Appunti di Geometria classica A.A. 2005-2006
Capitolo III – Analisi del contenuto dei Libri degli Elementi.
Carlo Marchini
Lezione 7 del 27 marzo 2006
III.3. Il Libro III.
Con il Libro III degli Elementi cambia il ‘protagonista’ geometrico: non più poligono, ma cerchio e
circonferenza. Si tratta però di un libro ancora connesso ai primi due, perché anche in questo
Euclide dimostra proprietà che sarebbe più semplice ricavare con la teoria della proporzioni,
evitando sia le grandezze che le proporzioni. Questi risultati saranno poi il punto di partenza per
ricondurre, nel Libro IV proprietà di proporzionalità ai poligoni regolari.
III.3.1 Le definizioni. Si noti che cerchio, circonferenza, diametro e raggio sono già stati definiti nel
Libro I (Deff. I.15 – I.18), tuttavia la ‘anatomia’ del cerchio e della circonferenza richiede ancora
undici definizioni, con cui si apre il Libro III.
«Definizione III.1. Sono uguali i cerchi i cui diametri sono uguali, o di cui sono uguali i raggi.
Definizione III.2. Si dice che è tangente ad un cerchio una retta, la quale raggiunge il cerchio e, prolungata, non
la taglia.
Definizione III.3. Si dicono tangenti fra loro i cerchi i quali si raggiungono e non si tagliano scambievolmente.
Definizione III.4. Si dice che in un cerchio linee diritte distano ugualmente dal centro, quando le perpendicolari
condotte ad esse dal centro sono uguali.
Definizione III.5. E si dice che dista maggiormente dal centro quella su cui cade la perpendicolare maggiore.
Definizione III.6. Segmento di un cerchio è la figura compresa da una retta e da un arco della circonferenza del
cerchio.
Definizione III.7. Ed angolo di un segmento è l’angolo compreso da una retta e da un arco della circonferenza
del cerchio.
Definizione III.8. E quando sull’arco di un segmento [circolare] si prenda un punto e si traccino da esso le
congiungenti alle estremità della retta che è base del segmento, l’angolo che è compreso dalle rette congiungenti
è un angolo [che si dice iscritto] in un segmento circolare.
Definizione III.9. E quando le rette che comprendono un angolo vengono a tagliare un arco, si dice che l’angolo
insiste su quello.
Definizione III.10. E quando [con vertice] nel centro del cerchio si costruisca un angolo, la figura che è
compresa dai lati dell’angolo e dall’arco da essi tagliato è [detto] settore di un cerchio.
Definizione III.11. Segmenti simili di cerchi sono quelli che contengono angoli uguali, ossia quelli i cui angoli
sono fra loro uguali. »
Alcuni commenti.
La Def. III.1 difficilmente potrebbe oggi essere pensata una definizione e non una proprietà o
Teorema. Infatti Proclo attribuisce a Talete il risultato che i cerchi aventi raggi uguali sono uguali.
Ma alla nozione intuitiva di uguaglianza si oppone quella definita nel Libro I. Si potrebbe ottenere
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l’eguaglianza dei cerchi mediante sovrapposizione, ma per fare questo, come si è osservato, Euclide
è un poco restio. Resta solo la strada definitoria: si definisce l’eguaglianza di due cerchi come la
proprietà desunta dalla congruenza di segmenti. Ma quando si tratterà dell’eguaglianza di segmenti
circolari, Prop. III. 24, Euclide sarà costretto ad utilizzare il movimento.
La parola diametro usata nella Definizione III.1 ha in sé il prefisso
che significa attraverso,
essendo la ‘retta’ che attraversa il centro, ma significa anche che separa, in due parti eguali, come
specifica la
«Definizione I.17. Diametro del cerchio è una retta condotta per il centro e terminata da ambedue le parti della
circonferenza del cerchio, la quale retta taglia anche il cerchio per metà. »
D’altra parte il termine che noi indichiamo con la parola diagonale, in greco è ancora diametro.
Il testo greco non ha una parola per ‘raggio’ ma usa una perifrasi: [che parte] dal centro,
sottintendendo la parola linea.
La Def. III.2 introduce la nozione di retta tangente e la Definizione successiva parla di
circonferenze tangenti, usando lo stesso schema: raggiungere ma non attraversare. Questa nozione è
stata criticata in tempi moderni perché sembra sottintendere postulati di continuità ed ordine,
accettando per scontato che se una retta (opportunamente prolungata) ‘entra’ taglia una
circonferenza entrando nel cerchio, da qualche parte deve uscire. Di fatto si tratta di una definizione
data al negativo, sappiamo cosa non fa una tangente. Ma da questa nozione traspare anche cosa fa
una secante.
La maggiore differenza tra il caso della tangenza retta-circonferenza e circonferenza-circonferenza
è che nel secondo caso bisognerebbe distinguere tra tangenza interna e tangenza esterna. Si noti
però che nel caso di circonferenze tangenti internamente la più piccola divide la più grande in due
parti, ma non avviene che la più grande divida la più piccola: questo spiega l’avverbio
«scambievolmente» usato nella definizione, dal che si comprende che viene considerato anche il caso
della tangenza interna.
Il problema, già osservato anche a commento di alcune Proposizioni del Libro I, e qui
maggiormente rilevante, del fatto che esistano i punti di intersezione di rette e circonferenze e di
circonferenze tra loro è stato puntualizzato da diversi studiosi, tanto che si parla di un sesto
Postulato di Euclide. La certezza dell’esistenza di tali punti di intersezione proviene dall’ovvietà
suggerita dal disegno, ma se si utilizzano gli strumenti “astratti” della riga e compasso, quelli che
non servono per tracciare righe né disegnare le circonferenze, l’esistenza dei punti di intersezione
non appare assodata a priori.
Nella Def. III.6 si introduce la nozione di arco, termine che non traduce letteralmente quanto detto
da Euclide che letteralmente dice “da una retta e da una circonferenza di cerchio”, mentre il termine
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arco è di origine araba, assieme a corda.
Il confronto tra le Deff III.7 e III.8 mette in mostra che nella prima si parla di angolo del segmento
(
), nella seconda di angolo nel segmento (
): il primo è l’angolo non rettilineo, di
cui si è detto in precedenza, l’altro è l’angolo inscritto nel segmento, angolo rettilineo.
La Def. III.11 introduce il concetto di similitudine,
, relativamente a segmenti circolari, ma il
concetto generale di similitudine di figure sarà sfruttato in libri successivi.
III.3.2. I collegamenti con i Libri precedenti e successivi. Il Libro III si può dire che sia una
continuazione diretta del Libro I. Infatti scorrendo le 37 Proposizioni che vi sono presentate, le
prime 34 usano solo Proposizioni del Libro I (meno frequentemente) del Libro III. La Prop. III.35
utilizza anche la Prop. II.5 e la Prop. III.36 usa la Prop. II.6, che a loro volta dipendono
esclusivamente da Proposizioni del Libro I.
Si rivela in questo modo che sarebbe stata possibile un’altra organizzazione del testo, includente le
Prop. II.5 e II.6 in un Libro I ‘maggiorato’ per saltare a piedi pari il Libro II ed approdare
direttamente al Libro III.
Analizzando il Libro IV si vedrà che esso è una sorta di breve (16 Proposizioni soltanto) appendice
del Libro III, come fosse una raccolta di problemi risolubili con i metodi e i risultati presentati nel
Libro precedente. Quindi un primo blocco degli Elementi è costituito dai primi quattro libri che
presentano la Geometria piana indipendentemente da grandezze e proporzioni, che entrano in scena
col Libro V. Questo, a sua volta, ha un aspetto meramente teorico, perché non utilizza alcun
risultato ottenuto nei quattro Libri precedenti.
A questo seguono i tre libri aritmetici e lo sterminato Libro X che tratta delle irrazionalità
quadratiche. Dunque si costituisce così un secondo gruppo di Libri che sono dedicati ai ‘numeri’
così come se ne poteva parlare nella cultura greca del tempo. Il Libro V tratta delle grandezze,
senza distinguere se tra loro costituiscono coppie commensurabili o no; i successivi tre sono
dedicati alle coppie di grandezze commensurabili e il Libro X, che si potrebbe pensare composto da
tre libri dato che in esso le definizioni vengono introdotte in tre momenti diversi, è dedicato alle
coppie di grandezze incommensurabili.
Infine gli ultimi tre libri riprendono a parlare di Geometria solida (Libri XI e XIII) e di Geometria
sia piana che solida con metodi che utilizzano talora la presenza dell’infinito.
In particolare il Libro XIII è dedicato alla costruzione dei poliedri regolari, i cosiddetti solidi
platonici, visti come una sorta di coronamento dell’indagine geometrica del tempo.
III.3.3. Analisi di alcune Proposizioni del Libro III. Vediamo alcune Proposizioni, quelle che
potrebbero essere ritenute più significative.
«Proposizione III.1. Trovare il centro di un cerchio dato.
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Dimostrazione. Sia ABC il cerchio dato: si deve dunque trovare il centro del cerchio ABC.
Si tracci in esso a caso una retta AB e la si divida per metà nel punto D (Prop. I.10), da D si innalzi DC
perpendicolare ad AB (Prop. I.11), si prolunghi CD oltre D sino ad E, e si divida CE per metà in F (Prop. I.10);
dico che F è il centro del cerchio ABC.
E
Infatti, supponiamo che non lo sia, ma, se possibile, sia esso G, e si traccino le
B
congiungenti GA, GD, GB. Ora, poiché AD è uguale a DB, e DG è comune, i due
F
D
lati AD, DG sono uguali, rispettivamente ai due lati BD, DG; e la base GA è
uguale alla base GB – difatti sono raggi -; quindi l’angolo ADG è uguale
G
A
C
all’angolo GDB (Prop. I.8). Ma quando una retta innalzata su un’altra retta forma
gli angoli adiacenti uguali fra loro, ciascuno dei due angoli è retto (Def. I.10), per cui l’angolo GDB è retto. Ma
pure l’angolo FDB è retto, perciò FDB è in tal caso uguale a GDB (Post. 4), l’angolo maggiore uguale al minore:
il che è impossibile (Noz. com. 8). Non è quindi G il centro del cerchio ABC. Similmente potremo dimostrare
che nessun altro punto lo è, eccetto F.
Dunque F è il centro del cerchio ABC. »
Il punto debole di questa dimostrazione, e di molte altre presenti in Euclide, è di usare punti per
descrivere un ente geometrico, nel caso la circonferenza, mediante punti che devono ancora essere
individuati. Intanto la sua costruzione non prevede che G sia generico e la sua conclusione sugli
angoli è basata sul disegno. Si potrebbe però concludere perché essendo gli angoli coinvolti retti DF
e DG sono ‘per diritto’, per la Prop. I.14, quindi G o
coincide con F o è diverso, ma in tale caso GC è diverso
da GE. Il che è impossibile.
C
Si osservi che per assegnare una circonferenza, mediante
N
il compasso, bisogna assegnare il centro e poi un suo
F
γ
M
B
punto. Quindi, come osserva anche Zeuthen, non si può
concepire un cerchio senza specificarne il centro ed un
A
punto, per avere un esempio del raggio. Questo non può
essere fatto nel caso in esame.
Si noti inoltre che la dimostrazione prova un asserto non esplicitato nell’enunciato della Prop. III.1,
vale a dire che il centro della circonferenza è unico, provando per assurdo che ogni altro punto del
cerchio non può essere il centro, tranne il punto F.
Sia assegnata una circonferenza γ, ma di cui non è noto il centro. C’è la possibilità di avere un suo
punto, A, e niente altro, pensando ad una costruzione mediante compasso. Ma un punto solo non
basta per individuare la circonferenza. Se se ne conoscono altri due distinti tra loro e da A, tre in
tutto, la circonferenza è individuabile mediante due segmenti adiacenti (aventi un estremo in
comune) e la costruzione di asse del segmento, riportata in figura, che utilizza solamente le Propp.
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I.10, I.11, ma sfrutta dell’asse di un segmento, che si può costruire, come la retta perpendicolare al
punto medio del segmento, ma di cui non si sono ancora provate le proprietà come luogo di punti.
Anzi si può dire che il seguente
«Corollario alla Proposizione III.1. E’ da ciò evidente che in un cerchio il centro si trova sulla retta
perpendicolare ad una corda qualsiasi nel suo punto medio.»
presente nella versione greca, ma mancante nel manoscritto Vaticano, e che il testo latino commenta
con la frase
«Nam in Γ∆ in media ΑΒ perpendicolari erecta centrum erat positum ; ceterumque hoc corollarium quasi
parenthetice ponitur.»
potrebbe esser usato a provare le proprietà dei punti dell’asse di un segmento, vale a dire la loro
equidistanza dagli estremi del segmento, sfruttando la Def. I.15 e il Post. I.3.
Di un certo interesse anche la seguente
«Proposizione III.2. Se in un cerchio si prendono sulla circonferenza due punti a piacere, la retta che congiunge i
punti cadrà internamente al cerchio.
Dimostrazione. Sia ABC un cerchio, e sulla circonferenza si prendano i due punti A, B a piacere; dico che la retta
la quale congiunge A con B cadrà internamente al cerchio.
Infatti non cada in tal modo, ma se possibile, venga a cadere esternamente, come fa la retta AEB, si prenda il
centro del cerchio ABC e sia esso D (Prop. III.1), si traccino le congiungenti DA, DB, e si tracci [infine] la retta
DEF.
Poiché dunque DA è uguale a DB, anche l’angolo DAE è uguale all’angolo DBE (Prop. I.5); e poiché nel
triangolo DAE un lato, AE, risulta prolungato oltre E sino a B, l’angolo DEB è maggiore dell’angolo DAE (Prop.
I.16). Ma l’angolo DAE è uguale all’angolo DBE, per cui DEB è maggiore di DBE. E ad un angolo maggiore è
opposto lato maggiore (Prop. I.9); DB è quindi maggiore di DE. Ma DB è uguale a DF; perciò DF è in tal caso
maggiore di DE, il lato minore del maggiore: il che è impossibile (Noz. com. 8). Quindi la retta che congiunge A
con B non cadrà esternamente al cerchio. Similmente potremo dimostrare che essa non può cadere neppure sulla
circonferenza stessa; verrà quindi a cadere internamente [al cerchio].»
Questa proposizione afferma una proprietà fondamentale del cerchio: si tratta di una figura
convessa. La dimostrazione, pur semplice, fa però riferimento ad una figura impossibile, che riesce
difficile da visualizzare, perché ‘spuntano’ come funghi punti che non si sa dove collocare. Qui il
ruolo del disegno è fondamentale e il testo di per sé è insufficiente a contribuire alla comprensione.
Si tratta poi di una dimostrazione per assurdo.
Si noti che nella moderna teoria delle figure convesse, l’assunto che il cerchio
sia una figura convessa è fondamentale.
Importante è l’aggancio alla moderna topologia, con la nozione di punto interno
che Euclide non specifica, ma dà per ovvio.
Isaac Todhunter
(1820-1884)
Va inoltre osservato (lo fece per primo Todhunter) che nella Prop. III.1 si
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assume che una retta come quella indicata come CE, condotta per il
punto D, tagli la circonferenza in due punti, C ed E, appunto; ciò ha
assonanze con quanto fatto nella dimostrazione della Prop. I.22, in
C
D
A
E
cui si conduce una retta che congiunge un vertice di un triangolo con
un punto interno e si deve provare che i punti della retta sono interni.
F
B
Ma per garantire l’esistenza di tali punti si deve mostrare che D è un
punto interno al cerchio, ciò che appunto è il risultato della Prop.
III.2, con la precisazione però che i punti A e B non sono interni del cerchio, ma sono punti della
circonferenza.
La dimostrazione della Prop. III.2 è per assurdo su una figura impossibile in cui una retta è
rappresentata da una curva. La congiungente AB ha un punto E e la dimostrazione esclude che possa
essere un punto esterno, mediante considerazioni angolari. Poi Euclide sbriga con un «Similmente» il
caso che il punto E sia della circonferenza, ma di fatto suggerisce l’esistenza della dimostrazione
che non possono esistere tre punti allineati su una circonferenza.
La posizione reciproca delle Propp. III.1 e III.2 potrebbe essere scambiata e forse il testo originale
le elencava in ordine diverso da quello presentato qui. E’ vero che nella Prop. III.2 si usa il centro di
un cerchio, ma la sua funzione è solo quella di trovare un punto che si equidistante da due punti
della circonferenza e di qui nei chiosatori del testo originale potrebbe avere suggerito che si dovesse
alterare l’ordine, assegnando prima la costruzione del cerchio.
La Proposizione III.2 viene utilizzata solo nella successiva
«Proposizione III.13. Un cerchio non può toccare un altro cerchio in più di un punto, sia ad esso tangente
internamente, sia esternamente»
e questo viene attribuito all’importanza che Euclide aveva assegnato alla Prop. III.2.
Inoltre c’è un stretto legame tra le Propp. III.2 e I.12 (cfr. III.1.5.), quest’ultima relativa alla
costruzione della retta perpendicolare ad una retta data condotta per un punto esterno alla retta
stessa. Infatti nella citata Proposizione del Libro I si era presentato il problema di costruire una
circonferenza di cui era noto il centro, ma non il raggio, in modo che risultasse tra retta data e
circonferenza ci fosse più di un punto in comune, cosicché alla retta appartenessero punti interni al
cerchio.
D’altro canto anche la Prop. I.12 è inserita nel Libro I, ma viene utilizzata la prima volta nella
«Proposizione III.14. In un cerchio rette uguali distano ugualmente dal centro, e quelle che distano ugualmente
dal centro sono uguali tra loro.»
quindi si può supporre che la sua collocazione nel Libro I sia frutto di esigenze metateoriche.
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Nel Libro III compare la parola ‘distare’, in greco
, nella Definizione III.4. e poi viene
ripresa nella Prop. III.14.
ma non viene introdotto il concetto di distanza tra punti o tra un punto ed una retta, solamente la
condizione di eguaglianza di distanze. Si parla solo di distanze di rette dal centro di una
circonferenza.
Indirettamente nella
«Proposizione III.15. In un cerchio il diametro è la corda massima, e delle altre corde quella che è la più vicina
al centro è sempre maggiore di quella più lontana.»
si introduce una relazione d’ordine tra le distanze.
Della Proposizione III.16 si è già parlato in rapporto alla nozione di angolo. Si vuole ora esibirne la
dimostrazione.
«Proposizione III.16. In un cerchio, una retta che sia tracciata perpendicolare al diametro partendo da un estremo
di questo, cadrà esternamente al cerchio, nessun’altra retta potrà interporsi nello spazio fra la retta e la
circonferenza, e l’angolo del semicerchio è maggiore, e quello che rimane [fra la retta e la circonferenza] minore,
di ogni angolo acuto rettilineo.
Dimostrazione. Sia ABC un cerchio, di centro D e diametro AB; dico che la retta tracciata perpendicolarmente ad
AB dal suo estremo A, cadrà esattamente esternamente al cerchio.
Infatti, supponiamo che non sia così, ma, se possibile, la retta cada internamente come fa CA, e si tracci la
congiungente DC.
Poiché DA è uguale a DC, anche l’angolo DAC è uguale all’angolo ACD (Prop. I.5). Ma DAC è retto, per cui
anche ACD è retto; dunque nel triangolo ACD la somma dei due angoli DAC, ACD sarebbe uguale a due retti: il
che è impossibile (Prop. I.17). Quindi la retta tracciata dal punto A perpendicolarmente a BA non cadrà
internamente al cerchio. Similmente potremo dimostrare che non verrà a cadere neppure sulla circonferenza;
dunque cadrà esternamente.
Cada essa come fa AE; dico ora che nessun’altra retta potrà interporsi fra la retta AE e la circonferenza CHA.
Infatti, se fosse possibile, venga un’altra retta ad interporsi, com’è della retta FA, e dal punto D si conduca DG
perpendicolare a FA (Prop. I. 12). E poiché l’angolo AGD è retto e
l’angolo DAG è minore di un retto, AD è maggiore di DG (Prop.
A
D
B
I.19). Ma DA è uguale a DH; quindi DH è in tal caso maggiore di
DG, la retta minore della maggiore: il che è impossibile (Noz. com.
H
8). Dunque nello spazio fra la retta e la circonferenza non potrà
G
interporsi nessun’altra retta.
Dico inoltre che l’angolo del semicerchio, ossia quello compreso
C
dalla retta BA e dalla circonferenza CHA, è maggiore di ogni
E
F
angolo acuto rettilineo, e che l’angolo restante, compreso dalla
circonferenza CHA e dalla retta AE, è minore di ogni angolo acuto
rettilineo. Infatti, se potesse esservi un angolo acuto rettilineo maggiore dell’angolo compreso dalla retta BA e
dalla circonferenza CHA, e minore invece di quello compreso dalla circonferenza CHA e dalla retta AE, nello
spazio fra CHA e la retta AE verrebbe ad interporsi una retta, la quale formerebbe un angolo rettilineo che
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sarebbe maggiore di quello compreso dalla retta BA e dalla circonferenza CHA, e minore invece dell’angolo
compreso dalla circonferenza CHA e dalla retta AE. Ma nessuna retta può interporsi; non potrà quindi esservi
alcun angolo acuto rettilineo che sia maggiore dell’angolo compreso dalla retta BA e dalla circonferenza CHA, né
che sia minore dell’angolo compreso dalla circonferenza CHA e dalla retta CE. »
Di fatto la proposizione si può pensare come la sintesi tra risultati diversi:
1. caratterizzazione della tangente ad cerchio data nella Def. III.2, mediante le perpendicolarità
(anche se nell’enunciato della Prop. III.16 non si parla di tangente);
2. posizione speciale della tangente rispetto al cerchio ed alle altre rette;
3. definizione di angolo di contingenza;
4. rapporto tra angolo del semicerchio e angolo acuto di vertice il punto di tangenza e con un
lato dato dalla tangente;
5. rapporto tra angolo di contingenza ed angolo acuto di vertice il punto di tangenza e con un
lato dato dalla tangente.
La dimostrazione è, di conseguenza, abbastanza complessa. Si nota poi che tale Proposizione non
viene più utilizzata negli Elementi.
Attenzione che il disegno potrebbe ‘imbrogliare’. Il testo di Heiberg propone la figura qui a sinistra
in cui la retta DG è perpendicolare a AC e non a AF. Con questa scelta
H, l’intersezione tra DG la circonferenza viene a trovarsi tra D e G, D
B
centro e quindi punto interno, mentre G esterno. Non ha quindi senso il
testo «AD è maggiore di DG. Ma DA è uguale a DH; quindi DH è in tal caso
D
C
maggiore di DG, la retta minore della maggiore: il che è impossibile».
H
Questa
figura nasce dall’ipotesi assurda che la retta AF sia esterna alla
circonferenza, quindi il punto G, deve essere esterno.
G
F
A
E
Conducendo correttamente da D la perpendicolare a AF si ottiene un
punto G interno, come fatto nella figura qui inserita nella dimostrazione, e
quindi il passo precedente «AD è maggiore di DG. Ma DA è uguale a DH; quindi
DH è in tal caso maggiore di DG, la retta minore della maggiore: il che è impossibile »
A
D
non trova corrispondenza con la figura.
B
H
G
Inoltre giocando sullo ‘spessore’ delle linee utilizzate, la retta AF potrebbe
sembrare interposta tra la retta AE e la circonferenza (e i punti G ed H
C
essere di fatto indistinguibili).
E
Sul primo punto dell’elenco precedente si ha il conforto di un
«Corollario alla Proposizione III.16. E’ da ciò evidente che la retta tracciata perpendicolarmente al diametro di
un cerchio, da un estremo del diametro, è tangente al cerchio. »
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F
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Questo corollario è ritenuto da Heiberg un’interpolazione certamente attribuibile a Teone. Ci sono
altri testi greci che dicono:
«e che una retta tangente ad un cerchio in un punto soltanto, poiché è stato infatti dimostrato che una retta la
quale lo incontri in due punti cade internamente ad esso.»
Questo Corollario trova applicazione in Proposizioni dello stesso Libro III, IV e XII, in tutto 10
casi.
Si presentano ora le due Proposizioni III.35 e III.36 che sono gli unici casi in cui si usano
Proposizioni del Libro II, rispettivamente le Propp. II.5 e II.6. Tali proposizioni sono dimostrabili
più agevolmente utilizzando la teoria delle proporzioni, ma Euclide vuole mostrare che si può
evitarlo, forse perché ritiene la teoria delle proporzioni una concessione ad un ambito ‘aritmetico’
che interferisce con quello geometrico.
«Proposizione III.35. Se in un cerchio due corde si tagliano fra loro, il rettangolo compreso dalle parti dell’una è
uguale al rettangolo compreso dalle parti dell’altra.
Dimostrazione. Infatti nel cerchio ABCD le due corde AC, BD si taglino fra loro nel punto E; dico che il
rettangolo compreso da AE, EC è uguale al rettangolo compreso da DE, EB.
Se è dunque il caso in cui AC, BD passino per il centro del cerchio ABCD, è evidente che, essendo uguali AE,
EC, DE, EB, pure il rettangolo compreso da AE, EC è uguale al
rettangolo compreso da DE, EB.
D
A
centro di ABCD e sia esso F (Prop. III.1), da F si conducano FG, FH
perpendicolari rispettivamente alle due rette AC, DB (Prop. I.12), e si
H
F
G
E
Sia adesso il caso in cui AC, DB non passano per il centro, si prenda il
traccino le congiungenti FB, FC, FE.
Ora, poiché una retta GF, che passa per il centro, è perpendicolare ad
un’altra retta AC che non passa per il centro, essa la divide per metà
B
(Prop. III.3); quindi AG è uguale a GC. Poiché dunque la retta AC è
C
stata divisa in parti uguali in G ed in parti diseguali in E, la somma del
rettangolo compreso da AE, EC e del quadrato di EG è uguale al
quadrato di GC (Prop. II.5); si aggiunga [alla somma ed al quadrato] il quadrato di GF; la somma del rettangolo
di AE, EC e dei quadrati di GE, GF è perciò uguale alla somma dei quadrati CG, GF (Noz. com. 2). Ma alla
somma dei quadrati di EG, GF è uguale il quadrato di FE, ed alla somma dei quadrati di CG, GF, è uguale il
quadrato di FC (Prop. I.47); quindi la somma del rettangolo di AE, EC e del quadrato di FE è uguale al quadrato
di FC. Ma FC è uguale a FB; la somma del rettangolo di AE, EC e del quadrato di FE è così uguale al quadrato
di FB. Per la stessa ragione, anche la somma del rettangolo di DE, EB e del quadrato di FE è uguale al quadrato
di FB. Ma fu dimostrato che pure la somma del rettangolo di AE, EC e del quadrato di FE è uguale quadrato di
FB, per cui la somma del rettangolo di AE, EC e del quadrato di FE è uguale alla somma del rettangolo di DE,
EB e del quadrato di FE (Noz. com. 1). Si sottragga da ambedue le somme il quadrato di FE; il rettangolo
compreso da AE, EC, che rimane sottraendo, è quindi uguale all’altro rettangolo compreso da DE, EB (Noz.
com. 3).
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