6° lezione 25

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6° lezione 25.11.2008
Abbiamo visto nella scheda precedente le idee generali contenute nell’A.T. a proposito dell’uomo
come creatura di Dio, abbiamo visto cosa significa nell’A.T. l’uomo creato ad immagine di Dio.
Dobbiamo dire che tra tutti questi punti la cosa più importante che emerge è la relazionalità, la
dinamicità che esprime l’idea di immagine. L’immagine sostanzialmente dice che l’uomo è in
relazione a Dio, al mondo e al suo simile considerando però che la relazione a Dio è fondativa,
ovvero da questa relazione dipendono le altre due, oppure le altre due si esprimono a partire da
questa. Quindi se l’uomo sbaglia la relazione con il mondo e con gli altri, mette in questione anche
la relazione con Dio, la relazione dice reciprocità.
Passiamo al Nuovo Testamento
B. Nel Nuovo Testamento interviene l’evento decisivo di Gesù Cristo, l’uomo completo del quale
Adamo era un abbozzo. Questo significa che essendo tutta la creazione un evento realizzato in
Cristo anche Adamo (nome collettivo, nel senso di uomo) era un abbozzo di Cristo, nel senso che è
Cristo che viene a compiere l’umanità, è Cristo l’uomo perfetto, è l’uomo che realizza il progetto di
Dio sulla creazione, in questo senso Adamo è un abbozzo di Cristo e non nel senso di mancanza in
sé ma manca della sua compiutezza, della sua perfezione che è rivelata in Gesù Cristo, e questo
significa che Gesù è l’uomo perfetto. Se Cristo è l’uomo perfetto, la realizzazione compiuta
dell’uomo, possiamo comprendere come l’uomo è creato a immagine di Dio in Cristo, cioè
attraverso l’evento di Gesù io capisco che tutta la creazione è riferita a Lui e colgo quale è il
progetto di Dio sull’uomo. G.S. N. 22: “Gesù Cristo rivelandosi non rivela solamente Dio all’uomo
ma rivela anche l’uomo all’uomo” gli fa nota la sua altissima vocazione, a cosa è chiamato. Noi
capiamo la criticità della creazione a partire dal prologo di Giovanni che è il vero manifesto
creazionista cristiano. Con il Nuovo Testamento si ha una svolta cristocentrica dell’antropologia
(cfr. la teologia paolina). Chi sono io trova risposta in Cristo. Cristo è immagine archetipa, in modo
completo, primogenito di tutta la creazione, in quanto la riassume e le conferisce consistenza.
SCHEDA 6A
“Da questo momento il destino dell’uomo non è più essere immagine di Dio, ma immagine di
Cristo. O, meglio ancora, l’unico modo in cui l’uomo può arrivare ad essere immagine di Dio è
riproducendo in sé stesso l’immagine di Cristo […]. Il carattere processuale della partecipazione
all’immagine-gloria del Signore […] si orienta verso il termine escatologico della configurazione
con Cristo per mezzo della risurrezione” (J. L. Ruiz de la Pena).
La compiutezza della realizzazione antropologica cristiana in ogni uomo va pensata in questo
modo:
PROCESSO DI CONFORMAZIONE A CRISTO
L’UOMO E’ CREATO A IMMAGINE DI DIO (A.T.)
L’uomo è un abbozzo del secondo Adamo che è Cristo (realizzato in Cristo) (teol. paolina).
Ma l’uomo come fa a realizzare la sua vocazione ad essere immagine di Dio?
↓
Conformandosi a Cristo, divenendo:
IMMAGINE DI CRISTO
Conformarsi a Cristo significa che l’uomo, che in Cristo scopre la sua vocazione, segue le sue orme,
questa è la sequela, la vita teologale, la vita cristiana…
L’uomo quindi creato ad immagine di Dio diventa pienamente uomo nella misura in cui si
conforma all’immagine di Cristo.
Ma l’uomo quando diventerà uomo completo, uomo perfetto?
↓
Quando raggiungerà la pienezza di Cristo, ovvero parteciperà alla sua risurrezione.
NELLA PARUSIA DIVENTERA’ IMMAGINE DI DIO
Solo nella partecipazione totale al mistero di Cristo saremo uomini completi. (1 Cor 15).
Che cosa è la salvezza?
E’ la pienezza dell’umanità che è un processo di conformazione a Cristo che mi libera dal peccato,
dalle minacce e mi porta a vivere la pienezza della vita nella partecipazione alla sua risurrezione.
Noi dobbiamo seguire Cristo non perché ci sono dei comandamenti ma perché tutto questo serve
alla nostra salvezza ovvero la pienezza della nostra vita.
Alla luce di ciò rileggiamo la citazione di J. L. Ruiz de la Pena:
“Da questo momento il destino dell’uomo non è più essere immagine di Dio, ma immagine di
Cristo. O, meglio ancora, l’unico modo in cui l’uomo può arrivare ad essere immagine di Dio è
riproducendo in sé stesso l’immagine di Cristo […]. Il carattere processuale della partecipazione
all’immagine-gloria del Signore […] si orienta verso il termine escatologico della configurazione
con Cristo per mezzo della risurrezione”
Chi è questo uomo? E’ vero si che è immagine di Dio, che deve alla luce di Cristo conformarsi a
Lui per raggiungere la pienezza della vita. Ma quali sono le strutture che caratterizzano l’uomo?
1..2. LE STRUTTURE BASILARI DELL’UOMO CREATO
La concreta idea biblica dell’essere umano creato da Dio a sua immagine è riflessa nella sua
descrizione come unità psicosomatica e come essere in relazione.
Se noi consideriamo l’uomo nella sue strutture basilari, ci rendiamo conto che da una parte è un
essere unitario ma dall’altra è una realtà relazionale.
Nella Scrittura non si trova mai una definizione astratta-filosofica, perché il discorso biblico è di
tipo storico-salvifico. La Scrittura ragiona in termini di concretezza storica. E come pensa l’uomo?
Proprio perché ragiona per unità innanzitutto guarda l’uomo e lo definisce così come è non in
generale, in astratto ma lo guarda nelle sue concrete situazioni in cui viene a trovarsi. Per esprimere
queste situazioni usa dei termini con i quali indica l’uomo colto in particolari situazioni. Non esiste
quindi una definizione dell’uomo ma ce ne sono tante quante sono le situazione in cui l’uomo viene
a trovarsi. Questo però non significa che sta definendo l’uomo in una sua parte ma lo sta definendo
nel suo complesso.
A L’uomo come essere unitario e in relazione.
Anzitutto occorre ricordare che la mentalità ebraica e del vicino e medio oriente antico ha un modo
di approcciare la realtà unitario, concreto, olistico, per cui l’agiografo non usa il termine “uomo” ma
delle accezioni che corrispondono ai suoi organi vitali.
Perciò, pur volendo indicar un individuo nella sua completezza, nella Scrittura si trovano termini
quali soffio vitale, carne, cuore, fegato, reni, a voler cogliere l’uomo in particolari situazioni
esistenziali ma comunque sempre intendendolo nella sua unitarietà.
Es: l’uomo è fegato
La Scrittura vuole intendere tutto l’uomo in particolare nella sua condizione di coraggio.
Il primo termine da considerare è nefes, una parola che, pur indicando tutto l’uomo, ha comunque
un significato piuttosto complesso. Normalmente viene tradotto in greco con psychè e in italiano
con anima.
Originariamente nefes significava gola, da cui per metonimia il senso traslato di respiro, soffio,
alito. E se si parla di respiro ovviamente ci si riferisce all’essere vivente, per cui nefes indica il
dinamismo della vita. Nel testo di Gen 2, 7 quando è scritto che Dio alitò sull’uomo per dargli vita
si usa proprio il termine nefes, a significare che l’uomo è diventato un essere vivente.
Nel qualificare l’uomo come nefes, gli ebrei volevano intendere la profondità dell’essere vivente e
non il respiro come solo atto fisico. L’alito di vita è traducibile anche come la consapevolezza di
essere un vivente, per cui nefes speso indica anche la coscienza, ma non nel senso etico del termine
bensì come consapevolezza dell’uomo di essere un vivente, di avere una particolare fisionomia nel
mondo creato rispetto agli animali che respirano ma non hanno consapevolezza di respirare e quindi
di vivere.
Indicando l’uomo in questo modo, la Scrittura non dice che l’uomo ha una nefes ma che l’uomo è
nefes, è consapevolezza, è vita e non che ha consapevolezza o che ha vita. Quindi c’è
un’attribuzione personale al punto tale che l’uomo è identificato col termine, tanto che con la morte
non ha più nefes.
In definitiva, questa accezione si riferisce a un uomo che vive sulla base di un principio vitale, un
uomo colto nella sua situazione di essere vivente. Occorre comunque tener presente che nefes è un
termine biologico e non dice nulla di etico e di teologico.
Un secondo termine usato è basar. La traduzione greca è sarx, mentre quella italiana è carne e
qualche volta corpo. Come nefes, anche basar indica qualcosa in comune con gli animali perché
anche loro hanno la carne.
Quando la Scrittura indicare l’uomo non dice che ha un basar, ma che è basar, è carne, è corpo.
Con ciò si vuole senz’altro dire tutto l’uomo, pur se colto nella sua dimensione di fragilità
materiale. Infatti, in quanto carne, l’uomo è destinato alla fine.
Accanto alla fragilità materiale c‘è anche una fragilità etica. L’uomo è basar quando si chiude alla
relazione con Dio e con gli altri, tanto che il termine può indicare l’uomo nella sua dimensione di
manchevolezza, di peccato. “Non vivete secondo la carne” Paolo vuole dire di non vivere nella
logica della chiusura a Dio.
Il terzo termine da considerare è ruah, normalmente tradotto con soffio o spirito. In ebraico questo
termine è femminile.
La ruah è il termine forse più significativo, caratteristico e primordiale dell’antropologia ebraica. E’
la capacità di trascendersi, di relazionarsi a qualcun altro, l’uomo è ruah quando vive la sua
dimensione di apertura a Dio. Sulla base di questo aspetto l’uomo è naturalmente aperto a Dio, è
capace di relazioni trascendenti. Quando invece non vive secondo la ruah vive secondo la basar.
Ad aprirsi a Dio è tutto l’uomo, non solo la sua mente, ma l’interezza del suo essere; in tal modo si
comprende, ad esempio, quale importanza ha la funzione del corpo nella preghiera, un aspetto oggi
piuttosto trascurato.
Dopo aver esaminato in dettaglio i tre termini, è bene sempre ricordare che questi, pur volendo
distinguere le concrete situazioni che l’uomo vive, intendono cogliere l’uomo tutto intero, nella sua
unità psicosomatica, multidimensionale e dinamica, pur se ci sono situazioni in cui manifesta solo
alcuni aspetti del proprio essere. Questo perché l’antropologia biblica è sintetica, olistica e nella
Scrittura non esiste un concetto dualistico, dicotomico dell’essere umano, inteso come corpo e
anima che si sovrappongono, come se il corpo venisse da una parte e l’anima dall’altra.
Abbiamo quindi sottolineato l’unità dell’uomo e ancora non abbiamo messo in evidenzia un aspetto
fondamentale: l’uomo è uno però non è un essere chiuso in sé stesso ma si esprime nella
molteplicità delle relazioni. L’uomo in ogni situazione antropologica è un essere in relazione.
L’uomo , in ogni situazione antropologica è un essere in relazione, esprime una relazione, soggetto
appunto a un triplice rapporto costitutivo: Dio, gli altri esseri viventi simili, il mondo.
La sua è un’esistenza dialogica che si esprime nella triplice relazione di dipendenza da Dio, di
superiorità sul mondo (intesa non come dominio ma in senso pastorale), di uguaglianza al “tu”
umano. Delle tre relazioni, la più importante è quella teologale, da cui dipendono le altre.
B. L’uomo come essere unitario e in relazione
Nel Nuovo Testamento le cose si svolgono in modo analogo, pur con qualche differenza nella
traduzione dei termini. Poiché il Nuovo Testamento è scritto in greco, nefes viene usualmente
tradotto con psyché, che a sua volta è tradotto con anima, pur se questo termine non corrisponde in
pieno a quel che si intende comunemente. Ad esempio, quando Gesù dice “non abbiate paura di
quelli che uccidono il corpo ma di quelli che uccidono l’anima”, non bisogna pensare alla coppia
corpo-anima in senso dualistico; infatti Gesù non si riferisce all’anima dell’uomo, ma al concetto di
nefes proprio dell’Antico Testamento, intendendo di aver timore di coloro che possono uccidere non
solo una parte ma il tutto. Anche quando dice “chi avrà trovato la sua vita la perderà e chi perderà
la sua vita per causa mia la troverà”, viene usato il termine psyché con cui si ci si riferisce alla vita
umana in generale.
Nel Nuovo Testamento il termine basar viene tradotto con sarx, che compare 147 volte, 91 delle
quali viene usato da Paolo. Anche qui sarx non significa carne in senso stretto ma può variare in
base al contesto in cui viene collocato, riferendosi alla carne in senso biologico o alla sua
dimensione di fragilità. Ad esempio quando Luca dice “ogni carne vedrà la salvezza” si riferisce a
tutto il genere umano, mentre quando Paolo dice ”non camminate secondo la carne perché la carne
ha desideri contrari a quelli dello spirito”, volendo intendere che non bisogna camminare nel
peccato.
Spesso Paolo con sarx indica il contrasto dell’uomo nel suo rapporto con Dio (Rm 8, 4-8: “non
camminiamo secondo la carne ma secondo lo spirito”; Rm 12, 13: “poiché se vivete secondo la
carne morirete”, dove il termine “morirete” non indica la morte biologica ma il perdersi nel
peccato; Gal 5, 16-26 “vi dico dunque: camminate secondo lo spirito così non sarete portati a
soddisfare i desideri della carne; la carne, infatti, ha desideri contrari alo spirito e lo spirito
desideri contrari alla carne”).
Psychè
Sôma, sarx
pneÛma
→
→
→
nefes
basar
ruah
Alla luce di Cristo, l’uomo comprende sé stesso in modo completo nel suo essere in relazione.
Ovvero alla luce di Cristo io comprendo anche come esprimere quel triplice percorso relazionale a
Dio agli uomini e ai propri simili, il processo di conformazione a Cristo in sostanza si esprime nella
logica della relazionalità.
Cosa significa vivere secondo la vita battesimale?
Significa vivere nell’apertura a Dio, vivere la vita secondo lo Spirito.
Cosa significa vivere l’amore del prossimo?
Significa vivere secondo la logica dell’apertura al proprio simile.
L’esperienza storica di Gesù, così come emerge in particolare dai vangeli, rivela il suo essere uomo,
che vive automaticamente le relazioni con il Padre, con gli altri uomini e con l’intero creato.
Cioè anche Gesù come uomo esprime la sua unità ma anche la sua relazionalità, noi ci rendiamo
conto innanzitutto che vive il suo rapporto fondativo con il Padre ma anche con i suoi simili in
particolare con coloro che ne hanno bisogno.
Gesù compie Adamo, per cui l’uomo, se vuole essere autenticamente tale, deve imitare Gesù, la
vera immagine di Dio.
Il Nuovo Testamento suggerisce un’antropologia della sequela. La salvezza è intesa come pienezza
dell’umanità: l’immagine di Dio viene raggiunta dall’uomo attraverso il suo cammino di
conformazione a Cristo, nella forza dello Spirito, che ci porta a Cristo e che ci guida fino al
compimento dei tempi.
I rapporti con i propri simili e con il creato sono molto importanti perché esprimono la relazione
con Dio, se ami Dio ami il prossimo e se ami il prossimo ami Dio.
Tutto questo naturalmente ha uno sviluppo storico-teologico.
SCHEDA 6B
2. LO SVILUPPO STORICO-TEOLOGICO DELLA DOTTRINA CIRCA L’UOMO COME
CREATURA DI DIO
Già a partire dall’epoca patristica, le idee cristiane sull’uomo devono confrontarsi con la cultura
antropologica dualistica dominante in Occidente. La fedeltà alla Scrittura è la regola fondamentale,
ma non sempre tale operazione riesce, anche se il pensiero antropologico dualista cozza
inevitabilmente contro le tesi centrali del cristianesimo: incarnazione, redenzione, resurrezione della
carne. Nell’ambito delle dispute trinitario-cristologiche si affaccia il concetto di persona, che trova
il suo vero sviluppo a partire dall’età medievale, mentre la situazione si complicherà molto nell’età
moderna.
Nella struttura dualista non è possibile immaginare che Dio si sia fatto carne, che possa assumere un
elemento creativo, in quanto si parla di immortalità dell’anima ma mai della resurrezione della
carne.
2.1. L’ANTROPOLOGIA PATRISTICA
I Padri quando parlano dell’uomo hanno come riferimento la scrittura.
Per discutere approfonditamente questo aspetto conviene prendere inizialmente in considerazione
due brani della Genesi a cui i Padri fanno riferimento:
Gen 1, 26: “E Dio disse: ‘Facciamo l’uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza e domini sui
pesci del mare, sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutte le bestie selvatiche e su tutti i rettili che
strisciano sulla terra’”
Gen 2, 7: “Allora il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un
alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente”.
Il contesto biblico di fondo entro cui si colloca il pensiero patristico sull’uomo è dato da questi due
testi, dal che emergeranno due diversi punti di vista riguardo la concezione dell’uomo.
Anzitutto occorre considerare che lo sforzo dei Padri fu quello di mediare il vangelo in una nuova
cultura cercando di parlare lo stesso linguaggio nel senso di assumere schemi mentali nuovi. Quasi
tutti i Padri della Chiesa delle origini sono molto sensibili al dato della cultura greco-romana, tanto
che alcuni (si pensi a Giustino), sono pagani convertiti.
In questo processo di inculturazione del messaggio biblico molti Padri recepiscono lo schema
dicotomico del pensiero sull’uomo inteso come composto di corpo e anima, tipico della cultura
greco-romana. Pur aderendo a quel linguaggio, comunque, i Padri non ne recepiscono i contenuti,
per cui non arriveranno mai ad una frattura tra corpo e anima, rispettando l’unità nella dualità. I
Padri hanno recepito la forma ma non i contenuti nel senso che vedono nell’anima e nel corpo due
dimensioni dell’umano e non una divisione in quanto tutto l’uomo anima e corpo è destinato alla
salvezza. Quindi nella struttura dualista è possibile parlare dell’incarnazione del Verbo della
resurrezione perché il corpo inteso in senso dualistico non assume una connotazione negativa.
In realtà questo schema dualista non è esclusivo della cultura greco-romana ma anche di quella
concezione cristiana che vedeva la presenza di due principi all’origine del bene e del male, quale la
gnosi cristiana che professa un’antropologia dualista, dove a causa di un peccato originale
dell’uomo l’anima è imprigionata nel corpo.
In sostanza il pensiero dei Padri è fedele alla matrice biblica, anche se ad alcuni per esempio
l’operazione di inculturazione non riesce sempre, nel senso che alcuni Padri assumono lo schema
greco ma in un certo senso tendono ad accostarsi ad alcuni concetti dualisti quali la negatività del
corpo.
Quindi pur conservando fondamentalmente una visione unitaria dell’uomo, alcuni Padri, essendo
più vicini al mondo biblico, semitico, palestinese, accentuano la visione materiale dell’uomo
(tradizione antiochena), a differenza di coloro che, più vicini al bacino culturale ellenistico,
accentuano la visione spirituale (tradizione alessandrina).
Le due scuole difendono l’unità dell’uomo quindi formalmente sono diversificate ma non
contenutisticamente.
I pensatori cristiani, i quali avevano il compito di introdurre il vangelo nelle culture pagane,
avvertono immediatamente i pericolo del pensiero antropologico dominante (dualista) che si
diffonde nelle comunità cristiane per l’infiltrazione di correnti gnostiche. Il terreno delle discussioni
è quello della cristologia e della soteriologia, ma con inevitabili riflessi sul terreno
dell’antropologia.
I primi pensatori cristiani (apologisti), nonostante la loro formazione ellenistica, difendono l’unità
dell’uomo; tuttavia, l’accento cade ora sull’elemento spirituale (scuola alessandrina), ora
sull’elemento materiale (scuola antiochena), diversificando così formalmente l’antropologia. Un
grande contributo viene dalla riflessione di Ireneo, il quale combatte strenuamente il pensiero
gnostico.
La scuola antiochena ha come punto di partenza la cristologia, vista come principio ermeneutico
di una nuova antropologia dove l’elaborazione del pensiero è molto fedele al dato biblico.
L’esponente più emblematico di questa scuola è Ireneo di Lione, che parla spesso del Verbo
incarnato, riconducendosi a Gen 1, 26 dove l’uomo è inteso nel suo concetto di immagine.
Riguardo la scuola alessandrina, invece, il criterio di riferimento è il Verbo preesistente (Gen 2, 7),
che è comunque la stessa realtà del Verbo incarnato, per cui le tradizioni, pur accentuando aspetti
diversi, non stanno in realtà scomponendo l’uomo, che è sempre visto come unità duale.
La scuola alessandrina fu quella che si impose in occidente perché il cristianesimo in occidente ha
fatto la sua fortuna perché in Oriente troviamo due grossi pensatori come Clemente e Origene e in
Occidente Lattanzio e soprattutto Agostino.
La scuola alessandrina riconosce la qualità specifica dell’umano nell’elemento spirituale (anima
razionale), la vera sede dell’immagine di Dio. Questo non vuol dire che il corpo è negativo ma che
la qualità specifica risiede nell’anima razionale.
Con Agostino questa qualità specifica dell’umano che risiede nell’anima razionale, purtroppo
prende in qualche modo il sopravvento, ovvero va a finire che da elemento formale in qualche
modo diventa elemento contenutistico perché pare che Agostino abbia utilizzato il pensiero
platonico dualista. Per comprenderne l’idea di uomo, occorre ricordare che Agostino prima di
convertirsi al cristianesimo era manicheo e da un punto di vista culturale era fortemente influenzato
da un dualismo di stampo neoplatonico. Quindi la sua sensibilità è molto sbilanciata sotto l’aspetto
spirituale che si riferisce all’interiorità, tanto che la sua antropologia è detta dell’interiorità
agostiniana.
Di particolare importanza fu il pensiero di Agostino: “l’immenso influsso che esercitò il vescovo
africano su tutto il pensiero cristiano, spinse questo verso forme platonizzanti e per ciò che si
riferisce all’antropologia, verso una comprensione dell’essere umano in cui il momento della
composizione ha il sopravvento su quello dell’unità e l’anima si erge in modo egemonico al di sopra
del corpo” (J. L. Ruiz de la Pena).
Pur se in vari aspetti sembri così sbilanciato verso l’elemento spirituale da trascurare l’unitarietà
dell’uomo, in realtà Agostino non definisce mai l’uomo ma lo descrive sempre in relazione al suo
fine, che è Dio, per cui l’antropologia di Agostino punta maggiormente su ciò che l’uomo deve
essere in relazione a Dio, piuttosto che su quello che effettivamente è.
2.2 L’ANTROPOLOGIA IN ETA’ MEDIEVALE: LA NOZIONE DI PERSONA
Nel medioevo la riflessione sull’uomo si colloca non più sullo sfondo della cristologia, ma su quello
dell’escatologia, soprattutto negli ambienti monastici, che si rifanno alla regola agostiniana. Si
continua a riflettere sull’uomo soprattutto in base a quel che sarà rispetto a quel che è, anche se i
pensatori medievali cercano di risolvere le questioni dell’umano nel loro esito soteriologicoescatologico. Molti problemi sulla finitudine dell’uomo vengono risolti pensando all’aldilà, in una
sensibilità sbilanciata sull’aspetto spirituale.
Nel procedere della riflessione, i medievali oscillano fra platonismo e aristotelismo. Al riguardo
assai originale si presenta la sintesi elaborata d Tommaso d’Aquino, che descrive l’uomo come
unità di corpo e anima, utilizzando l’ilemorfismo aristotelico (anima forma corpis), anche se
purtroppo non riuscì a descrivere bene la sua idea di immortalità e di risurrezione perché morì
prima. Nella summa abbiamo una sorta di escatologia ma è stata scritta dai suoi collaboratori.
Nel medioevo quindi il concetto di persona sottolinea soprattutto la dimensione relazionale
dell’uomo. Quella che noi abbiamo descritto nell’idea di immagine. La nozione di persona dice che
l’uomo è un individuo di natura razionale ma nello stesso tempo dice anche la relazionalità che si
esplicita in più direzioni Dio, gli altri il mondo. Questo concetto si fa strada per qualificare l’uomo,
chi è l’uomo? Nel medioevo di dice è una persona ovvero un individuo di natura razionale e di
natura relazionale capace di dialogare con Dio con gli altri e con i propri simili.
2.3 L’ANTROPOLOGIA IN ETA’ MODERNA E CONTEMPORANEA
Con l’epoca moderna invece si ha un cambiamento. Ciò che è emerso nell’epoca moderna è la
considerazione dell’uomo inteso come soggetto, come individuo. Un individuo che tra l’altro per
l’influsso di Cartesio ritorna ad essere considerato in senso dualistico. Cartesio distingue la res
extensa (la materialità), dalla res cogitans (l’intelligenza); tra le due res non c’è alcun rapporto ed il
valore è sbilanciato verso la res cogitans, ritrovandosi nuovamente di fronte a un dualismo del
pensiero.
C’è l’emergenza del soggetto ma di un soggetto dualisticamente pensato. Dopo Cartesio le tendenze
saranno invece più monastiche ovvero ci sarà chi sottolineerà l’aspetto della res cogitans e chi
invece sottolineerà la res extensa.
L’impostazione di pensiero che da Cartesio in avanti sarà più sensibile alla res cogitans,
accentuando la ragione, l’intelligenza, porterà all’idealismo (Hegel). Se invece si è più sensibili alla
res extensa si arriva all’empirismo (Locke, Hume), la cui esasperazione condurrà al materialismo
(Marx, Feuerbach).
Nell’età contemporanea si è cercato di ricomporre questo dualismo attraverso l’impersonalismo,
l’esistenzialismo. Nell’epoca moderna si ha il vantaggio dell’istituzione dell’antropologia come
scienza. L’antropologia nasce nel XVI secolo mentre l’antropologia teologica è molto più recente
(alle soglie del Vaticano II).
L’epoca moderna si apre con la svolta antropocentrica dell’umanesimo, che ha anche radici bibliche
e cristiane. Ad essa reagisce Lutero che dice che c’è solo Dio e non l’uomo (solus deus), Lutero
come al solito si contraddice perché è vero che esalta Dio a scapito dell’uomo ma è anche vero che
lui è un individualista al punto tale che rinuncia ad ogni forma di dialogicità (rifiuto della tradizione
e interpretazione libera della Scrittura).
L’epoca contemporanea non è altro che una riscrittura degli esiti della modernità, vengono
reinterpretati alla luce di nuove emergenze alla luce di nuovi eventi e questa riscrittura è quella che
tutti chiamano post-modernità.
Oggi purtroppo il cristianesimo non ha risolto il problema perché per rispondere agli attacchi degli
illuministi, dei razionalisti si è chiuso nel suo schema, ha dialogato poco, si è difeso soprattutto.
Con il concilio Vaticano II le cose sono cambiate e quindi oggi la Chiesa si pone il problema di
rispondere alla sfida che è costituita da questa riscrittura della modernità che chiamiamo postmodernità.
Con l’età moderna la parabola dell’esaltazione dell’umano ha raggiunto il suo vertice, mentre oggi
nell’epoca contemporanea si sta andando verso una decostruzione del soggetto. Siamo infatti
nell’epoca del frammento, nella liquidità di tutto, al punto tale che si vuole eliminare anche l’uomo.
Purtroppo questa esaltazione non ha portato l’uomo a godere di in una situazione salvifica anzi è
avvenuto il contrario e quindi oggi perdono di significato molti elementi dell’umano. Oggi
all’umano si sostituisce la tecnica, si interpreta quindi l’uomo in un orizzonte nichilista, senza
orizzonte e futuro. Quello che l’uomo sarà lo deciderà la tecnica.
La teologia di fronte a tutto ciò reagisce ritornando alla prospettiva cristocentrica che consente una
decisa svolta personalistica e il delinearsi di un’antropologia integrale che si pone oltre il falso
dilemma: Dio o l’uomo.
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