Andrea Panaccione Università di Modena e Reggio Emilia La questione della nazione ucraina Questioni del nation building e questioni del nazionalismo come fenomeno storico. La difficoltà di costruire una continuità storica che tenga insieme le varie parti che oggi costituiscono l’Ucraina, e quindi una storia nazionale, e l’esposizione del maggiore tentativo storiografico in questo senso (Hrushevs’kij: l’esistenza di una separatezza originaria del popolo ucraino dal suo ingombrante vicino russo e di una continuità storica dell’Ucraina come nazione culturale indipendentemente dalle diverse dominazioni politiche) a quello che Bloch chiamava il “demone delle origini”. Ma la stessa ossessione delle origini, di un inizio che deve ed è sufficiente a spiegare, era presente nello schema provvidenzialistico della storiografia sovietica di una primordiale “nazionalità anticorussa” (drevnerusskaja narodnost’) che si era divisa, per le pressioni esterne e per le varie vicende storiche, in tre diverse nazionalità – russa, ucraina e bielorussa – a lungo separate ma sempre aspiranti a riunificarsi in un “unico Stato russo ( rossijskoe)” ed arrivate infine a realizzare il loro sogno di ricongiunzione nella Unione Sovietica. L’intreccio o lo embeddement dentro storie diverse e la inclusione dentro questa “terra al margine” di diverse regioni a loro volta di confine, segnate da diverse spinte centrifughe, che a varie riprese ne mettono in discussione l’appartenenza a un insieme coerente. Le terre di quella che oggi chiamiamo Ucraina portano su di sé il peso di storie divergenti e in particolare di rapporti con altre grandi realtà politiche e culturali più condizionanti di quelli che intercorrono tra le regioni ucraine stesse. Almeno fino alla prima guerra mondiale, è più facile pensare una storia della Galizia, del Donbass, della Crimea, che una storia dell’Ucraina nella sua configurazione attuale. L’appartenenza a storie diverse si riflette anche nei diversi tipi di storia attraverso cui si può leggere la vicenda ucraina: politico-territoriale, ma anche sociale (movimenti di popolazioni, rapporto città – campagne, l’Ucraina dentro le rivoluzioni russe e la guerra civile con il suo intreccio vorticoso di attori e conflitti nazionali, panrussi, internazionali) e culturale (lingua, letteratura). In particolare è centrale il rapporto con la letteratura russa non solo per il contributo degli scrittori ucraini a quella letteratura, per il quale non si può evidentemente prescindere dal caso Gogol’, il suo ruolo nella letteratura russa ma anche le infinite discussioni sul Gogol’ ucraino, un esempio delle quali è il saggio su Gogol’ di Nabokov recentemente pubblicato in Italia, che contiene una stroncatura delle “opere artificiose della sua giovinezza” e dimostra un vero disprezzo per tutto ciò che è ucraino, a cominciare da quello che viene definito il “dialetto piccolo-russo”, e che è tipico della peggiore tradizione del liberalismo russo a cui Nabokov apparteneva. Ma un altro caso ugualmente interessante è quello di Bulgakov, il cui forte legame con Kiev, ripetutamente sottolineato, è quello con una grande città (una capitale) russa, che nella Guardia bianca viene raccontata come minacciata e violata dalla Ucraina rurale guidata da Petljura (e infine salvata come città russa … dai bolscevichi). Ma il rapporto con la letteratura russa ha anche una più diretta portata costitutiva nazionale nel modo in cui è stato proposto sia per negare anche una autonomia culturale ucraina e dare una base nazionale culturale all’impero russo (Struve) sia per come è stato vissuto dagli stessi rappresentanti della coscienza nazionale ucraina, da Drahomanov, accusato persino di russofilia per il suo attaccamento alla cultura russa e al suo carattere critico, a Korolenko, al quale appartiene la definizione della letteratura russa come “patria”, alla stessa reazione espressa dalle parole d’ordine “Via da Mosca” e “A noi l’Europa!” dello scrittore e comunista nazionale ucraino Mykola Chhvylov’yi, che reagiva a quella che veniva percepita come la grande forza attrattiva della cultura e letteratura russa. Una conferma di questa forza attrattiva era venuta già nel 1903 da una delle più controverse figure del movimento nazionale ebraico originaria dell’Ucraina, Vladimir Jabotinsky, il quale si proponeva di reagire (e avrebbe dimostrato di essere disposto a farlo con tutti i mezzi, persino cercando un accordo con Petljura) ai processi di assimilazione/russificazione della intelligencija ebraica: “Incontriamo il popolo russo attraverso la sua cultura […] per lo più i suoi scrittori – o meglio la manifestazione migliore, più elevata, più pura dello spirito russo. […] ci formiamo le impressioni che abbiamo del popolo russo guardando solo ai loro geni e personalità di spicco, e naturalmente quel che ne ricaviamo è una bellissima favola. Io non saprei dire se molti di noi amano la Russia, ma molti, troppi di noi, figli dell’intellighenzia ebraica, sono pazzamente, vergognosamente innamorati della cultura russa e attraverso di essa di tutto il mondo russo” (cit. in Yu. Slezkine, Il secolo ebraico, Vicenza, Neri Pozza, 2011, pp. 193-4). L’altra questione, ovviamente da collegare a quella dei caratteri del nation building ucraino, è quella delle trasformazioni del movimento nazionale e poi del nazionalismo ucraino, quello che si potrebbe chiamare il passaggio da Drahomanov a Doncov e poi all’OUN e Bandera: per usare la terminologia di un importante storico del nazionalismo, Eugen Lemberg (Il nazionalismo, Roma, 1981, ed. orig. 1964), da un nazionalismo come forza coesiva, che sottolinea gli elementi di omogeneità sociale di una nazione contadina ed è aperto al socialismo e a una prospettiva di federalismo democratico pan-slavo, a un “nazionalismo integrale”, come reazione a un “trauma della coscienza” generato da “oscure minacce di disintegrazione”, e al quale si può adattare l’analisi di un altro grande studioso dei nazionalismi, Istvan Bibo ( Miseria dei piccoli Stati dell’Europa orientale, il Mulino,1994; 1946) sulla enfatizzazione dei fattori etnici e di aggressione verso l’esterno come compensativa di una debolezza politica e della stessa insicurezza di sé. In questa trasformazione gioca un ruolo importante il passaggio della guerra mondiale e della guerra civile, la reazione ai due forti processi di nazionalizzazione rappresentati dallo Stato nazionalizzatore polacco e dalla costruzione dell’Ucraina socialista dentro l’Unione Sovietica, ma mi sembra che vada sottolineato anche un altro elemento: la mancanza del contributo nazionale di un movimento operaio in una regione storica che ha visto invece la compresenza di movimenti sociali reciprocamente estranei e incapaci di incontrarsi. Le eredità e gli sviluppi di un nazionalismo integrale ed esclusivo senza la nazione rappresentano sicuramente uno dei maggiori pericoli della situazione attuale: se la costituzione in nazione dell’Ucraina non potrà ormai avvenire come l’aveva pensata Drahomanov, sicuramente essa non avverrà nel segno di Doncov e di Bandera.