Psicoterapia di gruppo

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Il gruppo gruppoanalitico
come entità soggettuale esistente
Alberto Stilgenbauer
Mi specchiai sul bordo del lago, non vidi solo me che vedeva gli occhi di sé,
ma vidi tanti me fatti di storie, racconti di anni e anni,
narrazioni di altri nel passato, narrazioni di sogni nel futuro.
Fu come leggere un libro di racconti senza tempo,un libro non scritto,
un libro fatto di sentimenti legati a pensieri il cui titolo era: NOI!
Se diciamo gruppo, pensiamo subito ad un certo numero di persone che sono insieme per fare
qualche cosa, accumunati da un “obiettivo”, e pensare per obiettivi è un buon inizio; si, perché
pensare per obiettivi ha a che fare con il “perché farlo”, “per quale scopo”, si potrebbe dire “per
quale fine”, ma già la parola fine di per se è troppo simmetrizzante, troppo sfumata, ideologica e
contemporaneamente ha il senso del definitivo, dell’assoluto, cosa che appartiene poco all’uomo
comune mortale.
Preferisco “scopo”, si , è polisemico e contemporaneamente visibile, una parola densa per dirla in
termini di Analisi Emozionale del Testo.
Nel primo caso, un obiettivo prevede una definizione progettuale chiara di quello che si vuol fare,
una concordanza di vari entità; mentre scopo prevede una sensazione, un bisogno emozionato
generatore di senso, non definito, non già pre-visto e misurabile. Lo scopo ha a che vedere con lo
“stato nascente” di un’unione, è lo spazio per poter pensare un’emozione e dare parola alla
sensazione informe, ad esempio di un calore corporeo.
Lo scopo ha a che fare con l’innamoramento: successivamente avrà bisogno di trovare obiettivi,
ossia l’incontro con la realtà, ma la sua presenza (lo scopo) indistinta rimarrà in qualche angolo del
prodotto e dei processi che gli obiettivi trasformeranno in realtà.
Il gruppo che prende vita dallo scopo, sia esso composto da giovani o anziani, adulti o bambini,
uomini o donne, operai o studenti, psicotici o nevrotici, da il senso di completezza racchiusa
all’interno di un contenimento, una specie di organizzazione corporea che unisce individualità e
differenze, un movimento di narrazioni molteplici e complesse.
Spesso c’è il rischio è che questo movimento si irrigidisca, diventi talmente fisso da mantenere
rapporti tra entità costanti nel tempo, in questo caso sembra perdere la vitalità degli scambi
relazionali per divenire qualcosa di solidificato, è quella che con una metafora chiamo:
la solidificazione monumentale. Sterile rappresentazione inanimati di una storia, magari mitizzata
musealmente, una specie di pro-localizzazione di un vissuto che non esiste più; basta pensare a tutte
le pro-loco con quelle stanze piene d’attrezzi di vecchi mestieri che non hanno più contatto con il
reale.
La parte strutturante di un gruppo che va costruendosi è che cerca di organizzare secondo un senso
la sensazione schizoide dell’essere gruppo onnipotente e assoluto; il lavoro di costruzione del
gruppo permette di salvaguardare dalla psicosi la produttività del gruppo stesso rispetto allo scopo
per cui è nato. Ma delle volte questa componente funzionale all’esistenza creativa e produttiva
dell’essere gruppo, si assolutizza, e l’istituzionalizzazione dilaga assorbendo, o meglio fagocita le
differenze, le singole individualità, le storie, i desideri, dando al loro posto delle leggi non dette,
degli ordini mai verbalmente comunicati dove tutti debbono obbedire al senso divenuto ormai
comune: è la trasformazione del gruppo in un’assolutizzazione celebrativa della propria
sopravvivenza.
Perdere di vista lo scopo significa perdere di vista la meiosi del gruppo, la generatività emozionata
delle differenze di sentimenti e pensieri, è trasformare tutto nella mitosi del gruppale che brama di
continuare e perpetuarsi all’infinito.
Un po’ quello che accade alla Chiesa Cattolica dispensatrice di celebratività quando dimentica lo
stato nascente dello scopo per cui è sorta un bel giorno di oltre 2000 anni fa; oppure le molte o
moltissime Comunità psicoterapeutiche partite dalla liberazione delle persone dai manicomi con la
legge 180 detta legge Basaglia e ora divenute luogo di contenimento essenzialmente farmacologico,
dove la “prudenza non è mai troppa”.
Il gruppo è una realtà che ha bisogno di essere costruita, una polifonia d’individui con storie
differenti che hanno una parte di scopo in comune e di cui ogni individuo narra ed è narrato “il” e
contemporaneamente “dal” (gruppo).
Il gruppo non è un’entità determinata per sempre, continuamente il gruppo che s’incontra deve
ricostruirsi partendo da un intreccio di letture, continuamente deve essere ritessuto nell’integrazione
delle sue componenti, ed ogni componente del gruppo ricompone la trama e l’ordito delle narrazioni
generate attraverso il gruppo ed allora i nodi tessitura non sono più elementi d’impedimento ma
dimostrazioni evidenti dell’esigenza d’incontro, d’integrazione fra persone che vivono l’essere
gruppo attraverso non solo gli obiettivi, ma anche per e soprattutto lo “scopo” che li accomuna in
uno specifico comune denominatore.
Gruppoanalisi e psicopatologia
Alberto Stilgenbauer
La gruppoanalisi è lo studio dei vari livelli del transpersonale[1], della relazione tra questi livelli e
le relazioni soggettuali attraverso il lavoro analitico di gruppo e il lavoro clinico con i pazienti.
La teoria gruppoanalitica permette di superare l’individualismo, le relative scissioni individuo
gruppo, sociale, natura cultura, intrapsichico e interpsichico proprio perché è una teoria psicologica
della polis, polis del mondo interno e polis del mondo esterno sia dal punto intrapsichico del singolo
e sia quelle transpersonali, ossia tenendo conto per dirla alla Foukes: ciò che è dentro è fuori e ciò
che è fuori è dentro.
L’organizzazione mentale di ogni essere umano è specchio delle organizzazioni sociali in cui vive e
della capacità di riflettere, di pensare e di strutturare la realtà dando la possibilità di oggettivare ciò
che oggettivamente non esiste organizzando il mondo dandogli senso/i.
La gruppoanalisi è lo studio e l’utilizzo clinico del campo controtrasferale[2] a partire dai concetti
di rete e matrice, lo studio della complessità dell’essere umano; in questo senso la gruppoanalisi è
una nuova teoria della personalità che utilizza un vertice gruppale, una nuova teoria psicopatologica
libera da tutti i legami con l’antica psichiatria che propone un setting adeguato al modello teorico
simil-medico con una relativa artificiosa eziopatogenesi a cui fare riferimento ed a differenza di altri
modelli analitici il modello gruppoanalitico è flessibile, nel senso che si adatta benissimo ad una
situazione diadica e ad una situazione gruppale di piccolo, medio e grande gruppo.
La grande innovazione di fondamentale importanza portata dalla teoria gruppoanalitica è il
superamento del paradigma individualista nella sua accezione di pregiudizio individualistico[3] e il
concetto di transpersonale[4].
Con la gruppoanalisi cambia la prospettiva d’osservazione e d’intervento, non più data
dall’individuo come elemento singolo, ma dalla molteplicità esterna e soprattutto da quella
molteplicità interna ad ogni soggettualità. La condizione gruppale specifica del gruppo di
riferimento diviene essenziale condizione per la salute e per la malattia.
È nel gruppo primario, ossia nella famiglia che avvengono le prime strutturazioni nodali della rete
primaria, ed è sempre nella famiglia che si costruiscono le prime relazioni verticali, mentre è nel
gruppo dei pari che si organizzano le relazioni e reti orizzontali; mentre, il ruolo o prodotto della
famiglia (sufficientemente buona usando e ampliando i concetti di madre “sufficientemente buona”
secondo Winnicott) diviene l’autonomia dei figli, lo svincolo dalla famiglia.
È nella famiglia che viene svolta una doppia funzione, da una parte deve contenere l’immaturità
individuale ed assicurare la crescita del soggetto, dall’altra nonostante la sua fondamentale
presenza, deve lasciare spazi d’apertura verso nuove modificazioni dell’esistenza dei figli.
Questo è importante non solo per il concetto di normalità, ma anche per il concetto di patologia.
Entrare nella matrice dinamica significa passare dal registro della coazione a ripetere al registro
dell’esplorazione di nuovi sensi, e la matrice dinamica si realizza nel gruppo vivendo nella
narrazione la storia familiare, storia familiare di ciascun membro del gruppo e di ciò che è stato,
passando al registro del ciò che è possibile.
Il gruppo è il luogo dove si fonda una doppia storia, quella che è già stata la vita passata ed anche
attuale e quella di una possibilità, del registro del possibile, quindi della costruzione di una storia
per il registro dell’autonomia.
Attraverso il gruppo si esplica questa capacità trasformativa della rete relazionale.
Foulkes descrive l’origine del concetto di rete:
“Il termine rete è stato usato per esprimere il fatto che il nostro paziente individuale è, in essenza,
semplicemente il sintomo di un disturbo di equilibrio della rete interna intima di cui fa parte.
Personalmente, ho usato il termine rete deliberatamente, in analogia al mio maestro della metà degli
anni venti, il neurobiologo Kurt Goldestein, che si trovava allora a Francoforte. Goldestein era un
pioniere di vista che il sistema nervoso può essere meglio compreso nella teoria e nella pratica non
come una somma complessa di neuroni, individuali, bensì al contrario come un insieme che agisce
costantemente. Egli definì ciò una rete e chiamò punto nodale la singola cellula nervosa. Per questa
ragione ho chiamato “rete” il sistema totale di persone che vanno raggruppate insieme
rispetto alla loro relazione, e gli individui che compongono la rete corrispondono a punti nodali. È
appropriato che questa rete nella sua parte più intima debba essere chiamata plexus. Una tale
visione conduce a un nuovo orientamento nella psicopatologia e nella psicoterapia.”.[5] (Foulkes
S.H., 1976).
Secondo Foulkes, la rete è il sistema totale di persone che vanno raggruppate rispetto alla relazione,
e gli individui corrispondono ai punti nodali di quella rete.
Nella parte più intima della rete si trova il plexus, questa è la parte centrale, la parte fondativa, ossia
quella che fa riferimento ad un ristretto numero di persone, la famiglia d’origine e coloro che hanno
avuto un significato diretto per l’individuo.
In psicopatologia il plexus costituisce un punto fondamentale d’osservazione per lo psicoterapeuta,
in quanto è la rete primaria dinamica nella quale ha avuto origine la “malattia”; il plexus è la rete
familiare intesa come famiglia allargata, transgenerazionale, in un continuum storico e culturale con
le generazioni passate, cosi così definito da Nucara G., Menarini R. Pontati C :
“Ogni famiglia è quindi caratterizzata da una particolare cultura che affonda le radici nella sua
storia e in quella delle generazioni precedenti. L’interazione con questa cultura (o matrice) familiare
e il mondo interno del bambino determina lo sviluppo di quella trama relazionale chiamata da
Foulkes “matrice personale” proprio per definire il concetto di fondazione culturale della mente.
Tale matrice si costituisce quindi come un polo identificatorio della mente umana: in questo senso
la mente è sostanzialmente gruppale.”[6].( Nucara G., Menarini R. Pontati C., 1993).
Per il bambino, la matrice familiare diviene uno spazio di scrittura transizionale dove da significati
e sensi storici alle generazioni, alle culture passate, divenendo così costruttore di sensi e
progettualità al proprio processo evolutivo.
Questa capacità generativa di pensiero è data dalla possibilità offerta dalla matrice familiare
insatura in cui il bambino può pensare il pensiero familiare e trasformare simbolicamente la cultura
familiare in nuovi significati, ed è nel contatto sociale e familiare che si può costituire la salute
mentale o le sue distorsioni, così chiaramente spiegate da M. Pines:
“Gli infanti acquisiscono una conoscenza dei loro stati mentali attraverso il rispecchiamento sociale
creativo di quelli che li accudiscono, i quali aggiungono una prospettiva organizzante alle azioni del
bambino. Chi accudisce il bambino capisce che cosa vuole, cosa intende, ed aggiunge persino
quella intenzionalità alle azioni del bambino quando ce n’è soltanto una traccia. Se coloro che li
accudiscono falliscono ripetutamente nel riconoscere il significato e l’intenzionalità dell’attività
di un infante, il bambino esperisce il mondo come confusivo e rifiutante e proietta l’intenzionalità
nel fallimento a comprendere e a rispondere.”[7] (Pines M., 1994).
È attraverso processi di saturazione del pensiero che ha origine la sofferenza, ossia la saturazione
del pensiero, l’impossibilità di un pensiero che possa dialogare con altri pensieri, e dove esiste una
sola possibilità ripetitiva di pensiero che è il pensiero unico che impedisce l’autonomizzazione della
persona.
Nel caso della patologia, l’individuo non funziona più come un punto nodale della rete, ma diviene
un punto focale dove la conflittualità della rete trova in lui una collocazione, una modalità
d’espressione. In una rete familiare un nodo di questa rete potrebbe diventare l’espressione
vivificata di un sintomo di tutta una rete disturbata che si organizza intorno al disagio.
Nucara G., Manarini R., Pontati C. ne definiscono il sintomo psichiatrico e la conseguente
psicopatologia che ne scaturisce:
“… , il sintomo psichiatrico si configura come conseguenza della non avvenuta trasformazione dei
temi culturali in eventi simbolici (aventi un significato) all’interno del pensiero; queste mancate
elaborazioni possono essere definiti “buchi di significato”, per sottolinearne la specificità di
condensati di pensiero transgenerazionale non simbolizzabili. In quest’ottica la psicopatologia è
visualizzabile come la conseguenza di un fallimento della matrice familiare nella sua funzione di
spazio transizionale; come mancata trasformazione significativa della storia delle generazioni
precedenti: in tal caso parliamo di “matrice familiare satura”.[8] (Nucara G., Menarini R. Pontati C.,
1993).
L’incapacità di simbolizzare (simbolopoiesi[9]) produce dei buchi di significato, aree senza senso
che il bambino porterà con sé nell’adolescenza e oltre, saranno le condizioni potenziali di
psicopatogenia che ostacoleranno lo sviluppo mentale e l’organizzazione intrapsichica conducendo
ad una sindrome clinica psicopatologica o nella stabilizzazione di un disturbo di personalità.
La nostra identità nasce, si costituisce, cresce attraverso quelli che Di Maria ha definito gli innesti, e
metaforicamente questi innesti, a differenza dei trapianti d’organo dal punto di vista psicologico,
non possono essere sottoposti a rigetto.
La nostra identità nasce e si costruisce attraverso innesti e questi vanno a costituire i gruppi, o
gruppalità interne: un mondo affollatissimo da cui siamo abitati e da cui non c’è possibilità
d’espellerle.
Gli innesti diventano elementi costitutivi della personalità ed il lavoro gruppoanalitico è quello di
riuscire a individuare quelle parti da mantenere, da trattenere e quelle parti invece che hanno
bisogno di un lavoro di distensione e di trasformazione. Queste parti improduttive bloccanti, sono
quelle parti saturanti, quelle zone in ombra di cui si conosce ben poco.
Il lavoro gruppoanalitico è un lavoro sulle gruppalità interne e sui sistemi di autorizzazione e di non
autorizzazione che questi gruppi interni, queste individualità interne sono disposte a dare e a non
dare, queste autorizzazioni non hanno a che fare con personaggi reali: un padre, una madre o un
fratello cattivo, ma hanno a che fare con parti introiettate, con quelle parti che sono state innestate
nelle gruppalità interne. È lo stesso gruppo che ha la potenzialità di modificare e riparare attraverso
un processo di comunicazione le matrici sovrassature che impediscono di dare spazi di riflessione e
costruzione di nuove categorizzazioni del reale. Questo è evidenziabile con il passaggio
trasformativo che assume l’aspetto di una nuova nascita: dall’identicità conduca all’autenticità[10].
L’importanza per la gruppoanalisi della comunicazione sia nella salute mentale che nel trattamento
della psicopatologia mentale viene così spiegata da M. Pines:
“ E’ il processo di comunicazione, piuttosto che l’informazione che essa trasporta, quello che per
noi è importante. In un gruppo, gruppoanalitico, la comunicazione si sposta dai livelli primitivi e
remoti a modalità articolate di espressione cosciente, ed è esattamente vincolata al processo
terapeutico. Il gruppo terapeutico stabilisce una zona comune, in cui tutti i membri possono
partecipare ed imparare a comprendersi. All’interno di questo processo i membri del gruppo
cominciano a capire il linguaggio del sintomo, dei simboli e dei sogni così come delle
comunicazioni verbali. Essi devono imparare attraverso l’esperienza, affinché sia significativo e
quindi terapeuticamente efficiente.”[11]. (Pines M., 1994).
Sarà compito del conduttore agevolare e far approfondire la comunicazione a tutti i componenti del
gruppo, cercando di far si che si tessi una matrice insatura che, sempre come descritto da M. Pines:
“All’interno della matrice dinamica, libera e fluttuante discussione dei membri del gruppo si
estenda ai livelli più profondi e, appena questi vengono raggiunti e articolati, le modalità nevrotiche
e di tipo artistico vengono sostituite dal senso di comunità e da una condivisione basata sul senso
comune. I membri del gruppo diventano consapevoli del fatto che i dialoghi veramente validi e
creativi possono emergere quando vengono superati gli stili di comunicazione inappropriati. Queste
modalità di relazionarsi si basano su modelli di relazione interiorizzati e rappresentano dialoghi
interni, esteriorizzati e proiettati. Quando è riconosciuta ed elaborata la natura transferale di queste
esteriorizzazioni, può emergere un dialogo più appropriato del qui ed ora. Il dialogo produce
cambiamenti in sistemi stagnanti, apre legami tra livelli differenti di funzionamento e
comunicazione, sia intrapsichicamente che interpersonalmente. Attraverso il dialogo avvengono
scambi tra gli individui che chiariscono gradualmente sia le proiezioni che hanno luogo nel qui ed
ora, sia le introiezioni che hanno avuto luogo nel lì ed allora. Dunque, gradualmente le introiezioni
e gli scambi contemporanei possono prendere il posto delle interazioni patologiche
precedentemente interiorizzate.” [12] . (Pines M., 1994).
Forti sono gli stimoli derivati dalle ricerche fatte nel campo della psicopatologia da una prospettiva
gruppoanalitica ed anche altre, anche se non completamente ascrivibili alle teorie gruppoanalitiche.
Un esempio sono i lavori fatti da Salom Resnik, dove, a partire da dimensioni corporee quali la
gestualità, si possono tessere le prime trame di un disgelo relazionale:
“Un piccolo gesto indirizzato a qualcuno esprime già un desiderio, un bisogno, un sentimento
doloroso o un’intenzionalità da precisare e decifrare.”[13] (Resnik S., 2001).
Un primo grado di fluidità di scambio tra introiezione e proiezione che è sinonimo di un primo
linguaggio espressivo, costruzione di vie di comunicazione tra nodi interni ed esterni al gruppo,
seguendo sempre Resnik:
“A partire da questo scambio, materializzato attraverso il corpo e la parola, comincia a organizzarsi
una rete di relazioni sociali. È quella che Foulkes chiama the basic network (la matrice di gruppo).
Questo tessuto si struttura in maniera dinamica e permette al gruppo di sviluppare la capacità di
scambiare messaggi e veicolarli attraverso i fili della rete.“[14] . (Resnik S., 2001).
S. Resnik, sia pur con altre parole, con altri significati trova in un sovraccarico saturante tra
significati e significanti che addirittura nelle forme più gravi si sovrappongono fino a divenire
un’unità indifferenziata, espressa poi nell’atto compreso il blocco simbolopoietico, il gelo, la
glaciazione del pensiero e le parole divengono non più le cose, ma cose:
“ … le sue parole (psicotico) sono spesso congelate e lo spazio tra la cosa percepita (oggetto
primario) e la sua rappresentazione (oggetto secondario) è annullato. I luoghi occupati dal
significato e dal significante si sovrappongono per concretizzare l’unità indifferenziata dell’atto.
L’atto del pensare diventa allora un comportamento gestuale del pensiero, una psicopatia del
pensiero, e non un processo cognitivo astratto e simbolico.”[15] . (Resnik S., 2001).
Attraverso il gruppo diverrà possibile temperare l’aria ed il clima relazionale, liberare da sensi
ripetitivi del tipo della coazione a ripetere, per costruire vie di comunicazione tra entità ibernate.
Il disgelo permetterà la costruzione di nodi che formeranno specifici disegni, tessiture di nuove e
molteplici trame. La glasnost' e la perestrojka dell’umano.
Bibliografia
- Carli R. (2000), Presentazione in Di Maria F. “Psicologia della convivenza soggettività e
socialità”, Ed.Franco Angeli, Milano.
- Carli R. (2001), “Culture giovanili, proposte per un intervento psicologico nella scuola”, Ed.
Franco Angeli, Milano.
- Carli R., Paniccia R. M. (2003) – “Analisi della domanda, teoria e tecnica dell’intervento in
psicologia clinica” – Ed. Il Mulino.
- Di Maria F. (1994) – “Nel nome del gruppo” – Ed.Franco Angeli ,Milano.
- Di Maria F., Lo Verso G. (1995) – “La psicodinamica dei gruppi” – Ed.Raffaello Cortina
Editore.
- Di Maria F. (2000) – “Psicologia della convivenza soggettività e socialità.” – Ed.Franco Angeli,
Milano.
- Di Maria F., Lavanco G. (2002) – “Culture di gruppo, un percorso conoscitivo” – Ed.Masson.
- Di Maria F., Lo Verso G. (2002) – “Gruppi, metodi e strumenti” – Ed.Raffaello Cortina Editore.
- Di Maria F., Falgares G. (2005) – “Elementi di psicologia dei gruppi” – Ed.McGraw-Hill.
- Foulkes S.H. (1967) – “Analisi terapeutica di gruppo” – Ed Boringhieri.
- Foulkes S.H. (1976) – “La psicoterapia gruppoanalitica metodi e principi” – Ed Astrolabio.
- Foulkes S.H. (1991) – “Introduzione alla psicoterapia gruppoanalitica” – Ed Edizioni
Universitarie Romane.
- Nucara G., Menarini R. Pontati C. (1995) – “la famiglia e il gruppo: clinica gruppoanalitica e
psicopatologia – in La psicodinamica dei gruppi” – Ed.Raffaello Cortina Editore.
- Pines M. (1994) – “Sfoghi parlanti e risposte. Gruppoanalisi e salute mentale in Nel nome del
gruppo” - Ed.Franco Angeli, Milano .
- Resnik S. (2001) – “Glaciazioni, viaggio nel mondo della follia” - Ed.Boringhieri.
[1] Un concetto importante per la gruppoanalisi è dato dalla teoria del transpersonale. Ben diversa
dalla teoria istintuale il transpersonale risponde a diversi livelli di relazione storiche e psicologiche.
Il transpersonale è un concetto cardine per la gruppoanalisi, è l’impersonale collettivo che ci
attraversa e di cui non abbiamo nessuna consapevolezza e che si articola in vari livelli. Questi vari
livelli del transpersonale si possono suddividere in: un primo livello che ha radici in un passato
ancestrale ed è il livello biologico-genetico, noi siamo portatori di un apparato costituito dal nostro
DNA, dai nostri geni, ed è comune alla specie uomo, ed è il transpersonale ad un livello biologicogenetico.
A questo livello se ne aggiunge un altro più specifico ed è quello etnico-antropologico che è
funzione del luogo di nascita che organizza le aree antropologiche etniche di possibili modalità di
vita, di relazioni familiari profondamente diversi. Il transpersonale di tipo antropologico si
disarticola in vari livelli di tipo più specifico, infatti esistono aree del transpersonale etnicoantropologico che sono specifiche della cultura, e sono quelle che hanno a che vedere con il dove
sono nato, in quale famiglia.
Il livello del transperonale transgenerazionale riguarda la mente di un bambino allo stato nascente
immerso nel codice familiare che attraversa le generazioni passate, i miti, le metaconoscenze, le
categorizzazioni e le precognizioni nelle quali la storia familiare si perpetua.
Ad un altro livello c’è il transistituzionale, ossia il tipo di istituzioni specifica del luogo dove si
vive, questo fa riferimento ai ruoli, alle gerarchie, alle appartenenze ed alle regole implicite ed
esplicite di tipo socioculturale.
Tutti questi livelli, dal più profondo al meno profondo, sono attraversati da un livello detto sociocomunicativo, questo riguarda le modalità di trasmissione della cultura e dei livelli di socialità
attraverso la verbalizzazione e la narrazione.
Infine il transpersonale politico ambientale che attraversa i precedenti livelli ed ha a che fare con gli
stati nascenti della comunità; è il luogo dove l’individuale diventa parte del collettivo e il collettivo
costituisce l’individuale.
[2] Il concetto di campo contrasferale; con il concetto di campo contrasferale vengono superati due
concetti di ordine psicoanalitica: il concetto di transfert e il concetto di controtransfert. Freud
individuò il transfert e successivamente quello che il transfert sollecitava nell’analista, il
controtransfert così definito dalla teoria psicoanalitica perché considerato la reazione al transfert del
paziente da parte dell’analista. Ci volle molto tempo per capire che non andava fatta l’analisi del
transfert del paziente, ma ciò che era importante analizzare era l’analisi del controtransferet
dell’analista nei confronti del paziente, questo poteva dire molte più cose della relazione analitica.
Successivamente si è visto il campo transferale come “totalità”, ossia un campo nel quale si trovano
e si intersecano transferalità. Con l’analisi di gruppo si capì il concetto di campo contraferale come
condivisione di transfert multipli all’interno del gruppo, compreso il conduttore, che si realizza in
un determinato contesto, Di Maria F.:
“… il termine campo contrasferale designa quello spazio mentale ed esperenziale, vera e propria
matrice in continua evoluzione, che caratterizza la terapia di gruppo, nella quale sono vivi e
parlanti, e quindi riattualizzantesi, gli universi mentali storico-soggettivi di tutti i partecipanti,
conduttore compreso.” Di Maria F., Lo Verso G. (2002) – “Gruppi, metodi e strumenti” – p. 256.
[3] Per poter comprendere ed utilizzare il modello gruppoanalitico nei diversi possibili contesti
applicativi, siano essi espressione di una domanda di formazione, terapia, o altro, è indispensabile
riflettere su tre grandi ostacoli che ne impediscono la comprensione. Questi ostacoli racchiusi nella
parola pre-giudizio si declinano in tre modalità diverse:
il pre-giudizio individualistico, il pre-giudizio naturalistico e il pre-giudizio casualistico.
Il primo, pre-giudizio individualistico, è quello per cui nell’ambito psicologico esiste solo e
separato l’individuo, ed è evidente che così non è per ragioni di natura antropologica, storica e
culturali; ragioni che attengono specificatamente alla nostra specie così come si è venuta a
sviluppare in milioni di anni.
La mente umana è costituitivamente gruppale, proprio di base, e l’individualità che scaturisce da
questa gruppalità è una conquista faticosa realizzata giorno dopo giorno. Proprio le nostre matrici
generative sono atropo-psicologiche e non solo biologico-istintuale, tant’è che il percorso di
differenziazione e individualizzazione è un percorso che non finisce mai nell’esistenza umana. La
mente umana è costitutivamente gruppale con un mondo interno molto ricco, molto variegato ed è
per questo che abbiamo a che fare con la complessità, che di per sé è l’antitesi della pre-giudizialità
riducente, proprio perché non sono gli individui che formano i gruppi, ma sono i gruppi che
formano gli individui in relazione tra di loro. Trattare gli individui come singolarità è come non
considerare la relazione, e questa non è una cosa casuale, così come descritto da Carli R.:
“parlare di “individui”, quindi significa fare come se la relazione non esistesse. Ed al posto della
relazione, con le sue competenze capaci di autoregolazione, s’istituisce la valutazione, che emerge
dalla gestione di un potere non competente, in quanto estraneo alla relazione stessa. “Carli R.. (
2001) – “Culture giovanili, proposte per un intervento psicologico nella scuola” – p.. 70.
Il secondo pregiudizio è quello naturalistico, per cui secondo i biologisti l’uomo appartiene ad un
ordine indifferenziatamente animale, ma così non è. La specie umana è una specie molto
particolare; prendiamo ad esempio il linguaggio, questo ha determinato profonde modificazioni a
livello di trasmissione genetica, nel senso che in tutte le altre specie animali le informazioni e le
loro trasformazione passano attraverso modalità di tipo genetico assumendo un valore vitale,
mentre nella specie uomo la trasmissione delle informazioni è prevalentemente di tipo culturale,
tant’è che il passaggio di informazioni e trasformazioni avviene in stragrande maggioranza dei casi
attraverso altri sistemi di comunicazione rispetto alla sola trasmissione genetica.
Il terzo pregiudizio è quello casualistico, sintetizzabile nell’espressione del tipo: “non è null’altro
che “ o in un'altra formula come quella del “se allora”. Certo che questo modo di pre-giudicare
permette una tranquillità mentale riducente, ma contemporaneamente non permette di ricavare
nessuna nuova informazione e non offre nessuna possibilità di comprensione di quello che sta
accadendo.
Il pregiudizio casualistico ha la sua rappresentabilità lineare del tipo: accaduto questo allora accadrà
quest’alto, rappresentazione lineare, immutabile di un già noto, mentre la possibilità di donazione di
senso ha un andamento a spirale non ripetitivo, ed è proprio la caratteristica della spirale quella di
salire; il procedere a spirale sembra un tornare indietro, ma in realtà è un tornare indietro ad un
livello superiore.
[5] Foulkes S.H. (1976) – “La psicoterapia gruppoanalitica metodi e principi” – p. 26.
[6] Nucara G., Menarini R. Pontati C. (1993) – “la famiglia e il gruppo: clinica gruppoanalitica e
psicopatologia – in La psicodinamica dei gruppi” – p. 238.
[7] Pines M. (1994)– “Sfoghi parlanti e risposte. Gruppoanalisi e salute mentale in Nel nome del
gruppo” - p. 162
[8] Nucara G., Menarini R. Pontati C. (1995) – “la famiglia e il gruppo: clinica gruppoanalitica e
psicopatologia – in La psicodinamica dei gruppi” – p. 239.
[9] Il transpersonale nelle sue molteplici componenti, è fondamentale per produrre icone, ossia
immagini collettive aventi senso di condivisione che permette il pensiero simbolico e quindi la
generatività simbolopoietica di ulteriori pensieri e di lettura del reale. Le icone come eventi del
mentale sono, come specificato da Di Maria: “…., …. Potenziali simbolici. Un campo mentale
simbolopoietico, caratterizzato dalla produzione di icone, è tale perché permette il pensiero
simbolico: le icone sono elementi di rappresentazione mentale, immagini significanti. Esse
determinano apertura allo sviluppo simbolico perchè la loro interpretazione è, a sua volta,
simbolicamente interpretabile e così via. Le icone sono caratterizzate dalla possibilità autoriflessiva
riguardo al campo mentale in cui esse si manifestano e dall’apertura verso il futuro.”. Di Maria F.,
Lo Verso G. – “La psicodinamica dei gruppi” – p. 209.
[10] Il lavoro terapeutico gruppoanalitico ha a che fare con un passaggio fondamentale, il passaggio
dalla identicità all’autenticità, è un progetto che prevede una transizione dalla posizione di
identicità, ossia essere ad immagine e somiglianza di intenzionamenti familiari, sociali, aspettative
desideranti, di quello che viene chiamato in psicopatologia il “pensiero saturo”, o meglio saturato
dai desideri della famiglia, dell’ambiente. È il passaggio dalla identicità all’autenticità, tramite un
processo di de-saturazione, di svuotamento del troppo pieno, dove è possibile creare spazi di
autenticità all’interno della mente. Fondamentale nel lavoro gruppoanalitico è il passaggio
dall’attaccamento all’appartenza/e. L’attaccamento è il bisogno di certezze totali, assolute,
rassicuranti, contenitive, che impediscono il dialogo con l’incertezza, è una dimensione di
replicatività rispetto, invece, all’appartenenza, come dice anche Gabber G, l’appartenenza è un
concetto molto largo che permette una molteplicità d’appartenenze contemporaneamente.
Gabber G. Album: “La mia generazione ha perso”; brano n° 6: “Canzone dell’appartenenza”, 2001“L'appartenenza non è lo sforzo di un civile stare insieme non è il conforto di un normale voler bene
l'appartenenza è avere gli altri dentro di sé.
L'appartenenza non è un insieme casuale di persone non è il consenso a un'apparente aggregazione
l'appartenenza è avere gli altri dentro di sé.”
[11] Pines M. (1994) – “Sfoghi parlanti e risposte. Gruppoanalisi e salute mentale in Nel nome del
gruppo” – p 157
[12]Pines M. (1994) – “Sfoghi parlanti e risposte. Gruppoanalisi e salute mentale in Nel nome del
gruppo” – p, 157
[13] Resnik S. (2001) – “Glaciazioni, viaggio nel mondo della follia” – p. 68.
[14] Resnik S. (2001) – “Glaciazioni, viaggio nel mondo della follia” – p. 68.
[15] Resnik S. (2001) – “Glaciazioni, viaggio nel mondo della follia” – p. 71.
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