumore al colon comprende lo sviluppo di tumori nello stomaco, nell'apparato urinario, nei dotti biliari Sindrome di Li‐Fraumeni: malattia ereditaria autosomica dominante, caratterizzata dalla mutazione di un allele del gene TP53, situato sul braccio corto del cromosoma 17 che codifica per la proteina p53 (i livelli citosolici di questa proteina aumentano quando viene rilevato un danno al DNA ed essa viene fosforilata così da assumere una conformazione adeguata al legame con il DNA. Agisce come fattore di trascrizione per alcuni geni che codificano per proteine in grado di arrestare il ciclo cellulare in G1 in modo che il danno, se possibile, venga riparato. Nel caso in cui la riparazione vada a buon fine, essa viene degradata e il blocco del ciclo cellulare viene rimosso. In caso contrario, essa induce la trascrizione di geni pro‐apoptotici). È un gene oncosoppressore ed è necessaria la perdita omozigote per annullare la sua funzione. È possibile anche la mutazione per isocromosoma 17 ‐ ‐ epidemiologia: circa il 70% delle famiglie LFS è stata identificata una mutazione germinale del gene TP53 clinica: la sindrome è una forma di predisposizione verso molte neoplasie (osteosarcomi, sarcomi dei tessuti molli tumori del seno, leucemie); tipicamente, l'insorgenza di neoplasie è precoce (meno di 45 anni), per questo lo screening risulta un elemento necessario per la prevenzione Osteogenesi imperfetta *: malattia genetica a trasmissione autosomica dominante per anomalie nella sintesi del collagene tipo I, date da mutazioni dei geni Col1A1 e Col1A2 sui bracci lunghi dei cromosomi 17 e 7. I fenotipi più gravi o letali sono la conseguenza di difetti genetici, che determinano molecole anomale di collagene che non riescono a formare la tripla elica ‐ ‐ epidemiologia: 1/20.000 nati vivi clinica: crea problemi a carico dello scheletro, delle articolazioni, degli occhi, delle orecchie, della cute e dei denti. Sebbene ce ne siano 8 tipi, i quattro tipi piùfrequenti sono:Tipo I: ritardo di accrescimento nel 50%, fratture ossee; cifosi e scoliosi con iperestesibilità articolare, sclere bluastre e perdita dell'udito sia a difetto neurosensoriale che a causa di anomalie ossee dell'orecchio medio e interno. In certi casi si associa a dentinogenesi imperfetta.Tipo II: è costantemente fatale durante la vita intrauterina o nel periodo perinatale. Accentuatissima fragilità ossea con fratture multiple che si manifestano quando il feto è ancora in utero.Tipo III: fratture alla nascita con deformazioni progressive degli arti e cifoscoliosi, sclere normali, bassa statura, dentinogenesi imperfetta comune.Tipo IV: la forma clinicamente meno grave, con statura normale o poco ridotta, fragilità ossea lieve o moderata, fratture postnatali, sclere normali, udito normale, deformità variabili. In certi casi si associa a dentinogenesi imperfetta. La terapia con bifosfonati ha dimostrato di migliorare la mobilità e la densità ossea, riducendo il dolore e l'incidenza delle fratture Malattie con forme autosomiche dominanti e recessive (a seconda del coinvolgimento genico) Waardenburg: Scaricato da www.sunhope.it malattia genetica rara più spesso caratterizzata da diversi gradi di sordità, difetti minori nelle strutture derivanti dalla cresta neurale, e alterazioni della pigmentazione Ce ne sono di 4 tipi: ‐ tipo 1: la mutazione è a carico di PAX3, sul braccio lungo del cromosoma 2. I sintomi specifici includono occhi ampiamente distanziati e perdita dell'udito nella maggioranza dei casi ‐ tipo 2: la mutazione è a carico di MITF, SNAI ed altri geni, sul braccio corto del cromosoma 1, 3 ed 8. Il fatto che ci siano più geni coinvolti e più cromosomi dipende dal sottotipo patologico considerato. I sintomi specifici includono una perdita permanente dell'udito ed eterocromia dell’iride ‐ tipo 3: la mutazione è sempre a carico di PAX3 (come il tipo 1), sul braccio lungo del cromosoma 2. I sintomi specifici includono anomalie degli arti superiori, variazioni nello stato di pigmentazione della pelle e la perdita dell'udito nel corso del tempo ‐ tipo 4: la mutazione è a carico di EDN, SOX10 ed altri geni, sul braccio lungo dei cromosomi 13, 20 e 22. Il fatto che ci siano più geni coinvolti e più cromosomi dipende dal sottotipo patologico considerato. I sintomi specifici includono un colon ingrandito che può necessitare di rimozione chirurgica Le caratteristiche proprie della malattia: ‐ ‐ epidemiologia: l’incidenza media complessiva delle varie tipologie è di 1/45.000 nati clinica: i sintomi variano da un tipo di sindrome all'altra e da un paziente all'altro, ma comprendono: occhi chiari, occhi di due colori diversi od occhi con un iride con due colori diversi (eterocromia settoriale); un ciuffo di capelli bianchi (poliosi) o ingrigimento precoce dei capelli; occhi distanziati a causa di una larga radice nasale; da una moderata sordità a una grave; una bassa attaccatura dei capelli; macchie di pigmentazione della pelle ( che risulta bianca); anomalie delle braccia Malattie autosomiche recessive **** Fibrosi cistica *********: [diagnosi tecnica Ola, mutazioni 70% delezione fenilalanina 508 e il restante per lo più puntiformi, polimorfismo del nord Europa] abbreviata spesso come FC o anche mucoviscidosi, è una malattia genetica autosomica recessiva. La patologia è causata da una mutazione nel gene CF sul braccio lungo del cromosoma 7, il quale codifica per una proteina di 1480 aminoacidi detta CFTR (Cystic Fibrosis Transmembrane conductance Regulator). Le varianti della mutazione sono più di 1.500, ma la più frequente è una delezione di 3 nucleotidi (CTT), che provoca la perdita dell'aminoacido fenilalanina codificato dal codone 508 (la mutazione è detta "delta F508"). La proteina normale, situata sulla membrana cellulare delle cellule epiteliali, funziona come canale per il cloro attraverso le membrane cellulari a livello di vie aeree, pancreas, intestino, ghiandole sudoripare, ghiandole salivari e vasi deferenti. In caso di alterazione della sua struttura, la secrezione saràun muco molto denso e viscoso perché ci sarà una minor escrezione di ioni cloro che porterà ad un conseguente maggior riassorbimento di sodio e acqua (da cui il muco più secco). La fibrosi cistica è la malattia genetica ereditaria mortale più comune nella popolazione caucasica; la sopravvivenza è di circa 40 anni. Negli eterozigoti vi è solo una leggera sintomatologia: questi presentano un bilancio ionico funzionale, ma espellono più difficilmente acqua dalle cellule ‐ epidemiologia: parlando di popolazione caucasica e americana, si può dire che il rapporto è di 1/5.000 nati, ma nelle popolazioni nordiche di Svezia, Lituania e Danimarca il rapporto è molto più alto. Fa eccezione la Finlandia, in cui la malattia è riportata solo in poche famiglie Scaricato da www.sunhope.it ‐ clinica: la forma classica della malattia si manifesta con un aumento degli elettroliti nel sudore, insufficienza pancreatica e polmonare spesso di forma grave. Muco denso si accumula nei polmoni, provocando tosse, mancanza di respiro e infezioni ricorrenti. I maschi possono non essere fertili a causa dell'assenza congenita dei vasi deferenti. I sintomi spesso compaiono durante l'infanzia, come l'ostruzione intestinale a causa di ileo patologico da meconio nei neonati. I bambini hanno difficoltà nel prendere peso e nel crescere in altezza a causa del cattivo assorbimento delle sostanze nutrienti attraverso il tratto gastrointestinale (ostacolato sia dal muco denso che dalla “carenza” di enzimi digestivi che riescono ad arrivare nel duodeno). La coagulazione può essere compromessa sempre a causa di problemi di assorbimento della vitamina K. Il muco denso blocca anche movimento degli enzimi digestivi nel duodeno e provocano danni irreversibili al pancreas, spesso sfociando in una dolorosa infiammazione (pancreatite). Sono possibili anche danni: epatici nel caso in cui il muco funga da “tappo” al fluire della bile e questa sia costretta al ristagno in sede epatica; a carico del pancreas endocrino a causa della pancreatite; al sistema osteoarticolare a causa del minor assorbimento della vitamina D3. Patognomoniche della sindrome sono le cosiddette “dita ippocratiche” a causa del basso tenore di ossigeno nei loro tessuti La fibrosi cistica può essere diagnosticata grazie a molti metodi diversi, tra cui lo screening neonatale, il test del sudore e test genetici ‐ ‐ ‐ screening neonatale: Il test inizia con la valutazione della concentrazione sanguigna del tripsinogeno immunoreattivo. I livelli di tripsinogeno possono risultare aumentati negli individui che hanno una sola copia mutata del gene CFTR o, in rari casi, in individui con due copie normali del gene CFTR test del sudore: comporta l'applicazione di un farmaco che stimola la sudorazione (pilocarpina). Il sudore risultante viene poi raccolto su carta o in un tubo capillare e analizzato per valori anomali di sodio e cloro. Gli individui affetti da fibrosi cistica hanno alti valori di questi due elementi nel sudore test genetici: poiché lo sviluppo della fibrosi cistica nel feto richiede che ogni genitore trasmetta una copia mutata del gene CFTR e poiché il test è costoso, esso viene spesso eseguito inizialmente su di un unico genitore. Se il test rivela che uno dei genitori è un portatore del gene CFTR mutato, l'altro genitore viene testato per calcolare il rischio che i loro figli avranno la malattia. La fibrosi cistica può derivare da più di mille mutazioni differenti. Il test generico analizza il sangue per le mutazioni più comuni, la maggior parte di essi disponibili in commercio cercano 32 o meno differenti mutazioni. Se una famiglia ha una nota rara mutazione, uno screening specifico per tale mutazione può essere eseguito Il trattamento prevede: antibiotici contro le infezioni polmonari, drenaggi bronchiali per rimuovere il muco denso, reintegrazione dei nutrienti mancanti e terapia supplementare per gli enzimi pancreatici. Nuove terapie mirano a introdurre il gene CFR tramite inserimento virale Chediak Higashi: malattia autosomica recessiva rara che nasce da mutazioni nel gene CHS1 (chiamato anche LYST), localizzato sul braccio lungo del cromosoma 1, che produce una proteina che regola il traffico lisosomiale, portando ad una diminuzione della fagocitosi. La diminuzione della fagocitosi si traduce in infezioni ricorrenti, albinismo parziale e neuropatia periferica. Istologicamente parlando, la malattia è caratterizzata da grandi vescicole lisosomiali nei fagociti che hanno scarsa capacità degradativa ‐ epidemiologia: 1/250.000 nati vivi Scaricato da www.sunhope.it ‐ clinica: il soggetto presenta infezioni ricorrenti specie alle vie respiratorie, febbre, ipertrofia epato‐ spleno‐linfonodale, ittero, linfoadenopatia, albinismo oculo‐cutaneo con capelli argentati e la maggior parte dei pazienti sviluppa un progressivo deterioramento neurologico dovuto alle inclusioni citoplasmatiche nei neuroni, nella glia e nelle cellule di Schwann. Il soggetto nella seconda decade di vita va incontro a linfoproliferazione nei principali organi del corpo, conosciuta come "fase accelerata", che porta al decesso la maggior parte dei pazienti che sopravvivono alle infezioni batteriche. Il trattamento più efficace è rappresentato dal trapianto di midollo osseo Atrofia muscolare spinale: (SMA) è una malattia che colpisce le cellule nervose delle corna anteriori del midollo spinale. Generalmente è una malattia autosomica recessiva, ma esistono anche alcune forme estremamente rare ad ereditarietà autosomica dominante. La causa della malattia è una mutazione sul braccio lungo del cromosoma 5 del gene SMN (Survival Motor Neuron); la proteina prodotta codifica per la sopravvivenza dei motoneuroni. Di SMN ne esistono 2, e quello implicato nella malattia ha localizzazione telomerica (SMN1). Un altro gene coinvolto nella patogenesi della malattia è il gene definito NAIP (Proteina Inibitrice dell'Apoptosi Neuronale); sembra che grandi delezioni, coinvolgenti anche il gene NAIP, siano correlabili con la forma più grave della malattia. Ne esistono 4 forme: Tipo 1 o Acuto, a manifestazione neonatale; Tipo 2 o Cronico, a manifestazione dopo l’anno di vita; Tipo 3 o Lieve, a diagnosi pre‐adolescenziale; Tipo 4 o Adulto, a manifestazione dopo i 35 anni ‐ ‐ epidemiologia: 1/10.000 nati vivi clinica: varia di forma in forma, ma si può generalizzare dicendo che la malattia è caratterizzata da un progressivo indebolimento dell'apparato muscolare a partire dai muscoli più vicini al tronco. Frai sintomi e i segni clinici ritroviamo l'ipotonia, ipostenia, atrofia muscolare, debolezza muscolare e paralisi. Si mostrano anche disfunzioni cardiache e nella forma I si presenta spesso anche fascicolazione della lingua Atassia‐Teleangectasia ***: malattia a trasmissione autosomica recessiva; la mutazione è a carico del gene detto ATM (ataxia‐ telangiectasia mutated), mappato sul braccio lungo del cromosoma 11. ATM codifica per una chinasi (PI3K)polivalente. Quando la mutazione porta ad una perdita di funzione della fosfatidil‐inositolo‐3‐chinasi. Normalmente PI3K in seguito al riconoscimento di danno al DNA, attiva l'oncosoppressore p53; in caso di mutazione non riesce più a far sì che il DNA venga riparato ‐ ‐ epidemiologia: 1/100.000 nati vivi clinica: presenta disturbi della postura e dell'andatura, con incapacità di compiere movimenti fini e con aprassia oculomotoria, cioè con l'incapacità di seguire gli oggetti in movimento attraverso il campo visivo: il bambino ruota la testa anziché muovere gli occhi. Compaiono successivamente disturbi del linguaggio e diminuzione della capacità muscolare. Le teleangectasie sono dilatazioni dei piccoli vasi che si manifestano dapprima a livello delle congiuntive, poi si diffondono su tutta la cute. L'immunodeficienza esordisce con infezioni respiratorie che col tempo recidivano fino a portare allo sviluppo di bronchiectasie. Questi soggetti vanno spesso incontro a neoplasie, ma la terapia è difficile data l’impossibilità del paziente di riparare il DNA a seguito del danno causato dal trattamento con chemioterapia o radioterapia Scaricato da www.sunhope.it Malattie X‐linked dominanti (sono molto rare. Quando si parla di dominanza sulla X, significa che la Lyonizzazione non è capace di bloccare il cromosoma X malato e quindi la malattia si esprimerà anche sulle femmine. Per i maschi non esiste differenza dato che la X posseduta è solo 1, se la malattia è presente su quella X non c’è modo per evitarla. Genericamente sono tutte a carico del braccio corto della X. Esempi: sindrome di Rett (atassia, autismo e demenza), Aicardi (agenesia corpo calloso, microftalmia, crisi) Malattie X‐linked recessive ******** (praticamente onnipresenti se il soggetto è maschio) Distrofia muscolare ********: [marcatore diagnostico per queste distrofie (CPK)] Sia la distrofia muscolare di Duchenne che di Becker sono malattie dovute alla mutazione di un gene su uno stesso allele. La differenza è che nella distrofia di Duchenne l’allele risulterà amorfo mentre in quella di Becker risulterà ipomorfo. Il gene che codifica per la distrofina è composto da 79 esoni. Si osserva una forte predisposizione familiare ma è altrettanto comune anche la manifestazione de novo; la mutazione più frequente è una delezione che può colpire diversi tratti di quel gene ed essere più o meno influente.Poiché la patologia è trasmessa come tratto recessivo legato al cromosoma X, si manifesta prevalentemente nei maschi. La distrofina nel muscolo è localizzata sul versante citoplasmatico del sarcolemma dove interagisce con la F‐actina del citoscheletro, la struttura filamentosa di rinforzo della cellula muscolare. Inoltre è strettamente legata ad un complesso di proteine sarcolemmali conosciute come proteine legate alla distrofina (DAPs) e glicoproteine legate alla distrofina (DAGs). La mancanza della distrofina o la sua diminuita espressione conduce ad una perdita delle DAPs e alla rottura del complesso proteina‐ distroglicano il che rende il sarcolemma suscettibile alla lacerazione durante la contrazione muscolare ‐ ‐ Distrofia di Duchenne**************:incidenza di 1/3.300 nati Maschi; le femmine sono raramente sintomatiche dato che tendono a compensare tramite lyonizzazione dell’X. Alla nascita il bambino ha valori elevatissimi di enzimi sierici di provenienza muscolare. Il bambino ha difficoltà a camminare e a correre e procedendo avanti con l’età, la condizione si aggrava, costringendolo in sedia a rotelle a circa 10‐14 anni. A 35 anni il danno è massivo e il paziente muore per difficoltà respiratorie e alterazioni cardiache Distrofia di Becker (approfond genetica) *********: incidenza di 1/25.000 Maschi; le femmine sono asintomatiche o con leggerissime forme patologiche. Essa provoca debolezza e atrofia degli stessi muscoli coinvolti nella distrofia di Duchenne ma l'esordio è più tardivo, comparendo intorno ai 12 anni. L'età media alla quale viene persa la capacità di camminare è di 25‐30 anni e l'interessamento cardiaco è meno frequente; l’ammalato può anche arrivare ad un’aspettativa di vita normale se il danno genico è contenuto. In caso contrario la morte sopraggiunge in genere nella quinta decade di vita Sindrome di Morris: persone con corredo cromosomico 46,XY (a cui corrisponde un genotipo maschile) sviluppano caratteri sessuali femminili; questa condizione viene definita più correttamente sindrome da insensibilità agli androgeni, in inglese androgen insensitivity syndrome (AIS). Il recettore degli androgeni umano (AR) è una proteina codificata da un gene localizzato sul braccio lungo del cromosoma X. L'ereditarietà è tipicamente materna e segue un modello recessivo X‐linked; gli individui con un cariotipo 46, XY esprimono sempre il gene mutante poiché hanno un solo cromosoma X, mentre 46, XX sono minimamente influenzati. Circa il 30% delle volte, la mutazione di AR non è ereditata (mutazione de novo)a carico delle cellule germinali o causata da mosaicismo nelle cellule germinali. Esistono tuttavia anche la MAIS [in cui i soggetti sono Scaricato da www.sunhope.it maschi con difetti funzionali alle gonadi e ai genitali esterni] e PAIS [in cui i genitali sono solo parzialmente mascolinizzati (forma intermedia tra uomo e donna)]; la variante dipende da quanto la mutazione ha diminuito la risposta agli androgeni ‐ ‐ epidemiologia: 1/13.000 nati vivi clinica: gli individui portatori di questa sindrome sono longilinei, con un bacino stretto. I peli pubici e ascellari sono diminuiti, la mammella può presentare un capezzolo più chiaro. Non esistono organi interni femminili (né utero né ovaie), ma esiste un canale vaginale, genericamente più piccolo del normale e a fondo cieco; ritenuti nell'addome sono presenti gonadi che possono essere asportate chirurgicamente. In generale nella forma completa (CAIS) il pericolo di degenerazione tumorale è talmente basso che si tende ad aspettare ad effettuare la gonadectomia o addirittura ad evitarla. Le persone affette da questa sindrome sono dal punto di vista anatomico e legale delle donne Emofilia (trattata nella fisiopatologia dell’emostasi) Mutazioni dinamiche: costituite da sequenze nucleotidiche ripetute che si susseguono a tandem. La mutazione consiste nell’abnorme aumento di questi elementi ripetuti. Se il numero di ripetizioni è elevato, il genoma diventa instabile. Può avvenire su sequenze non codificanti o su ORF (open reading frame). Le patologie generate vengono chiamate patologie da espansioni di triplette Espansioni di triplette *********: X fragile *********: le mutazioni avvengono principalmente a carico di una tripletta CCG che diventa il “sito fragile” del cromosoma X; questa tripletta codifica per FMR‐1, che regola i processi di plasticità sinaptica e la maturazione neurale. In realtà la mutazione avviene in una sequenza non tradotta e quindi dovrebbe essere ininfluente, ma l’eccessivo allungamento della catena ne causa la metilazione che causa il silenziamento della trascrizione, con conseguente mancanza del prodotto. Se le triplette espanse sono meno di 250 si ha solo una premutazione, che presagisce alla malattia ma non la causa ‐ ‐ epidemiologia: 1/1250 nati maschi clinica: causa principalmente ritardo mentale con un Q.I. che può andare dal 20 al 70, ritardi nel linguaggio, comportamento autistico. Modificazioni della morfologia sono nelle orecchie che divengono sporgenti e nell’occasionale riscontro di prolasso della valvola mitrale Distrofia miotonica***: (o di Steinert) causata da un’espansione della tripletta CTG nel braccio lungo del cromosoma 19. Il gene colpito codifica per la DMPK (ossia Distrofia Miotonica Protein Kinasi). Se l’espansione non raggiunge le 20 triplette il soggetto è solo premutato, se arriva fino a 80 la malattia è lieve; si può arrivare ad averne anche più di 2000 e in quel caso la malattia è grave. L’espansione provoca la formazione di un mRNA che si ripiega Scaricato da www.sunhope.it a forcina, mascherando alcuni tratti genetici e non consentendo lo splicing alternativo; si esprimono solo i trascritti embrionali ‐ ‐ epidemiologia: 1/8000 clinica: danno muscolare e difetti di conduzione cardiaci; incapacità di rilassare i muscoli dopo una contrazione a freddo, il che causa fenomeno miotonico Atassia (atassia di Friedreich) *****: malattia neurodegenerativa ereditaria, a trasmissione autosomica recessiva. Si tratta della forma più comune di atassia ereditaria causata dalla deficienza di una proteina, la fratassina, che avrebbe il compito di smaltire i metaboliti del ferro nei mitocondri, causandone l’accumulo e compromettendo l’efficienza dei processi energetici all'interno del mitocondrio.L'individuo affetto ha 2 geni anomali, FRDA ‐ X25 localizzati entrambe sul braccio lungo del cromosoma 9.Un’espansione di triplette (GAA) su dati loci, impediscono l'adeguato "srotolamento" del DNA e quindi la trascrizione della fratassina, che è deficitaria ‐ ‐ epidemiologia: 1/50.000 nati vivi clinica: molto variabile: dipende essenzialmente dal livello di anomalia genetica ed è correlata all'età di insorgenza. In generale la malattia inizia a dare disturbi dell'equilibrio, per cui il soggetto affetto ha difficoltà a correre; il paziente perde progressivamente i riflessi osteotendinei agli arti inferiori, la deambulazione si fa progressivamente impacciata, iniziano a comparire disturbi della coordinazione che comportano difficoltà a scrivere, a parlare (parola scandita), a deglutire. Non raramente il soggetto si deve dotare di una sedia a rotelle. Nelle forme più acute si associa una grave cardiopatia, possibile sordità e possibile perdita della vista. Può correlarsi al diabete mellito. I pazienti genericamente vivono fino ai 40 anni Corea di Huntington **********: il termine corea indica in greco “danza”. La mutazione è a carico di una tripletta CAG, sul gene 4 nel braccio corto; il gene codifica per la Huntingtonina, proteina che se mutata si associa con la poliglutammina formando aggregati che inducono il neurone in apoptosi. Se le triplette ripetute sono massimo 39, il soggetto è in fase di premutazione ma oltre le 39 il soggetto è considerato affetto anche se la patologia non è ancora manifesta. Se il soggetto decidesse di avere un figlio, il difetto si trasmetterebbe con carattere autosomico dominante ‐ ‐ epidemiologia: 1/10.000 nati clinica: degenerazione neuronale programmata dei gangli della base causano movimenti incontrollati simili ad una danza. Altri sintomi precoci sono depressione e irritabilità Imprinting eDisomia Uniparetale *****: ‐ Disomia Uniparentale: si è accertato che una piccola parte dei geni del genoma umano presentano differenze significative nell’espressione a seconda del fatto che il suddetto gene sia stato ereditato dal corredo paterno o materno. Questo fa si che per avere un’espressione genetica corretta sia necessario che alcuni geni siano di derivazione paterna e alcuni di derivazione materna. Se per errore vengono ereditati due cromosomi solo dallo stesso genitore (Disomia Uniparentale) contenenti dati geni, si determina malattia Scaricato da www.sunhope.it ‐ Imprinting: meccanismo di regolazione genica che riguarda circa un centinaio di geni conosciuti. La differente metilazione di un determinato locus genico costituisce una sorta di "impronta", la quale impone l'espressione di uno solo dei due alleli di quel determinato locus genico, ossia quello della madre o quello del padre. Alla fecondazione lo zigote perde la metilazione in quasi tutto il genoma, i geni sottoposti ad imprinting vengono esclusi da questo fenomeno, in quanto la metilazione in questo caso è impiegata per segnalare la provenienza parentale del gene Prader‐Wili *********: la mutazione è una delezione interstiziale a carico del cromosoma 15 sul braccio lungo. Il cromosoma mutato è quello di origine Paterna oppure nel restante 25% dei casi la patologia è dovuta a disomia uniparentale materna. La regione deleta contiene le informazioni codificanti per la proteina umana necdina (NDN), coinvolta nello sviluppo di alcune funzioni del SNC. I pazienti con PWS mancano di SNRP (gene coinvolto nello splicing del pre‐mRNA), MKRN3 (codifica per una proteina zinc finger) ed NDN. Questi geni sono sempre metilati sul cromosoma materno ‐ ‐ epidemiologia: 1/12.500 nati clinica: obesità, riduzione del tono muscolare, bassa statura, ipogonadismo, difficoltà nell’apprendimento. L’obesità è il vero problema dato che questi bambini non riescono a controllare il loro bisogno di mangiare e mangiano continuamente (iperfagia). Se il soggetto non viene controllato, va incontro a morte precoce per complicanze dell’obesità (30 anni) Angelman *****: la mutazione è una delezione interstiziale a carico del cromosoma 15 sul braccio lungo. Il cromosoma mutato è quello di origine Materna, oppure nel 3% dei casi la patologia è dovuta a disomia uniparentale paterna. Il gene è UBE3A che codifica per un’ubiquitina ligasi espressa nel cervello; se il gene è mutato si ha l’impossibilità di demolire alcune proteine alterate. I luoghi che esprimono più UBE3A sono l’ippocampo e il cervelletto (che in caso di mutazione risultano più alterati di altri settori). Questi geni sono sempre metilati sul cromosoma paterno ‐ ‐ epidemiologia: 1/15.000 nati vivi clinica: epilessia, gravi difficoltà di apprendimento, andatura atassica, tremori, assenza di linguaggio, frequenti esplosioni incontrollate di riso, aspetto felice. La durata della vità non è diversa da quella di un individuo normale (definita anche happy puppet syndrome) GENETICA metodiche diagnostiche Cariotipo (analisi) *********: rappresenta l’insieme delle caratteristiche che identificano un corredo cromosomico. Comprende: il numero dei cromosomi, la loro grandezza, la lunghezza delle braccia del cromosoma e le altre caratteristiche strutturali. Per analizzarlo si usa la colchicina; questa sostanza blocca i cromosomi in metafase, consentendone la visione sull’asse centrale del fuso mitotico, mentre i cromosomi omologhi sono tenuti assieme dal centromero, successivamente la cellula si lisa e si colora in soluzione ipoosmolare. La metodica di colorazione è la colorazione a bandeggio di Giemsa che consente la visualizzazione Scaricato da www.sunhope.it dell’alternanza tra regioni ricche di A/T e C/G. Altre metodiche sono l’analisi FISH o CGH o CGH array per la visualizzazione delle sequenze in dettaglio Bandeggio Giemsa *: questa tecnica consente la visualizzazione dell’alternanza tra regioni ricche di A/T e C/G, facendo risultare il cromosoma a “bande”. Prima si bloccano con la colchicina i cromosomi in metafase, poi si lisa la cellula; successivamente si colora con blu di metilene, eosina Y e Azure‐A/B/C. Zone a prevalenza A/T risultano come bande scure, mentre zone a prevalenza C/G risultano con bande chiare. Variazioni di questa tecnica prevedono l’uso di coloranti fluorescenti FISH *************: (Fluorescent In Situ Hybridization) ai cromosomi parzialmente denaturati è fatta ibridare una sonda molecolare, costituita da una sequenza di DNA realizzata in vitro costituita da nucleotidi fluorescenti. Quando la doppia elice di DNA si separa, la sonda molecolare si lega al tratto di sequenza complementare, mostrando la fluorescenza in quella parte del cromosoma. Alterazioni della posizione della fluorescenza rispetto alla posizione attesa, indicheranno anomalia genetica CGH *********: (Comparative Genomic Hybridization) si usa per rivelare delezioni, duplicazioni o amplificazioni.La CGH sfrutta la differente competizione di legame di due DNA genomici con cromosomi metafasici non marcati e appartenenti a un soggetto sano. I due DNA genomici, che servono per ibridare i cromosomi, derivano uno da un genoma sano (che costituisce il riferimento), mentre l’altro dal genoma del paziente da esaminare. I due DNA sono marcati con due fluorocromi differenti per permetterne la successiva individuazione. L’intensità della fluorescenza è quantificata da particolari analizzatori di immagine che calcolano e confrontano i segnali emessi dal DNA campione e dal DNA di riferimento CGH Array *****: simile alla CGH, al posto di usare i cromosomi utilizza una moltitudine di sequenze di DNA fissate ad un chip, che vengono legate in maniera analoga ad altre sequenze derivate dal paziente e dal DNA di riferimento a seconda dell’affinità. L’intensità della fluorescenza riportata è quantificata da particolari analizzatori di immagine che calcolano e confrontano i segnali emessi dal DNA campione e dal DNA di riferimento Next Generation sequencing**: nuovo sistema di sequenziamento genetico. Successore del metodo di Sanger * (consisteva nel’isolare il frammento di DNA da studiare e inserirlo o in un plasmide batterico o in una PCR [reazione a catena della polimerasi], attendere che il genoma si fosse amplificato abbastanza e studiarlo), il NGS utilizza una base di vetro sul quale sono legati alcuni frammenti di DNA (frammentati con ultrasuoni) tramite adattatori nanotecnologici; quando la PCR si lega al frammento, lo duplica ma questo rimane ancorato al vetrino, conservando la sua posizione. I nucleotidi neoaggiunti sono fluorescenti, così da consentire al sistema Scaricato da www.sunhope.it operativo il riconoscimento differenziale. Da un singolo frammento di DNA si formano dei veri e propri cluster che però rimangono separati spazialmente e possono così essere esaminati. Inoltre ogni cluster è molto più abbondante di quanto servirebbe per effettuare l’esame, circa di 100 volte più abbondante; questo consente di mappare quasi il 100% delle variazioni in eterozigosi. La tecnica Next generation sequencing permette di ottenere, in sole 16 ore, un quadro completo delle anomalie genetiche e cromosomiche dell'embrione, sia quelle che interessano le malattie genetiche ereditarie, sia quelle che riguardano le alterazioni del numero dei cromosomi (aneuploidie cromosomiche) MLPA **: consente il riconoscimento di variazioni in un certo numero di copie di DNA (più di 40 distinte sequenze genomiche) mediante una reazione di PCR. Si utilizza quando si vogliono caratterizzare delezioni, duplicazioni o variazioni di copie (aneuploidie), permette anche di determinare lo stato di metilazione di promotori o regioni imprinted e mutazioni puntiformi o SNPs *. Si preparano due sonde molecolari per ogni variazione che si intende studiare; queste sonde sono costituite da oligonucleotidi composti da 2 parti, una sequenza di riempimento complementare al gene/mutato che si intende studiare ed una complementare ad un primer. Dopo che le sonde si sono fissate, una ligasi le connette le due sonde, consentendo una reazione di amplificazione della PCR che però non avviene se la distanza tra le due sonde è troppo grande. Richiede 20ng come minima quantità di DNA genomico duotest, tritest *** ‐ ‐ duotest: test di screening biochimico, basato sul prelievo di un piccolo campione di sangue materno in cui si vanno a dosare due sostanze di origine placentare, rispettivamente chiamate β‐HCG (frazione beta libera della gonadotropina corionica) e PAPP‐A (proteina plasmatica A associata alla gravidanza). Nei casi di trisomia 21, durante il primo trimestre la concentrazione sierica della frazione β‐hCG è più elevata rispetto alle gravidanze con feto normale, mentre la PAPP‐A risulta inferiore alla norma. Quindi, al diminuire della PAPP‐A e all'aumentare della β‐HCG, sale il rischio che il feto sia interessato dalle suddette malattie cromosomiche. Questo test riscontra un’effettiva Sindrome di Down 9 volte su 10 tritest: test di screening condotto su un campione di sangue venoso materno allo scopo di quantificare il rischio di anomalie cromosomiche nel feto grazie a tre markers biochimici: l'alfafetoproteina, l'estriolo non coniugato e la gonadotropina corionica umana.L'interpretazione dei risultati del tri test, in relazione all'età e ad altre caratteristiche della madre (peso, fumo, razza, diabete ecc.), permette di quantificare il rischio di dare alla luce un bambino affetto da anomalie cromosomiche, come la sindrome di Down. Se tale rischio risulta maggiore di un certo valore soglia (> 0,4%), viene quindi suggerita l'esecuzione dell'amniocentesi, che permette di escludere o confermare il sospetto clinico. In presenza di Sindrome di Down l’Alfafetoproteina diminuisce di circa il 25‐30%, mentre aumenta in maniera significativa quando sono presenti difetti del tubo neurale o della parete addominale. Pertanto, quando il valore dell'alfafetoproteina è particolarmente elevato, l'esame diagnostico di approfondimento non è l'amniocentesi ma l'ecografia.L’estradiolo non coniugato diminuisce di circa il 25 ‐ 30% in caso di sindrome di Down. La gonadotropina corionica umananella Sindrome di Down aumenta, raggiungendo valori circa due volte superiori rispetto alla norma. Questo test riscontra un’effettiva Sindrome di Down 7 volte su 10 Scaricato da www.sunhope.it Translucenza nucale: test di screening che valuta il rischio di anomalie cromosomiche durante i primi stadi di vita fetale. Statisticamente parlando, l'interpretazione dei risultati della translucenza nucale permette di identificare il 75‐80% dei feti colpiti da sindrome di Down, con una percentuale di falsi positivi del 5‐8%. La translucenza nucale consente anche di quantificare la probabilità che il feto sia portatore di alcune malformazioni scheletriche e cardiache. Gli ultrasuoni dell’ecografia vengono variamente riflessi dai tessuti in relazione alla loro densità, quindi captate dalla stessa sonda che le ha generate, convertite in un segnale elettrico ed elaborate da un calcolatore per fornire immagini dei tessuti esaminati. Nella regione posteriore del collo fetale esiste un'area che non riflette gli ultrasuoni, quindi anecogena e translucente; in questa zona troviamo un piccolo accumulo fisiologico di liquido fra la cute ed i tessuti paravertebrali sottostanti. La raccolta di questo fluido inizia a comparire intorno alla 10a settimana di gravidanza ed aumenta di spessore nelle settimane successive, per poi diminuire fino ad annullarsi dopo la 14° settimana. In linea generale, maggiore è lo spessore della translucenza nucale e maggiore è il rischio che il feto sia affetto da anomalie cromosomiche (in particolare da sindrome di Down e meno frequentemente da trisomia 13 o 18). Nonostante ciò, l'incremento della translucenza nucale non è sempre correlato a patologie, ma può essere un evento momentaneo; inoltre, quando ha significato patologico può anche essere presente in assenza di difetti cromosomici, ad esempio a causa di cardiopatie, displasie scheletriche. La misurazione ecografica è eseguita per via transaddominale o transvaginale; dato che il feto deve essere visionato in determinate posizioni, si chiede alla paziente di tossire per indurre il movimento del feto. Si esegue tra la 11a e la 14a settimana di gravidanza Duotest, Tritest e Translucenza nucale consentono di individuare alterazioni fetali correlate a questi test nel 95% dei casi, contro i 99% dell'amniocentesi Amniocentesi: L'amniocentesi consiste nel prelievo per via transaddominale di una piccola quantità del liquido amniotico, che avvolge e protegge il feto durante la crescita e il suo sviluppo. È una procedura medica mini‐invasiva, utilizzata prevalentemente per la diagnosi prenatale di anomalie cromosomiche, infezioni ed alterazioni dello sviluppo fetale, come ad esempio la sindrome di Down. Il liquido amniotico contiene infatti delle cellule, dette amniociti, che provengono direttamente dal feto; una volta isolate, tali cellule possono essere moltiplicate ed utilizzate in laboratorio per analisi citogenetiche e/o molecolari.Di regola, l'amniocentesi viene eseguita a partire dalla 15a settimana di gravidanza, quando la cavità amniotica ha raggiunto dimensioni tali da non costituire rischi particolari per il feto durante l'esame. Se la gestante è idonea all'esame ‐ che è ad esempio controindicato in presenza di febbre od altre infezioni in atto ‐ la pelle dell'addome viene disinfettata con una soluzione antisettica. Sotto costante guida ecografica, si infila un ago attraverso la cute che ricopre la sottostante cavità uterina, allo scopo di raggiungere la cavità amniotica e prelevare circa 15 ml dell'omonimo liquido. Si consideri che alla 14esima settimana di gestazione tale liquido occupa un volume di circa 100 ml, che sale a 150‐200 ml 15/30 giorni più tardi e a 500 ml intorno alla ventesima settimana. Il monitoraggio ecografico, innocuo, permette di controllare la posizione del feto e quella dell'ago, minimizzando il rischio di complicanze. Una piccola parte di liquido amniotico viene utilizzata per eseguire test biochimici diretti, mentre dalla rimanente vengono isolate le cellule fetali, successivamente coltivate per ottenere un campione numerico sufficiente alla valutazione del cariotipo; l’amniocentesirichiede fino a tre settimane per la refertazione di laboratorio. L'esame dura pochi minuti e non richiede il ricovero ospedaliero; al termine dell'amniocentesi è comunque necessario rimanere per 30‐ Scaricato da www.sunhope.it 60 minuti nel centro sanitario. Nei 2/3 giorni successivi all'esame è bene astenersi da attività fisiche pesanti. L'amniocentesi presenta una certa percentuale di rischio abortivo di 0,06% Villocentesi: tecnica diagnostica invasiva, basata sull'aspirazione di villi coriali sotto controllo ecografico; presentando feto e villi coriali la stessa origine embrionale, ossia essendo derivati dallo zigote, i cromosomi dei villi coriali sono gli stessi contenuti nelle cellule fetali, ed il loro studio permette di diagnosticare anomalie cromosomiche del feto (tra cui la sindrome di Down) e svariate malattie genetiche (fibrosi cistica, sindrome dell'X fragile, sordità). Si esegue per via addominale o vagino‐cervicale. Nella villocentesi transaddominale, dopo aver identificato il punto più idoneo, si sterilizza la cute circostante; il campione coriale viene quindi aspirato sotto guida ecografica continua. Nella villocentesi transcervicale, il materiale coriale viene aspirato per mezzo di un catetere flessibile di polietilene, fatto passare attraverso il collo dell'utero, sotto controllo ecografico. Il prelievo dei villi coriali si esegue in ambulatorio e non richiede ospedalizzazione. L’aumento del rischio abortivo è correlato all’aumento dell’età materna e va dallo 0,5 al 3%. Per evitare fenomeni di incompatibilità materno fetale, con conseguente malattia emolitica del neonato, nelle gestanti non immunizzate Rh negative con partner Rh positivo, dev'essere eseguita una profilassi con immunoglobuline anti‐D Cordocentesi: La cordocentesi è una procedura diagnostica invasiva, basata sul prelievo di circa 1‐3 ml di sangue fetale tramite puntura del cordone ombelicale. L'esame inizia con un controllo ecografico preliminare, necessario per accertare la vitalità fetale, l'epoca gestazionale e la via d'accesso migliore al cordone ombelicale. Questa operazione si attua se la placenta è collocata nella parte anteriore dell’utero e non è percorribile quando la placenta è posteriore o laterale o se si interpongono parti fetali. Si esegue sotto stretto controllo ecografico ad alta risoluzione, per via transaddominale (puntura dell'addome materno, preventivamente disinfettato, talvolta in anestesia locale). La puntura si effettua preferibilmente sulla vena ombelicale. Terminato il prelievo, il feto viene sottoposto ad un ulteriore controllo ecografico.La maggiore invasività della cordocentesi rispetto alle altre metodiche di diagnosi prenatale diretta, ne consiglia l'esecuzione in regime di day‐hospital. La funicolocentesi viene eseguita tra la 20a e la 22a settimana, termine ultimo concesso dalla legge per l'interruzione volontaria di gravidanza. Il tasso di abortivitàintorno al 3%è leggermente superiore alle altre metodiche di diagnosi prenatale invasiva. tipiche indicazioni alla cordocentesi sono rappresentate da: ‐ ‐ necessità di un accertamento rapido del corredo cromosomico fetale (5 ‐ 7 giorni) per procedere ad un'eventuale interruzione di gravidanza entro i termini consentiti dalla legge fallimento di coltura dell'amniocentesi, che in media si verifica in 2 casi ogni 1000 prelievi Soft markers: L’ecografia genetica è un esame ecografico che viene eseguito a 16‐18 settimane per la ricerca dei soft markers per la sindrome di Down. I “soft markers” sono dei segni ecografici, che possono essere associati alla sindrome di Down, ma si trovano molto spesso anche nei feti sani. Il rischio di sindrome di Down viene calcolato partendo dal rischio per età che viene modificato, moltiplicandolo per un fattore, che è diverso a seconda del marker (presenza di focus iperecogeno cardiaco, dilatazione renale pelvica, intestino Scaricato da www.sunhope.it iperecogeno, cisti dei plessi corioidei, femore corto, plica nucale inspessita, ossa nasali ipoplastiche, arteria ombelicale unica). Viceversa, l’assenza dei markers sotto elencati riduce il rischio di circa la metà. ‐ ‐ ‐ ‐ ‐ ‐ ‐ ‐ Focus iperecogeno cardiaco (Golf ball): si evidenzia ecograficamente come un’area iperecogena (cioè più bianca), solitamente all’interno del ventricolo sinistro del cuore. Esso origina dalla calcificazione di uno dei muscoli papillari del cuore. Il focus iperecogeno non è una malformazione del cuore e non compromette in alcun modo la funzionalità cardiaca Dilatazione renale pelvica: consiste nella dilatazione della pelvi renale, quella struttura che convoglia l’urina dal rene fetale verso l’uretere. Una dilatazione superiore ai 5mm pone l’indicazione per una valutazione dettagliata dell’anatomia fetale Intestino iperecogeno: l’intestino appare più bianco o “iperecogeno”. Può avere molteplici cause Cisti dei plessi corioidei: ecograficamente si osserva la presenza di aree anecogene (ovvero più scure) all’interno dei plessi corioidei. La presenza delle cisti dei plessi corioidei non costituisce una malformazione e non ha alcun significato per il benessere e lo sviluppo del bambino che nascerà Femore corto: ecograficamente, la misura della lunghezza del femore cade al di sotto del 5°centile. Le cause di femore corto sono molteplici: costituzionale, sindrome di Down, ritardo di crescita, displasia scheletrica Plica nucale inspessita (>6mm): consiste nella misurazione della cute dietro al collo del bambino. La sua presenza aumenta il rischio di sindrome di Down. La sua presenza, anche se isolata, è un’indicazione all’esecuzione del cariotipo fetale Ossa nasali ipoplastiche: il riscontro di ossa nasali assenti o ipoplastiche rappresenta da solo una indicazione all’esecuzione del cariotipo fetale, e può essere indicativo di alcuni tipi di displasie scheletriche Arteria ombelicale unica: normalmente nel cordone ombelicale ci sono tre vasi, due arterie ed una vena. Nel caso dell’arteria ombelicale unica, nel funicolo ci sono solo due vasi NIPT: (non invasive prenatal test) è un nuovo tipo di test estremamente sensibile per le aneuploidie più comuni (più del duotest). Il NIPT si basa sulla presenza nel sangue materno di cellule provenienti dalla placenta, che ha lo stesso corredo cromosomico del feto: tramite un prelievo di sangue queste cellule vengono individuate, separate da quelle materne e moltiplicate. Successivamente ne viene studiato il cariotipo, permettendo così di individuare la presenza di anomalie cromosomiche con una precisione del 98,6%: si tratta comunque di un test di screening, il cui risultato deve essere confermato con un test diagnostico come l’amniocentesi. Uno dei limiti del test è però rappresentato dalle gravidanze gemellari: qualora sia presente più di un feto, infatti, il NIPT può determinare l’anomalia ma non può stabilire con esattezza a quale feto essa sia associata. Il NIPT rimane comunque un test molto costoso Test OLA‐PCR *: [Oligonucleotide Ligation Assay (OLA)‐PCR] test nato per individuare i portatori sani del gene della FC. Esistono numerosissime mutazioni (oltre 900) che causano la FC; molte di esse sono rare, molte altre ancora sconosciute. Generalmente, il test genetico viene eseguito tenendo conto di 31‐200 mutazioni (a secondo del tipo di analisi effettuata), scelte fra le più frequenti nell'area geografica in questione e che nel complesso permette di identificare circa 90 per cento dei portatori. Il test genetico non è in grado di identificarle tutte, ma può evidenziarne circa 100. Il gene responsabile della malattia è stato identificato e localizzato sul cromosoma 7. Il gene codifica per una proteina chiamata CFTR (Cystic fibrosis transmembrane regulator). La proteina CFTR ha un ruolo importante nel regolare la quantità di cloro che Scaricato da www.sunhope.it viene secreto insieme ai liquidi biologici. Nei pazienti affetti da FC il gene della CFTR è alterato, in genere a causa di mutazioni puntiformi. L’analisi presenta varie fasi: ‐ ‐ ‐ ‐ inizialmente una reazione enzimatica di amplificazione del DNA, conosciuta come Polymerase Chain Reaction (PCR), che consente di amplificare in vitro una specifica regione della molecola, copiandola fino ad ottenerne milioni di copie successivamente si usano 2 sonde: le prime sono sonde specifiche sia per la sequenza normale che mutata e presentano dei modificatori di mobilità di diversa lunghezza, per favorire la separazione in una corsa elettroforetica; ilsecondo tipo sono sonde fluorescenti complementari alla sequenza adiacente alla mutazione in esame (che dovrebbe rimanere sempre “normale” “invariata”) una ligasiunisce la sonda fluorescente alla sonda specifica adiacente La visualizzazione dei risultati avviene mediante elettroforesi capillare: la fluorescenza si troverà in diversi punti della piastra elettroforetica a seconda del fatto che il gene sia normale o mutato (la differenza di migrazione è data dalle sonde specifiche, grazie ai modificatori di mobilità) Studio di associazione genome‐wide (GWA): è un'indagine di tutti, o quasi tutti, i geni di diversi individui di una particolare specie per determinare le variazioni geniche tra gli individui in esame. In seguito si tenta di associare le differenze osservate con alcuni tratti particolari, ad esempio una malattia. Questi studi normalmente mettono a confronto il DNA di due gruppi di persone: gli individui che presentano la malattia e individui sani il più possibile simili ai malati. Vengono prelevati dei campioni cellulari, ad esempio con un tampone orale. Da queste cellule viene estratto il DNA che è poi analizzato tramite un microarray, individuando SNP marcatori di gruppi di variazioni geniche. Se alcune variazioni genetiche sono significativamente più frequenti negli individui malati, allora le variazioni si dicono "associate" con la malattia. La maggior parte degli SNP associati con la malattia non sono in una regione genica adibita alla codifica di una proteina. Queste sequenze probabilmente svolgono un'attività di regolazione genica TUMORI Iperplasia: proliferazione anormale di cellule che comunque non subiscono alterazioni genetiche. Può essere fisiologica o patologica; può essere di causa ormonale o compensatoria. In alcuni casi, può costituire un fattore predisponente per l’insorgere di neoplasie Metaplasia: modificazione reversibile di un dato tipo cellulare che viene sostituito da un altro tipo cellulare avente la medesima differenziazione ontogenetica. La variazione nell'espressione fenotipica non è da relazionarsi con una variazione genotipica, ma con una differente espressione genica indotta da una variazione nella stimolazione ambientale. Il processo metaplasico produce un danno funzionale dovuto alla perdita delle caratteristiche tipiche di quel tessuto. L'eccessiva esposizione a stress dei tessuti metaplasici può dare origine ad alterazioni nella replicazione con danno genomico che possono dar luogo alla formazione di neoplasie Scaricato da www.sunhope.it Displasia: si intende l'anormale sviluppo cellulare di un organo o tessuto, consistente generalmente in una perdita dei meccanismi di controllo con sostituzione del tipo cellulare residente con un altro tipo regionale. Data la modificazione genetica, è definita come un'alterazione inequivocabilmente neoplastica, che può precedere o essere associata ad una neoplasia Invasività neoplastica (meccanismi)****: una neoplasia è un tessuto vero e proprio, costituito sia da cellule normali che da cellule tumorali. Tra la neoplasia e le cellule normali avviene un intenso “dialogo molecolare” sia autocrino che paracrino, indirizzato alla secrezione di determinati fattori di crescita e sopravvivenza tumorale. Le cellule non mutate che maggiormente partecipano nella genesi del tumore sono i fibroblasti e le cellule infiammatorie (macrofagi associati al tumore, cellule dendritiche, linfociti, neutrofili, eosinofili e mastociti). Le tappe che consentono l’invasività delle cellule tumorali sono diverse: ‐ ‐ adesività e motilità cellulare:ci sono 5 famiglie di molecole coinvolte nei fenomeni di adesione cellulare: Caderine, Integrine, Selectine, IgSFCAM, Recettori della famiglia di CD44. Le Caderine, di cui la E‐caderina è il membro rappresentativo più importante, sono proteine coinvolte nell’adesione intercellulare. La E‐caderina si associa intracellularmente con degli adattatori chiamati Catenine, che sopperiscono la sua mancata capacità di dare origine da sola a eventi di trasduzione del segnale. La E‐caderina nello specifico si lega: (1) alla beta‐Catenina[aumenta le capacità invasive della cellula agendo sulla trascrizione genica] che aggancia la alfa‐Catenina[agisce sull’actina citoscheletrica modulando i processi di motilità cellulari] e (2) alla Catenina‐p120. Le Selectine sono molecole coinvolte nell’adesione cellulare primaria e mediano un processo di “rolling” o rotolamento sull’endotelio vasale anche per le cellule neoplastiche. Le più importanti sono la E‐selectina endoteliale (lega SLeX), P‐selectina endoteliale (lega SLex) ed L‐selectina (lega CD34, GlyCAM‐1 e MadCAM‐1).Le Integrine composte da una struttura dimerica alfa‐beta, sono molecole coinvolte nell’adesione stabile delle cellule all’endotelio, nella proliferazione cellulare, nel differenziamento. Le più famose integrine endoteliali sono LFA‐1 endoteliale (lega ICAM‐1), VLA‐4 endoteliale (lega VCAM‐1) e Mac‐1 endoteliale (lega ICAM‐1). Le IgSFCAMsi legano fra loro e con altre molecole quali le integrine. Sono divise in 5 sottoclassi, ossia: le ICAM [molecole d’adesione intercellulare], le VCAM [molecole d’adesione vascolare], PECAM [molecole d’adesione piastrinico‐ endoteliale], L1 e CECAM [molecole d’adesione correlate all’antigene CEA (inibisce il differenziamento portando a perdita di adesione tra le cellule). I recettori della famiglia di CD44 [si legano all’Ankyrina e all’Ezrina, consentendo il controllo della motilità cellulare; promuovono inoltre la sopravvivenza cellulare] angiogenesi tumorale: processo mediante il quale il tumore si procura più ossigenazione e nutrienti per soddisfare la sua alta richiesta metabolica. I processi considerati sono 2: l’angiogenesi [formazione di strutture vascolari nuove a partenza da vasi preesistenti] e vasculogenesi [costruzione di capillari a partire da precursori endoteliali indifferenziati]. L’angiogenesi è un processo che si svolge a tappe: (1) la degradazione della membrana basale endoteliale mediata dalle MMP con mobilizzazione del vaso (2) un aumento di permeabilitàe perdita di connessioni tra le cellule endoteliali mediata dall’angiopoietina‐2 Ang‐2 (3) la proliferazione e migrazione delle cellule endoteliali, stimolata da fattori quali VEGF e bFGF che sono liberati nei tessuti soggetti a ipossia. Infatti la loro trascrizione è opera di fattori trascrizionali indotti dall’ipossia, HIF‐1 e HIF‐2. Il fattore VEGF‐C è il principale promotore della linfoangiogenesi tumorale; i recettori coinvolti nell’angiogenesi possono associarsi a proteine chiamate neuropiline NP1 e NP2, che ne amplificano il segnale (4) infine vi è la ricostruzione della membrana basale Scaricato da www.sunhope.it ‐ ‐ degradazione della matrice extracellulare:la cellula tumorale produce diverse proteasi attive sulla matrice extracellulare, tra le quali MMP, serina proteasi e catepsine. Lo scopo è quello di penetrare la barriera costituita dalla membrana basale. Le MMP sono segno di prognosi peggiore. MMP‐2 e MMP‐9 sono adibite alla degradazione dei componenti della membrana basale quale il collagene di tipo 4 e la fibronectina, funzionando in sinergia con MT‐MMP; MMP‐7 degrada la E‐caderina [inibitori delle MMP sono le TIMP] rimodellamento della matrice extracellulare peritumorale:le cellule tumorali rilasciano PDGF che stimola i fibroblasti a secernere fattori trofici per il tumore, quali IGF‐1. Questo loop paracrino stimola i fibroblasti a produrre metalloproteinasi (MMP), proteine non collageniche (quali laminina e tenascina)e collageniche (quali il collagene di tipo 4), che rimodellano il tessuto, aumentando le possibilità di metastatizzazione. Un esempio di rimodellamento è dato da una reazione desmoplastica, ossia la crescita di tessuto fibroso o connettivo secondaria ad un insulto. Questa reazione può avvenire attorno a una neoplasia, causando una densa fibrosi intorno al tumore. Solitamente è associata solo con neoplasie maligne, in grado di evocare una fibrosi che invade i tessuti sani Transizione epiteliale‐mesenchimale (EMT) e transizione mesenchimale‐epiteliale (MET) ***: meccanismo molecolare che consente alle cellule tumorali epiteliali di variare il loro fenotipo per potersi diffondere nei tessuti. Le cellule che preferenzialmente possono andare incontro a questa trasformazione sono le CSC (cancer stem cell) o cellule staminali tumorali. La transizione epiteliale‐mesenchimale è stimolata da alcuni fattori quali EGF, FGF, HGF e TGF‐beta (iporegola la sintesi di E‐caderine stimolando il distacco cellulare) e da alcuni eventi quali l’infiammazione. La cellula va incontro a fenomeni riorganizzativi citoscheletrici che le consentiranno il movimento, aumenta la sintesi di molecole quali vimentina (offre flessibilità alle cellule, fornendo loro una resistenza assente nella rete dei microtubuli e dell'actina, in condizioni di stress meccanico), fibronectina ed enzimi litici che degradano la membrana extracellulare. La transizione mesenchimale‐epiteliale invece prevede che le cellule neoplastiche, una volta approdate nel sito interessato, riacquistino le caratteristiche epiteliali (come la sintesi di E‐caderine) che consentono loro di ri‐aderire saldamente ad un tessuto e formare una struttura simile al tumore di partenza Metastasi, vie metastatiche***********************************: per metastasi si intende la disseminazione spontanea di cellule neoplastiche che, distaccatosi dalla sede del tumore primitivo, raggiungono con varie modalità uno o più siti distanti da quello di origine e li colonizzano, formando una nuova localizzazione neoplastica. I tumori benigni non possono mai metastatizzare in quanto non riuscirebbero a sopravvivere in un organo diverso da quello in cui si sono originati. Solo una piccola quantità di cellule che sono riuscite a passare nel sangue si dimostrano capaci di attecchire in altri distretti. A causa dell’instabilità genotipica delle cellule tumorali queste, anche se originate da un’unica cellula (tumore monoclonale), possono dare origine a cellule con genotipo molto diverso e diverse capacità. Le modalità di diffusione metastatica sono: ‐ per contiguità: la metastasi si sviluppa sulla superficie di un organo limitrofo alla sede del tumore e la diffusione è data dal semplice sconfinamento di un tumore in altri tessuti/organi circostanti. Esempio di questo è il tumore alla testa del pancreas che si può diffondere al fegato o i tumori trasportati da cause iatrogene Scaricato da www.sunhope.it ‐ ‐ ‐ ‐ ‐ per via celomatica: la metastasi diffonde nella cavità sierosa di dati distretti anatomici. La modalità di diffusione coinvolge il plasminogeno che viene trasformato in plasmina da cellule tumorali presenti sulla superficie di un organo contenuto nella cavità celomatica; così facendo le metastasi diffondono nella cavità e possono attecchire ad altri organi intracelomatici. Esempio di questo sono i carcinomi gastrici/intestinali che si diffondono all’ovaio per via linfatica:la via in assoluto più caratteristica dei carcinomi. I vasi linfatici a causa della loro scarsità di giunzioni hanno una membrana basale non continua. Le cellule tumorali sono attirate dalla chemochina CCL‐21, presente sulle cellule endoteliali dei vasi linfatici, dato che posseggono il recettore complementare CCR‐7. Le cellule metastatiche inoltre producendo fattori come VEGF‐C e VEGF‐D, promuovono la linfoangiogenesi, e producendo VEGF‐R3, incrementano il diametro dei vasi esistenti, accentuando la diffusione. Se le cellule neoplastiche raggiungono il linfonodo, possono sia proliferare, sia andare incontro a degenerazione, sia restare in uno stato di latenza per via ematica: caratteristica di sarcomi e carcinomi. La cellula tumorale, secernendo fattori angiogenici, si “costruisce” una personale rete vascolare costituita da due tipologie possibili di vascolarizzazione: vascolarizzazione periferica [costituito da grandi tronchi arteriosi che circondano il tumore e vi gettano vasi all’interno] o vascolarizzazione centrale [costituito da un grande tronco arterioso che penetra al centro della neoplasia e getta rami che si dirigono verso la periferia]. Penetrate nei vasi, le cellule si diffondono grazie alla corrente sanguigna, si depositano in diverse zone del corpo e proliferano. Questa è l’ipotesi di “maggiore funzionalità” della cellula considerata; infatti, diverse metastasi non riescono a fuoriuscire dal flusso sanguigno, morendovi dentro; altre cellule che invece riescono a penetrare l’endotelio vasale e a portarsi al di fuori del vaso stesso, ma non riescono a crescere, dando luogo a micrometastasi “quiescenti”. Il processo vero e proprio di diffusione ematica, dall’ingresso nel torrente fino all’uscita da questo, può essere così schematizzato: invasione tissutale e penetrazione ematica (già descritto), circolazione delle cellule neoplastiche nel flusso, adesione alle cellule endoteliali[lavoro svolto sia dalle selectine E e P degli endoteli, sia dalle integrine della famiglia CAM come ICAM e NCAM (che si legano a lectine cellulari)], penetrazione nell’endotelio [può avvenire con 2 modalità: o gli pseudopodi della cellula tumorale vengono spinti all’interno delle giunzioni cellulari dell’endotelio o fattori secreti inducono la retrazione delle cellule endoteliali, liberando il passaggio]e digestione della membrana basale con extravasazione [la digestione avviene ad opera di metalloproteasi MMP, catepsina D e l’attivatore del plasminogeno che tramite idrolisi riescono ad aprire un varco tra la membrana basale] per via canalicolare: la metastasi diffonde attraverso il dotto escretore della ghiandola in cui il tumore si è originato. Esempio costituito dall’adenocarcinoma della pelvi renale che può dare metastasi alla vescica urinaria per via subaracnoidea: caratteristico dei tumori maligni cerebrali, che di solito non diffondono mai all’infuori del sistema nervoso Classificazione dei tumori e stadiazione *************: Valutazione del Grading (o Grado) di differenziazione tumorale (per i tumori epiteliali): ‐ ‐ ‐ ‐ G1: tumore costituito da cellule ben differenziate, indicante assenza di malignità e crescita lenta G2: tumore costituito da cellule con differenziazione intermedia, con crescita relativamente rapida e possibile malignità G3: tumore costituito da cellule scarsamente differenziate, a crescita rapida e malignità accertata G4: tumore costituito da cellule indifferenziate, a crescita estremamente rapida e così alta malignità da compromettere notevolmente la sopravvivenza del paziente Scaricato da www.sunhope.it ‐ GX: tumore costituito da cellule con grado di differenziazione non definibile Stadiazione di un tumore e sistema TNM: la stadiazione indica il grado di sviluppo di un tumore e la sua possibile diffusione. T sta per “Tumore” e indica le dimensioni del tumore; N indica il quantitativo di “linfoNodi” coinvolti; M indica l’eventuale presenza di “Metastasi” a distanza Tumore: la classificazione varia a seconda del distretto corporeo colpito ‐ ‐ ‐ T0: indica un tumore primario sconosciuto, identificato solo dalle metastasi TX: indica la mancanza di requisiti per definire un tumore primario Tis: indica un carcinoma in situ linfoNodi: indica il coinvolgimento progressivo di più linfonodi interessati ‐ ‐ ‐ ‐ ‐ N0: assenza di interessamento linfonodale N1: fino a 3 linfonodi interessati N2: fino a 10 linfonodi interessati N3: più di 10 linfonodi interessati NX: mancanza dei requisiti per valutare lo stato dei linfonodi sentinella Metastasi: indica l’eventuale presenza di metastasi a distanza ‐ ‐ ‐ M0: indica l’assenza di metastasi M1: indica la presenza di metastasi MX: indica l’impossibilità di accertare la presenza di metastasi Esempi tumori per tessuto: Tumori del tessuto epiteliale: ‐ Benigni: ne esistono di diverse tipologie, di cui i più diffusi sono i polipi e i papillomi. Entrambi sono costituiti da una parte stromale centrale formata da connettivo che avvolge alcuni vasi sanguigni, linfatici e nervi, il tutto rivestito da cellule epiteliali. La differenza tra i 2 tipi sta nel fatto che il polipo è una struttura cilindrica/sferoidale a carattere singolo, mentre il papilloma ha un’unica radice ma diverse ramificazioni ‐ Maligni: genericamente chiamati carcinomi, microscopicamente hanno aspetto irregolare, margini sfrangiati che si insinuano nel tessuto sano circostante, assumendo varie forme, dal nodulo all’ulcera. Le due tipologie più note sono il carcinoma basocellulare (cellule simili allo strato basale dell’epidermide; ha l’aspetto di una piccola area tondeggiante di cute rilevata e traslucida o di una papula; tende ad ulcerare e diffondersi radialmente) e il carcinoma spinocellulare (insorge sia su cute che su fasi di transizione cute/mucosa; ha l’aspetto di una protuberanza sferoidale, dura; accrescendosi diventa ulcerata e sanguinante Scaricato da www.sunhope.it Tumori dell’epitelio ghiandolare: ‐ ‐ Benigni:sono chiamati adenomi. Tendono a riprodurre abbastanza fedelmente il loro tessuto ghiandolare d’origine. Una delle forme più diffuse di questi tumori è il fibroadenoma, diffuso nelle giovani donne; a sede mammaria, si associa ad uno sviluppo del connettivo stromale Maligni: sono chiamati adenocarcinomi, possono avere un buon grado di differenziazione e riprodurre il tessuto ghiandolare d’origine o avere una scarsa differenziazione e presentarsi in forma di aggregati cordonali/insulari Tumori del tessuto connettivo: ‐ ‐ Benigni: prendono il nome del tessuto di origine più il suffisso ‐oma; il loro aspetto non si discosta rispetto al tessuto originario Maligni: prendono il nome del tessuto di origine con suffisso ‐sarcoma; possono sia avere un buon grado di differenziazione e ricostruire le caratteristiche del tessuto d’origine (vengono chiamati blastici in questo caso) o possedere uno scarso grado di differenziazione e generare tessuti diversi a quelli di partenza (chiamati in questo caso anaplastici) Tumori dei tessuti ematopoietici: se prendono origine dalle cellule progenitrici del midollo osseo, sono definiti leucemie; se prendono origine dai linfociti già maturi vengono detti linfomi Leucemie: hanno un’origine monoclonale; sono caratterizzati sia dall’abnorme proliferazione, sia dal blocco maturativo delle cellule ‐ ‐ ‐ Leucemie linfoidi: derivano dalla trasformazione neoplastica del progenitore dei linfociti T e B; divise in acute e croniche Leucemie mieloidi: derivano dai progenitori della linea monocitica/megacariocitica/granulocitica; divise in acute e croniche Eritroleucemie: derivano dai progenitori della linea eritroide Linfomi: si dividono in 2 gruppi principali, Hodgkin (presenza istologica di cellule multinucleate) e non Hodgkin ‐ Tumori plasmacellulari: ampio gruppo di tumori, derivati da una plasmacellula che ha subito trasformazione neoplastica. Sono tumori che secernono anticorpi Tumori del sistema melanoforo: ‐ ‐ Benigni: tra i più diffusi troviamo i nevi (o nei). Se congeniti, sono più propriamente definiti “amartomi”, ossia neoformazioni risultanti dall’accumulo di tessuti di varia origine embrionale. Sono così diffusi da essere considerati come condizione fisiologica Maligni: prendono il nome di melanomi; si identificano grazie ai contorni e colore irregolari, alla dimensione superiore a 7 mm, alla capacità espansiva in tutte e 3 le direzioni spaziali e dalla velocità dell’espansione Tumori di origine placentare/embrionale: si originano da cellule che normalmente non dovrebbero più essere presenti nel corpo adulto. Alcuni derivano dal trofoblasto (corionepitelioma), altri da cellule embrionali pluripotenti come il teratoma*. I teratomi possono essere sia benigni che maligni e insorgono preferenzialmente nell’ovaio e nel testicolo; presentano genericamente strutture ben differenziate, come cartilagini, ossa, pelle, annessi cutanei Tumori del sistema nervoso: non è sempre possibile ascrivere caratteristiche di benignità e malignità. I tumori maligni, metastatizzano soltanto nel SNC, senza diffondere al resto del corpo. Il SNC tuttavia è spesso sede di metastasi. C’è una netta distinzione strutturale tra quelli del SNC e del SNP. I più importanti Scaricato da www.sunhope.it sono: i gliomi (astrocitomi*, oligodendrogliomi, ependimomi), i tumori scarsamente differenziati, i meningiomi Proteinuria di Bence‐Jones:le cellule “B tumorali” producono e rilasciano nel sangue un eccesso di catene leggere delle immunoglobuline, che attraversano il filtro renale finendo nelle urine. Serve a fare diagnosi di uno specifico tipo di mieloma multiplo o sindrome di Waldenstrom (tumore plasmacellulare). In parte le catene vengono riassorbite al livello dell’epitelio tubulare, danneggiandolo Cancerogenesi chimica *****: per definizione, una sostanza si definisce cancerogena quando è capace di consentire la formazione di tumori, interagendo con il DNA (in maniera diretta o indiretta) in modo da mutarne la struttura, accentuandone anche l’espressione. Esistono 3 classi di cancerogeni: cancerogeno acclarato (effetto confermato di cancerogenicità sull’uomo), cancerogeno animale non verificato sull’uomo (verificato su animali da laboratorio, ma senza aver conferma di casi umani) e cancerogeno sospettato (possibile cancerogeno, ma occorre ancora verifica sugli animali da laboratorio). Per indurre trasformazione cancerosa non basta un singolo contatto con l’agente, anche se questo è ad alte dosi, ma è necessario un contatto più prolungato e a dosi ridotte. Se insorge una lesione precancerosa a seguito dell’esposizione ad una sostanza e questa sostanza viene allontanata, si assisterà alla regressione della lesione; la cellula della lesione in contesto resterà comunque “più predisposta” delle altre cellule ad originare un tumore, e una successiva ri‐esposizione avrà effetti molto più rapidi in termini di insorgenza tumorale della prima. Non si assiste a regressione se si è già giunti allo stato di carcinoma. La cancerogenesi viene definita un processo multifasico: la prima fase prevede l’iniziazione, la seconda la promozione e la terza (indistinguibile dalla seconda) la progressione ‐ ‐ ‐ l’iniziazione: processo che prevede il primo contatto con una sostanza capace di indurre mutazione genica, in modo da trasformare una cellula normale in una precancerosa (ossia capace di dar vita ad un tumore ma momentaneamente ancora non attiva). I protooncogeni che più facilmente vanno incontro a mutazione (con successiva trasformazione in oncogeni attivi) sono K‐ e H‐ras. L’oncosoppressore che più facilmente va incontro a mutazione (con successiva inattivazione e perdita del controllo oncosoppressivo) è Tp53. Le cellule così generate vengono definite “cancer stem cell”, ossia “cellule staminali cancerose” e si trovano in una fase definita di “latenza”. Se è presente uno stimolo di promozione, queste cellule si moltiplicano con le stesse modalità di divisione delle cellule staminali normali la promozione: processo che prevede il successivo contatto con una sostanza capace di promuovere la trasformazione tumorale. Questa sostanza deve essere somministrata con una certa frequenza fino alla trasformazione cancerosa, oppure la lesione generata tende a regredire. Sostanze promuoventi note sono il TPA e gli idrocarburi policiclici aromatici. Il TPA, mimando il DAG, si lega alla PKC, attivandola; PKC attiva IkkB chinasi, che degrada IkB e libera NFkB che, penetrato nel nucleo, si lega a sequenze geniche codificanti per proteine antiapoptotiche e mitogeniche, stimolandone l’espressione; la PKC attiva inoltre la via ERK/MAPK, con espressione di c‐jun e c‐fos che formano AP‐1, proteina iperattiva in diverse forme neoplastiche. Gli idrocarburi policiclici aromatici si legano al recettore citoplasmatico AhR; il complesso viene traslocato nel nucleo dove interagisce con promoter ed enhancer di AhRE, stimolando la progressione del ciclo cellulare la progressione: indistinguibile dalla promozione, ma è questa la fase in cui compaiono i fenotipi invasivi e metastatici Scaricato da www.sunhope.it Un’ultima distinzione viene fatta tra: cancerogeni diretti e indiretti: quelli diretti sono forniti di elevata reattività data dalla carenza di elettroni e tendono a formare facilmente legami covalenti con molecole quali il DNA, agendo sullo stesso; quelli indiretti non hanno la stessa reattività ma l’acquistano interagendo con enzimi del nostro organismo, formando derivati reattivi [le fasi di trasformazione prevedono la conversione di un procancerogeno libero in uno legato ad un complesso costituito da enzimi e citocromo P‐ 450; successivamente le conversioni attuate dalla citocromo C reduttasi, dall’ossigeno e dalla monoossigenasi, convertono il procancerogeno in un cancerogeno, che si slega dal complesso ed effettua la sua funzione] Tumori ormono‐dipendenti/responsivi*****: Leucemie e classificazioni **: Oncosoppressori *******************************:(p53, rb @@@ ONCOSOPPRESSORI geni che sopprimono la formazione di mutazioni potenzialmente tumorali. Esistono due categorie di oncosoppressori: i gate‐keeper (agiscono sul ciclo cellulare in modo da indurre apoptosi e blocco della progressione cellulare in caso di mutazioni potenzialmente tumorali) e i care‐taker (riparano il DNA, agendo in modo da evitare lo sviluppo di mutazioni). Le mutazioni dei geni oncosoppressori sono genericamente loss‐of‐function, mentre quelle degli oncogeni sono genericamente gain‐of‐function. Il meccanismo di funzionamento alla base delle alterazioni degli oncosoppressori fu ipotizzato da Knudson, che suppose che mutazioni a carico di un singolo gene fossero sufficienti per indurre la mutazione presso entrambi gli alleli. Questo modello presuppone che entrambi gli alleli siano mutati per indurre una manifestazione patologica e questo classifica questo modello come “modello di mutazione recessiva”. I motivi per cui la seconda mutazione avviene più facilmente sono 2: 1) la ricombinazione genetica tra i 2 cromosomi omologhi nella mitosi a livello delle sequenze mutate; 2) la conversione genica, che implica che il DNA danneggiato possa essere ricostruito usando come stampo il cromosoma omologo. Questi 2 meccanismi rendono molto probabile la mutazione del secondo allele codificante per l’oncosoppressore, generando il “secondo hit”, necessario all’insorgere della patologia (meccanismi noti come Loss of Heterozygosity). Esistono diverse eccezioni alla regola de due colpi. Gli oncosoppressori più noti sono: ‐ Gene retinoblastoma (RB): è un gate‐keeper. Codifica per una proteina di 928 aminoacidi, chiamata p110RB; è contenuta nel cromosoma 13 sul braccio lungo. Questa proteina è un gate‐keeper capace di arrestare la proliferazione cellulare controllando il punto R (punto di restrizione) alla fine della fase G1 del ciclo cellulare. p110RB interagisce tramite un dominio definito A/B pocket che interagisce sia con enzimi capaci di rimodellare la cromatina, reprimendo la trascrizione genica sia con fattori trascrizionali quali E2F (che in genere consentono la progressione del ciclo cellulare), inibendoli. Il meccanismo di p110RB nel ciclo cellulare prevede diversi gradi di fosforilazione; la proteina si inibisce quando viene fosforilata, consentendo la progressione del ciclo cellulare e si attiva quando defosforilata, agendo da oncosoppressore. I complessi fosforilanti la proteina RB sono dati dalle varie Cicline + i fattori CDK loro correlati. La proteina RB all’inizio è legata a E2F e ne reprime l’espressione; successivamente quando sopraggiungono stimoli mitogeni, viene indotta la trascrizione del complesso Ciclina D + CDK4/CDK6, che comincia a fosforilare la proteina RB; questa Scaricato da www.sunhope.it ‐ ‐ si dissocia minimamente, consentendo a piccoli quantitativi di E2F di trascrivere la Ciclina E + CDK2. A questo punto, il complesso della Ciclina E termina di fosforilare la proteina RB, dissociandola e liberando tutti i fattori E2F dall’inibizione, proseguendo il ciclo Gene P53: è un gate‐keeper. Codifica per una proteina di 393 aminoacidi, contenuta nel cromosoma 17 sul braccio corto. Esistono due geni altamente omologhi a P53, ma più ancestrali, chiamati P63 e P73. L’azione principale della proteina è quella di fungere da induttore apoptotico e da arresto della proliferazione cellulare in caso in cui la cellula sia sottoposta a stress cellulare, genotossico o non genotossico che sia. La proteina è divisa in differenti porzioni: una porzione amino‐terminale: contiene 2 domini di transattivazione della trascrizione genica (TAD) un segmento ricco di proline: importante per la stabilità della proteina una parte centrale: contiene il dominio legante il DNA (DBD) + una sequenza di localizzazione nucleare una porzione carbossi‐terminale: che contiene il dominio di tetramerizzazione (serve per quando P53 lega il DNA e forma un omotetramero. Mutazioni missenso di questo dominio causano il blocco della tetramerizzazione con perdita di funzione di P53, anche se la mutazione avviene in eterozigosi) Il DNA possiede dei siti di legame per P53, chiamati P53RE (P53 responsive elements), costituiti da 2 sequenze palindromiche connessi da uno spaziatore lungo. I geni che rispondono a P53 presentano tutti delle P53RE nel loro promotore. P53 può anche stimolare l’espressione di miRNA regolatori. Importanti bersagli di P53 sono: p21CIP1: inibitore di CDK, può promuovere l’arresto temporaneo del ciclo cellulare oppure quello permanente FAS: recettore di membrana per FASL, promuove l’apoptosi nella via estrinseca BAX e BAK: proteine che aumentano la permeabilità mitocondriale, inducendo la fuoriuscita di proteine pro‐apoptotiche come il citocromo C BCL‐2: P53 può direttamente bloccare questo fattore di sopravvivenza, favorendo l’apoptosi E2F: indirettamente, tramite p21CIP1 che bloccando le CDK impedisce la fosforilazione di p110RB e la sua dissociazione da E2F, in modo che E2F‐legato non possa far progredire il ciclo cellulare La regolazione di P53: P53 possiede un’emivita tra i 6 e i 20 minuti, poi viene degradata. La degradazione viene operata dalle proteine MDM con funzione di ubiquitina ligasi, di cui la MDM2 è la principale protagonista. MDM2 viene sintetizzata sotto stimolo della stessa P53, in modo che ad una maggiore produzione di P53 corrisponda una sua maggiore degradazione (feedback negativo). La stessa MDM2 è però sotto il controllo inibitorio di p14ARF, proteina prodotta quando il fattore E2F viene lasciato libero dalla proteina del retinoblastoma (p110RB). In questo modo, nel caso in cui si avesse un’eccessiva inibizione di p110RB e il ciclo cellulare fosse lasciato andare troppo liberamente, le MDM2 verrebbero inibite e la P53 liberata, portando la cellula al blocco del ciclo/apoptosi, opponendosi ad eventuali trasformazioni neoplastiche. Mutazioni che inducono l’iperespressione di MDM2 o che inducono l’ipoespressione di p14ARF risultano cancerogene a causa dell’effetto che hanno su P53 Gene STK11: è un gate‐keeper. Il gene è capace di bloccare il ciclo cellulare e indurre senescenza; agisce anche da controllore della disponibilità di nutrienti. Quando i nutrienti mancano, AMP si accumula nella cellula e attiva una chinasi chiamata AMPK, che a sua volta attiva TSC1. TSC1 è un inibitore di RHEB, proteina G che regola positivamente mTOR. mTOR normalmente stimola la sintesi proteica, ma se viene inibita, la via preferenziale favorisce l’autodigestione cellulare e il blocco del ciclo cellulare. Mutazioni di questo gene comportano la predisposizione a formare polipi Scaricato da www.sunhope.it ‐ ‐ ‐ ‐ ‐ ‐ ‐ amartomatosi intestinali e cancro al colon. La sindrome è nota come Peutz‐Jegherz (o PJS); colpisce 1 nato su 200.000 Gene APC: è un gate‐keeper. Localizzato sul braccio lungo del cromosoma 5 e codifica per una proteina di 2843 aminoacidi. Nelle cellule la APC controlla l’emivita della beta‐catenina, indirizzandola verso la poliubiquitinazione (degradazione) e non consentendole di fungere da fattore trascrizionale per la Ciclina D, arrestando il ciclo cellulare. Normalmente l’APC agisce in sinergia col fattore GSK3‐beta che è preposto alla fosforilazione della beta‐catenina (la fosforilazione predispone alla degradazione). Tuttavia, in seguito a stimolazione con fattori di crescita quale WNT, viene prodotta una proteina chiamata Dishevelled che inibisce GSK3‐beta e stabilizza la beta‐catenina, che si libera dal legame con APC. La beta catenina a questo punto trasloca nel nucleo dove agisce da fattore trascrizionale per TCF, inducendo la formazione di Ciclina D e la progressione del ciclo cellulare. Mutazioni di APC predispongomo alla poliposi familiare del colon (FAP), insorgenza 1/13.000 nati, caratterizzata dallo sviluppo di polipi multipli adenomatosi nel tratto colo‐rettale Gene CDH1: è un gate‐keeper. Codifica per la E‐caderina, proteina che consente la formazione di giunzioni tra cellula e cellula. Se mutata, può predisporre al cancro familiare dello stomaco e della mammella Gene MSH2, MLH1 e MSH6: sono care‐taker. Codificano per enzimi di riparo dei mismatch (MMR); questi mismatch sono errori di appaiamento delle singole basi, causate da una sostituzione o da piccole inserzioni/delezioni. Mutazioni inattivanti di questi geni predispongono al cancro ereditario non poliposico (HNPCC) o Sindrome di Lynch, caratterizzato dalla presenza di cancro al colon NON preceduto da polipi adenomatosi (come nella FAP) TGF‐beta‐R2: gene antiproliferativo BAX: gene pro‐apoptotico BRCA1 e BRCA2: sono care‐taker. I geni sono localizzati rispettivamente sui bracci lunghi dei cromosomi 17 e 13. Le proteine codificate hanno diversi domini funzionali. BRCA1 presenta: una porzione amino‐terminale: possiede un dominio RING, implicato nella regolazione trascrizionale e nella ubiquitinazione di proteine una porzione centrale: contiene un dominio di legame al DNA (DBD) una porzione carbossi‐terminale: contiene 2 domini BRCT coinvolti nel riparo del DNA BRCA2 presenta: una porzione centrale: possiede 8 domini BRC, essenziali per il legame con RAD51 Sia BRCA1 che BRCA2 sono essenziali per la ricombinazione omologa (HR) un meccanismo di riparo del DNA che interviene quando sono presenti rotture del doppio filamento. Un ruolo centrale nella HR è svolto da RAD51, che consente l’appaiamento delle basi omologhe per consentire la riparazione della molecola. Mutazioni per i 2 geni generano una predisposizione al carcinoma mammario (circa il 50% dei carcinomi mammari sono causati da queste mutazioni). La mutazione avviene secondo il modello a 2 hit di Knudson e genera l’espressione di NHEJ al posto di HR; NHEJ ripara le estremità non omologhe, ma lo fa con un meccanismo impreciso, che causa instabilità genica e trasformazione neoplastica Gene Menina: prevalentemente un gate‐keeper, ma potrebbe anche avere funzioni di care‐taker. Situato sul braccio lungo del cromosoma 11, produce la Menina, una proteina che svolge diverse funzioni: regola la trascrizione genica di alcuni specifici geni: i geni regolati “positivamente” sono inibitori del ciclo cellulare, mentre quelli regolati “negativamente” codificano per le telomerasi. Per regolare la trascrizione interagisce con proteine che rimodellano la cromatina (come HDAC) Scaricato da www.sunhope.it ‐ ‐ ‐ può bloccare alcuni fattori di trascrizione: oncogenici quali JUND e NFkB può stimolare l’apoptosi Le mutazioni ereditate tramite meccanismo autosomico dominante agiscono tramite meccanismo a 2 hit di Knudson. Quando la Menina muta, si può andare incontro ad una sindrome da neoplasia endocrina multipla chiamata MEN1, che predispone allo sviluppo di tumori a carico di ghiandole endocrine Gene VHL: il suo prodotto proteico consente l’ubiquitinazione e la degradazione di HIF‐ 1. HIF‐1 normalmente indurrebbe la produzione di VEGF e stimolerebbe l’angiogenesi, favorendo la crescita tumorale. VHL degradando HIF‐1 agisce da oncosoppressore. La mutazione agisce tramite meccanismo a 2 hit di Knudson e può generare la Sindrome di Von‐Hippel Gene PTEN: localizzato sul braccio lungo del cromosoma 10, codifica per una fosforilasi che va ad antagonizzare sia l’azione di PI3K, convertendo il PIP3 in PIP2, sia l’azione di AKT. In questo modo blocca lo stimolo proliferativo, la sopravvivenza cellulare e la sintesi proteica. La mutazione blocca la funzione genica già presentandosi in eterozigosi, il che ci suggerisce che PTEN è aploinsufficiente (il che rappresenta UN’ECCEZIONE al meccanismo a 2 hit di Knudson). La sindrome che si genera viene chiamata sindrome di Cowden e predispone al carcinoma della tiroide, della mammella, dell’endometrio Gene CDC4: induce la degradazione di mTOR, bloccando la sintesi proteica CICLO CELLULARE (in relazione agli oncosoppressori) Scaricato da www.sunhope.it TGF‐beta (azione oncosoppressiva): TGF‐beta nelle cellule normali recluta TGF‐beta‐R2, che dimerizza con un omologo. A questo punto fosforila SMAD2/3, che diventano capaci di legarsi a SMAD4 generando il complesso SMAD 2/3/4. Il complesso SMAD consente la trascrizione di p15INK4B, che può inibire il complesso Ciclina D + CDK4/6 Oncogeni (proteici, non proteici e classificazione)************************: (ras, src @@@ (non posso metterli dato che non li ho fatti io… ho studiato da estratti fatti da una collega) [Malattie mieloproliferative]: malattie date dalla proliferazione incontrollata di un precursore mieloide, senza arresto del processo differenziativo, con iperproduzione di cellule ematiche mature ‐ ‐ ‐ Policitemia vera: caratterizzata da iperproduzione eritrocitaria Trombocitemia essenziale: caratterizzata da iperplasia megacariocitaria, con iperproduzione piastrinica Mielofibrosi: progressiva fibrosi del midollo osseo, per emopoiesi extramidollare [Sindromi mielodisplastiche]: alla proliferazione midollare segue un progressivo deficit funzionale delle cellule midollari, che porta ad alterazioni qualitative e quantitative degli elementi figurati del sangue FISIOPATOLOGIA Temperatura corporea controllo: la regolazione avviene a livello centrale, a carico di alcuni neuroni presenti nell’ipotalamo anteriore e posteriore.In caso di freddo, l'ipotalamo anteriore (nucleo sopraottico) reagisce liberando serotonina, la quale attiva il nucleo posteriore (paraventricolare) che, stimolando il simpatico, crea un innalzamento della temperatura. Viceversa se la temperatura è elevata, il nucleo posteriore (paraventricolare) libera noradrenalina o dopamina, che stimolano i nuclei situati nella zona anteriore (sopraottico) dell'ipotalamo, i quali agiscono aumentando la sudorazione e la vasodilatazione periferica. Ci sono diversi tipi di popolazioni neurali: fibre A, B e C (vengono percorse dalle risposte al caldo e al freddo), neuroni w (neuroni effettori della risposta termodispersiva), neuroni c (neuroni effettori della risposta termoproduttiva), neuroni W (sono neuroni responsabili del controllo termico dei neuroni w e c), neuroni I (sono neuroni responsabili della integrazione di segnalisui neuroni w e c). Esistono diversi meccanismi per regolare la temperatura: ‐ ‐ Meccanismi di produzione del calore: normalmente il calore viene prodotto in conseguenza dei normali metabolismi energetici cellulari (fosforilazione ossidativa, deidrogenazione), ma può anche non derivare dalla produzione di ATP, prodotto direttamente dal disaccoppiamento dei sistemi sintetici di ATP, che induce la liberazione di una cascata protonica sulla membrana mitocondriale interna, con generazione di calore; gli organi più deputati alla produzione di calore sono il fegato e l’apparato muscolare Meccanismi di dispersione del calore: normalmente il calore viene disperso attraverso la respirazione, l’evaporazione e l’irraggiamento, ma più importante di tutti i sistemi è la sudorazione. Scaricato da www.sunhope.it Esistono due tipi di sudorazione: quella insensibile (perspiratio insensibilis) di circa 30 ml ogni ora e quella visibile che può portare anche a perdere 2‐3 litri in poco tempo Ovviamente, molte altri fattori sono capaci di interferire nel processo, aumentando la temperatura, quali ad esempio: ‐ pirogeni di derivazione microbica (proteine virali, proteine batteriche, LPS…), ormoni tiroidei, raggi UV, alcuni farmaci altri fattori sono capaci di interferire nel processo, diminuendo la temperatura: ‐ assideramento, mixedema, cause tossiche, cachessia, farmaci Ipotermia: abbassamento della temperatura fino anche a 3° sotto il limite fisiologico (anche se in casi estremi si può anche arrivare a 6°). Può avere cause “pratiche” (stati avanzati di denutrizione), esogene (assideramento, ustioni estese, tossiche) e centrali (paralisi dei centri regolatori in condizioni quali coma, tossine microbiche e farmaci) Ipertermia **: aumento della temperatura corporea oltre i limiti fisiologici, provocato da cause esterne, sia fisiche (surriscaldamento dovuto a colpo di sole o di calore), sia chimiche (inoculazione di sostanze piretogene), o da intensa fatica muscolare. Il concetto di ipertermia èdistinto da quello di febbre, sia per i fattori scatenanti (cause biologiche endogene) sia per la mancata fissazione di un nuovo set point ipotalamico, presente invece nella febbre. Il colpo di calore risulta il più grave: esso si verifica in alcune condizioni, endogene (lavoro muscolare eccessivo) o esogene (saune) che siano, in cui tutto il corpo va incontro ad un aumento di temperatura, mentre la termodispersione non è possibile; in questa condizione vi è una vasodilatazione abnorme che compromette l’emodinamica, causando shock. Per evitare ciò si verifica una reazione di vasocostrizione muscolare e del distretto splancnico (fegato, rene, milza, intestino) volta a evitare la condizione di shock agli organi più importanti (cervello e cuore). Conseguentemente a questa reazione, gli organi “non essenziali” e in particolare i muscoli vanno incontro a danno ischemico e rabdomiolisi, con distruzione della fibra e liberazione di mioglobina, la quale sopraggiunge al rene causando ingente danno renale. Questa condizione può verificarsi anche 12 ore dopo che il soggetto è stato rimosso dall’ambiente caldo e rappresenta uno dei pericoli più insidiosi di questa patologia. Il colpo di sole invece ha differente decorso e minore gravità: la radiazione solare aumenta principalmente la vasodilatazione a livello subaracnoideo, causando in primo luogo la formazione di edema, successivamente microemorragie. Se il soggetto è rimosso in tempo, i danni risultano reversibili, ma se il soggetto permane in questa condizione il danno peggiorerà di entità, passando dalla cefalea, al delirio, al coma e alla morte Febbre, decorso e tipologie ***: manifestazione morbosa caratterizzata da un’elevazione più o meno consistente della temperatura corporea con aumento del battito cardiaco, modificazioni del metabolismo e alterazioni della composizione ematica. La differenza con il colpo di calore (ipertermia) è che non vi è un innalzamento temporaneo dovuto a fattori esterni, ma una ri‐regolazione dei centri ipotalamici termoregolatori, che stabiliscono un set‐point più alto. Il decorso prevede 3 periodi: prodromica o di effervescenza (caratterizzato da contrazioni Scaricato da www.sunhope.it tonico‐cloniche muscolari, vasocostrizione, aumento metabolico e contrazione dei muscoli erettori del pelo), stato o fastigio (caratterizzato da un nuovo equilibrio termico su un set‐point ipotalamico più alto), defervescenza (caduta della temperatura corporea che può essere graduale [lisi] o repentina [crisi]; i meccanismi sono gli stessi della normale dispersione termica). Le tipologie di febbre a seconda della temperatura sono: ‐ ‐ ‐ ‐ ‐ febbricola ‐> tra i 37° e i 38° febbre lieve ‐> tra i 38° e i 38,5° febbre moderata ‐> tra i 38,5° e i 39° febbre elevata ‐> tra i 39° e i 39,5° iperpiressia ‐> dopo i 39,5° fino 42° (pericolo di morte molto prossimo. A 42,5° diversi enzimi si denaturano e i neuroni vanno incontro a danno irrimediabile) Le tipologie di febbre a seconda della curva termica sono: ‐ ‐ ‐ ‐ ‐ continua: variazioni di temperatura quotidiane non superiori ad 1° remittente: variazioni di temperatura quotidiane oltre 1° senza mai scendere al di sotto dei 37° intermittente: variazioni di temperatura quotidiane che vanno da un qualunque stato di febbre alla totale assenza di questa. Quadri patognomonici sono la terzana (1 giorno di febbre, 1 di normalità, un altro di febbre) e la quartana (1 giorno di febbre, 2 di normalità, un altro di febbre) ondulante: variazioni di temperatura graduali che si osservano in diversi giorni, andando dalla presenza di febbre per qualche giorno, all’assenza per qualche altro e al ri‐presentarsi di altri giorni di febbre successivamente ricorrente: variazioni di temperatura brusche per cui la temperatura resta elevata per giorni (4‐5) per poi cadere bruscamente al di sotto dei 37° per altri giorni e ritornare a valori elevati per altri giorni ancora Ormoni ipofisari e patologie correlate ****: Diabete insipido**: malattia caratterizzata da poliuria e da diminuita capacità del rene di concentrare le urine ‐ clinica: i sintomi sono poliuria e polidipsia. Il quantitativo di urine emesse può arrivare anche a 10 litri se non trattato farmacologicamente Si considerano 2 tipologie essenziali: il diabete insipido centrale (o neurogeno) e il diabete insipido nefrogeno ‐ ‐ diabete insipido centrale: può esser dovuto: alla mancata produzione di ADH da parte dell’ipofisi [sia a causa di deficit congeniti, sia a causa di tumori, sia a cause iatrogene], sia a causa di difetti congeniti delle neurofisine (proteine che leganogli ormoni neuroipofisari, permettendone la migrazione lungo gli assoni) diabete insipido nefrogeno: causato dalla mancata espressione di recettori per l’ADH (V2) o da una mancata sintesi di acquaporina 2. Nel primo caso, mutazioni a carattere “perdita di funzione” avvengono sul braccio lungo del cromosoma X e i recettori V2 non vengono sintetizzati. Nel secondo caso, una mutazione autosomica recessiva per il locus che codifica per l’acquaporina 2, locato sul braccio lungo del cromosoma 12, impedisce a questa di inserirsi sulla membrana apicale del dotto collettore, consentendo il riassorbimento dell’acqua Scaricato da www.sunhope.it Le prove che si possono utilizzare sono: ‐ ‐ ‐ Prova di assetamento. In un soggetto sano comporta un aumento dell'osmolarità. Nel diabete insipido questa resta <300mOsm/L, mentre l'osmolarità plasmatica è superiore a 295. Non bere per lungo tempo può provocare una disidratazione ipertonica senza perdita di elettroliti Test alla desmopressina. Controindicata in caso di insufficienza coronarica per i suoi effetti vasospastici. Dopo questa somministrazione l'osmolarità urinaria aumenta in caso di diabete insipido centrale, ma non nel nefrogenico La determinazione dell'ADH. In caso di polidipsia psicogena sia l'ADH che l'osmolarità urinaria si elevano. Occorre escludere un tumore ipofisario o ipotalamico mediante tomografia computerizzata o imaging a risonanza magnetica. Il trattamento prevede la desmopressina orale o intranasale in caso di diabete insipido centrale Nanismo Ipofisario: Ormoni tiroidei****: (iodio presente anche nelle salivari) Assimilazione dello iodio, conversione ormonale, sequenza di controllo e funzione metabolica: Assimilazione lo iodio si trova prevalentemente nei cibi correlati con il mare come il pesce e alcuni tipi di alghe. Le verdure possono contenere un discreto quantitativo di iodio soltanto se sono state coltivate in terreni ricchi di questo minerale. Artificialmente viene inserito come supplemento nel sale da cucina, in modo da prevenirne la carenza anche per persone che abitano nell’entroterra e difficilmente hanno a disposizione prodotti marini. Viene assimilato solo come ioduro, quindi nel caso in cui fosse assimilato dello iodio molecolare dovrebbe prima essere ridotto a ioduro e poi assimilato Conversione ormonale Il processo di biosintesi prevede: ‐ ‐ ‐ ‐ Captazione attiva di ioduro: la tiroide capta lo ioduro circolante tramite un processo attivo che richiede energia (ATP dipendete), realizzato dalla proteina NIS (Sodium Iodide Symporter). La proteina NIS trasporta all'interno della cellula ioni sodio (Na+) e iodio (I‐) in proporzione 2:1. Questo trasporto di ioduro è inibito da ioni come il perclorato, il tiocianato. Una volta dentro la cellula, lo ioduro si diffonde verso il lato apicale fino al lume del follicolo tiroideo, trasportato attraverso la membrana apicale dalla proteina pendrina (PDS) Ossidazione dello ioduro nel lume follicolare: lo iodio viene trasformato da iodio atomico a ione iodinio ad opera della tireoperossidasi (TPO) e funziona in sinergia con l’enzima DUOX che fornisce l’acqua ossigenata necessaria per la iodurazione della Tireoglobulina sui suoi residui di tirosina Iodazione dei residui di tirosina della Tireoglobulina: avviene su uno o due posizioni “orto” dei 2 residui di tirosina disponibili alla reazione, inclusi nella Tireoglobulina. A seconda del fatto che sia stato iodurato un residuo o due, si formano rispettivamente MIT (mono‐iodo‐tirosina) o DIT (di‐ iodo‐tirosina) Accoppiamento di due iodotirosine:a seconda del fatto che si accoppino una MIT e una DIT o due DIT, possiamo avere la produzione rispettivamente di T3 (tri‐iodo‐tironina) o T4 (tetra‐iodo‐tironina Scaricato da www.sunhope.it ‐ o tiroxina). La produzione di questi enzimi è mediata dagli stessi enzimi che mediano le iodurazioni dei residui di tirosina, ossia TPO e DUOX Liberazione degli ormoni:dal follicolo la Tireoglobulina contenente T3 o T4 viene riassimilata nel tireocita tramite vescicole endocitotiche; gli ormoni vengono quindi liberati dalla matrice proteica grazie all’intervento di enzimi lisosomiali che digeriscono la proteina (il tutto nel fagolisosoma) senza toccare l’ormone La forma ormonale più attiva è la T3 ma l’ormone prevalentemente prodotto è la T4. La T3 può essere ottenuta tramite iodotironina deiodinasi (D1, D2, D3), che rimuovono uno iodio dall’anello esterno della T4, trasformandola in T3. L’isoforma D3 svolge un ruolo particolare, in quanto forma una T3 deiodurata sull’anello interno; questa sembra avere funzione regolatoria sulla secrezione di T3 normale. Il trasporto sanguigno è principalmente ad opera della TBG (thyroxine binding globuline), il resto è pertinenza dell’albumina Sequenza di controllo Il TRH (thyrotropin releasing hormone) ipotalamico controlla la secrezione di TSH (thyroid stimulating hormone) ipofisario; il TRH è a sua volta regolato negativamente dall’aumento di T3 nel sangue. Il TSH è costituito da 2 subunità: alfa [stimola l’adenilato‐ciclasi] e beta [responsabile del legame]; interagisce con il suo recettore TSHR sulle cellule tiroidee eil TSHR è accoppiato a proteine G (Gs; Gq). Il TSH stimola anche l’aumento di produzione di NIS. Gs stimola la via del cAMP, portando alla trascrizione di geni codificanti per la TPO. Gq stimola la PLC a idrolizzare PIP2 formando IP3 e DAG, che stimolano a loro volta la PKC e la liberazione di Ca++; tutte queste operazioni cooperano nella formazione di DUOX. Le attività di Gs e Gq terminano con un aumento della produzione di T3 e T4. __ fattori di trascrizione specifici della tiroide: NKX2‐1, FOXE1, PAX8 __ Funzione metabolica ‐ ‐ Meccanismi genomici: il T3 viene trasportatonelle cellule grazie alle proteine Oatp2, Oatp3, MCT8 e MCT10. Il recettore dell’ormone tiroideo si trova già fissato sul DNA nucleare, costituito da TR e RXR, e la sua attività è repressa da CoR, un Complesso di Repressione. Quando T3 entra nella cellula, induce la formazione di CoA, un Complesso di Attivazione, che spiazza CoR e consente l’attivazione della trascrizione. Le proteine di cui si induce la trascrizione sono prevalentemente quelle implicate nel metabolismo energetico, nella detossificazione epatica, nel catabolismo amminoacidico. Induce anche l’aumento della sintesi di proteine per le pompe sodio‐potassio, aumentando il consumo di ATP e quindi la termogenesi. Può indurre la termogenesi anche aumentando la sintesi di proteine disaccoppianti quali UCP‐1 mitocondriale. Induce anche la sintesi di proteine cardiache, utili per aumentare la forza e la frequenza della contrazione come i recettori beta‐adrenergici; stimola la sintesi delle catene pesanti della miosina, aumentando l’efficienza contrattile Meccanismi non genomici: il T3 può legarsi ad una subunità della pompa Na/K ATPasi dipendente e stimolarne l’attività dall’esterno della membrana Ipotiroidismo e malattie da ipotiroidismo *****: funzionamento inefficiente della tiroide, che non produce sufficienti quantità di ormoni tiroidei. Le cause possono essere diverse, ma essenzialmente distinguiamo in: ‐ ‐ Cause primarie: agenesia o ipogenesia tiroidea, mutazioni inattivanti il recettore TSH Cause secondarie: mancato apporto nutrizionale di iodio, cause autoimmuni, cause iatrogene (terapie con radiazioni) Scaricato da www.sunhope.it Gli effetti più visibili dell’ipotiroidismo clinicamente evidenti: l’imbibizione edematosa della cute [causata dal ridotto catabolismo proteico che aumenta la pressione oncotica], sia in distretti “generici” che sulla faccia (facies mixedematosa); la perdita di capelli; la pigmentazione giallastra della cute [causata dal beta‐ carotene che si accumula nel fegato e nella cute a causa della mancata conversione a vitamina A (incolore)]; bradicardia; ipotermia; il gozzo può essere presente. Le principali patologie legate alla condizione sono: la tiroidite di Hashimoto Tiroidite di Hashimoto *****: malattia cronica della tiroide di natura infiammatoria, che ne diminuisce la funzionalità fino a provocare ipotiroidismo.Tra le più comuni e frequenti patologie della tiroide, la tiroidite di Hashimoto ha origini autoimmuni ed è dovuta all’aggressione cellule tiroidee principalmente a carico dei linfociti Thelper, che legano il recettore Fas espresso dai tireociti, inducendo apoptosi di questi e dispersione della colloide follicolare all’interno della matrice tiroidea. In questo modo si formano autoanticorpi circolanti, anti‐ tireoperossidasi (anti‐TPO) e anti‐tireoglobulina (anti‐TG) (i principali protagonisti sono i linfociti T, che predominano sui B).In un primo momento, le manifestazioni sono molto lievi e comprendono sintomi erroneamente attribuibili all'invecchiamento. Mano a mano che la malattia progredisce i sintomi si fanno più severi. Dopo poco tempo, la tiroide va incontro a fenomeni fibrotici, diventando ipofunzionante; l’ipofisi avverte la carenza ormonale e secerne più TSH per stimolare la tiroide. L’eccesso di TSH produce un effetto “proliferativo” sulla tiroide, che aumenta di volume generando il gozzo ‐ ‐ epidemiologia: colpisce spesso tra i 45 ed i 65 anni clinica: la sindrome è caratterizzata da astenia, bradicardia, diminuita sudorazione, dolori muscolari, pelle secca, sensazione di freddo; il gozzo può essere presente o meno Ipertiroidismo e malattie da ipertiroidismo **: funzionamento eccessivo della ghiandola tiroide, che rilascia troppo ormone. Le cause possono essere di varia natura, ma distinguiamo: ‐ ‐ Cause primarie: inappropriata secrezione di TSH causata da anomalie genetiche Cause secondarie: tra cui autoimmuni, tumori producenti fattori TSH simili, cause farmacologiche Gli effetti clinici più evidenti sono: aumento dell’attività metabolica; ipertermia; tachicardia; gozzo con esoftalmo. Le principali patologie legate alla condizione sono: il morbo di Basedow‐Graves, l’adenoma di Plummer Graves‐Basedow **********: malattia causata dalla formazione di anticorpi anti‐TSHR (recettore della tirotropina). Si suppone che possa avere anche fattori genetici come HLA‐DR3 e HLA‐B8. Genericamente si considera la malattia come secondaria ad un fattore scatenante, come fumo, radiazioni ionizzanti, farmaci ed altro. Questi fattori scatenanti provocherebbero la rottura di alcune cellule della tiroide, esponendo al sistema immunitario alcuni antigeni non usualmente visualizzabili e causando la risposta autoimmune (i principali protagonisti sono i linfociti B, che predominano sui T). Questi anticorpi stimolano cronicamente la sintesi di ormoni e il loro rilascio, con formazione di gozzo diffuso Scaricato da www.sunhope.it ‐ ‐ epidemiologia: comprende circa il 70% di tutti gli ipertiroidismi, specie in età compresa tra 40 e 60 anni clinica: i sintomi più tipici sono il gozzo, l’esoftalmo (provocato dal fatto che gli antigeni tiroidei raggiungono l’orbita tramite i linfatici cervicali e al livello dei muscoli orbitali determinano reazione flogistica con formazione di edema, aumento delle dimensioni di questi muscoli e “protrusione” dei bulbi oculari). L’ipertiroidismo induce altri sintomi correlabili alla necessità di scarico dell’energia prodotta dall’accentuazione dei processi ossidativi: ipertermia, vasodilatazione, sudorazione, tachicardia, tachipnea Adenoma di Plummer: la tiroide forma noduli adenomatosi che rilasciano autonomanente (senza stimolazione ormonale) ormoni tiroidei in eccesso. La mutazione coinvolge il recettore TSHR che resta iperattivato dopo stimolazione, causando l’aumento produttivo. L’adenoma può sia andare incontro a regressioni ed emorragie, sia essere il punto d’insorgenza di tumori maligni ‐ clinica: i pazienti presentano un gozzo asimmetrico, tachicardia e aritmia; a volte sono presenti anche i sintomi oculari Ormoni calciotropici Calcemia:la concentrazione di calcio sierico si aggira intorno ai 8,5‐10,5 mg/dl; è preposto al controllare principalmente le vie di segnalazione cellulari, fungendo da secondo messaggero. Il turnover giornaliero di Ca++ è circa di 250 mg Paratormone ***: secreto dalle paratiroidi Il paratormone (o ormone paratiroideo o PTH) è un polipeptide a catena singola. La sua funzione è quella di aumentare i livelli di calcio ematico. Se ne descrivono: Recettore per il calcio CaSR: è un recettore paratiroideo che consente di determinare il rilascio del paratormone in condizioni di carenza di calcio. Quando il calcio è presente nell’ambiente extracellulare, si lega ai CaSR e induce l’idrolisi di PIP2, formando IP3 e DAG; queste due molecole liberano molto calcio intracellulare che inibisce il rilascio di PTH. Quando il calcio non si lega al CaSR, i siti recettoriali liberi inducono l’inibizione della ritenzione del PTH, che viene liberato nel circolo ematico (per la calcitonina, il recettore è lo stesso ma con azione opposta) Recettore ormonale: si identificano 2 tipi di recettore. Il primo riconosce sia il paratormone che le sequenze amino‐terminali della proteina correlata al paratormone (chiamata anche PTHrP – il principale mediatore dell’ipercalcemia nelle neoplasie). Il secondo riconosce solo il paratormone. I recettori determinano l’attivazione della via dell’adenilato ciclasi [stimolata da una proteina G, produce cAMP che stimola l’attivazione di una fosfo‐chinasi‐A e altri effettori più a valle] e quella della PLC [stimolata da una proteina G, produce IP3 e DAG partendo dal PIP2; queste molecole attivano la fosfo‐chinasi‐C e inducono il rilascio di Ca++ intracellulare per la trasduzione del segnale] Effetti metabolici: Scaricato da www.sunhope.it ‐ ‐ ‐ stimolazione del riassorbimento osseo: avviene nel midollo osseo. Gli osteoblasti che posseggono il recettore per il paratormone, inducono la secrezione di IL‐1 e IL‐6 e di due fattori, M‐CSF e RANK. Questi fattori inducono la differenziazione dei precursori di macrofagi e neutrofili in osteoclasti tramite interazione con recettori specifici CSF1R e RANKL. Gli osteoblasti non sono capaci di rispondere direttamente al paratormone a causa di questa mancanza recettoriale stimolazione renale: aumenta il metabolismo del calcidiolo (anche noto come calcifediolo o 25‐ idrossicolecalciferolo) nella forma attiva calcitriolo (o vitamina D3); il riassorbimento del calcio e l’escrezione di fosfato stimolazione intestinale: aumenta il riassorbimento del calcio Fisiopatologia del surrene Ormoni surrenali e patologie correlate *: il surrene produce più di un ormone, a seconda di quale zona sia considerata. La corticale del surrene è composta da 3 zone: glomerulare, fascicolata e reticolare. La midollare del surrene invece non presenta diversità zonali ‐ Glomerulare: chiamata così perché le cellule si aggregano formando degli sferoidi (glomeruli). In questa zona si producono i mineralcorticoidi, di cui l’aldosterone è il maggiore rappresentante. La biosintesi parte dal colesterolo, che viene trasformato enzimaticamente in diverse tappe: pregnenolone ‐> [tramite idrossilasi]progesterone ‐> [tramite idrossilasi]deossicorticosterone ‐ >[tramite idrossilasi] corticosterone ‐>[tramite idrossilasi] 18‐idrossi‐corticosterone ‐>[tramite ossidasi] aldosterone. La secrezione dell’ormone tramite vescicole è stimolata dall’angiotensina 2, dall’iperkalemia, dall’iponatremia, e dall’ACTH in misura molto modesta; il trasporto sanguigno viene effettuato dalla CBG (corticosteroid Binding Globulin).I recettori sono intracellulari; quelli specifici per i mineralcorticoidi sono i MR, ma i mineralcorticoidi sono capaci di legarsi anche ai recettori dei glucocorticoidi GR, date le omologie strutturali (genericamente in condizioni fisiologiche non c’è competizione tra gli ormoni).Gli effettisono principalmente a carico dell’omeostasi elettrolitica ed aumentano l’attività di diverse strutture: 1) Canali ionici per il sodio: si trovano sul lato luminale della membrana plasmatica e importano sodio dal lume tubulare alla cellula 2) Canali ionici per il potassio: si trovano sul lato luminale della membrana plasmatica ed sono adibiti all’escrezione del potassio dalla cellula al lume tubulare 3) Contro‐trasportatori Na/H: si trovano sul lato luminale della membrana plasmatica e importano sodio dal lume tubulare alla cellula mentre espellono H+ dalla cellula al lume tubulare 4) Pompa Na/K ATP dipendente: si trova sul lato basale della membrana plasmatica e, utilizzando ATP, importano potassio dal lume capillare alla cellula mentre espellono sodio dalla cellula al lume capillare L’iposecrezione di aldosterone causa iponatremia, ipovolemia, ipotensione, iperkalemia, acidosi metabolica. L’ipersecrezione di aldosterone causa ipernatremia, ipervolemia, ipertensione, ipokalemia, alcalosi metabolica ‐ Fascicolata: chiamata così perché le cellule si aggregano formando dei fasci paralleli. In questa zona si producono i glucocorticoidi (il cortisolo è il principale rappresentante).La biosintesi: la stimolazione primaria parte dalCRH ipotalamico, che induce la formazione di POMC (pro‐oppio‐ Scaricato da www.sunhope.it melano‐cortina) da cui si forma l’ACTH; questo induce la trasformazione del pregnenolone ‐>17‐ alfa‐idrossi‐pregnenolone ‐>17‐alfa‐idrossi‐progesterone ‐>11‐deossi‐cortisolo ‐>cortisolo. Il rilascio di cortisolo segue un ritmo pulsatile, risultando massimo intorno alle 8 di mattina e minima dalle 22 alle 4 di mattina. Il cortisolo è trasportato nel sangue dalla CBG (corticosteroid Binding Globulin). La degradazione avviene in massima parte nel fegato e in minima parte nel surrene; un enzima (11‐ beta‐HSD‐2) trasforma il cortisolo in un chetone, il cortisone (largamente usato in medicina).Gli effettisono: 1) Antiinfiammatori: derivano dalla capacità del cortisolo di legarsi a sequenze GRE sul DNA, inducendo la formazione di AP‐1 e NF‐kB, codificanti per molecole antiinfiammatorie (e NF‐kB inibisce direttamente la risposta infiammatoria 2) Iperglicemizzanti: inducendo la gluconeogenesi e risultando avere un’azione antiinsulinica (aumentandone però i livelli ematici) 3) Aumento del metabolismo lipidico:stimolano la lipolisi e la lipogenesi solo a carico di particolari distretti corporei (spalle, nuca, addome) 4) Aumento del catabolismo proteico 5) Inibizione della sintesi degli acidi nucleici 6) Immunosoppressivi L’ipocortisolismo può essere sia primario da difetti congeniti come la sindrome surreno‐genitale; sia secondario e portare all’Addison; sia terziario da resistenza ormonale per insufficienza recettoriale. L’ipercortisolismo, se primario porta alla sindrome di Cushing; se secondario porta al morbo di Cushing ‐ ‐ Reticolare: chiamata così perché le cellule si aggregano formando dei cordoni irregolari a “rete”. In questa zona si producono gli ormoni sessuali (androgeni ed estradiolo). La biosintesi prevede che il 17‐alfa‐idrossi‐pregnenolone‐>DHEA(deidro‐epi‐androsterone) ‐>androstenedione ‐>[tramite una riduzione] testosterone ‐>[tramite aromatasi]estradiolo. Dal DHEA si può formare anche DHEA‐S mediante solforilazione.La secrezione di questi ormoni è regolata dall’ACTH e nel sangue girano legati a proteine, quali la Te‐BG (testosterone‐estrogen Binding Protein); sono catabolizzati dal fegato. Nei tessuti periferici, il testosterone è trasformato in di‐idro‐testosterone, che esplica effetti quali, l’aumento della peluria corporea, l’aumento staturale, l’abbassamento del timbro vocale. Gli effetti sono prevalentemente maschili, dato che se si manifestano nella donna in condizione patologica, si può parlare di irsutismo Midollare: la zona più interna del surrene. In questa zona si producono le catecolamine (adrenalina e noradrenalina.La biosintesi parte dall’amminoacido tirosina ‐> [tramite tirosina idrossilasi] DOPA ‐ > [tramite dopa‐decarbossilasi] dopamina ‐>[tramite una beta‐idrossilasi] noradrenalina; a questo punto può essere sia secreta come noradrenalina (20% del prodotto surrenale) sia essere convertita dalla PNMT (metiltransferasi) in adrenalina (80% del prodotto surrenale). La secrezione avviene quando stimoli stressanti eccitano i nervi splancnici, liberando acetilcolina; questa va ad indurre la depolarizzazione nervosa con conseguente fosforilazione dei microtubuli preposti al contenimento dei granuli secretori, fusione delle vescicole con la membrana e rilascio delle molecole contenute al loro interno.I recettori per le catecolamine sono di due tipologie principali: alfa e beta (con diversi sottogruppi); la noradrenalina è più affine per i recettori alfa, mentre l’adrenalina per i recettori beta. Quando una catecolamina si trova in sovrabbondanza o in presenza di agonisti, il numero di recettori espressi si riduce (desensibilizzazione); quando una catecolamina è mancante o vi è l’assenza di agonisti, il numero dei recettori aumenta (ipersensibilizzazione). La maggior parte delle catecolamine viene recuperata (90%) subito dopo l’escrezione e solo il 10% viene degradato. La degradazione avviene tramite 2 enzimi: MAO e COMT. Classicamente la trasformazione viene iniziata da MAO, ma in alternativa può anche essere Scaricato da www.sunhope.it iniziata da COMT; indipendentemente da quale enzima agisca per primo, il prodotto finale (acido vanilmandelico) viene escreto nelle urine. Gli effetti sono su: 1) Miocardio e sulla Muscolatura Liscia di diversi organi: aumentano la capacità contrattile ed aumentano la pressione arteriosa 2) Muscolatura Tracheale: i recettori beta 2 qui inducono sulla muscolatura liscia il rilassamento 3) La secrezione d’Insulina: stimolata dai recettori alfa 2 e inibita dai beta 2 4) Rilascio di Glucagone: tramite i recettori beta 5) Rilascio di GH: tramite i recettori beta 6) Iperglicemia: stimolando glicogenolisi, gluconeogenesi e limitando il consumo glucidico tranne che nel SNC 7) Lipolisi 8) Termogenesi: attivando la termogenina mitocondriale 9) Stimolazione della produzione di renina: tramite i recettori beta sulle cellule dell’apparato iuxtaglomerulare L’ipofunzione midollare sembra non causare problemi al corpo, essendo compensata dal sistema nervoso neurovegetativo. L’iperfunzione midollare sembra non dare effetti patologici evidenti Sindrome di Cushing *: condizione clinica caratterizzata dall'eccesso di ormoni glucocorticoidi nel circolo ematico. La dizione “sindrome di Cushing” si riferisce alla sindrome clinica, eziologicamente indipendente dalla stimolazione adenoipofisaria. “Morbo di Cushing” invece indica un’ipersecrezione di ACTH dall’adenoipofisi (ormone che agisce sulla zona fascicolata della corticale del surrene ove stimola la produzione degli ormoni glucocorticoidi ‐ il cortisolo). Sulla base del processo patogenetico, distinguiamo forme primarie o secondarie: ‐ ‐ Forme primarie: derivano da patologie insite nel corticosurrene (alterazioni genetiche in genere) Forme secondarie: derivano da patologie adenoipofisarie con ipersecrezione di ACTH (come ad esempio gli adenomi o microadenomi secernenti), da patologie ipotalamiche con iperproduzione di CRH, da tumori non adenoipofisari secernenti ACTH, da somministrazione terapeutica prolungata di cortisonici Generalmente, a meno che non si tratti di una causa primaria genetica, l’ipersecrezione di glucocorticoidi si accompagna ad un’ipersecrezione di androgeni (ma non di mineralcorticoidi che sono invece sotto il controllo dell’asse renina‐angiotensina) a causa della comune stimolazione della zona fascicolata e reticolare da parte dell’ACTH ‐ clinica: i sintomi prevedono astenia e facile affaticabilità per aumento del catabolismo proteico, aumento di peso con obesità specifica a livello di tronco e faccia ("faccia a luna piena") e spalle/nuca("gobba di bufalo"), osteoporosi, ipertensione, dismenorrea ed irsutismo nella donna, iperglicemia spesso culminante con diabete mellito tipo 2, problemi psicologici (depressione), problemi cutanei con aree di atrofia e strie rosso‐violacee tipiche sui fianchi sull'addome (dette striae rubrae) La diagnosi si può sia effettuare controllando i vari livelli ormonali sia tramite esami ecografici e quelli radiologici, TAC, PET, RMN. La terapia chirurgica solitamente prevede l'asportazione chirurgica di uno o di entrambi i surreni (surrenectomia) se la causa fosse primaria o l'asportazione dei microadenomi dell'ipofisi Scaricato da www.sunhope.it Addison ****: (chiamato anche morbo di Addison o insufficienza surrenalica cronica) è una forma di insufficienza corticosurrenale cronica che genera una severa riduzione degli ormoni corticosurrenali. Può essere una condizione primaria o secondaria: ‐ ‐ Primaria: da distruzione del parenchima surrenale per cause autoimmuni, da malattie infettive (citomegalovirus), da surrenectomia bilaterale, da mancata sintesi genetica di recettori per l’ACTH Secondaria: da sospensione repentina di terapia con corticosteroidi, riduzione di produzione di ACTH adenoipofisario, da tumori ipofisari inibenti la produzione di ACTH Nell’Addison primario tutte le zone del surrene sono coinvolte (glomerulare, fascicolata e reticolare), mentre in quello secondario viene risparmiata la glomerulare, sottoposta invece al controllo del sistema renina‐angiotensina. Nel caso di aggressione autoimmune, possono essere in circolo ACA (Anti‐Cortex Antibodies) diretti verso la 21 idrossilasi, enzima chiave della steroidogenesi ‐ clinica: i sintomi generici sono astenia, anoressia, ipoglicemia, ipersensibilità all’insulina, ipotensione, acidosi, turbe gastriche, perdita di peli e melanodermia. Parlando specificatamente delle carenze ormonali, abbiamo: ^ la carenza di aldosterone determina una ridotta capacità di trattenere sodio (quindi anche di acqua) e di eliminare potassio a livello dei tubuli renali, perciò risultano basse concentrazioni ematiche di Na e Cl e un'alta concentrazione sierica di K. L'incapacità di concentrare le urine determina una grave disidratazione, ipertonicità plasmatica, acidosi, ipovolemia e astenia; l’iperpotassiemia genera problemi cardiaci come asistolia, blocchi A‐V ^ deficit di cortisolo contribuisce all'ipotensione e provoca disturbi metabolici come ridotta gluconeogenesi, diminuita mobilizzazione e utilizzazione dei grassi, ipoglicemia (che insieme all'iponatriemia) è responsabile dell'intensa astenia e della perdita di peso che caratterizza i pazienti addisoniani. La riduzione dei livelli ematici di cortisolo comporta ipersecrezione di ACTH ipofisario e dei peptidi correlati come beta‐lipotropina, alfa e beta‐MSH, i quali hanno attività melanocito‐stimolante e producono iperpigmentazione della cute e della mucosa caratteristica del morbo di Addison. La conseguenza più grave della mancanza di cortisolo è comunque rappresentata dall'incapacità dei pazienti addisoniani di rispondere adeguatamente ad ogni tipo di stress fisiologico e patologico, questi soggetti risultano estremamente fragili di fronte ad eventi morbosi, traumi, interventi chirurgici che sono agevolmente superati da soggetti normali ^ deficit di androgeni determina riduzione della libido e perdita di peli pubici e ascellari Metabolismo dei lipidi Trasporto dei grassi esogeni: colesterolo e trigliceridi di origine alimentare vengono assorbiti dall’enterocita e associati a proteine, in modo da formare particelle chiamate chilomicroni. Queste particelle, una volta associate con le apolipoproteine B‐48 e A1, finiscono nel sangue, dove incontrano le HDL da cui ricevono le lipoproteine C2 ed E. A livello dell’endotelio avviene una reazione di idrolisi dei trigliceridi, resa possibile dall’apolipoproteina C2 che funge da cofattore, da parte delle lipasi lipoproteiche; a questo livello vengono perse dia la C2 che la A1, generando frammenti residui dei chilomicroni o “remnants”. Questi residui posseggono però ancora sia la lipoproteina B‐48 che la lipoproteina E; quest’ultima consente la captazione epatica dei remnants e la loro metabolizzazione Scaricato da www.sunhope.it Trasporto dei grassi endogeni: nel fegato, remnants, trigliceridi e colesterolo vengono assemblati in lipoproteine e secreti sotto forma di VLDL. Queste particelle, costituite da (apo)B100, assimilano dalle HDL le apo E e C2. Successivamente vengono idrolizzati i trigliceridi al livello delle cellule endoteliali, grazie all’azione di C2. Viene quindi persa la C2 e la densità delle VLDL aumenta, formando le IDL. Queste o vengono internalizzate nelle cellule epatiche (tramite apo E) o subiscono un’ulteriore perdita di trigliceridi grazie alla lipasi, formando le LDL. Queste grazie all’azione di apo B100 vengono captate dagli epatociti (o dai fibroblasti o dalle cellule muscolari o dalle cellule endoteliali) e vengono assimilate, formando colesterolo libero che a sua volta va a regolare: ‐ ‐ ‐ l’attività della IMGCoA riduttasi, inibendola e reprimendo la sintesi di colesterolo endogeno l’attività della acil‐CoA‐colesterolo‐aciltrasferasi, attivandola in modo da promuovere la riesterificazione del colesterolo libero le LDL, inibendo la sintesi del recettore per le LDL e bloccando la penetrazione epatica di ulteriore colesterolo Trasporto inverso del colesterolo dai tessuti periferici al fegato: le LDL possono trasportare il colesterolo sia al fegato, che dal fegato ai tessuti; in questa seconda condizione però, se il quantitativo di LDL è eccessivo, si rischia di creare danno all’organismo promuovendo l’aterosclerosi. Intervengono le HDL che assimilano il colesterolo in eccesso al loro interno; successivamente questo colesterolo viene esterificato dall’enzima plasmatico Lecitina:colesterolo‐ aciltrasferasi (o LCAT). Successivamente la particella assimila (apo) C dalle VLDL ed (apo) E, e viene internalizzata negli epatociti mediante i recettori per le LDL (LDLR) L’edema *******: accumulo di un eccesso di liquido nel compartimento extracellulare; il liquido è di provenienza plasmatica e a seconda della sua composizione può essere definito infiammatorio (il liquido è un essudato) e non infiammatorio (il liquido è un trasudato). L'edema può interessare una zona circoscritta, come per esempio una gamba, oppure può essere generalizzato se si manifesta in tutto l'organismo (anasarca).La generazione di fluido interstiziale è stabilita dall'equazione di Starling che descrive la relazione tra la pressione oncotica e la pressione idrostatica, agenti con direzioni opposte lungo le pareti semi‐permeabili dei capillari. Nell'organismo sano la pressione idrostatica, che tende a determinare la fuoriuscita di liquidi dai capillari, è pressoché bilanciata dalla pressione colloido‐osmotica, che si esercita in direzione opposta. Quella minima fuoriuscita di liquidi nello spazio interstiziale viene drenata dai vasi linfatici, che la reimmettono nel circolo venoso attraverso il dotto toracico che sbocca nella giunzione tra la vena succlavia e la vena giugulare interna. In linea di massima, quando la pressione idrostatica non è più bilanciata dalla pressione colloido‐osmotica, si verifica un accumulo di liquidi che quando è presente in modo ingente, determina l’edema. Le CAUSE DELL’EDEMA NON INFIAMMATORIO possono essere: ‐ ostacolato o impedito ritorno venoso: ciò impedisce o riduce il quantitativo di liquido interstiziale che, assorbito dai linfatici, può essere rimesso in circolo, causandone accumulo ed edema. I motivi possono essere fenomeni trombotici, compressione vasale, fibrosi con stenosi vasale, ingessature/fasciature troppo strette o insufficienza valvolare (parlando di arti inferiori) [esempi: edema cerebrale vasogenico, edema polmonare, glaucoma] ‐ da ostruzione linfatica: il meccanismo è lo stesso del precedente, solo che l’ostruzione/impedimento viene prima. Lecause possono essere fibrotiche, microbiche, neoplastiche, da compressione o iatrogene Scaricato da www.sunhope.it ‐ ‐ ‐ ‐ ‐ ‐ cardiogeno: nel caso in cui il cuore avesse problemi di scompenso, la normale emodinamica risulterebbe alterata. Se vi fosse una diminuzione di capacità contrattile, il quantitativo di sangue eiettato diminuirebbe, causando ipertensione, aumento della pressione idrostatica ed edema nefrosico:può dipendere o da una disfunzione glomerulare che consente una perdita proteica e quindi una diminuzione della pressione oncotica oppure da un aumento della secrezione di renina, con aumento del riassorbimento del sodio e aumento della pressione idrostatica epatico: causato da cirrosi e/o ostruzione delle vene epatiche con ostacolo del circolo sanguigno (ricorda l’edema da impedito ritorno venoso); altre cause sono la mancata sintesi di proteine plasmatiche, con crollo della pressione colloidosmotica da denutrizione: causato da un mancato apporto proteico, con conseguente crollo della pressione oncotica da gravidanza: genericamente fisiologico, dato da aumento della ritenzione idrica per garantire il corretto sviluppo del fegato iatrogeno: da prolungata terapia con corticosteroidi, provoca ritenzione salina e aumento della pressione idrostatica Le CAUSE DELL’EDEMA INFIAMMATORIO sono prettamente quelle legate a condizioni flogistiche. Diabete mellito Struttura dell’insulina e funzione**: ormone peptidico dalle proprietà anaboliche, prodotto dalle cellule beta delle isole di Langerhans all'interno del pancreas. L’insulina non viene prodotta come tale, bensì in una forma chiamata pre‐ proinsulina, sintetizzata nel reticolo endoplasmatico rugoso delle cellule beta pancreatiche; la pre‐ proinsulina viene privata di un peptide di 23 amminoacidi (peptide leader) ad opera dell’enzima tripsino‐ simile e viene trasformata in proinsulina. Nell’apparato del Golgi la proinsulina si trasforma in insulina definitiva tramite escissione di un peptide ad opera del proinsulin converting enzyme, il cosiddetto peptide di coniugazione o peptide C. Dopo il taglio proteolitico le due subunità residue (A e B) rimangono unite per interazione chimica di 4 cisteine (2 per legame)che si associano mediante due ponti solfuro. La catena A è di 21 aminoacidi e catena B è di 30 aminoacidi. La sua funzione più nota è quella di regolatore dei livelli di glucosio ematico riducendo la glicemia mediante l'attivazione di diversi processi metabolici e cellulari. Ha inoltre un essenziale ruolo nella sintesi proteica assieme ad altri ormoni che sinergicamente partecipano a tale processo, tra cui l'asse GH/IGF‐1, e il testosterone. L'insulina è il principale ormone responsabile del fenomeno della lipogenesi, in quanto promuove lo stoccaggio di lipidi all'interno del tessuto adiposo Peptide C (diabete) *: il peptide C deriva dal taglio enzimatico dell’insulina ed è costituito da 31 amminoacidi. Espleta alcune importanti funzioni biologiche, come l’aumento del rilascio di ossido nitrico, interviene nella riparazione della tonaca muscolare delle arterie, aumenta l’attività delle pompe sodio‐potassio nelle cellule nervose e migliora la funzionalità renale. Viene metabolizzato a livello renale e può essere dosato anche nelle urine per verificare il quantitativo di insulina prodotta. Nei pazienti con diabete di tipo 1, i livelli di peptide C nel sangue e nelle urine sono molto bassi (parallelamente a quelli di insulina); nei pazienti con diabete di tipo 2, i livelli di peptide C sono spesso normali o superiori alla norma, a causa dell’iperproduzione insulinica come tentativo compensatorio delle cellule beta pancreatiche di sopperire alla mancata responsività a questo Scaricato da www.sunhope.it ormone. Il test può essere utilizzato anche per controllare la produzione insulinica in un paziente diabetico, in quanto l’insulina esogena non influisce con i livelli di Peptide C circolanti (e quindi di insulina endogena) Azione dell’insulina *: l'insulina si lega alla porzione extracellulare del recettore dell'insulina delle cellule di membrana. L'IR esiste in due isoforme come risultato di splicing alternativo; il tipo A ed il tipo B. Le due isoforme hanno sottili differenze nell’affinità di legame con l’insulina e con il fattore di crescita insulino‐simile (IGF). L'elevata affinità di legame di IGF‐II di tipo A recettore dell'insulina è stata riportata anche in cellule tumorali umane. Il recettore è costituito da due subunità, una alfa extracellulare ed una beta trans ed intracellulare; la struttura è così riassumibile: sito di legame con l’insulina extracellulare, regione transmembrana e regione citosolica costituita da due subunità con residui di tirosina. I recettori rimangono separati fino che il legame con l’insulina non li fa dimerizzare, alterando la struttura molecolare che porta i due residui di tirosina a fosforilarsi a vicenda, attivandosi. Diversi substrati vengono reclutati, tra cui le proteine substrato recettore dell'insulina IRS (1‐4), Shc, Gab‐1, Cbl + APS; questi a loro volta reclutano alcuni fattori proteici contenenti il dominio SH2. Queste proteine sono le chinasi della famiglia Src, le docking‐protein, le scaffold‐protein e le proteine adattatrici. Quando questeproteine si fosforilano, da un lato (Shc e Gab‐1) attivano la cascata delle map chinasi, dall’altro (Cbl + APS) inducono la via dei raft lipidici, da un altro ancora (IRS 1‐4) reclutano PI3K. Quando Cbl + APS sono fosforilati,Cbl interagisce con la proteina Cbl‐associata (PAC), che può legarsi alla proteina flotillina dei raft lipidici. Questa interazione consente il reclutamento del CrkII che si lega a PIL‐ GTP C3G, che può catalizzare lo scambio di GTP da PIL al TC10, attivandolo. Dopo l'attivazione, TC10 interagisce in sinergia con altre vie per stimolare il traffico di vescicole GLUT4, il loro aggancio e la loro fusione con la membrana plasmatica.Quando IRS (1‐4) recluta PI3K in prossimità della membrana plasmatica, questo catalizza la conversione di Pip2 in Pip3, che attiva a sua volta Pdk1. Pdk1 fosforila la chinasi Akt che consente il trasferimento di Glut4 sulla membrana plasmatica, consentendo il trasporto del glucosio nei tessuti insulino‐dipendenti Funzioni fisiologiche principali dell’insulina: ‐ ‐ ‐ ‐ ‐ ‐ ‐ Aumento di assunzione cellulare di alcune sostanze, più prominente glucosio nel muscolo e del tessuto adiposo Aumento della sintesi delle proteine tramite il controllo della captazione di aminoacidi Aumento della sintesi di glicogeno Diminuzione gluconeogenesi e glicogenolisi Aumento della sintesi dei lipidi, tramite conversione del glucosio che viene convertito in trigliceridi Diminuzione della lipolisi Diminuzione proteolisi Diabete Mellito tipo 1**************: malattia caratterizzata da una carenza grave o assoluta di insulina, risultato della distruzione delle cellule beta pancreatiche che si verifica in individui geneticamente predisposti. Ne esistono 2 forme: quella autoimmune e quella idiopatica a patogenesi ignota (molto rara). La rottura della tolleranza immunologica può essere associata generalmente ad una interazione potenziata del complesso MHC1/antigene insulare, che può essere dovuta a: Scaricato da www.sunhope.it ‐ ‐ ‐ ‐ delezioni che codificano per CTLA‐4 (recettore inibitorio dei co‐recettori B7 1 e 2) che inibisce la risposta immunitaria mutazioni di CD28 (recettore attivatore dei co‐recettori B7 1 e 2) che aumenta l’attività immunitaria infezioni virali daCoxsackie o Citomegalovirus, che inneschino o fenomeni di “epitope spreading” (visualizzazione, da parte del sistema immunitario, di antigeni prima nascosti all’interno delle cellule) o il “mimetismo antigenico” (i virus mimano gli antigeni delle cellule beta pancreatiche, determinando aggressione anche di queste cellule) alcune sostanze, come il latte vaccino assunto troppo precocemente (causa verificata dalla presenza di anticorpi anti‐albumina bovina) Alla lunga si genera una insulite pancreatica che ha come cause effettrici del processo l’autoaggressione dei linfociti CD4+ e CD8+, degli anticorpi anti‐insulina o anti cellule beta. Esistono alcuni fattori genici che possono risultare predisponenti: il possessodelle combinazioni di antigeni DR4‐DQ8 e DR3‐DQ2 si manifestano nel 90% dei casi di diabete mellito di tipo 1 (gli HLA sono sul cromosoma 6); la mutazione di CTLA‐4 sul cromosoma 2. Ovviamente il rischio aumenta sempre di più a seconda di quanti fattori di rischio sono presenti nel codice dell’individuo ‐ epidemiologia: variabile a seconda della popolazione di riferimento, ma in Italia circa 1/10.000 nati presentano la malattia (la Finlandia ha un’incidenza molto maggiore) Diabete Mellito tipo 2 ********************: il diabete di tipo 2 ha una eziologia multifattoriale, in quanto è causato dal concorso di più fattori, sia genetici che ambientali. I fattori eziologici provocano la malattia attraverso il concorso di due meccanismi principali: l'alterazione della secrezione di insulina e la ridotta sensibilità dei tessuti bersaglio alla sua azione (insulino‐resistenza). Il diabete Tipo 2 è preceduto da una fase prediabetica, in cui la resistenza dei tessuti periferici all'azione dell'insulina è compensata da un aumento della secrezione pancreatica di insulina. Soltanto quando si aggravano sia i difetti di secrezione insulinica sia l'insulino‐resistenza, si renderebbe manifesta prima l'iperglicemia post‐prandiale e poi l'iperglicemia a digiuno. Le cause: ‐ ‐ ‐ ‐ ‐ la down regulation dei recettori per l’insulina, conseguente a eccessiva presenza ed a livelli elevati di quest’ultima nel sangue l'obesità riveste un ruolo di primo piano nello sviluppo della resistenza all'insulina. Il tessuto adiposo è, infatti, in grado di produrre una serie di sostanze (leptina, TFN‐α, acidi grassi liberi, adiponectina), che concorrono allo sviluppo della insulino‐resistenza stimolando l’infiammazione che concorre alla produzione di anticorpi anti‐insulina. Altro ruolo del tessuto adiposo è quello di produrre alti quantitativi di DAG che, stimolando le fosforilazioni sui residui di serina, mitiga in negativo la fosforilazione dei residui di tirosina (recettore dell’insulina) difetti recettoriali, ossia mutazioni del recettore RS e Gab‐1 determinano l’incapacità di rispondere all’insulina difetti del canale Glut4 determina insulino‐resistenza poiché il canale alterato non consente un normale passaggio di glucosio difetti del canale Glut2 determina mancata secrezione insulinica poiché manca la stimolazione primaria del glucosio sulla cellula beta pancreatica Gli effetti dell’insulino‐resistenza sulla trasduzione del segnale: ‐ vi è uno sbilancio tra la cascata delle map chinasi e la via di trasduzione di PI3K. La via delle map chinasi resta normale, provocando aumento della crescita vasale e del fattore PAI; invece la via del Scaricato da www.sunhope.it PI3K viene silenziata. Normalmente PI3K contrasterebbe l’aumento dei fattori di crescita vasale e di PAI, ma nell’insulino‐resistenza resta bloccata. Questo porta ad un effetto aterogeno Si parla comunque di resistenza "relativa" in quanto livelli sovrafisiologici di insulinemia provocano una normalizzazione della glicemia. La conseguenza più importante è il mancato controllo della glicemia. Nella patogenesi del progressivo deficit della secrezione insulinica hanno un ruolo determinante la necrosi e l'apoptosi delle cellule beta, alle quali concorrono la dislipidemia (lipotossicità) e la iperglicemia cronica (glucotossicità) ‐ epidemiologia: nei paesi industrializzati, il diabete mostra una prevalenza del 20% della popolazione over 75 anni, ma esistono alcuni genomi particolari (come quelli degli indiani Pima) che consentono una prevalenza del 50% circa della popolazione Effetti clinici (diabete): ‐ ‐ ‐ ‐ poliuria: compensatoria, in quanto il paziente urina molta più acqua di una persona normale a causa del superamento della soglia glucidica riassorbibile dal rene; il risultato è che per eliminare il glucosio il rene ha bisogno di utilizzare più acqua per riuscire a tenerlo in soluzione ed eliminarlo polidipsia: secondaria alla poliuria, significa aumento della necessità di assunzione di acqua polifagia: paradossa chetoacidosi *: dovuta all’aumentato utilizzo di acidi grassi come fonte energetica (e quindi la chetogenesi), con formazione di corpi chetonici quali beta‐idrossi‐butirrato, acetoacetato e acetone Complicanze (diabete)**: esistono 2 tipologie di complicanze: acute e croniche. Le complicanze acute sono il coma chetoacidosico, e il coma iperosmolare. Le complicanze a lungo termine sono imputabili all’iperglicemia ed essenzialmente si esplicano sotto 4 forme: formazione di AGE, attivazione della PKC, attivazione della via dei polioli e attivazione della via delle esosamine Complicanze Acute ‐ ‐ coma chetoacidosico: complicanza più frequente nel diabete di tipo 1. La ridotta o mancata presenza dell’insulina, fa sì che il pancreas rilasci glucagone (per mancata inibizione della secrezione di questo da parte dell’insulina). Il glucagone, oltre a peggiorare l’iperglicemia tramite mobilizzazione dei depositi di glicogeno epatico e muscolari, promuove anche la lipolisi, aumentando il numero degli acidi grassi in circolo. Questi vengono trasformati in corpi chetonici (beta‐idrossi‐butirrato, acetoacetato, acetone) per sopperire alle richieste energetiche dell’organismo (non più capace di assimilare lo zucchero causa mancata stimolazione dell’insulina). L’abbassamento del pH conseguente all’accumulo di questi prodotti genera il coma coma iperosmolare: tipica complicanza dei soggetti anziani con diabete di tipo 2, in condizioni di caldo più forti del normale (estate). L’iperglicemia di questi soggetti è estremamente aumentata, da valori di 500 mg/dl anche a 1000 mg/dl. Inizialmente si assiste a poliuria che aggrava la disidratazione; una volta avvenuta la disidratazione, il rene non riesce più a filtrare efficacemente il glucosio, che si accumula nel sangue raggiungendo livelli elevati. Il glucosio richiama acqua dai tessuti, comportando la disidratazione cellulare (nella fattispecie a carico dei neuroni), la sonnolenza e infine il coma Complicanze a Lungo Termine Scaricato da www.sunhope.it ‐ ‐ ‐ ‐ formazione di AGE**: l’iperglicemia causa la glicazione di diverse molecolequali le proteine,che formano AGE (Advanced Glycation Endproducts). Le proteine sanguigne si associano a formare complessi, che possono dare vita a 2 diverse complicanze:microangiopatia, ossia l’inspessimento dell’intima di microstrutture vascolari, spesso associato con la crescita di altri piccoli, fragili vasi[Esempi di microangiopatia: retinopatia diabetica, neuropatia diabetica, nefropatia diabetica], e macroangiopatia, che invece comporta l’accelerazione dei processi aterosclerotici a carico di vasi di calibro maggiore [Esempi di macroangiopatia: cardiopatie ischemiche, ischemie vascolari, arteriopatia periferica]. Altre glicazioni avvengono a carico dell’emoglobina e ciò rende possibile utilizzare il quantitativo di emoglobina nel sangue come diagnostico della gravità del diabete dato che non risente delle variazioni glicemiche (una volta glicata l’emoglobina, resta glicata), durando per tutta la vita dell’eritrocita attivazione della PKC: gli elevati livelli di glucosio fanno sì che aumenti all’interno delle cellule la formazione di DAG; questo stimola l’attività della protein‐chinasi‐C (PKC), responsabile di diverse vie di segnalazione intracellulare. In particolar modo, viene stimolata la formazione di: molecole pro‐angiogenetiche (VEGF), collagene di tipo 4, endotelina‐1 (antagonista di NO) e citochine proinfiammatorie attivazione della via dei polioli: la saturazione dell’esochinasi causata dagli eccessivi livelli di glucosio intracellulare, attiva l’aldoso reduttasi che trasforma il glucosio in sorbitolo con il dispendio di NADPH. Ciò comporta: aumentato danno cellulare da stress ossidativo (causato dalla mancanza di NADPH) e alterazioni osmotiche dovute all’accumulo di sorbitolo, che rimane imprigionato nelle cellule, richiamando acqua e causandone il rigonfiamento. L’alterazione osmotica causa la precipitazione di alcune proteine, evento evidente a livello del cristallino dove si genera cataratta attivazione della via delle esosamine: sempre l’iperglicemia causa l’attivazione della via delle esosamine, trasformando il glucosio in glucosio‐6‐P e successivamente in fruttosio‐6‐P; questo viene utilizzato per glicosilare i gruppi carbossilici COO‐ delle proteine, causando la disfunzionalità di alcuni fattori proteici, effettori dell’espressione genica Diabete gestazionale *: forma di diabete che la donna può acquisire in gravidanza. È relativamente frequente (dall’1 al 14% delle gravidanze) e generalmente regredisce dopo il parto. Le cause possono essere molteplici, quali disturbi pancreatici dati da accumuli di sostanze (quali ferro), disturbi pancreatici dati da infezioni con distruzione diretta delle beta‐cellule (citomegalovirus), forme legate a farmaci o altre sostanze chimiche e forme legate a variazioni gestionali del metabolismo endocrino. Le donne che contraggono diabete gestazionale hanno più possibilità (70%) delle altre di contrarre il diabete nella vita, anche post‐regressione della forma gestazionale Diabete geni Mody **: acronimo dall’inglese di Maturity Onset Diabetes of the Young e definisce una forma rara di diabete (1‐2% dei diabetici), non autoimmune, caratterizzata da una iperglicemia familiare con un’eredità autosomica dominante. È causata da una mutazione di un punto o di una sequenza di un singolo gene, importanti per lo sviluppo o la funzionalità della ß‐cellula pancreatica, con conseguente alterazione della secrezione di insulina. Ha un esordio precoce, in genere prima del 25° anno di età. Spesso, il riscontro di iperglicemia è del tutto casuale durante un check‐up di routine o per un controllo in seguito a una forte familiarità per diabete; la familiarità per sospettare di diabete MODY deve essere almeno di 3 generazioni. Può anche Scaricato da www.sunhope.it capitare che persone identificate inizialmente come diabetici di Tipo 2 siano in realtà soggetti con diabete MODY. Sono state classificate 6 forme di diabete MODY, le due principali (75‐90% dei casi), sono il MODY 2 e il MODY 3. Tutte le forme sono causate da mutazioni di geni localizzati su differenti cromosomi che vengono espressi tutti nelle cellule beta del pancreas. Questi geni tuttavia vengono espressi anche in altri tessuti, come fegato e rene; infatti in alcune forme di diabete MODY si possono manifestare anche alterazioni nella funzione epatica e renale. Le due forme più note: ‐ ‐ diabete MODY 2: associato a un difetto dell’enzima glucochinasi (catalizza il trasferimento di un gruppo fosfato dall'ATP al glucosio, generando glucosio‐6‐fosfato. Questa reazione è la prima tappa nel metabolismo della glicolisi). Chi è affetto da diabete MODY 2 non è in sovrappeso/obeso e ha una leggera iperglicemia a digiuno (110‐140 mg/dl), che può essere presente sin dalla nascita, e normale o ridotta tolleranza al glucosio al carico orale. I soggetti che soffrono di MODY 2 vengono controllati con la dieta e l’attività fisica e solo raramente necessitano di ipoglicemizzanti orali o insulina. Le complicanze sono molto rare diabete MODY 3: la forma più frequente tra i MODY (70%) è associato a un difetto della secrezione di insulina, sia in risposta al glucosio che all’arginina, dovuta al deficit del fattore HNF‐1‐alfa (mutazione del fattore nucleare epatocitico alfa 1). Esiste un’alterazione sia a livello delle cellule pancreatiche beta, sia a livello di quelle alfa, responsabili della produzione del glucagone. La clinica per diabete MODY 3 considera aspetti come poliuria e polidipsia (oltre l’ovvia iperglicemia). Essendo più grave, questo diabete ha come complicanze la chetoacidosi, complicanze microvascolari e necessitare di terapia insulinica. Questa forma viene scambiata per diabete tipo 1 Altre forme: ‐ ‐ ‐ ‐ HNF1‐alfa: diabete MODY 1, causato da mutazione del fattore nucleare epatocitico alfa 4 IPF1: diabete MODY 4, causato da mutazione del fattore 1 promotore insulinico HNF1‐beta: diabete MODY 5, causato damutazione del fattore nucleare epatocitico beta, associato a cisti renali NeuroD1: diabete MODY 6, causato da mutazione del fattore di trascrizione nucleare neuro D1 Aterosclerosi *********************: letteralmente significa “indurimento dell’arteria” e consiste nella deposizione di grasso all’interno della struttura arteriosa. Questo grasso genera reazioni patologiche che culminano nella rottura di questa placca all’interno del sangue, con conseguente attivazione della cascata coagulativa e ostruzione dei vasi, infarto miocardico, ictus, arteropatie periferiche e ischemia (renale ad esempio). Consta di diverse fasi: ‐ fase 1: le LDL circolanti (che all’interno del sangue sono normalmente protette dall’ossidazione) penetrano all’interno del vaso dove si ossidano, divenendo OxLDL. Queste LDL ossidate vanno incontro a diversi destini, a seconda di quanto il livello di ossidazione sia alto; se è un’ossidazione che non compromette il riconoscimento da parte del recettore delle LDL, questa può essere ancora processata; al contrario invece, se l’ossidazione è massiccia e compromette il riconoscimento recettoriale, queste OxLDL verranno riconosciute soltanto dal recettore “scavenger”, presente sui macrofagi e sulle cellule muscolari lisce. Le cellule endoteliali, sotto stimolo delle OxLDL producono ICAM‐1 e VCAM‐1, che preludono al richiamo massivo di monociti circolanti e altri leucociti ‐ fase 2: le integrine espresse hanno richiamato un certo numero di monociti dal sangue, che penetrati all’interno dell’endotelio sono diventati macrofagi. A questo punto, i macrofagi fagocitano le OxLDL tramite il recettore “scavenger” e tramite il CD36. I macrofagi quindi digeriscono le OxLDL, generando diversi prodotti secondari; tra questi prodotti è presente anche il colesterolo che viene successivamente esterificato e accumulato all’interno dei macrofagi sotto Scaricato da www.sunhope.it ‐ forma di inclusi lipidici che danno alla cellula un aspetto schiumoso (cellule schiumose). Di norma i macrofagi hanno dei mezzi per evitare l’accumulo di colesterolo (lo legano alle HDL circolanti e così lo eliminano dal loro citoplasma), ma in queste condizioni i lipidi sono troppi e, a seconda del quantitativo considerato, possono dar vita a quadri più o meno gravi. Le cellule muscolari migrate nell’intima del sottoendotelio cominciano a fagocitare le OxLDL, diventando anch’esse cellule schiumose; le stesse successivamente producono matrice e tessuto fibroso (fibronectina e collagene) che si dispongono attorno all’accumulo di OxLDL, trasformando il tutto in una placca vera e propria. Possiamo avere dei fenomeni di attivazione immunitaria mediata dai macrofagi che dopo aver processato le OxLDL possono esporre parte delle loro componenti sulla membrana plasmatica. Quando i linfociti TH1 accorrono sul luogo trovano i macrofagi e, grazie all’interazione con questi tramite l’MHC2, vengono attivati, producendo IFN‐gamma che attiva ulteriormente i macrofagi, contribuendo all’infiammazione. I TH1 inoltre possono anche attivare i linfociti B a secernere anticorpi anti‐OxLDL (questi anticorpi possono essere usati come marcatori di progressione della lesione, apparendo solo in fasi tarde) Fase 3: questa fase prevede la rottura della placca o per cause emodinamiche o per azione diretta delle sostanze litiche macrofagiche. Qualunque sia il motivo, le OxLDL assieme a parte della capsula fibrosa, frammenti di leucociti e altri elementi cellulari si trovano esposti direttamente al flusso sanguigno. Essendo questo materiale altamente trombotico, le piastrine vengono attivate e si aggregano sul materiale estruso, formando un trombo che può occludere in poco tempo il lume vasale. A seconda dello spessore, la capsula può essere può essere più o meno predisposta alla rottura; più spessa è, minore è la possibilità di rottura. Esiste anche la possibilità che l’ostruzione proceda senza rotture e con una certa progressività, consentendo la formazione di circoli di compenso collaterali Fisiopatologia dell’emostasi Emostasi *****: l'emostasi normale è l'effetto di alcuni processi che svolgono due importanti funzioni: mantenere il sangue in uno stato fluido nei vasi normali ed indurre un tappo emostatico in modo rapido e ben localizzato presso la sede del danno al vaso. Questo tappo emostatico rappresenta una formazione transitoria, necessaria per permettere ai meccanismi di riparazione delle ferite di riparare la lesione. Il modello prevede: il danno endoteliale, l'emostasi primaria, l'emostasi secondaria, la retrazione del coagulo e la fibrinolisi. Il secondo modello condensa i primi tre passaggi sotto la voce: formazione di fibrina (danno endoteliale, emostasi primaria ed emostasi secondaria). Di seguito i passaggi sono scanditi in maniera tale da salvaguardare entrambe le suddivisioni: ‐ Danno endoteliale: provoca il rilascio da parte delle cellule dello stesso tessuto di alcuni fattori chiamati endoteline, potenti vasocostrittori che agiscono nelle arteriole a livello della lesione, in modo tale da contrastare l'eventuale perdita di sangue. La vasocostrizione così ottenuta, coadiuvata da un'ulteriore vasocostrizione di origine nervosa è però solo temporanea ‐ Emostasi primaria: le cellule endoteliali, a causa della lesione, secernono il fattore di von Willebrand (vWF), una proteina che si dispone presso la lesione, permettendo l'adesione piastrinica mediante l'interazione tra le piastrine e la matrice extracellulare esposta, che è trombogenica. Le piastrine infatti vi si legano tramite la glicoproteina Ib (GpIb) e a sua volta il fattore di von Willebrand si associa al collagene della matrice extracellulare. Entro qualche minuto le piastrine Scaricato da www.sunhope.it ‐ iniziano ad aderire al fattore di von Willebrand e cambiano forma, da discoidale a piatta, aumentando la loro superficie grazie alla stimolazione da parte di ADP. Rilasciano inoltre i loro granuli secretori contenenti prevalentemente ADP e trombossano A2. Queste sostanze fungono da chemochine per altre piastrine che si accumulano presso la lesione apponendosi sulle altre già presenti e formando il tappo emostatico Emostasi secondaria: fase che prevede la stabilizzazione dell’aggregato piastrinico. Questa stabilizzazione viene ottenuta tramite apposizione di diversi filamenti di fibrina al di sopra del tappo piastrinico. Affinché ciò avvenga, esistono 2 possibili vie: via estrinseca e via intrinseca, di cui quella estrinseca è più rapida ‐ ‐ Retrazione del coagulo: caratterizzata dalla cessione di acqua da parte del polimero di fibrina con il conseguente accorciamento dello stesso. Questa fase richiede un dispendio di energia sotto forma di ATP che viene prodotta dalle piastrine stesse ed è denominata metamorfosi viscosa Fibrinolisi: operata dal sistema della plasmina, ovvero la forma attiva del plasminogeno. Questo fattore anticoagulante viene attivato dalla trombina, la stessa che attiva proprio la fibrina. Il significato di questo accoppiamento di reazioni ad effetto biologico opposto è quello di garantire ad una rapida formazione di un trombo, un altrettanto rapida eliminazione. Sono fattori che aiutano la formazione di plasmina il tPA e l'uPA, mentre è inibitore di questi ultimi (ed è quindi un inibitore della plasmina) il Plasminogen activator inhibitor (PAI).Hanno un ruolo nella fibrinolisi anche l'antitrombina III, l'ossido d'azoto (NO) e la trombomodulina Patologie dell’emostasi *****: PIASTRINOPATIE / PIASTRINOPENIE Scaricato da www.sunhope.it Bernard‐Soulier: (piastrinopatia) malattia dovuta a una mutazione del DNA, riguardante principalmente tre geni: GP1BA, GP1BB e GP9, codificanti per un complesso di membrana, Gp1B‐Gp5‐Gp9, recettore per il fattore di von Willebrand. La mutazione causa un deficit quantitativo o qualitativo del complesso glicoproteico in questione. Ciò determina un'alterazione funzionale piastrinica, con deficit di adesione‐aggregazione. Si trasmette con modalità autosomica recessiva. I sono coinvolti il cromosoma 17 sul braccio corto, mentre i cromosomi 22 e 3 sul braccio lungo ‐ ‐ epidemiologia: molto rara in forma omozigote ‐ 1/1.000.000 nati, mentre si suppone che la forma eterozigote abbia un'incidenza di 1/500 individui clinica: le emorragie, possono manifestarsi anche in seguito a piccoli traumi successivi. Il tempo di emorragia è allungato Tale sindrome può essere prevenuta evitando l'acido acetilsalicilico, antinfiammatori o comunque farmaci che portano come effetto collaterale le emorragie. Si riserva la trasfusione di piastrine in caso d'intervento chirurgico o di complicanza emorragica più importante Wiskott‐Aldrich: (piastrinopenia da alterata maturazione) malattia ereditaria dovuta a mutazioni del gene was che codifica per una proteina del citoscheletro nelle cellule prodotte dal midollo emopoietico, detta WASP. La trasmissione è recessiva X‐linked. WASP è una proteina che consente di legare CDC42, svolgendo un ruolo fondamentale nell'organizzazione dell'actina nel citoscheletro (anche in ambito immunitario) e di legare domini SH3, svolgendo un ruolo fondamentale nella trasduzione del segnale e maturazione. Diagnosticamente le piastrine sono piccole (micropiastrine) ‐ ‐ epidemiologia: la sua incidenza è 1/250.000 maschi nati vivi clinica: presenta eczema, piastrinopenia con ridotta risposta alla coagulazione ecompromissione immunitaria con sensibilità spiccata alle infezioni (diagnosticamente presenta numero normale di immunoglobuline che però rispondono male alla chemiotassi e presentano scarsa immunità cellulo‐ mediata). L’aspettativa di vita non è alta Solo il trapianto di midollo osseo può portare a una risoluzione definitiva Piastrinopenie da aumentata distruzione: possono essere provocate da farmaci, da fattori autoimmuni, da cause tossiche, da infezioni DEFICIENZE GENETICHE DELLA SINTESI DELLE PROTEINE COAGULATIVE: Emofilia A e B Emofilia A: patologia dovuta alla deficienza del fattore 8 della coagulazione; la mutazione può essere dovuta principalmente o a delezione o ad una mutazione puntiforme che codifica per un codone di STOP precoce, che porta a perdita della funzione della proteina (fattore 8). Gli amminoacidi più sostituiti sono l’Arg372 e l’Arg1689. Il gene è contenuto sul braccio lungo del cromosoma X, in posizione telomerica; la malattiaha carattere X‐linked recessiva ‐ epidemiologia: 1/10.000 nati Scaricato da www.sunhope.it Emofilia B: causata dall'assenza o dalla scarsa attività del fattore 9 della coagulazione. La mutazione è situata sul cromosoma X in una posizione più vicina al centromero (ma sempre telomerica) rispetto al gene che codifica il fattore 8. La trasmissione è sempre a carattere X‐linked recessivo. Più del 95% delle mutazioni riguardano singoli nucleotidi o piccole delezioni/sostituzioni distribuite lungo tutto il gene ‐ epidemiologia: meno riscontrata della forma A, colpisce 1/30.000 nati Clinica dell’emofilie (A e B):genericamente, data la sua modalità di trasmissione, i pazienti sono quasi tutti uomini; le rare donne emofiliache presentano la patologia a causa di un’errata Lyonizzazione. I deficit della coagulazione che possono variare come grado di gravità. Quando l’attività di un fattore della coagulazione è quasi inesistente (1%), può esitare in emorragie spontanee. Se vi è un’attività scarsa, lesioni minime possono condurre a perdite ingenti di sangue; se l’attività è moderata, sono necessarie lesioni maggiori (come l’estrazione di un dente) per generare un’emorragia reale. Diagnosticamente possono essere reperite emorragie articolari, o perdite di sangue spontanee e ingenti dal naso o a seguito di un prelievo o in urine/feci. Il trattamento si basa sulla terapia sostitutiva utilizzando derivati plasmatici o proteine ricombinanti. Il trattamento può essere somministrato dopo un episodio emorragico o per prevenire il sanguinamento (come trattamento profilattico). La complicazione più frequente è la produzione di anticorpi inibitori contro il fattore della coagulazione somministrato. Da ricordare che la via estrinseca della coagulazione in entrambe le forme di emofilia rimane invariata Sindrome di Leiden: Il fattore 5 di Leiden è una variante della proteina “fattore 5” umana, implicata nella cascata coagulativa. Il gene che codifica per la proteina è F5 e l'alterazione consiste in una mutazione puntiforme “missenso” che cambia un amminoacido da arginina a glutammina. Il fattore 5 normalmente svolgerebbe la sua azione come cofattore del fattore 10 per attivare l'enzima protrombina (fattore 2) a trombina. Il suo effetto pro‐ coagulante è normalmente inibito dalla Proteina C attivata (PCa, un anticoagulante naturale) che limita l'estensione del coagulo attraverso il taglio del fattore V attivato, rendendolo inattivo. Questo polimorfismo comporta impedisce il taglio da parte della Proteina C attivata rendendo il fattore 5 mutato resistente all'azione della proteina C attivata, predisponendo alla trombosi. Il fattore V di Leiden è una variante genetica a carattere autosomico dominante, si esprime con dominanza incompleta e porta ad un fattore V che non può essere facilmente degradato dalla proteina C attivata ‐ ‐ epidemiologia: si stima che circa il 3% della popolazione mondiale abbia il fattore V di Leiden clinica: l'eccesso di coagulazione provocato da questa alterazione è quasi totalmente ristretto alle vene, dove si può manifestare con una trombosi venosa profonda. Il trombo venoso, se si frammenta, può embolizzare: i frammenti del coagulo possono, cioè, viaggiare nel sangue fino alla parte destra del cuore ed arrivare ai polmoni, dove possono incunearsi nei vasi polmonari e causare un'embolia polmonare La diagnosi prevede l’uso di test di screening con veleno di serpente o con il test dell'PTT. In entrambi questi metodi, il tempo necessario per formare il coagulo è ridotto. Si può misurare un rapporto della capacità della proteina C attivata di inattivare il fattore V col confronto di un test con l'aggiunta di proteina C attivata e un altro senza. È disponibile anche un test genetico per rilevare questa variazione. La terapia prevede l’eliminazione di eventuali fattori di rischio, quali l'uso di contraccettivi orali e fumo Scaricato da www.sunhope.it Trombosi ***: patologia generata da un’attivazione intravasale inopportuna della cascata coagulativa. Il trombo formatosi è una struttura semisolida costituito anatomicamente da 3 parti: ‐ ‐ ‐ una testa connessa direttamente con il motivo di formazione del trombo (genericamente adeso all’endotelio). Risulta costituita da piastrine e fibrina [trombo bianco] un corpo che si estende in misura variabile nel lume ematico seguendo il vettore del flusso ematico. Risulta variegato [trombo variegato], ma costituito prevalentemente da globuli rossi nelle vene e da piastrine nelle arterie una coda che si estende a lungo nel lume vasale seguendo il vettore del flusso ematico. La lunghezza della coda dipende da diversi fattori, come anche la sua composizione. Nelle arterie la coda va più facilmente incontro a rottura a causa della velocità del flusso, mentre nelle vene può arrivare a raggiungere dimensioni notevoli (anche dalla vena renale all’atrio destro) e risulta costituita da fibrina e globuli rossi prevalentemente [trombo rosso] Il trombo si sviluppa per diverse cause patologiche, seguendo le direttive della triade di Virchow: alterazioni dell’endotelio vasale, alterazione dell’emostasi, alterazioni emodinamiche ‐ ‐ ‐ alterazioni dell’endotelio vasale: possono dipendere da vari fattori, quali: cause infettive (i batteri gram‐negativi liberano una sostanza chiamata endotossina che è capace di danneggiare gli endoteli, soprattutto quelli al livello della microcircolazione; su questi complessi danno/endotossine si possono aggregare, piastrine, anticorpi, complemento e anche macrofagi, contribuendo al danno che inizia l’evento trombotico), cause meccaniche (prevalentemente date da interventi chirurgici con cateteri), cause tossiche (danno indotto da farmaci, Sali biliari, mezzi di contrasto radiologico), cause immunologiche (danno indotto da anticorpi specifici, immunocomplessi o linfociti citotossici ma non legato ad una causa infettiva) alterazione dell’emostasi: in ogni caso di alterazione dell’emostasi la probabilità di andare incontro a fenomeni trombotici cresce. Possiamo schematizzare tre principali categorie: aumentata attività dei fattori dell’emostasi, deficiente controllo dell’attivazione dell’emostasi, deficiente attività fibrinolitica. Tra l’aumentata attività dei fattori dell’emostasile alterazioni più probabili sono a carico delle piastrine (malattie mieloproliferative in primo luogo) o causate da condizioni che stimolino una maggiore attivazione della cascata coagulativa (interventi chirurgici, necrosi, tumori) [aumento della tromboplastina tissutale]. Undeficiente controllo dell’attivazione dell’emostasi si verifica specialmente in condizioni di deficienza genetica di alcuni fattori quali l’antitrombina 3, proteina C o altre serinoproteasi. Una deficiente attività fibrinolitica si manifesta in condizioni di deficienza di plasmina, che può essere assoluta (deficienza di attivatori del plasminogeno) o funzionale (abnorme attivazione degli inibitori della plasmina) alterazioni emodinamiche: normalmente il sangue fluisce all’interno del vaso su un modello schematico che rimanda allo scorrimento di un fluido in un tubo cilindrico ideale, ossia presenta 2 diverse velocità, quella laminare e quella centrale; la velocità laminare è minore a causa dell’attrito sul “tubo”, mentre la centrale risulta più alta. Facendo un parallelismo con il vaso sanguigno troviamo che al centro del flusso si dispongono i globuli rossi (a causa della maggiore dimensione e densità), mentre alla periferia troviamo le piastrine (che però non impattano con la parete vasale grazie alle repulsioni elettrostatiche tra piastrine ed endotelio). Più la velocità del flusso è alta più viene rispettata tale disposizione. In condizioni di alterazione del flusso (aneurismi, irregolarità della parete, zone di flusso turbolento, di flusso troppo rallentato o di stasi) le piastrine possono aggregarsi più facilmente, favorendo la crescita di trombi Scaricato da www.sunhope.it Il trombo presenta diverse fasi evolutive. La prima consiste nella formazione della testa del trombo su un punto danneggiato dell’endotelio vasale (le cause sono trattate nella triade di Virchow); il danno espone una superficie trombotica che libera ADP, espone componenti quali membrana basale e/o il collagene sottostante e inibisce la sintesi della prostaciclina e dell’NO. In queste condizioni le piastrine si possono aggregare e innescare risposte con liberazione di ADP, Ca++, serotonina, prostaglandine che favoriscono la formazione del nucleo del trombo primitivo chiamato anche “trombo bianco”. Il trombo viene stabilizzato dalla fibrina che si depone sopra (rimanendo trombo bianco), fino a che il reticolo di fibrina non progredisce, formando il corpo e la coda. La fibrina intrappola i globuli rossi e quelli bianchi, andando a costituire le “porzioni rosse” [trombo rosso], alternandole a porzioni dove piastrine e fibrina sono predominanti, generando altre porzioni “bianche” [trombo bianco]. Data l’alternanza delle porzioni rosse‐ bianche, si parlerà di “trombo variegato”. In questa condizione, se si parla di trombosi venosa, le piastrine ma sopratutto il fibrinogeno verranno utilizzati per formare il trombo, facendo precipitare i loro livelli di sopravvivenza ematica (permangono nel flusso sanguigno per molto meno a causa della loro utilizzazione ‐‐ ‐ nelle arterie si aggregano con molta più difficoltà). L’evento finale presenta 3 diverse possibilità: la lisi del trombo [mediata da macrofagi e neutrofili attratti dagli stimoli chemiotattici liberati sia dalle piastrine aggregate (fattore piastrinico 4) sia dai fibrinopeptidi lisati] con ricanalizzazione e ripristino del flusso, l’occlusione definitiva [genericamente data dal distacco del trombo con successiva ostruzione improvvisa del vaso e successive ischemie/infarti se si parla di un trombo arterioso; il trombo venoso è genericamente meno grave grazie alle anastomosi che consentono comunque il deflusso sanguigno] o l’occlusione con neoangiogenesi [il trombo può accrescersi lentamente dando il tempo a vasi collaterali di formarsi, generando dei circoli di compenso che sopperiscano alla mancanza della prima arteria/vena, ormai occlusa] Claudicatio Intermittens: nella sindrome ischemica cronica dovuta alle arteriopatie periferiche, si riscontrano 4 fasi di sviluppo patologico (classificazione di Fontaine) a carico delle arterie degli arti inferiori. La Claudicatio Intermittens è il 2° stadio. Gli stadi sono: ‐ ‐ ‐ ‐ stadio 1: o subclinico, abbiamo sintomi vaghi, con senso di peso, freddo ed affaticamento delle estremità stadio 2: o Claudicatio Intermittens, costringe il paziente che sta facendo un’attività muscolare prolungata o faticosa a interrompere lo sforzo e riposare, a causa di dolori crampiformi (genericamente al polpaccio) stadio 3: i dolori crampiformi sono presenti anche a riposo stadio 4: dolori continui e necrosi tissutale delle porzioni più distali dell’arto inferiore Fisiopatologia del fegato e delle vie biliari Ittero ***************: la parola ittero indica la presenza di bilirubina in eccesso nel sangue. Quando questa arriva alla concentrazione di 1,5 – 2,5 mg/100 ml di sangue, provoca una colorazione giallastra delle sclere [condizione nota come subittero]; se la concentrazione è maggiore, ossia 3 ‐ 4 mg/100 ml di sangue, provoca una colorazione giallastra anche della cute e delle mucose [ittero vero e proprio]. |||EME degradazione: In caso di emolisi, l'emoglobina liberamente rilasciata nel sangue viene dapprima captata dall'aptoglobina (Hp), formando il complesso Hb/Hp, che viene endocitato dalle cellule del sistema reticoloendoteliale e la componente proteica viene degradata ad amminoacidi e il gruppo prostetico viene liberato (EME); l'eme Scaricato da www.sunhope.it libero viene degradato dall'enzima eme ossigenasi, che porta alla formazione di bilirubina. L'emoglobina dei globuli rossiviene invece degradata nella milza; dall'apertura dell'anello porfirinico si origina prima biliverdina e ossido di carbonio, con rilascio dell'atomo di ferro centrale; la biliverdina, poi, viene convertita a bilirubina dall'enzima biliverdina reduttasi||| Si può parlare di ittero pre‐epatico, ittero epatico e ittero post‐epatico: ‐ ‐ ‐ Ittero pre‐epatico: dovuto alla distruzione di un ingente numero di globuli rossi (ad esempio nelle anemie emolitiche). Si assiste ad un aumento di bilirubina libera nel sangue (in contemporanea presenza di livelli aumentati di bilirubina coniugata “fisiologica”, derivata dalla necessità di un aumentato smaltimento dei prodotti catabolici derivanti dai globuli rossi lisati). In quest’ittero sia le feci che le urine appaiono ipercromiche Ittero epatico: possono essere causati da 3 difetti, ossia mancata captazione epatica della bilirubina, mancata coniugazione di essa, mancata escrezione della bilirubina coniugata. Se la causa è la mancata captazione epatica della bilirubina, questa si ritroverà nel sangue in forma libera. Se la causa è lamancata coniugazione della bilirubina(con l’acido glucuronico), questa si ritroverà nel sangue in forma libera (a seconda dell’estensione del difetto coniugativo, è possibile anche avere una parziale coniugazione). Se la causa è la mancata escrezione della bilirubina coniugata, questa si ritroverà nel sangue in forma coniugata, generando urine ipercromiche. In tutte e tre le forme le feci sono ipocromiche Ittero post‐epatico: dovuto ad un ostacolo nel deflusso della bile dalle vie biliari al duodeno. Genericamente l’ostruzione avviene a livello coledocico e può essere causata da un calcolo, da una compressione del dotto da parte di una neoplasia pancreatica. L’accumulo di bile induce un riassorbimento di parte di questa, facendo aumentare nel sangue la bilirubina coniugata. Le urine saranno ipercromiche “color marsala” e le feci ipocromiche Esistono anche altre forme di ittero, definite “itteri ereditari”. Tra questi si ricordano: ‐ ‐ Sindrome di Gilbert *: vi è una ridotta attività della glicuronosiltransferasi (UGT) [mappato sul braccio lungo del cromosoma 2], l’enzima che capta la bilirubina, in particolare della isoforma UGT1A1. L'entità di tale deficit determina la diversa espressione clinica e gravità della malattia. Si suppone la modalità di trasmissione autosomica recessiva. L’iperbilirubinemia che segue è data da aumento di bilirubina libera. La captazione è fondamentale per la coniugazione della bilirubina, che diviene così idrosolubile rendendo possibile l'escrezione biliare. I livelli di bilirubina, generalmente di poco sopra la norma, possono aumentare momentaneamente in condizioni quali: stress, infezioni, aumento dell'attività fisica Sindrome di Crigler‐Najjar ****: vi è una quasi assente o assente attività della glicuronosiltransferasi (UGT)[mappato sul braccio lungo del cromosoma 2]. L’isoforma enzimatica coinvolta è sempre UGT1A1, ma in questo caso il deficit è così marcato da costituire una seria minaccia per la vita dell’individuo. La modalità di trasmissione è autosomica recessiva. Il trapianto di fegato risulta d’obbligo per la forma 1 (la più grave), mentre la forma 2 grazie alla minima attività dell’UGT risulta ancora compatibile con la vita e viene trattata con barbiturici, che stimolando l’ipertrofia del reticolo endoplasmatico dell’eritrocita, sopperiscono alla malattia Ipertensione portale: condizione in cui si verifica un aumento di resistenza del flusso ematico all’interno della vena porta, con conseguente aumento pressorio. |||Anatomia: la vena porta si genera dalla confluenza delle due vene mesenteriche e della vena splenica. Penetrata nel fegato e dopo essersi divisa in lobi, si continua nei lobuli. Qui si divide negli spazi portali (in genere 5 o 6) che circondano un sistema labirintico di spazi irregolari in Scaricato da www.sunhope.it cui è contenuta la rete vascolare (sinusoidi epatici). Al centro di questa struttura si trova una vena efferente chiamata vena centrolobulare, da cuisi raccolgono in maniera mano mano confluente le due vene epatiche, che emergono dal fegato per andare a confluire nella cava inferiore||| Le cause responsabili di ipertensione portale possono essere: ‐ ‐ ‐ Pre‐epatiche: trombosi, stenosi o compressione della vena splenica o della vena porta prima del suo ingresso nel fegato Intra‐epatiche: patologie degenerativo‐infiammatorie o tumorali del fegato Extra‐epatiche: insufficienza cardiaca (destra), stenosi od ostruzione delle vene epatiche (sindrome di Budd‐Chiari) In seguito a ipertensione si sviluppano alcuni circoli di compenso, in modo da consentire al sangue di circolare ugualmente e di raggiungere il cuore. I principali circoli sono: 1) al livello delle vene esofagee inferiori, tra la vena porta e l’azygos (tributaria della cava superiore); 2) al livello del plesso emorroidario, tra le mesenteriche inferiori, le pudende interne e le iliache (tributarie della cava inferiore); 3) al livello delle vene periombelicali (tributarie della porta), delle epigastriche e delle mammarie (tributarie della cava superiore). Nel 3° caso, si sviluppa un reticolo sulla superficie dell’addome definito “caput medusae”, patognomonico dell’ipertensione Ascite***: si intende la raccolta di liquido nella cavità peritoneale. Genericamente il liquido ha le caratteristiche di un trasudato, ma può anche avere le caratteristiche di un essudato in seguito a complicanze infettive. Le cause possono essere extra‐epatiche ed epatiche ‐ ‐ Extra‐epatiche: le più frequenti riguardano l’anasarca * (edema massivo e diffuso, sottocutaneo, non avente origine infiammatoria) avente origine da scompenso cardiocircolatorio o sindrome nefrosica, e la denutrizione (kawashiorkor) Epatiche: le più frequenti riguardano la cirrosi epatica, l’ipertensione portale (specie l’occlusione delle vene sovraepatiche ‐ sindrome di Budd‐Chiari) (considerando l’ipotesi del trasudato) il liquido fuoriesce dalle vene a causa o dell’eccessivo gradiente pressorio idrostatico o a causa di una pressione colloidosmotica estremamente diminuita. Quando il liquido penetra nella cavità peritoneale viene “escluso” dalla circolazione generale, provocando una diminuzione di pressione che viene percepita dal rene in ambito di “diminuita perfusione renale”. Il rene reagisce liberando renina e secernendo aldosterone; quando i livelli pressori diventano nuovamente alti, dato che la causa principale non è stata risolta, il liquido passerà nuovamente nella cavità peritoneale, addizionandosi al liquido che c’era precedentemente e aggravando l’ascite Sistema renina‐angiotensina: Il sistema renina‐angiotensina (SRA) è un meccanismo ormonale che regola la pressione sanguigna, il volume plasmatico circolante (volemia) e il tono della muscolatura arteriosa attraverso diversi meccanismi.La renina è prodotta dalle cellule iuxtaglomerulari del rene in seguito a determinati stimoli, come riduzione del volume sanguigno circolante (ipovolemia), riduzione della pressione arteriosa (ipotensione), stimoli da parte del sistema nervoso ortosimpatico e anche di natura patologica. La renina converte un peptide inattivo, l'angiotensinogeno (di secrezione epatica), in angiotensina 1; quest'ultimo peptide viene convertito a sua volta in angiotensina 2 dall'enzima di conversione dell'angiotensina 1 o ACE Scaricato da www.sunhope.it (angiotensin‐converting enzyme), presente principalmente a livello dei capillari polmonari. L'angiotensina 2 possiede diversi effetti sull'organismo: ‐ ‐ ‐ ‐ È un potente vasocostrittore A livello renale costringe tutte le arteriole del glomerulo. La costrizione delle arteriole afferenti determina un incremento della resistenza arteriolare, con conseguente aumento della pressione sistemica e diminuzione del flusso sanguigno (nel glomerulo) Nella corteccia della ghiandola surrenale, causa il rilascio di aldosterone. Questo ormone agisce sui tubuli renali a livello del tubulo contorto distale e del dotto collettore, favorendo il riassorbimento di sodio; nel contempo, per un fenomeno di scambio, idrogenioni (H+) vengono secreti nel tubulo. L'aldosterone agisce a livello del Sistema nervoso centrale, contribuendo ad aumentare il senso di appetito per il salato ed il senso della sete Facilita il rilascio dell'ormone antidiuretico, la vasopressina, per opera dell'ipotalamo. L'ormone antidiuretico agisce sul tubulo collettore inducendolo a riassorbire acqua tramite l’esportazione sulla membrana delle acquaporine 2 Tutti questi effetti hanno l'azione comune di aumentare la quantità di liquido nel sangue aumentandone la sua pressione Steatosi, steatoepatite e cirrosi (danno da alcool nel dettaglio) ****: la steatosi è un processo patologico nel quale si ha accumulo di lipidi (trigliceridi in linea di massima) nell’organismo. Il posto di più comune reperimento delle steatosi è il fegato. Possiamo distinguere 2 tipologie: microvescicolare (goccioline di grasso all’interno dell’epatocita accerchiano il nucleo – a prognosi infausta, prelude la morte per insufficienza epatica da mancata beta‐ossidazione in condizioni di ipossia) e macrovescicolare (un’unica goccia lipidica gigante costringe il nucleo in periferia – reversibile se cessano le condizioni che l’hanno provocata). EFFETTI Se l’accumulo di trigliceridi si prolunga per troppo tempo, si passa da una steatosi ad una steatoepatite, a causa degli stimoli pro‐infiammatori prolungati; da questa condizione protratta poi si può avere degenerazione completa del parenchima epatico, con evoluzione cirrotica. Esistono diversi tipi di steatosi: ‐ ‐ ‐ Steatosi ereditarie: ne sono esempi il Morbo di Wolfman e l’abetalipoproteinemia. Nel primo caso si ha una carenza della lipasi epatica, con impossibilità di metabolizzazione dei grassi pervenuti al fegato. Nel secondo caso, la deficienza ereditaria di β‐lipoproteina nelle cellule della mucosa intestinale, comporta l’impossibilità per i trigliceridi di formare i chilomicroni. Le cellule si infarciscono di grassi e diventano steatosiche. Quando desquamano, determinano steatorrea Steatosi da inibitori della sintesi proteica: sostanze come l’actinomicina D e cicloesimide inducono steatosi per blocco della sintesi proteica, dato che determinano l’impossibilità epatica di produrre la parte proteica delle lipoproteine, essenziali per l’eliminazione degli accumuli di trigliceridi dal fegato Steatosi da veleni ambientali: sostanze come il tetracloruro di carbonio (CCl4) possono penetrare nel sangue per via inalatoria. Sopraggiunto nel fegato CCl4 viene dissociato nel reticolo endoplasmatico in Cl‐ e CCl3; quest’ultimo è un radicale fortemente reattivo che determina lipoperossidazione nelle cellule. Le membrane cellulari vengono alterate e vanno soggette a rottura. L’effetto realmente steatogeno è dato dall’alterazione di diverse proteine enzimatiche, che reagendo con CCl3 non sono più capaci di espletare la loro funzione, come ad esempio il metabolismo ossidativo dei grassi, determinando accumulo di trigliceridi intracellulare e steatosi. L’insorgenza del danno è molto rapida (circa 1 ora dalla somministrazione) Scaricato da www.sunhope.it ‐ Steatosi da etanolo: si presenta in forma acuta (uomo 3‐5 gg dopo massiccia assunzione di alcol) e cronica (con evidente danno citoscheletrico all’epatocita e formazione dei corpi di Mallory ‐> accumulo di filamenti intermedi disorganizzati). I danni maggiori sono a carico di 2 sostanze che si formano post ingestione alcolica (tramite la via dell’alcool deidrogenasi): la formazione di Acetaldeide e l’aumento di NADH. L’acetaldeide (che può formarsi anche attraverso la via MEOS) sbilancia il metabolismo cellulare, facilitando la formazione di glicerolo‐3‐fosfato (dal di‐idrossi‐ acetone‐fosfato); questo viene convertito in acetil‐CoA, favorendo la sintesi endogena degli acidi grassi. I mitocondri non possono sopperire all’aumento di grassi dato che sono occupati a ri‐ ossidare il NADH in eccesso. Se l’acetaldeide si accumula in maniera massiccia, può anche inibire le reazioni di ossidazione, aggravando ulteriormente la steatosi. Altre azioni dell’acetaldeide includono l’inibizione della sintesi proteica e arresto di sintesi e secrezione di lipoproteine. Dato che l’etanolo riesce a saziare l’alcolista, è possibile che questo non assuma più cibo, generando una carenza proteica Altre Steatosi: ‐ ‐ NAFLD (malattia del fegato grasso non di derivazione alcolica): dovuta a cause non alcoliche, come il diabete mellito di tipo 2, può generare una NASH (steatoepatite non alcolica) Steatosi extra‐epatiche: tipicamente a carico di cuore e rene, dovute a ipossia. L’ipossia, unita a difetti ossidativi genera una mancata ossidazione degli acidi grassi e un conseguente accumulo di questi all’interno delle cellule considerate. Altre cause possono essere: la carenza di colina o avvelenamenti (con lesioni che possono procedere fino alla necrosi) Cirrosi epatica**************: La cirrosi epatica rappresenta il quadro terminale della compromissione anatomo‐funzionale del fegato e riconosce fra le sue cause principali l'abuso di alcol, le epatiti croniche virali o di altra natura. La caratteristica più evidente della cirrosi è il sovvertimento della struttura del fegato con fibrosi e rigenerazione sotto forma di noduli. La cirrosi epatica è il risultato di un processo di continuo danno e riparazione del parenchima epatico che conduce a un malfunzionamento del fegato sia dal punto di vista metabolico sia dal punto di vista sintetico. I lobuli vanno incontro a trasformazione radicale, e si può osservare la contemporanea presenza di focolai necrotici misti a focolai rigenerativi, formazione di anastomosi artero‐venose, obliterazione vasale e neoangiogenesi. Il fegato all’analisi clinica si presenta ingrandito e bozzato e può esserci la contemporanea presenza di altri segni, quali ascite e circoli di compenso. La cirrosi insorge come ultima di 3 fasi: ‐ ‐ ‐ Infiammazione prolungata: in tutto e per tutto simile all’infiammazione cronica. Presenta diverse cause, tra le quali si ricordano l’infiammazione da consumo alcolico prolungato, le epatiti cronicizzanti, le risposte autoimmuni e le intossicazioni. Se il danno causa un’infiammazione solo “acuta”, spesso si assiste a rigenerazione e restitutio ad integrum del tessuto epatico Fibrosi epatica: nel caso in cui l’infiammazione risulti cronicizzante, abbiamo la comparsa di fibrosi epatica. I fattori infiammatori secreti in questa tipologia di infiammazione, quali TNF‐alfa, IL‐1, TGF‐ beta e PDGF attivano le cellule stellate di Ito a differenziarsi in miofibroblasti. Queste cellule vengono ulteriormente stimolate, dal prolungarsi della condizione infiammatoria, a secernere componenti proteici della matrice extracellulare, determinando fibrosi Cirrosi… Scaricato da www.sunhope.it Coma epatico: Fisiopatologia da estrogeni: Cretinismo: Malattie autoimmuni: Malattie da immunodeficienze: Artrite reumatoide: ULTIME AGGIUNTE Retinite Pigmentosa ****: generata da almeno 50 fattori genetici diversi. La forma più comune (RP11) è quella a penetranza incompleta generata da una mutazione del gene PRPF31 ‐ ‐ epidemiologia: 1/4000 nati clinica: esordio con cecità notturna e progressiva degenerazione della retina periferica Eterogeneità genetica: lo stesso fenotipo è causato da mutazioni genetiche diverse (es la osteogenesi imperfetta può essere mimata da alcune patologie del collagene) Poliplasmia: i mitocondri all’interno di una stessa cellula possono avere anche codice genetico differente Eteroplasmia/Omoplasmia: una mutazione all’interno di un mitocondrio può colpire tutte le copie di DNA mitocondriale (omoplasmia) oppure essere presente solo in una certa percentuale, lasciando le altre inalterate (eteroplasmia) Atrofia ottica di Leber: Tipologie cromosomiche: ‐ metacentrico‐> centromero nel tratto centrale del cromosoma; le braccia corte e lunghe hanno la stessa lunghezza Scaricato da www.sunhope.it ‐ ‐ submetacentrico ‐> centromero non nella porzione centrale del cromosoma; braccia corte e lunghe hanno lunghezze diverse acrocentrico ‐> centromero in posizione quasi terminale; le braccia corte sono “virtuali” Sindrome di Down: ‐ ‐ ‐ 90‐95% non disgiunzione meiotica 1‐4% traslocazioni sbilanciate (cromosoma 21 inserito nel 14) 1‐3% mosaico Individuo XX maschio: dato dalla traslocazione di parte del cromosoma Y contenente la regione SRY (sex determinating region) sul cromosoma X Fenilchetonuria: malattia genetica determinata dalla mancanza dell’enzima fenilalanina idrossilasi. La fenilalanina si trasforma quindi in acido fenil‐piruvico per transaminazione ‐ ‐ epidemiologia: 1/20.000 nati clinica: causa ritardo mentale la particolarità è che può essere riconosciuta da un test biochimico che controlla i livelli di fenilalanina nel sangue del bambino; il test biochimico viene successivamente correlato con il difetto genetico MicroRNA(approfondimento)***: sono piccole molecole endogene di RNA non codificante a singolo filamento riscontrate nelcomplesso di trascrizione genica degli organismi a DNA. Si tratta di polimeri di RNA codificati dal DNA nucleare eucariotico lunghi circa 21‐25 nucleotidi e principalmente attivi nella regolazione dell'espressione genica a livello trascrizionale e post‐trascrizionale. La loro sintesi avviene tramite 3 tappe: Pri‐miRNA (microRNA primario) ‐> Pre‐miRNA (microRNA precursore) ‐> miRNA (microRNA maturo). Possono essere sia intragenici che intergenici. I possibili ruoli biologici sono: ‐ ‐ ‐ ‐ ‐ ‐ ‐ l’up‐regulation di geni specifici per il tessuto muscolare l’up‐regulation di geni specifici per il tessuto nervoso regolazione del differenziamento dei cardiomiociti modulando l’attività genica regolazione dello sviluppo osseo modulando l’attività genica regolazione della secrezione insulinica modulando l’attività genica silenziamento genico tramite sovrapposizione con sequenze complementari presenti su molecole di RNA messaggero (mRNA) bersaglio; tale legame comporta una repressione della traduzione o la degradazione della molecola bersaglio repressione e/o marker di alcuni tipi di tumore Meccanismo mTOR: Scaricato da www.sunhope.it PI3K induce la fosforilazione di PIP2 in PIP3. PIP3 consente il reclutamento di AKT e PDK1; PDK1 fosforila AKT, attivandolo e consentendogli, in presenza di RHEB, di attivare mTOR [AKT inibisce anche le TSC ½, in modo da impedire a queste di inibire RHEB]. mTOR entra a far parte di 2 complessi proteici: mTORC1 e mTORC2. mTORC1 stimola la sintesi proteica (Ciclina D, MYC, HIF‐1); mTORC2 contribuisce ad aumentare la fosforilazione di AKT LEZIONI DI PILUSO (estratto delle slide) G.G. Cromosoma marker: sono costituiti da frammenti cromosomici. ln circa il 70% sono formati dai bracci corti e dalle regioni pericentromeriche dei cromosomi acrocentrici (in particolare il cromosoma 15). Rari i cromosomi markers derivati da autosomi non acrocentici (spesso piccoli cromosomi ad anello). L’identificazione dell’origine del cromosoma marker è in genere il risultato dell’uso combinato del cariotipo (bandeggio G) di FISH e arrayCGH. Le principali condizioni cliniche associate a cromosomi marker sono: ‐ ‐ ‐ Sindrome di Pallister‐Killiam: tetrasomia 12p da i(12p). I pazienti con la PKS hanno un mosaicismo per un isocromosoma 12p soprannumerario, risultante in quattro copie del braccio corto del cromosoma 12. Il mosaicismo è limitato ad alcune cellule e tessuti: fibroblasti della cute, cellule del midollo osseo, raramente nei linfociti. Le caratteristiche cliniche (dimorfismi del volto e malformazioni) peggiorano con l'età. l Alcuni pazienti con bassi livelli di mosaicismo presentano un quadro clinico meno grave. Epidemiologia: 1/25.000. Clinica: ritardo mentale profondo, crisi epilettiche, ipotonia, alterazioni della pigmentazione della pelle, capelli e sopracciglia radi, lineamenti "grossolani", con fronte alta e ampia, orecchie malformate, macrostomia, un naso largo, ed ipertelorismo Tetrasomia 18p: l'anomalia cromosomica consiste in un extra isocromosoma 18p, che deriva dalla duplicazione del braccio corto i(18p). Epidemiologia 1:180.000. Clinica sono: deficit cognitivo (da modesto a grave), ritardo di crescita prenatale e postnatale, ipotonia neonatale con successiva spasticità degli arti, bassa statura, disturbi convulsivi, microcefalia, malformazioni renali Cat‐eye syndrome: il cariotipo mostra un piccolo cromosoma soprannumerario derivato dalla porzione prossimale del cromosoma 22. Epidemiologia 1/74.000. Clinica sono: atresia anale e coloboma dell'iride. Clinica variabile sono: cardiopatie congenite, palatoschisi, anomalie urinarie, scheletriche, ritardo mentale di media gravità Williams‐Beuren: è causata da una microdelezione di 1.5‐1.8 Mb sul cromosoma 7q, che coinvolge 26‐28 geni [ELN (gene dell’elastina), LIMK1 e CLIP2, GTF2I]. Epidemiologia: circa 1/20.000 nati. Clinica: facies caratteristica (faccia da Elfo), occhi blu, naso con punta bulbosa, bocca larga, guance piene, micrognazia, anomalie cardiovascolari, stenosi sopravalvolare dell’aorta, stenosi periferica delle arterie polmonari, ipertensione, anomalie endocrine, ipercalcemia, ridotta tolleranza al glucosio, anomalie neurocognitive, ritardo mentale I.Q. tra 41 e 80, scarsa capacità di concentrazione, esagerata loquacità, personalità amichevole e affettuosa ipersensibilità ai suoni Smith‐Magenis: Scaricato da www.sunhope.it è causata da microdelezione a 17p o mutazioni nel gene RAI1. Epidemiologia 1:20.000. Clinica: ritardo mentale lieve‐moderato (I.Q. 20‐78), anomalie cranio‐facciali e scheletriche, ritardo nello sviluppo del linguaggio, disturbi del sonno (inversione nel ritmo circadiano della melatonina), riduzione/perdita dell’udito e infezioni croniche dell'orecchio, comportamenti disadattivi, frequenti scoppi di collera, aggressività, disobbedienza, scarsa attenzione, comportamenti autolesionistici (sbattere la testa, strappare la pelle, mordersi il polso), onicotillomania (strapparsi le unghie delle mani e dei piedi) Koolen‐de Vries syndrome: è causata da microdelezione a 17q o mutazioni nel gene KANSL1 che regola l’espressione genica modificando cromatina. Vi è la presenza di un’inversione asintomatica, in uno dei genitori, della regione coinvolta dalla microdelezione. Epidemiologia: 1:16.000. Clinica: disabilità Intellettiva ipotonia, carattere allegro e socievole, facies caratteristica (volto allungato, sopracciglia rade rime palpebrali oblique verso l’alto, cardiopatie congenite, anomalie urogenitali, anomalie del sistema nervoso centrale Sindrome del Cri du Chat: data da una delezione parziale del cromosoma 5p, de novo nella maggioranza dei casi. Prevalentemente dovuta a segregazione sbilanciata di un riarrangiamento cromosomico presente in uno dei due genitori. Epidemiologia 1/50.000 nati vivi. Clinica: i neonati hanno un pianto acuto e flebile (simile al pianto di un gatto), ritardo di crescita e nello sviluppo psicomotorio, microcefalia, faccia tondeggiante, radice del naso allargata, strabismo divergente, micrognazia, grave deficit del linguaggio e deficit intellettivo medio‐grave. Sindrome da 18q: è una delle più frequenti delezioni autosomiche dell’uomo. È causata da delezioni del braccio lungo del cromosoma 18 (quasi sempre de novo). Rara la formazione di cromosomi ad anello. Clinica: ipotonia congenita, spiccato dismorfismo facciale, microcefalia, mani lunghe con dita affusolate, dita dei piedi con impianto irregolare, malformazioni oculari, cerebrali, genito‐urinarie, ritardo mentale variabile, spesso molto grave Sindrome di Wolf‐Hirshhorn: è causata da una delezione parziale del cromosoma 4p che può avere estensione variabile. La maggioranza delle delezioni insorge de novo. Più raramente è il risultato della segregazione sbilanciata di una traslocazione familiare; rara la descrizione di cromosomi ad anello. Epidemiologia: 1/50.000 nati. Clinica: ritardo di crescita intrauterino (IUGR) e scarso accrescimento dopo la nascita, ritardo mentale, microcefalia con dolicocefalia a frequente asimmetria cranica, facies tipica ad "elmo da guerriero greco" (radice del naso larga che continua sulla fronte) molto più evidente prima della pubertà MLPA (Multiplex Ligation‐dependent Probe Amplification): riconoscimento di variazioni del numero di copie in più di 40 distinte sequenze genomiche mediante un’unica reazione di PCR. Campi applicativi: delezioni/duplicazioni o variazioni del numero di copie (aneuploidie), determinare lo stato di metilazione di promotori o regioni imprinted, riconoscimento di Scaricato da www.sunhope.it specifiche mutazioni puntiformi o SNPs (single nucleotide polymorphism). Richiede minime quantità di DNA genomico (circa 20 ng). Come funziona l’MLPA: ‐ La sonda MLPA viene aggiunta a DNA genomico denaturato ‐ Le due parti di ogni sonda si ibridano al bersaglio su sequenze adiacenti ‐ Le sonde sono connesse da una ligasi termostabile ‐ Una coppia di primer universale viene utilizzato per amplificare tutte le sonde legate Il prodotto di PCR di ogni sonda ha una lunghezza unica e una volta posto sotto elettroforesi capillare: ‐ ‐ ‐ Ogni picco è il prodotto di amplificazione di una sonda specifica I campioni vengono confrontati ad un campione di controllo Una differenza relativa altezza del picco campione contro un picco standard, indica una variazione del numero di copie della Sonda sequenza bersaglio Polymerase chain reaction (PCR): la PCR ricostruisce in vitro uno specifico passaggio della duplicazione cellulare: la sintesi di un segmento di DNA "completo" (a doppia elica) a partire da un filamento a singola elica. Il filamento mancante viene ricostruito a partire da una serie di nucleotidi che vengono disposti nella corretta sequenza, complementare a quella del DNA interessato. È possibile ricostruire le condizioni “naturali” che portano alla formazione dei nuovi segmenti di DNA, ponendo in soluzione: ‐ ‐ ‐ una quantità, anche minima, del segmento di DNA che si desidera riprodurre; una quantità opportuna di nucleotidi liberi per costituire i nuovi filamenti; opportuni "inneschi", detti primer, costituiti da brevi sequenze di RNA (oligonucleotidi) complementari alle estremità 5'‐>3' dei due filamenti del segmento da riprodurre; ‐ una DNA polimerasi termo‐resistente (non proveniente dallo stesso organismo di cui si deve replicare il DNA ma da un batterio termofilo); ‐ un Buffer che serve a mantenere il pH stabile (tampone) e necessario per costituire l'ambiente adatto alla reazione; ‐ altri elementi di supporto (ad es. ioni magnesio) indispensabili per il corretto funzionamento della DNA polimerasi; Per avviare la reazione della polimerasi (fase di prolungamento del filamento a partire dal primer 5') è prima necessario provvedere alla separazione dei filamenti del DNA (fase di denaturazione), quindi alla creazione del legame tra i primer e le regioni loro complementari dei filamenti di DNA denaturati (fase di annealing). Questo processo risulta però incompatibile con la DNA polimerasi umana, che viene distrutta alle temperature necessarie alla denaturazione (96‐99 °C). Per ovviare a questo inconveniente si fa ricorso alle polimerasi appartenenti a organismi termofili che non sono inattivate dalle alte temperature, ad esempio la Taq polimerasi proveniente dal batterio termofilo Thermus aquaticus. Ciò consente di realizzare più cicli di PCR in sequenza, in ciascuno dei quali viene duplicato anche il DNA sintetizzato nelle fasi precedenti, ottenendo una reazione a catena che consente una moltiplicazione estremamente rapida del materiale genetico di interesse. POTRESTE TROVARE QUALCHE INFORMAZIONE CONTRASTANTE SULLA GENETICA DALLE “ULTIME AGGIUNTE” IN POI, DOVUTA AL FATTO CHE DALLE “ULTIME AGGIUNTE” HO ESTRATTO IL MATERIALE DIRETTAMENTE DAGLI APPUNTI DEI PROFESSORI CHE MI SONO TROVATO A DISPOSIZIONE (E NON SEMPRE LE INFORMAZIONI CONCORDAVANO CON IL LIBRO/INTERNET). DECIDETE VOI QUALI FARE. HO ANCHE Scaricato da www.sunhope.it INSERITO QUALCHE PICCOLO DETTAGLIO IN PIU’ SU FOGLI CARTACEI CHE HO STAMPATO (QUINDI NON C’E’ SCRITTO), MA SONO PICCOLI APPROFONDIMENTI NON CRUCIALIAI FINI DELL’ESAME DESIDERO RINGRAZIARE S.A. CHE MI HA SOSTENUTO E INCORAGGIATO DURANTE LA STESURA DI QUESTI SCRITTI… PROBABILMENTE SENZA IL SUO SOSTEGNO NON AVREI SCRITTO NIENTE, QUINDI… GRAZIE Scaricato da www.sunhope.it