3° conferenza CGIL per il clima contributo della CGIL alla COP19 delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici di Varsavia il lavoro per il clima Relazione di Simona Fabiani Buon pomeriggio e benvenuti alla terza conferenza per il clima organizzata dalla CGIL come contributo ai lavori della 19esima conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici di Varsavia. La conferenza dell’anno scorso a Doha- COP 18 si è conclusa con un documento finale molto debole. Il “Doha climate gateway” prevede un nuovo periodo di impegni ai sensi del protocollo di Kyoto fino al 2020, ma i nuovi impegni sono stati sottoscritti solo da Unione Europea, Australia, Svizzera Norvegia, che rappresentano solo il 15% delle emissioni totali, non hanno aderito, fra gli altri, la Cina e gli Stati Uniti che rappresentano rispettivamente il 29 ed il 16% delle emissioni globali. Gli impegni assunti a Doha non sono concreti, mentre l’obiettivo da raggiungere è notevole: ridurre il gap fra le emissioni attese che sono 58 gigatonnellate GtCO2eq, le emissioni previste dagli impegni attuali che le fanno scendere solo a 52-57 GtCO2eq e 44 GtCO2eq che è considerato dagli scienziati il limite massimo consentito per contenere il riscaldamento globale entro i 2°. Un gap che se non recuperato porterà ad un riscaldamento stimato fra i 3,5 ed i 6°C rendendo praticamente invivibile il pianeta. Anche per quanto riguarda gli impegni economici, Doha si è chiusa solo con vane promesse, dei 30 miliardi di dollari per il periodo 2010-2012 di aiuti ai paesi poveri per le politiche di adattamento ai cambiamenti climatici, previsti dalla COP16 del 2010 a Cancun, sono arrivati solo 7 miliardi di dollari e resta ancora da definire l’espressione “nuovi e addizionali” per i 100 miliardi di dollari, che entro il 2020 i paesi sviluppati dovranno trasferire ogni anno ai paesi poveri. A fine settembre di quest’anno i paesi membri dell’IPCC, il panel intergovernativo sui cambiamenti climatici dell'ONU, hanno raggiunto il consenso sul 5° rapporto. La redazione del rapporto ha coinvolto 859 scienziati di tutto il mondo che hanno valutato oltre 9200 pubblicazioni scientifiche, una mole di dati che lascia ben poco spazio ai negazionisti. Il rapporto conferma la responsabilità umana dei cambiamenti climatici, determinata dalle emissione di gas-serra e dai cambi d’uso del suolo e conferma che i cambiamenti climatici sono una minaccia urgente e potenzialmente irreversibile per l’umanità, per la biodiversità e per il pianeta. Gli effetti dei cambiamenti climatici e del riscaldamento globale sono sotto i nostri occhi: fusione dei ghiacciai, riscaldamento degli oceani, siccità e fenomeni di desertificazione, innalzamento del livello del mare, ondate di calore, incendi, inondazioni, aumento delle precipitazioni e della loro intensità, violenti nubifragi, frane, smottamenti, carestie e scarsità di acqua potabile con conseguenti migrazioni climatiche di massa. Milioni di persone costrette ad abbandonare la propria terra per cause determinate dai cambiamenti climatici: per la scarsità di raccolti dovuta alla siccità, per la mancanza di acqua dovuta all’esaurimento delle falde acquifere, persone in fuga per la sommersione di tratti costieri e di isole a causa dell’innalzamento del livello del mare. L’impatto dei cambiamenti climatici ha ricadute diverse in base al genere, l’età e la classe sociale, con effetti progressivamente più distruttivi sulle fasce più vulnerabili della popolazione. La maggior parte delle vittime delle catastrofi conseguenti ai cambiamenti climatici e di coloro che sono costretti alle migrazioni climatiche sono abitanti delle aree più povere del mondo e che hanno minori responsabilità, vivendo in paesi a bassissime emissioni pro-capite: Africa, Asia, America Latina. Le donne, sono il 70% dei più poveri al mondo, realizzano i due terzi del lavoro effettuato ma possiedono meno dell’1% di tutti i beni, l’85% delle persone che muoiono a causa di catastrofi naturali indotte dal clima ed il 75% dei profughi ambientali sono donne. Secondo i dati recentemente diffusi dall’Agenzia italiana risposta emergenze sui disastri naturali causati dai cambiamenti climatici, nel 2012 nel mondo, si sono verificati 357 disastri naturali, che hanno colpito oltre 124 milioni di persone e causato danni per più di 157 miliardi di dollari. Si continua ad intervenire solo dopo che i disastri sono avvenuti mentre servirebbero serie politiche di prevenzione e manutenzione del territorio, per mitigare i rischi, salvare vite umane, risparmiare risorse economiche, creare occupazione. In Italia sarebbero necessari almeno 40 miliardi di euro per la sistemazione delle situazioni di dissesto previste dai piani di assetto idrogeologico, di cui 11 miliardi per la messa in sicurezza delle aree a più elevato rischio. Negli ultimi 20 anni si sono spesi 22 miliardi di euro per riparare i danni causati da frane e alluvioni, ma le risorse previste per la prevenzione anche nell’ultima legge di stabilità continuano ad essere irrisorie ed assolutamente insufficienti.(1,377 miliardi di euro più 180 milioni in 3 anni) Ora se mettiamo insieme gli effetti devastanti dei cambiamenti climatici, della crisi economica, della disoccupazione e della povertà crescenti, delle crisi umanitarie per mancanza di risorse essenziali per la vita umana, acqua e cibo, non possiamo che prendere atto del fallimento di un modello economico iniquo e insostenibile, che non ha tenuto conto dei limiti delle risorse naturali e del fatto che quelle risorse limitate sono un bene comune di tutti e devono essere ripartite equamente fra tutti gli abitanti presenti e futuri di questo pianeta. Per questo dobbiamo cambiare profondamente la politica economica globale, verso un nuovo modello di sviluppo ambientalmente e socialmente sostenibile. Un nuovo modello di sviluppo improntato all’equità sociale in termini globali ed intergenerazionali, che garantisca la sicurezza alimentare e l’accesso all’acqua per tutti; uno sviluppo che rispetti la natura, le popolazioni indigene, i diritti umani, la giustizia di genere, la piena occupazione e la dignità del lavoro.non La transizione ad uno sviluppo sostenibile è dettata dall’emergenza di salvare il pianeta dal riscaldamento globale ma, allo stesso tempo, costituisce una grande opportunità per creare nuovo sviluppo e occupazione. La transizione ad un’economia low carbon deve avere una forte attenzione al lavoro, determinerà nuova occupazione verde ma dobbiamo garantire che sia lavoro dignitoso e dobbiamo accompagnare il passaggio dei lavoratori dai vecchi ai nuovi settori. Per farlo occorrono investimenti e protezione sociale, dobbiamo studiare ed anticipare gli effetti della transizione sull’occupazione, promuovere lo sviluppo delle competenze e della formazione professionale necessarie. Si devono garantire i diritti e le libertà sindacali e favorire i negoziati tripartiti. Quest’anno la 19esima conferenza delle parti si tiene in Polonia, un paese ancora fortemente dipendente dai combustibili fossili, speriamo che ciò non determini condizionamenti negativi sui negoziati. Il movimento operaio ha sempre sostenuto i negoziati delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici perché è convinto che la conferenza delle parti sia il luogo più adatto per sviluppare accordi globali ambiziosi. Il fatto che discuteremo di impegni post 2020 non deve giustificare l’inazione fino ad allora, perché sarebbe troppo tardi. A Varsavia il sindacato chiederà: 1- un sistema globale che consenta di ridurre le emissioni di gas effetto serra dell’85% entro il 2050 per cercare di mantenere l’aumento della temperatura globale al di sotto dei 2° o se possibile di 1,5° rispetto alle temperature pre-industriali; 2- obiettivi più ambiziosi dei paesi sviluppati rispetto alla riduzione del 25-40% al 2020; 3- l’impegno dei governi per politiche ambiziose di mitigazione degli effetti climatici, anche se l’entrata in vigore dell’accordo sarà dal 2020; 4- il rispetto degli impegni assunti dai paesi sviluppati per il trasferimento di aiuti finanziari ai paesi in via di sviluppo per sostenerli in un percorso di sviluppo a basse emissioni; 5- che il nuovo accordo ONU onori l’impegno della COP17 di garantire la giusta transizione verso un’economia a basse emissioni creando lavoro dignitoso e di qualità; La COP di Varsavia deve rappresentare un avanzamento nei negoziati e creare le condizione perché a Parigi 2015 possa essere concluso un ambizioso accordo globale, efficace, giusto e giuridicamente vincolante. Gli obiettivi di sviluppo sostenibile devono essere tenuti in stretta correlazione con gli obiettivi di sviluppo del Millennio, in particolare con l’obiettivo di eliminare la povertà a livello mondiale, riconducendoli ad obiettivi mirati ad eliminare la povertà e promuovere lo sviluppo sostenibile. E poi, tornati da Varsavia dovremo garantire la coerenza tra gli obiettivi climatici dichiarati e le politiche nazionali ed europee, intervenendo su due fronti: la mitigazione del rischio, per ridurre le cause dei cambiamenti climatici, cioè per ridurre le emissioni di gas ad effetto serra e le politiche di adattamento, per ridurre i rischi legati alle conseguenze dei cambiamenti climatici. Sul versante della mitigazione del rischio, le azione concrete per la riduzione delle emissioni, devono essere dettate dall'obiettivo di transizione al 100% di energie rinnovabili, questo perché le fonti fossili sono responsabili del 75% delle emissioni di gas serra in atmosfera e l’80% del consumo mondiale di energia è ancora da fonti fossili. La rivoluzione energetica è già iniziata e un futuro libero dai fossili è possibile, è una strada obbligata ma non priva di difficoltà e ostacoli. I poteri che accentrano la gestione del vecchio sistema energetico cercano con ogni mezzo di rallentare il cambiamento e si ostinano a promuovere centrali inquinanti, trivellazioni, shale gas, centrali a carbone ed a olio combustibile, continuando a chiedere nuove autorizzazioni e incentivi per il settore fossile. Dobbiamo mettere in atto strategie e scelte di politica industriale per uno sviluppo a basse emissioni di carbonio, creare nuovi posti di lavoro sostenibili, ridurre la dipendenza dalle importazioni energetiche. Cosa fare concretamente: - non autorizzare nuove centrali a combustibili fossili e nuove trivellazioni per l’estrazione del petrolio; - eliminare i sussidi e gli incentivi ai combustibili fossili; - dotare tutte le centrali fossili delle migliori tecnologie esistenti per abbattere le emissioni e fare un programma per la loro graduale chiusura iniziando da quelle più inquinanti; - promuovere una strategia industriale basata sull’innovazione tecnologia e la diffusione di tecnologie ecocompatibili, incrementando gli investimenti destinati alla ricerca e allo sviluppo in questi settori, consentendo così di rafforzare la competitività delle imprese e l’occupazione qualificata; - promuovere ed incentivare l’efficienza energetica, che è il modo più rapido per ridurre le emissioni di CO2 ed allo stesso tempo ridurre il costo dell’energia; - incentivare la ricerca e l’innovazione per le fonti rinnovabili, i sistemi di distribuzione, le smart grid, promuovere un modello di energia distribuita e l’autoproduzione; - introdurre la carbon tax ovvero uno strumento fiscale che tassa, e così disincentiva, l’uso dei combustibili fossili. Una tassa sul carbonio esiste già in Finlandia, Svezia, Danimarca, Norvegia, Irlanda, Paesi Bassi e pochi giorni fa è stata approvata anche dalla Francia. La CCe (contribution climat énergie) francese si applica ai combustibili fossili in proporzione al loro contenuto di carbonio e prevede un costo per tonnellata di carbonio che salirà in 3 anni da 7 a 22 euro, con una stima di gettito a regime di 4 miliardi di euro. In Svezia il costo della tassa è di 120 euro a tonnellata; - aumentare il prezzo del carbonio nel mercato delle emissioni. Quando i prezzi sono troppo bassi, come sta avvenendo in Europa nel mercato dell’ETS, in cui il carbonio si scambia a soli 4 euro, il sistema stesso finisce per disincentivare gli investimenti in energie rinnovabili, efficienza energetica e tecnologie pulite; Anche dal punto di vista delle politiche di adattamento al rischio c'è molto da fare. L'Italia è un paese bellissimo ma estremamente fragile e reso ancora più vulnerabile dal consumo del suolo sfrenato che sta divorando la nostra terra. Vediamo cosa succede nel nostro paese quando piove, investire in prevenzione del rischio idrogeologico e manutenzione del territorio eviterebbe la perdita di vite umane, i danni alle attività produttive, i costi della ricostruzione. Non è un problema di risorse, perchè è dimostrato che i costi dell'inazione, che si pagano dopo, per la riparazione dei danni, sono molto più alti degli investimenti in prevenzione, si tratta solo di anticipare la spesa. Si tratta di definire delle priorità, ed in base a queste indirizzare la politica fiscale, l'uso dei fondi strutturali, le deroghe ai patti di stabilità. Investire in un piano straordinario per la prevenzione del rischio idrogeologico e la manutenzione del territorio, la bonifica dei siti inquinati e la gestione delle acque, con la creazione diretta di posti di lavoro pubblico in questi settori, tiene insieme due priorità assolute: il lavoro e la tutela dell'ambiente e la sicurezza delle popolazioni, per questo serve una seria politica di programmazione, interventi e scelte coraggiose che vadano in questa direzione. Ieri il Ministro Orlando ha presentato la strategia nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici, ovviamente dovremo valutarlo attentamente prima di esprimere un giudizio, ma fin d'ora chiediamo che gli obiettivi e le misure siano sostenuti da adeguati finanziamenti. Concludo sulle risorse. Stiamo discutendo la legge di stabilità e si potrebbe obiettare che risorse non ce ne sono. Non è così: è invece una questione di scelte. Ho già detto delle entrate che si potrebbero avere introducendo una carbone tax e delle ingenti somme che si spendono per la ricostruzione post eventi calamitosi che si potrebbe anticipare sulla prevenzione. Potrei aggiungere l'innalzamento della tassazione sulle rendite finanziarie, l'introduzione di una patrimoniale, il taglio delle spese militari, la lotta all'evasione fiscale ed il contrasto alla corruzione. Potrei continuare, ma mi fermo perchè sono solo alcuni esempi per ribadire che scelte di politica fiscale ed economica alternative, per un nuovo modello sostenibile si possono fare. Grazie e buon proseguimento dei lavori Roma, 31 ottobre 2013