“… pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi” (1Pt 3,15)
Orosei (Nu), 16-19 giugno 2003
I cristiani
e le nuove sfide
della giustizia
Enrico Chiavacci
Premessa
Le nuove sfide per la giustizia sono sfide alla chiesa in due sensi diversi. Prima di tutto occorre ripensare profondamente il compito della comunità cristiana nel mondo – cioè nella storia
del genere umano – alla luce dell’enciclica Pacem in terris (PIT) e della costituzione conciliare
Gaudium et spes (GS). Si tratta di due documenti che hanno profondamente rivoluzionato
l’approccio teologico e spirituale al rapporto chiesa-mondo, e perciò anche chiesa-storia. Occorre
avere il coraggio di ripensare tale rapporto in una luce nuova, su una base teologica diversa e ben
più profonda di quella invalsa negli ultimi quattro secoli: è una sfida non pienamente raccolta e
neppure pienamente capita da buona parte del mondo cattolico ancora ai nostri giorni. Solo raccogliendo questa sfida teologica è possibile affrontare la sfida storica posta alla chiesa dalle tragiche
condizioni di ingiustizia, di miseria, di dominio, emerse rapidamente degli ultimi decenni e tuttora
in veloce e imprevedibile sviluppo sia tecnologico che politico.
I – La sfida teologico-spirituale.
Vi è una breve frase – cinque parole sole – al centro della GS (45) che offre una prospettiva
nuova alla idea plurisecolare di salvezza delle anime: “Dominus finis est humanae historiae”. Il Signore non è solo il traguardo per ogni singola anima, ma è anche il traguardo della tormentata vicenda della famiglia umana. La salvezza scaturita dalla Croce di Cristo è anche – e soprattutto –
salvezza per la famiglia umana: si tratta perciò di un tema strettamente teologico. Si pensi che fino
al Concilio, e anche dopo, tutti i temi ‘socialì erano esclusi dai corsi teologici, e trattati solo marginalmente in qualche corso filosofico, in genere come ultimo capitolo della filosofia morale in cui
veniva inglobata, bene o male, la dottrina sociale della chiesa. Interesse diretto e immediato della
chiesa nella sua missione salvifica era solo la salvezza delle singole anime; compito del cristiano era
quello di salvarsi l’anima attraverso l’osservanza dei vari precetti e l’accesso ai sacramenti. Le vicende della società e della storia non avevano rilevanza teologica, se non in via indiretta come occasioni per l’esercizio della virtù della carità.
Sul piano politico il primo dovere era l’obbedienza alle legittime autorità, fossero esse il duce o Churchill: i soldati dovevano sempre obbedire, perché “non est militis rationes superiorum
diiudicare”. Non esiste in alcun testo di teologia dogmatica o morale un solo capitolo sulla pace, esistono invece ampi spazi al capitolo sulla guerra, sulla guerra giusta, sulla legittima difesa: cioè su
quando si possa ammazzare senza violare il quinto comandamento. La base era la dottrina “de iure
pacis et belli” accolta dal diritto internazionale e derivata dalle opere di F.Suarez e H. De Grootes
(Grozio) risalenti ai secoli XVI-XVII. L’idea che Cristo porta pace per tutti gli esseri col sangue della
sua Croce (Col 1,19-20) non sembra rilevante in ordine alla morale e alla spiritualità cristiana, e
neppure alla dogmatica. Un migliore approfondimento merita il tema dei concordati, ma ciò esulerebbe dal nostro tema.
Sul piano economico si ricordi che l’unico vero dovere era ‘non rubarè o ‘dare a ciascuno il
suò. Una volta acquisita legittimamente una proprietà, nessuno potrà togliermela, e non dovrò darla se non per dovere di carità – non di giustizia – e solo in caso di estrema necessità. Tutti i manuali
di morale anche nel dopoguerra (anni 946-960) trattavano solo la giustizia commutativa: la giustizia distributiva e la giustizia legale non erano considerate vera giustizia in senso stretto, perché non
esiste un ‘suum’ dello Stato o dei poveri. Quindi in questi casi il ‘non darè non era violare la giustizia, non era rubare né rifiutare a qualcuno il ‘suum’. (Da notare che i Padri unanimi e S.Tommaso
pensavano esattamente il contrario). Di qui l’idea e la prassi ancora vigente che non pagare le tasse
(per intero) non sia vero peccato contro la giustizia. La carità potrò o dovrò farla in qualche misura
e quando mi capita. (È questa l’idea del presidente Bush di uno stato ‘compassionevolè, che poi in
questi giorni con la riforma fiscale in corso negli USA non è compassionevole affatto). Sul piano
globale oggi molti stati si sono impegnati a parole a dare ai Paesi poveri una piccola percentuale del
loro PNL: in realtà non hanno dato nulla o quasi; così accadrà delle promesse generiche dei G8 nel
recente congresso di Evian.
Ebbene, il grande tema sopra accennato della PIT e di GS appare come veramente rivoluzionario: la storia della famiglia umana risponde a un preciso progetto di Dio. È il progetto del Regno, che la parola e la Croce di Cristo inserisce definitivamente “in questi tempi che sono gli ultimi”
nella vicenda della famiglia umana considerata nella sua interezza. La famiglia umana è chiamata a
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trasformarsi in famiglia di Dio (GS 40), e cioè a rispecchiare sempre meglio al suo interno il dono
reciproco e totale che ci si rivela nel mistero trinitario: “l’uomo non può realizzare pienamente se
stesso se non nel dono sincero di sé” (GS 24). Come ogni creatura porta l’impronta del Creatore,
così l’uomo è chiamato ad essere immagine di Dio, di un Dio che si rivela perfettamente in Gesù
come dono totale di sé sulla Croce: “li amò fino alla fine”, il suo “corpo che è per voi”, il suo sangue
versato per sempre “per voi e per tutti” come espressione di una “nuova ed eterna alleanza”. La storia diviene storia della salvezza, che si concluderà quando Cristo consegnerà il Regno, perfettamente pacificato, nelle mani del Padre. (Si pensi al 1° prefazio comune o a quello della festa di Cristo Re
dell’universo). La chiesa ha il preciso dovere, seguendo l’opera del suo Maestro (GS 3), di sostenere
e accompagnare, come lievito e sacramento, la famiglia umana verso questo traguardo. Vi è così
una nuova logica di convivenza che la chiesa deve annunciare con le parole e le opere: è il cammino verso la pacificazione perfetta.
All’interno di questa storia, segnata sempre da vittorie e sconfitte, il perseguimento della
pace è un lungo e tormentato cammino. La vera e nobilissima concezione della pace, frutto della
giustizia, è “rendere più umana la vita di ogni essere umano ovunque sulla terra” (GS 77). I rapporti
delle chiese coi singoli stati hanno un interesse marginale e strumentale rispetto alla sorte della
famiglia umana. Questa è la vera preoccupazione e missione della chiesa: i diritti di ogni uomo nascono dalla sua “inerente dignità” (testi dell’ONU), indipendenti da qualità morali o fisiche, da nazionalità o etnia o religione o cultura o razza. E questi diritti generano i corrispettivi doveri per i
suoi compagni di umanità, ovunque si trovino, entro i limiti materiali (tecnologici e finanziari) a loro disposizione. L’adempimento di tali doveri è giustizia, e il suo frutto sarà la pace. Nella visione
teologica della salvezza proposta dal Concilio, i doveri di giustizia non sono più alternativi ai doveri
di carità (“se la vostra giustizia non supererà…” (Mt 5,20). Sono espressione basilare della carità.
Ogni visione privatistica della salvezza, nel senso sopra ricordato, deve esser superata. Tutta
la storia umana è e sarà sempre insidiata dalle potenze delle tenebre, dall’egoismo, e in questa battaglia contro le potenze delle tenebre il cristiano deve essere inserito – “in hanc pugnam insertus” –
per ritrovare se stesso e la sua verità (GS 37). Ma, mentre la Parola non passa, la storia passa ed è
un continuo fluire di situazioni, di eventi e di strutture di convivenza. Compito della chiesa e di ogni singolo cristiano è saper leggere queste mutazioni in cui si manifesta il progetto di Dio per noi
che viviamo in questo preciso momento storico (è la dottrina dei segni dei tempi, da collegare
all’importantissimo n. 44 di GS).
II – La sfida della odierna tragica condizione della famiglia umana
Nel breve arco di 20-30 anni è cambiato rapidamente, e ancora sta cambiando, tutto il
complesso sistema di convivenza della famiglia umana , e specificamente di tutte le sue singole
strutture essenziali: politico-militare, economico-finanziaria, della comunicazione; e al tempo steso
sono emersi nuovi gravissimi problemi, come il problema ecologico con annessi problemi di disponibilità di energia e di acqua, e il problema della convivenza e commistione fra aree culturali e religiose diverse.
Alla base di molti di tali cambiamenti sta una vera rivoluzione industriale: la rivoluzione del
silicio (il modesto transistor) e il connesso uso di un codice binario (0,1) per ogni forma di trasmissione di messaggi. Fondamentale è la conseguente capacità di comunicazione in tempo reale e ovunque sulla terra di dati di ogni genere: audio, scritti, visuali. La stessa rivoluzione ha reso possibile sia lo stoccaggio in memoria di dati, sia l’uso corrente delle trasmissione di dati via satellite o
via fibre ottiche, aumentando smisuratamente la quantità di dati trasmissibili simultaneamente. Al
tempo stesso, e con l’uso della stessa tecnologia di base, è resa possibile la mobilità di persone e cose da un continente all’altro con velocità e capacità di trasporto impensabile fino agli anni ’70. (Oggi una nave può trasportare fino a 8.000 containers; un treno transcontinentale fino a 10/15.000
tonnellate di merci; un aereo può trasportare 400 persone in dieci ore da Roma a Tokio o a Sâo
Paulo, e fra poco vi saranno aerei capaci di 800 persone, o l’equivalente in merci pregiate). Tutto
ciò farebbe pensare alla realizzazione di una vera famiglia umana, capace di conoscersi, convivere,
condividere, al di là di ogni barriera politica o geografica. Si tratta di una possibilità tecnica reale.
Ma la realtà non è questa.
Le ragioni non possono esser qui spiegate in dettaglio. Per i nostri scopi, il punto centrale è
il controllo globale del capitale disponibile sulla terra (c/c, azioni, valute etc.) da parte di pochi
3
gruppi privati che non possiedono direttamente i capitali ma li gestiscono, traendo profitto non
dalla produzione di beni, ma dal movimento dei capitali (da un investimento a un altro che promette maggior profitto). Il capitale così si muove sempre e inevitabilmente verso la massimizzazione
del profitto privato, senza alcun interesse sul tipo e le finalità degli investimenti così attuati. Qui
non è in questione la legittimità di un ragionevole profitto del capitale, ma quella della massimizzazione del profitto privato a tutti i costi e indipendentemente dalle finalità dell’investimento. In questa situazione è chiaro che scompare ogni pensabilità di un bene comune.
Nasce così una situazione tragica per tutta la famiglia umana, situazione che viene descritta
nella tabella allegata (segue la presentazione e la discussione delle tabelle allegate). La situazione
ora descritta è tragica in se stessa, ma lo è anche perché da oltre 20 anni resta sostanzialmente statica, né vi è agenzia o autorità al mondo capace di mutarla. Inoltre i singoli governi possono agire
solo marginalmente su di essa, e quasi sempre sono controllati o imposti o ricattati dal potere delle
grandi agenzie finanziarie. Infine l’enorme massa di capitali richiesta dalla odierna comunicazione
di massa è inevitabilmente controllata dalle stesse agenzie, che possono in tal modo – ed è esperienza quotidiana – indirizzare gusti o preferenze, indurre bisogni inesistenti o modelli di ‘vita
buonà, manipolare o distruggere culture o religioni, sempre e solo in vista della massimizzazione
del profitto.
Oggi occorre porsi due domande fondamentali: per chi si produce e come si produce. Si
produce per chi ha soldi da spendere e non per chi ha bisogni essenziali insoddisfatti. Un esempio
classico è la produzione e il costo dei medicinali, quasi totalmente controllati dalle grandi pharma.
Si produce riducendo al minimo i costi, ed essenzialmente il costo del lavoro, sia licenziando il più
possibile, sia pagando il meno possibile: di qui nasce la necessità del lavoro minorile, e anche della
diffusa necessità di vendere i figli e le figlie intorno ai 10 anni, altrimenti la famiglia non potrebbe
sopravvivere (notare che le figlie a 10/11 anni nel Sud-Est asiatico vengono vendute ai bordelli con
le immaginabili conseguenze).
Ma un altro aspetto deve esser sottolineato: la povertà estrema conduce alla disumanizzazione. Per chi si domanda solo che cosa mangerà domani, ogni altra questione è impensabile. Molti
fra i più poveri si arrendono di fronte alla miseria, alle malattie: perdono ogni interesse per qualsiasi impegno sociale che vada oltre il piccolo villaggio o la via della favela. L’esistenza si presenta
come chiusa, oscura, senza orizzonti e senza speranze. Su questa natura della povertà di massa, già
da tempo denunciata da J.K.Galbraith, si riflette troppo poco. Viceversa gli stessi meccanismi e la
stessa logica del capitale porta i popoli più prosperi a conseguenze simili ma di segno opposto: il bisogno di arricchirsi senza limiti per poter consumare senza vincoli. Questa parte dell’umanità è in
preda a un processo di disumanizzazione fatto di disinteresse per l’altro, di egoismo esasperato. In
questo quadro tragico i temi della guerra e della pace, dei rapporti fra culture, del controllo dei media, dell’ecologia, vengono da un lato ignorati, dall’altro letti solo in chiave egoistica (affermazione
di sé, come singolo o come gruppo, al di sopra o contro tutti gli altri).
Quello che possa essere il compito specifico della Caritas, nazionale e diocesana, in questo
veramente tragico momento della storia umana, non è cosa che spetti a me dirlo. Alcuni modesti
suggerimenti potranno però forse essere utili ai vostri lavori.
1. La Caritas potrebbe essere lo strumento di elezione per far comprendere alla comunità dei credenti – ecclesiastici compresi – quale sia il loro compito nella storia dell’oggi dell’umanità.
2. La Caritas deve essere la testimonianza operosa della fede nel Vangelo del Regno: in ciò essa
dovrebbe costituire in Diocesi un blocco unito e ben coordinato con gli uffici missionari e gli uffici per le questioni sociali: le dimensioni locali e planetarie dovrebbero sempre esser considerate insieme.
3. Nel far questo la Caritas non dovrebbe mai esser condizionata da questioni di convenienza politica; in caso di violazioni pesanti dei diritti dell’uomo, non dovrebbe aver paura di andare anche
contro le regole dell’ordine costituito e tanto meno del socialmente approvato. Oggi il potere
politico – in molti Paesi poveri e ricchi, fra cui l’Italia– è sempre inquinato o ricattato da potenze di ordine superiore. Se si dovrà soffrire, se si dovrà affrontare una persecuzione mediatica,
ringrazieremo Dio. In questo è necessario, perché la testimonianza della chiesa nella storia sia
credibile, l’appoggio pieno e senza ambiguità (del tipo: ‘si, mà) dei singoli vescovi e
dell’episcopato intero.
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4. Nel far questo la Caritas dovrebbe sempre cercare unità di azione con le altre confessioni cristiane: i problemi sono oggi troppo gravi e urgenti per indulgere a dispute teologiche. Tutte le
chiese cristiane dovrebbero far fronte comune, aperto e ben visibile, in questo impegno per il
Regno.
5. Nel far questo la Caritas dovrebbe sempre cercare anche ogni possibile forma di collaborazione
con tutti gli esseri umani e i gruppi che sono mossi dalle stesse ansie, Gli ‘uomini di buona volontà’, non importa se credenti o non credenti in Dio, non importa quale sia la loro provenienza
filosofica o culturale, hanno a cuore gli alti valori presenti nell’animo umano anche se non ne
conoscono l’autore (GS 92 e tutta l’ultima sezione di PIT). Oggi tutti i movimenti eterogenei che
confluiscono nei social forum hanno però un elemento comune: la preoccupazione e l’impegno
per gli altri. Il coordinamento degli sforzi e delle iniziative potrebbe essere un compito nobile
(e doveroso) della Caritas. Quando un Concilio Ecumenico dice, ai singoli e alla chiesa, che con
tali persone o enti “possiamo e dobbiamo collaborare” (GS 92), non è che ci lasci molto margine
di manovra.
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Globalizzazione e salute 2001
Paese
USA
Giappone
Attesa
vita media
Mortalità
infantile
Abitanti
per dottore
Abitanti
per letto
GNP
pro-capite
74/79
7
80
3.6
522
74
34.000
32.000
Germania
77
5
290
138
26.000
Francia
78
4.8
343
86
24.000
Italia
79
5.5
193
161
22.000
Burundi
46
72
16.000
1.526
140
Camerun
55
72
13.500
371
610
Chad
48
115
27.700
1520
230
Congo
48
100
15.500
487
680
Ghana
57
57
22.900
638
390
Lesotho
52
78
18.000
765
570
Kenia
48
70
6.000
734
350
Rwanda
39
120
50.000
588
230
Sierra L.
44
150
13.700
980
140
Sud Africa
53
57
1.742
306
3.310
Sudan
56
71
10.900
1.222
290
Tanzania
52
83
20.500
1.000
220
Uganda
42
95
22.400
817
350
Cambog.
55
81
7.900
791
260
Laos
54
90
1.560
402
320
VietNam
67
32
2.280
380
350
Banglad.
60
73
4.800
3.300
350
India
62
72
2.200
1350
440
Thai
73
22
3.400
466
2.160
Fonte: Encyclopaedia Britannica – World Data 2001
6
GLOBALIZZAZIONE ECONOMICA 2003
RICCHEZZA, POVERTÀ, SVILUPPO
Paese
Mortalità
infantile (3)
Energia (4)
GNP (1)
Vita media (2)
USA
35.030
W 77 - B 73 (5)
7.1
Giappone
32.000
80
3.4
3.800
Unione Europea
22.940
78
5.1
3.000
Albania
7.800
760
68
45
341
2.680
66
17
4.013
Rep Ceca
5.240
74
6
3.688
Polonia
4.000
74
9
Romania
2.250
70
20
990
63
60
373
Russia
Bolivia
Messico
4.400
71
26.2
1.500
Brasile
4.350
62
38
700
Perù
2.130
69
40.6
670
Cuba
1.700
75
7.5
Sud Africa
3.170
53
58.9
2.100
Egitto
1.380
63
62.3
600
Etiopia
100
45
101
22
Nigeria
260
51
74.2
260
Niger
190
41
124
37
Uganda
330
43
93.3
22
Camerun
600
55
70
103
Chad
210
50
96.7
16
Mali
240
46
121
India
370
62
71
248
Cina
750
71
38
Cambogia
260
57
76
52
Viet Nam
370
68
31.1
100
Indonesia
660
67
42
Tailandia
2.010
73
18
760
Sud Corea
8.400
74
10
2.800
350
59
73
64
Bangladesh
Fonte: Britannica World Data 2002 (Encyclopaedia Britannica); integrata con dati UNDP.
Note:
1.
2.
3.
4.
Prodotto Nazionale Lordo annuo pro-capite espresso in USD.
Attesa media di vita (media fra maschi e femmine).
Mortalità infantile nel primo anno di vita su 1.000 nati vivi.
Kilo equivalenti petrolio, disponibili in un anno per abitante
(Fonte: Guida del mondo 1999-2000.
5. In USA viene data indicazione separata fra bianchi (W) e popolazione di colore (B).
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