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A che serve la memoria quando c’è Google?
Usiamo Internet per ottenere informazioni cui potremmo arrivare da soli, sforzandoci di
ricordare. Un’abitudine sempre più diffusa ma non necessariamente negativa
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Quanti di noi invece di sforzare la memoria si rivolgono a Internet per trovare le
risposte alle domande di un quiz? Sempre di più usiamo la rete e Google per
ottenere informazioni e, ogni volta che ci serviamo di questa tecnologia,
rafforziamo la nostra propensione a farlo ancora di nuovo in futuro. A
sottolineare questo aspetto, è un nuovo studio statunitense, pubblicato sulla
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rivista Memory, da cui emerge un consolidamento del fenomeno del “cognitive
offloading”, ossia la tendenza a ricorrere a Internet come aiuto alla memoria.
Come dimostrano i test condotti sul campo, se possono, le persone fanno
affidamento su Google per rispondere alle domande poste, anziché attivare
risorse mnemoniche interne. Oltretutto, avendo a disposizione Internet, la
formazione della decisione di utilizzare questo strumento per cercare
l’informazione di cui si ha bisogno avviene in modo più rapido. In altri termini, ci
mettiamo meno tempo a scegliere di avvalerci della rete come se si sviluppasse
un automatismo del comportamento.
Memoria, apprendimento e capacità di risolvere i problemi subiscono l’impatto
del crescente impiego della rete e della facilità di accesso alle risorse disponibili
online. «Più si usa Internet come supporto ed estensione della memoria più vi
facciamo ricorso – commenta Benjamin Storm, uno degli autori della ricerca.
Diversamente dal passato non siamo più interessati a cercare di ricordare da soli
mentre nel nostro quotidiano aumenta la dipendenza da smartphone e
computer dai quali otteniamo comodamente le informazioni».
Sempre Storm evidenzia come nei partecipanti ai test si sia anche riscontrata
una riduzione di quel “bisogno di cognizione”, che implica l’attitudine ad
approfondire le questioni e a impegnarsi in compiti intellettuali difficili. Perciò,
mettono in guardia i ricercatori, attenzione allo strapotere di Internet - che
dovremmo riuscire a gestire in modo più efficace – sulla memoria perché
potrebbe determinare effetti negativi su diverse qualità umane, incluse creatività
e saggezza.
I VANTAGGI DELLE TECNOLOGIE DELLA MENTE
Allo stesso tempo, però, si ammette nelle conclusioni dell’indagine, affidarsi a
Google e alla rete comporta anche benefici che non vanno disconosciuti.
«Riuscire a dimenticare può essere un enorme vantaggio – è il commento di
Francesco Antinucci, Direttore di ricerca all’Istituto di Scienze e Tecnologie
della Cognizione del CNR, interpellato sui risultati della ricerca. Esternalizzare la
memoria per certi tipi di informazioni può liberare il cervello per attività
cognitive più complesse». Sotto questo profilo, Internet prosegue lo stesso
processo innescato dalla scrittura che rappresenta la più grande tecnologia
della memoria del passato. Come esseri umani siamo bravi a ricordare storie,
oggetti che si tengono e che hanno una struttura - aggiunge. Non cose come
calcoli o dati di transazioni economiche che, infatti, ritroviamo per millenni nei
libri.
Poco male se informazioni o calcoli vengono affidati alla tecnologia che sta alla
base della creazione di organizzazioni e società complesse. Poco male se non
ricordiamo come si fanno addizioni e sottrazioni, perché questo tipo di
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Come sono diventato
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operazioni sono inessenziali allo sviluppo dell’essere umano. «Grazie a certe
tecnologie, - spiega Francesco Antinucci - gli uomini sono stati in grado di
potenziare le loro capacità fisiche. E lo stesso vale per le tecnologie della mente
che moltiplicano le nostre capacità».
NIENTE ALLARMISMI
Anche per Federico Tonioni, ricercatore per il settore scientifico disciplinare di
Psichiatria presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore, non bisogna
considerare solo negativamente il rapporto tra memoria e Internet. «Molto
spesso ci allarmiamo davanti a fenomeni a noi incomprensibili. La mente è
plastica e anche la memoria si adatta ad un nuovo contesto caratterizzato dalla
pervasività della tecnologia digitale».
La scena in cui agiscono gli individui e, in particolare, i più giovani, è cambiata
ma un’evoluzione non è una patologia. Per questo motivo, Tonioni è restio ad
usare il termine dipendenza da Internet anche in presenza di esperienze
immersive con la tecnologia. Affidarsi al web è «più comodo, si fa meno fatica»
ma «serve ancora imparare a memoria le poesie come suggeriscono gli
adolescenti?».
D’altra parte, capacità umane come la creatività appartengono al mondo
interiore e «restano fuori dalla tecnologia digitale». Rimane uguale a prima
anche la possibilità di rimuovere al nostro interno le cose che non ci piacciono
e «non tutto quello che abbiamo dentro finisce su Facebook». Nei giovani, per
giunta, è cambiato l’apprendimento molto più basato sulle immagini. «Ma –
questa è la sua conclusione – bisogna avere fiducia dei nativi digitali e del loro
nuovo modo di pensare».
Alcuni diritti riservati.
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