Anche la lingua ha un`anima. Lo dice il Papa - 04-20

Anche la lingua ha un’anima. Lo dice il Papa - 04-20-2015
di Salvatore Claudio Sgroi - Sicilia Journal, Giornale online di notizie - http://www.siciliajournal.it
Anche la lingua ha un’anima. Lo dice il Papa
di Salvatore Claudio Sgroi - 20, apr, 2015
http://www.siciliajournal.it/anche-la-lingua-ha-unanima-lo-dice-il-papa/
La frase «Gesù allevi le sofferenze dei cristiani» pronunciata da papa Francesco in occasione della Pasqua
il 5 aprile 2015, e riportata nel titolo dell’art. di S. Rame “Papa Francesco alla Messa per Pasqua”, è stata
oggetto quasi di “scandalo” grammaticale, suscitando in Google commenti privi di fondamento:
(i) «Di sicuro [il Papa] disconosce [recte: “ignora, non conosce”] che il Congiuntivo Presente e
l’Imperativo Presente per la terza persona singolare del verbo ALLEVIARE prevedono la doppia
‘i’.”; (ii) «ps. al titolista. ‘gesù allevii e non allevi’». (iii) «Ma i titoli del Giornale, li scrive la Santanchè?
Credo di si, vista la padronanza dell’‘Itagliano’….. O è sempre colpa del T9». (iv) «Spero che l’errore
ortografico nel titolo sia dovuto soltanto a un mero errore materiale, ma sarebbe comunque opportuna una
maggiore attenzione. Non ho mai visto ‘allevare’ sofferenze». E (v) al limite della volgarità: «Con questa
semiotica si fotte la semantica».
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Proviamo a fare un po’ di chiarezza, dinanzi a manifestazioni di così scarsa competenza della lingua
propria e altrui, e anche della grammatica scolastica.
In primo luogo, il linguaggio di una autorità quale è il Papa – per principio – ovvero per un elementare
principio di teoria sociolinguistica – è in virtù del ruolo che incarna un modello linguistico. Quindi il suo
esempio non è “errato” ma al contrario è potenzialmente da imitare.
In secondo luogo, la frase in questione non è affatto errata perché è semanticamente chiara, trasparente e
priva di ambiguità (Il Papa non ha affatto detto “allevare le sofferenze”).
In terzo luogo, i testi istituzionali autorizzati a denunciare come “errata” la forma “allevi (le sofferenze)”
in quanto congiuntivo di alleviare sono le grammatiche e i dizionari. Ma dizionari autorevoli quali il
Grande Dizionario della lingua italiana a cura di T. De Mauro (6 voll. 1999-2007), e i dizionari di De
Mauro 2000, Sabatini-Coletti 2007, Devoto-Oli 2015 e Zingarelli 2013 nei loro quadri flessionali
indicano come congiuntivo presente (e imperativo) di alleviare la sola forma allevi (col pl. allevino),
omofona (i.e. identica) a quella del cong. (e imperativo) del verbo allevare (e ciò è confermato anche da
parlanti da me elicitati al riguardo). E quindi l’ispanofono papa Francesco parla perfettamente come
un italofono nativo, senza lasciar trapelare nulla della sua lingua nativa.
Fin qui l’analisi linguistica degli usi corretti e scorretti per i nativi e gli stranieri. Più delicata l’analisi
teorica, grammaticale, di allevi (le sofferenze) congiuntivo a un tempo di alleviare e di allevare, distinti
invece in altre forme come l’infinito.
La omofonia di allevi (cong. di allevare/alleviare) si spiega tenendo conto delle desinenze del
congiuntivo di prima coniugazione (es. [che io/tu/egli/noi/voi/essi] am-i/iamo/iate/ino). Il cong. di
allevi-are fa quindi allevi-i / allevi-ino, con una sequenza di due “i”, che nella grafia e soprattutto nella
pronuncia si riducono facilmente a una sola: allev-i / allev-ino. Da qui la coincidenza con il congiuntivo
di allev-are: allev-i /allev-ino. (Analoga l’omofonia nel caso dei verbi variare/varare, celiare/celare,
cerchiare/cercare e udire/odiare).
Nell’uso di 12/18 scriventi (da me elicitati ‘mailarmente’) la forma con due “ii” allevi-i (le sofferenze) è
stata distinta da allev-i (un figlio). E letterariamente è documentata per es. in Boccaccio (1342) «allevii le
nostre angoscie»; nel Parini del Giorno (1765): «Fia d’uopo ancor, che da le lunghe cure / t’allevii (ed.
Dante Isella: t’allevj) alquanto»; in Verga (1871) Storia di una capinera «Che Dio le allevii le pene del
purgatorio». Tale forma è peraltro quella della grammatica classica, cinquecentesca, risalente almeno a
Lodovico Castelvetro (1563), che integrava (ed. 2004 p. 251) il Bembo (1525). Possibilisti tuttavia
grammatici come L. Serianni (1988): «I verbi in -iare […] perdono [la i] davanti a un’altra i“. E
«Tuttavia può essere opportuno» (§ XI.69.e) conservarla per evitare l’omofonia. E in precedenza G.
Bottiglioni (1914): «può tornare utile conservare l’i del tema per evitare la confusione» (p. 145). E
analogamente il Flora (1956 p. 169).
Non solo, ma altri parlanti (5/18, degli interpellati, nord, centro e sud-Italia) – ed è questa una piccola
scoperta indirettamente favorita dalla frase del Pontefice – oppongono anche la forma alliev-i (le
sofferenze) a allev-i (un figlio). La forma alliev-i permette così di evitare la sequenza di due “i”:
allevi-i(no) > allièv-i(no) mediante spostamento di vocale (metatesi). Nel contempo la
forma al-liev-i appare più trasparente etimologicamente per via della presenza dell’agg. lieve (rispetto
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all’opaco latino levis) nel verbo al-levi-are. E come se non bastasse, non si tratta di una variante isolata, o
di un lapsus, dal momento che essa è documentata nell’italiano dell’800.
In G. Carducci (av. 1907) si legge infatti: «Il lauro non dà frutti dolci ma bacche amare, onde, a chi ne
gusti, s’inaspra il dolore anzi che si allievi» (Opere). E, con ulteriore sorpresa, in G. Pascoli (1855-1912)
nei postumi (1913) Poemi del Risorgimento. 10 Inno a Roma, si può ancora leggere: «il Popolo pilumno
/ pensi i trionfi che menò, le leggi / che fece, il dritto che impartì, la pace / che diede, e allievi il suo lungo
lavoro / d’oggi con la sua gloria veterana» (vv. 297-301). La traduzione dal latino dello stesso Pascoli
non lascia dubbio sul significato del verbo: «et levet assiduum veterana laude laborem».
Per gli amanti della lingua, va anche detto che l’it. antico registrava la forma allevare col significato di
“alleviare” per es. in Cino da Pistoia (1270c.–1336/7): «D’ogni gravor m’alleva / lo suo gentil aspetto
vertudioso / che mi fa star giocoso». E si tratterebbe di un cultismo, dal lat. allevare ‘alleviare’ (che
appunto in lat. non significa affatto “allevare”, come chiariremo in un prossimo intervento.
Il cong. di alleviare presenta così in italiano tre possibilità, tutte legittime e corrette: (a) con una
“i” allev-i(no) (b) con due “i” allevi-i(no), (c) con metatesi allievi(no) (le sofferenze).
In conclusione, la lingua del Pontefice, non solo si rivela modello per gli italofoni, ma
inaspettatamente, serendipicamente, ha agito come uno stimolo per scavare dentro la grammatica
profonda, inconscia, degli stessi nativofoni.
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