in pratica IMPRESA E SOCIETÀ Giovanni Enna Rimanenze e lavori in corso su ordinazione • • • • Disciplina civilistica Metodi di valutazione Principi contabili nazionali e internazionali Rilevazioni contabili e iscrizione in bilancio Giovanni Enna Rimanenze di magazzino e lavori in corso su ordinazione Copyright © 2017 - Cesi Multimedia s.r.l. Via V. Colonna 7, 20149 Milano www.cesimultimedia.it Tutti i diritti riservati. È vietata la riproduzione dell’opera, anche parziale e con qualsiasi mezzo. L’elaborazione dei testi, pur se curata con scrupolosa attenzione, non può comportare specifiche responsabilità in capo all’autore e/o all’editore per eventuali involontari errori o inesattezze. ISBN 978-88-6279-169-4 Pubblicazione Aprile 2017 Profilo Autore Profilo Autore Giovanni Enna, Dottore commercialista e Revisore contabile, già Docente Ordinario di economia aziendale I.T.C. e Docente Tutor di economia del Politecnico di Torino. Ha pubblicato numerosi volumi in materia economico-societaria ed è autore di numerose pubblicazioni su riviste specializzate. © Cesi Multimedia III Indice Indice Premessa 1. Normativa civilistica 1.1 Premessa 1.2 Rilevazione delle rimanenze secondo l’OIC e la legge civile 1.2.1 Rilevazione iniziale e considerazioni generali 1.3 Definizione e classificazione 1.4 Definizione delle rimanenze secondo i princìpi contabili internazionali 1.4.1 Valutazione delle rimanenze in base agli IAS 1.5 Valutazione e contabilizzazione secondo la legislazione civile 1.5.1 Alcuni aspetti operativi in base alla normativa nazionale 1.6 Valutazione delle rimanenze di magazzino in base ai princìpi nazionali 1.6.1 Criteri di valutazione delle rimanenze di magazzino in base ai princìpi nazionali 1.6.2 Valutazione delle rimanenze detenute all’estero 1.6.3 Acquisto di materie prime effettuate da un fornitore americano 1.7 Costo d’acquisto e di produzione 1.7.1 Costo di produzione 1.7.2 Definizione economica di costi diretti e indiretti, fissi e variabili 1.8 Determinazione del valore di realizzazione desunto dall’andamento del mercato 1.9 Rettifiche di valore 1.10 Applicazione costante dei metodi utilizzati nella valutazione delle rimanenze di magazzino 1.11 Nota integrativa 1.12 Informazioni relative alle società che redigono il bilancio in forma abbreviata 1.13 Costi non imputabili alle rimanenze 1.14 Oneri finanziari 1.14.1 Capitalizzazione degli oneri finanziari 1.14.2 Aspetti contabili 1.14.3 Contributi in conto esercizio 1.15 Attività produttiva ridotta 1.16 Metodi di determinazione del costo ai fini della valutazione delle rimanenze di magazzino 1.17 Aspetti operativi 1.18 Metodi di determinazione del valore delle rimanenze 1.18.1 Metodo del costo medio ponderato 1.18.2 Metodo del costo LIFO 1.18.3 Metodo FIFO 1.18.4 Metodo LIFO “a scatti” 1.19 Metodi determinazione del valore delle rimanenze nei princìpi contabili internazionali 1.20 Criteri contabili costanti nella valutazione delle rimanenze ed eventuali modifiche 1.21 Metodo dei prezzi al dettaglio 1.22 Metodo del valore costante 1.23 Contabilità industriale per la determinazione dei costi relativi ai semilavorati, prodotti in corso di lavorazione e prodotti finiti 1.24 Metodo dei prezzi a costi standard 1.25 Confronto tra le metodologie per la quantificazione dei costi 1.26 Determinazione del valore di mercato o del valore di realizzazione desunto dall’andamento di mercato 1.27 Schema riassuntivo di applicazione del valore di mercato (salvo alcune deroghe) 1.28 Introduzione a un sistema a costi standard per la gestione ottimale delle rimanenze 1.29 Criteri di valutazione non accettabili © Cesi Multimedia VII 1 1 2 3 4 4 6 7 7 8 10 10 10 11 12 13 14 14 14 15 15 16 16 17 18 19 21 22 23 23 25 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35 37 37 37 V Indice 2. Costi di produzione e contabilità analitica 2.1 Ripartizione dei costi nei princìpi internazionali 2.1.1 Costi di trasformazione 2.1.2 Costi diretti di produzione 2.1.3 Costi indiretti di produzione 2.1.4 Metodi di determinazione del costo 2.1.5 Valore netto di realizzo 2.1.6 Normale capacità produttiva dell’impresa 2.2 Le rimanenze secondo lo IAS 2 2.2.1 Valutazione delle rimanenze al “costo specifico” 2.2.2 Rappresentazione delle rimanenze nel conto economico 2.2.3 Esposizione contabile delle rimanenze svalutate 2.2.4 Esempio di attribuzione dei costi di produzione 2.2.5 Rappresentazione di un livello efficiente di produzione (offerta) 2.2.6 Normale capacità produttiva secondo il numero di prodotti finiti 2.2.7 Processi produttivi strutturati con due fasi di lavorazione e valutazioni 2.2.8 Produzioni con costi congiunti 2.2.9 Oneri finanziari e princìpi contabili internazionali 2.2.10 Abbuoni e sconti 39 39 40 40 40 40 40 41 41 42 43 44 44 45 45 49 51 51 3. Lavori in corso su ordinazione 3.1 Definizione e classificazione 3.1.1 Classificazione e contenuto delle voci 3.1.2 Rilevazioni iniziali e successive secondo i princìpi contabili nazionali e internazionali 3.2 Commesse a lungo termine 3.3 Tipologie di contratti 3.4 Criteri di contabilizzazione e di valutazione 3.5 Nota integrativa e lavori in corso su ordinazione secondo il codice civile 3.6 Commesse a breve termine 3.7 Anticipi, acconti, ritenute a garanzia e rilevazione 3.8 Perdita probabile per il completamento della commessa 3.9 Criterio della percentuale di completamento e princìpi di redazione 3.10 Metodo della commessa completata e princìpi di redazione 3.11 Costi di commessa e princìpi contabili 3.12 Ricavi di commessa 3.13 Preventivi dei costi 3.14 Determinazione dei costi di commessa mediante i budgets 3.14.1 Budget della mano d’opera diretta 3.14.2 Budget della produzione 3.15 Analisi degli scostamenti fra i dati di budget e quelli consuntivi 3.15.1 Analisi degli scostamenti relativi ai materiali diretti 3.16 Attribuzione dei costi dei centri di produzione intermedi ai centri di produzione finali 3.17 Preferenza per il criterio della percentuale di completamento 3.17.1 Aspetti operativi 3.18 Valutazione col metodo delle ore lavorate 53 53 54 56 56 58 59 60 60 60 60 62 63 64 64 65 65 66 66 67 69 70 70 73 VI © Cesi Multimedia Premessa Premessa Le rimanenze di magazzino, disciplinate dall’OIC 13 e dal princìpio IAS 2, comprendono i prodotti finiti e le merci destinati alla vendita ma non ancora ceduti, o che concorrono alla loro produzione nello svolgimento normale dell’attività economica. Vengono rilevati nella voce “Rimanenze” (C.I. dell’attivo patrimoniale) anche gli anticipi a fornitori, che esprimono “investimenti in magazzino” già effettuati. I lavori su ordinazione (commesse) rappresentano una particolare tipologia di rimanenze, in quanto riferite a contratti di durata superiore all’anno, finalizzati alla realizzazione di un’opera o alla fornitura di beni o servizi non di serie che formano un unico progetto. Essi sono disciplinati dall’OIC 23 e dallo IAS 11. Essi costituiscono dei valori relativi ai fattori produttivi materiali con fecondità semplice: esprimono dei costi sospesi rinviati al futuro dal momento che sono relativi ai ricavi e alla produzione dei prossimi esercizi. Trattasi, quindi, di costi imputabili a beni ancora in giacenza che si rinviano al futuro esercizio in quanto “recuperabili” mediante i ricavi di futuri esercizi. Tali valori trovano accoglienza nell’Attivo circolante dello stato patrimoniale, nella voce C.I., che accoglie due categorie: rimanenze di beni non prodotti su commessa; prodotti in corso di lavorazione su ordinazione. La voce rimanenze di magazzino non comprende beni prodotti su commessa. L’OIC 13 (versione dicembre 2016) ha modificato la precedente edizione per tenere conto delle novità introdotte dal d.lgs. 139/2015, che ha attuato la Direttiva 2013/34/UE. Tale Decreto ha sostituito il princìpio della funzione economica con quello della sostanza economica. La relazione di accompagnamento sottolinea come “la declinazione pratica del princìpio di sostanza economica sia effettuata dalla legge e dai princìpi contabili nazionali”. Il nuovo OIC 13 ha previsto la possibilità di capitalizzare anche gli oneri finanziari generici, oltre a quelli specifici, in proporzione alla durata di fabbricazione del bene, qualora la durata sia significativa. Inoltre, è stata introdotta anche la possibilità di valutare le rimanenze secondo il criterio del prezzo al dettaglio ed è stata chiarita la modalità di contabilizzazione dei contributi in conto esercizio relativi all’acquisto delle rimanenze. Nei confronti della precedente versione sono state chiarite: la definizione dei semilavorati; del costo specifico; la modalità del costo dei beni fungibili; la ripartizione dei costi generali fissi e dei costi generali variabili; le produzioni congiunte e sottoprodotti. La nuova versione precisa meglio che i beni rientranti nelle rimanenze sono rilevati inizialmente alla data in cui avviene il trasferimento dei rischi e dei benefici connessi al bene acquisito, che di norma avviene con il trasferimento della proprietà. Nel caso in cui esistano specifiche clausole contrattuali, che impediscano tale coincidenza, prevale la data in cui è avvenuto il trasferimento dei rischi e dei benefici. © Cesi Multimedia VII Capitolo 1 – Normativa civilistica 1. Normativa civilistica 1.1 Premessa Le rimanenze di magazzino includono i prodotti finiti e le merci destinati alla vendita ma non ancora ceduti, oltre che i beni che concorreranno alla loro produzione nella normale attività d’impresa. Il codice civile prevede che le rimanenze di magazzino siano evidenziate sia nello stato patrimoniale, sia nel conto economico. L’art. 2424, punto C.I, c.c. indica le rimanenze nella voce «attivo circolante» e le classifica come: materie prime, sussidiarie e di consumo; prodotti in corso di lavorazione e semilavorati; lavori in corso su ordinazione; prodotti finiti e merci; acconti. Nota bene Queste voci possono essere ulteriormente suddivise, conservando la voce complessiva e l’importo corrispondente. La voce “lavori in corso su ordinazione” (commesse) accoglie una particolare tipologia di rimanenze, vale a dire, quelle riferite a contratti di durata normalmente ultrannuale per la realizzazione di un’opera o la fornitura di beni o servizi non di serie, che costituiscono un unico progetto, da eseguirsi su ordinazione di un cliente (committente) e in base alle sue indicazioni. Nella Nota integrativa e nella Relazione sulla gestione si devono inserire le seguenti informazioni: criteri adottati; svalutazione e ripristino del valore; oneri finanziari imputati; gravami relativi alle rimanenze; utilizzo del costo specifico per beni fungibili; motivazioni di eventuali modifiche nei criteri di valutazione. 1.2 Rilevazione delle rimanenze secondo l’OIC e la legge civile Normalmente, il passaggio del titolo di proprietà, da un punto di vista sostanziale e non solo formale, determina l’inclusione o meno dei beni nelle rimanenze di magazzino ad una certa data, in quanto con la stipula del contratto di cessione vengono trasferiti i rischi. Il passaggio del titolo di proprietà si considera solitamente avvenuto alla data di spedizione o di consegna per i beni mobili, secondo le modalità contrattuali di acquisto, o alla data della stipulazione del contratto di compravendita per gli immobili. Il passaggio sostanziale del titolo di proprietà causa l’inclusione (o meno) dei beni acquistati nella classe delle rimanenze ad uno stabilito periodo. Anche se l’acquisizione del diritto di proprietà è subordinata ad una condizione sospensiva, l’acquirente assume tutti i rischi relativi al bene (danneggiamento/perdita) e lo contabilizza nei propri documenti. Le rimanenze di magazzino comprendono anche: quelle depositate presso i magazzini e stabilimenti dell’impresa (con esclusione di quelle ricevute da terzi in visione, in prova, in conto lavorazione e/o deposito); le giacenze di proprietà dell’impresa presso terzi in conto deposito, lavorazione, prova, ecc.; materiali, merci e prodotti acquistati, non ancora ricevuti, bensì in viaggio quando, in base alle condizioni di acquisto, sono stati già trasferiti alla società i rischi e i benefici connessi al bene acquisito (esempio, consegna stabilimento o magazzino del fornitore) (OIC 13, par. 18). Il princìpio contabile n. 13 (nella nuova versione dicembre 2016) definisce le rimanenze di magazzino come beni destinati alla vendita o che concorrono alla loro produzione nella normale attività dell’impresa. In particolare, le principali tipologie di rimanenze di magazzino disciplinate sono: le materie prime, inclusi i beni acquistati e sottoposti ad ulteriori processi di trasformazione (ad esempio, semilavorati); le materie sussidiarie e © Cesi Multimedia 1 Capitolo 1 – Normativa civilistica di consumo (utilizzate indirettamente nei processi di trasformazione); prodotti in corso di lavorazione; semilavorati (parti finite di produzione interna e destinate ad ulteriore lavorazione); le merci (beni acquistati per la rivendita senza ulteriori – rilevanti – trasformazioni); prodotti finiti (ottenuti da lavorazioni interne (OIC 13, par. 4). Il costo è descritto come quello sostenuto per l’acquisto delle materie prime, sussidiarie, di consumo, dei costi di lavorazione. Il costo d’acquisto rappresenta il prezzo effettivo sostenuto, compreso gli oneri accessori (par. 6). Questi ultimi comprendono tutti i costi connessi all’acquisto del bene e finalizzati alla sua utilizzazione (par. 7). Il costo di produzione include tutti i costi direttamente imputabili al bene. Può comprendere anche altri costi, per la quota ragionevolmente imputabile al bene, relativi al periodo di fabbricazione e fino al momento dal quale il bene può essere utilizzato. Con gli stessi criteri possono essere aggiunti gli oneri relativi al finanziamento della fabbricazione, interna o presso terzi. Nota bene I costi di distribuzione non possono essere computati nel costo di produzione. 1.2.1 Rilevazione iniziale e considerazioni generali Normalmente, il passaggio del titolo di proprietà, da un punto di vista sostanziale e non solo formale, determina l’inclusione o meno dei beni nelle rimanenze di magazzino ad una certa data, in quanto con la stipula del contratto di cessione vengono trasferiti i rischi. Il passaggio del titolo di proprietà si considera solitamente avvenuto alla data di spedizione o di consegna per i beni mobili, secondo le modalità contrattuali di acquisto, o alla data della stipulazione del contratto di compravendita per gli immobili (OIC 13, par. 17). Se, a causa di specifiche clausole contrattuali, non vi sia coincidenza tra la data in cui avviene il trasferimento dei rischi e dei benefici e la data in cui viene trasferito il titolo di proprietà, prevale la data in cui è avvenuto il passaggio dei rischi e dei benefici (par. 18). Il passaggio sostanziale del titolo di proprietà causa l’inclusione (o meno) dei beni acquistati nella classe delle rimanenze ad uno stabilito periodo. Anche se l’acquisizione del diritto di proprietà è subordinata ad una condizione sospensiva, l’acquirente assume tutti i rischi relativi al bene (danneggiamento/perdita) e lo contabilizza nei propri documenti. Le rimanenze di magazzino comprendono (a titolo esemplificativo, ma non esaustivo): quelle depositate presso i magazzini e stabilimenti dell’impresa (con esclusione di quelle ricevute da terzi in visione, in prova, in conto lavorazione e/o deposito); giacenze di proprietà dell’impresa presso terzi in conto deposito, lavorazione, prova, ecc.; materiali, merci e prodotti acquistati, ma non ancora ricevuti dall’acquirente in quanto, in base alle modalità contrattuali, la merce è ancora in viaggio (ad esempio, consegna stabilimento o franco magazzino acquirente), ma sono già stati trasferiti alla società i rischi e i benefici connessi al bene acquisito (par. 18). Gli acconti versati ai fornitori per l’acquisto di beni, appartenenti alle rimanenze di magazzino, sono rilevati inizialmente alla data in cui si origina l’obbligo al pagamento di tali importi o, in assenza di un tale obbligo, al momento in cui sono versati (par. 19). Sotto il profilo finanziario, gli acconti (anticipi ai fornitori) rappresentano “investimenti” in beni, a prescindere dalla disponibilità materiale degli stessi. Ai sensi dell’art. 2426, comma 1, n. 1, c.c., il costo di acquisto include anche i costi accessori (ad esempio, costi di trasporto, costi di dogana, ecc.). I resi, gli sconti commerciali, gli abbuoni e i premi si rilevano in diminuzione dei costi (par. 21). Gli sconti di cassa sono, solitamente, accreditati al conto economico fra gli altri proventi finanziari (punto C16) all’atto del pagamento della fattura, a causa della loro natura finanziaria. L’art. 2425 c.c. suddivide il valore delle rimanenze iscritte nel conto economico includendo nel valore della produzione le variazioni positive o negative delle rimanenze di prodotti in corso di lavorazione, semilavorati e finiti e nei costi di produzione le variazioni positive o negative delle rimanenze di materie prime, sussidiarie, di consumo e merci. In particolare tale articolo prevede che nel conto economico: gli acquisti delle materie prime, sussidiarie, di consumo e merci, siano rilevati tra i costi di produzione, alla voce B 6; le variazioni di rimanenze di prodotti in corso di lavorazione, semilavorati e finiti siano incluse nel valore della produzione, nella voce A 2; 2 © Cesi Multimedia Capitolo 1 – Normativa civilistica le variazioni delle rimanenze di materie prime, sussidiarie e di consumo e delle merci siano comprese nei costi della produzione, nella voce B 11. Le svalutazioni dei beni inclusi nelle rimanenze di magazzino vengono rilevate come rettifica diretta dei relativi valori iscritti nell’attivo. I ripristini di valore provocano un incremento delle rimanenze finali di magazzino, nei limiti del costo originariamente sostenuto. I componenti positivi e negativi relativi alle rimanenze si rilevano, in base alla natura, nelle voci: A 2 “variazioni delle rimanenze di prodotti in corso di lavorazione, semilavorati e finiti” e B 11 “variazione delle rimanenze di materie prime, sussidiarie e di consumo e merci”. Le rimanenze si rilevano nel conto economico comprendendo nel valore della produzione le variazioni delle rimanenze di prodotti in corso di lavorazione, semilavorati e prodotti finiti, mentre le variazioni delle rimanenze di materie prime, sussidiarie e di consumo e merci sono comprese nei costi della produzione. Per le società che redigono il bilancio in forma abbreviata l’art. 2435-bis, comma 3, c.c., dispone che “lo stato patrimoniale comprende solo le voci contrassegnate nell’art. 2424 con lettera maiuscola e con numeri romani”. Di conseguenza, le rimanenze vengono esposte nell’attivo dello stato patrimoniale nel loro complesso come unica voce. Inoltre, le voci A 2 (variazioni delle rimanenze di prodotti in corso di lavorazione, semilavorati e finiti) e A 3 (variazioni dei lavori in corso su ordinazione) del conto economico possono essere raggruppate. Le voci sopra indicate possono essere ulteriormente suddivise a patto che non venga eliminata la voce complessiva e il relativo importo. Per le società che redigono il bilancio in forma abbreviata l’art. 2435-bis, comma 3, c.c., prevede che: “lo stato patrimoniale comprende solo le voci contrassegnate nell’art. 2424 con lettera maiuscola e con numeri romani”. Ne consegue che le rimanenze vengono iscritte nell’attivo dello stato patrimoniale complessivamente come unica voce. Inoltre, le voci A 2 (“variazione delle rimanenze di prodotti in corso di lavorazione, semilavorati e finiti”) e A 3 (“variazioni dei lavori in corso su ordinazione”) del conto economico possono essere tra loro raggruppate. Sotto il profilo finanziario, gli acconti (anticipi ai fornitori) rappresentano “investimenti” in beni, a prescindere dalla disponibilità materiale degli stessi. Nota bene Le rimanenze devono essere iscritte in bilancio al minor valore tra quello di acquisto o di produzione e quello desunto dall’andamento di mercato alla data di chiusura dell’esercizio. Ne consegue che qualora il valore di realizzo sia inferiore al costo si renderà necessario effettuare una svalutazione. Se in un esercizio successivo tale valore di realizzo risulterà nuovamente superiore al costo, si dovrà effettuare un (parziale) ripristino di valore attraverso una rivalutazione. L’applicazione del minore tra valore di costo e di mercato, utilizzata per ampie categorie di beni, causerebbe non ammissibili compensazioni tra costi non recuperabili (perdite previste) e utili sperati di valori differenti. Ciò in base al dettato dell’art. 2423-bis, n. 5, il quale dispone che “gli elementi eterogenei ricompresi nelle singole voci devono essere valutati separatamente”. 1.3 Definizione e classificazione Le rimanenze di magazzino rappresentano beni destinati alla vendita o che concorrono alla produzione svolta nella gestione dell’impresa. In particolare, le principali rimanenze di magazzino sono: le materie prime; le materie prime e sussidiarie; i prodotti in corso di lavorazione; i semilavorati; i prodotti finiti. Le materie prime sono espresse dai materiali (legno, ferro, ecc.) incorporati nelle produzioni industriali; quelle sussidiarie sono anch’esse incorporate nei prodotti finiti, ma assumono natura secondaria (nei confronti delle materie prime: ad esempio, chiodi, ecc.); i materiali di consumo sono quelli utilizzati e consumati nel processo produttivo (combustibili, lubrificanti, ecc.), ma anche quelli non necessariamente correlati al processo produttivo (ad esempio, materiali di pulizia); i pezzi di ricambio di rilevante costo unitario e di utilizzo ricorrente, se di costo unitario rilevante, devono essere capitalizzati a fine esercizio. I prodotti in corso di lavorazione rappresentano produzioni interne nella fase intermedia del processo industriale di trasformazione di una azienda; i semilavorati esprimono parti finite acquistate o prodotte internamente © Cesi Multimedia 3 Capitolo 1 – Normativa civilistica e destinate alla fabbricazione di un prodotto finito o di un ulteriore processo intermedio industriale, con identità fisica e contabile autonoma. In alcuni casi i beni sono iscritti avendo riguardo al trasferimento dei relativi rischi per la rilevanza che tale momento ha nell’àmbito di tali operazioni (ad esempio, vendita con riserva di proprietà). Ne consegue, che le rimanenze possono comprendere anche: a) le rimanenze di magazzino presso gli stabilimenti e magazzini dell’impresa (ad esclusione di quelle ricevute da terzi in visione, in prova, in conto lavorazione e/o deposito, ecc.); b) le giacenze di proprietà dell’impresa presso terzi in conto deposito, lavorazione, prova, ecc.; c) materiali, merci e prodotti acquistati, non ancora pervenuti bensì in viaggio quando, secondo le modalità dell’acquisto, l’impresa ha già acquisito il titolo di proprietà (esempio, consegna stabilimento o magazzino del fornitore). 1.4 Definizione delle rimanenze secondo i princìpi contabili internazionali Secondo lo IAS 2 (par. 6) le rimanenze sono beni: posseduti per la vendita nel normale svolgimento dell’attività; impiegati nei processi produttivi per la vendita; o sotto forma di materiali o forniture di beni da impiegarsi nel processo di produzione o nella prestazione di servizi; Perciò le rimanenze comprendono merci acquistate e possedute per la rivendita. Le rimanenze comprendono, inoltre, prodotti finiti o semilavorati realizzati dall’entità e includono materiali e forniture di beni destinati a essere impiegati nel processo produttivo (IAS 2, par. 8). Ne consegue che le rimanenze possono comprendere merci acquistate da un dettagliante e possedute per la rivendita, o terreni e altri beni immobili posseduti per la rivendita. Le rimanenze comprendono anche prodotti finiti o semilavorati realizzati dall’entità; includono, infine, materiali e forniture di beni destinati a essere impiegati nel processo produttivo. Le rimanenze devono essere valutate al minore tra il costo e il valore netto di realizzo. Il loro costo deve comprendere tutti i costi di acquisto, i costi di trasformazione e gli altri costi sostenuti per portare le rimanenze nel luogo e nelle condizioni attuali. Lo stesso princìpio definisce: il valore netto di realizzo è il prezzo di vendita stimato nel normale svolgimento dell’attività al netto dei costi stimati di completamento, nonché di quelli stimati necessari per realizzare la vendita; il fair value (valore equo) è il corrispettivo al quale un’attività potrebbe essere scambiata, o una passività estinta, in una libera transazione fra parti consapevoli e disponibili. Nota bene Lo IAS 2 (par. 2) esclude dal concetto di “rimanenze”: - i lavori in corso derivanti da lavori su ordinazione, inclusi i contratti di servizi direttamente connessi; - gli strumenti finanziari; - le attività biologiche connesse ad attività agricole e prodotti agricoli al momento del raccolto. Sono inoltre escluse dalla valutazione prevista da questo princìpio le rimanenze possedute da: produttori agricoli e forestali, di prodotti agricoli dopo il raccolto; commercianti-intermediari in merci che valutano le loro rimanenze al fair value (valore equo) al netto dei costi di vendita (par. 3). 1.4.1 Valutazione delle rimanenze in base agli IAS In base allo IAS 2 (par. 9), le rimanenze devono essere valutate al minore tra il costo e il valore netto di realizzo. Sempre in base a questo princìpio (par. 10), il costo delle rimanenze deve comprendere tutti i costi di acquisto, i costi di trasformazione e gli altri costi sostenuti per portare le rimanenze nel luogo e nelle condizioni attuali. I costi di acquisto delle rimanenze comprendono il prezzo di acquisto, i dazi di importazione e altre tasse (escluse quelle che l’entità può successivamente recuperare dalle autorità fiscali), gli altri costi direttamente attribuibili all’acquisto di prodotti finiti, materiali e servizi. Sono individuate le seguenti classi di rimanenze: merci, prodotti in corso di lavorazione, materie prime, materie sussidiarie, materie di consumo, prodotti finiti. 4 © Cesi Multimedia Capitolo 1 – Normativa civilistica I costi di trasformazione delle rimanenze includono i costi direttamente correlati alle unità prodotte, come il lavoro diretto. Essi comprendono anche una ripartizione sistematica dei costi generali di produzione fissi e variabili che sono sostenuti per trasformare le materie prime in prodotti finiti (par. 12). Secondo i princìpi contabili internazionali (IAS 2, par. 6) le rimanenze di beni sono: a) posseduti per la vendita nel normale svolgimento dell’attività; b) impiegati nei processi produttivi per la vendita; e c) sotto forma di materiali o forniture di beni da impiegarsi nel processo di produzione o nella prestazione di servizi. Il valore netto di realizzo è il prezzo di vendita stimato nel normale svolgimento dell’attività al netto dei costi stimati di completamento, nonché di quelli stimati necessari per realizzare la vendita. Il fair value (valore equo) è il corrispettivo al quale un’attività potrebbe essere scambiata, o una passività estinta, in una libera transazione fra parti consapevoli o disponibili. Il valore netto di realizzo fa riferimento all’importo netto che l’entità si aspetta di realizzare dalla vendita delle rimanenze nel normale svolgimento dell’attività. Il valore netto di realizzo per le rimanenze può non essere uguale al fair value al netto dei costi di vendita (par. 7). Le rimanenze comprendono merci acquistate e possedute per la rivendita e includono, per esempio, merci acquistate da un dettagliante e possedute per la rivendita, o terreni e altri beni immobili posseduti per la rivendita. Le rimanenze comprendono, inoltre, prodotti finiti o semilavorati realizzati dall’entità e includono materiali e forniture i beni destinati a essere impiegati nel processo produttivo. Nel caso di un fornitore di servizi, le rimanenze includono i costi del servizio, per il quale l’entità non ha ancora rilevato il relativo ricavo (par. 8). Nota bene Il fair value (valore equo) è il corrispettivo al quale un’attività potrebbe essere scambiata, o una passività estinta, in una libera transazione fra parti consapevoli o disponibili I costi di acquisto delle rimanenze comprendono il prezzo di acquisto, i costi direttamente attribuibili all’acquisto (dazi di importazione, costi di trasporto, ecc.). Il costo di acquisto delle rimanenze (“costs of purchase”) è quantificato considerando i seguenti componenti: il costo di acquisto dei beni e gli altri costi direttamente attribuibili: i dazi d’importazione e altri tributi senza rivalsa; le spese di trasporto (incluse quelle per il trasporto presso gli stabilimenti di produzione dell’acquirente, se il contratto di acquisto non contiene clausole FOB-Free On Board, che implicano la consegna dei beni a bordo della nave nel porto di partenza (incluse le spese necessarie per la spedizione. Da quel momento, tutte le spese, i rischi, sono a carico dell’acquirente). Il princìpio IAS 2 (par. 6) definisce anche: il valore netto di realizzo, che rappresenta il prezzo di vendita stimato nel normale svolgimento dell’attività al netto di costi previsti di completamento, nonché di quelli valutati come necessari per realizzare la vendita; il fair value (valore equo), che esprime il corrispettivo al quale un’attività potrebbe essere scambiata, o una passività estinta, in una libera transazione fra parti consapevoli e disponibili. Nota bene Lo IAS 2 (par. 11) chiarisce che gli sconti commerciali, resi e altre voci simili sono dedotti nella determinazione dei costi d’acquisto. Tra le voci “simili” sono compresi anche gli sconti per pagamento “pronta cassa” effettivamente conseguiti. I costi di trasformazione (“costs of conversion”) concretizzano i costi sostenuti dalla società nel processo di trasformazione delle materie prime in prodotti finiti. Lo IAS 2 (par. 12-14) distingue i seguenti costi di trasformazione: costi diretti di produzione; costi indiretti (generali). © Cesi Multimedia 5 Capitolo 1 – Normativa civilistica I costi diretti di produzione sono costi speciali che vengono attribuiti ai singoli prodotti o processi mediante la quantificazione della quantità impiegata e la sua valorizzazione. I costi speciali sono quei costi che sono connessi ad un oggetto attraverso una relazione esclusiva di funzionalità1. I costi indiretti comprendono: 1) tutti i costi comuni; 2) i costi speciali che il management non ritiene conveniente imputare direttamente. Lo IAS 2 (par. 12) ripartisce i costi generali di produzione in fissi e variabili. I primi sono quei costi indiretti di produzione che rimangono relativamente costanti al variare del volume della produzione (ammortamenti, manutenzioni di stabilimenti e macchinari, costi della direzione tecnica ed amministrativa). I costi generali variabili di produzione sono quei costi indiretti di produzione che variano, direttamente (o quasi), con il volume della produzione (materiali e manodopera indiretta). L’attribuzione dei costi generali fissi di produzione ai costi di trasformazione si basa sulla normale capacità produttiva. Questa rappresenta la produzione che si prevede di realizzare in media durante un numero di esercizi o periodi stagionali in circostanze normali, tenendo conto della perdita di capacità derivante dalla manutenzione pianificata. Può essere utilizzato il livello effettivo di produzione qualora questo approssimi la normale capacità produttiva. L’ammontare di costi generali fissi attribuito a ciascuna unità prodotta non aumenta in conseguenza di una bassa produzione o inattività degli impianti (IAS 2, par. 13). Lo IAS 2 chiarisce che: a) negli esercizi in cui si verificano cali di produzione o inattività degli impianti, l’importo di costi generali fissi attribuito a ciascuna unità prodotta non varia nei confronti del valore definito in relazione alla normale capacità produttiva. Questo implica che nei periodi in cui si realizzano livelli produttivi inferiori alla normale capacità produttiva, i costi indiretti di produzione sono attribuiti ai singoli prodotti in modo costante, senza considerare i minori volumi produttivi rispetto agli altri periodi; Nota bene L’ammontare di costi generali fissi attribuito a ciascuna unità prodotta non aumenta in conseguenza di una bassa produzione o inattività degli impianti. Le spese generali non attribuite sono rilevate come costo nell’esercizio in cui esse sono sostenute. b) negli esercizi in cui la produzione risulta insolitamente elevata, l’attribuzione dei costi indiretti attribuiti a ciascuna unità prodotta deve essere effettuata in misura ridotta, affinché il valore delle rimanenze non sia determinato in misura superiore al costo. 1.5 Valutazione e contabilizzazione secondo la legislazione civile L’art. 2426, n. 9, c.c., chiarisce che «Le rimanenze, i titoli e le attività finanziarie che non costituiscono immobilizzazioni sono iscritti al costo di acquisto o di produzione, calcolati secondo il n. 1) ovvero al valore di realizzo desumibile dall’andamento del mercato, se minore; tale minore valore non può essere mantenuto nei successivi bilanci se ne sono venuti meno i motivi. I costi di distribuzione non possono essere computati nel costo di produzione». Questo criterio, conforme al princìpio della valutazione prudenziale, si fonda sul fatto che quando l’utilità iniziale di un bene si riduce, è necessario rimodulare il suo valore a quello di mercato. Il costo storico è costituito dal complesso dei costi sostenuti per conseguire la proprietà delle rimanenze. Per valore di realizzazione desumibile dall’andamento del mercato, ai fini della valutazione delle rimanenze, si intende, come disciplina generale: il costo di sostituzione per le materie prime e sussidiarie, che vengono impiegate nella fabbricazione di prodotti finiti: il valore netto di realizzazione delle merci, i prodotti finiti, i semilavorati e i prodotti in corso di lavorazione. ------------------------------------------1 V. Antonelli, R. d’Allessio, Tecniche di analisi dei costi, IPSOA, 2005. 6 © Cesi Multimedia Capitolo 1 – Normativa civilistica Per costo di sostituzione si intende il costo con il quale in normali condizioni di gestione una determinata voce in magazzino può essere acquistata o riprodotta. Il costo di sostituzione dei materiali e dei prodotti acquistati si determina sulla base dell’acquisto effettuato in normali circostanze. Il valore netto di realizzazione viene definito come il prezzo di vendita effettuato nella normale gestione, al netto dei presunti costi di completamento e dei costi diretti di vendita (ad esempio, le provvigioni, i costi di trasporto e di imballaggio, ecc.). L’art. 2426, comma 1, n. 10, c.c., stabilisce che il costo dei beni fungibili può essere calcolato col metodo della media ponderata o con quelli: “primo entrato, primo uscito” oppure: “ultimo entrato, primo uscito”; se il valore così ottenuto differisce in misura apprezzabile dai costi correnti alla chiusura dell’esercizio, la differenza deve essere indicata, per categoria di beni, nella nota integrativa. 1.5.1 Alcuni aspetti operativi in base alla normativa nazionale La valutazione delle rimanenze rappresenta un aspetto importante nella determinazione del reddito e del capitale di funzionamento. Nel sistema contabile delle scritture, le rimanenze finali rappresentano lo storno, parziale o totale, necessario per rinviare al futuro esercizio il costo di acquisizione e/o produzione di beni non ancora venduti o utilizzati, rappresentati dalle rimanenze di esercizio. Il procedimento di valutazione delle rimanenze finali assume lo scopo di “separare” i risultati economici in corso di formazione fra l’esercizio in chiusura e quello successivo. Gli acconti Tale voce, in base all’art. 2424 c.c., viene classificata nella classe C.I.5 e include le somme corrisposte ai fornitori prima della consegna dei relativi beni. Sostanzialmente, l’acconto determina il sorgere di un credito dell’impresa nei confronti dei suoi fornitori. Tuttavia, l’acconto non viene rilevato separatamente fra i valori dei crediti, ma è correlato al bene per il quale è stato corrisposto. Esempio Un’impresa ha pagato a un fornitore, mediante bonifico bancario una somma di euro 1.000 + IVA del 22% a titolo di anticipo per acquisto di materie prime. Scritture contabili Diversi SP C.I.5 Acconti a fornitori SP C.II.5 bis IVA a credito a SP C.IV.1 Banca c/c 1.220 1.000 220 1.6 Valutazione delle rimanenze di magazzino in base ai princìpi nazionali Il princìpio contabile nazionale OIC 13 (versione dicembre 2016) chiarisce che le rimanenze di magazzino rappresentano beni destinati alla vendita o che concorrono alla loro produzione nella normale attività della società (par. 4). In particolare, le principali tipologie di rimanenze di magazzino disciplinate sono: le materie prime (compresi i beni acquistati e soggetti ad ulteriori processi di trasformazione (semilavorati di acquisto); le materie sussidiarie e di consumo (materiali utilizzati indirettamente nella produzione); i prodotti in corso di lavorazione (parti e assiemi in fase di avanzamento); i semilavorati (parti finite di produzione interna, destinati ad essere utilizzati in un successivo processo produttivo; le merci (beni acquistati per la rivendita); i prodotti finiti. Da quanto esposto le rimanenze di magazzino sono costi imputabili a beni ancora in giacenza che si rinviano al futuro esercizio in quanto si possono recuperare tramite i ricavi di futuri periodi. Il criterio generale di valutazione delle rimanenze può essere inteso nel modo che segue: “Le rimanenze di magazzino devono essere valutate al minore tra costo storico ed il valore di mercato”. L’assioma del minore tra costo storico (o prezzo di costo) e prezzo di mercato è basato sulla teoria che allorquando l’utilità o la funzionalità originaria misurata dal valore (costo) originario si riduca, è necessario modificare questo valore mediante quello di mercato. La valutazione © Cesi Multimedia 7 Capitolo 1 – Normativa civilistica delle rimanenze di magazzino comporta perciò il riesame dei costi originari o comunque risultanti da precedenti valutazioni allo scopo di escludere quei costi che non potranno essere recuperati. Tale princìpio si applica a tutte le rimanenze di magazzino (materie prime, sussidiarie e di consumo, semilavorati e prodotti in corso di lavorazione, merci e prodotti finiti). Gli stessi criteri di valutazione si applicano a tutte le voci di magazzino, a prescindere dalla loro dislocazione fisica. Le rimanenze si espongono nel conto economico comprendendo nel valore della produzione le variazioni delle rimanenze di prodotti in corso di lavorazione, semilavorati e finiti, mentre le variazioni delle rimanenze di materie prime, sussidiarie, di consumo e merci sono comprese nei costi della produzione (art. 2425 c.c.). Normalmente il passaggio del titolo di proprietà, da un punto di vista sostanziale e non solo formale, determina l’inclusione o meno dei beni nelle rimanenze di magazzino ad una certa data. Pertanto, le rimanenze includono i beni destinati alla vendita o che concorrono alla loro produzione nella normale attività dell’impresa (voce A.1 dello stato patrimoniale; art 2424 c.c.). Il princìpio in esame segnala che le rimanenze di magazzino sono costi imputabili a beni ancora in giacenza che si rinviano al futuro esercizio in quanto si possono recuperare tramite i ricavi di futuri periodi. Il criterio generale di valutazione delle rimanenze può essere inteso nel modo che segue: “Le rimanenze di magazzino devono essere valutate al minore tra costo storico ed il valore di mercato”. L’assioma del minore tra costo storico (o prezzo di costo) e prezzo di mercato è basato sulla teoria che allorquando l’utilità o la funzionalità originaria misurata dal valore (costo) originario si riduca, è necessario modificare questo valore mediante quello di mercato. La valutazione delle rimanenze di magazzino comporta perciò il riesame dei costi originari o comunque risultanti da precedenti valutazioni allo scopo di escludere quei costi che non potranno essere recuperati. Tale princìpio si applica a tutte le rimanenze di magazzino (materie prime, sussidiarie e di consumo, semilavorati e prodotti in corso di lavorazione, merci e prodotti finiti). Gli stessi criteri di valutazione si applicano a ciascuna delle voci di magazzino, a prescindere dalla loro dislocazione fisica. 1.6.1 Criteri di valutazione delle rimanenze di magazzino in base ai princìpi nazionali Il criterio generale di valutazione delle rimanenze, secondo i postulati del bilancio d’esercizio, è quello del sistema contabile a valori storici. Le rimanenze di magazzino sono costi imputabili a beni ancora in giacenza che si rinviano al futuro esercizio in quanto si possono recuperare tramite i ricavi di futuri periodi. Il princìpio generale di valutazione delle rimanenze può essere inteso nel modo che segue: “Le rimanenze di magazzino devono essere valutate al minore tra costo di acquisto o produzione e il valore di realizzazione desumibile dal mercato” (art. 2426, n. 9, c.c.); (OIC 13, par. 40). La valutazione delle rimanenze si effettua automaticamente per ciascuna categoria di elementi che compongono la voce nel rispetto del dettato del comma 1 dell’art. 2423-bis, c.c., che al n. 5 dispone quanto segue: “gli elementi eterogenei ricompresi nelle singole voci devono essere valutati separatamente”. Come norma generale, la quantificazione del costo di acquisto è il costo specifico che presuppone l’individuazione e l’attribuzione alle singole unità fisiche dei costi specificatamente sostenuti per le unità medesime (OIC 13, par. 43). L’assioma del minore tra costo storico (o prezzo di costo) e prezzo di mercato è basato sulla teoria che allorquando l’utilità o la funzionalità originaria misurata dal valore (costo) originario si riduca, è necessario modificare questo valore mediante quello di mercato. La valutazione delle rimanenze di magazzino comporta perciò il riesame dei costi originari o comunque risultanti da precedenti valutazioni allo scopo di escludere quei costi che non potranno essere recuperati. Questo princìpio si applica a tutte le rimanenze di magazzino (materie prime, sussidiarie e di consumo, semilavorati e prodotti in corso di lavorazione, merci e prodotti finiti). Gli stessi criteri di valutazione si applicano a ciascuna delle voci di magazzino, a prescindere dalla loro dislocazione fisica. La valutazione delle rimanenze implica l’attribuzione alle singole unità fisiche dei costi specificatamente sostenuti per le stesse unità. Tale attribuzione quasi sempre è attuabile, a causa dell’entità delle singole voci che compongono le rimanenze e della loro velocità di rotazione. Per questo motivo si presume che il flusso di rimanenze e quello dei relativi costi di materiali venga unitariamente quantificato con criteri alternativi di determinazione del valore da iscrivere in bilancio. Il costo storico coincide con il costo di acquisto per i prodotti destinati alla rivendita e con il costo di fabbricazione per i prodotti trasformati. Il costo di fabbricazione include i costi diretti e quelli indiretti industriali stimati tenendo conto di una capacità produttiva normale. 8 © Cesi Multimedia Capitolo 1 – Normativa civilistica Gli oneri finanziari sono compresi nel costo di produzione solamente nelle ipotesi in cui tale onere è sostenuto in corrispondenza di specifici beni che richiedono processi produttivi di durata ultrannuale. In particolare, gli oneri finanziari sono di norma esclusi dalla determinazione del costo delle rimanenze. La capitalizzazione degli oneri finanziari è ammessa solo con riferimento a beni che richiedono un periodo di produzione significativo. Il limite della capitalizzazione degli oneri finanziari è rappresentato dal valore realizzabile del bene desumibile dall’andamento del mercato (OIC 13, par. 39). Il costo delle materie prime, sussidiarie e di consumo, compreso il costo delle merci, in quanto beni fungibili, può essere calcolato, oltre che a costi specifici, col metodo del costo medio ponderato o con quelli “primo entrato, primo uscito” oppure “ultimo entrato, primo uscito” (art. 2426, comma 1, n. 10, c.c.). Secondo l’OIC 13 (par. 45) i criteri ammessi per valorizzare le rimanenze sono: specifica identificazione del costo; primo entrato, primo uscito (FIFO), (first-in, first out: gli acquisti o le produzioni più remote sono i primi venduti). In base a tale metodo si assume che le quantità acquistate o prodotte in epoca più remota esprimano le prime ad essere vendute o utilizzate nella produzione; per tale motivo rimangono in magazzino le quantità relative agli acquisti o alle produzioni più recenti (OIC 13, par. 45); costo medio ponderato. Secondo tale metodo si presume che il costo di ciascun bene in rimanenza sia uguale alla media ponderata del costo degli analoghi beni presenti in magazzino all’inizio dell’esercizio e del costo di simili beni acquistati o prodotti durante l’esercizio: praticamente, per il calcolo della media ponderata hanno rilevanza le rimanenze iniziali e i beni acquistati o prodotti nell’esercizio. Le vendite sono “scaricate” dal magazzino al costo medio ponderato preso a riferimento per il calcolo (par. 45); ultimo entrato, primo uscito (LIFO). Tale metodo, denominato last-in, first out, è fondato sul fatto che gli acquisti o le produzioni più recenti sono i primi ad essere venduti. In altri termini, le quantità acquistate o prodotte più recentemente sono le prime ad essere vendute od utilizzate nella produzione; per cui restano in magazzino le quantità inerenti agli acquisti o alle produzioni più remote (par. 45). La determinazione dei costi con i menzionati criteri, di norma, viene effettuata per singola voce di magazzino (beni distintamente identificabili). La valutazione per categorie omogenee, per natura e valore, è accettabile se il raggruppamento risponde a una logica economico-tecnica e non provoca effetti distorsivi. In base al princìpio generale, che implica una uniformità di metodo, la medesima configurazione di costo (LIFI, FIFO, media ponderata) deve essere utilizzata per tutte le classi che compongono le rimanenze di magazzino. È possibile adottare diversi criteri di valutazione per le diverse classi di rimanenze se la natura delle rimanenze o la diversificazione dell’attività produttiva aziendale lo giustifichi. I criteri di valutazione devono essere adottati con costanza nel tempo. In pratica, le tecniche sopra indicate possono essere utilizzate se i risultati si accostano al costo effettivo delle rimanenze (OIC 13, par. 46). I costi standard si approssimano al costo effettivo delle rimanenze quando vengono considerati livelli normali di efficienza e di capacità produttiva e sono regolarmente sottoposti a revisione e riveduti in considerazione delle condizioni effettive del momento (par. 47). Il metodo del prezzo al dettaglio si avvicina al costo effettivo delle rimanenze quando si prendono in considerazione grandi quantità di beni soggetti a rapido rigiro con margini di importo simile e per le quali è estremamente difficile l’adozione di altri metodi. Il costo delle rimanenze viene determinato detraendo dal valore di vendita delle rimanenze una adeguata percentuale di margine lordo (par. 48). Il metodo del valore costante si applica alle materie prime, sussidiarie e di consumo qualora siano costantemente rinnovate e complessivamente di scarsa rilevanza rispetto all’attivo di bilancio. Tale criterio si accosta al costo effettivo delle rimanenze quando non si verificano variazioni rilevanti nei confronti dell’entità, valore e composizione di tali rimanenze (par. 49). Rilevazione rimanenze iniziali e finali Esempio Un’impresa, all’inizio di un esercizio, ha imputato al conto economico le rimanenze di materie prime rilevate nel bilancio precedente per un valore uguale a 37.500 euro. A fine esercizio il valore delle rimanenze finali risulta pari a euro 80.000. Rilevazione delle rimanenze iniziali CE B.11 Variazione materie prime © Cesi Multimedia a SP C.1.1 Materie prime 37.500 9 Capitolo 1 – Normativa civilistica Rilevazione delle rimanenze finali SP C.1.1 Materie prime a CE B.11 Variazione materie prime 80.000 1.6.2 Valutazione delle rimanenze detenute all’estero Le rimanenze detenute all’estero e valorizzate in divisa estera presso filiali o magazzini devono essere convertite in valuta nazionale al momento dell’acquisto o di carico nella contabilità di magazzino al cambio del giorno. L’ubicazione delle rimanenze di magazzino in un paese diverso dall’Italia non rappresenta un caso eccezionale che possa consentire di derogare ai princìpi contabili generali. Se l’acquisto di beni avviene all’estero ma rimangono in deposito presso una filiale o un magazzino esteri dell’impresa acquirente, al momento del ricevimento della fattura emessa dal fornitore tali beni si devono valorizzare in euro. Se è previsto che tali beni verranno venduti all’estero, la determinazione del valore di mercato di fine esercizio dovrà avvenire convertendo la valuta estera in euro al cambio di fine esercizio. Se i beni vengono prodotti in Italia e trasportati presso una filiale estera per essere venduti, la valutazione delle giacenze a fine esercizio avverrà secondo i princìpi generali, utilizzando il cambio di fine esercizio. Nell’ipotesi di vendita di beni o servizi con contratti a termine, la prestazione è differita ma il prezzo è già fissato. Se in sede di valutazione di fine esercizio il costo originario risulta superiore al valore netto di realizzo desunto dall’andamento di mercato, non si devono effettuare svalutazioni dei beni quando il prezzo stabilito in contratto è comunque superiore al costo incrementato degli oneri di vendita ancora da sostenere. 1.6.3 Acquisto di materie prime effettuate da un fornitore americano Un’impresa acquista materie per un costo di dollari USA 22.500. La merce viene spedita. Al momento della redazione della bolletta doganale, il cambio €/$ è di 1,02. Lo spedizioniere anticipa l’IVA e i dazi doganali; emette fattura per le spese di trasporto pari a euro 750, diritti doganali uguali a euro 675 e IVA anticipata sui beni, comprese spese di trasporto per euro 750. Alla data di estinzione del debito il cambio €/$ è di 1,05. Quantificazione. Controvalore in euro all’atto dell’acquisto: euro 1:dollari 1,02 = x : 22.500; x = euro (22.500x1/1,02) 22.058,82, arrotondato a 22.059. Importo IVA: 22.058,82 x 22% = 4.852,94. Totale importo dovuto allo spedizioniere euro 6.277,94. Differenza cambi al momento dell’estinzione del debito: 22.500/1,05 = 21.428,57 Differenza positiva: 22.058,82 – 21.428,57 = euro 630,25 Scritture contabili Merci c/acquisti a Fornitori esteri a Fornitori 22.058,82 Ricevimento fattura spedizioniere Diversi Spese di trasporto Dazi e diritti doganali IVA a credito 6.277,94 750 675 4.852,94 Pagamento fornitore Fornitori esteri a Diversi Banca c/c Utili su cambi 22.058,82 21.428,57 630,25 1.7 Costo d’acquisto e di produzione Per costo storico si intende, secondo l’OIC 13 (par. 6), il complesso di costi sostenuti per conseguire la proprietà delle rimanenze di magazzino nel loro attuale sito e condizione. 10 © Cesi Multimedia Capitolo 1 – Normativa civilistica Questo princìpio individua, sostanzialmente, due tipologie di costi: il costo di acquisto, per le merci acquisite per la rivendita e per i materiali diretti e indiretti da destinare successivamente alla trasformazione (aI netto di resi, sconti, abbuoni e premi, che si portano in diminuzione dei costi sostenuti. Gli sconti segnalati sono quelli commerciali. Gli sconti di cassa, ottenuti all’atto del pagamento della fattura, sono iscritti nel conto economico nella voce C16 “altri proventi finanziari” a causa della loro natura finanziaria (par. 21). Secondo l’OIC 13 (par. 22), nell’ipotesi in cui il pagamento sia differito rispetto alle normali condizioni di mercato, i beni sono iscritti in bilancio al valore corrispondente al debito, determinato in base all’OIC 19 “Debiti” (criterio del costo ammortizzato); il costo di fabbricazione, per i prodotti già trasformati (prodotto finiti e semilavorati) e per i materiali ancora in corso di trasformazione industriale. 1.7.1 Costo di produzione I costi di produzione sono quantità congetturali che possono essere impiegate: 1) in alcuni processi di determinazione quantitativa; 2) nei processi di decisione; 3) nell’attività di controllo. Finalità del primo tipo sono, ad esempio, le seguenti: a) la valutazione delle rimanenze di esercizio; b) la misurazione del risultato economico d’esercizio; c) la determinazione del comportamento dei costi in determinate alternative di gestione (ossia, la misurazione di costi differenziali); d) l’osservazione degli scostamenti fra costi preventivo- standard e costi consuntivi2. Il costo di produzione include i costi diretti e quelli indiretti industriali, stimati tenendo conto di una capacità produttiva normale, sostenuti nel corso della produzione e necessari per portare le rimanenze di magazzino nelle condizioni e nel luogo a cui sono destinate, per la quota ragionevolmente imputabile al prodotto relativa al periodo di fabbricazione e fino al momento dal quale il bene può essere utilizzato. Con gli stessi criteri possono essere aggiunti gli oneri relativi alla fabbricazione, interna o presso terzi (OIC 13, par. 23). Nota bene Sono esclusi i costi di distribuzioni, ai sensi dell’art. 2426, comma 1, n. 9, c.c. Gli oneri tipici di produzione possono essere distinti in: a) costi diretti: materiali utilizzati, compreso i costi di trasporto; manodopera diretta, comprensiva degli oneri accessori; imballaggi, servizi direttamente riferibili al processo produttivo; licenze produttive, ecc.; b) costi generali di produzione: ‒ stipendi, salari e relativi oneri riguardanti la manodopera indiretta e costi della direzione tecnica dello stabilimento; ‒ ammortamenti di beni materiali e immateriali che contribuiscono alla produzione; ‒ manutenzioni e riparazioni, materiali di consumo, altri costi effettivamente sostenuti durante la fabbricazione (manutenzione esterna, servizi di vigilanza, ecc.). Le spese generali di produzione da prendere in considerazione ai fini della valutazione delle rimanenze di magazzino sono quelle necessarie per porre le rimanenze nel loro attuale stato e sito. Appartengono ai costi generali di produzione quei costi non direttamente imputabili ai prodotti (OIC 13, par. 25). Le spese generali di produzione vengono distribuite sui prodotti normalmente utilizzando percentuali prefissate basate su un volume previsto di spese in relazione ad un livello normale previsto di produzione, ovvero sulla base di dati consuntivi. I parametri di ripartizione che possono essere utilizzati ai fini dell’attribuzione dei costi generali comuni sono (a titolo esemplificativo): a) le ore di mano d’opera; b) il costo della mano d’opera diretta; c) le ore macchina; d) il costo primo (materiale diretto, manodopera diretta), ecc. I costi generali della produzione possono essere sia fissi che variabili (OIC 13, par. 26). I primi esprimono costi indiretti di produzione che rimangono abbastanza costanti al variare del volume di produzione (ammortamenti, manutenzione di stabilimenti e macchinari, costi della direzione tecnica dello stabilimento), (OIC 13, par. 26). I secondi sono quei costi che variano in base al volume di produzione (materiali e manodopera indiretti)3. ------------------------------------------2 Cfr., V. Coda, I costi di produzione, Giuffrè Editore, Milano, 1968. I costi variabili possono essere progressivi o degressivi. Un esempio di costi progressivi è dato dalla mano d’opera diretta in caso di ricorso al lavoro straordinario, dal momento che la retribuzione oraria comporta un aumento nell’incidenza unitaria dei costi variabili. Una fattispecie 3 © Cesi Multimedia 11 Capitolo 1 – Normativa civilistica I costi generali fissi di produzione sono assegnati a ciascuna unità produttiva secondo la normale capacità produttiva. Tale capacità rappresenta la produzione che si prevede di realizzare mediamente durante un numero di esercizi o periodi stagionali in condizioni normali, tenendo conto della perdita di capacità derivante dalla manutenzione pianificata (OIC 13, par. 28). In altri termini, è necessario tenere presente della capacità produttiva normale degli impianti. L’obiettivo dell’utilizzo della capacità produttiva normale è quello di caricare a spese di periodo il costo della capacità non utilizzata. La capacità produttiva normale rappresenta la potenzialità (in molti casi espressa in ore dirette) dell’impianto a produrre con ragionevoli livelli di efficienza indipendentemente dalla disponibilità degli ordini. Solitamente, la capacità produttiva risulta inferiore alla capacità massima teorica in quanto da essa devono essere detratti i tempi dei fermi per riparazione, indisponibilità di materiali o mano d’opera, altre cause di interruzione non prevedibili, ecc. Nella ripartizione dei costi generali fissi può essere utilizzato il livello effettivo di produzione qualora questo si accosti alla normale capacità produttiva. L’importo dei costi generali fissi assegnato a ciascuna unità produttiva non deve aumentare in conseguenza di una ridotta produzione o inattività degli impianti. In effetti, nell’ipotesi in cui, per vari motivi, non si raggiunga lo sfruttamento della capacità produttiva normale di un impianto, la ripartizione dei costi generali fissi di produzione sulla base di un livello effettivo di produzione inferiore ai livelli normali di un determinato impianto, provocherebbe, nell’attribuzione alle rimanenze di magazzino, maggiori costi dovuti al mancato utilizzo della capacità produttiva normale. Tali maggiori costi non attribuiti ai prodotti in rimanenza sono rilevati come costi dell’esercizio (OIC 13, par. 29). Nel caso di utilizzo della capacità produttiva oltre il livello considerato normale, la ripartizione dei costi generali fissi sui prodotti viene effettuata in base alla capacità produttiva effettiva, per evitare che il valore delle rimanenze risulti superiore al costo sostenuto (par. 30). I costi generali variabili di produzione sono attribuiti a ciascuna unità prodotta in base al livello effettivo di produzione. Nota bene La teoria neoclassica dei costi di produzione afferma che un impianto produttivo è utilizzato in modo ottimale quando (in un diagramma cartesiano) la curva del costo medio variabile interseca quella del costo marginale (massima produttività marginale) e contemporaneamente la curva del costo medio totale attraversa la curva dei costi marginali (costi sostenuti per produrre unità aggiuntive). I costi sono configurati ad U a causa della produttività marginale decrescente dei fattori produttivi (capitale e lavoro). Tale teoria contempla la possibilità di una dimensione minima efficiente dell’impianto, ossia, la quantità di output che permetta all’impresa di massimizzare il profitto, anche se non definisce i confini dimensionali dell’impresa4. 1.7.2 Definizione economica di costi diretti e indiretti, fissi e variabili I costi diretti e indiretti (nella definizione economico-aziendale) indicano: i primi, quei costi che posseggono la possibilità di misurare oggettivamente il consumo di un fattore produttivo e la convenienza a effettuare questa misurazione; i secondi sono attribuiti ai vari prodotti in base a parametri soggettivi. Sostanzialmente, un costo è diretto quando esistono nello stesso tempo: la possibilità di misurare oggettivamente il consumo di un fattore produttivo; la convenienza ad effettuare tale misurazione. Tale distinzione equivale a un’altra (più appropriata) in base alla quale la suddivisione avviene fra: costi speciali, la cui misurazione viene effettuata in modo oggettivo; costi comuni, assegnati con tecniche soggettive. I costi speciali possono essere diretti e indiretti; quelli comuni sono sempre indiretti. Secondo tale approccio, non tutti i costi speciali sono praticamente disciplinati come tali. Qualche volta, la loro misurazione risulta estremamente dispendiosa in relazione all’effettiva utilità che si può ottenere. Per tale motivo, vengono contabilizzate come i costi comuni: ripartiti soggettivamente. Ad esempio, l’energia elettrica che alimenta vari strumenti operativi, potrebbe essere oggettivamente ripartita con più precisione mediante l’installazione di un contatore per ogni macchinario (centro di costo), ma risulta meno costoso utilizzarne solo uno. Dipende quindi dalla natura del costo ------------------------------------------di costi degressivi è fornita dagli acquisti di materie prime con sconti di quantità, che provocano riduzioni del costo unitario di acquisto al raggiungimento dei quantitativi minimi richiesti per fruire dei benefici economici previsti. I costi variabili totali sono rappresentati, in un diagramma cartesiano, da una retta con coefficiente angolare uguale a: y = ax; coefficiente angolare che esprime l’angolo di inclinazione ovvero la reattività con cui i costi reagiscono a variazioni di volume (indicati nell’asse delle ascisse). 4 Cfr., Ravazzi, Calderini, Neirotti, Paolucci, Rondi, L’impresa, il Mulino, 2007. 12 © Cesi Multimedia Capitolo 1 – Normativa civilistica per essere imputato “direttamente” al prodotto in lavorazione. Le spese generali di fabbricazione vengono imputate al prodotto o alla commessa sulla base di un adeguato coefficiente di ripartizione. Per tale motivo vengono definite indirette nei confronti del prodotto o della commessa. Inoltre, i costi di produzione possono essere distinti in fissi o variabili. Ciò deriva dal fatto che il loro importo possa mutare o meno al variare delle quantità. L’impresa sostiene costi fissi e costi variabili di produzione. I costi variabili (materie prime, semilavorati, energia) variano in misura proporzionale con la produzione, i costi fissi (impianti, macchinari, immobili) non dipendono dal livello di output e sono sostenuti anche per livelli nulli di output. Dato il vincolo della capacità produttiva installata, con l’aumentare delle quantità prodotte, i costi variabili totali aumentano, ma i costi fissi totali rimangono costanti, causando la diminuzione del costo medio. Oltre un certo livello di produzione, aumentare (o intensificare) l’utilizzo dei fattori produttivi, restando inalterata la tecnologia produttiva, implica aumenti di costi dovuti alla produttività marginale decrescente dei fattori (in particolare del lavoro, per affaticamento crescente e diseconomie organizzative nella produzione). Nel breve periodo (lasso di tempo sufficientemente breve in cui almeno un fattore di produzione è fisso) la produzione può essere aumentata solo usando più fattori variabili. Nel lungo periodo (periodo di tempo sufficientemente lungo affinché tutti gli input possano essere variati) tutti i costi d’impresa diventano variabili. Pertanto, i costi fissi riguardano la struttura dell’impresa, e manifestano i costi sostenuti per conseguire i fattori produttivi occorrenti per realizzare i volumi di attività programmata. In relazione alle modalità in cui i costi si manifestano o si potranno sostenere, si può utilizzare una ulteriore distinzione: costi effettivi: sono concretizzati dall’osservazione diretta (abbastanza reale) della determinazione quantitativa del valore; costi medi: non rappresentano valori effettivi, ma determinati con riferimento a valori medi di consumo dei fattori produttivi e di prezzi; costi alternativi: denominati anche costi opportunità, ossia, costi che esprimono la quantità di altri beni o servizi cui occorre rinunciare per ottenere un determinato fattore produttivo; il costo opportunità esprime un’alternativa alla realtà di circoscritti mercati dei fattori produttivi. Un esempio di questi costi può essere quello dei costi standard: costi che si dovrebbero verificare in condizioni di efficienza aziendale; costi pieni e costi variabili: alla formazione dei primi concorrono anche i costi costanti (comuni), che, invece, vengono esclusi dai secondi. Il codice civile non specifica i criteri da adottare per enucleare i costi indiretti “ragionevolmente” imputabili. A tal fine soccorrono i princìpi contabili nazionali. 1.8 Determinazione del valore di realizzazione desunto dall’andamento del mercato Il valore di realizzazione desumibile dall’andamento del mercato delle materie prime e sussidiarie, delle merci, dei prodotti, semilavorati e prodotti in corso di lavorazione è uguale alla stima del prezzo di vendita delle merci e dei prodotti finiti nel corso della normale gestione, avuto riguardo alle informazioni desumibili dal mercato, al netto dei presunti costi di completamento e dei costi diretti di vendita (esempio: provvigioni, trasporti, imballaggio, ecc.). Per la determinazione del valore di realizzazione desumibile del mercato, sarà necessario tenere conto, tra l’altro, del tasso di obsolescenza e dei tempi di rotazione del magazzino (OIC 13, par. 51). Nota bene L’indice di rotazione degli stock di magazzino esprime il numero di volte in cui, nel periodo considerato, avviene il loro rinnovo totale, permettendo all’impresa di recuperare le risorse finanziarie investite nelle scorte. Ad esempio, un’elevata rotazione degli articoli indica che le scorte nel corso dell’anno sono rimaste in magazzino per un periodo limitato: l’impresa è così riuscita a recuperare rapidamente i mezzi finanziari impiegati per l’acquisto. Al contrario, una lenta rotazione è segnale di un rallentamento delle vendite. Se le rilevazioni di magazzino sono tenute a quantità fisiche (non applicabile a grandi quantità), l’indice di rotazione è ottenuto dal seguente rapporto: quantità scaricate/consistenza media di magazzino. In presenza di ordini di vendita confermati con prezzo prefissato, si utilizza tale prezzo per la determinazione del valore realizzabile desumibile dall’andamento del mercato delle relative rimanenze presenti in magazzino. Per questo motivo, le quantità in giacenza relative a ordini di vendita confermati con prezzo prefissato, devono essere valutate al costo, nonostante un declino dei prezzi desumibili dall’andamento del mercato. Questa conclusione è dovuta al fatto che sia ragionevolmente certo che i prezzi concordati saranno rispettati. Diversamente, le © Cesi Multimedia 13 Capitolo 1 – Normativa civilistica giacenze dovranno essere svalutate fino al valore di realizzo desumibile dal mercato (al pari delle altre rimanenze di quel bene presenti in magazzino); (OIC 13, par. 52). Le materie prime e sussidiarie che partecipano alla fabbricazione di prodotti finiti non sono oggetto di svalutazione, se si stima che i prodotti finiti nei quali saranno incorporate potranno essere oggetto di realizzazione per un valore pari o superiore al costo di produzione del prodotto finito. Tuttavia, quando una diminuzione nel prezzo delle materie prime e sussidiarie segnala che il costo dei prodotti finiti eccede il valore netto di realizzazione desumibile dall’andamento del mercato dei prodotti finiti, le materie prime e sussidiarie sono svalutate fino al valore netto di realizzazione. In tali circostanze, il prezzo di mercato delle materie prime e sussidiarie può rappresentare la migliore stima disponibile del loro valore netto di realizzazione desumibile dall’andamento di mercato (par. 53). 1.9 Rettifiche di valore Quando il valore di realizzazione desumibile dall’andamento del mercato è minore del relativo valore contabile, le rimanenze devono essere svalutate (par. 54). Nell’ipotesi in cui il costo di una voce di magazzino venga ridotto al valore di realizzazione desumibile dal mercato, tale valore diventa il nuovo costo per quella voce ai fini delle successive operazioni contabili. Ciò implica la perdita dei precedenti strati per le rimanenze valutate con i metodi LIFO e FIFO. Se vengono meno, in tutto o in parte, i presupposti della svalutazione a causa dell’aumento del valore di realizzazione desumibile dal mercato, la rettifica di valore effettuata viene annullata nei limiti del costo originariamente sostenuto (OIC 13, par. 56). 1.10 Applicazione costante dei metodi utilizzati nella valutazione delle rimanenze di magazzino Secondo l’OIC 13 (par. 57) l’uniformità di metodo (ad esempio, LIFO, FIFO, costo medio ponderato) nella valutazione del magazzino è condizione essenziale per una corretta determinazione dei risultati dell’esercizio. Le rimanenze finali si valutano con gli stessi metodi impiegati per le rimanenze iniziali. Nei casi eccezionali in cui si modifichi il criterio di valutazione (ad esempio, dal costo LIFO a quello FIFO) si quantifica l’effetto di tale cambiamento. La modifica di metodo per la determinazione del costo dei beni fungibili in rimanenza costituisce un cambiamento di princìpi contabili (OIC 29). 1.11 Nota integrativa Le società che redigono il bilancio in forma ordinaria devono indicare, nella nota integrativa, le seguenti informazioni relative alle rimanenze: 1) “i criteri applicati nella valutazione delle voci di bilancio, nelle rettifiche di valore e nella conversione dei valori non espressi in origine in moneta avente corso legale nello Stato”; 4) “le variazioni intervenute nella consistenza delle altre voci dell’attivo e del passivo…”; 8) “l’ammontare degli oneri finanziari imputati nell’esercizio ai valori iscritti nell’attivo dello stato patrimoniale, distintamente per ogni voce”; 9) “L’importo complessivo degli impegni, delle garanzie e delle passività potenziali non risultanti dallo stato patrimoniale, con indicazione della natura delle garanzie reali prestate, gli impegni esistenti in materia di trattamento di quiescenza e simili, nonché gli impegni assunti nei confronti di imprese controllate, collegate nonché controllanti e imprese sottoposte al controllo di quest’ultime sono distintamente indicati”. Con riferimento alle informazioni previste dall’art. 2427, n. 1, all’atto di descrivere i criteri applicati alla valutazione delle rimanenze, la società indica, tra l’altro, i criteri adottati per la svalutazione al valore di realizzazione desumibile dall’andamento del mercato, e del conseguente effetto sul conto economico (OIC 13, par. 59). Riguardo alle informazioni di cui al n. 9 dell’art. 2427, la nota integrativa deve fornire eventuali gravami esistenti sulle rimanenze (ad esempio, pegno, ipoteca, patto di riservato dominio, ecc.); (par. 60). L’art. 2423, comma 4, c.c., prevede che: “Non occorre rispettare gli obblighi in tema di rilevazione, valutazione, presentazione e informativa quando la loro osservanza abbia effetti irrilevanti al fine di dare una rappresentazione veritiera e corretta”. Esempi di applicazione del princìpio generale della rilevanza con riguardo alla determinazione del costo delle rimanenze sono: l’utilizzo del metodo dei costi standard, del prezzo al dettaglio, oppure del valore costante delle materie prime, sussidiarie e di consumo. 14 © Cesi Multimedia Capitolo 1 – Normativa civilistica L’art. 2426, n. 10, c.c., prevede che: “il costo dei beni fungibili può essere calcolato col metodo della media ponderata o con quelli: ‘primo entrato, primo uscito’ o: ‘ultimo entrato, primo uscito’; se il valore così ottenuto differisce in misura apprezzabile dai costi correnti alla chiusura, la differenza deve essere indicata, per categorie di beni, nella nota integrativa”. 1.12 Informazioni relative alle società che redigono il bilancio in forma abbreviata Ai sensi dell’art. 2435-bis c.c., le società che redigono il bilancio in forma abbreviata devono fornire nella nota integrativa: “i criteri applicati nella valutazione delle voci del bilancio, nelle rettifiche di valore e nella conversione dei valori non espressi all’origine in moneta avente corso legale nello Stato” (art. 2427, comma 1, n. 1); “l’ammontare degli oneri finanziari imputati nell’esercizio ai valori iscritti nell’attivo dello stato patrimoniale, distintamente per ogni voce” (art. 2427, comma 1, n. 8); “l’importo complessivo degli impegni, delle garanzie e delle passività potenziali non risultanti dallo stato patrimoniale, con indicazione della natura delle garanzie reali prestate” (art. 2427, comma 1, n. 9); “Non occorre rispettare gli obblighi in tema di rilevazione, valutazione, presentazione e informativa quando la loro osservanza abbia effetti irrilevanti al fine di dare una rappresentazione veritiera e corretta. Rimangono fermi gli obblighi in tema di regolare tenuta delle scritture contabili. Le società illustrano nella nota integrativa i criteri con i quali hanno dato attuazione alla presente disposizione (art. 2423, comma 4). Nel rispetto dell’art. 2435-bis c.c., la nota integrativa delle società che redigono il bilancio in forma abbreviata indica: – nel caso di svalutazione delle rimanenze, le informazioni richieste al par. 59; nel caso dell’esistenza di gravami sulle rimanenze, le informazioni richieste al par. 60 (par. 64). 1.13 Costi non imputabili alle rimanenze Come già segnalato, nell’ipotesi in cui non si raggiunga lo sfruttamento della capacità produttiva, i maggiori costi non attribuiti ai prodotti in rimanenza sono rilevati come costi d’esercizio (OIC 13, par. 29). Il costo relativo al mancato utilizzo della capacità produttiva normale rispecchia le condizioni di svolgimento dell’esercizio in cui si è verificato e quindi è un componente negativo di reddito che è di competenza dell’esercizio medesimo e non differito. In altri termini, la valutazione del magazzino, per quanto concerne l’imputazione dei costi generali fissi, si effettua tenendo presente che la porzione di costo da imputare è funzione dello sfruttamento della capacità normale. Vengono pertanto esclusi dai costi di produzione quelli di natura eccezionale o anomali (trasferimento di un impianto da uno stabilimento ad un altro, che non fa parte della struttura produttiva, riparazioni eccezionali, ecc.), (par. 32). I costi generali ed amministrativi, dal momento che non costituiscono oneri specificatamente sostenuti per la produzione, sono afferenti a funzioni comuni della gestione d’impresa e come tali essi rappresentano componenti negativi del reddito dell’esercizio in cui sono rilevati. I costi di distribuzione manifestano una fase successiva alla produzione. Pure i costi di ricerca e di sviluppo sono generalmente esclusi (compreso i relativi ammortamenti) dal costo di produzione (par. 34). Le spese di ricerca (da non confondere con quelle di progettazione sostenute per specifici ordini della clientela che rappresentano costi di commessa) non sono comprese nel costo di magazzino dal momento che non sono correlate con tale costo. Nota bene Sono esclusi dalla valutazione delle rimanenze i costi generali ed amministrativi, i costi di ricerca e di sviluppo e i costi di distribuzione. Secondo lo IAS 2 (par. 16) vengono esclusi dal costo delle rimanenze i seguenti costi: anomali importi di materiali di scarto, lavoro o altri costi di produzione; costi di magazzinaggio, a meno che tali costi siano necessari nel processo di produzione prima di un ulteriore stadio di lavorazione; spese generali amministrative che non contribuiscono a portare le rimanenze nel luogo e nelle condizioni attuali; e spese di vendita. © Cesi Multimedia 15 Capitolo 1 – Normativa civilistica 1.14 Oneri finanziari Gli oneri finanziari sono generalmente esclusi dalla quantificazione del costo delle rimanenze. La capitalizzazione degli oneri finanziari è possibile solo con riferimento a beni che necessitano di un periodo di produzione notevole. In sostanza, l’arco temporale di riferimento, ai fini della capitalizzazione degli oneri finanziari, risulta essere quello strettamente necessario alle attività tecniche. Il limite della capitalizzazione degli oneri finanziari è rappresentato dal valore realizzabile del bene desumibile dall’andamento del mercato. Il passaggio dalla capitalizzazione degli oneri finanziari all’imputazione diretta a conto economico di tali oneri (o viceversa) costituisce un cambiamento di princìpio contabile, regolato dall’OIC 29 (OIC 13, par. 39). La capitalizzazione degli oneri finanziari è ammessa solo con riferimento a beni che richiedono un periodo di produzione significativo (ad esempio, per la maturazione o per l’invecchiamento); (par. 39). La capitalizzazione degli oneri come parte del costo di un bene deve iniziare quando: si stanno sostenendo i costi per l’ottenimento del bene; si stanno sostenendo gli oneri finanziari; e sono in corso le attività necessarie per predisporre il bene per il suo utilizzo previsto o per la vendita. È possibile iscrivere ad incremento del costo degli immobili merce gli interessi sostenuti durante il processo di costruzione del bene. Per l’attribuzione ai beni degli interessi passivi capitalizzabili, il par. 39 dell’OIC 13 rinvia a quanto stabilito dall’OIC 16 (par. 42), che disciplina la capitalizzazione degli interessi passivi nel valore di iscrizione delle immobilizzazioni materiali, il quale consente la capitalizzazione degli interessi passivi “sostenuti per capitali presi a prestito specificatamente per l’acquisizione di immobilizzazioni”. In quest’ultimo caso è necessario che vi sia evidente causalità tra finanziamento e processo produttivo del bene. Ne consegue che la capitalizzazione degli interessi passivi nel valore delle rimanenze di immobili “merce” è possibile nella misura in cui sia agevolmente comprovabile la inerenza dei finanziamenti all’esecuzione dell’opera. In particolare: la capitalizzazione degli oneri finanziari è ammessa con riguardo ad oneri effettivamente sostenuti, oggettivamente determinabili, entro il limite del valore recuperabile del bene. L’importo degli oneri finanziari capitalizzati durante un esercizio non può quindi eccedere l’ammontare degli oneri finanziari, al netto degli eventuali proventi finanziari derivanti dall’investimento temporaneo dei fondi presi a prestito, riferibili alla realizzazione del bene e sostenuti con riferimento allo stesso esercizio (OIC 16, par. 42); nella misura in cui i fondi sono presi a prestito specificatamente per finanziare la costruzione di un bene (c.d. finanziamento di scopo), e quindi costituiscono costi direttamente imputabili al bene, l’ammontare degli oneri finanziari capitalizzabili su quel bene deve essere determinato in base agli effettivi oneri finanziari sostenuti per quel finanziamento durante l’esercizio, dedotto ogni provento finanziario derivante dall’investimento temporaneo di quei fondi. Tali oneri sono capitalizzabili entro il limite del valore recuperabile del bene. Nella proporzione in cui si renda necessario utilizzare fondi presi a prestito genericamente, l’importo degli oneri finanziari maturati su tali fondi è capitalizzabile nei limiti della quota attribuibile alle produzioni in corso. Tale importo è determinato applicando ai costi sostenuti un tasso di capitalizzazione corrispondente alla media ponderata degli oneri finanziari relativi ai finanziamenti in essere durante l’esercizio, diversi dai finanziamenti ottenuti specificatamente allo scopo di acquisire un bene che giustifica una capitalizzazione. 1.14.1 Capitalizzazione degli oneri finanziari Esempio 1 La società Y produce un bene la cui maturazione avviene dopo qualche anno. Durante il periodo di maturazione si sono sostenuti i seguenti pagamenti nei confronti dei fornitori: Data di pagamento 1/3/esercizio X 1/6/esercizio X 1/2/esercizio X1 1/5/esercizio X1 Totali 16 Importi euro 7.400 3.750 1.875 1.800 14.825 © Cesi Multimedia Capitolo 1 – Normativa civilistica Natura dei finanziamenti Anno di pagamento Specifico Generico Totali Importi euro Esercizio X € 4.490 € 1.500 € 5.990 Tasso di interesse applicato 6% 5% Dal momento che esistono i presupposti richiesti per la capitalizzazione, è necessario calcolare la media dei costi sostenuti durante l’esercizio, e quantificare il costo medio ponderato. Data di pagamento 1/3/esercizio X 1/6/esercizio X Totali Importi euro Periodi 7.400 3.750 11.150 mesi 3 mesi 6 Costo di produzione ponderato 2.700 1.875 5.575 Per il calcolo degli oneri finanziari da capitalizzare si devono considerare i finanziamenti specifici (di scopo). Successivamente si prendono in considerazione i finanziamenti generici fino all’importo dato dal costo medio ponderato (come sopra quantificato). Finanziamento Specifico Specifico Generico Totali Costo di produzione ponderato 2.700 1.875 1.000 5.575 Tasso interesse 6% 6% 5% Interessi capitalizzabili € 162,00 € 112,50 € 50,00 324,50 Scritture contabili relative all’esercizio X CE C17 Interessi passivi a SP C Banca c/c 324,50 SP Rimanenze prodotti finiti a CE A.2 Variazioni rimanenze in corso 324,50 Nota bene Non sono capitalizzabili gli oneri finanziari relativi a beni che prevedono un lungo periodo di produzione causato da fatti esterni all’azienda come calamità naturali, scioperi, ecc. In queste ipotesi gli oneri finanziari devono imputarsi a conto economico come costo. Quando si decide di capitalizzare gli oneri finanziari, la capitalizzazione deve essere applicata in modo costante. 1.14.2 Aspetti contabili Gli oneri finanziari che sono stati imputati nell’esercizio ai valori delle rimanenze devono essere indicati nella voce del Conto economico C.17) “Interessi ed altri oneri finanziari, con separata indicazione di quelli verso imprese controllate e collegate e verso controllanti”, (OIC 12). Di conseguenza, si deve addebitare il conto interessi passivi (voce C.17 del Conto economico) durante l’esercizio per l’importo pagato e rilevare l’incremento del costo dei prodotti in lavorazione causato dal sostenimento degli interessi passivi in contropartita di un accredito del conto rimanenze finali (A.2 del CE). Qualora il valore contabile o il costo finale atteso del bene che giustifica una capitalizzazione ecceda il suo valore recuperabile o il valore netto di realizzo ottenibile dalla vendita, il valore contabile deve essere svalutato. L’attribuzione dei costi generali fissi di produzione ai costi di trasformazione viene basata sulla normale capacità produttiva. Questa rappresenta la produzione che si prevede di realizzare in media durante un numero di esercizi o periodi stagionali in circostanze normali, tenendo conto della perdita derivante dalla manutenzione pianificata. Può essere utilizzato il livello effettivo di produzione qualora questo approssimi la normale capacità produttiva (OIC 13, par. 28). Nel caso di utilizzo della capacità oltre il livello considerato normale, la ripartizione © Cesi Multimedia 17 Capitolo 1 – Normativa civilistica dei costi indiretti sui prodotti avviene sulla base della capacità produttiva effettiva, al fine di evitare che il valore delle rimanenze risulti superiore al costo sostenuto (OIC 13, par. 30). Nota bene In base al princìpio contabile IAS 2 (par. 13) l’attribuzione dei costi generali fissi di produzione e dei costi di trasformazione si basa sulla normale capacità produttiva. Questa rappresenta la produzione che si prevede di realizzare in media durante un numero di esercizi o periodi stagionali in circostanze normali, tenendo conto della perdita di capacità derivante dalla manutenzione pianificata. Può essere utilizzato il livello effettivo di produzione qualora questo approssimi la normale capacità produttiva. L’ammontare di costi generali fissi attribuito a ciascuna unità prodotta non aumenta in conseguenza di una bassa produzione o inattività degli impianti. Le spese generali non attribuite sono rilevate come costo nell’esercizio nel quale esse sono sostenute. Negli esercizi nei quali il livello di produzione è insolitamente alto, l’ammontare dei costi generali fissi attribuiti a ciascuna unità prodotta è diminuito in modo che il valore delle rimanenze non sia determinato in misura superiore al costo. I costi generali variabili di produzione sono attribuiti a ciascuna unità prodotta sulla base dell’utilizzo effettivo degli impianti di produzione. 1.14.3 Contributi in conto esercizio L’OIC 13, in modo innovativo, introduce la disciplina dei contributi in conto esercizio finalizzati all’acquisto di materie prime. Nella valutazione delle rimanenze, i contributi in conto esercizio acquisiti a titolo definitivo sono portati in deduzione al costo di acquisto dei beni in rimanenza (OIC 13, par. 42). In tal modo, la valutazione delle rimanenze consente di sospendere e di rinviare i costi effettivamente sostenuti, cioè al netto dei contributi ricevuti. I contributi in conto esercizio manifestano sovvenzioni erogate dallo Stato o da altri enti pubblici, finalizzati ad integrare i ricavi oppure coprire determinati costi di gestione. I contributi in conto esercizio sono indicati: in modo separato nella voce A5 “altri ricavi e proventi”, (art. 2425 c.c.); i costi sostenuti per gli acquisti di materie prime, sussidiarie, di consumo e merci sono rilevati tra i costi di produzione, alla voce B6, al lordo dei contributi in conto esercizio ricevuti per tali fattori produttivi; la variazione delle rimanenze di materie prime, semilavorati e prodotti finiti deve essere indicata nelle voci B11 “variazioni delle rimanenze di materie prime, sussidiarie, di consumo e merci” ovvero in quella A2 “variazioni delle rimanenze di prodotti in corso di lavorazione, semilavorati e finiti, al netto dei contributi ricevuti”. Dal momento che l’OIC 13 si riferisce ai “contributi in conto esercizio acquisiti a titolo definitivo”, possono essere contabilizzati anche i contributi per i quali vi è stata la definitiva decisione (certezza giuridica) per l’erogazione, ma che non sono stati ancora incassati. Qualora il contributo in conto esercizio sia stato disposto ma non sia ancora comunicato all’impresa entro l’esercizio, è necessario rilevare tale contributo al momento dell’effettivo incasso. Contabilmente sono dei ricavi; essi vanno imputati nel bilancio di esercizio per competenza, indipendentemente dalla effettiva percezione, quando esiste la certezza giuridica di avere diritto al contributo. I contributi di esercizio, qualora erogati in relazione alla produzione, influiscono sulla valutazione. Risulta necessario tenerne conto nel calcolo del costo di produzione dei prodotti per la valutazione delle rimanenze. Rappresentano contributi in conto esercizio pure quelli in conto interessi, correlati all’innovazione, alla formazione del personale, alla ricostruzione. Tali contributi dovrebbero piuttosto essere rappresentati, nella rilevazione contabile, fra i componenti finanziari del risultato economico, da classificare correttamente alla voce C.17 del conto economico (in detrazione degli “Oneri finanziari”). Nell’ipotesi in cui i contributi in conto interessi fossero certi giuridicamente in successivi esercizi al sostenimento dei costi, tali componenti dovrebbero essere classificati fra gli “Altri proventi finanziari” (rigo.16.d, del conto economico). Fiscalmente, i contributi in esame esprimono ricavi d’esercizio (art. 85, d.P.R. 917/1986), da rilevare per competenza, a prescindere dall’effettiva percezione. Nota bene I princìpi contabili internazionali precisano, nello IAS 20, che il metodo di contabilizzazione più adatto per i contributi pubblici in conto esercizio deve fare riferimento al criterio della correlazione temporale. Se il contributo ha lo scopo di compensare determinati costi sostenuti dall’impresa, deve essere imputato al conto economico nello stesso esercizio nel quale sono stati contabilizzati i costi citati. Se i costi sono stati rilevati in esercizi precedenti, il contributo deve essere imputato subito al conto economico. 18 © Cesi Multimedia Capitolo 1 – Normativa civilistica Esempio Un’impresa ha acquistato materie per euro 37.500. Le rimanenze finali risultano uguali a 15.000. L’impresa ha ricevuto un contributo per euro 5.625. Tale importo dovrà essere portato in diminuzione delle rimanenze. Rilevazioni contabili Costi per acquisto merci a Banca c/c 37.500 Ricevuta comunicazione dell’avvenuta erogazione del contributo Crediti vs. enti pubblici a Contributo in c/esercizio 5.625 Rilevazione delle rimanenze, ottenute dal seguente calcolo (15.000 – 5.625) = 9.375 Rimanenze di prodotti finiti a Variazioni delle rimanenze 9.375 Nota bene La valutazione delle rimanenze prende in considerazione gli effettivi esborsi monetari sostenuti dall’impresa per l’acquisto dei fattori produttivi, cioè al netto dei contributi conseguiti. 1.15 Attività produttiva ridotta Nelle ipotesi di sotto-produzione o sovra-produzione tali livelli non possono essere considerati per effettuare la ripartizione delle spese generali. Di conseguenza, l’ammontare dei costi generali fissi attribuito a ciascuna unità prodotta non aumenta in conseguenza di una ridotta attività produttiva o inattività degli impianti. Le spese generali non attribuite sono rilevate come costo nell’esercizio nel quale esse sono sostenute. Negli esercizi nei quali il livello di produzione è alto più del normale, l’importo dei costi generali fissi assegnati a ciascuna unità prodotta deve essere diminuito in modo che il valore delle rimanenze non venga determinato in misura superiore al costo. I costi generali variabili di produzione sono attribuiti a ciascuna unità prodotta sulla base dell’utilizzo effettivo degli impianti. Lo scopo dell’utilizzo della capacità produttiva normale per l’imputazione dei costi indiretti al costo dei prodotti ottenuti consiste nel rilevare come costo di periodo quello della capacità produttiva inutilizzata, senza che questa venga imputata ai costi di produzione. Infatti, i costi dovuti alle inefficienze produttive, se imputate al costo dei prodotti, verrebbero differite agli esercizi successivi (attraverso il valore delle rimanenze) e non verrebbero evidenziate nel conto economico dell’esercizio. Lo IAS 2 indica le modalità operative da seguire nell’ipotesi di produzioni non conformi alla capacità produttiva. Vengono richiamate le seguenti situazioni: negli esercizi in cui si verificano cali di produzione o inattività degli impianti, l’ammontare di costi generali fissi attribuito a ciascuna unità prodotta non aumenta rispetto alla normale capacità produttiva. Nei periodi in cui si realizzano livelli produttivi inferiori alla normale capacità produttiva, i costi indiretti sono imputati ai singoli prodotti in maniera costante, senza tenere conto dei minori livelli produttivi. Poiché questi costi non aumentano in maniera unitaria, una parte dei costi effettivamente sostenuti viene imputata a conto economico nell’esercizio in cui vengono sostenuti. Esempio 1 Un’impresa presenta i seguenti elementi produttivi: Piena capacità produttiva annuale ore di lavoro normale capacità produttiva annuale ore di lavoro numero effettivo annuale di ore di lavoro costi fissi totali di produzione costi indiretti variabili di produzione unità prodotte in un anno rimanenze iniziali unità di prodotti numero di unità vendute nell’esercizio rimanenze finali unità di prodotti © Cesi Multimedia 20.000 14.000 12.000 euro 3.000 euro 6.000 10.000 2.000 11.000 3.000 19 Capitolo 1 – Normativa civilistica Gli OH fissi di produzione vengono imputati (su base unica) in rapporto alle ore di lavoro svolte durante la normale capacità di produttiva: 3.000/14.000 = 0,21 h; coefficiente unitario di assorbimento dei costi fissi. Ne consegue che i costi fissi di produzione imputati alle unità prodotte sono: 0,21 x 10.000 = 2.100. La parte rimanente (10.000 – 2.100) 7.900 viene imputata come componente negativo di reddito al Conto economico. L’imputazione dei costi indiretti variabili di produzione viene effettuata in base alle unità prodotte: 6.000/10.000 = 0,6; coefficiente unitario di assorbimento. Nota bene L’imputazione dei costi fissi di produzione non è stata incrementata, nonostante una minore produzione effettiva. Esempio 2 Il centro produttivo di un’impresa ha sostenuto, oltre ai costi diretti (costi speciali – materie prime, manodopera diretta – attribuiti ai centri di produzione o ai prodotti mediante misurazione oggettiva; costi denominati anche diretti, se esiste la convenienza a effettuarne la misurazione), anche costi indiretti (o comuni, i quali vengono assegnati attraverso una ripartizione sempre soggettiva) per euro 36.000 (forza motrice, ammortamenti, costi generali di produzione, ecc.), per realizzare una produzione industriale (misurabile mediante la contabilità analitica per assorbimento, la quale esclude i costi indiretti di periodo, che non riguardano la fase lavorativa). La capacità potenziale teorica di produzione nel breve periodo (lasso di tempo durante il quale rimane inalterata la struttura produttiva) è di 10.000 ore lavorative annue. La capacità normale è di ore 9.000. Le ore effettive sono state pari a 6.000. I costi fissi unitari ripartiti in base alle varie capacità produttive sono: capacità potenziale teorica: 36.000/10.000 = 3,60 capacità normale: 36.000/9.000 = 4,00 capacità effettiva: 36.000/6.000 = 6,00 Le rimanenze a fine esercizio sono state ottenute con una produzione che ha richiesto un numero di ore lavorative pari a 3.000. Esempio 3 Un’impresa ha rilevato durante un periodo produttivo i seguenti dati di produzione: Piena capacità produttiva capacità produttiva normale numero ore di lavoro annue effettuate nel periodo costi generali di produzione numero di unità in rimanenza all’inizio dell’esercizio totale unità prodotte nell’esercizio totale unità vendute nell’esercizio totale unità in rimanenza a fine esercizio 20.000 ore-lavoro in un anno 12.000 18.000 8.000 5.000 17.000 17.400 4.600 Per la valutazione delle rimanenze viene usato il criterio FIFO. Tasso di assorbimento delle spese generali di produzione: 8.000/12.000 = 0,66 per ora. Il management deve pertanto allocare alle rimanenze le spese generali per un importo pari a 0,66 ad ora. Ogni unità in giacenza viene prodotta in ore 0,94 (17.000 ore di lavoro/18.000 unità prodotte). Le spese generali di produzione che vengono contabilizzate e imputate alle rimanenze sono uguali a: numero di unità in giacenza a fine esercizio x numero ore di lavoro per unità x tasso di assorbimento = 4.600 x 0,94 x 0,66 = 2.853 La parte rimanente dei costi generali di produzione (8.000 – 2.853), pari a 5.147, è contabilizzata come costo nel conto economico dell’esercizio. La produzione effettiva è stata superiore alla normale capacità produttiva. 20 © Cesi Multimedia Capitolo 1 – Normativa civilistica Esempio 4 Un’impresa ha una capacità produttiva normale in 10.000 unità all’anno. Al termine dell’esercizio X la quantità effettivamente prodotta risulta di 9.000 unità. I costi indiretti di produzione sono stati i seguenti: costi indiretti fissi di produzione (programmazione produzione) euro 10.500 costi indiretti fissi di produzione (ammortamenti impianti industriali) euro 26.400 costi indiretti fissi di produzione (manutenzioni impianti) euro 7.500 L’imputazione dei costi fissi ai singoli prodotti avviene sulla base della normale capacità produttiva. Attribuzione dei costi fissi di produzione: programmazione: euro 10.500/10.000 = euro 1.05 per unità; ammortamenti: euro 26.400/10.00 = euro 2,64; manutenzioni: euro 7.500/10.000 = euro 0,75 per unità Attribuzione dei costi fissi di produzione in base alla produzione effettiva: programmazione: euro 1,05 x 9.000 = euro 9.450; ammortamenti: euro 2,64 x 9.000 = euro 23.760; manutenzioni: 0,75 x 9.000 = euro 6.750. Da quanto esposto, parte dei costi fisi di produzione non sono stati attribuiti; precisamente: costi di programmazione (10.500 – 9.450) = euro 1.050; di ammortamento (26.400 – 23.760) = euro 2.640; di manutenzione: (7.500 – 6.750) = euro 750. Tali costi devono essere imputati a Conto Economico (IAS 2, par. 13). Nell’esercizio X1 si è verificato un aumento della domanda (a causa di una diminuzione dei prezzi di vendita: domanda elastica). Ciò ha indotto l’impresa ad incrementare l’offerta. La produzione effettiva è risultata di 10.800. L’attribuzione ai singoli prodotti dei costi indiretti deve essere effettuata in base alla maggiore produzione realizzata, per evitare che il valore delle rimanenze venga determinato ad un valore superiore al costo. Pertanto, i costi indiretti fissi per ogni unità prodotta devono essere imputati nel modo che segue: 10.500/10.800 = euro 0,97 per ogni unità prodotta; 26.400/10.800 = euro 2,44 per ogni unità prodotta; 7.500/10.800 = euro 0,69 per ogni unità prodotta. Nota bene Con la valutazione delle rimanenze in rapporto alla produzione effettiva (rimanenze che esprimono costi sospesi) si rinvierebbero al futuro esercizio dei costi indiretti, i quali concorrerebbero, attraverso un maggiore valore delle rimanenze finali (appostate fra gli output del conto economico), a incrementare l’utile dell’esercizio in corso. 1.16 Metodi di determinazione del costo ai fini della valutazione delle rimanenze di magazzino Modifiche apportate in tema di valutazione. Ai fini della determinazione del costo delle rimanenze, l’OIC 13 prevede tre diversi metodi alternativi al LIFO, FIFO e costo medio ponderato. Questi metodi sono: il metodo dei costi standard, il metodo del prezzo al dettaglio e il metodo del valore costante. Trattasi di esempi di applicazione del princìpio della rilevanza economica ai sensi dell’art. 2423, comma 4, c.c. La nuova versione del princìpio si limita a precisare le condizioni di utilizzo di tali metodi e la connessione esistente tra l’utilizzo di questi criteri e il princìpio di rilevanza. Ne deriva che: per il metodo dei costi standard, l’irrilevanza va riferita al costo effettivo di produzione; in seguito a tale fatto, il costo effettivo delle rimanenze è determinato con i metodi generali (LIFO, FIFO, o costo medio ponderato); per il metodo del prezzo al dettaglio, l’irrilevanza dipende direttamente dal verificarsi di circostanze individuate (grandi quantità di beni, rapido rigiro del magazzino, margini di guadagno abbastanza simili) al verificarsi delle quali non solo i metodi generali sarebbero di difficile e costosa applicazione, ma sarebbe inutile perché il metodo del prezzo al dettaglio definisce correttamente il costo effettivo delle rimanenze; per il metodo del valore costante delle materie prime, sussidiarie e di consumo, l’irrilevanza nei confronti dei metodi generali, in quanto tale metodo è consentito quando il costo d’acquisto è costante. A queste condizioni si aggiungono quelle individuate dallo stesso princìpio al paragrafo 49, (OIC 13, par. 6). © Cesi Multimedia 21 Capitolo 1 – Normativa civilistica In particolare, l’OIC 13 (par. 45) prevede quattro metodi di valutazione: costo specifico (può essere adottato solamente se le voci delle rimanenze non sono intercambiabili); FIFO (first in, first out); LIFO (last in, first out); costo medio ponderato. La valutazione delle rimanenze di magazzino normalmente presuppone l’individuazione e l’attribuzione alle singole unità fisiche dei costi specificamente sostenuti per le unità medesime. Spesso ciò non è possibile a causa dell’entità delle rimanenze e della loro velocità di rotazione. Pertanto, dal punto di vista pratico, vengono effettuate delle assunzioni sul flusso delle rimanenze e dei costi cui corrispondono criteri alternativi (ad esempio, utilizzando il criterio del process costing, che trova ampia applicazione nei processi di produzione continui: i costi unitari sono riferiti a un dato intervallo di tempo e rapportati alle quantità prodotte, mediante la formula: Cu=Ct/Q; costi unitari=Costi totali/Quantità prodotte). Nota bene I metodi esposti producono, nell’ipotesi di stabilità dei prezzi, risultati similari; in periodi di prezzi ascendenti o discendenti, al contrario, provocano normalmente risultati economici diversi. 1.17 Aspetti operativi Esempio di attribuzione dei costi diretti e indiretti mediante il job costing L’impresa Alfa realizza due commesse non standardizzate, nei reparti di produzione Y1 e Y2. Il costo delle materie prime è di 10 euro per Kg; il costo del lavoro diretto è di 30 euro per ora di lavoro. I costi indiretti (Over Heads: OH) sono variabili (costo del lavoro per manutenzione impianti) per euro 1000 e fissi (ammortamento impianti) per euro 600. Totale costi indiretti: 1.600. Gli OH di produzione sono connessi non al singolo prodotto, ma all’attività di produzione complessiva svolta in un certo intervallo di tempo. Gli OH variabili dipendono dalla quantità prodotta (costo del lavoro per supervisione, costi per energia, ecc.); quelli fissi non derivano dalla quantità prodotta (ammortamenti immobilizzazioni industriali, canoni leasing e affitto di beni capitali utilizzati per la produzione, costi assicurativi del capitale investito in attività produttive, ecc.). I costi unitari di produzione nei reparti sono: Costi Reparto Y1 Materie prime 30 kg Lavoro diretto (MOD) 15 h Reparto Y2 20 kg 20 h Attribuzione, mediante coefficienti di impiego, dei costi diretti nei due reparti. Costi Reparto Y1 Reparto Y2 Materie prime (30x10)=300 (20x10)=200 Costo MOD (15x30)=450 (20x30)=600 Gli OH di produzione utilizzati dai due reparti sono: Reparto Y1 OH 900 Y2 700 I costi indiretti vengono ripartiti in base ai costi di manodopera diretta attribuita ad ogni lotto (job). OH del reparto Y1: 1.600 x 450/(450+600) OH del reparto Y2: 1.600 x 600/(450+600) Totale costo indiretti 22 = 686 = 914 1.600 © Cesi Multimedia Capitolo 1 – Normativa civilistica Costi di produzione dei due reparti: Fattori produttivi Materie prime Manodopera diretta Costi indiretti Costi pieni (full costing)5 Reparto Y1 Reparto Y2 euro 300 euro 450 euro 686 euro 1.436 euro 200 euro 600 euro 914 euro 1.714 Il modello illustrato è un sistema di costo per processo industriale a commessa. Con questo sistema i costi vengono accumulati per un lotto di una o più voci prodotte o unità di servizio reso. Il principale aspetto del sistema per commessa è che i costi sono identificati per ciascun ordine o lotto. Questo sistema di costo viene utilizzato nelle produzioni in cui i costi possono essere identificati per prodotto. Il materiale e la mano d’opera vengono registrati a commessa sulla base dei costi effettivi sostenuti, sebbene possano adottarsi degli standard di quantità e costo del materiale e di ore e costo della mano d’opera. Le spese generali di produzione vengono imputate a commessa sulla base delle percentuali prefissate rapportate alle ore di mano d’opera diretta, al costo della mano d’opera, alle ore macchina, ecc. Nell’ipotesi in cui la commessa si riferisca a diverse unità che verranno prodotte in modo frazionato nel tempo, il costo delle unità già prodotte si determina sulla base dei preventivi di costo, medie, e stime di costo a completamento. Le commesse consentono di comparare i costi di vari ordini, di giudicarne la redditività e di fornire alcuni elementi validi per approntare i futuri preventivi. I costi accumulati alla commessa si analizzano per effettuare dei controlli sui medesimi e per individuare gli sprechi e le cause di anomalie. I preventivi utilizzati per tali commesse devono essere correntemente aggiornati. 1.18 Metodi di determinazione del valore delle rimanenze Le rimanenze sono valutate in bilancio al minore tra il costo di acquisto o produzione e il valore di realizzazione desumibile dal mercato (art. 2426, n. 9, c.c. Tale criterio è coerente con un approccio tradizionale alle valutazioni e quindi con il concetto che, allorquando l’utilità o la funzionalità originaria misurata dal valore (costo) originario si riduce, si rende necessario modificare tale valore tramite il valore di realizzazione desumibile dal mercato. Per valore di realizzazione desumibile dall’andamento di mercato si intende la stima del prezzo di vendita delle merci e dei prodotti nel corso della normale gestione (al netto dei costi di completamento e dei costi diretti di vendita (OIC 13, par. 9). La valutazione delle rimanenze si effettua autonomamente per ciascuna categoria di elementi che compongono la voce. La valutazione delle rimanenze di magazzino comporta inoltre il riesame dei valori risultanti da precedenti valutazioni per tenere conto di eventuali successive rettifiche di valore. Il metodo generale per la determinazione del costo dei beni è il costo specifico. Questo metodo identifica i singoli beni acquistati ed i relativi costi ed è adottato nei casi in cui le voci delle rimanenze non sono intercambiabili. L’art. 2426, n. 10, c.c., prevede che “Il costo dei beni fungibili può essere calcolato col metodo della media ponderata o con quelli ‹primo entrato, primo uscito›; o ‹ultimo entrato, primo uscito›; se il valore così ottenuto differisce in misura apprezzabile dai costi correnti alla chiusura dell’esercizio, la differenza deve essere indicata, per categoria di beni, nella nota integrativa”. Pertanto, il costo delle rimanenze di magazzino di beni fungibili può essere determinato alternativamente con i seguenti metodi: metodo del costo medio ponderato, criterio del costo LIFO, metodo del costo FIFO. 1.18.1 Metodo del costo medio ponderato Il costo medio ponderato prende in considerazione le unità di un bene acquistato o prodotto a date diverse ed a diversi costi come facenti parte di un insieme, in cui i singoli acquisti e le singole produzioni non sono più identificabili ma sono tutti ugualmente disponibili. Con questo metodo si livellano i movimenti nei prezzi quando esiste differenza tra i prezzi più recenti/risalenti ed i costi medi. Il costo medio può essere ponderato: ------------------------------------------5 Quando i volumi di produzione superano quelli di vendita, l’utilizzo del full costing implica un risultato economico superiore rispetto a quello ottenuto col direct costing e viceversa nel caso opposto; ciò è dovuto al fatto che con il full costing i costi fissi di produzione vengono incorporati nel prodotto, valorizzando in tal modo le rimanenze di prodotti finiti, mentre nel direct costing i costi fissi di produzione si riflettono direttamente sul periodo in cui sostenuti. © Cesi Multimedia 23 Capitolo 1 – Normativa civilistica 1) per movimento. In questo caso il costo medio è calcolato immediatamente dopo ogni singolo acquisto e le vendite vengono scaricate con il costo medio calcolato dopo l’ultimo acquisto effettuato. Al momento del ricevimento il costo medio viene determinato dividendo il costo totale delle unità residue prima dell’ultimo ricevimento più il costo delle ultime unità ricevute per il totale delle unità residue dopo l’ultimo ricevimento; 2) per periodo. Con questo criterio alle quantità ed ai costi in inventario all’inizio del periodo si aggiungono gli acquisti o la produzione di un periodo (mese, trimestre, ecc.) e si determinano i nuovi costi medi ponderati. Questo secondo metodo è più pratico del costo medio ponderato per movimento. La ponderazione può essere calcolata su base annua o mensile o trimestrale. Esemplificazioni Calcolo di media ponderata per movimento (o metodo progressivo) Il costo medio ponderato considera le unità di un bene acquistato o prodotto a date diverse e a diversi costi come facenti parte di un insieme in cui i singoli acquisti e le singole produzioni non sono più identificabili ma sono tutti ugualmente disponibili. Detto metodo ha l’obiettivo di livellare i movimenti nei prezzi nel caso esista differenza tra i prezzi più recenti e i costi medi (par. 55, OIC 13). Con il criterio del costo medio ponderato per movimento, il costo medio è calcolato subito dopo ogni singolo acquisto e le vendite sono scaricate con il costo medio calcolato dopo l’ultimo acquisto effettuato. Al momento del ricevimento il costo medio viene determinato dividendo il costo totale delle unità residue prima dell’ultimo ricevimento più il costo delle ultime unità ricevute per il totale delle unità residue dopo l’ultimo ricevimento. Si presenta il seguente schema: Rimanenze merce Y inizio esercizio Primo acquisto Quantità 200 200 Ammontare 40.000 200 240 48.000 Primo prelievo 400 100 220 88.000 22.000 Secondo acquisto 300 300 300 66.000 90.000 260 156.000 52.000 260 Secondo prelievo 600 200 104.000 260 Rimanenze merce Y alla fine del periodo Costo unitario 400 Costo medio 200 220 Quantificazione di media ponderata per periodo Con il criterio del costo medio per periodo, alle quantità ed ai costi in inventario all’inizio del periodo si aggiungono gli acquisti o la produzione di un periodo (mese, trimestre, ecc.) e si determinano i nuovi costi medi ponderati. 24 © Cesi Multimedia Capitolo 1 – Normativa civilistica Schema Quantità Rimanenza merce Y inizio esercizio Acquisti del periodo: 1° acquisto 2° acquisto Prelievi del periodo: 1° prelievo 2° prelievo Rimanenze merce Y fine del periodo Costo unitario Importo Costo medio 200 200 40.000 200 300 700 240 300 48.000 90.000 178.000 100 200 300 400 220 260 22.000 52.000 74.000 104.000 200 260 La ponderazione viene calcolata su base annua (104.000/400=260). 1.18.2 Metodo del costo LIFO Con il metodo LIFO (“last in, first out”, ovvero, “ultimo entrato, primo uscito”) si contrappongono costi correnti (più recenti) a ricavi correnti (più recenti). Mediante l’utilizzo di questo criterio si ipotizza che gli acquisti o le produzioni più recenti siano i primi a essere venduti; ne consegue che rimangano in magazzino le quantità relative agli acquisti o alle produzioni più remote, valutate al costo di questi acquisti e produzioni, con rappresentazione contabile distorta. Il metodo LIFO tende a contrapporre costi correnti (più recenti) a ricavi correnti (più recenti), permettendo, in periodi di prezzi crescenti, di mitigare gli effetti dell’inflazione sul risultato economico (profitti di magazzino) nei confronti dei criteri FIFO e costo medio ponderato (OIC 13). La valutazione delle rimanenze a fine esercizio con il metodo LIFO presuppone, pertanto, che esse siano costituite dalla sommatoria dei costi più remoti. Il metodo del costo LIFO può provocare effetti distorsivi sullo stato patrimoniale, indicando, nell’ipotesi di prezzi crescenti, un ammontare di rimanenze di magazzino a costi inferiori (qualche volta in maniera notevole) ai costi storici; causa, inoltre, in periodo di prezzi crescenti, effetti positivi sul conto economico nel caso in cui le quantità alla fine dell’esercizio si riducano rispetto a quelle risultanti all’inizio dell’esercizio. Il metodo LIFO si distingue in due categorie: 1) LIFO continuo, che si applica ai singoli movimenti; 2) LIFO a scatti. Il metodo LIFO viene utilizzato in periodi di prezzi crescenti come uno strumento di parziale adeguamento del conto economico al mutato livello generale dei prezzi. In fase di prezzi crescenti, il metodo LIFO attenua gli effetti dell’inflazione sui risultati dell’esercizio nei confronti del criterio FIFO al metodo del costo medio, contrapponendo ai ricavi una variazione negativa delle rimanenze di importo maggiore. Tale metodo causa però risultati alterati sullo stato patrimoniale, anche notevoli, in quanto propende a rappresentare in fase di prezzi crescenti un valore (costo LIFO) che è praticamente inferiore ai costi attuali. Il metodo LIFO è abbastanza simile al costo di sostituzione per gli effetti che produce nel conto economico, ma origina anche (nel caso di prezzi crescenti) un valore di magazzino, rappresentato nello stato patrimoniale, inferiore ai costi attuali con conseguente informazione distorta. In caso di prezzi decrescenti il metodo LIFO ha l’effetto di contrapporre ai ricavi nel conto economico i prezzi più bassi “conservando” i più elevati nel magazzino che dovranno però essere ridotti al valore di mercato in sede di valutazione. Il metodo LIFO inoltre, in molte situazioni, non approssima il flusso fisico delle voci di magazzino (ad esempio, i beni venduti o utilizzati nella produzione sono quelli acquistati o prodotti in epoca più remota); (Princìpio n. 13). La valutazione al LIFO (valutazione continua) si applica per ogni singolo movimento (acquisto o vendita). Metodo LIFO per movimento Il costo unitario della merce prelevata dal magazzino è pari al costo unitario della merce “entrata” per ultimo nel magazzino. Tale valorizzazione avviene ad ogni prelievo. Si riprendono i dati dell’esempio precedente e si applica il metodo del “LIFO continuo”. Quantità © Cesi Multimedia Costo unitario Importo Costo medio 25 Capitolo 1 – Normativa civilistica Esempio Si suppongano i seguenti elementi contabili. Data 1/3//x 1/4/x 1/5/x Prodotto Y Esistenza iniziale Acquisto Prelievo Quantità Saldo Acquisto Prelievo Saldo 1/6/x 30/6/ Costo unitario 375 75 (300) 150 225 (112,5) 262,5 75 112,5 (75x112,5)+ (225x75) 75 90 (112,5x90) 112,5x90+ 150x75 Valore complessivo 37.500 11.250 (33.750) 15.000 27.000 (13.500) 28.500 1.18.3 Metodo FIFO In base a tale metodo, le quantità acquistate o prodotte in epoca più remota sono le prime ad essere vendute o utilizzate nella produzione. Di conseguenza, nel conto economico si contrappongono ai ricavi più recenti costi meno recenti. In tale maniera, rimangono in magazzino le quantità relative agli acquisti o alle produzioni più recenti. Con il metodo FIFO (primo entrato, primo uscito) i movimenti di carico e scaricano sono valorizzati come segue: i beni vengono iscritti al momento dell’acquisto secondo gli effettivi costi sostenuti; gli scarichi vengono riferiti ai primi acquisti effettuati dall’impresa (primo entrato, primo uscito). La valutazione delle rimanenze di fine esercizio prevede che esse siano costituite dalla sommatoria dei costi più recenti. Il metodo del costo FIFO, rispetto al costo LIFO o al costo medio ponderato, tende a contrapporre ai ricavi più recenti (più prossimi alla chiusura dell’esercizio) costi più remoti. Perciò, questo metodo, potrebbe implicare un aumento di utili quando i prezzi aumenteranno ed una diminuzione di utili quando i prezzi diminuiranno. Nello stato patrimoniale, le rimanenze sono indicate a costi storici recenti. Nota bene Per quantificare l’acquisto di materie prime non è possibile basarsi solamente sui dati contabili della fattura più recente, ma è necessario basarsi sulle fatture ricevute dai fornitori per gli acquisti più recenti, iniziando dall’ultima e proseguendo a ritroso nel tempo fino a eguagliare la quantità in magazzino. Esempio Si riprendono i dati esposti nell’esercizio precedente. Data 1/3//x 1/4/x 1/5/x 1/6/x 30/6/ Prodotto Y Esistenza iniziale Acquisto Prelievo Saldo Acquisto Prelievo Saldo 26 Quantità Costo unitario 375 75 (300) 150 225 (112,5) 262,5 75 112,5 (300x75) 75x112,575x75= 90 (75x75)(37,5x112,5)= 37,5x112,5225x90= Valore complessivo 37.500 11.250 (30.000) 18.750 27.000 (13.125) 32.625 © Cesi Multimedia Capitolo 1 – Normativa civilistica Nota bene Il valore delle rimanenze valutate con il metodo FIFO risulta maggiore del valore delle rimanenze valutate con il criterio LIFO. L’adozione del metodo LIFO mitiga l’effetto dei c.d. “profitti di magazzino” che potrebbero aversi utilizzando il criterio FIFO e del costo medio, in presenza di prezzi crescenti, a fronte di acquisti meno recenti (costi minori). Nota bene Il metodo LIFO è ammesso dalla normativa nazionale, ma viene escluso dagli IAS. Lo IAS 2 precisa che il costo delle rimanenze dei beni fungibili deve essere attribuito utilizzando il metodo FIFO o i metodi del costo medio ponderato. Tale esclusione è motivata dal fatto che il criterio del LIFO provoca distorsioni dei valori nello stato patrimoniale rappresentando, nelle ipotesi di prezzi crescenti, un importo delle rimanenze di magazzino a costi inferiori ai costi storici recenti. In caso di prezzi discendenti il metodo LIFO ha l’effetto di contrapporre ai ricavi nel conto i prezzi più bassi, lasciando i più elevati nel magazzino, che dovranno però essere ridotti al valore di realizzazione desumibile dall’andamento di mercato in sede di valutazione. Il metodo LIFO, inoltre, in molti casi non approssima il flusso fisso delle merci in magazzino. A motivo degli effetti alterati patrimoniale causati dal LIFO deve essere indicato nella nota integrativa il valore delle rimanenze di magazzino (per categorie di beni) al minore tra costi correnti alla data di bilancio e mercato, nei casi in cui tale valore si discosti sensibilmente dalla valutazione al costo LIFO. Il n. 10 dell’art. 2426 c.c. dispone che il costo dei beni fungibili possa essere calcolato col metodo della media ponderata o con quelli LIFO o FIFO. Stabilisce anche che se il valore in tal modo ottenuto differisce in misura apprezzabile dai costi correnti alla chiusura dell’esercizio, la differenza deve essere indicata, per categoria di beni, nella nota integrativa. Nota bene Nell’ipotesi in cui al termine di un esercizio si abbia una quantità inferiore a quella esistente all’inizio dell’esercizio, ed i prezzi siano decrescenti, il criterio del LIFO interrompe il suo effetto di strumento di parziale adeguamento del conto economico al livello generale dei prezzi ed accredita al conto economico i minori costi LIFO dell’esercizio precedente per la quantità che si è ridotta. La conoscenza di tale effetto sui risultati dell’esercizio è importante se tale beneficio è significativo e va pertanto indicato in nota integrativa. Tale effetto si determina identificando la quantità ed i costi (delle classi o strati di LIFO) delle rimanenze iniziali che si sono ridotte e moltiplicando le quantità ridotte per la differenza tra i costi correnti alla chiusura dell’esercizio ed i costi LIFO dell’esercizio precedente relativi alle quantità che si sono ridotte. Il risultato che così si ottiene rappresenta il maggior costo che l’impresa dovrebbe sostenere per ripristinare le quantità iniziali. Il metodo LIFO dovrebbe (da un punto di vista strettamente teorico) essere applicato in modo “continuo”, vale a dire, tale valutazione dovrebbe essere applicata ad ogni singolo movimento (acquisto o vendita), con tecnica contabile che risulta abbastanza onerosa. 1.18.4 Metodo LIFO “a scatti” Il metodo del LIFO a “scatti” rappresenta una variante del criterio LIFO. Con tale metodo non si effettuano registrazioni ad ogni acquisto, ma ad ogni intervallo di tempo (solitamente ad ogni anno). Con tale criterio nel primo anno di applicazione, le giacenze iniziali possono essere valutate al LIFO continuo oppure al costo medio ponderato annuale. Negli esercizi successivi, si confrontano le quantità in giacenza alla fine dell’esercizio rispetto all’esercizio precedente. Se le rimanenze iniziali sono uguali a quelle finali, si conserva la stessa valorizzazione dell’esercizio precedente; se la quantità a fine esercizio supera quella iniziale, la valorizzazione avviene al costo fino a concorrenza della quantità iniziale; la parte eccedente si valuta al costo medio ponderato oppure al LIFO. Se la quantità di fine esercizio risulta inferiore a quella dell’inizio, la valutazione della quantità avviene applicando i costi e le quantità delle singole classi LIFO più remote costituenti le rimanenze all’inizio dell’esercizio. Praticamente, con il metodo del LIFO “a scatti”, la valutazione delle rimanenze a fine esercizio viene effettuata nel modo che segue: si confronta la quantità di una voce di beni giacente a fine esercizio con quella all’inizio; nell’ipotesi in cui la quantità a fine esercizio superi quella all’inizio, la quantità uguale a quella dell’inizio dello stesso periodo temporale si valorizza mantenendo i costi e le quantità delle classi (o strati) LIFO che com- © Cesi Multimedia 27 Capitolo 1 – Normativa civilistica pongono le rimanenze iniziali, mentre l’incremento di quantità si valuta con uno dei seguenti criteri alternativi da utilizzarsi costantemente nel tempo: a) valorizzando l’aumento di quantità (strato LIFO) di ogni singola voce in magazzino a fine esercizio nei confronti delle rimanenze all’inizio con i costi relativi ai primi acquisti avvenuti nell’esercizio; b) valutando l’incremento di quantità di ogni singola voce in magazzino a fine esercizio al costo medio degli acquisti dell’esercizio. Metodo LIFO a “scatti” applicato ad una singola voce Le valorizzazioni sono effettuate prendendo in considerazione le quantità in rimanenza al termine di ogni esercizio. Applicazione del metodo del LIFO a scatti ad una singola voce Si presentano anche due alternative: a) l’incremento viene quantificato con il criterio del LIFO continuo; b) l’incremento viene quantificato con il metodo del LIFO a scatti. Rimanenza iniziale al 1° gennaio esercizio n+1 Acquisti: primo acquisto secondo acquisto terzo acquisto quarto acquisto Rimanenze finali 31/12/n+1 Valorizzazione: a) prima soluzione incremento calcolato con il LIFO b) seconda soluzione Incremento quantificato con criterio del costo medio Quantità 20.000 1.000 400 600 400 2.400 Costo unitario 20 22 24 26 28 Ammontare 400.000 Costo medio 22.000 9.600 15.600 11.200 58.400 24 2.500 20.000 100 20 22 400.000 2.200 402.200 20.000 100 20 24 400.000 2.400 20.100 402.400 Nota bene Il metodo LIFO è ammesso dalla normativa nazionale, ma viene escluso dagli IAS. Tale esclusione è motivata dal fatto che il criterio del LIFO provoca distorsioni dei valori nello stato patrimoniale rappresentando, nelle ipotesi di prezzi crescenti, un importo delle rimanenze di magazzino a costi inferiori ai costi storici recenti. Il metodo del LIFO a “scatti” risulta compatibile con le norme fiscali previste dal TUIR. 1.19 Metodi determinazione del valore delle rimanenze nei princìpi contabili internazionali Le norme contabili internazionali prevedono comportamenti differenti. Lo IAS 2 prevede la valutazione sia al costo medio sia al criterio FIFO. È considerato accettabile anche il criterio del costo specifico. Lo IAS 2 (par. 23) stabilisce che il costo delle rimanenze di beni che non sono normalmente fungibili e delle merci prodotte o dei servizi erogati, mantenuti distinti per specifici progetti deve essere attribuito impiegando distinte individuazioni dei loro costi, mediante separate identificazioni dei costi correlati a progetti specifici, a prescindere dal fatto che siano stati acquistati o prodotti. Il costo delle rimanenze dei beni fungibili deve essere attribuito adottando il metodo FIFO (first in, first out) o il metodo del costo medio ponderato (IAS 2, par. 25). 28 © Cesi Multimedia Capitolo 1 – Normativa civilistica Lo IAS 2 prevede il passaggio dal metodo LIFO al FIFO o al costo medio. Ciò provoca l’emersione di componenti positivi di reddito imponibili, anche se iscritti a patrimonio. Nota bene Per i soggetti che hanno adottato i princìpi contabili internazionali, la valutazione delle rimanenze deve avvenire in base ai criteri esposti. Fiscalmente è ammesso anche il metodo LIFO. 1.20 Criteri contabili costanti nella valutazione delle rimanenze ed eventuali modifiche I criteri di valutazione delle rimanenze devono essere costanti nel tempo, al fine di una corretta determinazione del risultato economico. Le rimanenze finali si valutano con gli stessi metodi delle rimanenze iniziali (OIC 13, par. 57). Tuttavia, questi metodi possono essere modificati in casi eccezionali e devono essere accompagnati da motivazioni da indicare nella nota integrativa. L’effetto cumulativo del cambiamento di un princìpio è determinato all’inizio dell’esercizio, ipotizzando che il nuovo princìpio sia stato sempre anche in esercizi precedenti. L’effetto è calcolato come differenza tra il patrimonio netto iniziale dell’esercizio in cui avviene il cambiamento e l’ammontare dello stesso che si sarebbe ottenuto se il nuovo princìpio fosse già stato adottato in esercizi precedenti (OIC 29, “Cambiamenti di princìpi contabili, cambiamenti di stime contabili, correzione di errori, fatti intervenuti dopo la chiusura dell’esercizio”). Esempio Una società alla fine dell’esercizio 31/12/X presenta i seguenti valori di magazzino valutati al LIFO: Rimanenze Materie prime Prodotti in corso di lavorazione Prodotti finiti Totale Quantità Costo unitario 75 112 150 337 euro 38 euro 40 euro 50 Costo complessivo euro 2.850 euro 4.480 euro 7.500 euro 14.830 Scritture contabili relative alle rimanenze Rilevazione delle rimanenze iniziali CE B.11 Variazione materie prime a SP C.1.1 Materie prime 2.850 CE A.2 Variazione prodotti in corso di lavorazione a SP C.I.2 Prodotti in corso di lavorazione 4.480 CE A.2 Variazione prodotti finiti a C.I.4 Prodotti finiti 7.500 Si ipotizza che detta impresa alla fine esercizio X1 applichi il metodo FIFO. Per valutare la conseguenza della modifica del criterio di valutazione sul conto economico, la società deve effettuare la valutazione della giacenza in magazzino all’inizio dell’esercizio considerato col metodo FIFO; imputare la differenza ottenuta tra valutazione al LIFO al 31/12//X e quella al FIFO dell’esercizio al conto economico tra gli oneri e proventi straordinari. Al 31/12/X1 la società effettuerà la valutazione del magazzino secondo il criterio FIFO e potrà di conseguenza determinare la variazione delle rimanenze dell’esercizio X1. Si immaginano i seguenti dati contabili per la valutazione FIFO delle rimanenze all’inizio dell’esercizio X1. Rimanenze Materie prime Prodotti in corso di lavorazione Prodotti finiti Totale © Cesi Multimedia Quantità Costo unitario 75 112 euro 41 euro 45 150 337 euro 52 Valore complessivo euro 3.075 euro 5.040 euro 7.800 15.915 29 Capitolo 1 – Normativa civilistica Contabilizzazione della differenza di valutazione sulle rimanenze iniziali dopo la modifica del criterio di valutazione Diversi CE B.11 Variazione materie prime CE A.2 Variazione prodotti in corso CE A.2 Variazione prodotti finiti a CE A5 Altri ricavi e proventi 1.085 225 560 300 Al 31/X1 le rimanenze vengono valutate col criterio FIFO. Si supponga una determinata quantità in giacenza così composta: Rimanenze Materi prime Prodotti in corso di lavorazione Prodotti finiti Totale Valori all’1/1/X1 euro 3.075 euro 5.040 euro 7.800 15.915 Valori al 31/12/X1 euro 4.000 euro 6.000 euro 8.000 18.000 Variazioni 925 960 200 2.085 Scritture contabili SP C.I.1 Materie prime a CE B.11 Variazioni materie prime 925 SP C.I.2 Prodotti in corso a CE A.2 Variazione prodotti in corso 960 SP C.I.4 Prodotti finiti a CE A.2 Variazione prodotti finiti 200 Nota bene A seguito delle modifiche apportate al codice civile, con il d.l. 139/2015, dovute al recepimento della direttiva 2013/34, la macroclasse “E) proventi e oneri straordinari”, voce 20) “Proventi”, non appare più nello schema del conto economico. Di conseguenza, tali componenti di reddito, con inizio dall’esercizio 2016, vengono inseriti fra le operazioni ordinarie in base alla loro natura. 1.21 Metodo dei prezzi al dettaglio L’OIC 13, (par. 48) stabilisce che, ai fini della determinazione del costo delle rimanenze, si può utilizzare anche il metodo dei prezzi al dettaglio, quando approssima il costo effettivo delle rimanenze e in presenza di grandi quantità di beni soggetti a rapido rigiro con margini di importo simili e per le quali risulta particolarmente difficoltoso l’utilizzo di altri metodi di calcolo del costo. Il metodo dei prezzi al dettaglio si basa sulla contrapposizione tra i valori di costo ed i valori di vendita dei beni ai fini della determinazione delle rimanenze. Per la sua applicazione è necessario: raggruppare le merci per categorie omogenee in base alla percentuale di ricarico (differenza tra costo e prezzo di vendita); rilevare le entrate e le uscite di magazzino a valori (le uscite sono rilevate a “ricavo”, ossia a prezzi di vendita, le entrate sono rilevate sia “a costo” sia “a ricavo”, in modo da permettere l’individuazione del ricarico); modificare la valorizzazione “a ricavo” ogni qualvolta cambia il prezzo di vendita; determinare, a fine esercizio, il valore delle rimanenze valutate al prezzo di vendita mediante la sottrazione dal valore complessivo del magazzino “a ricavo” dei ricavi effettivamente realizzati; calcolare il costo delle rimanenze finali sottraendo dal valore delle rimanenze valutate al prezzo di vendita la percentuale di ricarico. Il metodo dei prezzi al dettaglio (“retail method”) non rappresenta un metodo di valutazione dei costi previsto dal codice civile. Tale criterio deve produrre risultati similari al costo FIFO, LIFO o medio per essere accettabili ai fini della valutazione delle rimanenze di magazzino. In base a questo metodo, le rilevazioni riguardano gruppi di beni caratterizzati dalla stessa percentuale di ricarico (mark-up). Le quantità in giacenza si valutano in base ai prezzi di vendita e gli importi ottenuti vengono poi scontati al costo, utilizzando i margini dei vari gruppi di merci. 30 © Cesi Multimedia Capitolo 1 – Normativa civilistica Esempio di valutazione delle rimanenze di magazzino con il metodo del dettaglio 1/1; Rimanenze iniziali quantità 1.500, costo unitario euro 7,5, importo totale euro 15.000; 1/2; 1° acquisto, quantità 112,5, prezzo unitario euro 8,25, importo totale euro 1.237,5; 1/4; 2° acquisto, quantità 450, prezzo unitario euro 9, importo totale euro 5.400; 2/9; 3° acquisto, quantità 525, prezzo unitario euro 9,75, importo totale euro 6.825; 1/10; 4° acquisto, quantità 525, prezzo unitario euro 9,75, importo totale euro 6.825; 1/5; 1° vendita, quantità 375, ricavo euro 5.625; 1/6; 2° vendita, quantità 450, ricavo euro 6. 6750; 1/9; 3° vendita, quantità 375, euro 6.625; 1/10; 4° vendita, quantità 600, euro 5625. La rilevazione degli scarichi di magazzino (nella scheda di magazzino) viene effettuata in base ai prezzi di vendita, indipendentemente dalle quantità effettivamente vendute. Schema di magazzino Carichi di magazzino Data di carico Scarichi di magazzino Quantità 1/1 1/2 1/4 2/9 1/10 Totali 1.500 112,5 450 525 525 Costo unitario 7,5 8,25 9 9,75 9,75 Valore acquisto 15.000 1.237,5 5.400 6.825 6.825 35.287,5 Prezzo unitario vendita 11,25 11,25 11,25 11,25 11,25 Data di scarico 1/3 1/5 1/6 1/9 1/10 Quantità 600 375 450 375 600 33.625 Ricavo 9.000 5.625 6.750 6.625 5.625 46.687,5 Valore di vendita 22.500 1.687,5 6.750 7.875 7.875 Per determinare il valore delle rimanenze fiscali si procede come segue: quantificazione della percentuale di costo delle merci rispetto al ricavo: (35.287,5/33.625) x 100 = 105%. Valutazione delle rimanenze al prezzo di vendita: Totale carichi al prezzo di vendita - Totale ricavi = Rimanenze al prezzo di vendita Valutazione delle rimanenze al costo: rimanenze al prezzo di vendita x percentuale di costo: 13.062,5 x 105% = 46.687,5 33.625,0 13.062,5 13.715,62 Il metodo dei prezzi al dettaglio deve produrre valori assimilabili a quelli ottenuti utilizzando le configurazioni di costo previste dall’art. 2426, n. 10, c.c. Per verificare che il valore delle rimanenze calcolato con il metodo del prezzo al dettaglio approssimi il costo effettivamente sostenuto, in sede di chiusura dell’esercizio la società deve effettuare l’inventario dei beni in rimanenza. 1.22 Metodo del valore costante L’art. 2426, n. 12, c.c., dispone che le attrezzature industriali e commerciali, le materie prime, sussidiarie e di consumo (non vengono menzionate le merci e i prodotti finiti) possano essere iscritte nell’attivo ad un valore costante, qualora siano costantemente rinnovate, e complessivamente di scarsa importanza in rapporto all’attivo di bilancio, sempreché non si abbiano variazioni sensibili nella loro entità, valore e composizione. La norma in commento permette perciò di non modificare da un esercizio all’altro il valore al quale sono iscritti de- © Cesi Multimedia 31 Capitolo 1 – Normativa civilistica terminati beni fungibili che vengono costantemente rinnovati, purché abbiano nel loro complesso ridotta importanza. Nota bene Il precedente disposto è stato abrogato dall’art. 6, comma 8, lett. I), del d.lgs. 18 agosto 2015, n. 139. 1.23 Contabilità industriale per la determinazione dei costi relativi ai semilavorati, prodotti in corso di lavorazione e prodotti finiti La precedente edizione dell’OIC 13, nell’appendice E, analizzava i due sistemi di contabilità industriale utilizzati normalmente dalla tecnica industriale per valutare il costo di produzione dei semilavorati, dei prodotti in corso di lavorazione e dei prodotti finiti. Anche il criterio dei costi aziendali non rappresenta un metodo di costo previsto dal codice civile. Affinché i risultati ottenuti con l’applicazione dei costi ottenuti con sistemi della contabilità industriale siano accettabili, essi non devono scostarsi da quelli conseguiti con i metodi FIFO, LIFO o costo medio ponderato (come previsto dall’art. 2426, n. 10, c.c. La nuova versione dell’OIC 13 (pagina 17) suggerisce che tra i metodi di determinazione del costo dei beni fungibili in rimanenza utilizzabili in luogo del LIFO, del FIFO e del costo medio ponderato si possono utilizzare: il metodo dei prezzi al dettaglio; il metodo dei costi standard. I costi dei semilavorati, prodotti in corso di lavorazione e prodotti finiti sono solitamente ottenuti con uno dei seguenti due sistemi di contabilità industriale: a) a commessa; b) per processo industriale. Questi due sistemi possono essere tenuti a costi consuntivi oppure a costi standard. I costi standard sono costi determinati in anticipo rispetto alla produzione mediante l’utilizzo di specifiche tecniche. L’utilizzo dei costi standard richiede una rilevazione contabile che consenta il raggiungimento degli obiettivi di contabilità industriale, mediante l’analisi degli scostamenti. I costi accumulati utilizzando i citati sistemi di contabilità industriale si riferiscono ai materiali, alla mano d’opera e ai costi generali di produzione. Nota bene Il costo standard non sostituisce il costo quantificato con uno dei metodi permessi dalla disciplina civilistica (FIFO, LIFO o costo medio ponderato). I costi standard possono essere usati nella valutazione del magazzino solo se rappresentativi dei costi effettivi (OIC 13, pag. 18). I costi standard sono costi determinati in anticipo rispetto alla produzione tramite l’uso di specifiche tecniche, elementi materiali, ore normali di lavoro, in condizioni normali o predeterminate di utilizzo della capacità produttiva degli impianti. I costi standard sono aggiornati periodicamente per riflettere cambiamenti sia nei prezzi che nelle condizioni di costo, quali, ad esempio, i mutamenti dei processi e dell’efficienza. Tali costi non sono invece rettificati per riflettere l’inefficienza inclusa tra i costi consuntivi. Gli scostamenti tra costi standard e costi effettivi che si originano da inefficienza di produzione, costi anomali, scioperi, impianti inattivi, ecc., costituiscono elementi negativi del reddito di esercizio in cui si verificano, e, quindi, non sono considerati nella valutazione del magazzino (OIC 13, pag. 19). Lo standard è un parametro di riferimento (benchmark), o “norma”, per misurare la performance. Questi criteri di valutazione si trovano in ogni attività (ad esempio, gli edifici in cui si abita devono essere conformi agli standard stabiliti nei codici dell’edilizia). Gli standard sono ampiamente usati nella contabilità direzionale (management accounting), nella quale si riferiscono alla quantità e al costo degli input utilizzati nella produzione di beni o nell’erogazione di servizi. I manager fissano gli standard di quantità e di costo per ciascuno degli input principali, come le materie prime e il tempo di manodopera. Gli standard di quantità (quantity standards) specificano quanto input si debba usare per produrre un bene o rendere un servizio. Gli standard di costo (cost price standard) precisano quanto si dovrebbe pagare per ciascuna unità di un determinato input6. ------------------------------------------6 Cfr., R. H. Garrison, E.W. Noreen, Managerial accounting per le decisioni aziendali, McGraw-Hill, 2000. 32 © Cesi Multimedia Capitolo 1 – Normativa civilistica L’utilizzo dei costi standard necessita di una struttura contabile che consenta l’adeguato raggiungimento degli obiettivi di contabilità industriale per i quali i costi standard vengono applicati. L’uso di questi costi rappresenta un sistema di contabilità industriale e non un criterio di valutazione. I costi rilevati con i due sistemi prima indicati hanno per oggetto i materiali, la mano d’opera e le spese generali di produzione. Il flusso di tali costi inizia dal momento in cui vengono sostenuti fino a quando vengono contrapposti ai relativi ricavi. Criteri distintivi delle due metodologie: a) con il sistema a commessa i costi vengono accumulati per un lotto di una o più voci prodotte o unità di servizio reso. La caratteristica del metodo a commessa è che i costi sono identificati per ciascun ordine o lotto. Tale sistema di costo è utilizzato nelle produzioni in cui i costi possono essere identificati per prodotto. Il materiale e la mano d’opera vengono registrati a commessa sulla base dei costi effettivi sostenuti, sebbene possano adottarsi degli standard di quantità e costo del materiale e di ore e costo della mano d’opera (Princìpio n. 13). Le spese generali di produzione vengono imputate a commessa sulla base delle percentuali prefissate rapportate alle ore di mano d’opera diretta, al costo della mano d’opera diretta, alle ore macchina, ecc. Nell’ipotesi in cui la commessa si riferisca a diverse unità che verranno prodotte in modo frazionato nel tempo, il costo delle unità già prodotte si quantifica sulla base dei preventivi di costo, medie e stime di costo a completamento. Le commesse consentono di comparare i costi di vari ordini, di giudicarne la redditività e di fornire alcuni elementi validi per preparare i futuri preventivi. I costi accumulati alla commessa si analizzano per esercitare dei controlli sui medesimi e per individuare gli sprechi e le cause di anomalie. I preventivi utilizzati per queste commesse devono essere correntemente aggiornati. Nota bene Con il sistema a commessa si consente di comparare i costi di vari ordini, di giudicarne la redditività e di fornire alcuni elementi validi per preparare i futuri preventivi. I costi accumulati alla commessa si analizzano per esercitare dei controlli sui medesimi e per individuare gli sprechi e le cause di anomalie: a) il sistema di costo per processo industriale è un criterio di contabilità industriale che accumula i costi per procedimento o reparto e determina i costi medi delle unità prodotte. Tale sistema di costo viene utilizzato nel caso di processi produttivi continuativi e per prodotti omogenei, quali ad esempio quelli dell’industria chimica, della carta, del cemento, ecc. L’attività industriale viene divisa solitamente in reparti o processi di produzione e servizi di produzione, ed i costi vengono rilevati nello stesso modo. I costi relativi ai servizi di produzione vengono poi distribuiti sui costi per reparto di produzione sulla base di parametri: consumi, tempo, ecc. Le quantità prodotte vengono rilevate giornalmente o settimanalmente. Periodicamente, solitamente ogni mese, vengono calcolati i costi medi delle unità prodotte per reparto o per processo di produzione. I costi accumulati per processo o per reparto vengono poi caricati ed aggiunti ai costi dei successivi reparti o processi (OIC 13); b) l’uso dei costi standard ha avuto origine in relazione allo sviluppo del controllo di gestione. Scopo principale di questi costi è quello di pianificare le operazioni e di controllare i costi. Il sistema a costi standard è un metodo di contabilità industriale secondo il quale i costi consuntivi vengono comparati con costi predeterminati detti appunto standard. Il costo standard di ciascun prodotto viene determinato in anticipo rispetto alla produzione mediante l’uso di specifiche tecniche, elenchi materiali, ore normali di lavoro, in condizioni normali o predeterminate di utilizzo della capacità produttiva degli impianti. Calcolati i costi standard, si rende necessario accertare come tali costi divergano dai costi consuntivi, vale a dire, accertare l’entità delle varianze o scostamenti o variazioni. Tali varianze vengono accumulate in conti ed analizzate per individuare le cause che hanno originato gli scostamenti, in modo da mettere in atto le azioni correttive. In altri termini, i costi standard rappresentano uno strumento di controllo, per misurare l’efficienza dell’attività produttiva e di pianificazione delle operazioni future. L’introduzione di un sistema a costi standard richiede la conoscenza di alcuni dati (quantità di materiali; prezzi di ciascun materiale, basati su acquisti precedenti, su ordini in corso o quotazioni; tipo e numero delle ore di lavoro necessarie per la lavorazione, come richiesto dalle specifiche tecniche cicli di produzione; costo orario della mano d’opera, rettificato per riflettere gli incrementi previsti; spese generali di produzione relative al prodotto, ecc.). 1.24 Metodo dei prezzi a costi standard Il sistema a costi standard non rappresenta un metodo di costo previsto dal codice civile. Ai fini della determinazione del costo delle rimanenze si possono utilizzare anche la tecnica dei costi standard, se può essere dimostrato che producano valori assimilabili, con scostamenti trascurabili, a quelli prodotti dalle configurazioni di costo previste dall’art. 2426, n. 10, c.c. © Cesi Multimedia 33 Capitolo 1 – Normativa civilistica I costi standard richiedono un aggiornamento quando si verificano cambiamenti rilevanti nei costi. Normalmente i costi standard vengono aggiornati annualmente in periodi di prezzi relativamente stabili e più frequentemente in periodi di stabilità dei prezzi. I costi standard non possono essere usati nella valutazione del magazzino se essi non sono rappresentativi dei costi effettivi o reali. Nell’ipotesi in cui gli standard non vengano aggiornati correntemente sarà necessario rettificare il magazzino valutato a costi standard per riflettere i costi effettivi. Prima di rettificare i costi standard sulla base delle varianze sarà necessario analizzare e studiare le cause degli scostamenti. Le variazioni originate da inefficienza di produzione, costi anomali, scioperi, impianti inattivi, ecc., costituiscono elementi negativi del reddito d’esercizio in cui si verificano e non vanno differiti nel magazzino. In conseguenza di ciò, nel caso in cui vengano adottati i costi standard, sarà necessario indicare che il magazzino è valutato con il criterio di costo a cui i costi standard si avvicinano, e che è stato scelto dall’impresa per la valutazione delle proprie rimanenze. L’utilizzo del costo standard viene ammesso dal Princìpio OIC 13. L’OIC 13 chiarisce ancora che “Gli scostamenti tra costi standard e costi effettivi che si originano da inefficienza di produzione, costi anomali, scioperi, impianti inattivi ecc. costituiscono elementi negativi del reddito dell’esercizio in cui si verificano e non quindi sono considerati nella valutazione del magazzino”. Nota bene I costi standard non costituiscono un metodo di costo. Il costo standard è una misura di efficienza, ma non sostituisce il costo determinato col metodo LIFO, FIFO o costo medio ponderato. I costi standard sono accettabili ai fini della valutazione delle rimanenze di magazzino se periodicamente vengono rettificati per approssimarsi in maniera ragionevole al metodo prescelto dall’impresa per la valutazione delle rimanenze (FIFO, LIFO o costo medio ponderato). Nell’ipotesi in cui i costi standard non siano aggiornati correntemente sarà necessaria rettificare il magazzino valutato a costi standard per rappresentare i costi effettivi. 1.25 Confronto tra le metodologie per la quantificazione dei costi Alcune riflessioni sui criteri per il calcolo dei costi. 1) Risultati ottenuti con Il costo medio ponderato rispetto al costo LIFO e FIFO: valore medio delle fluttuazioni dei prezzi. 2) Metodo del FIFO rispetto al costo LIFO e a quello del costo medio: tende a contrapporre ai ricavi più recenti (prossimi alla chiusura dell’esercizio) costi più remoti. Questo metodo potrebbe comportare un aumento di utili in periodi di prezzi crescenti e una loro diminuzione in situazioni di prezzi calanti. Inoltre provoca l’esposizione nello stato patrimoniale di valori di magazzino a costi storici recenti. 3) Criterio del costo LIFO nei confronti del costo medio e del costo FIFO: propende a contrapporre ai ricavi più recenti costi più recenti; ne consegue che tale metodo tende a indicare una riduzione di utili quando i prezzi aumentano ed un aumento di utili quando i prezzi diminuiscono. Il metodo del costo LIFO attenua le conseguenze degli eventuali “profitti di magazzino” che possono essere causati nel conto economico, sebbene con diversa intensità, dai criteri di costo LIFO e medio, in presenza di prezzi crescenti. La metodologia del costo LIFO provoca però distorsioni sullo stato patrimoniale evidenziando in caso di prezzi crescenti, un ammontare di rimanenze di magazzino a costi inferiori (spesso in maniera notevole) a quelli storici recenti; inoltre determina, in fase di prezzi crescenti, effetti positivi sul conto economico nell’ipotesi in cui le quantità alla fine dell’esercizio si riducano rispetto a quelle all’inizio dello stesso (in quanto vengono accreditati al conto economico i minori costi LIFO dell’esercizio precedente per la quantità che si è ridotta). Altre metodologie utilizzate (metodo dei prezzi al dettaglio7 e costi standard) non costituiscono dei criteri di costo, poiché, per essere accettati come strumenti di valutazione delle rimanenze di magazzino esse devono produrre risultati similari al costo LIFO, FIFO o costo medio ponderato. ------------------------------------------7 Tale metodo (Retail-Method) viene applicato nel settore della grande distribuzione che, a causa del notevole numero di articoli trattati, facilita la valutazione delle giacenze fisiche specialmente nei negozi di vendita. Il criterio si fonda sulla rilevazione contabile, per gruppi merceologici, delle rimanenze iniziali e degli acquisti sia al costo che al prezzo di vendita. Le quantità inventariate si valutano in base ai prezzi di vendita e gli importi risultanti vengono poi scontati al costo utilizzando i margini dei vari gruppi di merci. Trattasi perciò di un criterio di determinazione del costo e non di un metodo del costo. La procedura illustrata è accettata dalla normativa fiscale per gli esercenti attività di commercio al minuto che valutano le rimanenze delle merci con il metodo del prezzo al dettaglio, a condizione che nella dichiarazione dei redditi o in apposito allegato siano illustrati i criteri e le modalità di applicazione del detto metodo (art. 92, TUIR). 34 © Cesi Multimedia Capitolo 1 – Normativa civilistica 1.26 Determinazione del valore di mercato o del valore di realizzazione desunto dall’andamento di mercato Poiché le rimanenze di magazzino debbono essere valutate al minore tra il costo storico ed il valore di mercato, si rende necessario determinare quest’ultimo valore. Il princìpio del minore tra costo e mercato è inteso a misurare l’utilità o funzionalità attuale di un valore originario di magazzino. Quantunque il costo sia la base di riferimento della valutazione di magazzino, è doveroso, quando l’utilità o la funzionalità originaria è diminuita, modificare tale valore se esso non è recuperabile. Il criterio del minore tra costo e mercato serve appunto ad eliminare quei costi di magazzino che si prevede di non poter recuperare in futuro. Perdite derivanti da danni, deterioramenti, obsolescenza ecc., devono essere rilevate, in conformità al criterio della prudenza, come componenti negativi del reddito nell’esercizio in cui si possono prevedere e non nell’esercizio in cui vengono alienate le relative partite di magazzino. In altri termini, ad esempio, il costo storico delle rimanenze di magazzino calcolato con i citati criteri può non essere recuperabile se i prezzi di vendita sono diminuiti, se i beni si sono deteriorati, se sono divenuti obsoleti o se hanno un lento rigiro. L’esistenza di uno o più di questi eventi deve essere determinata per ogni voce di magazzino e considerata per stimare il futuro realizzo. La rilevazione delle perdite di valore e utilità non deve però comportare una eccessiva e non giustificata diminuzione di valore, la quale modificherebbe in maniera artificiosa i risultati dell’esercizio in cui il magazzino viene valutato, sia di quello in cui viene venduto. Il valore di mercato viene inteso, generalmente, come costo di sostituzione per le materie prime e sussidiarie e semilavorati d’acquisto, che partecipano alla fabbricazione dei prodotti finiti; il valore netto di realizzo viene utilizzato con riferimento alle merci, ai prodotti finiti, semilavorati di produzione e prodotti in corso di lavorazione. Fanno eccezione la valutazione delle merci e dei prodotti finiti con il metodo LIFO nel caso di prezzi decrescenti. Il costo di sostituzione risulta il parametro di riferimento per la valutazione del valore di mercato, fondata sulla teoria che l’utilità del bene in magazzino è misurata in funzione del suo realizzo. Il valore netto di realizzo rappresenta il prezzo di vendita nel corso della normale gestione (ossia di un’impresa in funzionamento), al netto dei costi di completamento e delle spese dirette di vendita che possono ragionevolmente prevedersi. Il costo di sostituzione esprime il costo con il quale in normali condizioni di gestione una determinata voce in magazzino può essere riacquistata o riprodotta. Vi possono essere dei casi in cui neanche il minore costo di sostituzione delle materie prime e sussidiarie e dei semilavorati (parti o componenti) d’acquisto può essere recuperato tramite il valore netto di realizzo del prodotto finito in cui entrano a far parte. In tali ipotesi si rende necessario utilizzare il valore netto di realizzo anche per questi materiali. Nelle ipotesi di prezzi decrescenti, la valutazione delle merci, dei prodotti finiti e di altre giacenze destinate alla vendita effettuata con il metodo LIFO, crea dei problemi nella definizione di valore di mercato. Il metodo LIFO presuppone un andamento crescente dei prezzi e lo scopo di tale criterio è quello di contrapporre ai ricavi più recenti costi più recenti (che sono maggiori di quelli precedenti) ma ciò causa distorsione nella rappresentazione del patrimonio, mediante indicazione in bilancio di una rimanenza sottovalutata. Da ciò deriva la necessità di evidenziare nella nota integrativa l’importo di queste rimanenze a valori correnti. Nel caso di prezzi decrescenti si realizza invece nel conto economico un flusso di costi contrario a quello del presupposto del metodo LIFO. In questa situazione, infatti, il flusso dei costi LIFO tende a contrapporre a ricavi correnti costi correnti, che sono più bassi dei costi più elevati delle fasce LIFO precedenti. Si verifica in tal modo la tendenza a mantenere nel valore delle rimanenze indicate nello stato patrimoniale costi più elevati di quelli correnti, con evidenti segnalazioni errate nel documento di fine esercizio. Perciò, in presenza di prezzi decrescenti si deve utilizzare come valore di mercato per le merci e i prodotti finiti valutati con il metodo LIFO il costo di sostituzione, se esso risulta inferiore al valore di carico (in precedenza correttamente determinato). Nell’ipotesi in cui il valore netto di realizzo, diminuito del normale margine di profitto, sia superiore al costo di sostituzione, ed entrambi tali valori siano inferiori al valore di carico (precedentemente indicato correttamente), e sia ragionevolmente certo che i prezzi di vendita non subiranno riduzioni, è consentito utilizzare tale maggiore valore. In effetti, in tale situazione la riduzione del valore di magazzino al costo di sostituzione avrebbe l’effetto di far riconoscere minori utili nell’esercizio corrente a favore di esercizi successivi. Il normale margine di profitto deve essere determinato mettendo a confronto la media dei valori netti di realizzo e la media dei costi di sostituzione per un ragionevole e significativo periodo di tempo che può comprendere il periodo che inizia dal mese di chiusura dell’esercizio fino alla data di preparazione del bilancio. Vi possono essere delle situazioni in cui esistono, pur essendo il costo di sostituzione inferiore al costo storico, delle quantità che non eccedano il fabbisogno del normale ciclo operativo di materie prime e sussidiarie e di © Cesi Multimedia 35 Capitolo 1 – Normativa civilistica semilavorati d’acquisto che partecipano alla formazione di prodotti finiti e che possono essere realizzate ad un valore (valore netto di realizzo) uguale o superiore al loro costo storico. Se la possibilità del loro realizzo è oggettivamente documentabile e verificabile, tali materiali non devono essere svalutati, salvo il caso di valutazione con il metodo LIFO in presenza di prezzi decrescenti. Il valore di mercato per le materie prime, sussidiarie e semilavorati (parti o componenti) d’acquisto di lento movimento od obsoleti è rappresentato dal valore netto di realizzo, così come per le merci, prodotti finiti, ecc. Per la determinazione del valore di realizzazione desumibile dall’andamento del mercato occorre distinguere tra: a) merci, prodotti finiti, semilavorati e prodotti in corso di lavorazione; b) materie prime e sussidiarie che partecipano alla fabbricazione di prodotti finiti. Nel caso delle merci, dei prodotti finiti, dei semilavorati e dei prodotti in corso di lavorazione si prende a riferimento, per la determinazione del valore di realizzazione desumibile dall’andamento di mercato, direttamente il valore netto di realizzazione di tali beni. La previsione del valore netto di realizzo non può basarsi su fluttuazioni effimere di prezzi, ma sugli elementi più attendibili atti a individuare la situazione di vendibilità del prodotto. Nei casi in cui la determinazione del valore netto di realizzo dei prodotti o delle merci acquistate per la rivendita, presenti delle difficoltà a causa di speciali situazioni, come, ad esempio, un andamento di prezzi di acquisto con forti oscillazioni e rapide percussioni sul prezzo di vendita, il costo di sostituzione potrà essere il parametro più appropriato per indicare il valore netto di realizzazione. Nel caso delle materie prime e sussidiarie che partecipano alla fabbricazione di prodotti si prende a riferimento, per la determinazione del valore di realizzazione desumibile dall’andamento del mercato, generalmente il costo di sostituzione. Nota bene Nelle ipotesi di prezzi decrescenti, la valutazione delle merci, dei prodotti finiti e di altre giacenze destinate alla vendita effettuata con il metodo LIFO, crea dei problemi nella definizione di valore di mercato. Il metodo LIFO presuppone un andamento crescente dei prezzi e lo scopo di tale criterio è quello di contrapporre ai ricavi più recenti costi più recenti (che sono maggiori di quelli precedenti), ma ciò causa distorsione nella rappresentazione del patrimonio, mediante indicazione in bilancio di una rimanenza sottovalutata. Da ciò deriva la necessità di evidenziare nella nota integrativa l’importo di queste rimanenze a valori correnti. Nel caso invece di prezzi decrescenti si realizza nel conto economico un flusso di costi contrario a quello del presupposto del metodo LIFO. In questa situazione, infatti, il flusso dei costi LIFO tende a contrapporre a ricavi correnti costi correnti, che sono più bassi dei costi più elevati delle fasce LIFO precedenti. Si verifica in tal modo la tendenza a mantenere nel valore delle rimanenze indicate nello stato patrimoniale costi più elevati di quelli correnti, con evidenti segnalazioni errate nel documento di fine esercizio. Perciò, in presenza di prezzi decrescenti si deve utilizzare come valore di mercato per le merci e i prodotti finiti valutati con il metodo LIFO il costo di sostituzione, se esso risulta inferiore al valore di carico. La previsione del valore netto di realizzo non può basarsi su fluttuazioni non durature di prezzi ma su elementi più attendibili capaci di individuare la situazione di esitabilità del prodotto. Nei casi in cui la determinazione del valore netto di realizzo dei prodotti finiti o delle merci acquistate per la rivendita, presenti delle difficoltà a causa di speciali situazioni, come, ad esempio, un andamento di prezzi d’acquisto con forti oscillazioni e rapidi effetti sul prezzo di vendita, il costo di sostituzione potrà essere il parametro più appropriato per indicare il valore netto di realizzo. Quindi, per valore di realizzazione desumibile dall’andamento del mercato si intende la stima del prezzo di vendita delle merci e dei prodotti finiti nel corso della normale gestione, avuto riguardo alle informazioni deducibili dal mercato, al netto dei presunti costi di completamento e dei costi diretti di vendita (OIC 13, par. 9). Nota bene Nell’ipotesi di lavori effettuati su ordini specifici dei clienti, il prezzo di vendita sarà rappresentato dal corrispettivo pattuito. Questo significa che le rimanenze relative saranno valutate al costo, anche in periodi di prezzi calanti. Se gli accordi contrattuali relativi al prezzo non verranno rispettati, le rimanenze saranno svalutate sulla base del valore di realizzazione desumibile dal mercato. 36 © Cesi Multimedia Capitolo 1 – Normativa civilistica 1.27 Schema riassuntivo di applicazione del valore di mercato (salvo alcune deroghe) Categorie di rimanenze Materie prime, sussidiarie e semilavorati d’acquisto che partecipano alla fabbricazione di prodotti finiti Valore generale di mercato Costo di sostituzione Semilavorati, prodotti in corso di lavorazione Valore netto di realizzo Prodotti finiti, merci ed altre giacenze destinate alla vendita Valore netto di realizzo 1.28 Introduzione a un sistema a costi standard per la gestione ottimale delle rimanenze L’utilizzo di un sistema produttivo a costi standard consente di conseguire dei vantaggi e comporta anche una serie di limiti e svantaggi. Tra i vantaggi si possono sottolineare: economie dirette di coordinamento: maggiore è il numero delle unità produttive collegate che condividono gli stessi standard, minori sono i costi di coordinamento; economie indirette di specializzazione: le unità possono essere progettate in modo specializzato, in modo da conseguire una ottimizzazione delle abilità e delle competenze specializzate. Ai notevoli vantaggi in termini di controllo e di economie dirette e indirette ottenuto mediante l’impiego degli standard, fanno riscontro alcuni limiti. Gli aspetti più salienti che limitano la sua adozione possono essere: riduzione della varietà: la restrizione più evidente che diminuisce l’adozione degli standard consiste nel fatto che in un sistema standardizzato, il sistema produttivo può non essere in grado di rispondere alla domanda di varietà produttive non progettate a priori, senza tenere conto di eventuali segnali provenienti dall’ambiente esterno; scarsa adattabilità locale a condizioni non previste: dal momento che gli standard definiscono a priori condizioni reciprocamente compatibili delle unità produttive del sistema, qualora si renda necessario introdurre nuove, non previste, condizioni operative, non sarà possibile intervenire su una singola unità, ma sarà necessario riprogettare l’insieme delle unità di produzione collegate8. L’applicazione di un sistema a costi standard richiede la conoscenza dei seguenti elementi: le quantità di materiali e le parti specificate dai disegni tecnici; i prezzi di ciascun materiale, fondati sugli acquisti precedenti, su ordini in corso o quotazioni; il tipo e numero delle ore di lavoro necessarie per la lavorazione, come richiesto dalle specifiche tecniche, cicli di produzione, ecc.; il costo orario della mano d’opera, rettificato per riflettere gli incrementi previsti; le spese generali di produzione relative al prodotto. L’imputazione avviene preferibilmente per reparto o centro di costo e per livelli normali di produzione. I costi standard necessitano di aggiornamenti quando si verificano cambiamenti rilevanti nei costi. 1.29 Criteri di valutazione non accettabili Alcuni criteri di valutazione utilizzati non vengono accettati dalla disciplina contabile nazionale in quanto ritenuti in contrasto con le finalità di un bilancio d’esercizio tenuto a valori storici. Il metodo del costo primo variabile – “direct costing” –, cioè del costo inclusivo delle materie prime, della mano d’opera e di una quota di spese generali variabili di produzione (con esclusione delle spese generali di produzione fisse, quale l’ammortamento), ha come scopo quello di fornire alla direzione dell’impresa informazioni sul rapporto tra costi, volumi e profitto. Trattasi cioè di una configurazione di costo intesa a determinare, dalla differenza tra vendite e costi diretti, il margine contributivo utile a coprire le spese fisse; sostanzialmente il “direct costing” rappresenta uno strumento utile alla direzione aziendale per quantificare i volumi di vendite necessari per recuperare le spese fisse, per identificare quali prodotti sono redditizi e quali no, per determinare la convenienza a produrre o ad acquistare un prodotto, ecc. Seppure venga sostenuta l’utilità di tale metodo, dal momento che i costi fissi di produzione costituiscono componenti negativi del reddito e che pertanto devono essere esclusi ------------------------------------------8 Cfr., L. Gaio, F. Gino, E. Zaninotto, I sistemi di produzione, Carocci, 2002. © Cesi Multimedia 37 Capitolo 1 – Normativa civilistica dalla valutazione del magazzino, si segnala che i costi fissi di fabbricazione costituiscono nella maggior parte dei casi una parte rilevante del costo di fabbricazione per molte imprese manifatturiere e la loro esclusione si concretizzerebbe in una riduzione di valore del magazzino; riduzione ingiustificata, anche se dettata da motivi di direzione aziendale. Anche la valutazione delle rimanenze di magazzino al prezzo di vendita non è ammessa dal momento che tale criterio anticipa utili non realizzati; conseguenza in contrasto con i postulati del bilancio d’esercizio. Nota bene La disciplina contabile italiana ritiene non corretta la metodologia del “direct costing” in quanto la sua applicazione ridurrebbe il valore di magazzino. Anche la valutazione delle rimanenze di magazzino al prezzo di vendita non è ammessa per evitare la rilevazione di utili non realizzati. 38 © Cesi Multimedia Capitolo 2 – Costi di produzione e contabilità analitica 2. Costi di produzione e contabilità analitica 2.1 Ripartizione dei costi nei princìpi internazionali 2.1.1 Costi di trasformazione I costi di trasformazione delle rimanenze includono i costi direttamente correlati alle unità prodotte, come il lavoro diretto. Essi comprendono anche una ripartizione sistematica dei costi generali di produzione fissi e variabili che sono sostenuti per trasformare le materie prime in prodotti finiti. I costi generali fissi di produzione sono quei costi indiretti di produzione che rimangono relativamente costanti al variare del volume di produzione. I costi generali variabili di produzione sono quei costi indiretti di produzione che variano, direttamente o quasi, con il volume di produzione, come materiali o manodopera indiretti (IAS 2, par. 12). L’attribuzione dei costi generali fissi di produzione ai costi di trasformazione si basa sulla normale “capacità produttiva”. Questa rappresenta la produzione che si prevede di realizzare in media durante un numero di esercizi o periodi stagionali in circostanze normali, tenendo conto della perdita di capacità derivante dalla manutenzione pianificata. Sostanzialmente, la normale capacità produttiva è rappresentata dalla potenzialità degli impianti di produrre con elevati livelli di efficienza, senza considerare i livelli ridotti di produzione o di inattività degli impianti. È necessario però tenere conto delle perdite di capacità originati dalla manutenzione pianificata. Può essere utilizzato il livello effettivo di produzione qualora questo approssimi la normale capacità produttiva. L’ammontare di costi generali fissi attribuito a ciascuna attività prodotta non aumenta in conseguenza di una bassa produzione o inattività degli impianti. Le spese generali non attribuite sono rilevate come costo nell’esercizio nel quale esse sono sostenute. Negli esercizi nei quali il livello di produzione è insolitamente alto, l’ammontare dei costi generali fissi attribuiti a ciascuna unità prodotta è diminuito in modo che il valore delle rimanenze non sia determinato in misura superiore al costo (IAS 2, par. 13). I costi generali variabili di produzione sono attribuiti a ciascuna unità prodotta sulla base dell’utilizzo effettivo degli impianti di produzione. Da un processo di produzione è possibile ottenere contemporaneamente più di un prodotto (ad esempio, prodotti congiunti o un prodotto principale e un sottoprodotto). Quando i costi di trasformazione di ogni prodotto non sono identificabili separatamente, essi sono ripartiti tra i prodotti seguendo un criterio razionale. La ripartizione può essere basata, per esempio, sui relativi valori di vendita di ogni prodotto, con riferimento allo stadio del processo di produzione al quale i prodotti sono identificabili separatamente, o al termine della produzione stessa (par. 14). Lo IAS 2 non definisce alcuna modalità per la ripartizione dei costi comuni, ma individua che essa possa avvenire sulla base delle seguenti modalità: metodo dei valori di vendita dei prodotti; metodo del valore netto di realizzo del sottoprodotto. Gli altri costi sono inclusi nel costo delle rimanenze solamente nella misura in cui essi sono sostenuti per portare le rimanenze nel luogo e nelle condizioni attuali. Per esempio, può essere appropriato includere, nel costo delle rimanenze, spese generali non di produzione o i costi di progettazione di prodotti per specifici clienti (par. 15). Sono esclusi dal costo delle rimanenze e rilevati come costi nell’esercizio nel quale sono sostenuti, ad esempio: i costi di magazzinaggio, a meno che tali costi siano necessari nel processo di produzione prima di un ulteriore stadio di produzione. Generalmente i costi di magazzinaggio delle merci non possono essere compresi nel costo di valorizzazione delle rimanenze, dal momento che solitamente tali costi non sono considerati oneri direttamente imputabili alle giacenze. Non sono oneri relativi alla trasformazione dei prodotti, né sono spese generali sostenute per portare le rimanenze nel luogo e nelle condizioni attuali. Normalmente tali costi si imputano al conto economico per competenza. spese generali amministrative che non contribuiscono a portare le rimanenze nel luogo e nelle condizioni attuali; e spese di vendita. Il costo delle rimanenze deve comprendere tutti i costi di acquisto, i costi di trasformazione e gli altri costi sostenuti per portare le rimanenze nel luogo e nelle condizioni attuali. © Cesi Multimedia 39 Capitolo 2 – Costi di produzione e contabilità analitica Nota bene Nelle società editrici, che pubblicano testi o raccolte che necessitano la ricerca di informazioni, aggregazione dati, i costi di pubblicazione, traduzione e raccolta, possono essere capitalizzati se considerati oneri di trasformazione. 2.1.2 Costi diretti di produzione I costi di trasformazione (“costs of conversion”) rappresentano i costi sostenuti dall’impresa nel processo di trasformazione dei beni. Lo IAS 2 individua i sotto elencati costi di trasformazione: a) costi diretti di produzione; b) costi indiretti di produzione. I costi diretti di produzione sono direttamente connessi alle produzioni effettuate. Ad esempio: costo del lavoro diretto; materiali di produzione; forza motrice; materie ausiliarie. 2.1.3 Costi indiretti di produzione I costi indiretti (o generali) di produzione sostenuti per l’effettuazione del processo di trasformazione delle materie in prodotti finiti sono inclusi nel costo delle rimanenze mediante processi di ripartizione. I costi indiretti di produzione sono, ad esempio: a) costi indiretti variabili di produzione, che variano con il volume di produzione (ad esempio, manodopera indiretta, materiali indiretti); b) costi indiretti fissi (ad esempio, ammortamenti degli impianti e dei macchinari utilizzati per la trasformazione; i costi di manutenzione ordinaria degli impianti e macchinari; i costi di sviluppo; i costi per il controllo della qualità, ecc.). 2.1.4 Metodi di determinazione del costo Il costo delle rimanenze di beni che non sono normalmente fungibili e delle merci prodotte o dei servizi erogati e mantenuti distinti per specifici progetti deve essere attribuito impiegando distinte individuazioni dei loro costi specifici (IAS 2, par. 23). Per individuazione distinta del costo s’intende che i costi specifici sono attribuiti agli elementi identificati delle rimanenze. Questo criterio contabile risulta appropriato per i beni che vengono mantenuti distinti per un progetto specifico, indipendentemente dal fatto che essi siano acquistati o prodotti (par. 24). Il costo delle rimanenze (escluse quelle trattate nel par. 23) deve essere attribuito adottando il metodo FIFO o il metodo del costo medio ponderato (par. 25). 2.1.5 Valore netto di realizzo Il costo delle rimanenze può non essere recuperabile se esse sono danneggiate, se sono diventate in tutto o in parte obsolete, o se i loro prezzi di vendita sono diminuiti. Il costo delle rimanenze può non essere recuperabile anche nel caso in cui i costi stimati di completamento o i costi valutati da sostenere per realizzare la vendita sono aumentati. È possibile perciò svalutare le rimanenze al di sotto del costo fino al valore netto di realizzo, dal momento che i beni non possono essere iscritti ad un valore eccedente l’ammontare che si prevede di realizzare dalla loro vendita o dal loro uso (IAS 2, par. 28). 2.1.6 Normale capacità produttiva dell’impresa Come specificato dal paragrafo 13 dello IAS 2, l’attribuzione dei costi generali fissi di produzione ai costi di trasformazione si basa sulla normale capacità produttiva. Essa rappresenta la produzione che si prevede di realizzare durante un determinato ciclo produttivo in circostanze normali, vale a dire con una normale efficienza, tenendo conto della perdita di capacità derivante dalla manutenzione pianificata1. Può essere utilizzato il livello ef- ------------------------------------------1 Nella teoria economica classica, si ha l’utilizzazione ottimale degli impianti quando il costo medio variabile (Cv/Q), in un diagramma cartesiano, eguaglia il costo marginale (dC/dQ). La massimizzazione del profitto si verifica quando il ricavo marginale (dR/dQ) risulta eguale al co- 40 © Cesi Multimedia Capitolo 2 – Costi di produzione e contabilità analitica fettivo di produzione qualora questo approssimi la capacità produttiva. L’ammontare di costi generali fissi attribuito a ciascuna unità prodotta non aumenta in conseguenza di una produzione o inattività degli impianti. Le spese generali non attribuite sono rilevate come costo nell’esercizio nel quale esse sono sostenute. Negli esercizi nei quali il livello di produzione è insolitamente alto, l’ammontare dei costi generali fissi attribuiti a ciascuna unità prodotta è diminuito in maniera tale che il valore delle rimanenze non sia determinato in misura superiore al costo. I costi generali variabili di produzione sono attribuiti a ciascuna unità prodotta sulla base dell’utilizzo effettivo degli impianti di produzione. 2.2 Le rimanenze secondo lo IAS 2 2.2.1 Valutazione delle rimanenze al “costo specifico” Lo IAS 2 (par. 23) dispone che il costo delle rimanenze che non sono normalmente fungibili e delle merci prodotte o dei servizi erogati e mantenuti distinti per specifici progetti, debba essere attribuito impiegando distinte individuazioni dei loro costi specifici. Per l’individuazione distinta del costo s’intende che i costi specifici sono attribuiti agli elementi identificati delle rimanenze (par. 24). Sostanzialmente, il “costo specifico” delle rimanenze di magazzino di beni “identificabili” è quantificato come somma di tutti i costi sostenuti per gli stessi, stimando: il costo di acquisto; il costo di trasformazione; gli altri costi sostenuti per portare le rimanenze nel luogo e nelle condizioni attuali. Esempio Una società, alla fine dell’esercizio, indica in bilancio un bene strumentale in costruzione. Per la determinazione del valore delle rimanenze, i costi sostenuti sono esposti nel modo che segue: costi diretti per acquisto delle materie prime: costi di trasformazione: diretti (manodopera) indiretti (ammortamenti) altri costi connessi alla produzione Totale € 170.000 € 30.000 € 40.000 € 50.000 € 290.000 Rappresentazione nello stato patrimoniale Attività non correnti Immobilizzazioni materiali: B.II.5 Immobilizzazioni in corso 290.000 Conto economico A) Valore della produzione: 4) lavori in economia capitalizzati 290.000 Nota bene Il risultato economico emergente dai modelli di bilancio previsto dai princìpi contabili nazionali e internazionali risulta differente. Il modello europeo indica un reddito prodotto (o “reddito realizzato”), quello previsto dagli IAS/IFRS segnala un reddito potenziale (o “reddito realizzabile). I princìpi contabili civilistici (modello europeo) dispongono che concorrano a formare il risultato economico dell’esercizio le “perdite presunte”, ma non gli “utili sperati”. Il modello IAS/IFRS prevede che partecipino a formare il reddito d’esercizio sia le “perdite presunte”, sia gli “utili sperati”. Il concetto di “reddito prodotto” deriva dal princìpio della “prudenza”; il “reddito “potenziale” misura la “performance” aziendale. ------------------------------------------sto marginale; profitto marginale (dπ/dQ) nullo. La teoria manageriale, a causa dei conflitti di interesse conseguenti alla separazione tra proprietà e controllo dell’impresa, segnala che l’obiettivo della massimizzazione del profitto è sostituito da quello della massimizzazione della crescita aziendale. © Cesi Multimedia 41 Capitolo 2 – Costi di produzione e contabilità analitica 2.2.2 Rappresentazione delle rimanenze nel conto economico Nei princìpi contabili internazionali la rappresentazione delle rimanenze nel conto economico viene effettuata con due procedure, in base al modello adottato: per natura o per destinazione. Lo IAS 1 (par. 102) indica per le rimanenze: una voce specifica (“variazione nelle rimanenze di prodotti finiti”) che include la variazione, positiva o negativa, delle rimanenze di prodotti fabbricati (prodotti finiti o in corso di lavorazione); la voce “materie prime e materiali di consumo utilizzati”, che comprende il valore dei “consumi” effettuati durante la produzione. Le variazioni verificatasi nelle rimanenze di materie prime e di consumo non rilevano contabilmente. Tale modifica deve essere sommata ai costi delle materie, per evidenziare i consumi effettivi. Conto economico per natura Un’entità aggrega i costi inclusi nell’utile (perdita) d’esercizio secondo la natura (per esempio, ammortamenti, acquisti di materiali, costi di trasporto, benefici per i dipendenti, costi di pubblicità, ecc.) e non li distingue in base alla loro destinazione all’interno dell’entità (IAS 1, par. 102). Esempio Una società espone i seguenti valori: costi di acquisto di materie prime e materiali di consumo nell’esercizio Le rimanenze iniziali hanno i seguenti valori: materie prime prodotti finiti Le rimanenze finali sono: materi prime prodotti finiti 50.000 6.000 8.000 5.000 10.000 La variazione delle rimanenze dei prodotti finiti e delle rimanenze sono evidenziate nel modo sotto indicato: rimanenze finali dei prodotti finiti 10.000 (-) rimanenze iniziali prodotti finiti 8.000 2.000 rimanenze iniziali materie prime costi materie prime rimanenze finali materie prime Consumo materie prime 6.000 50.000 (5.000) 51.000 Esposizione nel Conto economico A.2) Variazioni delle rimanenze di prodotti finiti B.d.11) Variazioni delle rimanenze di materie prime 2.000 51.000 Conto economico per destinazione L’altro modello adottato dai princìpi contabili internazionali è quello denominato dei “costi per destinazione” o del “costo del venduto”. I costi sono classificati secondo la loro destinazione, come parte del “costo del venduto” (ad esempio, costi di distribuzione o amministrativi). L’impresa deve indicare il “costo del venduto” separatamente dagli altri costi. Questo metodo consente di fornire agli utilizzatori informazioni più significative nei confronti della classificazione dei costi per natura. La ripartizione dei costi per destinazione può implicare allocazioni arbitrarie e comportare un considerevole grado di discrezionalità (IAS 1, par. 103). Il conto economico con esposizione dei costi per destinazione, non evidenzia in maniera chiara il valore delle rimanenze. Ciò perché la voce “costo del venduto” comprende sia il costo delle materie consumate, sia il saldo algebrico delle variazioni delle rimanenze di merci, materiali di consumo, materie prime, prodotti in corso di lavo- 42 © Cesi Multimedia Capitolo 2 – Costi di produzione e contabilità analitica razione e prodotti finiti, oltre ai costi di natura industriale sostenuti nella produzione industriale (ad esempio, lavoro operai). Esempio Una società presenta un conto economico con costi operativi classificati per destinazione. In un esercizio sono stati sostenuti costi industriali nel modo che segue: costi del lavoro 50.000, ammortamenti industriali pari a 20.000 euro. Le rimanenze iniziali di materie prime corrispondono a euro 15.000, quelle finali a euro 18.000, il costo di acquisto delle materie prime è uguale a euro 30.000. Calcolo del costo del venduto: rimanenze iniziali acquisto materie prime (-) rimanenze finali ammortamenti costo lavoro Costo del venduto 15.000 30.000 18.000 20.000 50.000 97.000 Conto economico Ricavi Costo del venduto Utile lordo 97.000 2.2.3 Esposizione contabile delle rimanenze svalutate Il paragrafo 34 dello IAS 2 chiarisce che: “L’ammontare di ogni svalutazione delle rimanenze al valore netto di realizzo e tutte le perdite di magazzino devono essere rilevate come un costo nell’esercizio nel quale la svalutazione o la perdita si sono verificate”. Disciplina che deriva dal princìpio della competenza economica. La rappresentazione contabile della svalutazione può avvenire in due modi: 1) valutazione delle rimanenze mediante il valore netto di realizzo; 2) indicazione della svalutazione con l’utilizzo di un apposito fondo rettificativo del valore contabile delle rimanenze. Esempio Una società valuta le rimanenze a fine esercizio, determinate mediante l’applicazione del metodo FIFO, con un costo di euro 5.000. Il valore netto di realizzo è stimato pari a euro 4.500. Le rimanenze iniziali sono nulle. Il costo di acquisto delle materie prime sostenuto durante l’esercizio è di euro 20.000. La società deve indicare in bilancio l’importo minore tra il valore netto di realizzo e il costo delle rimanenze, quantificato con il metodo LIFO. In contabilità, l’impresa deve registrare il valore delle rimanenze per un importo pari a 4.500 euro. Rimanenze materie prime 1) a Variazione rimanenze materie prime 4.500 se la società adotta la configurazione del conto economico per natura, il consumo di materie è calcolato come segue: rimanenze finali delle materie +/- variazione rimanenze delle materie 20.000 4.500 15.500 Stato patrimoniale Attività correnti Rimanenze © Cesi Multimedia 4.500 43 Capitolo 2 – Costi di produzione e contabilità analitica Conto economico Ricavi Materie prime utilizzate -----------15.500 2) se l’impresa utilizza il Conto economico per destinazione, si avranno i seguenti prospetti contabili: il costo del venduto è quantificato così: costo di acquisto delle materie + rimanenze iniziali - rimanenze finali 20.000 0 4.500 15.500 Stato patrimoniale Attività correnti Rimanenze 4.500 Conto economico Ricavi Costo del venduto -----------15.000 2.2.4 Esempio di attribuzione dei costi di produzione Produzione complessiva: 1 unità di A e 1 unità di B. Quantità Costi diretti: - materie prime - manodopera diretta - costi indiretti (*) 50 80 80 (**) Prodotto A Prezzo 260 150 9.000 180 Valore € 13.000 € 12.000 € 4.000 (***) Quantità Prodotto B Prezzo 60 100 100 300 150 9.000 180 Valore € 18.000 € 15.000 € 5.000 (*) Costi indiretti totali del periodo: 9.000. (**) La ripartizione dei costi indiretti è attuata in proporzione alle ore di manodopera diretta. (***) 9.000/180 = 50; 50 x 80 = 4.000. Nota bene I costi indiretti di produzione (OverHeads) non sono imputabili ai prodotti in base a semplici coefficienti d’impiego. Tali costi non sono associabili al singolo prodotto, ma all’attività di produzione complessiva svolta in un determinato periodo di produzione. 2.2.5 Rappresentazione di un livello efficiente di produzione (offerta) (1) Quantità prodotta (2) Costi unitari medi variabili minimi (3) Costo totale 0 1 200 400 2 140 280 3 100 300 4 90 320 5 80 400 6 90 540 I valori della colonna (3) corrispondono ai prodotti dei valori (1), (2). 44 (4) Costo marginale 80 20 20 80 140 © Cesi Multimedia Capitolo 2 – Costi di produzione e contabilità analitica I valori della colonna (4) sono ottenuti sottraendo da ciascun valore della (3) il termine che direttamente lo precede. Nota bene Dalla tabella esposta risulta cha la massima efficienza della produzione (con profitto massimo) si consegue in corrispondenza dell’eguaglianza dei costi unitari medi variabili minimi (80) e dei costi marginali (80). Tale costo rappresenta l’incremento di costo che si sostiene per produrre un’unità in più. In un regime di concorrenza perfetta, la dimensione aziendale in base alla quale si realizza il minimo costo unitario medio variabile è quella “ottima”. 2.2.6 Normale capacità produttiva secondo il numero di prodotti finiti La “normale capacità produttiva” è quantificabile sulla base del livello produttivo che l’impresa mediamente prevede di conseguire su un definito numero di esercizi o periodi stagionali, nel normale svolgimento della sua attività produttiva. Può essere utilizzato il livello effettivo di produzione qualora questo approssimi la normale capacità produttiva (IAS 2, par. 13). Anche per l’OIC 13 (par. 28) la normale capacità produttiva rappresenta la produzione che si prevede di realizzare, tenendo conto della perdita di capacità derivante dalla manutenzione pianificata. Esempio Un’impresa, in basse all’esperienza passata, ha preventivato per i prossimi 5 anni la normale capacità produttiva media di 10.000 unità. Costi unitari di acquisto delle materie prime corrisponde a euro 30. Nell’esercizio X0, l’impresa sostiene i seguenti costi indiretti di produzione: costi variabili di produzione (costi di lavoro per manutenzione impianti) costi fissi di produzione (ammortamento impianti di produzione) costi fissi di produzione (costi assicurativi del capitale investito in attività produttive) € 68.000 € 176.000 € 44.000 L’attribuzione ai singoli prodotti dei costi indiretti avviene sulla base della normale capacità produttiva (10.000 unità). I costi indiretti unitari vengono calcolati nel modo che segue: costi variabili di produzione: euro 68.000/10.000 = costi fissi di produzione: euro 176.000/10.000 = costi fissi di produzione: euro 44.000/10.000 = € 6,8 per ogni unità; € 17,6 per ogni unità; € 4,4 per ogni unità. Attribuzione dei costi indiretti di produzione ai singoli prodotti, secondo la normale capacità produttiva. Costo diretto unitario + costi indiretti: costi di lavoro ammortamenti costi assicurativi costi unitari totali di produzione costi totali di produzione (10.000 x 58,8) = euro 30,0 euro 6,8 euro 17,6 euro 4,4 euro 58,8 euro 588.000 2.2.7 Processi produttivi strutturati con due fasi di lavorazione e valutazioni Esemplificazione Immaginiamo che l’impresa Alfa realizzi prodotti finiti, i cui processi produttivi siano articolati in due fasi di lavorazione. Per i semilavorati utilizzati nella produzione esiste un mercato di scambio. L’impresa presenta i seguenti valori di produzione: prima fase di lavorazione: rimanenze iniziali materie prime 2000; costi di acquisto materie prime 2000; rimanenze finali materie prime 2500; lavoro diretto 2000; ammortamenti impianti industriali 500. La produzione è così strutturata: © Cesi Multimedia 45 Capitolo 2 – Costi di produzione e contabilità analitica Costo unitario di produzione (materie prime, lavoro diretto, ammortamenti) 4.000 (materie prime 1500; lavoro diretto 2000; ammortamenti 500) 8.100 12.100 Rimanenze prima fase di lavorazione Rimanenze seconda fase di lavorazione Prezzo unitario stimato di vendita 3.800 8.200 12.000 Non sono previsti dei costi di vendita e altri per il completamento della produzione. Rilevazione delle rimanenze della prima fase di produzione Rilevazioni in base alla normativa italiana Per la normativa nazionale, le rimanenze devono essere valutate al minore tra il costo di acquisto o di produzione ed il valore di realizzazione desumibile dal mercato (OIC 13, par. 40). Per lo IAS 2 (par. 9) le rimanenze devono essere valutate al minore tra il costo e il valore netto di realizzo. L’OIC 13 prevede che le rimanenze siano oggetto di svalutazione quando il valore di realizzazione desumibile da mercato sia minore del relativo valore contabile. La svalutazione delle voci obsolete e di lento movimento può essere effettuato voce per voce, ovvero creando fondi di deprezzamento, o con entrambi i metodi. Gli eventuali fondi di deprezzamento sono portati a diminuzione della parte attiva. Per quanto concerne i prodotti in corso di lavorazione, le perdite previste su tali prodotti sono riconosciute interamente, in conformità al princìpio della prudenza, nel momento in cui divengono note e non nel momento in cui il prodotto viene fatturato al cliente. In base allo IAS 2 (par. 31 ss.) è corretto svalutare le rimanenze al di sotto del costo fino al valore netto di realizzo, in quanto coerente con il postulato che i beni non possono essere iscritti ad un valore eccedente l’ammontare che si prevede di realizzare dalla loro vendita o dal loro uso. Materiali e altri beni di consumo posseduti per essere utilizzati nella produzione di rimanenze, non sono svalutati al di sotto del costo, se ci si attende che i prodotti finiti nei quali verranno incorporati siano venduti ad un importo pari o superiore al costo. Tuttavia, quando una diminuzione nel prezzo dei materiali indica che il costo dei prodotti finiti eccede il valore netto di realizzo, i materiali sono svalutati fino al valore netto di realizzo (IAS 2, par. 32). Perciò, se i prezzi di mercato si stanno riducendo, la svalutazione potrà essere operata direttamente, come minore valore delle rimanenze finali oppure indirettamente, mediante appositi fondi di svalutazione che confluiranno a rettifica delle voci di magazzino stesso. Una maggiore chiarezza contabile suggerisce di rilevare prima le rimanenze finali al loro costo e, in seguito, svalutarle attraverso la costituzione di un distinto fondo di rettifica. Contabilmente, quindi, la svalutazione può essere operata direttamente, come minor valore delle rimanenze finali oppure indirettamente, mediante creazione di appositi fondi di svalutazione che in bilancio confluiranno a rettifica delle voci di magazzino stesso. Scritture contabili Rimanenze semilavorati relative al primo stadio di lavorazione SP C.2 Prodotti in corso di lavorazione a CE A.2 Variazione prodotti in corso di lavorazione a SP C.2 (-) Fondo svalutazione semilavorati in magazzino 4.000 Svalutazione del magazzino CE A.2 (-) Svalutazione semilavorati 200 Il fondo svalutazione deve essere portato a detrazione delle rimanenze esposte nell’attivo dello stato patrimoniale, mentre il costo per la svalutazione deve essere incluso nella voce A.2) (Variazione delle rimanenze di prodotti finiti, semilavorati e in corso di lavorazione) del conto economico col segno “meno”. 46 © Cesi Multimedia Capitolo 2 – Costi di produzione e contabilità analitica Stato patrimoniale Attivo I – Rimanenze: 2) semilavorati Fondo svalutazione Passivo 4.000 - 200 3.800 Conto economico A) Valore della produzione: 2) Variazione delle rimanenze di semilavorati (svalutazione) B) Costi della produzione: 6) per materie prime 9) per il personale 10.c) ammortamenti 11) variazione rimanenze materie prime 4.000 – 200 2.000 2.000 500 - 500 Nota bene Se in seguito vengono meno le ragioni della svalutazione, il fondo svalutazione precedentemente accreditato andrà stornato con contropartita di un componente reddituale positivo, da indicare nel conto economico, voce A.5. I ripristini di valore determinano un incremento delle rimanenze finali di magazzino. Nell’ipotesi in cui una diminuzione del prezzo dei materiali manifesti che il costo dei prodotti finiti sarà maggiore del valore netto di realizzo, si dovrà procedere alla svalutazione. L’OIC 13 segnala che se il costo di sostituzione è inferiore al costo storico, non si procede alla svalutazione delle materie e dei semilavorati se tale differenza è recuperabile con la vendita dei prodotti. Se neanche il minor costo di sostituzione delle materie prime, sussidiarie e dei semilavorati d’acquisto può essere recuperato tramite il valore netto di realizzo del prodotto finito (che li include), si renderà necessario utilizzare il valore netto di realizzo. In ogni esercizio successivo alla svalutazione deve essere effettuata una valutazione del valore netto di realizzo. Se gli eventi che hanno in precedenza provocato una svalutazione delle rimanenze al di sotto del costo non esistono più, l’importo della svalutazione deve essere stornato, per far sì che il nuovo valore contabile sia il minore tra il costo e il valore netto di realizzo riallineato. Scrittura relativa SP I.2 Fondo svalutazione semilavorati a CE A.5 Rivalutazione semilavorati 200 Nota bene Una nuova valutazione del valore netto di realizzo deve essere effettuata in ogni esercizio successivo alla svalutazione. Se le cause che avevano provocato la svalutazione non esistono più, l’importo della svalutazione deve essere stornato, in maniera tale che il nuovo valore contabile sia il minore fra il costo e il valore netto rimodulato (IAS 2, par. 33). In base all’OIC 13, qualora gli eventi che avevano determinato la riduzione del costo per conformarsi al valore di mercato dovessero venire meno, tale minore valore non può essere conservato nei successivi bilanci. Contabilmente, è necessario rilevare un accredito a conto economico, nel rispetto del princìpio di prudenza e con adeguate informazioni nella nota integrativa. © Cesi Multimedia 47 Capitolo 2 – Costi di produzione e contabilità analitica Applicazione in base ai princìpi contabili internazionali Secondo il par. 32 dello IAS 2, i materiali e altri beni di consumo posseduti per essere utilizzati nella produzione di rimanenze non sono svalutati al di sotto del costo se ci si attende che i prodotti nei quali verranno incorporati verranno venduti ad un importo pari o superiore al costo. Tuttavia, quando una diminuzione nel prezzo dei materiali indica che il costo dei prodotti finiti eccede il valore netto di realizzo, i materiali devono essere svalutati fino al valore netto di realizzo. Riferimento all’esercizio sopra indicato: Prezzo unitario stimato di vendita dei prodotti finiti - Costo unitario nella prima fase di produzione Perdita di valore rimanenza materiali della prima fase di produzione 3.800 4.000 200 Come si nota, il costo stimato dei prodotti finiti relativi alla prima fase di lavorazione è inferiore al costo di produzione. Scritture contabili Rimanenze prodotti in corso di lavorazione a Variazione delle rimanenze in corso di lavorazione 4.000 Stato patrimoniale Attività Attività correnti: rimanenze prodotti in corso di lavorazione Patrimonio netto e passività 4.000 - 200 Rappresentazione delle rimanenze nel conto economico: 1) Conto economico per natura Ricavi ……. Costi: 4.000 materie prime utilizzate, ammortamenti e costi connessi a benefici ai dipendenti svalutazione rimanenze semilavorati - 200 Risultato economico Il costo delle materie prime utilizzate è così ottenuto: rimanenze iniziali materie prime costi acquisto materie prime rimanenze finali materie 2.000 2.000 – 2.500 1.500 2) Conto economico per destinazione Il conto economico espresso per destinazione (o a “costo del venduto”) non manifesta direttamente le rimanenze. Infatti, la voce “costo del venduto” include sia il costo delle materie consumate, sia il saldo algebrico della variazione delle rimanenze di materie prime, materiali di consumo, prodotti in corso di lavorazione, prodotti finiti, merci, sia i costi di lavoro della produzione che gli ammortamenti. Ricavi Costo del venduto Svalutazione rimanenze semilavorati 48 ……. 4.000 - 200 © Cesi Multimedia Capitolo 2 – Costi di produzione e contabilità analitica Risultato economico Il costo del venduto è così determinato: rimanenze iniziali materie prime acquisto materie prime meno rimanenze finali costo del lavoro Ammortamenti 2000 2000 2500 2000 5000 4000 Nota bene Il conto economico a costo del venduto e ricavi è in grado di evidenziare l’utile lordo sulle vendite. 2.2.8 Produzioni con costi congiunti L’OIC 13 (par. 37) dispone che, in relazione ai prodotti con costi comuni non scindibili, nelle ipotesi in cui non sia tecnicamente definibile con esattezza e con ragionevolezza la quota di costo da imputare a ciascun prodotto, essa possa essere quantificata in proporzione al valore di realizzazione desumibile dall’andamento del mercato dei diversi prodotti. I sottoprodotti o scarti di lavorazione di importo irrilevante possono essere valutati direttamente al valore di realizzazione desumibile dall’andamento del mercato, purché questo valore sia dedotto dal costo del prodotto principale (OIC 13, par. 38). Lo IAS 2 (par. 14) precisa che da un processo di produzione è possibile ottenere contemporaneamente più di un prodotto. Quando i costi di trasformazione di ogni prodotto non sono identificabili separatamente, essi sono ripartiti tra i prodotti seguendo un criterio razionale e uniforme. La ripartizione può essere basata, per esempio, sui relativi valori di vendita di ogni prodotto, con riferimento allo stadio del processo di produzione al quale i prodotti sono identificabili separatamente, o al termine della produzione. Valutazioni delle rimanenze in presenza di costi congiunti Dall’attivazione di un unico processo di produzione si possono ottenere più prodotti, i cui costi sono fra loro congiunti. I prodotti si dicono tecnicamente congiunti quando dalla lavorazione di un’unica materia prima si ottengono, in maniera inscindibile, più prodotti tra loro legati. Il costo di tale processo costituisce un “costo congiunto”. I costi congiunti sono perciò dei costi comuni relativi ai prodotti ottenuti. Per determinare il costo di ogni prodotto, si calcola il costo industriale del processo produttivo e lo si riparte, in maniera soggettiva, fra i vari prodotti congiuntamente realizzati. In base alle caratteristiche dei prodotti, il riparto del costo industriale può essere determinato con diversi procedimenti. Esistono due approcci principali per l’allocazione dei costi congiunti: a) allocazione dei costi utilizzando dati di mercato (ad esempio, i ricavi); b) ripartizione dei costi usando parametri fisici, come il peso o il volume. Il punto del processo che determina un insieme di costi congiunti in cui uno o più prodotti diventano separatamente identificabili viene denominato punto di scissione (o splitoff-point). Quando i prodotti congiunti raggiungono il punto di scissione vengono venduti con o senza ulteriori trasformazioni. Aspetti operativi secondo la tecnica dello “splitoff-point” Uno dei criteri di riparto dei costi congiunti può essere basato sui ricavi qualora i prodotti venduti abbiano delle valutazioni commerciali abbastanza simili (non esistono dei prodotti secondari). Il modello che illustriamo è fondato sul fatto che i ricavi di vendita abbiano un rapporto fisso con i costi di produzione. Per tale motivo, il margine lordo industriale di ogni unità prodotta ha la stessa percentuale. Il margine lordo è ottenuto dalla differenza fra ricavi netti (detratti i costi di distribuzione) di vendita e costo del venduto. Quest’ultimo valore si quantifica mediante la seguente somma algebrica: + + + - esistenze iniziali di materie prime e prodotti acquisti materie prime e di consumo costi industriali rimanenze finali di materie prime e prodotti costi capitalizzati costo del venduto © Cesi Multimedia 49 Capitolo 2 – Costi di produzione e contabilità analitica La differenza fra ricavi e costo del venduto segnala il risultato lordo della gestione industriale, da cui vanno detratti gli altri costi classificati per funzione: costi di distribuzione, amministrativi. Il valore conseguito esprime il risultato operativo. Esempio Supponiamo che un’impresa vinicola realizzi un processo di trasformazione avente un costo industriale, con costi congiunti, pari a euro 800. L’uva acquistata viene trasformata; al punto di scissione (i prodotti sono separatamente identificabili) si ottengono due prodotti finiti: vino di prima e di seconda qualità. Gli elementi contabili sono i seguenti: vino prima qualità l. 250; quantità venduta l. 200 a euro 20 al litro; rimanenze l. 50; vino seconda qualità l. 750; quantità venduta l. 300 a euro 10 al litro, rimanenze l. 450. Prospetto della valutazione del valore di vendita nel punto di scissione (splitoff) Valore della vendita nel punto di scissione: vino 1° qualità litri 250 per euro 20 vino 2° qualità litri 750 per euro 10 Attribuzione del peso ai singoli beni: vino 1°: 5.000/12.500 = vino 2°: 7.500/12.500 = Costi congiunti allocati: vino 1°: 0,40 x 800 = vino 2°: 0,60 x 800 = Costi congiunti per litro: vino 1°: 320/250 = vino 2°: 480/750 = vino 1° qualità euro 5.000 vino 2° qualità 7.500 Totali euro 12.500 0,40 0,60 1 euro 320 480 euro 800 euro 1,28 0,64 Aceto Vino Totali euro 4.000 3.000 euro 7.000 euro 320 480 euro 800 euro 64 288 euro 352 euro 256 192 euro 448 euro 3.744 2.802 euro 6.546 Prospetto conto economico con allocazione dei costi congiunti Ricavi netti: aceto: 200 x 20 = vino: 300 x 10 = Costi congiunti. Costi di produzione: aceto: 0,40 x 800 = vino: 0,60 x 800 = meno rimanenze finali: aceto: 50 x 1,28 = vino: 450 x 0,64 = Costo del venduto: (320 – 64) (480 – 288) Margine lordo: (4.000 – 256) (3.000 – 192) Percentuale margine lordo: aceto (4.000 : 3.744 = 100: X) vino (3.000 : 2.802 = 100: X) 93% 93% Nota bene Lo IAS 2 stabilisce che da un processo di produzione è possibile ottenere contemporaneamente più di un prodotto (prodotti congiunti). Il par. 14 di questo princìpio prescrive che la ripartizione dei costi congiunti sia basata, per esempio, sui relativi valori di vendita di ogni prodotto, considerato allo stadio del processo di produzione al quale i prodotti sono separatamente identificabili, o al termine della produzione. Quando i costi di trasformazione di ogni prodotto non sono identificabili separatamente, essi sono ripartiti tra i prodotti seguendo un criterio razionale e uniforme. 50 © Cesi Multimedia Capitolo 2 – Costi di produzione e contabilità analitica Nota bene Nell’ipotesi di prodotti con costi comuni non scindibili e in presenza di costi tecnicamente non determinabili in maniera ragionevole, la quota di costo da imputare a ciascun prodotto può essere determinata mediante l’attribuzione dei costi comuni in rapporto al valore netto di realizzo dei diversi prodotti. I sottoprodotti o scarti di lavorazione possono essere valutati direttamente al valore netto di realizzo, purché questo valore sia dedotto dal costo del prodotto principale. Aspetti fiscali L’art. 92 del TUIR disciplina le variazioni delle rimanenze finali rispetto a quelle iniziali, che concorrono a formare il reddito di esercizio. Le rimanenze finali (la cui valutazione non sia effettuata a costi specifici) sono assunte per un valore non inferiore a quello che risulta raggruppando i beni in categorie omogenee per natura e per un valore non inferiore a quello determinato nel modo che segue: nel primo esercizio le rimanenze sono valutate attribuendo a ogni unità il valore risultante dalla divisione del costo complessivo dei beni prodotti e acquistati nell’esercizio stesso per la loro quantità. Negli esercizi successivi, se la quantità delle rimanenze è aumentata nei confronti di quella dell’esercizio precedente, la maggiore quantità (costituita secondo voci distinte per esercizio di formazione) è valutata attribuendo a ogni unità il valore risultante dalla divisione del costo complessivo dei beni prodotti e acquistati nei vari esercizi per la loro quantità; se questa è diminuita, la riduzione si imputa agli incrementi formati nei precedenti esercizi, a cominciare dal più recente (LIFO a scatti). In alternativa, sono ammessi il criterio della media ponderata o quello del FIFO. Sostanzialmente, il legislatore fiscale si è conformato a quello civile. 2.2.9 Oneri finanziari e princìpi contabili internazionali Lo IAS 23 indica, come princìpio generale, che gli oneri finanziari che sono direttamente imputabili all’acquisizione, alla costruzione o alla produzione di un bene che giustifica una capitalizzazione fanno parte del costo del bene stesso. Gli altri oneri finanziari devono essere rilevati come costo (par. 1). Gli oneri finanziari direttamente imputabili all’acquisizione, alla costruzione o alla produzione di un bene che giustifica una capitalizzazione sono quegli oneri finanziari che non sarebbero stati sostenuti se non ci fosse una spesa per tale bene (IAS 23, par. 10). Nella misura in cui un’entità si indebita specificatamente allo scopo di ottenere un bene che giustifica una capitalizzazione, l’entità deve determinare l’ammontare degli oneri finanziari capitalizzabili come oneri finanziari effettivi sostenuti per quel finanziamento durante l’esercizio, dedotto ogni provento finanziario derivante dall’investimento temporaneo di quei fondi. Il princìpio contabile internazionale n. 23 limita a ipotesi particolari la facoltà di attribuire gli oneri finanziari al costo delle rimanenze. Tale princìpio prevede che gli oneri per interessi siano attribuibili al costo delle rimanenze solamente se queste richiedono un notevole periodo di tempo (ad esempio, processo di invecchiamento). Le rimanenze ottenute regolarmente o in grandi quantità in maniera ripetitiva, non giustificano la capitalizzazione degli oneri finanziari (IAS 23, par. 5). 2.2.10 Abbuoni e sconti Lo IAS 2 stabilisce che gli sconti commerciali, i resi e le altre voci simili devono essere dedotti nella determinazione d’acquisto ai fini della valorizzazione delle rimanenze. Nell’ipotesi di abbuoni concessi dai fornitori sugli acquisti dell’esercizio essi devono essere stimati nel calcolo del costo di acquisto ai fini della stima delle rimanenze. Quando gli sconti e gli abbuoni non possono essere attribuiti direttamente ad uno specifico elemento delle rimanenze, l’ammontare dello sconto maturato è assegnato proporzionalmente agli acquisti dell’anno, sia venduti sia invenduti. Esempio Un’impresa ha realizzato durante un esercizio, oltre ad altri output, n. 5.000 prodotti finiti del tipo y. Alla fine dello stesso i prodotti y non venduti risultano pari a 1.000 (con valutazione unitaria di 10 euro). Durante lo stesso esercizio l’impresa ha concesso complessivamente degli abbuoni per euro 500. Poiché le rimanenze fisiche del prodotto y rappresentano 1/5 dell’intera produzione dello stesso, anche gli abbuoni concessi devono essere nella stessa misura (1/5) assegnati alle rimanenze di tale prodotto, mentre la parte rimanente (4/5) deve essere imputata al conto economico tra gli altri ricavi (se il conto economico viene configurato per natura) o in diminuzione del costo del venduto (se viene utilizzata la classificazione per destinazione). © Cesi Multimedia 51 Capitolo 2 – Costi di produzione e contabilità analitica Scrittura contabile per la concessione degli abbuoni CE Rettifiche vendite per abbuoni a SP Crediti vs. clienti 500 SP Prodotti finiti y in magazzino a CE Prodotti finiti y in rimanenza 100 CE Ricavi per vendite a CE Altri ricavi 400 Nota bene Nella disciplina dei princìpi contabili internazionali non esiste la nozione di ricavi accessori, né è prevista la loro indicazione obbligatoria nel conto economico o nelle note. In uno degli esempi contenuti nella guida all’applicazione dello IAS 1 nel conto economico esiste la voce “altri ricavi”. In questa voce, pur in assenza di indicazioni, si devono rilevare tutti i ricavi che non appartengono all’attività tipica (ad esempio, ricavi e proventi diversi: contributi in conto esercizio, le penalità da clienti, acquisizioni di caparre, rimborsi assicurativi, rimborsi spese addebitati ai clienti, ecc.). 52 © Cesi Multimedia Capitolo 3 – Lavori in corso su ordinazione 3. Lavori in corso su ordinazione 3.1 Definizione e classificazione Definizioni La produzione può essere effettuata: a) per il magazzino (in serie o a flusso continuo): b) su commessa. Le produzioni per il magazzino rappresentano lavorazioni di tipo standardizzato, svolte in base a un programma fondato su previsioni di vendita, tenuto conto delle quantità producibili in un determinato periodo di tempo. Le produzioni su commessa, al contrario, si svolgono frequentemente su specifica richiesta del cliente, I prodotti, normalmente, sono differenti gli uni dagli altri; la durata del ciclo di lavorazione di solito è lunga, talvolta pluriennale. La definizione di lavori in corso su ordinazione accoglie produzioni su commessa non ancora ultimate. Per lavoro in corso su ordinazione (o commessa) si intende un contratto, di durata normalmente ultrannuale, stipulato per la realizzazione di un bene (o una combinazione di beni) o per la fornitura di beni o servizi non di serie che insieme formano un unico progetto, oppure, sono strettamente connessi in riferimento alla loro progettazione, tecnologia usata. I lavori su ordinazione vengono eseguiti su richiesta del committente, mediante contratti di appalto. Per lavoro in corso su ordinazione di durata ultrannuale si intende un contratto di prestazioni che vengono svolte in un periodo superiore a dodici mesi. Secondo l’OIC 23 (versione dicembre 2016), un lavoro su ordinazione (o commessa) si riferisce a un contratto, di durata normalmente ultrannuale, per la realizzazione di un bene (o una combinazione di beni) o per la fornitura di beni o servizi non di serie che insieme formino un unico progetto, ovvero siano strettamente connessi o interdipendenti con riguardo alla loro progettazione, tecnologia e funzione o la loro utilizzazione finale. I lavori su ordinazione sono eseguiti su ordinazione del committente secondo le specifiche tecniche da questi richieste. I lavori in corso su ordinazione sono normalmente affidati con contratti di appalto, concernenti la realizzazione di opere o la fornitura di più beni o servizi pattuiti come oggetto unitario (OIC 23, par. 5). Per lavoro in corso su ordinazione di durata ultrannuale si intende un contratto di esecuzione che coinvolge un periodo superiore a dodici mesi (par. 6). I contratti a corrispettivo predeterminato esprimono lavori in corso su ordinazione nei quali l’appaltatore si impegna ad eseguire l’opera sulla base di un prezzo contrattuale predeterminato o dei prezzi predeterminati per le singole voci di lavoro. Il prezzo predeterminato può essere oggetto di clausole di revisione per adeguarlo ad aumenti dei relativi costi (par. 7). I contratti con corrispettivo basato sul costo consuntivo più il margine, rappresentano lavori in corso su ordinazione nei quali il corrispettivo riconosciuto all’appaltatore è determinato dai costi sostenuti, specificatamente previsti dal contratto, maggiorati di una percentuale dei costi stessi a titolo di recupero di spese generali e di altre non specificatamente rimborsabili, oltre che del profitto, ovvero di un importo fisso. In entrambi i casi, la determinazione del margine è stabilita contrattualmente. Il margine dell’appaltatore può essere proporzionale ai costi sostenuti ovvero essere predeterminato se calcolato come percentuale fissa dei costi stimati inizialmente. Nei contratti con corrispettivo basato sul costo consuntivo, il corrispettivo contrattuale non è predeterminato, ma è calcolato in funzione dei costi dall’appaltatore (par. 8). I ricavi di commessa (o ricavi a preventivo) sono costituiti dai corrispettivi complessivi pattuiti tra il committente e l’appaltatore per l’esecuzione o la fornitura dei beni e/o servizi previsti nel contratto (par. 9). I costi di commessa (o costi a preventivo) sono rappresentati dai costi attribuibili a una commessa che si stima di sostenere per l’esecuzione o la fornitura dei beni e/servizi previsti nel contratto (par. 10). Il risultato (o margine) di commessa esprime la differenza tra i ricavi di commessa e i costi di commessa (par. 11). Lo stato di avanzamento (o percentuale di completamento) configura, in termini percentuali o in base a misurazioni fisiche, l’entità dei lavori in corso già eseguiti dall’appaltatore ad una certa data antecedente al completamento della commessa (par. 14). I costi consuntivi di commessa costituiscono i costi sostenuti riferiti ad una commessa nel periodo compreso tra la data di stipulazione del contratto ed una stabilita data antecedente al completamento della commessa (par. 12). 3.1.1 Classificazione e contenuto delle voci Il codice civile non indica una definizione di lavori in corso su ordinazione ma si limita a fornire la loro classificazione tra le rimanenze. In particolare, l’art. 2424 c.c. segnala che i lavori in corso su ordinazione sono iscritti nell’attivo circolante dello stato patrimoniale, tra le rimanenze nella voce C.1.3 (“lavori in corso su ordinazione”). © Cesi Multimedia 53 Capitolo 3 – Lavori in corso su ordinazione I crediti per fatture emesse per anticipi, acconti o corrispettivi acquisiti a titolo definitivo sono iscritti nell’attivo circolante alla voce C.II.1 “verso clienti” o alle successive voci 2, 3, 4 e 5, se verso imprese controllate, imprese collegate, controllanti e imprese sottoposte al controllo delle controllanti (OIC 23, par. 25). In contropartita all’iscrizione del credito, gli anticipi e gli acconti sono rilevati tra le passività, alla voce dei debiti D 6 “acconti”,(con separata indicazione, per ciascuna voce, degli importi esigibili oltre l’esercizio successivo). Nella classe B del passivo “Fondi per rischi e oneri” sono iscritti, alla voce B 4 “altri”, gli accantonamenti per i costi da sostenere dopo la chiusura della commessa, nonché quelli relativi al fondo per perdite probabili su commessa (OIC 23, par. 26). Inoltre si deve indicare alla voce Crediti (con separata indicazione, per ciascuna voce, degli importi esigibili oltre l’esercizio successivo) i seguenti: 5-bis) crediti tributari; 5-ter) imposte anticipate; 5-quater) verso altri1. Nell’ipotesi di fatturazione definitiva dei lavori, gli anticipi e gli acconti sono stornati dal passivo in contropartita, in contropartita alla rilevazione di un ricavo nella voce A.1) “ricavi delle vendite e delle prestazioni” (OIC 23, par. 25). I corrispettivi acquisiti a titolo definitivo sono rilevati alla voce A.1) “ricavi delle vendite e delle prestazioni”, nella macro-classe A) “Valore della produzione”. La variazione dei lavori in corso su ordinazione, pari alla variazione delle rimanenze eseguite per lavori eseguiti e non ancora liquidati in via definitiva rispettivamente all’inizio ed alla fine dell’esercizio, è rilevata alla voce A3 “variazioni dei lavori in corso su ordinazione” della stessa macro-classe (OIC 23, par. 27). I costi di commessa sostenuti per l’esecuzione dei lavori in corso su ordinazione sono registrati nella macroclasse B del conto economico (“Costi della produzione”), classificati per natura (art. 2425 c.c. e OIC 23, par. 28). I materiali acquistati per l’esecuzione dell’opera in attesa di impiego, che non rappresentano contrattualmente oggetto di corrispettivo, sono rilevati nell’attivo dello stato patrimoniale tra le rimanenze, alla voce C.I.1 “materie prime, sussidiarie e di consumo” (OIC 23, par. 29). Le ritenute a garanzia sono iscritte tra i crediti, ai sensi dell’OIC 15 “Crediti”. 3.1.2 Rilevazioni iniziali e successive secondo i princìpi contabili nazionali e internazionali Il princìpio contabile OIC n. 23 (par. 40) e l’art. 2426, n. 11, c.c., stabiliscono che i lavori in corso su ordinazione possono essere iscritti sulla base dei corrispettivi contrattuali maturati con ragionevole certezza. Ciò in quanto, fin dall’inizio dell’attività di produzione, il bene o il servizio è stato commissionato all’appaltatore e il corrispettivo è stato contrattualmente stabilito, il codice civile consente la possibilità di riconoscere il risultato della commessa negli esercizi in cui i lavori sono eseguiti. Sostanzialmente, tale procedura corrisponde al “metodo della percentuale di completamento”. I princìpi contabili internazionali prevedono due metodi differenti di rilevazione dei ricavi e dei costi del lavoro su ordinazione, a seconda che i risultati della commessa siano o meno stimabili con attendibilità. Se il risultato del lavoro su ordinazione può essere stimato con attendibilità, come prevede lo IAS 11 (par. 22) “i ricavi e i costi di commessa riferibili al lavoro su ordinazione devono essere rilevati rispettivamente come ricavo e costo in relazione allo stato di avanzamento dell’attività di commessa alla data di riferimento del bilancio”, si applica il metodo dello stato avanzamento lavori. Se, in modo differente, il risultato del lavoro su ordinazione non può essere stimato con attendibilità, si applica il metodo dello “zero profit method” (metodo del costo sostenuto). In riferimento a questo criterio, lo IAS 11 (par. 32) precisa che: a) i ricavi devono essere rilevati solo nei limiti dei costi di commessa sostenuti che è probabile che saranno recuperati; e b) i costi di commessa devono essere rilevati come costi nell’esercizio nel quale essi sono sostenuti. Una perdita attesa su un lavoro su ordinazione deve essere immediatamente rilevata come costo, quando è probabile che i costi totali di commessa eccederanno i ricavi totali di commessa (par. 36). Lo IAS 11, par. 3, chiarisce che “il lavoro su ordinazione è un contratto stipulato specificatamente per la costru- zione di un bene o di una combinazione di beni strettamente connessi o interdipendenti per ciò che riguarda la loro progettazione, tecnologia e funzione o la loro destinazione o utilizzazione finale”. ------------------------------------------1 Le ultime quattro voci sono state introdotte dal d.lgs. 139/2015. 54 © Cesi Multimedia Capitolo 3 – Lavori in corso su ordinazione La commessa a prezzo predeterminato è un lavoro su ordinazione nel quale l’appaltatore pattuisce un prezzo predeterminato, o una quota predeterminata per unità di prodotto, soggetto, in alcuni casi, a clausole di revisione dei prezzi. La commessa a margine garantito è un lavoro su ordinazione nel quale all’appaltatore vengono rimborsati costi concordati, con l’aggiunta di una percentuale su questi o di un compenso predeterminato (IAS 11). Lo stesso princìpio, al par. 4, precisa ancora (in maniera analoga alle definizioni date dal princìpio nazionale) che un lavoro su ordinazione può essere stipulato per la costruzione di un singolo bene (un ponte, un edificio, una diga, una strada, una nave, ecc.). Un lavoro su ordinazione può anche riguardare la costruzione di un insieme di beni che sono strettamente connessi o interdipendenti in termini di progettazione, tecnologia e funzione o di loro destinazione o utilizzazione finale. Lo stesso princìpio segnala che rientrano tra le commesse a lungo termine: a) commesse per le prestazioni di servizi direttamente connessi alla costruzione del bene, quali quelle per i servizi capoprogetto e di architetti; e b) commesse per la distruzione o per il rispristino di beni, e la bonifica dell’ambiente conseguente alla demolizione di beni. L’art. 2426, comma 1, n. 9, c.c. prevede che “le rimanenze, i titoli e le attività finanziarie che non costituiscono immobilizzazioni sono iscritti al costo di acquisto o di produzione, calcolato secondo il numero 1), ovvero al valore di realizzazione desumibile dall’andamento di mercato, se minore; tale minore valore non può essere mantenuto nei successivi bilanci se ne sono venuti meno i motivi. I costi di distribuzione non possono essere computati nel costo di produzione”. Questo criterio, applicato nella valutazione delle commesse, viene definito “metodo della percentuale di completamento”. Il criterio della percentuale di completamento è adottato quando sono soddisfatte le seguenti condizioni: 1) esiste un contratto vincolante per le parti che ne definisce chiaramente le obbligazioni, e, in particolare, il diritto al corrispettivo per l’appaltatore; 2) il diritto al corrispettivo per l’appaltatore matura con ragionevole certezza durante lo svolgimento dei lavori; 3) non sono presenti situazioni di incertezza relative a condizioni contrattuali o fattori esterni di entità tale da rendere dubbia la capacità dei contraenti a far fronte ai propri impegni; 4) il risultato della commessa può essere attendibilmente misurato (OIC 23, par. 43). In riferimento a quest’ultima condizione, nelle ipotesi dei contratti a corrispettivo predeterminato, il risultato della commessa può essere attendibilmente stimato quando sono soddisfatte le seguenti condizioni: i ricavi di commessa possono essere determinati con attendibilità; è ragionevolmente certo che i ricavi di commessa saranno incassati; i costi di commessa necessari per completare i lavori e lo stato di avanzamento alla data del bilancio possono essere determinati in maniera attendibile; i costi di commessa attribuiti al contratto possono essere identificati con chiarezza e stabiliti con attendibilità; in tal modo tali costi possono essere comparati con le precedenti stime (par. 44). Nei contratti con corrispettivo fondato sul costo consuntivo più il margine, il risultato della commessa può essere attendibilmente stimato solo se: i costi di commessa attribuiti al contratto possono essere identificati con chiarezza e determinati con attendibilità; è ragionevolmente certo che i ricavi di commessa saranno incassati dall’appaltatore (par. 45). Nota bene Nell’ipotesi di lavori in corso su ordinazione di durata ultrannuale, si applica il criterio della percentuale di completamento se sono soddisfatte le condizioni sopra indicate. Se non sono soddisfatte, la valutazione dei lavori è in base al criterio della commessa completata. Nota bene Il corrispettivo matura con ragionevole certezza quando il contratto garantisce alla società che effettua i lavori, in caso di recesso del committente, il diritto al risarcimento dei costi sostenuti e di un congruo margine. © Cesi Multimedia 55 Capitolo 3 – Lavori in corso su ordinazione Nota bene Nel caso di commesse di durata inferiore all’anno, possono utilizzarsi sia il criterio della percentuale di completamento, sia il metodo della commessa completata (OIC 23, par. 47). Il corrispettivo contrattuale di una commessa può essere pattuito unitariamente per l’intera opera o frazionatamente per singole opere o per ciascuna fase (par. 48). Se una commessa si riferisce a varie opere o varie fasi, è possibile utilizzare i corrispettivi frazionati previsti dal contratto per alcune fasi dello stesso per determinare i ricavi maturati su di esse, ovvero, per valutare le opere svolte per tali fasi, purché si verifichino le seguenti condizioni: il contratto prevede fasi o opere ben separate; ciascuna fase o opera è stata oggetto di offerte separate ed esiste documentazione relativa; è possibile identificare con chiarezza i costi e i ricavi di ciascuna fase o opera. 3.2 Commesse a lungo termine Vengono denominate commesse a lungo termine quelle che hanno per oggetto contratti di durata ultrannuale finalizzate alla realizzazione di un’opera o della fornitura di beni o servizi non di serie su commissione. Le commesse a lungo termine si riferiscono a contratti di durata ultrannuale per la realizzazione di un bene (o di una combinazione di beni) o per la fornitura di beni o di servizi non di serie che insieme formino un unico progetto. Nota bene Secondo lo IAS 11, par. 4, un lavoro su ordinazione può essere stipulato per la costruzione di un singolo bene. La voce “lavori in corso su ordinazione” (commesse) accoglie una specifica tipologia di rimanenze, ovvero quelle riferite a contratti di durata ultrannuale per la realizzazione di un’opera o alla fornitura di beni o servizi che costituiscono un unico progetto, da eseguirsi su ordinazione di un committente. Caratteristica peculiare delle commesse è data dalla sua durata, che non si esaurisce in un solo esercizio; le loro manifestazioni numerarie normalmente si verificano in esercizi diversi da quelli in cui vengono eseguite le opere. I lavori in corso su ordinazione vengono classificati anche commesse a lungo termine, in quanto relativi a contratti di durata ultrannuale per la realizzazione di un’opera (o di un complesso) o la fornitura di beni o servizi non di serie che insieme rappresentano un unico progetto, eseguito su ordinazione del committente, secondo le specifiche tecniche da questi richieste. 3.3 Tipologie di contratti Secondo la determinazione del prezzo complessivo dell’opera, è possibile individuare due tipi fondamentali di contratti: contratti a prezzi predeterminati; contratti con prezzo basato sul costo consuntivo più il margine. Con un contratto a prezzo predeterminato l’impresa si impegna di compiere l’intero lavoro previsto dal contratto, sulla base del prezzo contrattuale fisso o dei prezzi determinati per le singole voci di lavoro. Il prezzo prefissato, al fine di contenere i rischi dell’impegno assunto, può essere oggetto di clausole di adeguamento in corrispondenza ad aumenti dei relativi costi o per costi supplementari. Ai contratti a prezzo predeterminato possono ricollegarsi quelli basati sulle unità prodotte, nei quali viene stabilito contrattualmente il prezzo di ogni singola unità, mentre restano variabili le quantità; in tal modo il prezzo complessivo finale varia in relazione alle quantità prodotte. Il risultato della commessa può essere attendibilmente stimato quando sono soddisfatte determinate condizioni: i ricavi di commessa e i costi di commessa necessari per completare i lavori e lo stato di avanzamento alla data di riferimento del bilancio, possono essere determinati in modo attendibile (OIC 23, par. 44). Pertanto, con un contratto a prezzo determinato l’appaltatore si impegna ad eseguire un’opera sulla base del prezzo contrattuale determinato (fisso) o dei prezzi predeterminati per le singole voci di lavoro. 56 © Cesi Multimedia Capitolo 3 – Lavori in corso su ordinazione Anche lo IAS 11 (par. 3) stabilisce che la commessa a prezzo determinato è un lavoro su ordinazione nel quale l’appaltatore pattuisce un prezzo predeterminato, o una quota predeterminata per unità di prodotto, soggetto, in alcuni casi, a clausole di revisione dei prezzi. Per contenere i rischi dell’impegno assunto, il prezzo predeterminato può essere oggetto di clausole di revisione di prezzo per adeguarlo ad aumenti dei relativi costi stimati. Altre cause che comportano variazioni di prezzi possono essere, ad esempio, richieste di modifiche all’originario progetto da parte del committente, regolamentate da un apposito atto aggiuntivo o adeguamenti previsti dalla legge (ex art. 1664 c.c.: onerosità o difficoltà dell’esecuzione per circostanze imprevedibili). I contratti a corrispettivo predeterminato possono riferirsi, ad esempio, alle produzioni per le quali viene stabilito contrattualmente un prezzo fisso per unità prodotta. Ai contratti a corrispettivo predeterminato possono essere ricollegati quelli basati sulle unità prodotte, nei quali viene stabilito contrattualmente un prezzo fisso per unità di prodotto. Il prezzo complessivo finale varia dunque in relazione alle quantità prodotte (OIC 23, par. 7). Nei contratti con prezzo basato sul costo consuntivo più il margine, il prezzo viene determinato dai costi sostenuti, specificatamente previsti dal contratto, maggiorati di una percentuale dei costi stessi per le spese generali o di altre spese non specificamente rimborsabili, oltre al profitto, oppure di un importo fisso, la cui determinazione è in entrambi stabilita contrattualmente. Anche con questo metodo, i ricavi di commessa e i costi di commessa necessari per completare i lavori e lo stato di avanzamento alla data di riferimento del bilancio, possono essere determinati in modo attendibile. È ragionevolmente certo che i ricavi di commessa saranno incassati dall’appaltatore (princìpio contabile n. 23, par. 45). L’aspetto caratteristico della contabilizzazione delle commesse a lungo termine consiste nel fatto che le manifestazioni numerarie relative ai componenti negativi e positivi reddituali si verificano in esercizi diversi da quelli in cui vengono eseguite le opere. In questa situazione il rispetto del princìpio della competenza deve essere ottenuto mediante un processo di rilevazione dei costi e dei ricavi di commessa che consenta la loro attribuzione all’esercizio cui sono effettivamente riferibili, ossia nell’esercizio in cui si svolge l’attività di commessa. In base all’OIC 23, la commessa a margine garantito rappresenta un contratto con prezzo basato sul costo consuntivo più il margine. In questi contratti, il prezzo è determinato dai costi sostenuti, specificatamente previsti dal contratto, maggiorati di una percentuale dei costi stessi a titolo di recupero di spese generali e di altre non specificamente rimborsabili, oltre che di profitto, ovvero di un importo fisso, la cui determinazione è in entrambi stabilita contrattualmente. Con tale tipo di contratto, il profitto dell’impresa può essere proporzionale ai costi sostenuti, ovvero essere fisso se determinato come percentuale fissa dei costi stimati inizialmente. In conclusione, nei contratti con prezzo basato sul costo, il prezzo contrattuale non viene predeterminato, ma viene calcolato in funzione dei costi dall’esecutore del lavoro (OIC 23, par. 8). Secondo lo IAS 11 (par. 3), la commessa a margine garantito è una commessa a lungo termine nella quale all’appaltatore vengono rimborsati costi concordati o altrimenti definiti, con l’aggiunta di una percentuale su questi costi o di un compenso predeterminato. In sostanza, nei contratti con corrispettivo basato sul costo consuntivo più il margine, il prezzo è determinato dalle seguenti componenti: i costi sostenuti, specificatamente previsti dal contratto; la maggiorazione, in alternativa, quantificata da: 1) una percentuale dei costi stessi a titolo di recupero di spese generali e di altre spese non rimborsabili in maniera dettagliata, oltre che al profitto, la cui quantificazione è stabilita dal contratto; 2) un importo fisso, stabilito dal contratto. Pertanto, nella tipologia di contratto in esame, il corrispettivo riconosciuto all’appaltatore viene determinato dai costi sostenuti e previsti dal contratto maggiorati di una percentuale dei costi stessi a titolo di recupero di spese generali e di altre spese non specificatamente rimborsabili, oltre al profitto che può essere stabilito in un importo fisso. Il margine dell’appaltatore può essere proporzionale ai costi sostenuti ovvero essere predeterminato mediante l’applicazione di una percentuale fissa ai costi valutati inizialmente. Nei contratti con corrispettivo basato sul costo consuntivo, il corrispettivo contrattuale non viene predeterminato, ma è calcolato in relazione ai costi sostenuti dall’appaltatore. La determinazione del margine viene stabilita contrattualmente (OIC 23, par. 8). I ricavi di commessa sono costituiti dai corrispettivi complessivi riconosciuti dal committente per l’esecuzione o la fornitura delle opere. Essi pertanto comprendono: il prezzo base stabilito contrattualmente; le eventuali rettifiche di prezzo pattuite con atti aggiuntivi; le maggiorazioni per revisione prezzi; i corrispettivi per opere e prestazioni aggiuntive; © Cesi Multimedia 57 Capitolo 3 – Lavori in corso su ordinazione gli altri proventi accessori (ad esempio, vendita dei materiali non impiegati); (par. B.II). Sono considerati costi di commessa sia quelli direttamente riferibili alle commesse (costi diretti), sia quelli riferibili all’intera attività produttiva e ripartiti, per imputazione, sulle singole commesse (costi indiretti). 3.4 Criteri di contabilizzazione e di valutazione L’art. 2426, comma 1, n. 11, c.c. stabilisce che “i lavori in corso su ordinazione possono essere iscritti sulla base dei corrispettivi contrattuali maturati con ragionevole certezza”. Perciò, dette rimanenze possono essere valutate sia con il criterio (generale) del costo (indicato dal n. 9 dell’art. 2426) previsto per le rimanenze, sia sulla base del corrispettivo contrattuale maturato, ancorché superiore al costo. La valutazione delle commesse è ammessa utilizzando sia il metodo della percentuale di completamento, sia quello del costo (commessa completata). Il criterio della percentuale di completamento è normalmente preferito; quello del costo può essere adottato per le commesse a breve termine. L’avanzamento dei lavori è valutato utilizzando dati di carico della commessa (costi sostenuti oppure numero di ore lavorate), oppure impiegando misurazioni della produzione effettuata (unità consegnate, misurazioni fisiche). La perdita prevista riduce il valore delle opere eseguite, con diretta imputazione al conto economico. Gli anticipi (di norma ricevuti prima dell’inizio dei lavori) vengono rilevati al punto D.6 “acconti” del passivo. Gli acconti, dal momento che rappresentano compensi ricevuti per lavori eseguiti e accettati dal committente, vengono fatturati e rilevati alla voce A.1 del conto economico e di conseguenza riducono il valore delle rimanenze. I corrispettivi aggiunti e accettati dal committente sono rilevati contabilizzati in base alla prudenza. I lavori in corso su ordinazione si classificano nelle voci: SP C.I.3) Rimanenze di lavori in corso su ordinazione; SP D.6) Acconti. Nota bene L’OIC 23 individua due criteri di valutazione: - il criterio della percentuale di completamento (o dello stato di avanzamento), che prevede: la valutazione delle rimanenze per lavori in corso su ordinazione in misura corrispondente al ricavo maturato alla fine di ciascun esercizio, determinato con riferimento allo stato di avanzamento dei lavori; la rilevazione dei ricavi nell’esercizio in cui i corrispettivi sono acquisiti a titolo definitivo; la rilevazione dei costi di commessa nell’esercizio in cui i lavori sono eseguiti, fatta salva l’ipotesi delle perdite probabili da sostenere per il completamento della commessa, che verranno rilevate nell’esercizio in cui si stima che si verificheranno (in base ad una obiettiva e ragionevole valutazione delle circostanze esistenti). La perdita è registrata indipendentemente dallo stato di avanzamento della commessa. Non è possibile compensare tale perdita con margini positivi previsti su altre commesse (OIC 23, par. 86). La rilevazione a ricavo (voce A.1 del conto economico) è effettuata solo quando vi è la certezza che il ricavo maturato sia definitivamente riconosciuto all’appaltatore quale corrispettivo del valore dei lavori eseguiti. Tale certezza normalmente si basa sugli stati di avanzamento lavori predisposti in contradditorio con il committente e accettati dallo stesso (par. 52). Se nel contratto sono indicati con chiarezza i termini di calcolo, le maggiorazioni per revisione prezzi sono determinabili in modo attendibile e quindi, in assenza di controversie, sono rilevati tra i ricavi di commessa in base ai lavori eseguiti cui si riferiscono (par. 53); - il criterio della commessa completata (o del contratto completato): i lavori sono valutati al costo (art. 2426, n. 9). Con questo metodo, i ricavi ed il margine di commessa sono riconosciuti solo quando il contratto è completato, vale a dire, alla data in cui avviene il trasferimento dei rischi e benefici connessi al bene realizzato o i servizi sono resi. L’utilizzo di questo criterio implica, perciò, la valutazione delle rimanenze per opere eseguite, ma non ancora completate, al loro costo di produzione (OIC 23, par. 80). Con l’utilizzo del metodo della commessa completata, i lavori in corso su ordinazione sono valutati al minore tra costo e valore di realizzazione desumibile dall’andamento di mercato. In questo caso, si utilizzano i princìpi enunciati nell’OIC 13 (con gli opportuni adattamenti); (par. 81). Il trasferimento dei rischi e benefici si considera avvenuto quando sono state rispettate le seguenti condizioni: - la costruzione del bene è stata completata ed il bene è stato accettato dal committente; - i collaudi sono stati effettuati con esito positivo; se il collaudo viene procrastinato per cause non derivanti dall’appaltatore, il contratto si può considerare completato, purché vengano rispettati le altre condizioni e la richiesta di collaudo sia documentata (OIC 23, par. 82). Nel conto economico dell’esercizio in cui la commessa si considera completata si rilevano: a) i costi di commessa complessivi costituiti dalle rimanenze iniziali dei lavori in corso, dai costi sostenuti durante l’esercizio e dagli accantonamenti per costi da sostenersi dopo la chiusura della commessa; e b) i ricavi di commessa complessivi costituiti dagli anticipi e dagli acconti addebitati negli esercizi precedenti e inclusi tra gli acconti del passivo, i fatturati nell’esercizio e i ricavi ancora da fatturare, ma che riflettono i corrispettivi pattuiti (OIC 23, par. 83). 58 © Cesi Multimedia Capitolo 3 – Lavori in corso su ordinazione Nota bene Gli oneri finanziari possono formare i costi di commessa, quando sono rispettate le seguenti condizioni: 1) l’appaltatore non riceve anticipi ed acconti di entità tale da evitare squilibri rilevanti nei flussi finanziari (perciò la quota finanziata dal committente non è rilevante); 2) gli interessi sono recuperabili con i ricavi della commessa e ciò sia comprovabile con un preventivo di commessa che ne tenga conto (OIC 23, par., 84). La capitalizzazione degli oneri finanziari si effettua quando ricorrono: a) le condizioni stabilite dall’OIC 16 “Immobilizzazioni finanziarie” (la capitalizzazione degli oneri finanziari è ammessa con riguardo ad oneri effettivamente sostenuti, entro i limiti del valore recuperabile del bene) e b) le condizioni indicate nei parr. 59, nel caso di applicazione del criterio della percentuale di completamento e 84, nell’ipotesi di utilizzo del criterio della commessa completata (OIC 23, par. 88). Di conseguenza, gli oneri finanziari possono essere compresi tra i costi della commessa, e come tali partecipano ai risultati dell’esercizio in funzione dell’avanzamento dei lavori, quando sussistono le seguenti condizioni: a) a causa di clausole contrattuali, gli aspetti finanziari rappresentano un elemento rilevante per valutare la redditività della commessa; b) l’appaltatore non riceve anticipi ed acconti di entità tale da evitare squilibri rilevanti nei flussi finanziari; c) la percentuale di completamento è stimata attraverso il metodo del sostenuto (cost-to-cost) o altri metodi in cui la valutazione dei lavori è funzione dei ricavi e costi previsti. Non è permessa la rilevazione degli oneri finanziari quali costi di commessa in caso di applicazione del metodo delle misurazioni fisiche o similari; d) gli interessi sono recuperabili con i ricavi della commessa e ciò sia comprovabile con un preventivo di commessa che ne tenga conto (OIC 23, par. 59). Il passaggio dalla capitalizzazione degli oneri finanziari all’imputazione direttamente a conto economico di tali oneri (o viceversa) costituisce un cambiamento di princìpio contabile (OIC 23, par. 92). Nota bene Il metodo della percentuale di completamento non vìola il princìpio della prudenza e della realizzazione, dal momento che è presente un diritto al ricavo (corrispettivo) maturato, derivante dall’esistenza di un contratto, ovvero dall’obbligo del committente di pagare il corrispettivo. Inoltre, tale criterio soddisfa il princìpio della competenza economica, in quanto consente la rilevazione dei costi, dei ricavi e del risultato di commessa negli esercizi in cui i lavori sono eseguiti. In particolare, l’applicazione del criterio della percentuale di completamento implica le seguenti operazioni: valutare le rimanenze per lavori in corso di esecuzione in maniera corrispondente al ricavo attribuibile ai servizi ed ai lavori eseguiti; riconoscere i proventi ed i costi riferibili alle commesse nell’esercizio in cui i lavori vengono eseguiti. Ne consegue che l’utilizzo del metodo in esame richiede le seguenti fasi: quantificare l’ammontare dei ricavi previsti dal contratto; predisporre un preventivo di costo; rilevare i costi consuntivi della commessa; comparare i costi consuntivi con i preventivi; controllare che la rilevazione dei costi di commessa venga effettuata in maniera tempestiva con l’avanzamento dei lavori. 3.5 Nota integrativa e lavori in corso su ordinazione secondo il codice civile L’art. 2427, comma 1, nn. 1, 4, 8, 9, c.c. stabilisce che: “La nota integrativa deve indicare i criteri applicati nella valutazione delle voci del bilancio, nelle rettifiche di valore e nella conversione dei valori non espressi all’origine in moneta avente corso legale nello Stato”; “La nota integrativa deve indicare le variazioni intervenute nella consistenza delle altre voci dell’attivo e del passivo”; “La nota integrativa deve indicare l’ammontare degli oneri finanziari imputati nell’esercizio ai valori iscritti nell’attivo dello stato patrimoniale, distintamente per ogni voce”; “La nota integrativa deve indicare l’importo complessivo degli impegni, delle garanzie e delle passività potenziali non © Cesi Multimedia 59 Capitolo 3 – Lavori in corso su ordinazione risultanti dallo stato patrimoniale, con indicazione della natura delle garanzie reali prestate; gli impegni esistenti in materia di trattamento di quiescenza e simili, nonché gli impegni assunti nei confronti di imprese controllate, collegate nonché controllanti e imprese sottoposte al controllo di quest’ultime sono distintamente indicati”. 3.6 Commesse a breve termine Il nuovo princìpio OIC 23 (par. 5) conferma che, in presenza di commesse a breve termine (inferiori all’anno), può essere applicato il criterio della commessa completata ovvero quella della percentuale di completamento. 3.7 Anticipi, acconti, ritenute a garanzia e rilevazione Gli anticipi rappresentano importi addebitati ai committenti generalmente prima dell’inizio o all’inizio dei lavori (OIC 23, par. 16). Gli acconti esprimono importi addebitati, non in modo definitivo, ai committenti in corso d’opera in corrispondenza dei lavori eseguiti, non necessariamente determinati in funzione del valore dei lavori eseguiti (par. 17). Le ritenute a garanzia manifestano le somme trattenute dal committente, al momento del pagamento delle fatture afferenti la commessa, a titolo di garanzia prevista dal contratto (par. 22). Tali ritenute esprimono dei crediti a favore dell’appaltatore. Viene precisato che gli anticipi ed acconti vanno iscritti tra le passività al momento della rilevazione iniziale con riclassificazione tra i ricavi solamente al momento della fatturazione definitiva dei lavori. La loro registrazione è condizionata al riconoscimento a favore dell’appaltatore del corrispettivo dei lavori eseguiti. Nel caso di fatturazione definitiva dei lavori, gli anticipi e gli acconti vengono stornati dal passivo in contropartita alla rilevazione di un ricavo nella voce A1 “ricavi delle vendite e delle prestazioni”, della classe “Valore della produzione”, mentre la variazione dei lavori in corso su ordinazione, pari alla variazione delle rimanenze per lavori eseguiti e non ancora liquidati in via definitiva, rispettivamente all’inizio ed alla fine dell’esercizio, è rilevata alla voce A3 “variazione dei lavori in corso su ordinazione” della stessa classe. Se l’ammontare dei corrispettivi acquisiti a titolo definitivo è superiore al ricavo maturato, la differenza viene rilevata nel passivo alla voce D6 “acconti”, con contropartita nel conto economico alla voce A3 “variazione dei lavori in corso su ordinazione”. Trattasi, infatti, di un ricavo anticipato. Nell’ipotesi di fatturazione provvisoria dei lavori, gli anticipi e gli acconti continuano ad essere rilevati nel passivo alla voce D6 “acconti” (OIC 23, par. 25). 3.8 Perdita probabile per il completamento della commessa Se è probabile che i costi totali stimati di una singola commessa ecceda i ricavi totali stimati, la commessa deve essere valutata al costo (in modo da eliminare gli eventuali margini rilevati negli esercizi precedenti) e la perdita probabile per il completamento della commessa è rilevata a decremento dei lavori in corso su ordinazione. Se tale perdita è superiore al valore dei lavori in corso, l’appaltatore rileva un apposito fondo per rischi e oneri pari all’eccedenza (OIC 23, par. 85). La perdita probabile è rilevata nell’esercizio in cui è prevedibile sulla base di una obiettiva e ragionevole valutazione delle circostanze esistenti. La perdita probabile per il completamento della commessa, a prescindere dal criterio di valutazione utilizzato e indipendentemente dallo stato di avanzamento della commessa, viene rilevata a decremento dei lavori in corso su ordinazione. Non è possibile compensare tale perdita con margini positivi previsti su altre commesse (par. 80). I preventivi dei costi e dei ricavi costituiscono uno strumento indispensabile per la gestione del contratto, per l’applicazione del criterio della percentuale di completamento e per la tempestiva rilevazione delle perdite probabili per il completamento della commessa (par. 10). 3.9 Criterio della percentuale di completamento e princìpi di redazione In base all’OIC n. 23 (par. 6), il criterio della percentuale di completamento o stato d’avanzamento (per i lavori di durata ultrannuale) è l’unico che permette di raggiungere in modo corretto l’obiettivo della contabilizzazione per competenza della commessa a lungo termine, che è quello di riconoscere l’utile della commessa con l’avanzamento dell’opera. Ciò perché consente la rilevazione dei costi, dei ricavi e del risultato di commessa negli esercizi in cui i lavori sono eseguiti. Tale criterio non vìola il princìpio della prudenza e della realizzazione, dal momento che esiste un diritto al ricavo (corrispettivo) maturato, derivante dall’esistenza di un contratto, ovvero dall’obbligo del committente di pagare il corrispettivo. Oltre a ciò, il requisito della ragionevole certezza, previsto 60 © Cesi Multimedia Capitolo 3 – Lavori in corso su ordinazione dall’articolo 2426, comma 1, n. 11, c.c., impone di tenere conto delle difficoltà a stimare la percentuale di maturazione del corrispettivo e le prevedibili contestazioni del committente. Quindi, con questo metodo i costi, i ricavi ed il margine di commessa vengono riconosciuti in funzione dell’avanzamento dell’attività produttiva e quindi attribuiti agli esercizi in cui tale attività si svolge. Il criterio si basa sull’assunto che i ricavi di commessa maturano con ragionevole certezza e sono iscritti in bilancio in base ai lavori eseguiti, permettendo, in tal modo, di attribuire quote di risultato economico agli esercizi nei quali la produzione viene ottenuta (par. 7). Il metodo della percentuale di completamento è, di conseguenza, quello che consente la corretta rappresentazione in bilancio dei risultati, in ciascun esercizio, dell’attività svolta dall’appaltatore. Il criterio della percentuale di completamento può essere adottato a condizione che: esista un contratto vincolante per le parti e che ne definisca in modo chiaro le obbligazioni; in particolare il diritto al corrispettivo da parte dell’esecutore dell’opera; sia possibile effettuare stime ragionevoli ed attendibili dei ricavi e dei costi di commessa in base allo stato di avanzamento, in correlazione a stime dei ricavi e dei costi della commessa da sostenere; sia possibile identificare e misurare attendibilmente i ricavi e i costi riferibili alla commessa, così da poterli periodicamente confrontare con quelli precedentemente stimati; non siano presenti situazioni di aleatorietà connesse a condizioni contrattuali o fattori esterni di tale entità da rendere le stime relative al contratto dubbie e inattendibili, ossia, da non consentire di fare attendibili previsioni sul risultato finale. L’applicazione del criterio della percentuale di completamento implica la seguente rappresentazione dei valori relativi alle opere in corso di esecuzione: 1) nel conto economico il valore dei servizi ed opere eseguite nell’esercizio viene rilevato nel valore della produzione e si esprime nella somma algebrica dei ricavi dalle vendite e prestazioni (che riflettono i lavori liquidati nell’esercizio) e delle variazioni dei lavori in corso su ordinazione (pari alla variazione delle rimanenze per lavori eseguiti e non ancora liquidati rispettivamente all’inizio e alla fine dell’esercizio); 2) tra i costi della produzione vengono rilevati i costi riferibili a tali opere e servizi, classificati per natura, sostenuti nell’esercizio in esecuzione dell’opera (quali acquisti, subappalti, manodopera, nonché gli ammortamenti dei macchinari e di eventuali oneri differiti, gli accantonamenti, ecc.); 3) nello stato patrimoniale invece il valore delle opere e dei servizi eseguiti, al netto dei valori di quelli liquidati viene rilevato quale rimanenza se positivo o quale ricavo anticipato, al passivo, se negativo. Le rimanenze di materiali in attesa di impiego e gli anticipi a fornitori, se non rientrano nella valutazione dei lavori in corso di esecuzione, vengono esposti all’attivo dello stato patrimoniale quali rimanenze (sottoclasse I della classe C). Gli acconti, intendendosi come tali gli importi corrisposti, in via definitiva, dai committenti in còrso d’opera a fronte dei lavori eseguiti, spesso accertati mediante “stati di avanzamento”, vanno accreditati quando fatturati, alternativamente, tra le passività (alla voce 6 della classe D) o tra i ricavi. Nel primo caso il valore dei lavori per i quali è stato corrisposto l’acconto viene incluso nel valore delle rimanenze, mentre, nel secondo caso, l’acconto viene detratto dal valore delle rimanenze. Il passaggio dal criterio della percentuale di completamento alla commessa completata (o viceversa) rappresenta un cambiamento di princìpio contabile (OIC 23, par. 90). In caso di applicazione del criterio della percentuale di applicazione, il passaggio da una metodologia per la determinazione dello stato di avanzamento dei lavori ad un’altra costituisce un cambiamento di stima (OIC 23, par. 91). Nota bene Il metodo della percentuale di completamento (o stato d’avanzamento) è l’unico che permette di raggiungere in modo corretto l’obiettivo della contabilizzazione per competenza delle commesse a lungo termine. Secondo i princìpi contabili internazionali (IAS 11, par. 25), la rilevazione dei ricavi e dei costi con riferimento allo stato di avanzamento di una commessa è spesso definito metodo della percentuale di completamento. Secondo questo metodo, i ricavi di commessa sono associati ai costi di commessa sostenuti per giungere allo stato di avanzamento, imputando al conto economico i ricavi, i costi e i margini che possono essere attribuiti alla parte di lavoro completato. Questo metodo fornisce utili informazioni sull’avanzamento dell’attività di commessa e sui risultati ottenuti in un esercizio. © Cesi Multimedia 61 Capitolo 3 – Lavori in corso su ordinazione In base a questo metodo della percentuale di completamento, il ricavo di commessa è imputato come ricavo nell’utile (perdita) d’esercizio negli esercizi nei quali il lavoro è svolto. I costi di commessa sono solitamente imputati come costo nel conto economico negli esercizi nei quali il lavoro al quale essi si riferivano è svolto. Tuttavia, qualsiasi eccedenza attesa di costi totali di commessa sui ricavi totali della commessa è imputata immediatamente come costo (par. 26), secondo quanto previsto dal par. 36. Secondo questo paragrafo, quando è probabile che i costi totali di commessa eccedano i ricavi totali di commessa, la perdita attesa dovrà essere immediatamente rilevata come costo. Lo IAS 11 chiarisce anche che è necessario possedere un efficace sistema interno di previsione finanziaria e di controllo di gestione. Nota bene Gli acconti e gli anticipi ricevuti dai committenti spesso non riflettono il lavoro svolto (IAS 11, par. 30). 3.10 Metodo della commessa completata e princìpi di redazione Il criterio della commessa completata implica la valutazione delle rimanenze di lavori in corso su ordinazione non in base al corrispettivo previsto, ma al minore fra il costo e il presumibile valore di realizzo, in base alla regola generale di valutazione delle rimanenze di cui al n. 9, comma 1, dell’art. 2426 c.c. Il riconoscimento dei ricavi di commessa e dell’utile di commessa avviene al completamento della stessa, vale a dire alla data in cui avviene il trasferimento dei rischi e benefici connessi al bene realizzato o i servizi resi (OIC 23, n. 9). Il metodo della commessa completata, pur presentando il vantaggio di indicare il risultato della commessa determinato sulla base di dati consuntivi, anziché secondo la previsione dei ricavi da conseguire e dei costi da sostenere, ha lo svantaggio di non consentire il riconoscimento del risultato della commessa in base allo stato di avanzamento dei lavori già eseguiti. Tale metodologia genera, dunque, andamenti irregolari dei risultati d’esercizio, in quanto la rilevazione degli stessi avviene solo al compimento della commessa, senza rispecchiare l’attività svolta dall’appaltatore. Secondo l’OIC 23 il criterio della commessa completata va applicato nei casi di commesse a lungo termine in cui non vi sono le condizioni per applicare il criterio della percentuale di completamento. Con il criterio della commessa completata, i ricavi ed il margine di commessa vengono riconosciuti solo quando il contratto è completato, quando cioè le opere sono ultimate e consegnate. L’adozione di tale criterio implica, quindi, la valutazione delle rimanenze per opere eseguite, ma non ancora completate, al loro costo di produzione ed il differimento degli importi fatturati fino al completamento della commessa. Il criterio della commessa completata, di conseguenza, pur presentando il vantaggio di avere i risultati delle commesse determinati sulla base di dati consuntivi, anziché in base alle previsioni dei ricavi da conseguire e dei costi da sostenere, presenta lo svantaggio di non tenere conto della natura e dell’aspetto sostanziale del contratto e pertanto di non consentire il riconoscimento del margine di commessa in base allo stato di avanzamento dei lavori già svolti su un contratto specifico del committente. In base allo IAS 11 (par. 32) quando il risultato di un lavoro su ordinazione non può essere attendibilmente stimato con attendibilità: a) i ricavi devono essere rilevati solo nei limiti dei costi di commessa sostenuti che è probabile saranno recuperati; e b) i costi di commessa devono essere rilevati come costi nell’esercizio nel quale sono sostenuti. Una perdita attesa su un lavoro su ordinazione deve essere immediatamente rilevata come costo; ciò si verifica quando è probabile che i costi totali di commessa eccederanno i ricavi totali di commessa. Nota bene Con il criterio della commessa completata, i ricavi ed il margine di commessa sono evidenziati solamente quando il contratto è completato. Le rimanenze sono valutate al costo; l’attribuzione dell’utile alla commessa avviene nell’esercizio in cui sono consegnate le opere o ultimati i servizi; l’utile (o la perdita) viene imputato all’esercizio di ultimazione dei lavori. 62 © Cesi Multimedia Capitolo 3 – Lavori in corso su ordinazione 3.11 Costi di commessa e princìpi contabili Sono definiti costi di commessa sia quelli direttamente attribuibili alle commesse (costi diretti), sia quelli indiretti connessi all’intera attività produttiva e ripartiti, per imputazione, sulle singole commesse, sia ogni altro costo addebitabile al committente sulla base delle clausole contrattuali (OIC 23, par. 32). La contabilizzazione analitica dei costi di commessa è collegata alla tecnologia di produzione utilizzata. Si utilizza il metodo Job costing per le organizzazioni aziendali che producono prodotti o servizi subito identificabili nell’aspetto di singoli o di piccoli lotti. Trattasi di produzioni caratterizzate da un basso grado di standardizzazione dei prodotti, differenziati sulla base delle indicazioni specifiche fornite dal cliente e da una bassa rigidità degli impianti. Il Job costing è normalmente utilizzato nelle produzioni per commessa, che sono caratterizzate da attività labour intensive, in quanto risulta alta l’incidenza del lavoro diretto sui costi totali. Al contrario, si utilizza il metodo Process costing nelle produzioni di massa di beni indifferenziati, con processi di tipo continuo2. Nelle produzioni Job costing le unità cui imputare i costi sono poche, mentre in quelle Process costing le unità sono parecchie (i costi unitari di produzione, riferiti a un dato intervallo di tempo, sono ottenuti dal rapporto fra costi totali e quantità prodotte: Ct/Q). In particolare, per costi diretti si intendono (indicativamente): i costi dei materiali utilizzati per la realizzazione dell’opera; i costi di manodopera; i costi dei subappaltatori; i costi per l’impianto; gli ammortamenti; i costi di progettazione (se riferibili direttamente alla commessa), le spese di trasferimento di impianti e di attrezzature al cantiere, lo smobilizzo del cantiere, gli ammortamenti ed i noli dei macchinari impiegati, le royalties per brevetti utilizzati per l’opera, i costi per fidejussioni e assicurazioni specifiche. Parte di tali costi è sostenuta durante la fase di avviamento della commessa e costituiscono i costi pre-operativi (OIC 23, par. 33). I costi pre-operativi sono quelli sostenuti dopo l’acquisizione del contratto ma prima che venga iniziata l’attività di costruzione o il processo produttivo. Tra i costi pre-operativi rientrano: i costi di progettazione e quelli per studi specifici per la commessa; i costi di organizzazione di avvio della produzione (per lavorazioni effettuate in stabilimenti); i costi per l’impianto e l’organizzazione del cantiere. Per costi indiretti (a titolo esemplificativo): costi di progettazione: se tali costi si riferiscono all’intera attività produttiva o sono attribuibili a più commesse, costi di assicurazione e altri costi generali di produzione (par. 34). I costi indiretti sono imputati alle singole commesse con criteri sistematici e razionali sulla base del livello ordinario di produzione; tali criteri sono applicati coerentemente a tutti i costi che hanno caratteristiche simili. L’attribuzione dei costi indiretti alle singole commesse avviene di solito sulla base di un’organizzazione gestionale e di contabilità industriale strutturata secondo centri di costo (OIC 23, par. 35). Non vengono considerati costi di commessa le spese che si riferiscono all’attività aziendale nel suo complesso, quali: le spese generali, amministrative e di vendita; le spese generali di ricerca e sviluppo. Questi costi (generali, amministrativi, di ricerca e di sviluppo) possono essere imputati alle commesse, laddove siano specificatamente indicati in base a clausole contrattuali (OIC 23, par. 36). I costi per l’acquisizione di una commessa sono ricompresi nei costi di commessa quando ricorrono le seguenti condizioni: i costi sono sostenuti specificatamente per una commessa; i costi sono attendibilmente misurabili e siano recuperabili mediante il margine di commessa; l’acquisizione della commessa avviene nello stesso esercizio in cui sono sostenuti. In caso contrario, tali costi sono rilevati al conto economico dell’esercizio in cui sono sostenuti (par. 37). Se l’impresa adotta il criterio della percentuale di completamento, tali costi devono essere differiti (normalmente tra le “Immobilizzazioni Immateriali: altre”) quando sostenuti ed ammortizzati negli esercizi successivi in funzione dell’avanzamento dei lavori. Se l’impresa adotta il criterio della commessa completata, i costi preoperativi vanno rilevati con gli stessi metodi con cui si rilevano i costi sostenuti per l’esecuzione delle opere. ------------------------------------------2 Cfr., Luciano, Ravazzi, I costi nell’impresa, cit. © Cesi Multimedia 63 Capitolo 3 – Lavori in corso su ordinazione Non sono invece da considerare costi di commessa le spese che si riferiscono all’attività aziendale nel suo complesso. In base allo IAS 11 (par. 16) i costi di commessa devono comprendere: a) i costi che si riferiscono direttamente alla commessa specifica; b) i costi che sono attribuibili all’attività di commessa in generale e che possono essere imputati alla commessa stessa; e c) qualunque altro costo che possa essere specificatamente addebitato al committente sulla base delle clausole contrattuali. 3.12 Ricavi di commessa I ricavi di commessa sono costituiti dai corrispettivi complessivi riconosciuti dal committente per l’esecuzione o la fornitura delle opere. Essi pertanto comprendono: il prezzo base stabilito contrattualmente; le eventuali rettifiche di prezzo pattuite con atti aggiuntivi; le maggiorazioni per revisione prezzi; i corrispettivi per opere e prestazioni aggiuntive (ad esempio, varianti); i corrispettivi aggiuntivi conseguenti ad eventi i cui effetti siano contrattualmente o per legge a carico del committente; gli altri proventi accessori (quali quelli derivanti dalla vendita dei materiali non impiegati o dalla dismissione di impianti e attrezzature al termine della commessa); (OIC 23, par. 31). I proventi finanziari (e gli oneri finanziari) costituiscono componenti positivi (o negativi) che devono essere imputati direttamente al conto economico al momento in cui maturano o sono sostenuti, sia che venga adottato il criterio della percentuale di completamento, sia che venga applicato il criterio della commessa completata. I proventi finanziari (e gli oneri finanziari) costituiscono componenti positivi (negativi) di reddito e sono rilevati direttamente al conto economico nel momento in cui maturano (sono sostenuti), sia che venga adottato il criterio della commessa completata, sia che venga adottato il metodo della percentuale di completamento. Nella normalità dei casi, i lavori in corso su ordinazione sono finanziati dai committenti, attraverso l’erogazione di anticipi e acconti. Pertanto, l’esecuzione della commessa, anche ultrannuale, non implica rilevanti sbilanci o eccedenze finanziarie (OIC 23, par. 87). Per lo IAS 11 (par. 11) i ricavi di commessa devono comprendere: a) il valore iniziale di ricavi concordati nel contratto; e b) le varianti nel lavoro di commessa, le revisioni prezzi richieste e i pagamenti di incentivi: i. nella misura in cui è probabile che essi rappresentino ricavi veri e propri; e ii. se questi possono essere valutati con attendibilità. I ricavi di commessa sono valutati sulla base del fair value (valore equo) della remunerazione percepita o spettante. La determinazione dei ricavi di commessa ‘influenzata da varie situazioni di incertezza che dipendono dall’esito di eventi futuri. Le stime, spesso, devono essere riviste nel momento in cui gli eventi si verificano e le incertezze si chiariscono. L’ammontare dei ricavi di commessa, perciò, può aumentare o diminuire da un esercizio al successivo (IAS 11, par. 12). 3.13 Preventivi dei costi I preventivi dei costi (e dei ricavi) costituiscono uno strumento indispensabile per la gestione del contratto, per l’applicazione del criterio della percentuale di completamento e per la tempestiva rilevazione delle perdite probabili (OIC 23, par. 10). Le previsioni devono essere periodicamente aggiornate sulla base delle risultanze a consuntivo. L’articolazione delle previsioni sono: analitiche, riguardanti le voci e le fasi di lavoro previste dal contratto; riepilogative, confrontando i costi a consuntivo con quelli preventivati (standard). Per concretizzare un preventivo, si utilizza un budget, che rappresenta un programma annuale espresso in termini monetari, riguardante tutta l’azienda e articolato per centri di responsabilità. I budget aziendali abbracciano l’azienda nel suo complesso e nei vari aspetti della gestione. La programmazione non ha senso se non è seguita 64 © Cesi Multimedia Capitolo 3 – Lavori in corso su ordinazione dal controllo, il quale accerta se si sta realizzando il fine e seguendo il percorso prestabilito. Secondo la natura delle risorse impiegabili (input) e dei risultati conseguibili (output), si può distinguere (tra gli altri) un centro di costo, dove, per ogni unità prodotta (output) è possibile predefinire tecnicamente le quantità dei fattori produttivi (input) da impiegare (materie prime, ore di manodopera, ecc.); è cioè possibile calcolare degli standard di impiego. Nel centro di costo si svolge un’attività produttiva che può essere misurata in unità fisiche: numero di unità prodotte, metri quadri di lavoro svolto, ecc. Per ogni unità prodotta (output) è possibile predeterminare tecnicamente la quantità dei fattori produttivi (input) da impiegare (materie prime, ore di manodopera, kilowattore di energia, ecc.); in altri termini, è possibile quantificare gli standard di impiego. L’obiettivo del responsabile di un siffatto centro è pertanto quello di rispettare tali standard. Pertanto, la valutazione delle prestazioni avverrà confrontando i costi effettivi con i costi che avrebbe dovuto sostenere. Questo confronto misura l’efficienza. I costi standard sono costi determinati in anticipo rispetto alla produzione tramite l’uso di specifiche tecniche, elenchi di materiali, ore normali di lavoro, in condizioni normali o predeterminate di utilizzo della capacità produttiva degli impianti. I costi standard possono essere usati nella valutazione del magazzino solo se rappresentative dei costi effettivamente sostenuti. I costi standard sono aggiornati periodicamente per riflettere cambiamenti sia nei prezzi che nelle condizioni di costo, quali ad esempio, i mutamenti dei processi e dell’efficienza. Non sono invece rettificati per riflettere l’inefficienza inclusa tra i costi consuntivi. Gli scostamenti tra costi standard e costi effettivi che si originano da inefficienza di produzione, costi anomali, scioperi, impianti inattivi, ecc., costituiscono elementi negativi di reddito dell’esercizio in cui si verificano e non sono, quindi, considerati nella valutazione del magazzino (OIC 13). 3.14 Determinazione dei costi di commessa mediante i budgets È necessario preventivare i flussi dei costi per la realizzazione dei lavori su ordinazione. Esempio Un’impresa effettua delle opere utilizzando solo prestazioni lavorative e quattro reparti. Le fasi di lavorazione sono due. 3.14.1 Budget della mano d’opera diretta Reparti 1 2 3 4 Ore Ore standard di mano d’opera diretta (*) Prima fase Seconda fase 20 20 30 20 15 5 65 45 Il costo orario della mano d’opera è stimato in 20 euro. Le unità da produrre sono: 960 per la prima fase; 520 per la seconda fase. Budget della manodopera diretta Unità da Produrre Fase 1 960 Fase 2 520 © Cesi Multimedia Ore standard Totale ore standard Costo orario medio Costo manodopera diretta 65 62.400 20 € 1.248.000 45 23.400 20 € 468.000 € 1.716.000 65 Capitolo 3 – Lavori in corso su ordinazione Nota bene (*) I costi standard (o costi parametrici) sono quelli di cui è determinabile a priori in modo attendibile la quantità di risorsa necessaria per ottenere una unità di prodotto. Includono i costi variabili ma anche costi che spesso sono classificati come fissi: ad esempio i costi indiretti variabili che dipendono dalla quantità prodotta (ad esempio, costi del lavoro indiretti di manutenzione impianti). In sostanza, un costo standard è un’espressione di quantità tipiche moltiplicate per prezzi tipici. Indica a quanto dovrebbe ammontare il costo. Il tempo standard di manodopera diretta (standard direct labor time) segnala il tempo necessario per completare un’unità di prodotto, denominato anche ore standard per unità (standard hours per unit). Trattasi di uno standard singolo di difficile quantificazione. Un approccio potrebbe essere quello di analizzare i movimenti e i tempi necessari per alcune funzioni produttive. 3.14.2 Budget della produzione Esempio Un’impresa effettua delle opere in due reparti, utilizzando i fattori produttivi sotto elencati. Volume delle produzioni Numero prodotti Ore di lavoro diretto Costi variabili industriali Reparto A 20.000 160 350 Reparto B 40.000 240 500 Totali 60.000 400 850 Materie prime Manodopera diretta 100 160 140 240 240 400 Energia 60 90 150 Altri Costi fissi industriali Ammortamenti Impianti specifici 30 30 30 30 40 40 60 70 70 Costi fissi industriali: ammortamenti manodopera costi produzione altri Ammortamenti Totale costi industriali 320 100 80 100 40 100 1.240 3.15 Analisi degli scostamenti fra i dati di budget e quelli consuntivi La programmazione dei costi non ha senso se non è confrontata dal controllo consuntivo. Il budget è giustificato solamente se si confrontano i risultati che di tanto in tanto si perseguono. Il controllo ha lo scopo di consentire l’adozione delle misure correttive atte a rettificare gli eventuali errori. Il controllo verifica se si sta realizzando il fine perseguito seguendo il percorso prestabilito. Tale controllo si attua mediante: il confronto fra dati di budget e quelli consuntivi; la scomposizione della differenza totale in variazioni elementari; l’individuazione delle cause e delle responsabilità degli scostamenti. La struttura aziendale direzionale viene scomposta in centri di responsabilità economica a ognuno dei quali vengono assegnate le variabili economico-finanziarie (costi, ricavi, capitale investito) da esso controllabili. Il centro di responsabilità economica esprime una unità organizzativa sotto il controllo e la responsabilità di un manager. Secondo la natura delle risorse impiegate (input) e dei risultati conseguibili (output) si possono distinguere cinque tipi di responsabilità economica: 1) centri di costo; 2) centro di spesa; 3) centro di ricavo; 4) centro di profitto; 5) centro di investimento. 66 © Cesi Multimedia Capitolo 3 – Lavori in corso su ordinazione 3.15.1 Analisi degli scostamenti relativi ai materiali diretti Per effettuare l’analisi degli scostamenti è necessario confrontare la quantità consumata da quella acquistata. Se emergono differenze si manifesta uno scostamento di consumo (scostamento di efficienza). Esempio Si ipotizza che il budget dei consumi di una stabilita materia prima per un predeterminato periodo (mensile, annuale, ecc.) sia il seguente: Volume di produzione Impiego standard Prezzo unitario Importo di produzione programmato 98.000 € 2,50 € 490.000 Budget programmato Budget di materia prima Prodotto A 98.000 Per lo stesso periodo, il budget degli approvvigionamenti delle materie prime prevede i seguenti dati: Quantità da acquistare 180.000 Prezzo unitario 2,50 Importo di budget € 450.000 A consuntivo dello stesso periodo si è riscontrato: unità acquistate: 210.000 al prezzo unitario di 2,20 euro; unità consumate: 180.000 per una produzione di 90.000 unità di prodotto. Impiego standard unitario di materia prima: 1,9. L’analisi deve essere scissa in due parti: quella relativa agli acquisti e quella inerente ai consumi. 1) Analisi relativa agli acquisti Effettivo Budget Differenze Prezzo 2,40 - 2,50 - 0,10 x x Quantità 200.000 180.000 + 20.000 = = Prezzo totale 480.000 450.000 +€ 30.000 Lo scostamento totale di 30.000 euro può essere analizzato in scostamento di volume e scostamento di prezzo. Lo scostamento di volume si determina moltiplicando la differenza tra le quantità effettive e quelle di budget per il prezzo di budget: (210.000 – 180.000) x 2,50 = euro 75.000 Ciò significa che per aver acquistato 10.000 unità in più di quelle programmate l’impresa avrebbe dovuto spendere 75.000 euro in più. Presumendo che gli altri elementi rimangano immutati, un maggior volume di acquisti segnala un evento sfavorevole in quanto va ad aumentare le scorte e, quindi, il capitale investito. Lo scostamento di prezzo si ottiene moltiplicando la differenza tra il prezzo unitario effettivo e quello di budget per le quantità effettivamente acquistate: (2,20 – 2,50) x 210.000 = – 63.000 euro La variazione è favorevole; misura il risparmio conseguito dall’impresa rispetto ai prezzi inseriti nel budget. La somma dello scostamento di volume (75.000) e di prezzo (-63.000) indica lo scostamento totale 12.000. 2) Analisi relativa ai consumi Analizzando la variazione di volume si misurano i minori consumi (a prezzo standard) da una minore produzione: 90.000 unità di prodotto anziché 98.000 come programmate. © Cesi Multimedia 67 Capitolo 3 – Lavori in corso su ordinazione Si mettono a confronto i seguenti dati: Unità prodotti finiti Coefficiente di impiego Prezzo unitario euro Totale Budget flessibilizzato (*) Budget originale 90.000 2 2,50 € 225.000 98.000 2 2,50 € 245.000 Δ Volume = 225.000 – 245.000 = euro 20.000 (*) Costo che si sarebbe dovuto sostenere per realizzare la produzione effettiva. Lo scostamento di prezzo, infine, si determina dal confronto tra il consuntivo a prezzi standard (quantità e ore effettive valorizzate a costo orario di budget) e il costo effettivo totale, cioè: Quantità effettive a prezzo standard Unità prodotti finiti 90.000 Budget flessibilizzato 98.000 Consumo per unità di prodotto finito 1.9 2 Prezzo unitario € 2,50 Totali 427.500 (*) € 2,50 € 490.000 (**) Δ Efficienza = – 62.500; (490.000 – 427.000) (*) (90.000 x 1,9 x 250) (**) (98.000 x 2 x 2,50) L’efficienza rappresenta, perciò, una variazione che, a parità di ogni altra condizione, esprime un risultato favorevole in quanto manifesta l’impiego minore di risorse nei confronti di quelle previste dallo standard. Ossia, si sono verificati minori scarti e sfridi di quelli ipotizzati. In effetti, si sarebbero dovute consumare 196.000 quantità (98.000 x 2), mentre ne sono state consumate 171.000 (90.000 x 1,9) unità, cioè 25.000 in meno che, valorizzate al prezzo standard di 2,50, indicano un valore di 62.500 euro. Lo scostamento totale è dato dalla differenza fra costo totale programmato a budget e costo consuntivo. Di fatto si utilizza il budget flessibilizzato al fine di eliminare le differenze di volume produttivo e si calcola perciò la differenza tra costo totale del budget flessibilizzato e costo consuntivo. Con lo scostamento di efficienza si confronta il prodotto della quantità effettiva (Q) per il prezzo standard (Ps) con quello ottenuto moltiplicando la quantità standard (Qs) per il prezzo standard (Ps). Se la differenza: (Q x Ps) – (Qs x Ps) = Ps x (Q – Qs) è diversa da zero, si ha uno scostamento negativo o positivo. Nota bene Le differenze fra prezzi standard e prezzi effettivi e fra quantità standard e quantità effettive sono denominate varianze (variance). L’atto di calcolare e interpretare le varianze è detto analisi della varianza (variance analysis). Gli scostamenti devono essere analizzati per separare quelli dovuti a variazioni di efficienza (ossia dovuti a diversa quantità impiegata) da quelli dovuti a variazioni di prezzo. La determinazione del costo preventivo di commessa ha il ruolo di fornire indicazioni sul limite inferiore del prezzo di offerta, quello che rappresenta la soglia invalicabile verso ulteriori riduzioni nelle trattative con il committente. La quantificazione del prezzo di offerta rappresenta un elemento fondamentale nella gestione di una commessa, non soltanto perché rappresenta uno degli elementi di scelta da parte del cliente, ma soprattutto perché una volta concordato risulta di estrema difficoltà modificare, se non per l’eventuale inserimento, ammesso dal cliente, di clausole di revisione prezzi. La redazione del preventivo iniziale assume quindi una particolare criticità. Per essere efficace essa richiede la definizione delle attività da svolgere che caratterizzeranno il completamento della commessa e una quantificazione possibilmente precisa e analitica delle risorse che verranno consumate per realizzare tali attività. 68 © Cesi Multimedia Capitolo 3 – Lavori in corso su ordinazione 3.16 Attribuzione dei costi dei centri di produzione intermedi ai centri di produzione finali I centri di produzione intermedi (ausiliari) rappresentano unità operative le quali, benché situate all’interno dell’area produttiva, forniscono i loro servizi ai centri di produzione e non direttamente ai prodotti (ad esempio, manutenzioni, fornitura di energia, ecc.). La loro ripartizione avviene mediante parametri fisici. Esempio Una struttura produttiva è composta da due centri ausiliari e due centri di produzione. Schema dei costi sostenuti Costi Costi diretti € Costi pieni € Centro ausiliario 1 Centro ausiliario 2 7.000 Produzione 1 3.000 Produzione 2 5.500 8.000 Inoltre, il centro ausiliario 1 fornisce servizi per ore 300 alla produzione 1 e 800 ore alla produzione 2; Il centro ausiliario 2 fornisce servizi per ore 1000 alla produzione 1 e 700 ore alla produzione 2. Per la ripartizione dei costi dei centri di servizi (ausiliari) è necessario tenere conto che tutti i costi (diretti e indiretti) dei centri di servizi esprimono costi indiretti per i centri di produzione. Per la loro allocazione si possono adottare varie tecniche, ad esempio: quella del metodo diretto, che non tiene conto degli “scambi” interni tra i centri di servizi; quella del metodo diretto a due fasi, che consiste nell’allocazione dei costi tra centri di servizio e centri di produzione, prendendo in considerazione anche gli scambi interni tra i primi, in maniera tale che ad ogni centro di servizio risulti attribuita una parte degli altri centri di servizio; nella seconda fase si attribuiscono con il metodo diretto le quote di costo assegnate ai centri di servizio; il metodo matriciale, che considera in modo simultaneo tutti gli scambi interni tra i centri di servizio mediante un sistema di equazioni lineari3. Aspetto operativo Metodo diretto Costi diretti Servizi forniti dal Centro 1: (7000 x 300 h)/(300 + 800) = Servizi forniti dal Centro 2: (8.000 x 1.000)/(1.000 + 700 h) = Costi totali pieni (full costing ) Servizi forniti dal Centro 1: (7.000x800)/(300+800)= Servizi forniti dal Centro 2 (800 x 700)/(1.000 + 700) = Costi totali pieni (full costing ) Produzione 1 Produzione 2 3.000 5.500 1.909 4.706 9.616 5.091 329 10.920 Nota bene La contabilità a costi pieni (full costing) include tutti i costi, diretti e indiretti (di prodotto e di periodo). Tale contabilità si contrappone a quella a costi variabili (variable costing o direct costing), preferita dagli economisti4 per le decisioni economiche, sul fondamento che è possibile realizzare il massimo profitto con l’eguaglianza tra costi e ricavi marginali. L’utilizzo dei due metodi alternativi non provoca effetti sul risultato economico complessivo realizzato dall’impresa in più anni. Con l’applicazione del modello dei costi pieni, se il volume di produzione supera quello dei ricavi, provoca un risultato economico superiore rispetto a quello fornito dal direct costing e viceversa nel caso opposto; ciò è dovuto al fatto che con il full costing i costi fissi della produzione vengono incorporati nel prodotto, valorizzando in tal modo le rimanenze dei prodotti finiti, mentre nel direct costing i costi fissi vengono imputati direttamente al periodo in cui sono sostenuti. ------------------------------------------3 4 Cfr., E. Luciano, P. Ravazzi, I costi nell’impresa, UTET, 1997. Cfr., R. Cooper, R. S. Kaplan, How Cost accounting Distorts Product Costs, Management Accounting, n. 4/1998. © Cesi Multimedia 69 Capitolo 3 – Lavori in corso su ordinazione 3.17 Preferenza per il criterio della percentuale di completamento L’OIC 23 esprime una chiara preferenza per il criterio della percentuale di completamento (o stato di avanzamento) in quanto è l’unico che consente di rappresentare la contabilizzazione per competenza delle commesse a lungo termine, ovvero permette di determinare l’utile della commessa con l’avanzamento dei lavori. Nota bene Il metodo della commessa completata, anche se presenta la caratteristica di presentare i risultati della commessa quantificati sulla base di dati consuntivi, invece della previsione dei ricavi da conseguire e dei costi da sostenere, manifesta lo sfavore di non tenere conto della natura e della sostanza del contratto. Perciò questo criterio non consente di evidenziare il margine di commessa secondo lo stato di avanzamento dei lavori già svolti su un contratto specifico del committente. Lo IAS 12, (par. 32) prevede che quando il risultato di un lavoro su ordinazione non possa essere stimato con attendibilità: - i ricavi debbano essere rilevati solo nei limiti dei costi di commessa sostenuti che sia probabile saranno recuperati; e - i costi di commessa debbano essere rilevati come costi nell’esercizio nel quale essi siano sostenuti. Una perdita attesa su un lavoro su ordinazione deve essere immeditatamente rilevato come costo previsto dal par. 36: “quando è probabile che i costi totali di commessa eccederanno i ricavi totali di commessa, perdita attesa deve essere immediatamente rilevata come costo”. Esempio Si suppone che l’impresa Y abbia pattuito, per la realizzazione di lavori in corso di realizzazione, un corrispettivo di euro 300.000. Per la realizzazione dell’opera sono previsti due anni. I costi di produzione stimati sono pari a 112.500. L’avanzamento dei lavori nel corso dell’esercizio risulta pari al 40%. 3.17.1 Aspetti operativi Vengono presentati i due criteri illustrati: percentuale di completamento e commessa completata: a) Metodo della percentuale di completamento Voci contabili Rimanenze finali Rimanenze iniziali Ricavi di commessa Costi di commessa Utile di commessa Esercizio X 120.000 (45.000) 75.000 Esercizio X1 (120.000) 300.000 (67.500) 112.500 Nell’esercizio X è doveroso effettuare le seguenti rilevazioni contabili: Registrazione dei costi di commessa: SP B.6 Costi di commessa a SP C.IV.3 Cassa 45.000 A fine esercizio si registra la variazione della rimanenza finale: SP C.I.3 Rimanenze lavori in corso su ordinazione a CE A.3 Variazione lavori in corso su ordinazione 120.000 Bilancio al 31/12/X Attivo Lavori in corso su ordinazione 120.000 70 Passivo Debiti verso fornitori 120.000 © Cesi Multimedia Capitolo 3 – Lavori in corso su ordinazione Conto economico Ricavi di commessa Variazione dei lavori in corso su ordinazione Costi di commessa Utile di esercizio 0 120.000 (45.000) 75.000 Scritture contabili relativi all’esercizio X1 Rilevazione delle rimanenze iniziali CE A.3 Variazione dei lavori in corso su ordinazione a SP C.I.3 Rimanenze dei lavori in corso su ordinazione a SP D.7 Debiti verso fornitori 120.000 Registrazione dei costi di commessa CE B.6 Costi di commessa 67.500 Consegna dell’opera e rilevazione dei corrispettivi SP C.II.1 Crediti v/clienti a CE A.1 Ricavi di commessa 300.000 Bilancio al 31/12/X1 Attivo Lavori in corso su ordinazione 0 Crediti v/clienti 300.000 Passivo Debiti v/fornitori 67.500 Conto economico Ricavi di commessa Costi di commessa Variazione dei lavori in corso su ordinazione Utile d’esercizio 300.000 (67.500) (120.000) 112.500 Nota bene Lo stato di avanzamento dei lavori (o percentuale di completamento) permette di accertare il ricavo maturato alla fine di ciascun esercizio e dunque il valore delle rimanenze dei lavori in corso su ordinazione (voce C.3) e il valore della produzione eseguita nell’esercizio da rilevare a conto economico (voce A.3). Esistono differenti metodologie per determinare lo stato di avanzamento dei lavori. Tra essi i più comuni sono (OIC 23, par. 61): - metodo del costo sostenuto (cost-to-cost); - metodo delle ore lavorate; - metodo delle unità consegnate; - metodo delle misurazioni fisiche. Secondo lo IAS 11 (par. 30) lo stato di avanzamento di una commessa può essere determinato in vari modi. L’impresa deve adottare il metodo che misuri attendibilmente il lavoro svolto. In base alla natura dei lavori, i metodi possono includere: a) la proporzione tra i costi di commessa sostenuti per lavori svolti fino alla data di riferimento e i costi totali stimati di commessa; b) le ispezioni del lavoro svolto; c) il completamento di una quantità fisica del lavoro di commessa. Gli acconti e gli anticipi ricevuti dai committenti di solito non rispecchiano il lavoro svolto. Essi, pertanto, non possono essere utilizzati per misurare lo stato di avanzamento dei lavori (IAS 11). Ad esempio, secondo il metodo del costo sostenuto (IAS 11, parr. 29-31; OIC 23), i costi effettivi sostenuti ad una certa data vengono rapportati ai costi totali stimati. La percentuale viene poi applicata al totale dei ricavi © Cesi Multimedia 71 Capitolo 3 – Lavori in corso su ordinazione previsti di commessa. In tal modo si ottiene il valore da attribuire ai lavori eseguiti e ai ricavi maturati a tale data. Sia i princìpi contabili nazionali che quelli internazionali chiariscono che l’applicazione del criterio in analisi è possibile se l’impresa adotta un sistema interno di previsione finanziaria e di controllo di gestione. Si presentano delle esemplificazioni: b) Metodo della commessa completata Voci contabili Rimanenze finali Rimanenze iniziali Ricavi di commessa Costi di commessa Utile di commessa Esercizio X 45.000 (45.000) - Esercizio X1 (45.000) 300.000 (67.500) 187.500 Registrazione dei costi di commessa dell’esercizio X SP B.6 Costi di commessa a SP C.IV.3 Cassa 45.000 Rilevazione a fine esercizio delle rimanenze finali Stato patrimoniale SP C.I3 Rimanenze lavori in corso su ordinazione a CE A.3 Variazione lavori in corso su ordinazione 45.000 Bilancio al 31/12/X Attivo Lavori in corso su ordinazione 120.000 Passivo Debiti v/ fornitori 45.000 Conto economico Ricavi di commessa Variazione dei lavori in corso su ordinazione Costi di commessa Utile d’esercizio 0 45.000 (45.000) 0 Scritture contabili nell’esercizio X1 Rilevazione rimanenze iniziali CE A.3 Variazione dei lavori in corso su ordinazione a SP C.I.3 Rimanenze dei lavori in corso su ordinazione 45.000 a SP D.7 Debiti v/fornitori 67.500 a CE A.1 Ricavi di commessa Registrazione dei costi commessa CE B.6 Costi di commessa Rilevazione dei ricavi di commessa SP C.II.1 Crediti v/clienti 72 300.000 © Cesi Multimedia Capitolo 3 – Lavori in corso su ordinazione Bilancio al 31/12/X1 Stato patrimoniale Attivo Lavori in corso su ordinazione 0 Crediti v/clienti 300.000 Passivo Debiti v/ fornitori 67.500 Conto economico Ricavi di commessa Costi di commessa Variazione lavori in corso su ordinazione Utile di esercizio 300.000 (67.500) (45.000) 187.500 Nota bene Questo criterio prevede che i ricavi e il margine di commessa siano contabilizzati a conto economico solamente al completamento dei lavori pluriennali. Ciò significa, dunque, che il valore di fine esercizio delle opere fino a tale data eseguite si basa sul loro costo storico, come stabilito dall’art. 2426, n. 9, c.c. I costi complessivi e i ricavi complessivi di commessa, quindi, in base a tale metodo criterio sono contabilizzati nell’esercizio di completamento dei lavori (OIC 23). 3.18 Valutazione col metodo delle ore lavorate Con il metodo delle misurazioni fisiche si procede alla rilevazione delle quantità prodotte (in numero di unità prodotte, in dimensione delle opere eseguite, in durata delle lavorazioni eseguite, ecc.) ed alla valutazione delle stesse ai prezzi contrattuali, comprensivi, ad esempio, dei compensi per revisioni e degli eventuali altri compensi aggiuntivi. Condizione per l’applicazione di questo contratto consiste nel fatto che nel contratto siano espressamente previsti o siano altrimenti oggettivamente determinabili i prezzi per ciascuna opera o lavorazione nell’unità di misura utilizzata per la rilevazione delle quantità prodotte (OIC 23, par. 77). Se la commessa non si riferisce a varie opere o varie fasi (par. 49), una corretta imputazione a ciascun esercizio del margine di commessa presuppone che i prezzi unitari previsti contrattualmente o altrimenti determinati per ciascuna opera o fase di lavorazione riflettano ragionevolmente la stessa percentuale di margine, rispetto ai relativi costi di produzione. Ove chiaramente manchi tale corrispondenza tra i costi e prezzi unitari, si rende necessario procedere ad appropriate rettifiche dei singoli prezzi, anche se espressamente indicati nel contratto, in una unitaria valutazione del contratto, considerando il contratto come un “unicum” (par. 78). L’applicazione di questo metodo implica che i costi afferenti attività, per le quali in contratto non sia previsto un prezzo, vengano sospesi e imputati a conto economico in funzione della percentuale di completamento dei lavori (par. 79). Secondo il par. 30 dello IAS 11, lo stato di avanzamento può essere determinato in vari modi. L’entità adotta il metodo che misuri attendibilmente il lavoro svolto. A seconda della natura della commessa, i metodi possono includere: a) la proporzione tra i costi di commessa sostenuti per lavori svolti fino alla data di riferimento e i costi totali stimati di commessa; b) valutazioni del lavoro svolto; o c) il completamento di una quantità fisica del lavoro di commessa. Sostanzialmente, il criterio in esame prevede che la valutazione dell’avanzamento dei lavori sia effettuata in relazione elle ore lavorate rispetto alle ore totali previste. Questo criterio viene utilizzato, di norma, in attività produttive dove il fattore lavoro rappresenta una percentuale prevalente nei confronti degli altri costi (intensive labour). In base a questo metodo i ricavi di commessa sono rilevati prescindendo dai costi sostenuti e contabilizzati durante l’esercizio. © Cesi Multimedia 73 Capitolo 3 – Lavori in corso su ordinazione Esempio Un’impresa ha stipulato un contratto per l’esecuzione di lavori specializzati di durata biennale. Il corrispettivo pattuito è di euro 600.000. I lavori iniziano il primo marzo dell’esercizio X e terminano nel mese di marzo dell’esercizio X1. I costi stimati ammontano a euro 550.500. Le ore previste sono 20.000. Al termine del primo esercizio le ore di lavoro effettuate risultano pari a 13.600. I costi relativi ai lavori svolti nel corso dello stesso esercizio ammontano a euro 376.500. Valutazione dello stato di avanzamento dei lavori: ore consuntive alla fine del primo esercizio ore complessive stimate x 100 = 13.600 20.000 x 100 = 68% Corrispettivi pattuiti: 600.000 x 68% = 408.000 Bilancio al 31/12/X Stato patrimoniale Attività Attività correnti: Lavori su ordinazione 408.000 Conto Economico Ricavi per lavori su ordinazione Costi per lavori su ordinazione 408.000 376.000 Nel primo esercizio il margine del profitto è di euro 32.000 Nel secondo anno la commessa viene completata. Bilancio al 31/12/X1 Stato patrimoniale Attività Attività correnti: Lavori su ordinazione 0 Conto Economico Ricavi per lavori su ordinazione Costi per lavori su ordinazione 192.000 174.000 Nel secondo esercizio il margine di profitto è di euro 18.000. 74 © Cesi Multimedia