Persinsala Teatro
Alessandro Alfieri
novembre 6, 2016
A partire dal 2 novembre, al Teatro Argot è in scena quella che
probabilmente è l’opera più complessa di William Shakespeare,
ovvero La tempesta, talmente complessa che in questa
occasione il risultato lascia a desiderare.
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Tra tutte le opere della produzione di William Shakespeare, le ultimissime
sono probabilmente le più ardue da interpretare e decriptare; alcuni dei
limiti strutturali e narrativi, forse dovuti anche alla stanchezza del baldo,
che si sarebbero potute manifestare come carenze stilistiche e
compositive qualora fossero state firmate da altri autori, a partire
dall’immensità e dalla profondità inesauribile dell’universo shakespeariano
assumono tutt’altra dimensione di senso. Da questa prospettiva, non è
sufficiente ritenere Racconto d’inverno e soprattutto La tempesta
opere strampalate e incoerenti: pensiamo proprio alla Tempesta, dove in
una sorta di commiato è lo stesso autore, attraverso lo straordinario
monologo conclusivo di Calibano, a invocare la pietà degli spettatori, in
uno sfondamento metatestuale epocale della quarta parete. Si tratta del
monologo nel quale i personaggi dello spettacolo che abbiamo appena
visto si dichiarano tali, appunto “personaggi”, ovvero “finti” e fantastici,
fatti della stessa materia di cui sono fatti i sogni; ed è come se l’autore
chiedesse venia nella consapevolezza delle incongruenze di un testo dove
il piano storico e quello magico si confondono in maniera squilibrata, dove
la scena è occupata principalmente da quel Prospero che è un ulteriore
alter ego dell’artista, che definisce, compone e scompone gli eventi a suo
piacimento con la magia come fa lo scrittore con le parole.
Questo il materiale di partenza per chi, come Maurizio Panici, decide di
cimentarsi in quello che è il testo più complesso e controverso di
Shakespeare; in scena al Teatro Argot, questa versione della Tempesta
parte da intuizioni azzeccate, ma nel complesso lo spettacolo delude
impoverendo l’energia del testo. Se infatti il barocchismo sperimentale del
testo originale richiederebbe una regia, una scenografia e una recitazione
essenziali e minimali, Panici trascura la lezione di Strehler in questo senso:
al barocchismo del testo sovrappone il barocchismo di costumi incoerenti,
per non parlare dell’introduzione delle musiche dei Pink Floyd
completamente fuori luogo. Risultano inefficaci anche le interpretazioni
urlate degli attori: Pier Giorgio Bellocchio è un potente quanto eccessivo
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Calibano, dal momento che la sua prova fisica è encomiabile ma fuori
misura, come fuori misura sono le recitazioni goliardiche in napoletano dei
marinai tormentati dalla trama di Prospero.
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Luigi Diberto, già solo per la sua impostazione, è un buon Prospero che
però nel vigore dell’interpretazione smarrisce alcune battute; bella anche
la sua staticità sul trono, che è complementare all’agilità incontenibile
dello spirito Ariel, interpretato da una Claudia Gusmano che spia le
vicende del dramma con sguardo sempre concentrato e inquietante, e che
perde di verve paradossalmente proprio quando – vestito come Michael
Jackson – recita le sue battute principali con l’accento siculo che ne fa una
specie di scugnizzo mafioso. Un’occasione persa perché l’idea
scenografica di fondo della divisione della scena in due livelli, quasi fosse
una trasposizione teatrale della Trasfigurazione di Raffaello (che non a
caso, come sosteneva Nietzsche, è l’opera più metalinguistica del
Rinascimento perché mette in scena la trasfigurazione apollinea nel
fulgore del Cristo trionfante sulla follia del giovane ossesso nella parte
inferiore del quadro), sarebbe potuta risultare intrigante, a partire proprio
dall’opposizione Prospero/Calibano. Sarebbe bastato puntare su questa
idea e far convogliare tutto il resto in essa, invece lo spettacolo diventa
inconcludente. Ma di un’inconcludenza diversa per ordine e grado da
quella già preventivata dalla penna di Shakespeare: qui, la richiesta finale
di misericordia di Calibano dinanzi al baratro di ciò a cui abbiamo assistito
rischia di rimanere un appello che nessuno è in grado di accogliere.
Lo spettacolo è ancora in scena:
Teatro Argot
via Natale del Grande, 27 – Roma (Trastevere)
dal 2 novembre
dal martedì al sabato ore 20.30, domenica ore 17.30
Argot produzioni presenta
La tempesta
di William Shakespeare
regia Maurizio Panici
con Luigi Diberti, Pier Giorgio Bellocchio, Matteo Quinzi, Claudia Gusmano, Valentina Carli, Riccardo
Sinibaldi, Antonio Randazzo
scenografia Francesco Ghisu
costumi Anna Coluccia
light designer Giuseppe Filipponio
musica Giovanni Di Giandomenico
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