L`identità epistemologica e paradigmi della

L'identità epistemologica e paradigmi della pedagogia sociale
Scritto da Alessia Bartolini
Comunemente quando si parla di pedagogia ci si riferisce all’educazione. Di fatto il termine
pedagogia, così come definito da Kant, è “il sapere unitario intorno all’educazione”.
Etimologicamente deriva dal greco Pais che significa fanciullo e Agogòs, custode, guida. Il Paid
agogòs
nell’antica Grecia era il custode del bambino, era colui che lo accompagnava a scuola o in
palestra. Successivamente il termine, dal rappresentare lo schiavo o il liberto preposto
all’educazione dei giovani aristocratici, è andato ad indicare il fatto, l’atto educativo, come evoca
il termine
Paideia
[i]
.
Oggi, invece, per Pedagogia si intende il modello teorico dell’educazione, la scienza che ha per
oggetto il fatto educativo. Con Johan Frederich Herbart si assiste ad una prima legittimazione
della Pedagogia come scienza, come “complesso unitario di conoscenze”, come “scienza
pratica applicata – dirà il pedagogista tedesco- perché implica un riferimento all’esperienza” [ii] ,
tributaria dell’etica per quanto riguarda i fini e della psicologia per ciò che concerne i mezzi. Da
questo momento inizia il lungo e tortuoso percorso alla ricerca di una sua identità scientifica e di
uno statuto epistemologico in base al quale la pedagogia possa dirsi realmente una scienza,
quindi una conoscenza teorica, autonoma, indipendente rispetto agli altri saperi, seppur
necessariamente legata a loro, data la complessità dei fatti e dei processi educativi.
“L’idea di una scienza dell’educazione «unica e onnicomprensiva» profondamente radicata in
una pedagogia di orientamento positivista è stato a lungo «vagheggiato» e «seriamente
perseguita», persistendo tenacemente come «ideale limite» nel dibattito pedagogico
ottocentesco e novecentesco”
[iii] . Infatti la
pedagogia è andata assumendo il carattere della complessità che caratterizza la nostra società
e, se prima era legata allo studio del bambino e alla preparazione del maestro, oggi è spinta ad
aprirsi alle diverse età della vita, non solo all’infanzia o all’adolescenza ma anche all’adultità e
alla vecchiaia, e ai diversi ambienti di vita, scolastici ed extrascolastici, formali e non formali
(parafrasando Dewey), sempre alla ricerca di nuovi contenuti educativi quali quello
dell’educazione per tutta la vita, l’educazione alla convivenza democratica, l’educazione
interculturale, l’educazione alla pace… Tutto il campo dell’educazione si è dilato,
comprendendo una molteplicità di soggetti e di contesti. Per questa ragione, in fase di studio e
di ricerca, si privilegia un approccio multidisciplinare alle problematiche educative, sempre più
definibile dalla categoria della complessità.
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“Tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Settanta assistiamo ad un processo di
complessificazione, articolazione e differenziazione del sapere pedagogico” [iv] e, dalla
pedagogia come scienz
a
dell’educazione, al singolare,
si passa alle scienz
e
dell’educazione, al plurale. Riprendendo la distinzione Herbartiana tra la pedagogia come
scienza , come sapere teorico e l’educazione come arte, come fatto pratico, si possono
ulteriormente distinguere le scienze dell’educazione da quelle pedagogiche. Le prime sono
costituite dall’insieme delle discipline che studiano il fatto educativo, le seconde, invece,
dall’insieme delle idee e delle teorie che sono state elaborate in merito alle dinamiche
educative.
La Pedagogia Sociale rientra tra quest’ultime e condivide con loro l’intero apparato teorico.
Rappresenta per così dire un’ulteriore “articolazione e specializzazione del discorso
pedagogico, così come lo sono la pedagogia comparata, la storia della pedagogia, la pedagogia
sperimentale, la pedagogia speciale” [v] , caratterizzandosi però "per una specifica attenzione
all’azione educativa in quanto inscritta all’interno di specifici contesti socio-politici e culturali
”
[vi]
.
“Di Pedagogia Sociale si inizia a parlare per la prima volta in Germania verso la metà
dell’Ottocento. Van Ghent precisa che il primo ad usare il termine
Sozialp
ädagogik
è Mager, editore della prestigiosa rivista
Pädagogische Revue
, tra il 1840 – 1848, in alternativa e in opposizione ai termini
Collectivpädagogik
e
Individualpädagogik
(Van Ghent, 1994, p.95) – ma – la prima formalizzazione dell’identità culturale della pedagogia
sociale su un piano teoretico/epistemologico si è avuta però qualche decennio più tardi,
nell’ambito del Neocriticismo della Scuola di Marburgo con Natorp, la cui opera
Sozialpädagogik
vede la luce nel 1899”
[vii]
.
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Nel corso del Novecento, le mutate condizioni economiche, politiche e sociali internazionali
interrogano i saperi pedagogici intorno alle condizioni della società per elaborare proposte
educative che promuovano una trasformazione e un miglioramento della realtà stessa. E’ in
questo contesto che Jhon Dewey , uno dei maggiori esponenti delle Scuole Progressive negli
USA, sottolinea la stretta relazione che intercorre tra i fatti sociali e i fenomeni educativi
evidenziando, per di più, la funzione sociale e politica dell’educazione, in quanto “processo di
nutrizione, di allevamento, di coltivazione”
[viii]
dell’individuo.
Nel cercare di definire l’attuale stato della Pedagogia Sociale si possono individuare quattro
principali approcci, ossia quattro stadi o indirizzi di studio
[ix] .
Il primo fa riferimento all’individuo e definisce la Pedagogia Sociale come scienza sociale
dell’individuo il quale ha bisogno di maturare il proprio senso di responsabilità sociale per
contribuire al bene comune. Questo primo approccio si basa sul presupposto che l’uomo, in
quanto persona, è un soggetto di relazione. La relazionalità, infatti, sia essa verticale, propria
del rapporto uomo – divinità, sia essa orizzontale, individuabile nel rapporto uomo – uomo, non
è un fatto accessorio ma costitutivo dell’uomo che, in quanto persona, si realizza nel rapporto
con gli altri, con il mondo e con Dio. L’educazione ha quindi il compito di sviluppare questa
dimensione naturale dell’uomo. Quindi, senza cancellare la finalità individuali dell’educazione in
base alla quale l’educazione sarebbe un processo di crescita personale, è necessario introdurre
anche la funzione sociale dell’educazione in quanto integrativa della persona stessa. E’
necessario superare la tradizionale distinzione tra Educazione privata e Educazione pubblica,
per affermare che l’educazione umana va vista nella sua pienezza e che l’uomo deve essere
educato nella sua interezza.
Il secondo ambito della pedagogia sociale la vede come dottrina dell’educazione politica e
nazionalistica dell’individuo. Diventa così una sorta di pedagogia civica e politica della gioventù.
Il soggetto dell’educazione non è lo Stato, come si potrebbe ritenere, ma la persona che, così
come è definita da Rosmini, è “diritto sussistente”e in funzione della quale si costituiscono sia la
Società che lo Stato o, meglio, lo Stato di diritto. Quest’ultimo diventa per la Pedagogia
Sociale un modello educativo tanto che
l’educazione civica si costituisce come educazione consapevole di questo modello di Stato.
Una terza concezione fa riferimento alla società e concepisce la Pedagogia Sociale come
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pedagogia della Società, come scienza che cerca di guidare la Società stessa nella formazione
dei suoi membri, senza farne un collettivo uniforme, ma mantenendo e incentivando la pluralità
dei soggetti che la compongono, la cui unicità è garanzia di una geografia plurale. Le società
educano i soggetti che le compongono attraverso le istituzioni educative quali la famiglia, la
scuola, la chiesa…, che oggi sono chiamate a costituire un “sistema formativo integrato” che
promuova delle iniziative che permettano all’uomo di “nutrire in sé quella vocazione a crescere
e a perfezionarsi” [x]
Un quarto approccio si riferisce al recupero del disagio sociale e definisce la Pedagogia Sociale
come pedagogia del disagio, attenta alle condizioni di marginalità e di difficoltà. Questo
paradigma accentua l’intervento sia preventivo che di recupero nei casi in cui e venuta a
mancare un’idonea socializzazione. E’ settore che si sta espandendo molto velocemente e
abbraccia tutta l’area dell’educazione non formale nell’ambito del così detto terzo settore, quello
dei servizi, la cui funzione non deve essere (strettamente) assistenziale ma (soprattutto)
educativa per promuovere autenticamente quel processo di socializzazione [xi] che permette
all’uomo di passare da una condizione di individualità ad una di socialità, inserendosi nel
sistema delle relazioni sociali anche attraverso l’acquisizione delle regole e dei valori della
comunità alla quale appartiene.
Nonostante le diverse articolazioni del discorso, al centro dell’attenzione della Pedagogia
Sociale ci sono sempre le dinamiche sociali e le relative esigenze educative. “Assume come
proprio oggetto di indagine la complessa fenomenologia educativa che si sviluppa all’interno
della società, indagando il problematico
rapporto che intercorre tra compagine sociale e processi educativi
, e mettendo a fuoco le correlazioni e le implicazioni esistenti tra
bisogni sociali e bisogni formativi ed educativi
”
[xii]
. Volendo riprendere la distinzione aristotelica tra oggetto materiale e oggetto formale per
applicarlo alla Pedagogia Sociale, possiamo dire che il suo oggetto materiale è la realtà sociale,
mentre quello formale è l’aspetto educativo. Ricompnendo il puzzle si arriva alla definizione di
Pedagogia Sociale come scienza che indaga il fattore educativo nella realtà sociale. È una
disciplina impegnata nell’analisi del sociale, del quale indaga le emergenze educative per farsi
promotrice del cambiamento e del miglioramento della realtà stessa. Non a caso Rosmini,
nell’ambito della distinzione tra scienze ontologiche e scienze deontologiche, ha inserito la
pedagogia tra quest’ultime, tra quelle del “dover-essere”, cioè tra quelle incaricate di studiare i
processi trasformativi e migliorativi della società.
“La pedagogia sociale si propone come quello specifico sapere che si occupa del
«pluriarticolato »rapporto educazione-società in due direzioni fondamentali: «l’influenza o
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azione della società – nei suoi diversi ambiti, nelle sue stratificazioni, nelle forme di dominio
sull’uomo che malgrado tutto la caratterizzano – sulla crescita umana » e «l’azione
dell’educazione, nei suoi aspetti sia formali che non formali e informali, sulla società »
(Mangano, 2001). Essa si costituisce come «nesso tra assetto sociale e teoria educativa » ponendosi a «mezza strada tra la pedagogia generale (di cui condivide i fondamenti) e le
«scienze sociali » ( da cui ricava spazi di sviluppo) – e si configura come «scienza sociale
pratica » dove l’aggettivo «pratica » non indica « una scienza che si occupa di fare cose
(empirismo fine a se stesso o pragmatismo cieco) », ma piuttosto un’istanza etica e regolativa
dell’agire educativo (Izzo, 2001)”
[xiii]
. A questo proposito Mencarelli evidenziava come questa disciplina si trovi oggi “davanti alla
necessità di definire un’etica del comportamento sociale, domandandosi come possa essere in
concreto prodotta attraverso l’educazione: nella scuola e fuori della scuola”
[xiv]
.
La Pedagogia Sociale, essendo “impegnata direttamente ad approfondire prospettive teoretiche
e proposte operative finalizzate al benessere sociale, ad analizzare e valutare le situazioni e
condizioni sociali influenti sull’educazione e a tracciare un orientamento su come sia possibile
procedere in termini formativi nel rispetto della diversità e dell’equità delle risorse”, va
assumendo nel nostro tempo così denso di ambiguità e contraddizioni, uno spazio sempre
crescente per studiare le nuove forme assunte dal fatto educativo nella complessa comunità
umana.
“Il mondo attraversa un periodo di transizioni e di profondi cambiamenti. Tutto indica che la
società europea, al pari delle altre, sta per entrare in una nuova era, probabilmente più
mutevole ed imprevedibile delle precedenti” [xv] . Il passaggio a questa nuova era è scandito
sia dalla nascita della società dell’informazione, sia dallo sviluppo della civiltà tecnologica e
scientifica, sia dal processo di mondializzazione degli scambi, che vanno progressivamente
annullando tempi e distanze introducendo due nuove categorie spazio-temporali: la simultaneità
e la subitaneità. “Gia da qualche decennio si ripete, da più parti e in varie sedi, che viviamo in
un’epoca di transizione. L’affermazione può essere intesa in vari modi ma prevalentemente sta
ad indicare che, mentre si è chiusa una lunga e definita stagione, non ancora se ne è aperta
un’altra. Sicché, saremmo in una fase di passaggio, di
transitus
, consapevoli della provenienza e incerti sulla destinazione. […] La transizione indica la
provvisorietà e la precaria condizione degli assetti sociali, l’incompiutezza della fatica umana.
[…] Non è una categoria (solo) temporale ma (anche culturale). Perciò investe la tavola dei
valori [..], aggredisce le identità definite, le strutture stabilite, i progetti che promettono di durare.
Accorcia le apparenze e le memorie mentre dilata le incertezze e le attese”
[xvi]
. Così “la persona comune rimane più o meno confusa, i responsabili della cosa pubblica sono
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costretti a prenderne atto ogni giorno.[…]
Malgrado le attese che vi si celano, l’emergere di questo nuovo mondo, difficile da capire ed
anche più difficile da prevedere, sta creando un clima di incertezza, per non dire preoccupante,
che rende la ricerca di un approccio veramente globale ai problemi anche più esitante”
[xvii]
.
Come fare? Come orientarsi in questa giungla inestricabile? La risposta è individuabile
nell’educazione. E sì, l’educazione, afferma Delors nel Rapporto all’Unesco della Commissione
Internazionale sull’Educazione per il Ventunesimo Secolo, è l’utopia necessaria. Deve ossia
“offrire simultaneamente le mappe di un mondo complesso in perenne agitazione e la bussola
che consenta agli individui di trovare la propria rotta”
[xviii]
.
E’ questo il contesto nel quale oggi è chiamata a svolgere il proprio compito di ricerca la
Pedagogia Sociale. E’ questo il terreno che deve conoscere e coltivare perché, nella sua
funzione deontologica, possa favorire in ciascuno simultaneamente l’essere persona e l’essere
cittadino del mondo, facendosi promotrice di uno sviluppo sostenibile sia per l’uomo che per la
terra che lui stesso abita.
[i] J. M. Prellezo– C. Nanni -G. Malizia (a cura di), Dizionario di scienze dell’educazione, ELLE
DI CI- LAS- S.E.I., Torino 1997, pp. 795-798
[ii] J. M. Prellezo- R. Lanfranchi, Educazione e pedagogia nei solchi della storia – vol.3, SEI, T
orino, 1995
[iii] M. Striano, Introduzione alla pedagogia sociale, Editori Laterza, Roma-Bari, 2004, p.5
[iv] Ibidem. p.10
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[v] L. S. Beccegato, Pedagogia sociale, Editrice La Scuola, Brescia 2001, p. 11
[vi] M. Striano, Introduzione alla…, cit. p.32
[vii] Ibidem, pp.36-37
[viii] Cf. J. Dewey, Democrazia e educazione, La Nuova Italia, Firenze 1968, pp. 13 e seg.
[ix] Cf. J. M. Prellezo– C. Nanni -G. Malizia (a cura di), Dizionario di scienze dell’educazione, ci
t. , pp
.
802-803
[x] Per approfondire queste tematiche si consigliano le opere di L. Rosati tra le quali quelle più
recenti
Formazione degli adulti ed educazione permanente, Didattica della cultura e cultura
della didattica
e Dentro l’anima
della professione docente
.
[xi] Oggi si parla di socializzazione terziaria per distinguere il processo di ri-socializzazione
tipico delle persone che hanno subito un processo di de-socializzazione o che comunque non
hanno maturato un livello sufficiente di socializzazione (ipo-socializzazione), da quella primaria,
avviata dalla famiglia e da quella secondaria impartita dalle diverse istituzioni sociali (famiglia,
scuola, gruppo dei pari…) (Cf. J. M. Prellezo– C. Nanni -G. Malizia (a cura di),
Dizionario di scienze dell’educazione,
cit. p.1029)
[xii] M. Striano, Introduzione alla…, cit. p.65
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[xiii] M. Striano, Introduzione alla…, cit. p. 52
[xiv] M. Mencarelli, Il diritto dell’educazione. Frontiera della pedagogia sociale, La Scuola,
Brescia 1975, p. 8
[xv] Commissione europea, Insegnare e apprendere. Verso la società conoscitiva,
Bruxelles-Lussemburgo, 1995 p.77
[xvi] L. Prenna, L’educazione nella società conoscitiva, in Pedagogia e Vita, 2000,4, p.45
[xvii] J. Delors, Nell’educazione un tesoro, Armando Editore, Roma 1997, p. 31
[xviii] Ibidem, p.79
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