LIBERTA’ ? n. Cittadinanza? autore DEMOCRAZIA ? titolo Come stanno cambiando? anno temi pag. Ralf Dahrend o rf Quadrare il cerchio 2000 Libertà, eguaglianza, cittadinanza solidale 2 2 Zygmunt Bauman Società, etica, politica 2002 Libertà vs. dignità, cittadinanza non-solidale 4 3 Zygmunt Bauman Lavoro, consumismo e nuove povertà 2004 Etica, estetica, non-libertà di scelta 6 4 Alain Touraine Libertà, uguaglianza, diversità 2002 Libertà, eguaglianza, cittadinanza solidale 7 5 Danilo Zolo La cittadinanza. 1994 Eguaglianza e cittadinanza 10 1 (& Eugenio Scalfari) (a c.d.) Appartenenza, identità, diritti 6 John. J. McNeill Libertà, gloriosa libertà 1996 Libertà nella sfera sessuale 11 7 Anthony Gidden s La trasformazione nell’intimità 1995 Libertà nella sfera sessuale e sociale 12 8 Ralf Dahrend o rf Libertà attiva. Sei lezioni su un mondo instabile 2005 Libertà e coesione sociale 13 9 Zygmunt Bauman Homo consumens: lo sciame inquieto dei consumatori e la miseria degli esclusi 2007 Libertà, eguaglianza, cittadinanza 16 10 Josep h E. Stiglitz In un mondo imperfetto 2001 Libertà, eguaglianza, cittadinanza solidale 17 11 Carru b b a - Cairoli L’arte della libertà 2004 Liberalismo e dintorni 18 12 John Stuart Mill L’America e la democrazia 2005 Libertà e uguaglianza 19 13 Jürg en Haberm a s Tra scienza e fede 2006 Libertà, determinismo, uguaglianza 20 14 Mény - Surel Populismo e democrazia 2001 Democrazia e possibili deviazioni 21 15 Linz - Stepan Transizione e consolidamento democratico 2000 Condizioni per la democrazia 23 16 Paul Ginsb o r g La democrazia che non c’è 2006 Limitazioni in democrazia 24 17 Giusepp e Schiavon e Democrazia e modernità. L’apporto 2001 Uguaglianza, fratellanza 26 18 Angelo Panebian c o Il prezzo della libertà 1995 Cittadinanza 27 19 Giovanni Sartori Democrazia. Cosa è 1993 Libertà, eguaglianza, cittadinanza solidale 29 20 Robert A. Dahl Sulla democrazia 2002 Libertà, eguaglianza, cittadinanza solidale 31 dell’utopia Sono consigliati anche i seguenti testi: 12 Antonio Baldassarre Globalizzazione contro democrazia 2002, Laterza 13 Fareed Zakaria Democrazia senza libertà 2003, Rizzoli 14 David Harvey Breve storia del neoliberismo 2007, Il Saggiatore 15 Ulrich Beck I rischi della libertà 2002, Il Mulino 16 Anthony Giddens L’Europa nell’età globale 2007, Laterza Vincenzo Germani – maggio 2008 QUADRARE IL CERCHIO – Ralf Dahrendorf, 2000, Laterza (pag. 45 e segg.) La fusione di competitività globale e di disintegrazione sociale non è una condizione favorevole alla costituzione della libertà. La libertà fiorisce in un clima di fiducia: fiducia in sé stessi e nelle opportunità offerte dal proprio ambiente, ma anche dalla capacità del gruppo sociale in cui si vive di garantire certe regole fondamentali, lo stato di diritto. Quando la fiducia comincia ad incrinarsi, ben presto anche la libertà arretra su una posizione meno articolata, quella caratterizzata dalla guerra di tutti contro tutti. Chi è che prospera in uno stato di anarchia? I signori della guerra, gli impostori, gli speculatori, i giullari (se hanno la fortuna di trovare un protettore). Non certo i cittadini: anzi, i cittadini non esistono più. Tutti coloro che non prosperano diventano vittime della nuova situazione. Gli individui non amano una simile prospettiva, specialmente se un tempo sono stati cittadini; se la libertà sfocia nell’anomia (1) essi cominciano a dubitare della saggezza dei padri delle loro costituzioni e vanno alla ricerca di una via d’uscita, di un’autorità. Naturalmente è importante tradurre questo linguaggio – drammatico e metaforico – in un’analisi precisa. Un aspetto ovvio della globalizzazione è che i Paesi OCSE non sono più soli al mondo. Ai paesi d’Europa e di nord-America la competitività non impone più di tenere il passo del Giappone, come loro membro OCSE. Devono tener conto dei concorrenti dell’Asia: la diaspora cinese ha dato inizio alla svolta responsabile della moltiplicazione del numero dei concorrenti seri su scala mondiale I portavoci politici di queste nuove economie asiatiche non mostrano alcuna intenzione di voler emulare i modi europei. Il premier malese Mahatir ha illustrato il suo “programma politico per combattere Europa ed America” secondo il quale l’Asia è in grado di competere con chiunque sui mercati del mondo senza rinunciare ai propri valori: centri cittadini degradati e inaccessibili, sottoproletariato, droga e criminalità, sono tutte fenomeni di cui l’Asia può benissimo fare a meno. Al suo interno, la coesione sociale – qualcuno dice il confucianesimo – resterà il fondamento morale della vita, e non solo non interferirà con la crescita economica, ma la favorirà. Ma come si pensa di tener lontani i temuti valori dell’Occidente? Con governi forti, è la risposta. L’autoritarismo non è il totalitarismo. I governanti autoritari non sopportano un’opposizione attiva, ma finchè una persona non attacca i poteri costituiti (2) la lasciano in pace: i cittadini rispettosi della legge, che pensano solo ai propri affari e per il resto conducono una vita privata inoffensiva non hanno nulla da temere dai loro leader … Tuttavia, coloro che non accettano l’insindacabilità del potere governativo, coloro che usano la libertà di parola per denunciare nepotismo o corruzione, coloro che in occasione di elezioni vogliono proporre candidati alternativi vanno incontro a un mare di guai. I margini della libertà civica sono estremamente ridotti. Sviluppo economico nella libertà politica ma senza coesione sociale? Sviluppo economico e coesione sociale ma con ridotta libertà politica? E’ questa l’alternativa che le società moderne si trovano ad affrontare? Che fare per preservare un equilibrio civile tra creazione della ricchezza, coesione sociale e libertà politica? Risponde Eugenio Scalfari (pag. 69 e segg.) […] La competizione c’è sempre stata, è una delle molle dell’esistenza, una componente della natura umana. Ma la novità di oggi è che essa ha sottomesso tutte le altre componenti, ha soggiogato le istituzioni, il pensiero, la tecnica e la tecnologia, il costume, persino i sentimenti e gli affetti. Ha ridotto gli uomini – o minaccia di ridurli – a puri animali da combattimento, dediti al più assoluto egoismo pur di sopravvivere, aver successo, sconfiggere i concorrenti. La scena non è più il cortile di casa ma il pianeta; gli attori non sono più gli individui, le nazioni ma soprattutto i POTERI CORPORATI che attraversano Stati e nazioni, tagliano trasversalmente i continenti avvalendosi di tecnologie sofisticate, piegando alle loro convenienze i singoli e le comunità, in un gigantesco processo di livellamento. Questa è la globalizzazione, con l’ingresso sul mercato di folle immense, fino a un decennio fa segregate, sottratte al cosiddetto “Mondo Civile”: Cina, India, Africa, Sudamerica. (1) (2) Anomia, secondo Durkheim, è una grave forma di perdita della coesione sociale. In Russia, più o meno obtorto collo, Vladimir Putin applica un criterio simile. 2 La globalizzazione ha creato una classe media anonima, atomizzata, priva di radici, in preda ai lavori saltuari e precari, a una mobilità economicamente inevitabile e socialmente devastante. Ha distrutto – al tempo stesso – la coscienza di classe del proletariato e della borghesia. Ha fatto del mercato non soltanto un prezioso meccanismo per misurare l’efficienza ma un potere, anzi IL POTERE per eccellenza, IL VALORE, la sola ideologia rimasta in piedi sulle macerie di tutte le altre. […] Questa sarebbe una prospettiva da incubo. L’autore – in questo scenario che riecheggia temi orwelliani pur nell’ambito di una rigorosa diagnosi liberale – assegna un ruolo primario all’industria delle telecomunicazioni e ai media: la loro concentrazione è forse il principale obiettivo che i poteri corporati si propongono di di raggiungere, e che in certi paesi hanno già realizzato. La concentrazione del potere mediatico rende possibile la manipolazione delle opinioni. […] A ben guardare, la reale differenza tra il modello asiatico e quello nord-atlantico potrebbe consistere proprio in questo: nel primo modello l’opinione pubblica viene soppressa, nel secondo viene opportunamente manipolata: la differenza c’è, la sua importanza è largamente opinabile. L’internazionalizzazione economica è diventata una realtà di vita e i mercati finanziari, più di ogni altra cosa, trascendono i confini nazionali. […] In Gran Bretagna e USA l’economia ha affrontato la sfida globale facendo della competitività un tema fondamentale, con l’auspicio di leader ampiamente acclamati come M. Ttatcher e R. Reagan. Una nuova formazione di radicali di destra, capeggiati da Newt Gingrich in USA e John Redwood in UK, intende ampliare il raggio d’azione della filosofia della competitività, fino ad includervi la scena pubblica tradizionale, l’amministrazione civile, gli enti pubblici di radio e TV, l’istruzione, l’assistenza sociale. Tutto ciò ha avuto un prezzo per il quale il sociologo francese Emile Durkheim ha coniato, un secolo fa, il termine anomia, nel senso di suicidio: in effetti, un elemento di suicidio collettivo è facilmente riconoscibile nell’ambito della smania di competitività. E se ne possono ravvisare i segni in una classe inferiore emarginata, nella subcultura diffusa, nel degrado delle città, nella criminalità urbana, nello spaccio di droga, nell’abuso di alcol, in una generazione che ha perso la speranza. Nell’Europa continentale lo spettro dell’anomia è molto meno drammatico: Paesi come Francia, Germania, Italia, Spagna, possiedono ancora società abbastanza coesive, in uno stato democratico. Si tratta di stati ad alta imposizione fiscale, retribuzioni consistenti, contributi obbligatori all’assistenza sociale. Di conseguenza lo scenario è molto diverso da quello della realtà anglo-sassone, descritto dall’economista Mancur Olson in “Ascesa e il declino delle nazioni” (Il Mulino, 1984). […] Poi c’è un terzo modello, l’Asia delle tigri e dei dragoni (fatta eccezione del Giappone, che si muove verso il modello europeo, per non dire italiano) . In questo caso la competitività non è un problema, non ancora almeno. E neppure la coesione sociale: essa viene mantenuta da uno Stato che “non può dire di no all’Occidente”, come disse il primo ministro malese. Lo Stato si preoccupa di dare una casa ai cittadini, organizzare il loro tempo libero, gestire i loro comportamenti quotidiani: ciò significa un bel giro di vite all’individualismo sociale, agli aneliti verso la libertà di stampa e di formazione politica, abrogando l’opposizione e vietando la ricerca di un mondo di scelte individuali. In alcune parti del mondo il problema fondamentale è di carattere sociale, in altre di tipo economico, in altre ancora politico. Ma non c’è dubbio che bisogna riuscire nell’impresa di “far quadrare il cerchio”, cercando di raggiungere tutti e tre gli obiettivi: il successo economico, la solidarietà sociale, la libertà politica. A mio parere, la questione fondamentale è il nuovo autoritarismo che intende intaccare alcune nostre agognate libertà. La competitività richiede la revisione di importanti diritti (e il dibattito italiano sulle pensioni ce ne dà un’idea). La coesione sociale richiede la reintegrazione di ragazze madri escluse e di giovani allo sbando. Tutto ciò può essere fatto tramite “normali” metodi democratici? Ciò che è necessario è un dibattito sulla portata delle nuove politiche chiamate a fronteggiare la minaccia dell’autoritarismo, sapendo che i danni della globalizzazione saranno ingenti […]. indice 3 SOCIETÀ, ETICA, POLITICA – Zygmunt Bauman, 2002, R. Cortina [… p. 12 …]. Gli esseri umani non devono essere inumani, nemmeno quando vivono in circostanze sociali o storiche che non danno gran peso alla crudeltà verso gli altri. E’ sempre possibile scegliere di essere umani. Ed è sempre possibile scegliere di essere morali. E’ in questa scelta che sta racchiusa la dignità umana. [… p. 16 …]. Essere morali non significa “essere buoni”. Significa, però, aver mangiato all’albero della conoscenza del bene e del male e sapere che le azioni possono essere positive o negative. Comunque, senza possibilità di scelta non c’è moralità. [… p. 53 …]. Sono convinto che la libertà sia la condizione naturale dell’umanità, anche se gran parte della storia è stata dedicata ad usare quella libertà per annullare la libera scelta. Sono anche convinto che questo innalzarsi al di sopra delle necessità – che viene chiamato libertà – sia il segreto della sorprendente creatività che gli esseri umani continuano a dimostrare: sto parlando di questo cercare, inventare, trovare sempre nuovi “modi di essere” nel mondo […]. La libertà è il supremo valore umano. Ma innanzi tutto è un destino: in quanto liberi, gli uomini possono abbracciare quel destino … o cercare di sfuggirgli. Se la libertà è un valore, si tratta di un valore ambivalente: attrae e respinge, nello stesso tempo. Eric Fromm (“Fuga dalla libertà”) ne parla come motivo ricorrente degli sforzi umani. Essere liberi richiede una mente lucida, e nervi d’acciaio. Questo è tanto più vero nell’epoca post-moderna che spesso offre motivi per una vertigine di libertà. Vero o no, tutti i giorni sentiamo dire che le possibilità sono illimitate e che dipende da noi scegliere le più adatte … Ma veniamo puniti quando non riusciamo a trovarle … Viviamo in condizioni contraddittorie: da un lato si insinua che “non ci sono alternative”. Oppure si dice che “le alternative sono alla portata di tutti”. Ma tutto questo non è vero finchè persiste l’attuale separazione tra LIBERTA’ e SICUREZZA. Sono due valori che non possono essere presi in esame singolarmente. Si può essere liberi e non sentirsi sicuri ? Ha senso sentirsi sicuri non essendo liberi ? La modernità richiede di rendere il mondo “pulito”, trasparente, prevedibile, insomma diciamo ORDINATO. Ordinare, però, significa rendere la realtà diversa da quella che è, intervenendo a razionalizzare, intervenendo sulle anomalie … Ma è rischioso: una volta imboccata questa strada prima o poi si arriva ad un verdetto secondo cui una certa categoria di persone non merita aiuto. E saranno espulse per la maggior felicità di qualcun altro… [… p. 60 …]. Credo che GIUSTIZIA sia la traduzione di “RESPONSABILITA’ PER” Ritengo che una società morale sia innanzitutto una società giusta: ma una società giusta è una società che pensa di non essere mai abbastanza giusta e che sa di dover sempre rimettere in discussione ogni livello di giustizia raggiunto. E’ una società che sa che la giustizia è sempre un passo più in là … Ma soprattutto è una società che reagisce con rabbia ad ogni esempio di ingiustizia e che si mette subito al lavoro per correggerlo. (1) [… p. 66 …]. Il potere globale impone una coscienza globale e una responsabilità globale. Il problema è che quando la coscienza e la responsabilità si risvegliano esse scoprono di trovarsi impotenti per mancanza di strumenti democratici. Credo che “stare al passo” con poteri economici sempre più [… p. 70 …]. globali sia oggi la sfida principale delle istituzioni rispetto al controllo democratico della situazione. Perché il binomio indissolubile dev’essere: LIBERTA’ E DIGNITA’ . [… p. 94 …]. L’epoca post-moderna non indica una direzione. Ha perso il SEGNO che caratterizzava il periodo moderno. E poi, abbiamo smesso di tirare a indovinare la direzione della freccia. Se la modernità era impegnata a sradicare gli individui dai loro ambienti lo faceva per ri-radicarli altrove, in modo più sicuro. La post-modernità ha smarrito questa condizione (2) perché tutte le impalcature sono provvisorie, costruite per tenerci in movimento fino alla prossima locanda, non certo verso casa, dove riposare alla fine del cammino. (1) In una società lontana da questo principio, la libertà è una condizione sterile, frustrante. (2) Anzi, la sconsiglia perché martella insistentemente che bisogna essere mobili, flessibili … 4 Il lavoro, come flusso di attività certe, sta diventando solo un ricordo: ora c’è la profusione dei progetti a termine ma così non si può approntare il progetto più importante, quello della nostra vita … Ciascun progetto dev’essere portato a compimento al meglio delle possibilità, per dimostrare la capacità di portare a termine progetti: garantendo così all’autore che sarà ancora utilizzato al momento dell’assegnazione del successivo lotto di progetti. E allora la vita diventa una serie di giri, una sequenza di inizi sempre nuovi, spesso in luoghi e ambienti slegati tra loro. E bisogna tenersi in forma, per il prossimo giro, qualunque sia … Se nella “modernità solida” la strada verso il successo consisteva nel conformarsi, nell’adattarsi ad un contenitore prefabbricato, nella “modernità liquida” il segreto del successo sta nel non essere troppo conservatori, nell’evitare di abituarsi ad un particolare contenitore, nell’essere mobili, a portata di mano. Bisogna essere flessibili, versatili, sempre a disposizione, pronti a ricominciare da capo … La transitorietà ha sostituito la durevolezza in cima alla scala dei valori sociali. Oggi si apprezza la capacità di essere in movimento, viaggiare leggeri, con poco preavviso. E il potere si misura in base alla velocità con cui si sfugge alle responsabilità. Chi accelera vince: chi si ferma perde. L’attaccamento agli oggetti con lunga aspettativa di vita viola il precetto che impone di essere snelli, scattanti, in forma. I modelli del nuovo ethos culturale potrebbero essere “la collezione di Warhal”; cianfrusaglie usa e getta, prese a casaccio, acquisti fatti d’impulso, per una voglia momentanea, poi subito riposti su uno scaffale. Certo, se non fosse per la libertà di scelta, il concetto di dignità non avrebbe alcun senso … [… p. 115 …]. Eppure, la dignità è in pericolo. La libertà dev’essere analizzata come relazione: una persona ha libertà perché qualcun altro non ce l’ha. La libertà della prima viene conquistata a spese della seconda. C’è il sospetto che l’individualità – e la libertà individuale – siano un’illusione. Si fa strada il dubbio che una nuova schiavitù attecchisca dietro l’apparente individualizzazione: dietro la ricerca individuale potrebbero esserci esiti prestabiliti, decisi in anticipo, da far rientrare in un esito predefinito. Abbiamo sentito parlare, nel passato, di “docili robot”, “uomo etero-diretto”, e non dimentichiamo di certo “La società di massa”. Poiché la capacità di fare in modo che le cose vadano come noi desideriamo esige che altri si adeguino ai nostri desideri – anche se questi si scontrano con i loro – ne deriva che la libertà è potenzialmente un gioco a somma zero. Se uno vince significa che qualcun altro ha perso. Si tratta di una questione persino ovvia, ma assente dal dibattito sulla libertà, perché esso si concentra – astrattamente - sul singolo individuo. [… p. 120 …]. Le condizioni del consumismo L’effetto più pericoloso del mercato consumistico è la promessa che la medicina per ogni problema ci aspetti in qualche negozio, che può essere trovato dopo accurata ricerca. Gli effetti ritardati di questa promessa sono tre, tutti micidiali: 1. non c’è più interesse a discutere e negoziare con gli altri la via d’uscita dai problemi perché ci può essere un mercato o un consulente che ha la soluzione; 2. affrontare i problemi della vita è un fatto individuale, si dice. “Non si guadagna efficacia in collaborazione con altri …”. Il che è contraddetto da tutte le teorie di management: e poi, disgrega l’attitudine alla coesione sociale; 3. per quanto si possa essere consumatori furbi e astuti, nei negozi non ci sono rimedi alle “cause sociali dei guai”. Forse, soltanto qualche palliativo temporaneo … Dunque, l’ascesa del consumatore corrisponde alla caduta del cittadino. Ovunque, infatti, aleggia un sottile ricatto: chi raduna e schiera poche risorse è un consumatore carente, incompleto, difettoso. E allora non può superare la “prova della dignità”. Oggi la classe inferiore assiste ad un mondo dominato dagli standard trionfanti dei ricchi: e cosa possono fare loro, consumatori difettosi, se non cercare di diventare ricchi, riconquistando dignità? Perché senza dignità non ci si può sentire – mai – esseri liberi. indice 5 LAVORO, CONSUMISMO E NUOVE POVERTÀ – Zygmunt Bauman, 2004, Città Aperta [… p. 14 …]. L’etica del lavoro, fin dall’inizio dell’età moderna, si proponeva di inserire i poveri nella vita produttiva, sradicare la miseria e garantire la pace sociale. In pratica, essa è servita a garantire da stimolo all’addestramento e alla disciplina, instillando l’obbedienza necessaria a far funzionare il nuovo sistema di lavoro nell’industria. […]. Pian piano si è passati da una società di produttori a una società di consumatori. Si è passati da un mondo guidato dall’etica del lavoro ad un altro basato sull’estetica del consumo. In questo nuovo mondo la produzione in serie non richiede più una massiccia quota di forza lavoro e così i poveri – che in precedenza costituivano l’esercito industriale di riserva – diventano dei sottoconsumatori, privi di funzione sociale […]. [… p. 22 …]. Il vero problema che i pionieri della modernizzazione dovettero affrontare derivava dalla necessità di costringere all’esecuzione di compiti – dettati da altri – persone che erano abituate a dare significato al proprio lavoro, stabilendone la finalità e controllandone gli sviluppi. Bisognava abituare gli operai ad una cieca obbedienza, privandoli dell’orgoglio di valutare la conclusione di un lavoro ben fatto, limitandoli ad accettare un’attività parziale, “insensata” … Il nuovo sistema aveva bisogno di creature senz’anima, semplici ingranaggi di un meccanismo più complesso. Dunque, l’etica del lavoro consisteva – fondamentalmente – nella rinuncia della libertà. L’operaio doveva essere solerte e industrioso, non pensare con la propria testa, dimostrare qualità di attaccamento soltanto al suo padrone: il suo posto nell’economia del paese era quello dello schiavo in una piantagione di zucchero. In sostanza, le molte qualità che ammiriamo in un UOMO sarebbero state – per lo SCHIAVO – difetti inaccettabili. [… p. 32 …]. John Stuart Mill scrisse che “L’economia politica non si interessa delle motivazioni e delle passioni umane, salvo quelle in antitesi al desiderio di ricchezza, come l’avversione al lavoro, la ricerca di costose soddisfazioni immediate, …”. E così la propagazione dell’etica del lavoro è stata accompagnata da una gran quantità di prediche dai pulpiti delle chiese, da una letteratura edificante, dalle scuole di catechismo che volevano inculcare nei giovani il “giusto valore” e le regole da rispettare. [… p. 37 …]. L’etica del lavoro esortava a scegliere una vita operosa ma nelle fabbriche non ammetteva alcuna autonomia da parte degli operai. La disciplina da rispettare escludeva ogni possibilità di scelta. L’etica del lavoro sembrava un’invenzione soprattutto europea. Nel Nuovo Mondo, infatti, secondo la maggior parte degli storici sociali americani, l’industria si è sviluppata grazie allo spirito di iniziativa e al forte desiderio di ascesa sociale. In USA, la dedizione al lavoro viene vista – da nativi e immigrati – come un mezzo anziché un valore in sé, è un sistema di vita, una vocazione: è il modo per diventare ricchi e indipendenti, affrancandosi dalla dura necessità di essere al servizio degli altri. […]. Ma poi, in modo lento, ma incessante, il lavoro non venne più visto come la strada maestra verso l’elevazione sociale ma come il mezzo per guadagnare di più. Solo questo contava. In modo lento ma incessante il conflitto per l’autonomia e la libertà – esploso agli inizi della rivoluzione industriale – ha ceduto il passo ad una contesa per una maggior quota di surplus, lasciando intatta la struttura di potere esistente. E la capacità di accaparrarsi una maggior quantità di ricchezza ha finito per essere considerata l’unico mezzo per riconquistare quella dignità umana perduta nella fase di mutazione da maestri artigiani ad operai dell’industria… Il prestigio e la posizione sociale dipendevano ormai dal livello di reddito: non già dall’operosità, dalla competenza, dalla dedizione al proprio mestiere: ha vinto la tendenza a considerare il valore e la dignità dell’uomo in termini puramente monetari ed ha proiettato l’aspirazione alla libertà nella sfera del consumo. Dunque: la libertà perduta viene barattata con lo status di consumo. [… p. 46 …]. Ma perché il gioco funzioni servono regole ferree, catene assolute. Per accrescere la capacità di consumo bisogna che il sistema non dia tregua al cittadino consumatore. Bisogna esporlo, senza posa, a nuove tentazioni, mantenerlo in stato di perenne irrequietezza, incessante eccitazione, insoddisfazione, persino sospettosità. Il consumo deve apparire come un diritto di cui godere e non come un dovere imposto. E i consumatori devono essere guidati da interessi estetici, non da norme morali. indice 6 LIBERTÀ, UGUAGLIANZA, DIVERSITÀ – Alain Touraine, 2002, Il Saggiatore [… p. 11 …]. Globalizzazione significa che tecnologie, flussi finanziari, strumenti, messaggi, sono presenti ovunque, cioè da nessuna parte, non essendo legati ad alcuna società o cultura particolari, come è mostrato da certe immagini – sempre più apprezzate dal pubblico – che giustappongono la pompa di benzina e il cammello, la Coca-Cola e il villaggio andino, i blue-jeans e il castello medioevale. Questa separazione tra circuiti e collettività, questa de-socializzazione della cultura di massa sembra affermare che viviamo, tutti, assieme. In realtà compiamo soltanto i medesimi gesti, utilizziamo gli stessi oggetti, ma senza essere capaci di comunicare tra noi al di là di certi simboli della modernità. La nostra cultura non influenza più la nostra organizzazione sociale, che a sua volta non influenza più l’attività tecnica ed economica. Cultura ed economia, mondo strumentale e mondo simbolico si stanno separando. [… p. 14 …]. Nei riguardi dello “straniero” ci dibattiamo in un dilemma. Se riconosciamo una piena indipendenza alle minoranze e alle comunità – accontentandoci di far rispettare regole del gioco e procedure di coesistenza pacifica – allora rinunciamo alla comunicazione reciproca, allo scambio sociale e culturale, limitandoci a non inficiare la libertà degli altri e partecipando con essi ad attività del tutto marginali. Se, invece, riteniamo di avere dei valori in comune – siano essi etici o politici – allora veniamo spinti a rifiutare chi non li condivide, tanto più se attribuiamo ad essi una portata universale. Insomma: o viviamo assieme limitandoci a comunicazioni impersonali (più spesso per mezzo di segnali oppure comunichiamo all’interno di comunità che si richiudono sempre in sé stesse via via che si sentono minacciate da una cultura che è loro estranea. Questa contraddizione è la stessa che abbiamo già vissuto all’epoca della prima grande industrializzazione, tra la fine del XIX° secolo e la Prima Guerra Mondiale: il dominio del capitale finanziario internazionale e la colonizzazione portarono all’ascesa dei nazionalismi (in Germania, Giappone, Francia) e, nel XX° secolo, sfociò anche in comunitarismi totalitari, neri o rossi. […]. tecnologici) [… p. 15 …]. Quella che chiamiamo politica, la gestione degli affari della città o della nazione, si è andata deteriorando alla stessa stregua dell’IO INDIVIDUALE. Governare un paese significa renderne l’organizzazione economica e sociale compatibile con le esigenze del sistema economico internazionale, mentre le norme sociali si indeboliscono e le istituzioni diventano sfuocate, liberando uno spazio crescente per la vita privata e le associazioni volontarie. Com’è possibile continuare a parlare di cittadinanza e democrazia rappresentativa allorché gli eletti guardano (devono guardare) al mercato mondiale e gli elettori alla loro vita privata? [… p. 21 …]. Prima di formulare una concezione della giustizia e della libertà occorre prendere coscienza del fatto che va disgregandosi sotto i nostri occhi l’immagine di una società costruita e diretta da un progetto politico, da istituzioni e agenzie di socializzazione. Le politiche socialdemocratiche, il welfare state e gli interventi economici di stampo keynesiano hanno costruito esempi concreti – non molto lontani - dell’egemonia del pensiero politico sulle pratiche sociali: ma si tratta di esempi che sono in progressivo declino, quasi in disgregazione. Lo Stato, in quanto elemento fondamentale della crescita e della giustizia, subisce, da un lato, l’attacco della internazionalizzazione economica e dall’altro quello della frammentazione delle identità culturali . […]. L’analisi sociologica ha il compito di capire come possano essere declinate libertà, solidarietà e uguaglianza in una situazione sociale dove il ruolo centrale, quello del PRINCIPE, è vacante, mentre la sala del trono è spazzata da correnti d’aria e invasa da speculatori e paparazzi. Il tempo dell’ordine si è compiuto: inizia adesso quello del cambiamento come categoria centrale dell’esperienza personale e dell’organizzazione sociale. Ulrich Beck ha ben espresso tutto ciò ne “La società del rischio” (1986), soggetta all’incertezza e ad una serie di pericoli che – se concretizzati – avrebbero effetti devastanti … […]. La riflessione sulla società contemporanea dipende dalle due principali constatazioni che abbiamo enunciato: la crescente dissociazione tra universo strumentale e universo simbolico, tra economia e culture dove il potere più diffuso – in un crescente vuoto sociale e politico – riguarda azioni strategiche indirizzate ad accelerare il cambiamento. Il potere, infatti, non è più quello del principe che impone le sue decisioni arbitrarie – e neanche quello del capitalista che sfrutta il salariato – ma quello dell’ INNOVATORE STRATEGICO, teso a conquistare un certo mercato o governare un certo territorio. 7 […] E’ da secoli che discutiamo sulle contraddizioni che contrappongono la libertà all’eguaglianza, o il capitalismo alla giustizia sociale: attraverso queste dispute abbiamo tuttavia inventato la democrazia politica e poi la democrazia sociale. Perché mai dovremmo rinunciare a coniugare ragione strumentale e identità culturale, l’unità dell’universo tecnologico e mercantile con la diversità di culture e personalità? Se non troveremo una soluzione accettabile ai problemi posti, ci condanneremo ad accettare una guerra civile mondiale, sempre più esplosiva, fra coloro che dirigono i circuiti mondiali delle tecnologie, dei flussi finanziari e dell’informazione, e tutti quelli – individui, gruppi, nazioni, comunità – che sentono minacciata la propria identità da questa globalizzazione … […]. [… p. 29 …]. Non crediamo più nel progresso: continuiamo, certo, a chiederci quali potranno essere le nuove scoperte tecniche che modificheranno il nostro modo di vivere … ma la passione non c’è più, anche se continuiamo a lottare contro le affermazioni arbitrarie. Stiamo vivendo una crisi che è ben più profonda di un semplice accesso di paura o disincanto. La nostra più viva esperienza è che non sappiamo più quel che facciamo, poiché siamo sempre più estranei ai comportamenti che ci inducono ad assumere gli apparati economici, politici o culturali che organizzano la nostra esperienza … e viviamo con un misto di sottomissione alla cultura di massa e di ripiegamento sulla nostra vita privata […]. [… p. 30 …]. La società moderna ha a lungo favorito la corrispondenza tra l’individuo e le istituzioni poiché affermava il valore universale di una concezione razionalista del mondo, della società, dell’individuo. Concezione talmente grandiosa da giustificare l’attaccamento che qualcuno continua a manifestare per essa, pur ad oltre un secolo di distanza dall’inizio del suo declino. Alla base di quella concezione del mondo stava l’idea della SOVRANITA’ POPOLARE, il progetto di costruire comunità dove i cittadini fossero liberi e razionali, sulle rovine dei vecchi regimi (della tradizione nobiliare o della legge divina). La politica moderna ha mirato essenzialmente a fare dell’uomo un cittadino e, in seguito, un lavoratore. Il cittadino è un uomo libero perché è definito dalla legge che gli riconosce il diritto di contribuire alla volontà generale; e il lavoratore lo è altrettanto finchè riesce a farsi rispettare dai rappresentanti del profitto o della rendita. L’organizzazione razionale della società deve consentire il libero sviluppo di tutti i bisogni; l’individuo e la collettività devono potersi corrispondere perfettamente: e ciò è possibile solo se la ragione sa imporsi sulle passioni, se leggi severe puniscono i mascalzoni, se la scuola sa formare i ragazzi, ad una disciplina severa … […]. E’ talmente grande la distanza tra questa filosofia illuministica – continuata con le ideologie del progresso – e l’attuale dissociazione tra il mondo sociale, retto dalla ragione strumentale, e la vita individuale, che è diventato molto difficile comprendere come abbia potuto verificarsi un simile mutamento radicale … [… p. 31 …]. L’idea del diritto naturale – culminata nelle Dichiarazioni dei diritti americana e francese – aveva affermato che l’ordinamento sociale va fondato, oltre che sulla volontà generale, su un principio pre-sociale: l’ UGUAGLIANZA. Possiamo definire borghese questa concezione che ha considerato complementari la costruzione della società industriale e il rispetto delle libertà personali. Essa è ben diversa dalla visione capitalistica (compreso il capitalismo di stato) che attribuisce un potere illimitato alla società razionalizzatrice, tendendo a reprimere tutto ciò che non è conforme alla ricerca razionale dell’interesse individuale. Dunque, la modernità non può svilupparsi se, all’individualismo borghese, essa non aggiunge un principio di ordine ed integrazione. All’inizio delle società moderne fu questa l’idea di SOCIETA’: concepita come stato di diritto, cioè come un complesso di istituzioni funzionanti secondo gli ordinamenti di un diritto universalistico ma anche individualistico. Pertanto, ogni individuo – in quanto essere razionale e consapevole dei propri diritti e doveri, nonché padrone di sé stesso – dev’essere assoggettato a leggi che rispettino i suoi interessi legittimi e la libertà della sua vita privata, garantendo nel contempo la solidità della società, intesa come corpo sociale, mantenuto in buona salute dal corretto funzionamento dei suoi organi: la società moderna non è più concepita secondo le leggi di Dio e la regola suprema è l’interesse generale che non può mai essere disgiunto dalla libera realizzazione degli interessi particolari di ciascuno dei suoi membri. [… p. 34 …]. Dalla seconda metà del XIX° secolo si accelerò la crisi del modello classico. Anzitutto per la crescente autonomia delle forze economiche che sempre più sfuggivano alle regolamentazioni e alle priorità imposte dallo stato: il mondo occidentale sfuggì al predominio politico per consentire al mercato di organizzare una vita economica sempre più differenziata. 8 […]. E’ da molto tempo che non riusciamo più a credere nel trionfo finale di uno stato di diritto capace di gestire il dualismo della modernità, di mantenersi imparziale tra industrializzazione del mondo e libertà personale, fra spazio pubblico e vita privata. Dopo i mostri del comunismo e del nazismo sono arrivati i mercati globalizzati e le esasperate identità nazionali e culturali. […]. Se la modernizzazione consisteva nella gestione del dualismo fra produzione razionalizzata e libertà interiore del Soggetto umano mediante l’idea di società nazionale, l’attuale scenario di demodernizzazione consiste nella rottura dei legami (1) che uniscono la libertà personale all’efficacia collettiva. Basta pensare alla disgregazione delle città. In passato erano luogo di produzione, di scambio sociale e culturale: era l’istanza concreta della società e si sperava che nelle città vita pubblica e privata avrebbero potuto coesistere, rispettandosi a vicenda. [… p. 41 …]. “Più la modernizzazione avanza e più le basi della società industriale si dissolvono, si consumano, si trasformano, sono minacciate …” (Beck & Giddens, 1994). Le società post-industriali si stanno trasformando in un altro tipo di società, o forse vanno verso la propria distruzione. Ma senza saperlo, senza rifletterci … [… p. 252 …]. La storia della democrazia nel XIX° secolo è stata dominata dalla ricerca di una democrazia sociale e non soltanto politica. Possiamo fissare simbolicamente nel 1848 la data a partire dalla quale prende avvio, in Europa, il declino della concezione repubblicana della democrazia. Fu allora che la classe operaia cominciò a rivendicare non soltanto i principi universali di libertà e giustizia ugualitaria ma anche la tutela di determinate categorie, e il diritto di contrattare direttamente con i datori di lavoro. Si assistette, così, al riavvicinamento fra l’idea dei diritti universali e quella degli interessi particolari, tra la sfera politica e quella sociale. E anche le donne, in seguito, lotteranno per l’uguaglianza dei diritti … […]. [… p. 253 …]. Nella nostra concezione della democrazia cerchiamo di conciliare le esigenze complementari della libertà e dell’uguaglianza, l’idea di sovranità popolare – che preferiamo chiamare cittadinanza – con quella dei diritti dell’uomo, che ha ispirato le rivoluzioni americana e francese e che limita il potere dello stato in nome di un principio superiore a qualsiasi realtà sociale. Questa idea ha dato sempre più rilievo al pluralismo, al punto che il rispetto delle minoranze è diventato importante quanto il governo della maggioranza. La combinazione di questi tre temi: Cittadinanza Limitazione del potere attraverso il rispetto dei diritti umani fondamentali Rappresentanza pluralista degli interessi e delle opinioni trovò perfetta espressione nel motto che ha contrassegnato, in Francia, la Repubblica, l’Impero nel periodo 1793-1814, la Seconda e poi la Terza Repubblica: LIBERTE’, EGALITE’, FRATERNITE’ La libertà ha significato soltanto in quanto viene riconosciuta la pluralità degli interessi. L’uguaglianza è un principio che resta sempre ben al di là delle realtà sociali, sempre caratterizzate dalla disuguaglianza. La fraternità – che preferiamo chiamare solidarietà – è la concreta espressione della cittadinanza. […]. La crisi della sintesi repubblicana è un aspetto centrale della crisi più generale dello statonazione. Essa era già stata minacciata, e poi distrutta, dalle dittature naziste e/o del proletariato. Adesso, è minacciata dalla crescente dissociazione fra un’economia globalizzata e le identità culturali che si racchiudono su sé stesse, sulla difensiva, oppure mobilitate da poteri autoritari. L’economia appare sempre più assoggettata al mondo finanziario; individui e nazioni sono ormai incapaci di controllare il flusso di denaro, merci e informazioni influenzano sempre più il loro comportamento. E si ripiegano su sé stessi […]. (1) Ralf Dahrendorf parla spesso delle “legature” che tengono insieme il tessuto sociale. indice 9 LA CITTADINANZA. APPARTENENZA, IDENTITÀ, DIRITTI – D. Zolo (a cura di) - Laterza, 1994 [… da Prefazione, VIII …]. Il socialismo e il liberalismo sono stati, in forme diverse, gli interpreti della straordinaria profezia di emancipazione universale che ha animato il progetto della modernità. Ma dopo il fallimento del socialismo reale, la crisi del Welfare State e gli innegabili successi della nuova destra radicale, quel grandioso progetto è rimasto senza eredi … […]. Quanto alla ingovernabilità delle democrazie, occorre riconoscere che lo scarso rendimento del sistema democratico è dovuto non solo alla inevitabile lentezza e dispersione delle sue procedure, ma soprattutto all’incalzare di una domanda politica che viene da società molto differenziate, in rapida trasformazione … […]. Termini come: partecipazione rappresentanza sovranità popolare consenso opinione pubblica competizione tra partiti evocano una semplicità di rapporti sociali che ci sta irrimediabilmente alle spalle. La democrazia – riconoscerlo – era stata progettata per società molto più elementari di quella in cui viviamo […]. bisogna [… p. 6 …]. Mentre le forme pre-moderne di appartenenza politica erano di natura elitaria ed esclusiva, la cittadinanza moderna ha un carattere aperto ed espansivo. Si distinguono tre componenti o fasi della cittadinanza: La cittadinanza civile si afferma storicamente per prima e attribuisce agli individui una serie di diritti di libertà: la libertà fisica, la libertà di parola, di pensiero, di religione, il diritto di proprietà di beni e quello di concludere contratti, il diritto alla giustizia in base al principio di uguaglianza di fronte alla legge; La cittadinanza politica si sviluppa nel XIX° secolo e riflette, almeno in parte, le rivendicazioni politiche delle classi subalterne. Essa consiste nel diritto dei cittadini a partecipare all’esercizio del potere politico: come membri di organi istituzionali o come lettori di tali organi; La cittadinanza sociale si afferma nel corso del XX° secolo e consiste nel diritto a un grado di educazione, benessere e sicurezza sociale commisurato agli standard della comunità politica. Principali esempi sono il sistema scolastico e i servizi sociali (salute, casa, pensione, assicurazioni, …) La cittadinanza è ben al di fuori dello status feudale ed è caratterizzata dalla sua tensione verso l’uguaglianza. E tuttavia i diritti di cittadinanza sono indissociabili dalla nascita e dallo sviluppo del capitalismo. Ma il capitalismo “… is a system not of equality, but of inequality” (1) . Com’è possibile che un sistema sociale si stabilizzi e si sviluppi nonostante che alla sua base vi sia un conflitto così radicale fra opposti principi? […]. Marshall sostiene che nella prima fase di sviluppo, l’attribuzione dei diritti civili ai soggetti individuali era indispensabile all’economia di mercato: la cittadinanza civile consente infatti a ciascun individuo di impegnarsi come ‘an indipendent unit’ nella competizione economica per diventare ricchi… Circa la cittadinanza politica, essa si è “progressivamente rivelata carica di potenziali pericoli per il sistema capitalistico…”, perché consentiva l’inserimento delle classi lavoratrici entro le istituzioni elitarie della democrazia liberale sviluppandone il senso di appartenenza politica, con effetti non solo di appartenenza politica ma anche di accresciuta consapevolezza rivendicativa. Soprattutto, la cittadinanza politica avrebbe offerto alle classi lavoratrici uno strumento prezioso per affermare il loro interesse all’uguaglianza: l’uso pacifico del potere politico e sindacale in alternativa alla rivoluzione violenta. [… p. 12 …]. Il dibattito teorico sul pensiero di Marshall ha registrato, tra gli altri, la posizione di Anthony Giddens: l’acquisizione dei diritti di cittadinanza si deve in gran parte alle lotte politiche delle classi subalterne, lotte dirette di volta in volta contro settori specifici della struttura di classe, contro il suo potere squilibrato. Giddens, inoltre, ritiene che è illusorio pensare che la battaglia per i diritti civili e politici sia ormai vinta e che la conquista delle libertà fondamentali possa essere considerata irreversibile. E i diritti sociali introdotti dal Welfare State sono al centro di un conflitto aperto … Sulla scia di Giddens, Jack Barbelet afferma che lo sviluppo della cittadinanza attenua le disuguaglianze e favorisce l’integrazione sociale anche se emerge una chiara antinomia: quella che oppone la logica tendenzialmente egualitaria della cittadinanza alla logica anti-egualitaria del mercato. (1) Da “Cittadinanza e classe sociale”, T. H. Marshall, UTET, Torino, 1976. indice 10 LIBERTÀ, GLORIOSA LIBERTÀ – John J. McNeill, Ed. Gruppo Abele, 1996 Uno psicoterapeuta, già sacerdote gesuita, ha dedicato la sua vita ad aiutare gay e lesbiche a vivere con serenità il rapporto con la fede cristiana e la Chiesa cattolica in particolare. Questo libro è un “messaggio di liberazione”, rivolto a tutti coloro che attraverso la propria identità sessuale si sono confrontati drammaticamente con il problema della auto-realizzazione, della coscienza, della maturità. [… p. 195 …]. Con la nascita, nel 1968, della Metropolitan Community Church, aveva inizio una presenza visibile e organizzata del movimento gay cristiano; due anni dopo fu fondata Dignity e poi, altri gruppi simili […]. Dopo esperienze secolari di rifiuto, annientamento, intimidazione, è cominciato a soffiare un vento di libertà … […]. Secondo Richard Tarnas (The passion of the western mind, New York, 1991) filosofo e storico delle idee, negli ultimi 3.000 anni filosofia, religione e scienza si sono influenzate a vicenda e l’intera tradizione intellettuale dell’Occidente è stata plasmata e canonizzata quasi esclusivamente da uomini. Esempi: Socrate, Platone, Aristotele, Gesù, Paolo di Tarso, Lutero, Descartes, … Marx, Nietzche, … La mascolinità del pensiero occidentale ha avuto un effetto fondamentale a tutti i livelli, sia negli uomini che nelle donne, influenzando ogni aspetto dell’evoluzione intellettuale dell’Occidente, determinando il modo di intendere le questioni fondamentali, come il ruolo dell’uomo nel mondo […]. In un contesto culturale che li porta a reprimere la femminilità che è in loro, gli uomini tendono a sentirsi superiori alle donne. Gran parte delle donne, a loro volta, non potendo reprimere la loro femminilità, interiorizzano un sentimento di inferiorità e di inadeguatezza, che deriva dalla loro cultura (1) . [… p. 203 …]. Lo stadio finale della liberazione del principio maschile sino al raggiungimento di una libertà gloriosa libertà – per gli uomini come per le donne – implica una liberazione spirituale che porti ad acquisire indipendenza nei confronti di Dio e una separazione dall’identità collettiva all’interno della Chiesa istituzionale. [… p. 222 …]. Quando il giovane Hegel comprese che i rapporti personali erano fondati sulla disuguaglianza dei sessi, iniziò a disperare di riuscire a trovare una soluzione al problema dell’unità tra gli uomini a un livello puramente interpersonale. Ciò lo indusse a cercare un fondamento politico al problema di una vera comunità attraverso il concetto collettivo e unificante di “cittadino”. Hegel intuiva, infatti, che gli esseri umani potevano sentirsi uguali gli uni agli altri soltanto mutuando l’identità dallo Stato, e identificandosi con il concetto astratto di cittadino. (1) Ma non mancano le donne orgogliose: e – a volte - questo orgoglio lo portano in giro con grande sicurezza, qualche volta anche con decisa ostentazione.… indice 11 LA TRASFORMAZIONE DELL’INTIMITÀ – Antony Giddens, Il Mulino, 1995 [… p. 171 …]. Si può affermare che la sessualità sia, in un modo o nell’altro, la chiave della civiltà moderna? Molti, specialmente dal versante progressista del mondo politico, hanno dato risposta affermativa a questa domanda […]. La civiltà moderna è certamente repressiva, ma la caduta delle restrizioni all’espressione della propria sessualità potrebbe produrre una liberazione, in senso più ampio. […]. Wilhelm Reich era il flagello del matrimonio borghese e vedeva nella sessualità genitale – frustrata o praticata – la spiegazione delle sofferenze della modernità. Il suo libro “Ascolta, piccolo uomo” (SugarCo, 1984) mette a fuoco un individuo di sesso maschile schiavo delle convenzioni: un nevrotico che si crede sano. Il piccolo uomo, dice Reich senza mezze misure, è “misero e piccolo, fetido e logorato spiritualmente, impotente, duro, rigido, spento e vuoto…”. Egli è lo schiavista di sé stesso e viene spinto dalla propria ansia a cercare di impedire agli altri di conquistare la libertà. [… p. 174 …]. (Secondo Reich, n.d.r.:…) La società moderna è patriarcale e mettendo l’accento sul matrimonio monogamico consente di sviluppare tratti autoritari del carattere sui quali poggia un sistema sociale basato sullo sfruttamento. All’origine di questo fenomeno c’è stata, in epoca remota, una mutazione fondamentale dalla società patriarcale, dove la repressione della sessualità del bambino e dell’adolescente era ignota. Reich credeva che la riforma sociale e politica senza liberazione sessuale fosse impossibile : la libertà e il benessere sessuale sono la stessa cosa […]. Reich considerava l’omosessualità come un prodotto della libido frustrata e riteneva che – insieme alla pornografia – sarebbe scomparsa con la progressiva liberazione sessuale […]. [… p. 198 …]. AUTONOMIA è la capacità degli individui di riflettere su sé stessi e di prendere decisioni: “deliberare, giudicare ed agire scegliendo tra diverse soluzioni possibili” […]. “Gli individui devono poter essere liberi ed uguali nel determinare le condizioni della propria vita; vale a dire devono poter godere di uguali diritti e uguali doveri nella determinazione del contesto che genera e limita le loro opportunità, purchè questo non venga utilizzato per negare o limitare i diritti di altri.” Il termine DEMOCRAZIA implica pertanto non solo il diritto allo sviluppo equo e autonomo, ma anche la limitazione costituzionale del potere. La libertà dei forti dev’essere limitata, senza che ciò costituisca la negazione di ogni autorità, come nel caso dell’anarchia. L’autorità è giustificabile nella misura in cui essa riconosce il principio di autonomia; in altre parole, fino al punto in cui ci sono ragioni valide perché l’ubbidienza non escluda, anzi favorisca l’aumento dell’autonomia, presente e futura. [… p. 201 …]. E’ importante sottolineare che la democrazia non presuppone l’uniformità. Essa non è nemica del pluralismo; al contrario, il principio di autonomia stimola la differenza, sottolineando che essa non dev’essere penalizzata. La democrazia è nemica del privilegio, inteso come il godimento di diritti il cui accesso non è concesso equamente a tutti i membri della comunità. Un ordine democratico non implica un processo generico di livellamento verso il basso ma piuttosto lascia spazio allo sviluppo dell’individualità. [… p. 202 …]. L’autonomia personale rende possibile quel rispetto delle capacità degli altri che è tipico dell’ordine democratico. L’individuo autonomo è in grado di trattare gli altri come tali e di riconoscere che lo sviluppo autonomo delle loro capacità non è una minaccia. L’autonomia aiuta anche a definire i limiti personali necessari a gestire con successo le relazioni con gli altri: questi limiti vengono varcati ogni volta che una persona usa un’altra persona per riproporre vecchie dinamiche psicologiche o quando si sviluppa una coazione reciproca, come nel caso della codipendenza. indice 12 LIBERTÀ ATTIVA. SEI LEZIONI SU UN MONDO INSTABILE – Ralf Dahrendorf, 2005, Laterza [… da Prefazione, VI …]. La parola globalizzazione non è sufficiente a descrivere questo mondo. Per me esso è soprattutto un mondo senza stabilità, a runaway world, come lo ha definito Anthony Giddens, un mondo instabile, privo di vincoli. Bisognerà parlare delle conseguenze di questa mancanza di stabilità e di regole, della ricostruzione della vita umana, delle nuove disuguaglianze e dei nuovi conflitti, delle istituzioni politiche minacciate, delle speranze per il futuro. La bussola che ci deve indicare la direzione in questo paesaggio senza punti di riferimento è orientata sulla libertà. La libertà non dev’essere intesa come situazione esistenziale ma piuttosto come chances di vita. Io intendo parlare, in generale, sempre, di LIBERTA’ ATTIVA. [… p. 6 …]. Non siamo mai stati così bene, ma siamo, perciò, più felici? Dal 1957 al 2000, in molti paesi sviluppati, il livello di reddito è, all’incirca, quadruplicato. Ma è lecito dubitare che l’umanità del 2001 sia 4 volte più felice di quella del 1957. La felicità pone interrogativi inquietanti […]. Quando raggiungiamo quel che vogliamo, subentra, di solito, la spossatezza, e persino una certa delusione. Ma se la prosperità – addirittura il welfare – non basta a misurare il nostro benessere, e la felicità resta un dato troppo personale, oltre che imponderabile, quale altro concetto ci soccorre? La mia risposta, fermissima, è: la libertà. Essa è l’idea conduttrice di ogni progresso delle cose umane. Ma la libertà è un indicatore utilizzabile, addirittura quantificabile, del nostro benessere? Secondo Amartya Sen, lo sviluppo economico e sociale può avere un esito felice quando è “un processo di espansione delle libertà reali di cui godono gli esseri umani”. Del resto è nota la tesi di Sen, secondo cui le carestie catastrofiche non si verificano nei paesi liberi, dove c’è libertà di stampa e di opinione, perché quello che conta è l’accesso ai viveri: ciò che conta sono i diritti a questo accesso. E questi diritti sono efficaci soltanto in condizioni di libertà. [… p. 19 …]. Da quando i maestri di pubbliche relazioni della Rivoluzione Francese hanno associato LIBERTA’ / EGUAGLIANZA / FRATERNITA’ più e più volte è stata evocata la loro compatibilità. Confesso che questa visione armonizzatrice non mi persuade: i liberali, i socialisti, i comunisti non sono la stessa cosa, nemmeno nell’ambito della “terza via” (1). Soprattutto la libertà e l’uguaglianza segnano due diversi modi di considerare i rapporti sociali: chi privilegia l’eguaglianza perde per strada, spesso, la libertà. Ma vale, sicuramente, anche il contrario. Io penso che la disuguaglianza sia un elemento della libertà: una società libera lascia molto spazio alle differenze tra gli uomini […]. Ma la disuguaglianza non è più compatibile con la libertà quando gli svantaggiati restano esclusi dalla partecipazione al processo sociale, economico e politico […]. [… p. 30 …]. Il grande equivoco dell’autodeterminazione dei popoli è un prodotto secondario della globalizzazione: il termine significa che la gente partecipa di persona alla determinazione del proprio destino; dunque vive in condizioni di democrazia. Ma la “Padania” che Bossi vuol creare non esiste: è un’invenzione di questo demagogo che così mobilita i risentimenti verso Roma. Una Slovacchia indipendente, un Quebec indipendente, i Paesi Baschi indipendenti non significano più libertà ma più potere nelle mani di demagoghi e capipopolo regionali: mentre si afferma di voler restituire ai cittadini le condizioni idilliache del passato, in verità li si consegna a nuove dipendenze. Devo aggiungere un’osservazione che sconvolge un liberale come il sottoscritto: come molti altri avevo postulato che le comunità civili e democratiche consentissero a persone diverse per origini, convinzioni e orientamenti di convivere pacificamente, come cittadini. Il comune status di cittadini è di per sé perfettamente conciliabile con la pluralità delle origini etniche, delle fedi religiose e altri aspetti profondamente radicati della posizione sociale. Ma oggi risulta chiaro che questa molteplicità di comunanza non si verifica. Anche nelle società in cui tutti godono di fondamentali diritti civili, i gruppi si suddividono in unità il più possibile omogenee. Noi volevamo un mondo di together and equal, di comunanza di cittadini eguali […]. Oggi, in molti luoghi, è da sperare che si possa almeno raggiungere il separate but equal, perché la distinzione, la separazione dei gruppi, appare inevitabile: ed è lecito presumere che lo sradicamento provocato dal runaway world abbia incoraggiato questa tendenza: la gente vuol stare fra i suoi simili, perché solo così si sente (più) sicura, in un mondo senza confini e pieno di minacce. (1) Frecciatina all’indirizzo di Tony Blair e Antony Giddens, fautori di una “socialdemocrazia più attiva”. Ma i risultati delle politiche 2008 fanno pensare che la strada della sinistra moderna dovrebbe essere questa. 13 Ma è vero che la società del lavoro ha toccato i suoi limiti. Il tipo e la quantità di lavoro disponibile non sono più sufficienti a strutturare le società e il lavoro perde anche la sua capacità di strutturare la vita individuale … La società dell’informazione è la base della network society, dove i circuiti elettronici determinano le strutture sociali e l’identità dell’Io … [… p. 51, 54, 62…]. Dice amaramente Antony Giddens: “Marx credeva che la classe operaia potesse scavare la fossa al capitalismo. Ma si è dimostrato invece che il capitalismo ha scavato la fossa alla classe operaia”. Egli è ben consapevole delle trasformazioni avvenute nel mondo del lavoro e arriva a parlare – sia di “un mondo al di là della società del lavoro”. In effetti, per la tradizione del New Labour, il lavoro è il primo dovere civico. Ma se esaminiamo le cose più da vicino scopriamo che il lavoro inteso come attività professionale non è più soltanto la fonte di reddito, l’identificatore sociale, l’indice dello sviluppo economico: è uno strumento di controllo sociale. Senza lavoro per tutti il mondo si destabilizza completamente: solo se c’è la piena occupazione è possibile tenere assieme la società, e controllarla […]. I giovani disoccupati sono diventati uno degli elementi più pericolosi delle società moderne: sono inclini a fondamentalismi di ogni genere, compresi quelli che portano al martirio … Sono ovunque responsabili della maggioranza di quegli inquietanti reati e trasgressioni che fanno reclamare a gran voce il ripristino dell’ordine e della legalità. Non c’è dubbio che sarebbe bene avessero qualcosa di serio da fare […]. pure tra virgolette – Questo venir meno della società del lavoro preoccupa i governanti: dopo l’indebolimento della famiglia, della Chiesa, della comunità di residenza, il mondo del lavoro era rimasto l’ultimo punto fermo […]. [… p. 66…]. Il capitalismo ha sostituito la brutale dipendenza dei lavoratori, la servitù della gleba, con il contratto di lavoro, che viene siglato in un mercato del lavoro che abbraccia l’intera società. Non era certo la libertà perfetta o naturale pensata da Adam Smith; la necessità di trovare un’occupazione significava pur sempre una sorta di dipendenza. Ma poi, nel capitalismo fu avviato un processo che ridusse sempre più la dipendenza dei lavoratori, modificandone le motivazioni: ora lavoravano per dar prova di sé, per avere successo […]. La libertà è la vita in quanto attività intesa come agire autonomo, autodeterminato. Ma questa libera attività non inizia col tempo libero, o comunque al di là del lavoro, bensì nel lavoro stesso. Allora, ciò che chiamiamo lavoro, il lavoro remunerato, diventa parte di un processo continuo di attività nel quale rientrano le esperienze culturali e l’associazione con altri, a qualsivoglia scopo, al pari degli hobbies e delle attività di tempo libero […]. [… p. 85…]. Gli svantaggiati esistono in ogni parte del mondo: vi sono nazioni, grandi aree che si possono definire tali. E la forbice della disuguaglianza si è divaricata anche all’interno delle nazioni ricche. Contemporaneamente, i simboli del primo mondo – in particolare USA – si sono diffusi in tutta la terra, e con essi l’aspettativa degli uomini di poterne godere. Si notano isole di ricchezza in un oceano di povertà: ma gli uomini che le vedono vogliono tutto, se non subito almeno nel prossimo futuro. I grandi problemi legati allo sviluppo e alla libertà richiedono tempo, capacità di analisi, pazienza. Gli uomini devono essere disposti a mettere da parte i loro segreti desideri e, in primo luogo, a risparmiare e lavorare. Ma questi non sono i tratti distintivi del mondo post-moderno che misura il successo nello status visibile e nell’attimo fuggente. Ecco perché i super-ricchi fanno da esempio: divi della musica e del cinema, dello sport, dello spettacolo … Magari tra dieci anni saranno dimenticati, e forse poveri, a causa di cattivi consiglieri […]. [… p. 88 …]. Diamo uno sguardo ai paesi OCSE e ai loro grandi problemi di disuguaglianza, con le conseguenze di conflitti sociali di ogni tipo: a proposito di disuguaglianza i principi di una politica della libertà sono semplici: la disuguaglianza è sopportabile – anzi è uno stimolo per la promozione delle chances di vita – se esiste un livello minimo garantito per tutti, e se nessuno può usare la sua ricchezza per bloccare o sabotare le occasioni riservate ad altri. […]. E’ incontestabile che si debbano stabilire regole cui tutti devono attenersi. Regole di legalità: the rule of law. Ciò vale sul piano internazionale ma anche all’interno delle nazioni: è lo Stato di Diritto. 14 La classica democrazia dei secoli XIX° e XX° presupponeva la divisione della società tra gruppi interessati alla conservazione dello status quo, e altri che puntavano al suo cambiamento. Conservatori e liberali, e in seguito, conservatori e socialisti, condussero i loro scontri in piazza e poi in Parlamento. [… p. 99 …]. Mano a mano che i riformatori vedevano accolte le loro rivendicazioni lo scontro perdeva di violenza. Il secolo XIX° è stato quello dei liberali, che nel XX° secolo si dissolsero in altri gruppi; il XX° secolo è stato quello dei socialdemocratici che via via sono entrati a far parte del grande centro politico, quasi onnicomprensivo. Questo processo ha avuto parecchie conseguenze: i partiti hanno perduto i loro elettori tradizionali, poi i loro elettori tout court. Ancora a metà del XX° secolo in molti paesi più del 90% degli elettori votava per uno dei due schieramenti – chiaramente distinguibili – ma mezzo secolo più tardi la situazione è drasticamente mutata. Gli iscritti ai grandi partiti sono diminuiti ed è costantemente cresciuto il numero degli elettori che cambiano orientamento tra due elezioni. E anche nelle roccaforti di un tempo cambiano le maggioranze. Fa parte dello stesso processo il fatto che ormai i programmi dei partiti sono (quasi, n.d.r.) indistinguibili. Tutti cercano una terza via che è tanto più nebulosa quanto meno sussistono le altre due vie che dovrebbero definirla. La politica è sempre più riferita a temi contingenti… [… p. 112 …]. Ben lungi dal trionfare dopo la rivoluzione del 1989, la democrazia mondiale è sottoposta a pressione, dovunque. Se a tale pressione vogliamo dare un nome possiamo parlare di una fondamentale tendenza all’autoritarismo. Che non è il totalitarismo: questo si fonda sulla perpetua mobilitazione di tutti per rafforzare l’ordine dispotico. Invece, il governo autoritario vive dell’apatia dei cittadini che coltivano i propri interessi privati mentre la nomenclatura ha trasformato l’interesse pubblico in quello diretto a conservare il proprio potere. […]. A dispetto delle difficoltà dell’Europa, lo stato nazionale e la democrazia parlamentare di stampo classico restano la spina dorsale della costituzione della libertà. Spesso si parla con troppa leggerezza della fine dello Stato Nazionale: in realtà le politiche decisive per le chances di vita dei singoli individui sono – oggi come ieri – le politiche degli stati nazionali. Ciò vale per la politica sociale, scolastica e formativa, culturale, e anche commerciale: ogni stato ha una notevole libertà di manovra. […]. Ma devo ribadire, ancora, l’importanza del cittadino e della cittadina svegli e attivi. Più volte ho parlato di LIBERTA’ ATTIVA. La libertà non è data per scontata e ciò vale soprattutto nell’ambito pubblico: la democrazia senza democratici distrugge sé stessa. Cercare e sperimentare il nuovo, scoprire ed eliminare il falso, sono doveri civici che noi trascuriamo a prezzo della libertà. […]. Noi invochiamo l’attività. La faccia oscura del nuovo autoritarismo è la società degli spettatori televisivi che passano la giornata sgranocchiando patatine sul divano e che fanno scorrere sullo schermo un mondo che vive senza di loro e che potrebbe escluderli per sempre. indice 15 HOMO CONSUMENS – Zygmunt Bauman, 2007, Erickson [… p. 32 …]. La mercificazione invade e rimodella dimensioni della vita sociale che erano ancora al riparo, al punto che la stessa soggettività è una merce da esporre e vendere sul mercato sotto forma di bellezza, pulizia, sincerità, autonomia […]. Il consumismo si ripercuote anche sui risvolti emotivi della vita lavorativa e familiare. Esposti al bombardamento incessante della pubblicità, per effetto delle tre, quattro ore quotidiane che sono una larga fetta del tempo libero, i lavoratori sono persuasi di aver bisogno di un maggior numero o diversa qualità di cose. Ma per comprare questo surplus servono soldi e per guadagnarli lavorano più a lungo. Restando fuori casa per più tempo credono di rimediare alla loro assenza facendo regali … Materializzano il loro amore, e il ciclo continua. (1). [… p. 39 …]. Quel che i populisti di mercato non vogliono vedere sono le devastanti conseguenze di un’attività di mercato senza regole né freni, cioè il fatto che i mercati sono i primi produttori di iniquità sociale. Questo, per vasti strati di persone che stanno alla base della piramide sociale significa la negazione dei diritti del consumatore: sono inibite le reali possibilità di scelta che pure sono formalmente concesse. E’ stato proprio per combattere questi effetti negativi che la democrazia è stata inventata e, nel suo momento di maggior fulgore, era arrivata quasi a sconfiggerli […]. [… p. 41 …]. Una strategia fondamentale per la sopravvivenza, nella società dell’informazione consiste nel sapersi proteggere dal 99% delle informazioni ricevute e indesiderate. Possiamo tranquillamente dire che la linea che separa il messaggio significativo dal suo opposto, cioè dal rumore di sottofondo, è quasi scomparsa: nella battaglia all’ultimo sangue per catturare l’attenzione dei possibili consumatori, i produttori e i fornitori di beni e servizi si contendono le briciole di attenzione disponibile tra un consumo e l’altro e cercano di riempirle con ulteriori messaggi pubblicitari […]. (2). [… p. 44 …]. Il punto è che, in qualsiasi maniera la si voglia formulare, l’esortazione a mettere gli interessi della comunità in primo piano rispetto agli impulsi e alle inclinazioni degli individui, e a preferire il soddisfacimento ritardato a quello immediato nel campo dell’etica del lavoro, non sono cose che possono essere facilmente accettate dai più. Per questo, la civiltà – e con essa la coabitazione pacifica e i suoi benefici – deve basarsi sulla coercizione, o almeno sulla minaccia della coercizione. (3). Volenti o nolenti dobbiamo ubbidire al principio di realtà a spese del principio di piacere, se vogliamo mantenere la civile coabitazione umana […]. [… p. 61 …]. La separazione e la distanza – volontarie e involontarie; economicamente o socialmente imposte – sono diventate la strategia più comune nella lotta urbana per la sopravvivenza. I residenti poveri sono considerati una minaccia dai loro vicini e vengono spinti a spostarsi in zone separate e ghettizzate. Anche i residenti ricchi si riuniscono in ghetti, quelle aree privilegiate da cui escludono tutti gli altri, istituendo di fatto zone di extraterritorialità: e così si stabiliscono aree reciprocamente esclusive […]. (4). [… p. 64 …] … Mettersi al servizio della guerra urbana, inventando sempre nuovi modi di impedire l’accesso a malfattori, veri o presunti, è la maggior preoccupazione di architetti e urbanisti delle città americane. I nuovi spazi urbani – orgogliosamente pubblicizzati e sempre più imitati – sono spazi trincerati, progettati in modo da intercettare, scoraggiare o filtrare l’accesso. La loro funzione è di dividere, escludere, segregare: non certo costruire ponti, passaggi, luoghi di incontro per favorire la comunicazione e la socializzazione tra i residenti […]. (5). Di tutto questo soffre la politica locale. Ormai, la politica locale è talmente sovraccarica da essere ridotta all’impotenza: ci si aspetta che sia in grado di porre rimedio alle conseguenze della globalizzazione proprio con strumenti che la globalizzazione ha reso pateticamente inadeguati: da qui la costante incertezza in cui si trovano ad agire gli agenti politici. E allora prolifera la mixofobia: il prevedibile risultato della spaventevole confusione di tipi umani e stili di vita che si incontrano ogni giorno per le strade della città […] e non è difficile prevedere reazioni mixofobiche in incremento, col procedere della globalizzazione […]. [… p. 72 …] … Per Nietzche il risentimento è quel che gli oppressi, i poveri, gli emarginati, sentono verso quelli che sono migliori di loro, cioè i ricchi, i potenti, i liberi, quelli che incutono rispetto, e si assicurano il diritto di negare o confutare dignità ai loro sottoposti […]. La domanda di uguaglianza nasce dall’acuto desiderio di riguadagnare il rispetto di sé negando la superiorità di chi si ammira […]. Per Nietzche questa era la causa della nascita delle religioni, soprattutto di quella cristiana, con la sua pretesa di uguaglianza tra tutti gli uomini e l’ingiunzione di obbedire – tutti - agli stessi comandamenti […]. (1) (2) (3) (4) (5) Chi si trova risucchiato da questa spirale non è più una persona libera. Ma dov’è il confine tra la libera attività commerciale e l’assedio, il pressing continuo, l’ossessione della vendita? Constatando che EGUAGLIANZA E SOLIDARIETÀ sono diventati, ormai, pallidi fantasmi. Non sono rari – purtroppo - i vicini cafoni, sordi al dovere di cittadinanza che è la base del principio di eguaglianza. Se gli scenari cittadini sono di questo tipo, ci sarà in giro ben poca LIBERTÀ, UGUAGLIANZA, FRATERNITÀ. indice 16 IN UN MONDO IMPERFETTO – Joseph E. Stiglitz, 2001, Donzelli Editore [… dall’Introduzione di Laura PENNACCHI …]. In effetti, il vero obiettivo delle politiche di tagli fiscali non è quello di rilanciare l’economia – più rapidamente stimolabile attraverso la leva monetaria – ma quello di ridurre il senso di responsabilità collettiva, che si esprime attraverso l’intervento pubblico, acquisendo il favore delle classi medie. Se queste infatti, pagano molto in imposte ma percepiscono molto in servizi non saranno favorevoli alla riduzione delle entrate; ma se usufruiranno di minori servizi (anche a causa delle minori entrate fiscali) allora saranno indotte a credere che un più ridotto livello di tassazione sia giusto, trasformandosi così in sostenitrici di un’ulteriore riduzione delle tasse […]. (1). Non c’è dubbio che oggi operino scarti tra garanzie e opportunità e che il welfare vada opportunamente riformato nel senso di accentuare gli aspetti promozionali-attivi su quelli risarcitori-passivi […]. (2). IN TUTTI I CASI LA RICETTA ECONOMICO-SOCIALE CHE CIRCOLA È BRUTALE: PER AVERE PIÙ CRESCITA OCCORRE PIÙ DISUGUAGLIANZA, POICHÉ SOLO UNA MAGGIOR DISUGUAGLIANZA È IN GRADO DI IMPRIMERE IL NECESSARIO DINAMISMO ALLA SOCIETÀ […]. Non ci si chiede quanto ciò che chiamiamo globalizzazione sia un’intensificarsi della concorrenza oppure “un rinnovato processo di ristrutturazione oligopolistica mondiale” che investe in modo assai profondo il continente europeo. Tutto questo spiega perché la parola EGUAGLIANZA – che pure figura, assieme a libertà e fraternità tra le categorie chiave della modernità – sia caduta così in disuso nel lessico contemporaneo, compreso quello della sinistra. Sono in gioco le regole della democrazia, a partire dalla TRASPARENZA e corretta diffusione delle INFORMAZIONI. Perché avere informazioni su alcuni movimenti di capitale e non su tutti? Perché non è possibile rendere trasparenti i centri finanziari off-shore? Come possono, istituzioni non trasparenti pretendere trasparenza? L’assetto della democrazia chiama in causa i principi della giustizia: come mai, nella crisi delle “tigri asiatiche” è stato prioritario trovare 150 miliardi di $ per le banche è non si è trovato 1 miliardo di $ per fronteggiare le emergenze dei disoccupati? […]. Tensioni, contraddizioni, dilemmi investono i fondamenti stessi della convivenza civile. E’ il caso del destino delle categorie fondamentali della modernità, libertà, eguaglianza, solidarietà: l’affermazione del valore degli individui – maschi e femmine – e la stessa aspirazione alla realizzazione di sé stessi, devono fare i conti con forti e continue tendenze alla frammentazione e alla divaricazione. La destra contrappone la libertà all’eguaglianza, trattando tali valori esclusivamente con la tecnica del tradeoff (3). La sinistra considera libertà ed eguaglianza valori indipendenti e cerca la composizione del “conflitto di giudizi di valore”, dietro i possibili trade-off che si dovessero presentare. [… 28…]. Coloro che non ci tengono molto alla redistribuzione hanno sempre molta fiducia nel mercato e molto meno fiducia nel governo. Questa situazione è alla base di gran parte del dibattito. Vi sono tre principi generali, quasi universalmente riconosciuti, che ho rilevato quando ero nell’Amministrazione Clinton: 1. tutti credono nella validità dell’idea di non dare sussidi, dallo stato alle imprese, tranne che per il loro settore 2. tutti concordano che la concorrenza è una cosa positiva, che è la forza della concorrenza a far funzionare i mercati, tranne che nel loro settore 3. la trasparenza e l’apertura del mercato a livello mondiale è cosa buona, da sostenere assolutamente, tranne che nel loro settore. [… 31…]. Gli USA predicavano che la Russia doveva diventare un’economia di mercato, negli anni ’90. Ma non appena i russi riuscivano a fare qualcosa di competitivo il governo USA veniva indotto a schiacciare la Russia, mettendola fuori mercato. E’ quanto è successo con il mercato dell’alluminio nel ’93: l’americana Alcoa fece pressioni per creare un cartello in grado di tenere la Russia fuori mercato … [… 59…]. Dovrebbe cambiare il ruolo dello stato sulla regolamentazione del mercato finanziario. Particolarmente irritanti sono gli istituti bancari off-shore. Perché esistono? C’è qualcosa, in un’isola, che la rende particolarmente adatta per le attività bancarie? Forse la brezza marina rende i banchieri più abili nelle loro funzioni? Scherzi a parte, sappiamo che è un modo per evitare le tasse e la regolamentazione. Ma allora, perché i governi si dedicano a rendere efficaci i sistemi fiscali e legislativi in genere? Sono situazioni che salvaguardano interessi particolari. Il nostro impegno verso questi problemi dipende da quel che pensiamo dei processi democratici e della giustizia sociale. Se abbiamo governi gestiti da (e per) interessi particolari, queste scappatoie rimarranno … (1) Questa perfida strategia di strisciante e progressiva demolizione del welfare è citata da J. Stiglitz più volte, in particolare ne “I ruggenti anni ‘90” - Einaudi, 2004 (2) E’ la materia trattata – con grande lucidità - da A. Giddens in “Cogliere l’occasione”, Carocci, 2001. (3) Situazione in cui un guadagno rispetto a un dato obiettivo implica necessariamente una perdita riguardo a un altro. indice 17 Salvatore Carrubba, Flavio Cairoli L’ARTE DELLA LIBERTA’ - Mondadori, 2004 Temeraria mappa liberale, illustrata involontariamente da 50 artisti Il pensiero liberale ha segnato la più grande rivoluzione del mondo moderno: la difesa della dignità umana della libertà individuale, l’accettazione del conflitto come strumento di confronto democratico. IL LIBRO PRESENTA UN DIZIONARIO IDEALE DEL PENSIERO LIBERALE, in 50 voci, facendo perno su figure storiche di pensatori che hanno lasciato un solco indelebile. Qualche esempio dei termini considerati: [… Introduzione …]. Liberalismo Borghese Impresa Istituzioni Responsabilità Riforme ESSERE Cittadinanza Concorrenza Democrazia Liberal Libertario Lobby Sindacati Socialismo liberale LIBERI È BELLO MA NON È FACILE. POICHÉ Eguaglianza Mercato Tolleranza Federalismo Globalizzazione Questione(e giustizia) sociale Welfare Libertà SIGNIFICA RISPETTO PER GLI ALTRI, QUALCHE SACRIFICIO, UNA RAGIONEVOLE DOSE DI BUON SENSO, UN SAPIENTE MIX DI UMILTÀ DELLA RAGIONE E DI FIDUCIA NELLA VOLONTÀ. LIBERTÀ È UN’ARTE DA COLTIVARE GIORNO PER GIORNO. Il libro mette assieme un giornalista di elevata professionalità e uno storico dell’arte, per illustrare ogni voce con un capolavoro della pittura: per rafforzare una riflessione con un’emozione. ESSERE LIBERALI SIGNIFICA CREDERE UN CORPUS DI VALORI E QUINDI, PER FORTUNA, NON SIAMO TUTTI LIBERALI PERCHÈ PROPRIO NEL CONFLITTO TRA VALORI DIVERSI CRESCE E SI RINSALDA LA SOCIETÀ DAVVERO DEMOCRATICA. [… p. 9 …]. “Liberalismo è la mente chiara e libera contro ogni forma di fanatismo e ottusità mentale. Liberalismo è avere almeno tre idee per volta, ossia la possibilità di distinguere, in qualsiasi momento e condizione, il bene dal male.” – Alberto Savinio [… p. 9 …]. La caduta – IL 9 NOVEMBRE 1989 – di una barriera di cemento armato lunga 155 km, eretta attorno a una grande città del Brandeburgo non fu provocata da un terremoto ma determinò un cataclisma … Ma il crollo del comunismo, simboleggiato dalla caduta del muro di Berlino, minacciava anche il consenso socialdemocratico, profondamente incrinato dalla constatazione che lo Stato era benevolente quanto intrusivo: il dilatarsi del welfare minacciava la dignità dell’individuo, la sua possibilità di scelta, la sua autonomia dal potere, quelli che erano i pilastri portanti del modello che tanto faticosamente la cittadinanza era riuscita a conquistare … [… p. 10 …]. In pochi anni l’Europa si ritrovava, ideologicamente, nuda. Tutte le ideologie erano state spazzate via, tranne una. Fino allora dimenticato, se non irriso, il liberalismo si offriva come ancora di salvezza di fronte alle … incertezze della politica. [… p. 79…]. I dati confermano che la globalizzazione migliora sensibilmente anche le condizioni non materiali … Sulla base dei dati ONU, il mondo oggi è migliore perché è più ricco ma anche perché ci si vive meglio … migliora la condizione delle donne, migliora l’ambiente, quanto meno nella qualità dell’acqua e delle emissioni di biossido di carbonio, si diffondono la democrazia e i diritti civili. […]. Non è neanche vero che la globalizzazione provochi il cosiddetto “dumping sociale”, il livellamento verso il basso delle condizioni lavorative e delle relative retribuzioni. Una ricerca dell’Università di Costanza dimostra, al contrario, che gli investimenti esteri si indirizzano, preferibilmente, verso quei Paesi che tutelano condizioni di lavoro accettabili e che il miglioramento delle condizioni economiche sviluppa le istituzioni democratiche e rafforza i diritti sindacali (1). [… p. 81…]. Le crisi degli ultimi anni – con gli scandali finanziari USA e la minaccia del terrorismo – dimostrano che la globalizzazione resta minacciata dall’insorgere dei nazionalismi, dalle guerre e dalla sfiducia del mercato … Essa sta cambiando sotto i nostri occhi, si sfilaccia rispetto alla versione originale e sembra diventare, come dice Mario Deaglio (“Post Global”, 2005) una sorta di arcipelago di isole economiche … (1) L’autore sembra dimenticare quanti sindacalisti sono stati ammazzati e/o malmenati in Asia e Sudamerica, in questi anni, in difesa del livello minimo dei diritti dei lavoratori … indice 18 John Stuart Mill - L’AMERICA E LA DEMOCRAZIA - Bompiani, 2005 (a cura di Pietro Adamo) [… note di copertina…]. L’America e la Democrazia: le guerre e le “operazioni di polizia” intraprese dal governo USA negli ultimi anni hanno suggerito a molti di riconsiderare il nesso tra esperienza americana e stile di vita democratico, dato per scontato per oltre due secoli. Questo focus schiera da un lato chi vede gli USA artefici di una trama occulta di ambizioni imperiali e tendenze autoritarie ed altri che sottolineano il modello USA a sostegno della socialdemocrazia europea. Un secolo e mezzo fa, il filosofo inglese John Stuart Mill si era impegnato nell’analisi della giovane democrazia americana, nei suoi presupposti filosofico-culturali, nella sua struttura di governo, alla ricerca di una chiave interpretativa rispetto ai modelli europei. Mill, nel suo “On Liberty”, ha saputo identificare e discutere i suoi aspetti più caratterizzanti: la relazione tra religione e identità nazionale la tendenza al decentramento politico la preoccupazione per la libertà personale i rischi impliciti nella “dittatura della maggioranza”. [… Introduzione di 165 pag…]. [… p. 134 …]. Il termine anarchia sta a indicare, nella rilettura dell’esperimento americano, un’organizzazione sociale fondata sul principio del decentramento e dell’autonomia, sostenuta da una forte enfasi sulla sperimentazione. Da qui ha origine, e perdura, una precisa sottovalutazione della funzione statale … La vocazione federale e la scarsa simpatia per lo Stato centrale hanno visto susseguirsi dibattiti e lotte, incessantemente … [… Da “On Liberty”…]. [… p. 185 …]. “Tra le novità che attirarono la mia attenzione durante la mia permanenza negli Stati Uniti”, scrive Toqueville al principio della sua opera, nessuna mi ha maggiormente colpito dell’uguaglianza delle condizioni. Senza fatica constatai la prodigiosa influenza che essa esercita sull’andamento della società: essa dà allo spirito pubblico una determinata direzione, imprime alle leggi un determinato indirizzo, assegna ai governanti nuovi principi, abitudini particolari. Subito mi accorsi che questo fatto estende la sua influenza assai oltre la vita politica e le leggi, e domina non meno la società civile che il governo: infatti crea opinioni, fa sorgere sentimenti, suggerisce usanze e modifica tutto ciò che non crea direttamente. Pertanto, più studiavo la società americana, più vedevo nell’uguaglianza delle condizioni la forza generatrice da cui pareva derivare ogni fatto particolare: e me la trovavo continuamente davanti, come un punto centrale … [… p. 483 …]. Dei loro principi, i sudisti non fanno mistero: sono disposti a restare nell’Unione fintantoché viene loro concesso di dirigerne l’intera politica, di avanzare per compromessi e abusi, sino al punto di rivendicare il DIRITTO DI INTRODURRE GLI SCHIAVI COME LORO PROPRIETÀ negli Stati liberi e, opponendosi alle leggi di quegli Stati, tenerli là, appunto come proprietà … (1) [… p. 535 …]. I miglioramenti del livello di civiltà liberano l’uomo dal potere dell’uomo e lo portano sotto quello della legge. Lo Stato non deve forse possedere un raggio d’azione più vasto, se ci si aspetta che protegga lo schiavo, la moglie, il bambino, il debitore, invece di lasciarli alla volontà e all’arbitrio dei padroni, dei mariti, dei padri, dei creditori? E’ nell’età primitiva che questi “superiori” avevano diritto di vita o di morte su quelli che erano loro sottomessi. C’È E VOLUTO LO LO STATO STATO PER LIBERARE LA PARTE PIÙ DEBOLE DA QUESTO DISPOTISMO. HA IL DOVERE DI FARLO DOVE SIA ANCORA NECESSARIO. [… p. 601 …]. Se c’è una dottrina che dev’essere insegnata più di ogni altra cosa è che l’amore per il potere è la passione più malvagia della natura umana: il potere sugli altri – potere di coercizione e coartazione – OGNI POTERE DIVERSO DALL’INFLUENZA MORALE E INTELLETTUALE È UNA TRAPPOLA , anche nei casi in cui si rivela indispensabile, e in tutti gli altri casi, è una maledizione, sia per chi lo possiede che per chi ne è vittima, un peso che nessuna natura morale giustamente formata consente di essere adottata. CON L’AMORE DI LIBERTÀ È VERO NELL’EGUALE LIBERTÀ DI ALTRI. AL IL COMPLETO CONTRARIO: L’AMORE DI LIBERTÀ È ALTRUISTA E LA LIBERTÀ DI UNO NON HA SOLIDITÀ SE NON CONTRARIO, L’APPETITO DI POTERE È DEL TUTTO EGOISTA, PERCHÉ NON POSSONO AVERLO TUTTI. QUELLA CHE – IN TUTTE LE EPOCHE – HA INFLITTO ALLA RAZZA UMANA LE SUE PIÙ GRANDI MISERIE … LA PASSIONE DEL POTERE È (1) Questa arroganza si ritrova ancora nel comportamento della destra dei Repubblicani USA. indice 19 (1) Quest’arroganza degli USA dell’800, non è affatto scomparsa: non si contano gli esempi recenti a proposito. (n.d.r.) 20 Jürgen Habermas TRA SCIENZA E FEDE [… note di copertina…]. - Laterza, 2006 Due tendenze contrapposte caratterizzano lo spirito contemporaneo: - la diffusione di rappresentazioni naturalistiche del mondo - il crescente influsso politico esercitato dalle ortodossie religiose. Entrambe mettono a rischio la stabilità della comunità politica con la loro polarizzazione di visioni del mondo: ciò avviene quando dall’una e dall’altra parte manca la buona volontà di riflettere. LA POLARIZZAZIONE IDEOLOGICA TRA SCIENZA E FEDE COMPROMETTE LA COESIONE DEI CITTADINI. UNO STATO DI DIRITTO PUÒ GARANTIRE LA CONVIVENZA – – DI COMUNITÀ RELIGIOSE TUTTI I MEMBRI DELLA CITTADINANZA POLITICA. NELLA TOLLERANZA E PARITÀ DI DIRITTI INCONCILIABILI NELLE LORO VISIONI DEL MONDO E DI QUESTE CON I NON CREDENTI, SOLTANTO SE COMUNITÀ SONO DISPOSTI A CONSIDERARSI RECIPROCAMENTE LIBERI ED EGUALI NELLA LORO La formazione dell’opinione e della volontà nella sfera pubblica democratica può funzionare soltanto se un numero sufficiente di cittadini soddisfa determinate attese circa la civiltà del loro comportamento anche al di là di profonde divergenze in materia di fede e visione del mondo. [… Introduzione, p. VIII …]. MA I CITTADINI CREDENTI POSSONO CONFRONTARSI CON QUESTO COMPITO SOLO A PATTO DI ESERCITARE PRESUPPOSTI COGNITIVI INDISPENSABILI: DEVONO AVER IMPARATO A PORRE LE PROPRIE CONVINZIONI RELIGIOSE IN UN RAPPORTO RIFLESSIVAMENTE COMPRENSIVO CON LA REALTÀ DEL E PLURALISMO DI RELIGIONI E VISIONI DEL MONDO. DEVONO AVER CONCILIATO CON LA LORO FEDE IL PRIVILEGIO CONOSCITIVO DELLE SCIENZE SOCIALMENTE ISTITUZIONALIZZATE, COME PURE IL PRIMATO DELLO STATO SECOLARE E DELLA MORALE SOCIALE UNIVERSALISTICA. (1) [… Introduzione, p. X …]. La polarizzazione di visioni del mondo dei due campi, il laico e il religioso, che mette a rischio la coesione dei cittadini nello Stato, è oggetto della teoria politica. […]. Tuttavia, le tradizioni religiose, ancora oggi, mantengono desta una sensibilità per ciò che è venuto meno; difendono dall’oblio le dimensioni della nostra convivenza sociale e personale, laddove i progressi della razionalizzazione culturale e sociale hanno prodotto distruzioni immani … [… 53 …]. LIBERTÀ E DETERMINISMO. Dai primi anni 2000, in Germania è in corso un dibattito sul libero arbitrio che ha trovato ospitalità (persino) sui quotidiani nazionali; sembra di essere tornati all’800. Neurologi, filosofi, cultori delle scienze umane discutono sulla CONCEZIONE DETERMINISTICA, secondo la quale un mondo causalmente chiuso non lascia spazio alla libertà di scelta tra comportamenti alternativi [ …]. Tale approccio parte dalla premessa che la coscienza di libertà che gli attori si attribuiscono è basata su un’illusione: la sensazione di agire autonomamente è simile al risultato di una ruota che gira a vuoto. La libera volontà sarebbe quindi un’apparenza, dietro la quale si nasconde una rete di condizioni neuronali che seguono implacabili leggi di natura … QUESTO DETERMINISMO È INCONCILIABILE CON LA QUOTIDIANA IDEA DEI SOGGETTI AGENTI: NELLA VITA DI TUTTI I GIORNI NOI NON POSSIAMO FARE A MENO DI ATTRIBUIRCI, RECIPROCAMENTE, LA PATERNITÀ RESPONSABILE DELLE NOSTRE AZIONI [ …]. [… 210 …]. LIBERALISMO POST-MODERNO. Per la coscienza del cittadino laicizzato la giustizia può agevolmente prevalere sul bene sostanziale: dal pluralismo dei modi di vita e immagini del mondo non discendono dissonanze cognitive con le proprie convinzioni etiche e nei diversi modi di vita si incarnano, semplicemente, diversi orientamenti valoriali. E valori diversi non si escludono a vicenda come se fossero verità diverse. DUNQUE, LA COSCIENZA LAICA NON HA DIFFICOLTÀ A RICONOSCERE CHE L’ALTRUI ETHOS HA, PER L’ALTRO, LA STESSA AUTENTICITÀ E PREMINENZA CHE IL NOSTRO ETHOS HA PER NOI: VALE LA RECIPROCITÀ. Diversa è la situazione per il pretendono validità universale. CREDENTE che ricava la propria idea etica di sé da verità di fede che Non appena l’idea di vita giusta si orienta su dottrine religiose di salvazione, o su concezioni metafisiche del BENE, nasce una prospettiva divina, per la quale gli altri modi di vita sono non soltanto iversi, ma sbagliati. (2) (1) Ovvero: nessuna religione può avanzare la pretesa di essere, soltanto essa, nel vero. (2) Con discrezione, H. condanna il fondamentalismo di chi afferma “IO sono nel vero, tu no”. indice 21 Yves Mény-Yves Surel POPULISMO E DEMOCRAZIA - Il Mulino, 2001 [… note di copertina…]. Negli ultimi anni le democrazie europee hanno visto sorgere, attorno a leader di forte carisma, formazioni politiche di tipo populista. Quasi tutte, si ispirano alla contrapposizione NOI/ LORO, a stili di azione politica che fanno leva sulle emozioni collettive, seducendo l’elettorato con discorsi radicali, provocazioni di dubbio gusto. Il nodo è: POPULISMO DEMOCRAZIA, IN UN’ERA POST-IDEOLOGICA E TRANS-NAZIONALE. Tre fenomeni hanno incoraggiato l’insorgere delle istanze populiste: la globalizzazione, che ha destabilizzato le forme tradizionali della politica la crisi del potere decisionale delle èlite tradizionali il dilagare della corruzione nei regimi politici occidentali. Il populismo non si è mai presentato come anti-democratico: anzi dichiara di voler rigenerare la democrazia, ripulendola dalle scorie, per tornare ai veri principi e valori. Un atteggiamento che merita analisi e discussione e che trae origine dall’irrisolta TENSIONE TRA DEMOCRAZIA IDEALE E DEMOCRAZIA REALE. [… Prefazione, p. 7 …]. Da qualche anno, nella lotta legittima, e necessaria, contro la corruzione di numerosi sistemi politici, si è manifestato un atteggiamento estremo: alcuni movimenti, o leader politici, sempre meno isolati, hanno dato l’impressione di voler gettar via il bambino (IL SISTEMA DEMOCRATICO) assieme all’acqua sporca (LA CORRUZIONE). Spesso, la condanna mediatica dei corrotti si è unita ad un rifiuto – meno esplicito, ma reale – delle èlite economiche e politiche. In Francia, Belgio, Austria, Paesi Scandinavi, Italia, alcuni movimenti politici (non sempre di estrema destra) si sono appropriati di una congiura favorevole per fare il processo alla partitocrazia e, più in generale, alle èlite: finita la lotta di classe si è aperta la fase del NOI (IL POPOLO) CONTRO LORO (I DIRIGENTI). E’ COSÌ CHE IL TERMINE POPULISMO È TORNATO DI MODA. L’aspetto preoccupante è che tutto diventa populista, tanto, l’etichetta è vaga, comunque applicabile ad ogni leader di partito che protesta. Ma è soprattutto l’estrema destra a non essere più chiamata col suo nome: anch’essa diventa populista, una definizione comoda, che riesce in qualche modo a restare sotto l’ombrello democratico … [… Prefazione, p. 8 …]. MARXISMO e LIBERALISMO, nonostante la molteplicità dello loro trascrizioni economiche e politiche possono considerarsi come teorie globali, come visioni/interpretazioni del mondo, con le relative strategie e programmi di azione. Nulla di ciò vale – a priori – per il POPULISMO, che non costituisce né una vera teoria capace di fornire uno schema di lettura e interpretazione del mondo né la definizione di un insieme di pratiche, norme, istituzioni in grado di definire un regime o un sistema politico. IL TERMINE POPULISMO È FONDAMENTALMENTE AMBIGUO, EVANESCENTE, POLIVALENTE. D’ALTRA PARTE, NESSUNO CHE SI SIA SENTITO ATTRIBUIRE QUESTA ETICHETTA NE RIVENDICA NON È COSÌ PER I FASCISTI O I COMUNISTI: DI SOLITO NE VANNO ORGOGLIOSI. CHI VIENE DEFINITO POPULISTA PREFERISCE DIRSI [… Prefazione, p. 10 …]. “POPOLARE”, LA LEGITTIMITÀ. FARE APPELLO AL POPOLO. Le ambiguità aggregate al termine non sono di poco conto: È democratico o anti-democratico? È di sinistra o di destra? È modernizzatore o reazionario-conservatore? e hanno a che fare con le incertezze che riguardano la stessa democrazia, la sua natura, il suo fondamento, i suoi modi organizzativi. Proprio perché la democrazia, all’opera, non è mai quella che affermano i suoi sostenitori, e soprattutto i suoi attori protagonisti: e allora nasce un senso di frustrazione, un vuoto, che l’appello alla gente può, secondo i populisti, colmare. IL DIFFICILE DIALOGO TRA DEMOCRAZIA E POPULISMO È FRUTTO DI UN DUPLICE MALINTESO: I POPULISTI RIFIUTANO IL MODO DI FUNZIONAMENTO DELLA DEMOCRAZIA, NELLA QUALE ESSI PERÒ POSSONO VIVERE, MENTRE I DEMOCRATICI DENUNCIANO GLI STRATTONAMENTI CHE I POPULISTI INFLIGGONO AL DIALOGO REPUBBLICANO, IN VESTE DI PERICOLOSI DEMAGOGHI. 22 Il fatto è che IL POPOLO è la trasfigurazione simbolica dell’impossibilità, per il potere, di svincolarsi dal controllo di coloro sui quali esercita questo stesso potere. E non ci sono regimi al mondo, di qualsiasi natura, che non cerchino di rafforzare la loro legittimità in nome del popolo … [ …]. Il POPULISMO può nascere solo con l’arrivo del popolo sulla scena politica: in modo imperfetto e incompleto con la «gloriosa rivoluzione inglese», in modo trionfante ma sospetto con la rivoluzione americana del 1787 (“We are the people of the United States”), in modo radicale ma caotico e contraddittorio con la rivoluzione francese del 1789 che non riuscirà ad istituzionalizzare stabilmente, ed in modo efficiente, la delicata questione della sovranità popolare rispetto agli ordinamenti rappresentativi istituzionali che ne deriveranno. [ …12…]. Nei paesi democratici, comunque, nessun populismo è riuscito a insediarsi stabilmente e questo perché il suo successo è fugace, perché sa bene di essere overpromising. Una volta arrivato al potere i casi sono due: o mantiene le promesse e allora fallirà perché esse erano irreali, oppure rientra nei ranghi della deplorevole scelta dello «speriamo che si dimentichino …». In generale, il populismo, in quanto movimento politico, anche se riesce a far vacillare le vecchie èlite in nome di una certa spontaneità popolare, è comunque costretto - rapidamente – a riconoscere la necessità di affidarsi alla competenza e alla capacità professionale. Dura legge della Realpolitik … [ …13…]. Tuttavia, bisogna prendere atto che i partiti convergono sull’importanza e la necessità di una leadership, possibilmente mediatica. Guai a chi, sotto elezioni, ne è sprovvisto! Deve inventarselo in tutta fretta (Francesco Rutelli, 2000) o accettare la sconfitta (CDU tedesca, conservatori inglesi). E così, quella che sembrava una singolarità americana fa scuola a livello generale. Il populismo non è la causa di questa evoluzione ma contribuisce ad accentuare la deriva, confondendo i canonici riferimenti ideologici: la coesistenza di opposte ideologie – di destra e sinistra – non è mai stata tanto pronunciata come nel gergo populista. L’abilità dei personaggi nella strumentalizzazione, poi, può toccare la raffinatezza: Silvio Berlusconi, chiamato nel 2001 a formare il nuovo governo, sottolinea, in un comunicato di poche righe, di essere stato investito dal popolo. [ …14…]. Intanto, interi settori della vita collettiva sfuggono al controllo dei cittadini per effetto di ideologie, di scelte èlitarie, dei vincoli di mercato, della globalizzazione neoliberista. C’è chi non esita ad evocare lo «svuotamento della democrazia»; tuttavia, uno dei pilastri delle democrazie contemporanee, la cittadinanza sociale, è oggetto di critica violenta. NON ESISTE SOLIDARIETÀ TRANSNAZIONALE, o globale, se non in forma di atti individuali o fugaci iniziative collettive, folckloriche a volte, pressoché private. [ …173…]. La concezione del popolo come attore legittimo e fondatore dell’ordine politico si ispira a una genealogia intellettuale che inizia nel Medioevo e verrà poi formalizzata modernamente da Hobbes e Rousseau. [ …175…]. Se il primo è considerato come uno dei fondatori delle teorie moderne della sovranità e della rappresentanza, il «pensiero populista» trae maggiore ispirazione dal secondo autore, secondo il quale è l’esistenza stessa del popolo che è in discussione. Secondo Rousseau, esistendo il popolo soltanto attraverso la volontà generale che esprime, esso si dissolve, cambia identità proprio nel momento in cui questa volontà si trasmette a un suo rappresentante. La rappresentanza presuppone dunque una corruzione della volontà originaria, la volontà del popolo. [ …196…]. DICE GIOVANNI SARTORI IN “DEMOCRAZIA E DEFINIZIONI”: “LA DEMOCRAZIA È UNA PAROLA POMPOSA PER QUALCOSA CHE NON ESISTE.” E George Orwell osservava: “Non solo, a proposito di democrazia, non esiste una definizione comunemente accettata, ma ogni tentativo in questa direzione è oggetto di resistenze da ogni parte. I difensori di qualunque tipo di regime affermano che la loro è una democrazia …” [ …197…]. Il populismo, alimentando in linea di principio una tensione ideologica che valorizza il popolo, assume posizioni diverse in base delle varie accezioni della comunità alla quale fa riferimento. [ …198…]. IL POPULISMO SI ALIMENTA, QUINDI, DELLE SFIDUCIE E DELLE CRITICHE NEI CONFRONTI DELLE ÈLITE AL POTERE, SOSPETTATE DI TRADIMENTO. CERCA, SOPRATTUTTO, DI EVIDENZIARE IL PROBLEMA DELLA DISTRIBUZIONE DELLA RICCHEZZA QUANDO L’EQUILIBRIO TRADIZIONALE È MINACCIATO DA DIVERSE LOGICHE ECONOMICHE. ECCO ALLORA CHE VALORIZZA I PICCOLI CONTRO I GRANDI, L’ECONOMIA REALE CONTRO LA POTENZA FINANZIARIA E LO STRAPOTERE DELL’ECONOMIA. indice 23 Juan J. Linz-Alfred Stepan TRANSIZIONE E CONSOLIDAMENTO DEMOCRATICO - Il Mulino, 2000 [… Prefazione …]. Il macro-fenomeno politico più evidente nell’ultimo cinquantennio è la democratizzazione, ovvero l’affermazione – in tutte le aree del mondo – di meccanismi partecipativi elettorali, estesi a tutta la popolazione adulta maschile e femminile, in presenza di qualche grado di opposizione e dissenso. Il fenomeno è accelerato nell’ultima parte del ‘900, con un numero sempre minore di fallimenti e ritorni all’esperienza autoritaria. [ …10…]. Nessun sistema politico si può consolidare in quanto democrazia se non è, in primo luogo, uno stato. SE ESISTE UNO STATO FUNZIONANTE, ALTRE 5 CONDIZIONI INTERCONNESSE, E RECIPROCAMENTE RINFORZANTI DEVONO SUSSISTERE O ESSERE CREATE PERCHÉ LA DEMOCRAZIA POSSA CONSOLIDARSI: 1) Condizioni favorevoli allo sviluppo della società civile, libera e attiva 2) Una società politica relativamente autonoma e considerata favorevolmente 3) Rispetto per le leggi (rule by law) per garantire legalità e libertà associativa / individuale 4) Burocrazia statale da impiegare nel governo democratico 5) Società economica istituzionalizzata. [ …128…]. Se la situazione politica è tale da non consentire una significativa percezione di alternative possibili, spesso un regime non democratico può continuare a governare in modo coercitivo. Se la capacità coercitiva del regime non democratico diminuisce (per dissidi interni, per pressioni esterne internazionali) allora la prolungata stagnazione può contribuire all’erosione del regime … ANCHE IL IL PROBLEMA DELLE CRITICHE AL SISTEMA È FONDAMENTALE PER IL DESTINO DELLE DEMOCRAZIE. PROBLEMA CENTRALE DELLE DEMOCRAZIE È SE I CITTADINI CREDONO CHE, IN SITUAZIONI DI DIFFICOLTÀ, IL GOVERNO DEMOCRATICO STIA OPERANDO IN MODO CREDIBILE PER SUPERARE I PROBLEMI ECONOMICI. E’ DETERMINANTE CHE IL SISTEMA DEMOCRATICO SIA CAPACE DI PREDISPORRE UN PROGRAMMA CAPACE SUPERARE LA CRISI ECONOMICA E RISULTI CONVINCENTE PRESSO GLI OPERATORI ECONOMICI STESSI. Tuttavia, nei casi in cui i cittadini arrivino a credere che il sistema democratico in quanto tale stia trascurando il problema economico o sia incapace di definire, o attuare, una credibile riforma economica, le critiche al sistema aggraveranno notevolmente le ripercussioni generate dalle oggettive difficoltà economiche. (1) Più rilevante ancora è notare che le crisi economiche tenderanno a causare il crollo della democrazia nei casi in cui potenti gruppi esterni o interni al governo saranno sempre più convinti che le alternative di governo non democratiche siano l’unica soluzione per risolvere la crisi economica … [ …206…]. LE ISTITUZIONI DEMOCRATICHE NON DEVONO SOLTANTO ESSERE CREATE, BENSÌ ANCHE FORGIATE, NUTRITE, SVILUPPATE, MONITORATE CONTINUAMENTE. Abbiamo ripetutamente affermato che la creazione di una società economica – a sostegno della democrazia – richiede ben più che semplici mercati e proprietà privata. E’ GIUNTO IL MOMENTO DI SUPERARE IL LIBERISMO ILLIBERALE E TEORIZZARE - E COSTRUIRE SOCIALMENTE - POLITICHE INTEGRATIVE DI IDENTITÀ, IN OPPOSIZIONE ALLE POLITICHE CHE REALIZZANO UNA FRAMMENTAZIONE ILLIMITATA. Inoltre, non ci si può accontentare di sostenere che la democrazia è migliore di qualsiasi altra forma di governo soltanto perché le alternative sono in crisi. La democrazia deve farsi valere per i suoi meriti. (1) E’ accaduto nell’estate 2007 a partire dal V-Day di Beppe Grillo: una marea di malcontento che si raccordava allo sdegno sollevato da “La casta” di Rizzo e Stella, scritto sulla scia di “Il costo della democrazia” di Salvi e Villone. indice 24 Paul Ginsborg LA DEMOCRAZIA CHE NON C’E’ - Einaudi, 2006 [… Prologo …]. Come si fa a proteggere il dono politico più prezioso dei nostri tempi, quello della democrazia? Certamente non con la sua esportazione forzata, né con la difesa miope di un modello rappresentativo antiquato, né con la delega ad un potere politico che sta in una sfera separata. Per proteggere la democrazia bisogna rianimarla, ripopolarla: bisogna creare una democrazia all’altezza del momento storico, economica e non solo politica, che entra nella cultura della gente. Partendo dal pensiero di Marx e Mill, questo saggio affronta alcune delle questioni più pressanti sorte nella storia della democrazia, rapportandole alle possibilità / pericoli dei nostri giorni, con una particolare attenzione al destino dell’UNIONE EUROPEA. La democrazia ha molti nemici, in attesa tra le quinte, costretti – al momento – a giocare secondo regole democratiche. Ma il loro intento reale è populista, di manipolazione mediatica, intollerante, autoritario. Costoro conquisteranno molto spazio se non sapremo riformare, rapidamente, ma efficacemente, le attuali forme democratiche. [ …36…]. Mentre la democrazia formale, negli ultimi decenni, si diffonde in tutto il mondo, accade che nei paesi tradizionalmente democratici e liberali sta crescendo la disaffezione. Prendiamo il caso della Svezia: nel 1968, il 60% degli intervistati nell’ambito di uno studio sull’elettorato si diceva convinto che ai partiti politici interessava l’opinione della gente, non soltanto catturarne il voto. Nel 1994 la percentuale era scesa al 25% … E’ necessario mettere a fuoco alcune cause di fondo: 1. La delega della politica ad una sfera separata, abitata da professionisti e organizzata in èlite di partito è un limite della democrazia rappresentativa ed ora ha assunto un carattere fortemente esplicito. Questa situazione di ISOLAMENTO DAL PUBBLICO, è un malessere percepibile. 2. L’isolamento progressivo è dovuto anche al mutare di abitudini culturali e sociali. Ciascuna delle due sfere – la politica e i cittadini – hanno marciato in direzioni divergenti. Il «capitalismo di consumo» ha avuto un forte impatto sulla natura delle nostre democrazie: la celebrazione della vita domestica e dei modelli tipo «lavora e spendi» rendono ricche le nostre società in termini di comfort ma povere in termini di tempo disponibile, con l’autoreferenzialità famiglia-individuo, la dipendenza cronica dal video / hi-fi / computer / telefonino / videocamera. Tempo per una politica che evidentemente arranca in economia non ce n’è quasi più. NON È DA SOTTOVALUTARE IL «POTERE COERCITIVO» ESERCITATO DALLA TELEVISIONE COMMERCIALE: la sua logica ferrea impone che la programmazione sia sempre tesa a massimizzare le dimensioni dell’audience. QUESTO SIGNIFICA CHE GLI SPETTATORI SONO CONSIDERATI MEMBRI DEL MERCATO, NON CITTADINI; questa visione fondamentale determina poi tutto il resto e infatti la pubblicità preme verso il consumo e invade ogni spazio (si fanno didascalie anche durante i telefilm o le partite!) e i programmi sono pensati come intrattenimento, non certo con finalità di informazione o istruzione, meno che mai nelle fasce di massimo ascolto. Stiamo parlando di un modello culturale, molto forte, nel quale la visione democratica non ha molto spazio … 3. LA POLITICA DEMOCRATICA È DIVENTATA SEMPRE PIÙ DIPENDENTE DAL GRANDE CAPITALE. Gli individui sono formalmente uguali nel momento di votare; in quel momento «indossano la pelle del leone» come direbbe Marx. In quel momento «l’elettore è veramente sovrano», direbbe Mill. Invece si tratta di individui totalmente diseguali nella società, con diversissima capacità di influenzare, dirigere, essere protagonisti. (1) Le competizioni elettorali moderne non si combattono a pari livello e le spese elettorali in quasi tutte le democrazie sono aumentate vertiginosamente. IN PRESENZA DI ENORMI SOVVENZIONI PRIVATE, IL PROCESSO DEMOCRATICO RISULTA INVISCHIATO NEL CAPITALISMO BASATO SU AMICIZIE STRUMENTALI … 4. IL RUOLO STORICO U.S.A. E’ MUTATO. Nel 1942, l’entrata degli Stati Uniti di Franklin D. Roosvelt nella IIa guerra mondiale fu salutato come un grande atto di coraggio civile e politico. Oggi, una vasta quota dell’opinione pubblica mondiale giudica gli USA in modo assai diverso. Si contestano all’America: Le sue guerre recenti e disastrose, basate su motivi imperialistici spacciati per democratici Il suo boicottaggio alla GOVERNANCE GLOBALE che tende a un qualche sviluppo sostenibile L’ipocrisia verso la Corte Internazionale dei Diritti Umani I ripetuti siluri all’ONU e ai tentativi di riformarne l’efficacia. (2) NON C’È IL MAI STATA TANTA DISCREPANZA TRA DEMOCRAZIA AMERICANA E GIUSTIZIA MONDIALE. RUOLO MONDIALE DEGLI USA HA CONTRIBUITO A RIMETTERE IN DUBBIO LO STATUS STESSO DEL TERMINE DEMOCRAZIA. (1) Ma come può fare, il cittadino “normale”, a contattare la “sfera pubblica”? Con la posta elettronica? (2) Dopo la crisi finanziaria 2007 (mutui sub-prime) bisognerebbe aggiungere anche: “La finanza manovrata da pirati criminali”. 25 Ma l’elenco dei difetti dell’odierna democrazia non può scordare L’UNIONE EUROPEA. Gigante del palcoscenico mondiale, ma gigante addormentato rispetto alle problematiche correnti. Per molti aspetti vanta uno straordinario successo: Antichi, fieri, aggressivi stati-nazione sono stati condotti – con la forza della persuasione e del consenso – a mettere in comune risorse, operatività, parte delle sovranità. Basta con le armi. L’Europa trans-nazionale, reticolare, si fonda su un elevato livello di solidarietà sociale. USA e Cina seguono a grande distanza. (1) [ …41 …]. L’UE pratica la democrazia in forma limitata, indiretta, insoddisfacente. Per capire bisogna tornare alle origini. La CEE del 1957 aveva obiettivi sostanzialmente economici, c’era poco spazio per la democrazia liberale. A prendere le decisioni, tecniche, erano le èlite dei governi, con pesi politici che risalivano agli esiti della IIa G.M.: non c’era nessun desiderio di coinvolgere l’opinione pubblica e il Parlamento Europeo aveva un ruolo limitato, consultivo: la sua elezione diretta ebbe inizio nel 1979, ma dovendo tenere in equilibrio dinamismo e democrazia – un vero dilemma – i fondatori di Europa scelsero la prima strada. La globalizzazione era alle porte … Questo deficit democratico iniziale doveva pesantemente gravare sulla storia successiva dell’UE. La separatezza della sfera decisionale – già spiccata nelle democrazie nazionali – divenne macroscopica quando applicata alle Istituzioni Europee. IL CONSIGLIO DELL’UNIONE EUROPEA, L’ORGANISMO SENATO. INFATTI, PIÙ POTENTE, COMPOSTO DAI MINISTRI DEI PAESI MEMBRI, È PIÙ UNA CONSORTERIA CHE UN NON RISPONDE DIRETTAMENTE A NESSUNO E TUTTAVIA LEGIFERA ABBONDANTEMENTE. E CIÒ NON COMBACIA FACILMENTE CON LA DEMOCRAZIA PARLAMENTARE. [ …45 …]. L’afflusso alle urne nelle Europee 2004 riflette il disagio dei cittadini; ed è stata imbarazzante la quota-votanti per i recenti ingressi: 38% Ungheria, 28% R. Ceca, 17% Slovacchia … I motivi sono tanti ma ce n’è uno condiviso seccamente: la sensazione comune a grandi porzioni di elettorato che la partecipazione al processo democratico – il voto - aveva scarso significato dato l’ENORME DIVARIO ESISTENTE TRA I CITTADINI D’EUROPA E LE ISTITUZIONI EUROPEE. Nel corso degli anni si è cercato di ridurre questo deficit democratico. Il tentativo più pubblicizzato, tuttavia, è stato un sonoro fallimento: il PRINCIPIO DI SUSSIDIARIETÀ, enfatizzato nel Trattato di Maastricht del 1993, è rimasto oscuro nel significato e vago nell’applicazione. La corretta accezione è che SI DELEGA A LIVELLO PIÙ BASSO QUANTO NON RISULTA NECESSARIAMENTE DA DECIDERE A LIVELLO COMUNITARIO. E’ una delega che vuol salvaguardare l’efficienza UE e nel contempo invita gli stati membri a fare la loro parte, in cascata: però, se si guardano le sentenze della Corte di giustizia europea ne risulta una questione che ha sollevato più rogne che vantaggi, in quanto “Sotto il profilo funzionale il principio appare vuoto di ogni chiaro contenuto legale, il che ne rende problematica l’applicazione concreta”. [ …47 …]. Tomaso Padoa-Schioppa ha recentemente diagnosticato che l’UE soffre di malinconia acuta. “Non è la pochezza dell’opera realizzata a generare la malinconia. E’ invece l’attuale malinconia che impedisce di portarla a termine …”. Ma il nostro ministro per l’Economia sa bene che i malinconici – se si vuol credere a Platone – sono capaci di improvvisi e furiosi accessi di esaltazione spirituale che li spingeranno fuori dal torpore. Ma non possiamo dimenticare che l’Europa è stata costruita sulla sabbia. Liberarsi dalla malinconia significa attuare un radicale ripensamento delle basi necessarie a collegare, con efficacia, i cittadini europei alle loro istituzioni: è una condizione tassativa: diversamente, alienazione e torpore non potranno che persistere. Per affrontare il problema bisogna «RITORNARE AI PRINCIPI FONDAMENTALI», avrebbe detto J.S. Mill. [ …109 …]. La definizione di DEMOCRAZIA ECONOMICA in cui credo equivale al tipo di partecipazione pubblica registrata a Porto Alegre, con quelle stesse aspirazioni. Ha attinenza con democrazia ed empowerment sul posto di lavoro, con la possibilità per chi lavora in fabbrica o nel terziario di far sentire la propria voce. I CITTADINI ATTIVI MA DISSENZIENTI NON POSSONO OPERARE SOLO IN UN MOVIMENTO DI RIFORMA INTERNO ALLA SOCIETÀ CIVILE: DEVONO ANCHE – SECONDO MODALITÀ DA DISCUTERE E DEFINIRE – FARSI PORTATORI DEGLI STESSI VALORI DEMOCRATICI ALL’INTERNO DELLA LORO ESPERIENZA LAVORATIVA QUOTIDIANA. SFERA ECONOMICA E POLITICA NON DEVONO ESSERE COMPARTIMENTI STAGNI. Ma nel mondo del neo-liberismo e dei contratti a tempo determinato, dei licenziamenti in tronco e dell’esercizio arbitrario e arrogante del potere da parte di certi datori di lavoro questi auspici possono risultare blasfemi, come minimo antiquati,fuori moda. Tuttavia, la strada è soltanto questa … (1) In una nota del testo viene citato l’eccellente volume di Jeremy Rifkin: “Il sogno europeo”, 2004, Mondadori. indice 26 Giuseppe Schiavone DEMOCRAZIA E MODERNITA’. L’apporto dell’utopia - UTET, 2001 [… Prologo …]. La nascita della democrazia è legata al pensiero utopico, sviluppatosi in Europa agli inizi del XVI secolo. Il termine indicava un progetto concreto per una società giusta, una testimonianza di coraggio civile, la speranza in un domani migliore, indicando la strada verso L’EMANICIPAZIONE. Il lungo viaggio storico della democrazia comincia con la prima Rivoluzione Inglese (1640-1660) e attraversa la Rivoluzione americana e poi quella Francese, con i dibattiti sulla Natura dello Stato, sulla sovranità popolare, sul ruolo della religione e della donna. [ …65 …]. (Seicento inglese). Le argomentazioni partivano dalla considerazione storica dell’iniquità delle leggi operanti nel sistema statale inglese, in quanto introdotte dalla violenza della conquista normanna e tramandatesi attraverso le dinastie reali successive, conservando il carattere usurpativo della loro origine. Lo spirito iniquo dell’ordinamento giuridico, attivato da una volontà di potenza, si è conservato intatto nel tempo: il privilegio viene sancito dalla legge, l’ineguaglianza sociale viene definita attraverso la norma … [ …67 …]. E’ interessante, al proposito, la posizione di Hobbes, teorico dell’assolutismo borghese, per il quale “Prima della costituzione dello Stato, il popolo non esiste”. Il popolo acquista figura giuridica «dopo» la fondazione dello Stato – che è costituito dal gruppo più forte – per cui il popolo non solo non può influire sulla formazione della legge ma diventa soggetto della legge … [ …122 …]. (A proposito del ruolo della donna) Al tempo, era molto diffuso il pensiero di Paolo di Tarso. La donna deve accettare, silenziosamente, il proprio destino, non essendo consentito nelle riunioni neanche il diritto di parola … La sua virtù, quindi, consiste nell’imparare ogni cosa dall’uomo, senza discutere. Scandaloso sarebbe il contrario, essendo lei più incline all’errore e al cedimento morale … [ …126 …]. In un pamphlet di Joseph Swetman (1615), ristampato per ben dodici volte con straordinario successo, il punto di vista sulle donne era di questo genere: “… esse sono ingrate, spergiure, piene di frode, seducono beffeggiando, perché sono incostanti, bisbetiche, superficiali, frivole, stizzose, superbe, scortesi e crudeli”. Tale è ritenuta la natura delle donne; e perciò devono essere tenute a bada, sottomesse, soggiogate. Questa era la mentalità di quel periodo … [ …230 …]. Quello della FRATELLANZA e pace universale è un tema utopico molto forte. Dal movimento popolare e da Gerrard Winstanley (il massimo teorico del ‘600 inglese in tema di utopia) prende una certa carica storica per poi entrare nella coscienza politica moderna. Ma la sua formulazione è ben più antica: proviene dal messaggio evangelico, per essere poi messo a fondamento degli universali rapporti politici e giuridici degli uomini. Dal principio di figliolanza universale dell’umanità rispetto a Dio deriva un rapporto di amore fraterno, che è universale e ne consegue l’istanza ecumenica di pace. Ma l’uomo contemporaneo – pur avendo in una certa misura maturato una coscienza di giustizia – non ha ancora maturato una coscienza d’amore … [ …295 …]. Il cosiddetto voto plebiscitario (peronismo, gaullismo, …) è una FALSIFICAZIONE DELLA DEMOCRAZIA diretta in quanto non si basa sul consenso ma sull’adesione emotiva di un corpo elettorale che è stato ideologicamente manipolato da una propaganda che ha quantomeno osteggiato i pareri avversi. Una forma imprecisabile, larvata, di dittatura. IL CONSENSO È LEGITTIMAMENTE ESPRESSO SOLO SE VIENE DATO COME CONVINZIONE MATURATA SU UN TERRENO CRITICO-RAZIONALE, SUL PRESUPPOSTO DELLA LIBERTÀ E DELL’UGUAGLIANZA. IL CONSENSO NON È PIÙ AUTENTICO SE VIENE DATO IN FORMA EMOTIVA, IN UNA CONDIZIONE DI OCCULTA COAZIONE FINEMENTE MANIPOLATA; OPPURE COME (IMPROBABILE) QUELLO DI RICAVARNE FAVORI «ADESIONE SERVILE» AL POTERE, ALL’UOMO (LEGITTIMI O ILLEGITTIMI NON È RILEVANTE). FORTE, NELLA SPERANZA APPENA DESCRITTO È UN CIRCUITO POLITICAMENTE PERVERSO PERCHÉ TRASFORMA IL DIRITTO PROPRIO DEL CITTADINO IN UN FAVORE EROGATO DAL GOVERNANTE, ALIMENTA L’ALIENAZIONE, SOTTRAE DIGNITÀ AI CITTADINI, RIDUCENDOLI A SUDDITI, PRESUNTI FRUITORI DELLE PROMESSE LONTANA DA QUELLA DI UN AUTENTICO STATISTA. – DISINVOLTE – DI UN LEADER LA CUI ETICA È BEN indice 27 Angelo Panebianco IL PREZZO DELLA LIBERTA’ - Il Mulino, 1995 [ …14 …]. Vista in chiave teorica, LA CITTADINANZA è un principio che definisce l’appartenenza alla comunità in termini di diritti e di doveri: diritto di partecipazione alle decisioni della comunità, dovere di osservanza delle sue leggi e – massimamente – dovere di difenderla con le armi dai nemici esterni. Basterà citare Machiavelli e la sua consapevolezza del legame indissolubile fra libertà repubblicane e uso di milizie cittadine, anziché truppe mercenarie … […]. Dopo la IIa G.M. si verificano, in Occidente, significativi «strappi» nel rapporto guerra-cittadinanza. Da un lato si tende a sostituire l’esercito di leva con eserciti professionali, anche per la crescente importanza/complessità della tecnologia militare; dall’altro lato, la lunga pace di cui gode l’Occidente, il crescente benessere, rendono sfuocata la credenza nella legittimità dell’uso della forza militare. (1) Si allenta, per conseguenza, un legame che aveva attraversato i millenni e si svaluta un attributo che era essenziale per il rapporto di cittadinanza. [ …16…]. Come ha scritto Norberto Bobbio (“L’età dei diritti”, Einaudi, 1990) a proposito di concezione individualistica che sta dietro la moderna idea di cittadinanza: “Concezione individualistica significa che prima viene l’individuo, l’individuo singolo, che ha valore per di sé stesso: poi viene lo Stato, e non viceversa. OVVERO LO STATO È FATTO PER L’INDIVIDUO, NON IL CONTRARIO …”. (2) Da questa inversione tra Stato e Individuo VIENE INVERTITO ANCHE IL TRADIZIONALE RAPPORTO TRA DIRITTO E DOVERE. [ …17…]. Il fatto che l’idea di cittadinanza rinasca in polemica contrapposizione all’assolutismo spiega perché tutti gli studi sul concetto di cittadinanza, nonché tutte le ricerche storiche, sociologiche, politologiche sulla sua evoluzione, si siano fissate esclusivamente sulla questione dei diritti lasciando in ombra – parrebbe dandola per scontata – la dimensione dei DOVERI. [ …]. Il risultato è che tanto la dottrina quanto il senso comune sono prontissimi ad elencare i diritti di cittadinanza ma sono molto vaghi – se non reticenti – sui corrispondenti doveri. Eppure la cittadinanza possiede entrambe le dimensioni ed esse si sostengono o cadono insieme. [ …]. L’enfasi viene posta sui diritti – anziché sui doveri – perché la tutela e l’espansione dei primi diventa il solo metro per giudicare lo «stato» dei rapporti di cittadinanza. Implicitamente, si assume che gli obblighi relativi allo status di cittadino siano garantiti – prima ancora che da norme repressive – dal senso di appartenenza alla comunità politica. Ma se questo senso di appartenenza si allenta, oppure non è mai realmente esistito, oppure è sempre stato flebile per cause storiche, l’intera costruzione è destinata, se non a cadere, a vacillare … [ …18…]. L’Italia odierna rappresenta - nell’opinione comune - il caso dove è più esasperato lo «sganciamento» della dimensione dei diritti da quella dei doveri: la cultura, la politica, i mass-media sembrano essere approdati a un’idea di cittadinanza che potremmo chiamare «rivendicazionismo senza contropartite». Ci sono ragioni storiche, importanti, che spiegano questa situazione: LA Il carattere illiberale – lontano, se non proprio ostile al linguaggio individualistico della cittadinanza – delle principali culture politiche del Paese DEBOLEZZA DEL SENTIMENTO DI APPARTENENZA A UNA COMUNITÀ NAZIONALE. FORSE Il carattere autoritario dei rapporti tra lo Stato e il Cittadino: la Pubblica Amministrazione e l’Amministrazione della Giustizia erano, fino a ieri, guidate da codici di epoca fascista … SI TRATTA DELLA CAUSA PRIMA DI TUTTO IL RESTO Un solo esempio: il movimento dei diritti civili negli anni ’70, la sua parabola e il suo linguaggio, adottato in seguito da tutti, nonché la sua sconfitta pratica. Il movimento (che ruota attorno al Partito Radicale) ottiene una serie di vittorie (divorzio; aborto; …) che comportano una sorta di effetto di trascinamento in altri campi (voto ai 18enni; depenalizzazione dei reati d’opinione, …). Il referente culturale è la concezione individualistico-liberale della cittadinanza. Il modello di riferimento è quello delle democrazie anglosassoni, o meglio: un’immagine idealizzata di quelle democrazie. Anche se i successi pratici non mancano, il contesto culturale in cui il movimento opera è piuttosto ostile a quei valori, a causa della debolezza della cultura laico-liberale in Italia. L’AZIONE È TUTTA SUL TERRENO DEI DIRITTI: IL RIFERIMENTO ALLA CULTURA ANGLOSASSONE AVREBBE DOVUTO FAR EMERGERE LA COMBINAZIONE TRA DIRITTI INDIVIDUALI E FORTE IDENTIFICAZIONE CON UN NUCLEO DI VALORI CONDIVISI. (1) Ma vi sono anche vincoli costituzionali e la cultura della non-violenza. (2) Dunque, un’idea ben diversa da quella di Hobbes. 28 E’ qui che si origina il pervertimento del linguaggio dei diritti, che proseguirà negli anni ’80: il linguaggio e i simboli della cittadinanza diventano la bandiera dei gruppi più disparati e grazie all’eclisse di altri slogan ideologici (rivoluzione, proletariato, lotta di classe e simili) il linguaggio dei diritti diventa linguaggio politicamente vincente. Sotto il suo ombrello vi si trovano cose disparate … [ …20…]. Esemplare è il caso dell’obiezione al servizio militare. Introdotta negli anni ’70 per tutelare un’autentica e convinta ripulsa alle armi (bisognava esserne convinti perchè la durata della ferma era doppia), durante gli anni ’80 la normativa viene stravolta: la durata diventa uguale e dunque toglie ogni “penale”; non solo, diventa conveniente il servizio civile perché, in vari casi, il tipo di prestazione effettuata da “obiettori – impiegati” diventa spendibile, poi, sul mercato del lavoro. E così IL LINGUAGGIO DEI DIRITTI diventa la coperta politica di vecchi e nuovi corporativismi, di quel «rivendicazionismo senza contropartite» che per alcuni incarna l’idea di cittadinanza ma che invece ne rappresenta la negazione. Al fondo c’è un male antico che il regime democratico non ha saputo, o potuto, estirpare: la mancanza di quel NUCLEO DI VALORI CONDIVISI che – dando senso allo stare insieme in qualsiasi comunità – è la condizione necessaria, anche se non sufficiente, per l’affermazione di quelli che possono poi dirsi autentici rapporti di cittadinanza. [ …51…]. Un sogno ricorrente attraversa l’Occidente: potersi sbarazzare della politica, annullarne specificità e autonomia, riconducendola ad “altro”: di volta in volta la comunità ecclesiale, la tecnica, l’economia, l’etica. Le due strade più comunemente battute nel tentativo di distruggere l’autonomia della politica sono basate sull’argomentazione tecnica e sull’argomentazione moralistica. Da un lato si cerca di ridurre il nodo del dominio dell’uomo sull’uomo – e i relativi conflitti – ad azioni di amministrazione, gestionali. Dall’altro lato si vorrebbe affermare il principio che i paternoster (e/o le eventuali varianti laiche) possano essere principi legittimi di governo da cui trarre i fini e la scelta dei mezzi legittimi. [ …]. All’origine di questi ricorrenti tentativi ci sono i miti della scienza e tecnica, le rivoluzioni industriali e tecnologiche nonchè un sentimento malcelato di ostilità per la democrazia liberale che ha accompagnato l’Europa fin dai suoi primi passi … E’ da questi ambiti che ogni tanto spuntano proposte circa “il governo dei tecnici” … L’idea che sta alla base è di questo GOVERNO DEI CUSTODI è quella per cui i problemi politici non nascono da inconciliabili CONFLITTI TRA INTERESSI ECONOMICI E VALORI SOCIALI – che è invece la regola - ma sarebbero la conseguenza di errori amministrativi che lo scientismo certamente eviterebbe. Ma quando il tecnico va al potere, delle due l’una: o perde i suoi connotati di tecnico e si trasforma in politico, con qualche chance di successo oppure resta tecnico e allora la politica si incaricherà di schiaffeggiarlo e sbeffeggiarlo. CIÒ IN QUANTO L’AMMINISTRAZIONE E LA TECNICA POSSONO E DEVONO SEGUIRE LA POLITICA, MAI PRECEDERLA, E MENO CHE MAI SOSTITUIRLA. L’ARTE DELLA POLITICA CONSISTE NEL MOBILITARE IMPEGNI DIFFUSI, ATTORNO A VALORI CONDIVISI, FORGIANDO CONSENSI, COSTRUENDO COALIZIONI TRA GLI INTERESSI: QUESTA È L’ESSENZA DEL SAPERE POLITICO E NON PUÒ ESSERE SURROGATA DAI VALORI TECNICI. IL CHE NON ESCLUDE AFFATTO CHE - PER PRODURRE BUONA AMMINISTRAZIONE – LA POLITICA DEBBA (ANCHE) SERVIRSI DI TECNICI COMPETENTI. [ …60…]. Il sistema politico italiano comprendeva il più forte partito comunista occidentale: perciò è stato condizionato più di qualsiasi altro Stato Occidentale durante la Guerra Fredda ed è quello che paga più duramente i mutamenti avvenuti nella politica mondiale. Quei prezzi salati, costituiti da malgoverno, corruzione, collusioni, eccesso di pressione fiscale, pubblica amministrazione opaca, gerontocrazia èlitaria, ecc. che prima della caduta del Muro erano stati tollerati da vaste aree dell’elettorato sono poi apparsi inaccettabili. L’intero sistema che reggeva quell’argine è crollato. (1) [ …63…]. Quale che sarà la fisionomia del regime che sostituirà il vecchio, disgregato dai nodi venuti al pettine, qualcosa continuerà a mancare: è l’idea dello STATO LAICO. Forse non riusciremo mai a liberarci dalla nostalgia per quella comunità ecclesiale che un tempo ricomprendeva in sé la politica e le imponeva – in modo ferreo – le proprie regole. E’ QUESTO, IN FONDO, IL PROBLEMA ITALIANO, CHE SOPRAVVIVE, SEMPRE UGUALE A SÉ STESSO AI CAMBIAMENTI DI REGIME. IERI HA IMPEDITO IL FORMARSI DELLO STATO LIBERALE, IL NOSTRO CRONICAMENTE INCERTO MODO DI STARE - OGGI QUELLO SOCIALDEMOCRATICO: È COSÌ CHE SI SPIEGA COME DIREBBERO I FILOSOFI - NELLA «MODERNITÀ». (1) Cruda fotografia della situazione precedente Tangentopoli. Ma la ferita si è rimarginata rapidamente e si è ricominciato con altri … meccanismi. L’UE ce lo rinfaccia spesso e Beppe Grillo, esasperato, lo urla dal palco. indice . 29 Giovanni Sartori DEMOCRAZIA. Cosa è - Rizzoli, 1993 [ …Prefazione…]. La teoria della democrazia è una o molteplice? In questo libro sosterrò la tesi unitaria, e cioè che la teoria della democrazia possiede un corpo centrale e che le cosiddette «teorie alternative» della democrazia non sono tali: o sono false (es.: non è mai esistita la democrazia comunista) oppure sono «teorie parziali», sottospecie; e una sottospecie non può fare le veci della specie. La democrazia teorica è quella dei filosofi, stratosferica; quella pratica degli empiristi è rasoterra. Io mi colloco nel mezzo perché ritengo che la teoria stia sopra i fatti, che li debba trascendere e valutare ma ritengo anche che la teoria debba tener conto dei fatti. L’esperienza influenza la teoria … [ …23…]. MAGGIORANZA E RISPETTO DELLE MINORANZE. Se in un regime democratico le minoranze non sono tutelate si realizza la situazione per cui chi passa dall’opinione di maggioranza a quella di minoranza cadrebbe nel novero di coloro che non hanno diritto a far valere la propria opinione. Sarò ancor più drastico: in una simile situazione di non-tutela si perde il diritto a cambiare opinione … Ma è proprio in questo «poter cambiare opinione» che si radica l’esercizio della mia LIBERTÀ, L’ESERCIZIO DUREVOLE DELLA MIA LIBERTÀ. Nelle democrazie, l’opposizione è un organo di sovranità popolare altrettanto vitale del governo. Sopprimere l’opposizione significa sopprimere la sovranità del popolo. [ …72…]. INFORMAZIONE E COMPETENZA. La democrazia postula una pubblica opinione che a sua volta fonda un governo condizionato dal consenso di quella opinione. Ma per essere autentico, il consenso deve fondarsi su opinioni autonome; poi, per essere efficace deve essere espresso da libere elezioni [ …]. MA IL GRANDE PUBBLICO È SUFFICIENTEMENTE FORMATO? LA OPPURE È LARGAMENTE DISINFORMATO? RISPOSTA DI SEMPRE È CHE LA BASE DI INFORMAZIONE DEL GRANDE PUBBLICO È DI UNA POVERTÀ SCORAGGIANTE, SBALORDITIVA. Che questo sia il punto debole e dolente di tutto l’edificio democratico – perché ne sta alla base – è raramente esplicitato ma tacitamente ammesso. Tutti concordano sulla necessità di rimediare ma per trovare una terapia occorre prima formulare una diagnosi che venga condivisa. Bisogna capire la natura del problema e poi prenderne atto … COME SPIEGARE IL DISINTERESSE E - DICIAMOLO PURE - L’ALTO GRADO DI IGNORANZA DEL CITTADINO MEDIO? La domanda è vecchia di un secolo, da un secolo si propongono rimedi e ormai non è più lecito far finta di non sapere. I processi informativi vengono messi sotto accusa per tre aspetti: Insufficienza quantitativa Tendenziosità Povertà qualitativa La prima accusa potrebbe essere rovesciata: semmai siamo inondati da troppa informazione. La seconda accusa è fondata ma viene sollevata da parti opposte, per motivi opposti. E non di rado una tendenziosità di un certo segno viene fronteggiata con una tendenziosità di segno contrario. LA TERZA ACCUSA È LA PIÙ SERIA E IL PEGGIO È CHE LA TELEVISIONE LA STA AGGRAVANDO. Innanzitutto bisogna stabilire se i mali sopra lamentati sarebbero ovviati da un più elevato e diffuso livello di educazione. LA MIA TESI È CHE È L’EDUCAZIONE CHE PRODUCE UN CITTADINO PIÙ INFORMATO e più interessato: siccome l’educazione dà anche informazione, che il cittadino più istruito sia al tempo stesso anche più informato è una tautologia; ma non è detto che una crescita generale dei livelli di istruzione si rifletta in un AUMENTO SPECIFICO DI COMUNITÀ INFORMATE SULLE COSE PUBBLICHE. In primo luogo, anche l’informazione è un «costo»: chi vuole informarsi bene in un settore lo fa a scapito di altri. Ma il costo dell’informarsi diventa redditizio – ci si accorge che soddisfa – soltanto dopo che l’informazione immagazzinata raggiunge una determinata SOGLIA. Per godere della musica bisogna sapere di musica ed essersi applicato per capirla. In politica, chi ha superato LA SOGLIA capisce al volo le notizie del giorno ma chi è al di sotto, magari si sforza, ma non afferra, e dopo un po’ si annoia a morte. Finora non ho distinto tra EDUCAZIONE COME INFORMAZIONE ed EDUCAZIONE COME COMPETENZA. Eppure la differenza è grossa: che io sia informato di astronomia non fa di me un astronomo; che io sia informato di economia non mi rende un economista, e così via. Alla stessa stregua «politicamente educato» significa informato di politica oppure anche anche competente di politica? Secondo Schumpeter (“Capitalismo, socialismo e democrazia”, 1947) “… il cittadino tipico precipita a un livello più basso di resa mentale non appena entra nel campo politico. Ragiona e conduce analisi che egli stesso definirebbe infantili se applicate alla sua sfera di conoscenza. Diventa un primitivo …” 30 Esagera, Schumpeter? Forse, ma non tanto. Tutti abbiamo sperimentato il disagio di cimentarci fuori dal solito nostro terreno. Un chimico che discute di filosofia, un sociologo che discuta di musica, un medico che discuta di matematica non è detto dicano meno sciocchezze dell’uomo comune. La presunzione che la “grande mente in qualcosa” sia tale anche altrove è del tutto infondata. Dunque, L’ELETTORE NON PUÒ CHE ESSERE UN GRANDE SEMPLIFICATORE. Ma allora qual è la razionalità che gli viene attribuita, o richiesta? Non certo la capacità di stabilire la correlazione corretta tra fini e mezzi: non basta essere informati, ci vuole anche autentica competenza e provata esperienza in quel certo settore. L’elettore decide «CHI farà, nell’ambito delle opinioni che lo condizionano». In questo contesto, l’autonomia dell’opinione è quanto basta. [ …76…]. [ …97…]. Nel 1801 Jefferson, presidente USA, dichiarava che “… anche se la volontà della maggioranza deve in ogni caso prevalere, QUELLA VOLONTÀ, PER ESSERE GIUSTA, DEVE ESSERE RAGIONEVOLE”. Dunque, la questione “Qual è il maggior diritto del maggior numero?” è un problema di ragionevolezza ma c’è, a monte, molto di più, c’è la nozione di melior pars, senior pars, valentior pars. E la sostanza è questa: il mondo feudale e nobiliare, perpetuato per diritto divino venne travolto perché si voleva un mondo dove la regola fosse non più il privilegio ma il diritto dei migliori. NON La PIÙ L’ARISTOCRAZIA DEL SANGUE BLU MA L’ARISTOCRAZIA DEI PRESCELTI DEMOCRAZIA trova alimento in questa rivendicazione: SOSTITUIRE ALL’INGIUSTO DOMINIO DEI «NON ELETTI» -CHE SI TRAMANDAVANO RICCHEZZE E POTERI – IL COMANDO A COLORO CHE VENIVANO RICONOSCIUTI COME I MIGLIORI. [ …99…]. I redditi individuali sono diseguali dappertutto ma lo sono assai meno in Svezia, e in molte nazioni europee, rispetto all’Arabia Saudita o al Brasile. DOVE L’EGUAGLIANZA È MAGGIORE NON È PER CASO: è la conseguenza di credenze di valore che vengono promosse, ribadite, discusse e alla fine diffusamente rafforzate. […]. Negli ultimi decenni il CORO DEI VALORI è stato vivacissimo: ma come mai è rimasto afono in materia di melior pars? I sistemi elettorali tendono a privilegiare il proporzionale (l’esatta proporzione tra voti e seggi). Ma in questo modo si perde di vista che LE VOTAZIONI DOVREBBERO ESSERE ANCHE UNA SELEZIONE perché sia più realisticamente possibile costituire un buon governo, cioè – tentativamente – la melior pars, la parte più valente. Il sistema elettorale che più conviene alla democrazia, dunque, è quello che meglio predispone la scelta qualitativa degli eletti perché saranno loro a cimentarsi con i problemi. [ …114…]. La LIBERTÀ POLITICA può essere concepita come il valore che struttura la democrazia verticale. Il guaio – anche il bello, beninteso – è che la libertà politica è diventata un ideale realizzato mentre l’altro valore della democrazia – L’EGUAGLIANZA – resta in larga parte un ideale da realizzare. Man mano che la democrazia rappresentativa ha incorporato la libertà nelle proprie strutture rappresentative, di pari passo quella libertà ormai scontata e data per acquisita ha perduto la sua caratura di «VALORE». Mentre il valore che acquista «VALORE» è l’eguaglianza. Il principio di «UGUAGLIANZA DI OPPORTUNITÀ» offre a tutti uguali occasioni di salire. E’ un principio di valore perché sostituisce la promozione per merito al trovarsi altolocato senza merito, per diritto di nascita o consimile fortuna: IN SUA ASSENZA VINCE IL PRIVILEGIO, uno stato di fatto, privo di merito individuale. E’ una sciocchezza, allora, denunciare la meritocrazia come diseguaglianza. La diseguaglianza sta nella immeritocrazia, nell’attribuire uguali capacità e talenti a chi non li ha … [ …178…]. EGUAGLIANZA O EGUAGLIANZE? Al singolare, l’eguaglianza è una idea-protesta: il mondo così come sta andando è diseguale e si struttura naturalmente in disuguaglianze. L’idea-protesta combatte questo andamento inerziale: è il simbolo contro le cristallizzazioni gerarchiche, i dislivelli fortuiti, le fortune/sfortune di nascita. Scriveva Rousseau: “E’ proprio perché la forza delle cose tende sempre a distruggere l’eguaglianza che al forza della legislazione deve sempre tendere a mantenerla.” (Contratto Sociale, II, 11) (1) Quando, allora, l’eguaglianza diventa man mano problematica? Quando diventa incerto se una eguaglianza è anche libertà. E ancor di più quando è sicuro che una eguaglianza elimina la libertà. (2) [ …206…]. Nella impostazione di Tocqueville il liberalismo da solo si riconosce nel principio della libertà; la democrazia, da sola, si riconosce nel principio dell’eguaglianza. LA LIBERALDEMOCRAZIA MIRA A CONCILIARE LA LIBERTÀ CON L’EGUAGLIANZA. DILEMMA – TREMENDO - SE QUESTA CONCILIAZIONE FALLISCE ARRIVIAMO AL DI DOVER SCEGLIERE TRA LIBERTÀ O EGUAGLIANZA. (1) Questi valori stanno molto a cuore – tra gli altri - a Ralf Dahrendorf. (2) Tutto il capitolo X° è una straordinariamente dotta trattazione del tema: EGUAGLIANZA. indice 31 Robert A. DAHL SULLA DEMOCRAZIA - Laterza, 2002 (1998) [… p. 39 …]. Tutti noi abbiamo degli scopi che non possiamo realizzare da soli. Dobbiamo cooperare con altri individui che li condividono […]. Volendo fondare un’associazione ci si imbatte nel problema quali regole comuni, condivise, si debbano adottare. Quante varianti di democrazia esistono? Alcune sono più democratiche di altre? CRITERI PER LA DEMOCRAZIA 1. PARTECIPAZIONE EFFETTIVA Prima che una strategia venga adottata dall’associazione, TUTTI I MEMBRI devono avere pari opportunità per comunicare ad altri le loro opinioni in merito. 2. PARITA’ DI VOTO Al momento di prendere importanti decisioni, ogni membro deve avere un’opportunità di voto effettiva, uguale ad altri: tutti i voti devono essere considerati pari. 3. DIRITTO ALL’ INFORMAZIONE Entro ragionevoli limiti di tempo, ciascun membro deve avere pari opportunità di conoscere le principali alternative strategiche e le relative conseguenze. 4. CONTROLLO DELL’ ORDINE DEL GIORNO 5. UNIVERSALITA’ DEL SUFFRAGIO Tutti i membri devono poter discutere le priorità, e poter candidare argomenti, in relazione all’ordine del giorno. Le stesse strategie devono poter essere ridiscusse (se necessario, con votazione). La totalità – o la maggior parte – delle persone residenti (aventi titolo) deve poter fruire dei primi quattro criteri. Si tratta della base per la reale condizione di UGUAGLIANZA. Ma è realistico pensare che un’associazione funzioni effettivamente così? Soprattutto i punti 3 e 4 sono quelli più a rischio: tuttavia, nel complesso si tratta di un modello solido e verificato per esercitare la DEMOCRAZIA PARTECIPATA. Paragonata ad un qualsiasi altro sistema, la democrazia vanta ALMENO DIECI VANTAGGI: 1) 2) 3) 4) La democrazia allontana il rischio di governi autocratici, crudeli, iniqui La democrazia garantisce ai cittadini i diritti fondamentali che altri sistemi non possono garantire La democrazia garantisce la libertà personale, più vasta che in altri sistemi di governo La democrazia coadiuva il cittadino nella tutela dei suoi interessi personali 5) Il governo democratico garantisce l’opportunità dell’autodeterminazione (leggi scelte dai cittadini stessi) 6) Il governo democratico garantisce l’esercizio della responsabilità morale 7) La democrazia favorisce il progresso umano più di altri sistemi di governo 8) Soltanto il governo democratico favorisce un grado relativamente alto di uguaglianza politica 9) Le democrazie rappresentative moderne non si fanno guerre tra di loro 10) Le nazioni democratiche tendono ad essere economicamente più floride rispetto ad altri sistemi. [… p. 68 …]. Negli USA del 1776, con la Dichiarazione d’Indipendenza, si aprì un capitolo fondamentale per la democrazia. Nei nuovi stati indipendenti, tuttavia, la schiacciante maggioranza delle persone era esclusa dai diritti fondamentali. Allora, e per molto tempo, le donne, gli schiavi, i neri liberati, i nativi americani, furono privati dei diritti più elementari di cittadinanza. Del resto lo stesso Thomas Jefferson, artefice della Dichiarazione, era proprietario di schiavi. Gli schiavi erano proprietà inalienabile e le stesse mogli erano proprietà dei mariti. Per tutto l’800 il diritto di voto fu riservato ai proprietari; dal 1776 sono cambiate molte cose ma basta guardarci attorno per rilevare disuguaglianze, ovunque. Spesso quantomeno imbarazzanti. LA DISUGUAGLIANZA SEMBRA ESSERE LA CONDIZIONE NATURALE DELL’UOMO. [… p. 70 …]. Quando parliamo di EGUAGLIANZA, quasi sempre, vogliamo esprimere un giudizio morale sugli esseri umani: vogliamo dire ciò che dovrebbe essere. Ciò che sarebbe giusto fosse. STIAMO MISURA PENSANDO CHE DOVREMMO TRATTARE TUTTE LE PERSONE COME SE AVESSERO DIRITTO A PRETENDERE – LA VITA, LA LIBERTÀ , LA FELICITÀ, E GLI ALTRI BENI D’INTERESSE GENERALE. STIAMO – IN EGUAL PARLANDO DEL PRINCIPIO DI INTRINSECA EGUAGLIANZA. 32 Al di là dei comandamenti religiosi, si tratta di principi eticamente indiscutibili, che tendono alla coesione sociale. Ma nel corso della storia individui o gruppi hanno abusato del loro potere, calpestando questi principi, affermando una PRETESTUOSA SUPERIORITÀ INTRINSECA, ricorrendo ai miti, alle religioni, alle ideologie, al sangue blu della nobiltà, alle più svariate circostanze. DUNQUE L’UGUAGLIANZA INTRINSECA RISPONDE ALL’ETICA, ALLA PRUDENZA, AL CONSENSO SOCIALE. Se non hai voce, chi prenderà la parola per te? Come ci si sente a far parte di un gruppo che non è politicamente rappresentato ? Nel 1861, J.S. Mill affermava che – poiché alle classi lavoratrici era negato il suffragio – nessun membro del governo parlava in nome dei loro interessi. E si chiedeva: [… p. 82 …]. L’EGUAGLIANZA “IL PARLAMENTO, IMPLICA INCLUSIONE. O QUALCUNO DEI SUOI COMPONENTI, GUARDA MAI A UNA QUALCHE QUESTIONE CON GLI OCCHI DI UN LAVORATORE?” Ma la questione, in quel tempo, si estendeva agli schiavi, alle donne, ai neri importati dal Sudafrica … IL CORPO DEI CITTADINI IN UNO STATO DEMOCRATICO DEVE INCLUDERE TUTTI COLORO CHE SONO SOGGETTI ALLE LEGGI DELLO STATO, ECCETTUATI COLORO CHE SONO DI PASSAGGIO O SONO INCAPACI DI BADARE A SÉ STESSI . [… p.120 …]. IL LATO OSCURO DELLA DEMOCRAZIA. A parte i vantaggi, il governo rappresentativo ha un lato oscuro: la maggior parte dei cittadini dei paesi democratici se ne rende conto ma lo accetta come un prezzo inevitabile da pagare. Si tratta di questo: i cittadini delegano un’enorme autorità discrezionale in merito a decisioni di straordinaria importanza. Non soltanto ai rappresentanti eletti in Parlamento ma – attraverso ulteriori meccanismi di delega – agli amministratori locali, ai burocrati, ai magistrati, persino a organismi internazionali. LE ÈLITE POLITICHE E BUROCRATICHE SCAMBIANO TRANSAZIONI DECISIONALI. In linea di principio le élite si accordano entro certi limiti istituzionali, democratici: ma il popolo è lontano, gli organi d’informazione risultano incompleti, talora parziali, a volte tendenziosi. Certamente non mancano i momenti di contatto tra eletti ed elettori ma le élite sono potenti, sanno di esserlo, assai più potenti del normale cittadino. (1) [… p.123 …]. L’UE ne è una dimostrazione eloquente: le sue strutture sono formalmente democratiche ma non a caso si parla di gigantesco deficit democratico. Le decisioni cruciali vengono prese in accordi, spesso complicati, tra élite: d’altro canto considerate le tremende complessità della globalizzazione si tratta di una sorta di strada obbligata, data l’analisi delle conseguenze per i mercati nazionali e internazionali. Insomma: I RISULTATI DIPENDONO DALLE TRANSAZIONI, DALLE GERARCHIE, DAI MERCATI, DAI RAPPORTI DI FORZA. IN QUESTO SCENARIO I PROCESSI DEMOCRATICI RIVESTONO UN RUOLO MINIMO … sono legati da un matrimonio tempestoso, lacerato da frequenti conflitti. Però è un matrimonio che resiste: nessuno dei due vuole separarsi dall’altro. Ricorrendo al regno vegetale si potrebbe parlare di SIMBIOSI ANTAGONISTA. [… p.176 …]. L’esperienza storica dimostra in modo praticamente inequivocabile che un sistema in cui innumerevoli decisioni economiche vengono prese da innumerevoli agenti indipendenti e in competizione tra loro, ciascuno spinto dai suoi interessi e guidato dalle informazioni fornite dal mercato, produce beni e servizi in modo più efficiente di qualsiasi altro scenario sperimentato. E poiché il mercato fornisce ai proprietari, ai manager, ai lavoratori (e così via) la gran parte delle informazioni essenziali, essi possono prendere decisioni senza far capo a nessuna direzione statale centrale … Il capitalismo favorisce la democrazia anche in virtù delle sue conseguenze sociali e politiche; crea un vasto ceto medio di proprietari interessati all’istruzione, all’autonomia, alle libertà personali, alla legislazione. Aristotele per primo osservò che le classi medie sono le naturali alleate delle idee e delle istituzioni democratiche. [… p.180 …]. A proposito del mito USA descritto da Tocqueville è importante ricordare che nel 1860 gli USA contavano soltanto 30 milioni di abitanti. Otto americani su dieci vivevano in aree rurali: il paese descritto da Toqueville era agrario, non industriale: le imprese economiche erano fattorie nella maggior parte, gestite dai proprietari e dai loro familiari. Il punto chiave è che l’economia era molto decentrata, molto più di quanto la successiva industrializzazione avrebbe realizzato. I leader politici avevano uno scarso accesso alle risorse ed esisteva una classe media di liberi agricoltori–imprenditori: tutto ciò favoriva una forte democratizzazione, di tipo federale, la struttura che oggi ben conosciamo. In generale LE ORIGINI PRE-INDUSTRIALI pesano molto sugli assetti costituzionali e gli USA hanno avuto la fortuna di essere nati e cresciuti secondo una VISIONE UGUALITARIA: STESSI VALORI E REGOLE. [… p. 174 …]. CAPITALISMO E DEMOCRAZIA. DEMOCRAZIA E CAPITALISMO (1) Di solito, il cittadino teme di non essere abbastanza competente per confrontarsi con l’uomo politico. 33 Se esaminiamo attentamente IL CAPITALISMO rispetto ai valori democratici scopriamo che esso ha DUE FACCE che , COME GIANO, guardano verso direzioni opposte. La faccia amichevole guarda alla democrazia, quella ostile le dà le spalle. Verso il 1840 era pienamente attiva, in Gran Bretagna, un’economia di mercato con validi meccanismi di autoregolazione: dell’occupazione, delle terre, del denaro. Il capitalismo aveva trionfato come dottrina, su tutti i fronti: teoria e pratica economica, politica, leggi, idee, filosofia, movimenti di pensiero. Gli oppositori boccheggiavano, sbaragliati. Ma col passare del tempo emergevano gli squilibri sociali: i vantaggi del sistema si andavano via via concentrando su alcuni soggetti ma molti, i più, venivano danneggiati. Più volte, 1867 e 1884, fu allargata la base del suffragio; cominciò così il meccanismo per cui i governati potevano appellarsi ai leader parlamentari. Gli oppositori dell’economia del laissez-faire poterono contare su politici, movimenti, partiti, giornali, libri ma soprattutto: il voto. E il Labour Party, appena formatosi, si concentrò sulla lotta per migliorare le condizioni delle classi lavoratrici. Nell’Europa occidentale avvenne la stessa cosa: ovunque i governi fossero influenzati dallo scontento popolare, il liberismo divenne insostenibile. In un paese democratico il capitalismo senza intervento dello stato era inaccettabile, per due ragioni: [… p. 182 …]. DOVE IL CAPITALISMO NUOCE ALLA DEMOCRAZIA. L’economia di mercato non può auto-regolamentarsi: la concorrenza, i diritti di proprietà, la regolamentazione dei contratti e quant’altro dipendono da leggi, decreti, ordinamenti Senza regole si creano inevitabili soprusi e allora i cittadini si mobilitano per chiedere l’intervento del governo. Senza regole e deterrenti scatta la solita giustificazione egoistica: “Se non lo faccio io lo farà qualcun altro …” e simili [… p. 190 …] LE SFIDE DEL TERZO MILLENNIO. La natura e la qualità della democrazia nei difficili anni che aprono il terzo millennio dipendono dalla capacità di leader e cittadini ad affrontare le sfide. SFIDA N. 1 - L’ORDINE ECONOMICO Per quanti difetti possa avere, non si è trovato nulla di meglio del capitalismo. Ma il governo interno delle aziende capitalistiche è, di norma, non democratico; anzi non sono rari i casi di dispotismo manageriale. Le proprietà aziendali, i profitti, le retribuzioni seguono criteri di ripartizione iniqui. E la correttezza fiscale, è spesso un problema, più o meno acuto. Nonostante questi limiti, alternative no ce ne sono: laburisti, socialisti, socialdemocratici, hanno definitivamente archiviato la nazionalizzazione delle imprese. (1) Progressivamente, negli anni ’90, le nazioni occidentali hanno attuato estese privatizzazioni delle aziende statali, non soltanto spinti da motivi di bilancio. L’ultimo esempio di resistenza, l’ex Jugoslavia di Tito, ha avuto come esito un disastro immane. Vi sono ottimi esempi di aziende cooperative: ama nessun governo si sogna, neanche lontanamente, di prefigurare un ordine economico dove prevalgano imprese rette da dipendenti-proprietari. E ALLORA? SFIDA N. BISOGNERÀ CONVIVERE CON LE TENSIONI DEMOCRAZIA MERCATO. (2) 2 - GLOBALIZZAZIONE Nessuno si sogna di negare che la globalizzazione espande la portata delle decisioni prese dalle élite politiche e burocratiche a spese della possibilità di controllo democratico. (3) LA SFIDA POSTA DALLA GLOBALIZZAZIONE IMPONE CHE LA SALVAGUARDIA DELLA DEMOCRAZIA AVVENGA SPOSTANDO CERTE DECISIONI A LIVELLO INTERNAZIONALE, RAFFORZANDO GLI STRUMENTI CHE COSTRINGONO LE ÉLITE AD ASSUMERE SERIE DECISIONI, E MANTENERLE EFFICACEMENTE. SFIDA N. 3– (4) DIVERSITA’ CULTURALE La crescita e il consolidamento della democrazia sono fondate su un livello medio di omogeneità culturale. Ma durante il XX° secolo sono emersi i movimenti per il riscatto dei neri, e quello delle donne, e quello per la salvaguardia delle minoranze, … Ci sono state migrazioni, interne ai paesi, e poi dall’estero. E questo vale per tutto l’Occidente … E’ fuori discussione che il mix-culturale “apre la mente” ad una continua rivalutazione / riesame della propria cultura. Ma per crederci bisogna essere DAVVERO DEMOCRATICI. (1) (2) (3) (4) L’area socialista è in difficoltà a livello europeo. E il termine comunista, ormai, è diventato ... imbarazzante. La materia viene esaminata con grande competenza da A. Giddens in “L’Europa nell’età globale”, Laterza, 2007. Un testo di grande pregio su questo tema è: A. Baldassarre “Globalizzazione contro democrazia”, Laterza, 2002. Su questa materia difficile si cimenta J. Stiglitz: “La globalizzazione che funziona”, 2006, Einaudi. 34 Ma è anche vero che sussiste una grave ipocrisia: MOLTI DATORI DI LAVORO SONO COSTRETTI AD AVVALERSI DI IMMIGRATI, PIÙ O MENO REGOLARI, PERCHÉ I CITTADINI LOCALI NON ACCETTANO PIÙ DI FARE CERTI LAVORI, A CERTE PAGHE, E ORMAI CIRCOLA LA RASSEGNAZIONE CIRCA LA POSSIBILITÀ DI FRENARE GLI INGRESSI CLANDESTINI, DAL MEDITERRANEO E DALL’EST EUROPEO. TUTTAVIA, PRIMA CHE IL LIVELLO DI TENSIONE NELLE CITTÀ SUPERI CERTE SOGLIE, LA DEMOCRAZIA NEL TEMPO DELLA GLOBALIZZAZIONE DOVRÀ TROVARE SOLUZIONI EFFICACI, IN EQUILIBRIO TRA DIRITTI SFIDA N. E DOVERI. 4 – L’EDUCAZIONE DEI CITTADINI Si è detto che uno dei criteri fondamentali per il processo democratico è la presenza di una OPINIONE PUBBLICA BEN INFORMATA Obiettivo: Essere consapevoli delle alternative politiche e delle relative conseguenze. Le principali decisioni politiche vengono prese un po’ alla volta, non certo con un salto nel vuoto. E’ giusto così: del resto gli stessi leader politici - e anche i cosiddetti esperti - imparano dall’esperienza. Il processo democratico, per essere davvero tale, è un processo dinamico, incessante, che sa darsi il tempo per riflettere e il tempo per decidere. A volte è un processo che sembra fastidiosamente lungo ma altre volte, guardandoci indietro nel tempo, scopriamo di aver fatto un bel po’ di strada … Non bisognerebbe mai dimenticare che i cambiamenti vissuti in sincronismo col tempo, con la cultura che evolve, sono quelli che segnano l’evoluzione culturale e l’identità delle nazioni. LA COMUNICAZIONE DI MASSA Nel corso del XX° secolo l’infrastruttura tecnica e la struttura sociale delle comunicazioni, nei paesi avanzati, ha registrato trasformazioni straordinarie: telefono, radio, televisione, fax, TV interattiva, internet, blog, focus group, … Grazie ai costi contenuti, il contenuto delle comunicazioni e la quantità di notizie disponibili è decisamente enorme, a rischio di overflow. Districarsi richiede competenze, sottoponendo i cittadini a pressioni e disorientamento. Dunque, un’esigenza inderogabile, nei paesi democratici, è quella di migliorare la capacità dei cittadini di impegnarsi nella vita politica in modo intelligente, razionale, equilibrato. […] … RIUSCIRANNO I PAESI DEMOCRATICI, VECCHI E NUOVI, E QUELLI IN VIA DI TRANSIZIONE, A USCIRE VITTORIOSI DAL CIMENTO CON QUESTE SFIDE? SE DOVESSERO FALLIRE, IL SOLCO TRA IDEALI DEMOCRATICI E DEMOCRAZIA REALE, GIÀ PROFONDO, SI ALLARGHERÀ. DUNQUE, RISCHIAMO UN’EPOCA DI DECADENZA, DI DECLINO DELLA DEMOCRAZIA. Nel corso del XX° secolo varie democrazie hanno vacillato: la stessa Italia, negli anni di piombo, nella bufera di Tangentopoli, per fare soltanto due esempi. Ma, almeno in Occidente, questi paesi hanno sempre tenuto. I pessimisti e i demagoghi populisti (1) devono essere ricacciati, contrapponendo alle loro infide serenate quelle soluzioni, pragmatiche, che la vera democrazia riesce sempre a trovare. (1) Il Grillo Parlante del III° millennio ha molti motivi validi per strepitare. Ma perché si è arrivati a questo punto? Finchè la gestione dello Stato non vedrà una giusta trasparenza, resa disponibile all’esame del cittadino competente, saranno sempre possibili – e motivate - le stagioni della cosiddetta ANTIPOLITICA. indice 35