La crisi finanziaria e l`unione monetaria europea di Carlo Panico* I

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La crisi finanziaria e l'unione monetaria europea
di Carlo Panico*
I documenti di politica economica identificano come data d’inizio della crisi il 9 agosto 2007 e
distinguono due periodi, uno anteriore e l’altro posteriore al fallimentodella Lehman Brothers. La
Banca Centrale Europea dà poi indicazione dell’inizio diuna nuova fase nel 2009 con eventi e
soluzioni di politica economica diverse daquelle sin qui adottate.
L’origine della crisi è attribuita a cause finanziarie, come l’aumento esplosivo dei titoli “derivati”
nei paesi anglosassoni e l’incapacità dei meccanismi di mercato e di regolamentazione di tenere
sotto controllo i fenomeni di cui si parla. I meccanismi di mercato hanno anzi amplificato questi
problemi, incidendo negativamente sui comportamenti di coloro (autorità competenti, managers e
agenzie di rating) che avrebbero dovuto indurre alla prudenza. Questi fenomeni sono stati più
contenuti nell’area dell’euro per le caratteristiche dei sistemi finanziari, l’organizzazione della
vigilanza e i rapporti prevalenti tra le istituzioni pubbliche e private.
Nella prima fase della crisi (agosto 2007 - settembre 2008) la Banca Centrale Europea ha
fronteggiato con successo il deterioramento nelle condizioni di liquidità del sistema nell’area
dell’euro. La sua strategia può essere descritta come segue: mostrare agli operatori finanziari
disponibilità a soddisfare pienamente le loro esigenze di liquidità, evitando emissioni eccessive e
non necessarie di moneta.
Alcune banche (le tedesche IKB e Sachsen LB, e la francese BNP Paribas) hanno avuto difficoltà di
gestione, che hanno richiesto operazioni di supporto da parte di altre istituzioni finanziarie. Non
sono state però registrate situazioni d’insolvenza, né si è verificato un blocco nell’attività
d’intermediazione finanziaria. Nel complesso, nel corso di questa fase, si è intervenuti
prevalentemente tramite la politica monetaria.
La conduzione della politica monetaria è stata valutata positivamente. La Banca Centrale Europea
ha indicato tra i fattori che hanno contribuito ai successi conseguiti nella prima fase della crisi, gli
alti profitti e gli elevati tassi di capitalizzazione delle banche dell’area euro nei mesi che hanno
preceduto la crisi e il fatto che le perdite finanziarie erano omogeneamente distribuite tra un elevato
numero di grandi gruppi 3 bancari. Queste condizioni hanno consentito a tutti i segmenti della
struttura finanziaria di funzionare regolarmente e, quindi, ricapitalizzare le istituzioni finanziarie nei
primi mesi del 2008 in termini non eccessivamente onerosi.
Il fallimento della Lehman Brothers nel settembre 2008 ha acuito la crisi, contraddicendo l’idea,
basata sull’esperienza storica precedente, che le autorità di governo avrebbero evitato il fallimento
di ogni banca di grandi dimensioni e con un elevato numero di connessioni con il resto del sistema.
La perdita di questa certezza ha alimentato le preoccupazioni degli operatori derivanti dalla
mancanza d’informazioni sulla reale dimensione delle perdite e sulle imprese finanziarie che le
stavano subendo. I rischi d’insolvibilità delle controparti nelle singole operazioni finanziarie è così
aumentato provocando un nuovo e più intenso deterioramento delle condizioni di liquidità del
sistema, un ulteriore aumento dei tassi di interesse interbancari e intoppi nell’attività di
finanziamento. Le istituzioni finanziarie e le economie sono diventate sempre più dipendenti dalla
banca centrale per il soddisfacimento delle esigenze di liquidità.
Alcune grandi banche (due grandi gruppi transnazionali di Francia e Benelux, una banca tedesca
coinvolta dalle difficoltà di una sussidiaria irlandese, ed altre banche di quest’ultimo paese) hanno
manifestato negli ultimi mesi del 2008 problemi di gestione che, a differenza di quanto era accaduto
nella prima fase della crisi, hanno richiesto interventi di salvataggio che hanno coinvolto i governi
nazionali.
La strategia della Banca Centrale Europea in questa seconda fase non è cambiata qualitativamente,
ma ha richiesto una maggiore dimensione quantitativa e alcuni mutamenti nelle procedure operative
utilizzate:
-sono aumentate le emissioni di base monetaria per il rifinanziamento delle istituzioni finanziarie
monetarie;
- si è ulteriormente modificata la composizione per scadenza delle passività emesse dalla banca
centrale nelle operazioni di rifinanziamento;
- sono cambiate alcune procedure operative relative alle aste;
- le forme di cooperazione tra banche centrali si sono concentrate sulla riduzione dei saggi di
interesse.
Nel corso della seconda fase gli interventi di politica fiscale hanno accompagnato quelli di politica
monetaria. Il 12 ottobre 2008, l’Eurogruppo ha evidenziato la necessità di interventi straordinari di
politica fiscale. Il 15 e 16 ottobre il Consiglio d’Europa ha avallato le scelte dell’Eurogruppo e ha
sottoscritto la necessità di introdurre misure straordinarie per garantire il regolare funzionamento
del sistema finanziario. Nelle settimane successive i governi nazionali hanno messo a punto piani di
intervento a favore delle istituzioni finanziarie che prevedevano impegni fino a 2 mila miliardi di
euro, un cifra equivalente ai 2.500 miliardi di dollari messi a disposizione dal governo statunitense.
Tale cifra rappresentava una disponibilità, e non un reale spesa, volta a:
- rafforzare i sistemi di garanzia dei depositi,
- favorire la sostituzione di titoli “tossici” con quelli buoni nei bilanci delle istituzioni finanziarie
monetarie,
- concedere garanzie governative per l’emissione di nuove forme di debito da parte delle
istituzioni finanziarie monetarie,
- trasferire nuovo capitale dal bilancio pubblico a quelle delle istituzioni finanziarie monetarie.
Le valutazioni e le previsioni delle autorità di governo e della letteratura specialistica
sull’andamento della crisi agli inizi del 2009 rilevano che nell’area dell’euro le tensioni finanziarie
sono sotto controllo, ma mostrano prospettive piuttosto incerte. La principale preoccupazione viene
dagli effetti delle difficoltà del mondo finanziario sulle imprese produttive, che erano già state
colpite nel corso del 2008 dalla recessione internazionale e dalla contrazione del commercio con
l’estero. Durante quest’anno il tasso di crescita del prodotto interno lordo (PIL) nell’area dell’euro è
andato diminuendo trimestre dopo trimestre.
Un comunicato diffuso dall’ISTAT il 15 maggio 2009 illustra il successivo peggioramento della
situazione, indicando che in Italia il PIL è diminuito del 2,4% rispetto al trimestre precedente e del
5,9% rispetto al primo trimestre del 2008.
La Banca Centrale Europea evidenzia che il razionamento del credito, ma anche i suoi alti costi, nei
casi in cui si riesce ad ottenerlo, debilita ulteriormente la capacità delle imprese di rimborsare i
debiti. La minore solvibilità delle imprese genera nuovi rischi per il settore finanziario, la cui
capacità di assorbire colpi é stata notevolmente fiaccata nei mesi precedenti. Secondo la Banca
Centrale Europa è iniziata una terza fase della crisi, caratterizzata da un ciclo recessivo legato alle
difficoltà delle imprese di ripagare i debiti. Questa ondata recessiva fa prevedere nuove perdite
creditizie e nei valori di mercato delle attività finanziarie emesse da imprese tradizionalmente
affidabili. Per la Banca Centrale Europea é giunto il momento di interventi decisi di politica fiscale
a sostegno della domanda e delle vendite.
La conclusione che il ruolo principale deve ora essere svolto dalle autorità fiscali aumenta
l’incertezza sugli sviluppi della crisi. Le autorità monetarie godono di una eccellente reputazione
per quel che riguarda l’efficacia delle loro azioni e nei recenti avvenimenti hanno mostrato di essere
affidabili. Le autorità fiscali godono di una reputazione meno lusinghiera e i dubbi relativi
all’efficacia dei loro interventi sono molto avvertiti nell’area dell’euro. La letteratura specializzata
parla di inadeguatezza delle forme di coordinamento delle politiche fiscali e monetarie, attribuendo
a essa la responsabilità della lenta crescita di questa area nell’ultimo decennio.
L’inefficacia delle forme di coordinamento aumenta anche l’incertezza sulla sostenibilità finanziaria
delle politiche di bilancio di alcuni Stati Membri. La caduta del PIL comporta un aumento dei
deficit pubblici, per i crescenti interventi nel campo economico e sociale e la riduzione delle entrate
fiscali. Al tempo stesso, la ricerca di investimenti sicuri induce una maggiore richiesta di titoli
emessi dai governi che offrono maggiori garanzie. In tal modo, i differenziali tra i saggi di interesse
sui titoli pubblici dei diversi paesi tende ad aumentare nei periodi di maggiore agitazione. Dopo il
fallimento della Lehman Brothers, i saggi di interesse sui titoli degli Stati Uniti e della Germania
sono diminuiti, mentre quelli di altri paesi, ritenuti meno affidabili, sono aumentati. Il differenziale
tra i saggi d’interesse sui titoli a scadenza decennale dell’Irlanda e dei paesi del Sud Europa
(Grecia, Italia, Portogallo e Spagna) rispetto a quelli della Germania è aumentato tra il febbraio
2008 e il febbraio 2009, passando da 0,26 a 2,52 nel caso dell’Irlanda e da 0,40 a 1,41 nel caso
dell’Italia.
Diverse sono le cause che spingono gli operatori ad attribuire una minore affidabilità alle politiche
di bilancio dell’Irlanda e degli altri paesi del Sud Europa. Non di meno, i rischi in cui incorrono
queste economie mettono in pericolo la stabilità dell’intera area a causa del suo elevato grado
d’integrazione. E’ pertanto necessario, per difendere gli interessi di tutti i cittadini dell’area,
introdurre riforme che garantiscano politiche quantitativamente e qualitativamente meno disordinate
di quelle attuali e strumenti di gestione finanziaria, quali gli eurobonds proposti da Delors, idonei a
evitare aumenti incontrollati del debito pubblico di alcuni paesi.
In conclusione, la Banca Centrale Europea e l’Eurosistema hanno mostrato di saper gestire gli
aspetti finanziari della recente crisi. Questa, dopo il fallimento della Lehman Brothers, ha assunto
caratteri quantitativi e qualitativi più complessi, che hanno richiesto interventi di politica fiscale
accanto a quelli di politica monetaria. Secondo la Banca Centrale Europea dall’inizio del 2009
siamo entrati in una terza fase, che ha caratteri simili a quelli delle tradizionali fasi recessive del
ciclo. Le difficoltà di vendita delle imprese e i bassi profitti indeboliscono la loro capacità di
ripagare i debiti. Questo nuovo shock si abbatte su un settore finanziario che versa in condizioni
molto diverse da quelle in cui si trovava nelle prime due fasi della crisi. Esso è profondamente
debilitato dalle perdite subite e dal basso di capitalizzazione raggiunto. Si deve quindi ritenere che
la recessione non ha raggiunto il punto definitivo di svolta e che gli sviluppi futuri dipenderanno in
maniera sempre più decisiva dalla capacità della politica fiscale di sostenere la domanda e i diversi
settori dell’economia. Purtroppo, l’esperienza storica ha mostrato che la politica fiscale tende ad
avere una gestione più disordinata ed effetti meno efficaci della politica monetaria.
* Ordinario di Economia Politica presso la Facoltà di Giurisprudenza dell'Università degli Studi di
Napoli Federico II
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