6° lezione 25.11.2008 Abbiamo visto nella scheda precedente le idee generali contenute nell’A.T. a proposito dell’uomo come creatura di Dio, abbiamo visto cosa significa nell’A.T. l’uomo creato ad immagine di Dio. Dobbiamo dire che tra tutti questi punti la cosa più importante che emerge è la relazionalità, la dinamicità che esprime l’idea di immagine. L’immagine sostanzialmente dice che l’uomo è in relazione a Dio, al mondo e al suo simile considerando però che la relazione a Dio è fondativa, ovvero da questa relazione dipendono le altre due, oppure le altre due si esprimono a partire da questa. Quindi se l’uomo sbaglia la relazione con il mondo e con gli altri, mette in questione anche la relazione con Dio, la relazione dice reciprocità. Passiamo al Nuovo Testamento B. Nel Nuovo Testamento interviene l’evento decisivo di Gesù Cristo, l’uomo completo del quale Adamo era un abbozzo. Questo significa che essendo tutta la creazione un evento realizzato in Cristo anche Adamo (nome collettivo, nel senso di uomo) era un abbozzo di Cristo, nel senso che è Cristo che viene a compiere l’umanità, è Cristo l’uomo perfetto, è l’uomo che realizza il progetto di Dio sulla creazione, in questo senso Adamo è un abbozzo di Cristo e non nel senso di mancanza in sé ma manca della sua compiutezza, della sua perfezione che è rivelata in Gesù Cristo, e questo significa che Gesù è l’uomo perfetto. Se Cristo è l’uomo perfetto, la realizzazione compiuta dell’uomo, possiamo comprendere come l’uomo è creato a immagine di Dio in Cristo, cioè attraverso l’evento di Gesù io capisco che tutta la creazione è riferita a Lui e colgo quale è il progetto di Dio sull’uomo. G.S. N. 22: “Gesù Cristo rivelandosi non rivela solamente Dio all’uomo ma rivela anche l’uomo all’uomo” gli fa nota la sua altissima vocazione, a cosa è chiamato. Noi capiamo la criticità della creazione a partire dal prologo di Giovanni che è il vero manifesto creazionista cristiano. Con il Nuovo Testamento si ha una svolta cristocentrica dell’antropologia (cfr. la teologia paolina). Chi sono io trova risposta in Cristo. Cristo è immagine archetipa, in modo completo, primogenito di tutta la creazione, in quanto la riassume e le conferisce consistenza. SCHEDA 6A “Da questo momento il destino dell’uomo non è più essere immagine di Dio, ma immagine di Cristo. O, meglio ancora, l’unico modo in cui l’uomo può arrivare ad essere immagine di Dio è riproducendo in sé stesso l’immagine di Cristo […]. Il carattere processuale della partecipazione all’immagine-gloria del Signore […] si orienta verso il termine escatologico della configurazione con Cristo per mezzo della risurrezione” (J. L. Ruiz de la Pena). La compiutezza della realizzazione antropologica cristiana in ogni uomo va pensata in questo modo: PROCESSO DI CONFORMAZIONE A CRISTO L’UOMO E’ CREATO A IMMAGINE DI DIO (A.T.) L’uomo è un abbozzo del secondo Adamo che è Cristo (realizzato in Cristo) (teol. paolina). Ma l’uomo come fa a realizzare la sua vocazione ad essere immagine di Dio? ↓ Conformandosi a Cristo, divenendo: IMMAGINE DI CRISTO Conformarsi a Cristo significa che l’uomo, che in Cristo scopre la sua vocazione, segue le sue orme, questa è la sequela, la vita teologale, la vita cristiana… L’uomo quindi creato ad immagine di Dio diventa pienamente uomo nella misura in cui si conforma all’immagine di Cristo. Ma l’uomo quando diventerà uomo completo, uomo perfetto? ↓ Quando raggiungerà la pienezza di Cristo, ovvero parteciperà alla sua risurrezione. NELLA PARUSIA DIVENTERA’ IMMAGINE DI DIO Solo nella partecipazione totale al mistero di Cristo saremo uomini completi. (1 Cor 15). Che cosa è la salvezza? E’ la pienezza dell’umanità che è un processo di conformazione a Cristo che mi libera dal peccato, dalle minacce e mi porta a vivere la pienezza della vita nella partecipazione alla sua risurrezione. Noi dobbiamo seguire Cristo non perché ci sono dei comandamenti ma perché tutto questo serve alla nostra salvezza ovvero la pienezza della nostra vita. Alla luce di ciò rileggiamo la citazione di J. L. Ruiz de la Pena: “Da questo momento il destino dell’uomo non è più essere immagine di Dio, ma immagine di Cristo. O, meglio ancora, l’unico modo in cui l’uomo può arrivare ad essere immagine di Dio è riproducendo in sé stesso l’immagine di Cristo […]. Il carattere processuale della partecipazione all’immagine-gloria del Signore […] si orienta verso il termine escatologico della configurazione con Cristo per mezzo della risurrezione” Chi è questo uomo? E’ vero si che è immagine di Dio, che deve alla luce di Cristo conformarsi a Lui per raggiungere la pienezza della vita. Ma quali sono le strutture che caratterizzano l’uomo? 1..2. LE STRUTTURE BASILARI DELL’UOMO CREATO La concreta idea biblica dell’essere umano creato da Dio a sua immagine è riflessa nella sua descrizione come unità psicosomatica e come essere in relazione. Se noi consideriamo l’uomo nella sue strutture basilari, ci rendiamo conto che da una parte è un essere unitario ma dall’altra è una realtà relazionale. Nella Scrittura non si trova mai una definizione astratta-filosofica, perché il discorso biblico è di tipo storico-salvifico. La Scrittura ragiona in termini di concretezza storica. E come pensa l’uomo? Proprio perché ragiona per unità innanzitutto guarda l’uomo e lo definisce così come è non in generale, in astratto ma lo guarda nelle sue concrete situazioni in cui viene a trovarsi. Per esprimere queste situazioni usa dei termini con i quali indica l’uomo colto in particolari situazioni. Non esiste quindi una definizione dell’uomo ma ce ne sono tante quante sono le situazione in cui l’uomo viene a trovarsi. Questo però non significa che sta definendo l’uomo in una sua parte ma lo sta definendo nel suo complesso. A L’uomo come essere unitario e in relazione. Anzitutto occorre ricordare che la mentalità ebraica e del vicino e medio oriente antico ha un modo di approcciare la realtà unitario, concreto, olistico, per cui l’agiografo non usa il termine “uomo” ma delle accezioni che corrispondono ai suoi organi vitali. Perciò, pur volendo indicar un individuo nella sua completezza, nella Scrittura si trovano termini quali soffio vitale, carne, cuore, fegato, reni, a voler cogliere l’uomo in particolari situazioni esistenziali ma comunque sempre intendendolo nella sua unitarietà. Es: l’uomo è fegato La Scrittura vuole intendere tutto l’uomo in particolare nella sua condizione di coraggio. Il primo termine da considerare è nefes, una parola che, pur indicando tutto l’uomo, ha comunque un significato piuttosto complesso. Normalmente viene tradotto in greco con psychè e in italiano con anima. Originariamente nefes significava gola, da cui per metonimia il senso traslato di respiro, soffio, alito. E se si parla di respiro ovviamente ci si riferisce all’essere vivente, per cui nefes indica il dinamismo della vita. Nel testo di Gen 2, 7 quando è scritto che Dio alitò sull’uomo per dargli vita si usa proprio il termine nefes, a significare che l’uomo è diventato un essere vivente. Nel qualificare l’uomo come nefes, gli ebrei volevano intendere la profondità dell’essere vivente e non il respiro come solo atto fisico. L’alito di vita è traducibile anche come la consapevolezza di essere un vivente, per cui nefes speso indica anche la coscienza, ma non nel senso etico del termine bensì come consapevolezza dell’uomo di essere un vivente, di avere una particolare fisionomia nel mondo creato rispetto agli animali che respirano ma non hanno consapevolezza di respirare e quindi di vivere. Indicando l’uomo in questo modo, la Scrittura non dice che l’uomo ha una nefes ma che l’uomo è nefes, è consapevolezza, è vita e non che ha consapevolezza o che ha vita. Quindi c’è un’attribuzione personale al punto tale che l’uomo è identificato col termine, tanto che con la morte non ha più nefes. In definitiva, questa accezione si riferisce a un uomo che vive sulla base di un principio vitale, un uomo colto nella sua situazione di essere vivente. Occorre comunque tener presente che nefes è un termine biologico e non dice nulla di etico e di teologico. Un secondo termine usato è basar. La traduzione greca è sarx, mentre quella italiana è carne e qualche volta corpo. Come nefes, anche basar indica qualcosa in comune con gli animali perché anche loro hanno la carne. Quando la Scrittura indicare l’uomo non dice che ha un basar, ma che è basar, è carne, è corpo. Con ciò si vuole senz’altro dire tutto l’uomo, pur se colto nella sua dimensione di fragilità materiale. Infatti, in quanto carne, l’uomo è destinato alla fine. Accanto alla fragilità materiale c‘è anche una fragilità etica. L’uomo è basar quando si chiude alla relazione con Dio e con gli altri, tanto che il termine può indicare l’uomo nella sua dimensione di manchevolezza, di peccato. “Non vivete secondo la carne” Paolo vuole dire di non vivere nella logica della chiusura a Dio. Il terzo termine da considerare è ruah, normalmente tradotto con soffio o spirito. In ebraico questo termine è femminile. La ruah è il termine forse più significativo, caratteristico e primordiale dell’antropologia ebraica. E’ la capacità di trascendersi, di relazionarsi a qualcun altro, l’uomo è ruah quando vive la sua dimensione di apertura a Dio. Sulla base di questo aspetto l’uomo è naturalmente aperto a Dio, è capace di relazioni trascendenti. Quando invece non vive secondo la ruah vive secondo la basar. Ad aprirsi a Dio è tutto l’uomo, non solo la sua mente, ma l’interezza del suo essere; in tal modo si comprende, ad esempio, quale importanza ha la funzione del corpo nella preghiera, un aspetto oggi piuttosto trascurato. Dopo aver esaminato in dettaglio i tre termini, è bene sempre ricordare che questi, pur volendo distinguere le concrete situazioni che l’uomo vive, intendono cogliere l’uomo tutto intero, nella sua unità psicosomatica, multidimensionale e dinamica, pur se ci sono situazioni in cui manifesta solo alcuni aspetti del proprio essere. Questo perché l’antropologia biblica è sintetica, olistica e nella Scrittura non esiste un concetto dualistico, dicotomico dell’essere umano, inteso come corpo e anima che si sovrappongono, come se il corpo venisse da una parte e l’anima dall’altra. Abbiamo quindi sottolineato l’unità dell’uomo e ancora non abbiamo messo in evidenzia un aspetto fondamentale: l’uomo è uno però non è un essere chiuso in sé stesso ma si esprime nella molteplicità delle relazioni. L’uomo in ogni situazione antropologica è un essere in relazione. L’uomo , in ogni situazione antropologica è un essere in relazione, esprime una relazione, soggetto appunto a un triplice rapporto costitutivo: Dio, gli altri esseri viventi simili, il mondo. La sua è un’esistenza dialogica che si esprime nella triplice relazione di dipendenza da Dio, di superiorità sul mondo (intesa non come dominio ma in senso pastorale), di uguaglianza al “tu” umano. Delle tre relazioni, la più importante è quella teologale, da cui dipendono le altre. B. L’uomo come essere unitario e in relazione Nel Nuovo Testamento le cose si svolgono in modo analogo, pur con qualche differenza nella traduzione dei termini. Poiché il Nuovo Testamento è scritto in greco, nefes viene usualmente tradotto con psyché, che a sua volta è tradotto con anima, pur se questo termine non corrisponde in pieno a quel che si intende comunemente. Ad esempio, quando Gesù dice “non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo ma di quelli che uccidono l’anima”, non bisogna pensare alla coppia corpo-anima in senso dualistico; infatti Gesù non si riferisce all’anima dell’uomo, ma al concetto di nefes proprio dell’Antico Testamento, intendendo di aver timore di coloro che possono uccidere non solo una parte ma il tutto. Anche quando dice “chi avrà trovato la sua vita la perderà e chi perderà la sua vita per causa mia la troverà”, viene usato il termine psyché con cui si ci si riferisce alla vita umana in generale. Nel Nuovo Testamento il termine basar viene tradotto con sarx, che compare 147 volte, 91 delle quali viene usato da Paolo. Anche qui sarx non significa carne in senso stretto ma può variare in base al contesto in cui viene collocato, riferendosi alla carne in senso biologico o alla sua dimensione di fragilità. Ad esempio quando Luca dice “ogni carne vedrà la salvezza” si riferisce a tutto il genere umano, mentre quando Paolo dice ”non camminate secondo la carne perché la carne ha desideri contrari a quelli dello spirito”, volendo intendere che non bisogna camminare nel peccato. Spesso Paolo con sarx indica il contrasto dell’uomo nel suo rapporto con Dio (Rm 8, 4-8: “non camminiamo secondo la carne ma secondo lo spirito”; Rm 12, 13: “poiché se vivete secondo la carne morirete”, dove il termine “morirete” non indica la morte biologica ma il perdersi nel peccato; Gal 5, 16-26 “vi dico dunque: camminate secondo lo spirito così non sarete portati a soddisfare i desideri della carne; la carne, infatti, ha desideri contrari alo spirito e lo spirito desideri contrari alla carne”). Psychè Sôma, sarx pneÛma → → → nefes basar ruah Alla luce di Cristo, l’uomo comprende sé stesso in modo completo nel suo essere in relazione. Ovvero alla luce di Cristo io comprendo anche come esprimere quel triplice percorso relazionale a Dio agli uomini e ai propri simili, il processo di conformazione a Cristo in sostanza si esprime nella logica della relazionalità. Cosa significa vivere secondo la vita battesimale? Significa vivere nell’apertura a Dio, vivere la vita secondo lo Spirito. Cosa significa vivere l’amore del prossimo? Significa vivere secondo la logica dell’apertura al proprio simile. L’esperienza storica di Gesù, così come emerge in particolare dai vangeli, rivela il suo essere uomo, che vive automaticamente le relazioni con il Padre, con gli altri uomini e con l’intero creato. Cioè anche Gesù come uomo esprime la sua unità ma anche la sua relazionalità, noi ci rendiamo conto innanzitutto che vive il suo rapporto fondativo con il Padre ma anche con i suoi simili in particolare con coloro che ne hanno bisogno. Gesù compie Adamo, per cui l’uomo, se vuole essere autenticamente tale, deve imitare Gesù, la vera immagine di Dio. Il Nuovo Testamento suggerisce un’antropologia della sequela. La salvezza è intesa come pienezza dell’umanità: l’immagine di Dio viene raggiunta dall’uomo attraverso il suo cammino di conformazione a Cristo, nella forza dello Spirito, che ci porta a Cristo e che ci guida fino al compimento dei tempi. I rapporti con i propri simili e con il creato sono molto importanti perché esprimono la relazione con Dio, se ami Dio ami il prossimo e se ami il prossimo ami Dio. Tutto questo naturalmente ha uno sviluppo storico-teologico. SCHEDA 6B 2. LO SVILUPPO STORICO-TEOLOGICO DELLA DOTTRINA CIRCA L’UOMO COME CREATURA DI DIO Già a partire dall’epoca patristica, le idee cristiane sull’uomo devono confrontarsi con la cultura antropologica dualistica dominante in Occidente. La fedeltà alla Scrittura è la regola fondamentale, ma non sempre tale operazione riesce, anche se il pensiero antropologico dualista cozza inevitabilmente contro le tesi centrali del cristianesimo: incarnazione, redenzione, resurrezione della carne. Nell’ambito delle dispute trinitario-cristologiche si affaccia il concetto di persona, che trova il suo vero sviluppo a partire dall’età medievale, mentre la situazione si complicherà molto nell’età moderna. Nella struttura dualista non è possibile immaginare che Dio si sia fatto carne, che possa assumere un elemento creativo, in quanto si parla di immortalità dell’anima ma mai della resurrezione della carne. 2.1. L’ANTROPOLOGIA PATRISTICA I Padri quando parlano dell’uomo hanno come riferimento la scrittura. Per discutere approfonditamente questo aspetto conviene prendere inizialmente in considerazione due brani della Genesi a cui i Padri fanno riferimento: Gen 1, 26: “E Dio disse: ‘Facciamo l’uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza e domini sui pesci del mare, sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutte le bestie selvatiche e su tutti i rettili che strisciano sulla terra’” Gen 2, 7: “Allora il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente”. Il contesto biblico di fondo entro cui si colloca il pensiero patristico sull’uomo è dato da questi due testi, dal che emergeranno due diversi punti di vista riguardo la concezione dell’uomo. Anzitutto occorre considerare che lo sforzo dei Padri fu quello di mediare il vangelo in una nuova cultura cercando di parlare lo stesso linguaggio nel senso di assumere schemi mentali nuovi. Quasi tutti i Padri della Chiesa delle origini sono molto sensibili al dato della cultura greco-romana, tanto che alcuni (si pensi a Giustino), sono pagani convertiti. In questo processo di inculturazione del messaggio biblico molti Padri recepiscono lo schema dicotomico del pensiero sull’uomo inteso come composto di corpo e anima, tipico della cultura greco-romana. Pur aderendo a quel linguaggio, comunque, i Padri non ne recepiscono i contenuti, per cui non arriveranno mai ad una frattura tra corpo e anima, rispettando l’unità nella dualità. I Padri hanno recepito la forma ma non i contenuti nel senso che vedono nell’anima e nel corpo due dimensioni dell’umano e non una divisione in quanto tutto l’uomo anima e corpo è destinato alla salvezza. Quindi nella struttura dualista è possibile parlare dell’incarnazione del Verbo della resurrezione perché il corpo inteso in senso dualistico non assume una connotazione negativa. In realtà questo schema dualista non è esclusivo della cultura greco-romana ma anche di quella concezione cristiana che vedeva la presenza di due principi all’origine del bene e del male, quale la gnosi cristiana che professa un’antropologia dualista, dove a causa di un peccato originale dell’uomo l’anima è imprigionata nel corpo. In sostanza il pensiero dei Padri è fedele alla matrice biblica, anche se ad alcuni per esempio l’operazione di inculturazione non riesce sempre, nel senso che alcuni Padri assumono lo schema greco ma in un certo senso tendono ad accostarsi ad alcuni concetti dualisti quali la negatività del corpo. Quindi pur conservando fondamentalmente una visione unitaria dell’uomo, alcuni Padri, essendo più vicini al mondo biblico, semitico, palestinese, accentuano la visione materiale dell’uomo (tradizione antiochena), a differenza di coloro che, più vicini al bacino culturale ellenistico, accentuano la visione spirituale (tradizione alessandrina). Le due scuole difendono l’unità dell’uomo quindi formalmente sono diversificate ma non contenutisticamente. I pensatori cristiani, i quali avevano il compito di introdurre il vangelo nelle culture pagane, avvertono immediatamente i pericolo del pensiero antropologico dominante (dualista) che si diffonde nelle comunità cristiane per l’infiltrazione di correnti gnostiche. Il terreno delle discussioni è quello della cristologia e della soteriologia, ma con inevitabili riflessi sul terreno dell’antropologia. I primi pensatori cristiani (apologisti), nonostante la loro formazione ellenistica, difendono l’unità dell’uomo; tuttavia, l’accento cade ora sull’elemento spirituale (scuola alessandrina), ora sull’elemento materiale (scuola antiochena), diversificando così formalmente l’antropologia. Un grande contributo viene dalla riflessione di Ireneo, il quale combatte strenuamente il pensiero gnostico. La scuola antiochena ha come punto di partenza la cristologia, vista come principio ermeneutico di una nuova antropologia dove l’elaborazione del pensiero è molto fedele al dato biblico. L’esponente più emblematico di questa scuola è Ireneo di Lione, che parla spesso del Verbo incarnato, riconducendosi a Gen 1, 26 dove l’uomo è inteso nel suo concetto di immagine. Riguardo la scuola alessandrina, invece, il criterio di riferimento è il Verbo preesistente (Gen 2, 7), che è comunque la stessa realtà del Verbo incarnato, per cui le tradizioni, pur accentuando aspetti diversi, non stanno in realtà scomponendo l’uomo, che è sempre visto come unità duale. La scuola alessandrina fu quella che si impose in occidente perché il cristianesimo in occidente ha fatto la sua fortuna perché in Oriente troviamo due grossi pensatori come Clemente e Origene e in Occidente Lattanzio e soprattutto Agostino. La scuola alessandrina riconosce la qualità specifica dell’umano nell’elemento spirituale (anima razionale), la vera sede dell’immagine di Dio. Questo non vuol dire che il corpo è negativo ma che la qualità specifica risiede nell’anima razionale. Con Agostino questa qualità specifica dell’umano che risiede nell’anima razionale, purtroppo prende in qualche modo il sopravvento, ovvero va a finire che da elemento formale in qualche modo diventa elemento contenutistico perché pare che Agostino abbia utilizzato il pensiero platonico dualista. Per comprenderne l’idea di uomo, occorre ricordare che Agostino prima di convertirsi al cristianesimo era manicheo e da un punto di vista culturale era fortemente influenzato da un dualismo di stampo neoplatonico. Quindi la sua sensibilità è molto sbilanciata sotto l’aspetto spirituale che si riferisce all’interiorità, tanto che la sua antropologia è detta dell’interiorità agostiniana. Di particolare importanza fu il pensiero di Agostino: “l’immenso influsso che esercitò il vescovo africano su tutto il pensiero cristiano, spinse questo verso forme platonizzanti e per ciò che si riferisce all’antropologia, verso una comprensione dell’essere umano in cui il momento della composizione ha il sopravvento su quello dell’unità e l’anima si erge in modo egemonico al di sopra del corpo” (J. L. Ruiz de la Pena). Pur se in vari aspetti sembri così sbilanciato verso l’elemento spirituale da trascurare l’unitarietà dell’uomo, in realtà Agostino non definisce mai l’uomo ma lo descrive sempre in relazione al suo fine, che è Dio, per cui l’antropologia di Agostino punta maggiormente su ciò che l’uomo deve essere in relazione a Dio, piuttosto che su quello che effettivamente è. 2.2 L’ANTROPOLOGIA IN ETA’ MEDIEVALE: LA NOZIONE DI PERSONA Nel medioevo la riflessione sull’uomo si colloca non più sullo sfondo della cristologia, ma su quello dell’escatologia, soprattutto negli ambienti monastici, che si rifanno alla regola agostiniana. Si continua a riflettere sull’uomo soprattutto in base a quel che sarà rispetto a quel che è, anche se i pensatori medievali cercano di risolvere le questioni dell’umano nel loro esito soteriologicoescatologico. Molti problemi sulla finitudine dell’uomo vengono risolti pensando all’aldilà, in una sensibilità sbilanciata sull’aspetto spirituale. Nel procedere della riflessione, i medievali oscillano fra platonismo e aristotelismo. Al riguardo assai originale si presenta la sintesi elaborata d Tommaso d’Aquino, che descrive l’uomo come unità di corpo e anima, utilizzando l’ilemorfismo aristotelico (anima forma corpis), anche se purtroppo non riuscì a descrivere bene la sua idea di immortalità e di risurrezione perché morì prima. Nella summa abbiamo una sorta di escatologia ma è stata scritta dai suoi collaboratori. Nel medioevo quindi il concetto di persona sottolinea soprattutto la dimensione relazionale dell’uomo. Quella che noi abbiamo descritto nell’idea di immagine. La nozione di persona dice che l’uomo è un individuo di natura razionale ma nello stesso tempo dice anche la relazionalità che si esplicita in più direzioni Dio, gli altri il mondo. Questo concetto si fa strada per qualificare l’uomo, chi è l’uomo? Nel medioevo di dice è una persona ovvero un individuo di natura razionale e di natura relazionale capace di dialogare con Dio con gli altri e con i propri simili. 2.3 L’ANTROPOLOGIA IN ETA’ MODERNA E CONTEMPORANEA Con l’epoca moderna invece si ha un cambiamento. Ciò che è emerso nell’epoca moderna è la considerazione dell’uomo inteso come soggetto, come individuo. Un individuo che tra l’altro per l’influsso di Cartesio ritorna ad essere considerato in senso dualistico. Cartesio distingue la res extensa (la materialità), dalla res cogitans (l’intelligenza); tra le due res non c’è alcun rapporto ed il valore è sbilanciato verso la res cogitans, ritrovandosi nuovamente di fronte a un dualismo del pensiero. C’è l’emergenza del soggetto ma di un soggetto dualisticamente pensato. Dopo Cartesio le tendenze saranno invece più monastiche ovvero ci sarà chi sottolineerà l’aspetto della res cogitans e chi invece sottolineerà la res extensa. L’impostazione di pensiero che da Cartesio in avanti sarà più sensibile alla res cogitans, accentuando la ragione, l’intelligenza, porterà all’idealismo (Hegel). Se invece si è più sensibili alla res extensa si arriva all’empirismo (Locke, Hume), la cui esasperazione condurrà al materialismo (Marx, Feuerbach). Nell’età contemporanea si è cercato di ricomporre questo dualismo attraverso l’impersonalismo, l’esistenzialismo. Nell’epoca moderna si ha il vantaggio dell’istituzione dell’antropologia come scienza. L’antropologia nasce nel XVI secolo mentre l’antropologia teologica è molto più recente (alle soglie del Vaticano II). L’epoca moderna si apre con la svolta antropocentrica dell’umanesimo, che ha anche radici bibliche e cristiane. Ad essa reagisce Lutero che dice che c’è solo Dio e non l’uomo (solus deus), Lutero come al solito si contraddice perché è vero che esalta Dio a scapito dell’uomo ma è anche vero che lui è un individualista al punto tale che rinuncia ad ogni forma di dialogicità (rifiuto della tradizione e interpretazione libera della Scrittura). L’epoca contemporanea non è altro che una riscrittura degli esiti della modernità, vengono reinterpretati alla luce di nuove emergenze alla luce di nuovi eventi e questa riscrittura è quella che tutti chiamano post-modernità. Oggi purtroppo il cristianesimo non ha risolto il problema perché per rispondere agli attacchi degli illuministi, dei razionalisti si è chiuso nel suo schema, ha dialogato poco, si è difeso soprattutto. Con il concilio Vaticano II le cose sono cambiate e quindi oggi la Chiesa si pone il problema di rispondere alla sfida che è costituita da questa riscrittura della modernità che chiamiamo postmodernità. Con l’età moderna la parabola dell’esaltazione dell’umano ha raggiunto il suo vertice, mentre oggi nell’epoca contemporanea si sta andando verso una decostruzione del soggetto. Siamo infatti nell’epoca del frammento, nella liquidità di tutto, al punto tale che si vuole eliminare anche l’uomo. Purtroppo questa esaltazione non ha portato l’uomo a godere di in una situazione salvifica anzi è avvenuto il contrario e quindi oggi perdono di significato molti elementi dell’umano. Oggi all’umano si sostituisce la tecnica, si interpreta quindi l’uomo in un orizzonte nichilista, senza orizzonte e futuro. Quello che l’uomo sarà lo deciderà la tecnica. La teologia di fronte a tutto ciò reagisce ritornando alla prospettiva cristocentrica che consente una decisa svolta personalistica e il delinearsi di un’antropologia integrale che si pone oltre il falso dilemma: Dio o l’uomo.