Sigmund Freud
L’ELABORAZIONE
DEL LUTTO
SCRITTI SULLA PERDITA
A cura di Alberto Luchetti
Proprietà letteraria riservata
© 2013 RCS Libri S.p.A., Milano
ISBN 978-88-17-06928-1
Traduzione di Irene Giannì
Prima edizione BUR Minima ottobre 2013
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LA COSTRUZIONE
DEL «GRANDE ENIGMA DEL LUTTO»
Alberto Luchetti
Un piccolo gioiello, questo saggio su Lutto e melanconia, esemplare del peculiare procedere psicoanalitico,
innanzitutto e in particolare freudiano, nell’indagine
dell’animo umano. Esemplare, in primo luogo, per i
livelli che riesce a intessere insieme: dalle «impressioni che sono a disposizione di ciascun osservatore», ai discorsi del paziente che «sarebbe ugualmente
infruttuoso dal punto di vista scientifico e terapeutico
contraddire» dal momento che «in qualche modo deve
pur avere ragione e descrivere qualcosa che è così
come a lui appare»,1 da altro materiale empirico tratto
dall’osservazione di casi clinici, agli elementi diagnostici
messi a punto nella psicopatologia. Fino a considerazioni di «metapsicologia», cioè relative a quella più
astratta teoria dell’apparato psichico che tiene conto
insieme dell’inconscio sessuale che lo contraddistingue nell’essere umano e del metodo per accedervi,
«meta» perché intende andare al di là della psicologia
della coscienza e, allora come oggi, degli altri tipi di
inconscio – procedurali, latenti o cognitivi che siano.
1
Infra, pp. 43 e 47-48.
5
Il procedimento viene chiarito fin dall’incipit:
«Dopo che il sogno ci è servito come prototipo normale dei disturbi psichici narcisistici, tentiamo ora di
chiarire l’essenza della melanconia mediante un suo
confronto con il normale affetto del lutto». Dunque, in
senso inverso a quanto spesso aveva fatto spiegando
la normalità con la patologia e continuando a sfumare
i confini fra questa e quella, usare l’«affetto del lutto»
come «normale» modello e prototipo per chiarire
una condizione patologica, la melanconia, altrimenti
destinata a restare misteriosa.
Freud, sempre attento ai procedimenti diagnostici,
ai quali ha fornito numerosi importanti contributi, è
molto preciso nel definire il focus della sua indagine:
non le depressioni in generale2 ma quella depressione
particolare per intensità e caratteristiche che è detta
melanconica e, più restrittivamente ancora, quelle
depressioni melanconiche la cui origine è indubbiamente psicogena. Ricordandone la «definizione
concettuale [...] incerta anche nella psichiatria descrittiva», Freud sottolinea infatti che essa «si presenta
in forme cliniche differenti la cui reductio ad unum
non sembra assicurata, e alcune delle quali ricordano più affezioni somatiche che psicogene». Limita
perciò la sua trattazione «a un piccolo numero di
casi di indubbia natura psicogena»,3 al tempo stesso
mettendo avanti le mani rispetto a pretese di generalizzazione sulla base di un numero ristretto di casi,
ma rivendicando la possibilità di individuare, proprio
per la bassa risoluzione inevitabilmente connessa a
2
A cui pure si era riferito in passato col termine di melanconia
o melanconie.
3
Infra, p. 43.
6
questi primi passi della ricerca, qualcosa di tipico
che possa indirizzare verso elementi strutturalmente
centrali proprio in base al paragone con il normale
affetto del lutto.
Tuttavia, il riferimento a quanto appena fatto4 fa
intravedere ab initio l’esito a boomerang di questa
indagine: ciò che ci appariva semplice diventa problematico, opaco quel che sembrava trasparente. Analogamente al sonno e al sogno, usati nell’altro scritto per
chiarire i disturbi narcisistici e in particolare il ritiro
affettivo che ne è la premessa, il lutto uscirà carico di
enigmaticità laddove in partenza, seguendo il profano,
apparirebbe ovvio, di per sé evidente.
Freud lo segnalerà alcuni mesi dopo:5 «Il lutto per la
perdita di ciò che abbiamo amato o ammirato appare
al profano così naturale che lo ritiene ovvio. Per lo
psicologo, tuttavia, il lutto è un grande enigma, uno
di quei fenomeni di per sé inspiegabili, ma ai quali
si riconducono altre oscurità». Cosa c’è infatti di più
immediatamente comprensibile e autoevidente se non
il dolore, la tristezza in cui è totalmente assorbito –
fino a non nutrire più interesse per il mondo esterno
e ad abbandonare ogni propria attività – chi ha perduto un essere amato, genitore, figlio, amante, amico
o ha vissuto altre esperienze di perdita come quella
della patria, del lavoro di una vita, della libertà, di un
ideale ecc.? Eppure, proprio questa evidenza viene
a essere scalfita dall’indagine psicoanalitica che, nel
mentre con il lutto chiarisce la melanconia, mediante
4
Cioè al saggio Supplemento metapsicologico alla teoria del
sogno che precede Lutto e melanconia nella raccolta che avrebbe
dovuto intitolarsi Saggi preliminari alla metapsicologia.
5
Vedi infra, p. 110.
7
i chiaroscuri e le ombre che di riflesso vi scolpisce
e le pieghe nascoste che vi rivela, dà al primo rilievo, spessore, articolazione, perfino contraddittorietà.
Insomma, apre la questione del lutto nel mentre lo
utilizza per illuminare ciò che è oscuro, anzi il buio
cupo di una condizione mortifera e potenzialmente
mortale dell’animo umano.
Questa costruzione del lutto come «grande enigma»,
altrettanto esemplarmente, si compone qui direttamente nella scrittura, dove il pensiero freudiano sembra
quasi prendere forma sotto i nostri occhi, quella scrittura che ha costituito per la nascente psicoanalisi – una
writing cure prima ancora che una talking cure – il
vero e proprio mezzo, nel senso sia di veicolo che di
sostanza o ambiente in cui si produce un fenomeno,
suo precipuo terreno di coltura.6
Ma collochiamoci nel 1915, anno cruciale in anni di
cruciali sconvolgimenti, per Freud e non solo.
Fra il 23 aprile e il 4 maggio 1915, Freud lavora su
due tavoli: in una dozzina di giorni scrive Lutto e
melanconia e contemporaneamente il saggio cui si
riferisce nell’incipit, Supplemento metapsicologico
alla teoria del sogno. Questi due lavori non sono solo
accomunati dal procedimento utilizzato cui già si
6
P. Mahony, «Psychoanalysis – the Writing Cure», in E. Piccioli,
P.L. Rossi, A.A. Semi (eds.), Writing in Psychoanalysis, Karnac
Books for Rivista di Psicoanalisi, London 1996; A. Luchetti e F.
Napolitano, «Il margine della scrittura», in M. Balsamo, A. Luchetti,
F. Napolitano, E. Pozzi (a cura di), Sessuale destino scrittura, FrancoAngeli, Milano 1996; Th. Ogden, «Una nuova lettura delle origini
della teoria delle relazioni oggettuali», in L’arte della psicoanalisi.
Sognare sogni non sognati, Cortina, Milano 2008.
8
accennava,7 ma anche dal fatto che in entrambi i casi
si esamina il distacco affettivo (della «libido», dice
Freud intendendo l’energia, sessuale, che postula alla
base del funzionamento psichico, ovvero «la nostra
capacità di amare»)8 dal mondo esterno, ritiro che
può prodursi quotidianamente, nel sonno e nel sogno,
e in occasione di circostanze normali di vita, quale
purtroppo il lutto, oppure in condizioni patologiche
che appunto questo raffronto può illuminare in aspetti
altrimenti non individuabili.
Questo alacre lavoro di scrittura non avviene
tuttavia in un contesto di tranquillità, al contrario.
Circa un anno prima, l’assassinio dell’arciduca Francesco Ferdinando a Sarajevo ha fatto deflagrare la
Prima guerra mondiale, che in poco più di quattro
anni provocherà milioni di morti e devastazioni
in Europa e soprattutto distruggerà per sempre
tutto un mondo, rivelandone insieme le basi fragili
e le forze dirompenti che lo attraversavano. Ma
già immediatamente, come scrive Freud nei due
testi sul tema della perdita e del lutto che in quello
stesso 1915 incastonano Lutto e melanconia, ossia
le Considerazioni attuali sulla guerra e la morte e
7
Anche nel Supplemento metapsicologico alla teoria del sogno
è immediatamente precisato: «Avremo modo di verificare in più
di un’occasione quanto sia vantaggioso per la nostra ricerca porre
fra loro a confronto determinati stati e fenomeni che possono
esser concepiti quali prototipi normali di affezioni patologiche. A
tale categoria appartengono non solo stati affettivi come il lutto
e l’innamoramento, ma anche lo stato di sonno e il fenomeno del
sognare» (in Opere di Sigmund Freud, OSF, Bollati Boringhieri,
Torino 1966-1993, vol. VIII, p. 89). Dell’innamoramento Freud
parlerà anni dopo in Psicologia delle masse e analisi dell’Io (OSF,
vol. IX).
8
Vedi infra, p. 110.
9
Caducità,9 esercita un effetto determinante sul rapporto dell’umanità con la morte. La guerra fa cadere il diniego che solitamente l’occulta e impone il
confronto con la sua realtà, oltre a sollecitare una
profonda disillusione relativamente alle conquiste
della civiltà e della società, che si rivelano friabili
anziché saldamente acquisite come si poteva credere,
e fino a far riaffiorare il sentimento dell’evanescenza
e fugacità di ogni bene e di ogni bellezza. L’iniziale
«passione guerriera»,10 l’esaltazione nazionalistica e
la demonizzazione del nemico con cui pure fu accolto
lo scoppio delle ostilità e la speranza di una rapida
conclusione vittoriosa dilagate indipendentemente
dalla parte in cui ci si schierasse, nel 1915 hanno già
lasciato il posto a ben più tangibili preoccupazioni per
la vita dei propri cari, quelli già reclutati o reclutabili
ma anche quelli che non lo sono, per le condizioni
generali di vita che subito risentono del conflitto. Per
quanto riguarda Freud, non solo il primo figlio si è
già arruolato volontariamente e gli altri due sono
in procinto di esserlo, non solo il lavoro si riduce
drasticamente e la vita quotidiana si fa più difficile,
9
Qui proposti infra, rispettivamente alle pp. 43-71 e 108-112.
Il primo è composto di due scritti: uno è redatto nel marzo 1915,
l’altro è la versione rivista di una conferenza tenuta da Freud il 15
febbraio 1915 alla Associazione B’nai B’rith, nel cui periodico fu
poi pubblicata col titolo La morte e noi. Il secondo testo fu invece
scritto nel novembre 1915 su richiesta del Berliner Goethesbund di
Berlino per il libro Das Land Goethes 1914-1916. Ein vaterländisches Gedenkbuch, «Il paese di Goethe. Un libro commemorativo
patriottico», cui contribuirono tra gli altri Albert Einstein, Ernst
Haeckel, Hugo von Hofmannsthal, Arthur Schnitzler, Georg
Simmel, Richard Strauss, Otto Wagner.
10
P. Gay, Freud. Una vita per i nostri tempi, Bompiani, Milano
1988, p. 314.
10
ma sono gli stessi destini della psicoanalisi a essere
messi in forse. Gli psicoanalisti sono infatti dispersi
o arruolati – ritrovandosi perfino su fronti opposti – gli
spostamenti, gli scambi e i contatti diventano più
ardui, la stessa attività di ricerca e pubblicazione
è molto più difficoltosa, è ricomparsa perfino la
censura. Tutto ciò rende il futuro della «causa»
molto incerto, per di più in un momento già di per
sé delicato per il movimento psicoanalitico dopo
le defezioni di Adler e, soprattutto, Jung. Il patriottismo di Freud, momentaneamente solleticato pur
senza mai farsi esaltazione, è dunque subito messo
a dura prova.
Anche perché il 1914 aveva segnato invece un
momento culminante nella puntualizzazione e ricapitolazione della psicoanalisi che Freud aveva avviato
in quegli anni riguardo la tecnica, la clinica, la teoria,
nonché la stessa storia della psicoanalisi.11 Un’acme
che aveva rivelato «il carattere bifronte degli scritti
di Freud degli anni che precedono la Prima Guerra Mondiale, miranti alla summa ma anche a una
eventuale revisione dei concetti che trattano» e che
era costituita dalla Introduzione al narcisismo:12 un
lavoro «rivoluzionario in quanto sovverte idee che
lo stesso Freud aveva sostenuto per molto tempo»,
11
Si vedano: riguardo la tecnica, Tecnica della psicoanalisi (19111912) e Nuovi consigli sulla tecnica della psicoanalisi (1913-1914);
circa la clinica, il Caso clinico del presidente Schreber (1911) e il
Caso clinico dell’uomo dei lupi (del 1914 ma pubblicato solo anni
dopo); circa la teoria, Precisazioni sui due principi dell’accadere
psichico (1911), Nota sull’inconscio in psicoanalisi (1912); per
quanto concerne infine la storia della psicoanalisi, Per la storia
del movimento psicoanalitico, appunto del 1914.
12
S. Freud, Introduzione al narcisismo, OSF, vol. VII.
11