POLI TECNI CO DIMI LANO Fa c o l t àd i Ar c h i t e t t u r aeSo c i e t à Co r s od i L a u r e ai nAr c h i t e t t u r ad e g l i I n t e r n i Co r s od i L a u r e ai nPr o g e t t a z i o n eAr c h i t e t t o n i c ae dUr b a n a ALLESTI MENTO DELNUOVO TEATRO DELL’ OPERA ALLETERMEDICARACALLA Re l a t o r e Pr o f . Pi e rFe d e r i c oMa u r oCa l i a r i Co r r e l a t o r i Pr o f . Fr a n c e s c oL e o n i Ar c h . Al e s s i aCh i a p p e r i n o Ar c h . Pa o l oCo n f o r t i Ar c h . Mi c h e l eDi Sa n c t i s Ar c h . Sa r aGh i r a r d i n i Ar c h . Sa mu e l eOs s o l a Ar c h . Se r g i oSa v i n i Te s i d i L a u r e ad i Pa o l oSi mo n ePo g g i o7 2 5 7 8 0 L u c aPo i a n i 7 2 5 7 8 1 An n oAc c a d e mi c o 2 0 1 1 2 0 1 2 INDICE ABSTRACT INDICE DELLE TAVOLE 1_LE TERME ROMANE 1.1_Storia e funzione sociale degli ambienti termali nel mondo Romano. 1.2_L’Architettura termale: struttura e funzionamento. 1.3_Le terme di Caracalla. 1.3.1_Storia del complesso. 1.3.2_Il cantiere e l'architettura. 2_IL TEATRO 2.1_Evoluzione storica del Teatro. 2.2_Caso studio: il Teatro Farnese. 2.2.1_ Genesi del teatro e cultura teatrale dell’epoca. 2.2.2_Eredità culturale del teatro. 3_IL PROGETTO 3.1_Obiettivi. 3.2_Descrizione dell’intervento: un teatro alle terme di Caracalla. 3.3_Il progetto di allestimento in situ. 3.3.1_Le decorazioni e le opere d’arte. BIBLIOGRAFIA ABSTRACT Il nostro lavoro di Tesi di Laurea si pone come obiettivo la musealizzazione del sito archeologico delle Terme di Caracalla, mediante le realizzazione di una soluzione stabile, ma reversibile per l'attuale utilizzo teatrale di una parte del sito, che rende oggi le Terme un riferimento fondamentale della stagione estiva del Teatro dell' Opera di Roma. Fin dal 1937 le Terme di Caracalla fungono da scenario suggestivo per spettacoli teatrali e grandi eventi, grazie alla disponibilità di spazi ampi e di grandissimo impatto scenografico e teatrale, che ne fanno in assoluto uno dei luoghi maggiormente suggestivi tra le aree archeologiche del centro di Roma Allo scopo di valorizzare questo forte carattere scenografico nel corso degli anni sono state molteplici le strutture temporanee realizzate e successivamente smontate in diversi ambienti delle Terme; in particolare ricordiamo l'impianto del palcoscenico che ha occupato stabilmente il calidarium dal 1938 al 1993. Attualmente le terme ospitano la stagione lirica mediante l'allestimento di un palcoscenico temporaneo che viene montato ad una certa distanza dalle rovine, nella zona aperta del cortile termale. Le forme del teatro di cui la nostra tesi propone la realizzazione nascono dalla necessità di fornire una struttura il più possibile stabile ed adeguata alle realizzazione di grandi eventi, ponendo una particolare attenzione alla funzione teatrale connessa con l'esperienza del Teatro dell'Opera, e allo stesso tempo dalla volontà di musealizzare le imponenti rovine andando a ricostituire l'originale volumetria del calidarium, ambiente circolare che caratterizzava il lato sud delle Terme e che oggi non è più percepibile se non mediante gli scarsi resti murari a livello del terreno, che poco risaltano rispetto al resto delle imponenti rovine. La struttura del teatro assume quindi le stesse proporzioni del volume originale, ospitando circa duemila persone. La scelta tipologica ha come riferimento i differenti elementi dell'esperienza architettonica teatrale:in particolare la scaene frons del teatro romano viene realizzata tramite la ricostruzione del fronte della natatio, la grande piscina all'aperto situata in fondo al lungo un asse fisico e visivo che va dal Calidarium alla Natatio, mediato da una serie di quinte scenografiche costituite dalle rovine esistenti articolate in profondità lungo questo importante asse. Allo scopo di completare ed enfatizzare il progetto di musealizzazione delle Terme, all'interno del frigidarium e del tiepidarium, viene infine allestita una collezione statuaria composta da copie realizzate ad hoc sui modelli dalla collezione originale appartenente al corredo statuario delle terme, che attualmente sono conservati in diversi musei, tra cui in particolare alcuni pezzi della collezione Farnese del Museo archeologico di Napoli, oltre ad alcuni grandi frammenti di mosaici e oggetti conservati nei sotterranei delle Terme. INDICE DELLE TAVOLE 1_Inquadramento 2_Planimentria dello stato di fatto 3_Planimetria di progetto 4_Pianta delle Terme 5_Sezioni delle Terme 6_Piante del teatro 7_Prospetti 8_Sezione del teatro 9_Pianta e sezione della natatio 10_Pianta e prospetto della natatio 11_Collezione e allestimento 1_LE TERME ROMANE 1.1_Storia e funzione sociale degli ambienti termali nel mondo Romano "Ecco che da ogni parte mi risuonano attorno clamori di ogni genere; abito proprio sopra il bagno pubblico. Ora immagina tutte le specie di suoni che possono farci detestare le orecchie; quando i più robusti si esercitano e agitano le mani cariche di palle di piombo oppure fanno sforzi o fingono di farne, odo i loro sospiri, ogni volta che emettono il fiato trattenuto, e i sibili e la respirazione oltremodo sgradevole; quando capita un qualche pigrone che si accontenta di essere unto alla maniera più comune, odo il rumore della mano che batte sulle spalle, diverso secondo che la mano è aperta o è chiusa. Se poi sopraggiunge il giocatore di palla e comincia a contare i punti, è finita. Ora aggiungi un attaccabrighe e un ladro sorpreso in flagrante e quel tale che si compiace ad ascoltare la sua voce nel bagno: aggiungi quelli che saltano nella vasca con gran rumore dell’acqua sollevata. Oltre a costoro, le cui voci sono almeno di tono uguale, pensa al depilatore che emette continuamente una voce esile e acuta, perché più facilmente venga percepita e sta solo zitto mentre strappa i peli delle ascelle e costringe un altro a strillare in vece sua: pensa alle diverse grida del venditore di bibite, al venditore di salsicce e al pasticciere e a tutti gli imbonitori delle taverne che raccomandano la loro merce con una particolare intonazione di voce". La famosa lettera di Seneca a Lucilio da Baia (Epistole, 56, 1-2) è ancora oggi la più vivace rappresentazione della vita nelle terme romane e se in quel caso si tratta di piccoli bagni di una cittadina di provincia, si può immaginare quale confusione ci dovesse essere in bagni grandi e frequentati come quelli di Caracalla. Le parole di Seneca, insieme a un celebre epitaffio sulla tomba di un romano d’età imperiale che dice "I bagni, i vini, Venere corrompono i nostri corpi, ma sono la vita, i bagni, i vini, Venere". testimoniano dell’importanza che le terme avevano per la vita dei cittadini. Ma non era stato sempre così: durante l'età repubblicana, infatti, il bagno era considerato una mollezza greca alla quale gli uomini, sia i patrizi che gli schiavi, si dovevano accostare il meno possibile per non perdere la forza fisica; anzi il bagno (lavatrina) delle case dei ricchi era situato in un angolo nascosto della casa. Sempre Seneca, descrivendo il bagno di Scipione Africano nella sua villa di Literno, paragonava i costumi repubblicani alle mollezze della sua epoca: "In quell’angolo [...] colui che era stato il terrore di Cartagine lavava il suo corpo stanco dalle fatiche campestri sotto un tetto sordido e su un poverissimo pavimento [...] mentre ai nostri giorni nessuno sopporterebbe di lavarsi così [...]oggi le pareti sono splendenti di marmi rari dell’Egitto e della Numidia [...] la volta ricoperta da ricchissime dorature [...] e il marmo tasio che un tempo si ammirava in rarissimi templi, oggi fascia le piscine nelle quali vanno a tuffarsi i corpi affievoliti dall’eccessivo sudore prodotto dalle stufe". Intorno al II secolo a.C. alcuni intraprendenti imprenditori costruirono bagni pubblici (balnea), dandoli in appalto a gestori, i quali, pur facendo pagare una modesta tassa d’ingresso, il balneaticum, ebbero subito forti guadagni. Il rituale del bagno comprendeva tradizionalmente una sauna, un bagno caldo, uno freddo e il massaggio, in ambienti o in orari diversi per uomini e donne; a questo si accompagnò da subito l’esercizio fisico, che consisteva in ginnastica, lotta, gioco della palla. Tra le terme più antiche in Italia (in Grecia quelle di Olimpia risalgono nelle loro prime fasi alla meta del V secolo a.C.), ci sono quelle stabiane di Pompei, risalenti al IV secolo a.C., e quelle celeberrime di Baia, favorite dalla presenza di sorgenti termominerali e vapori naturali della zona vulcanica dei Campi Flegrei. Anzi fu proprio un imprenditore di Baia, Sergio Orata che, alla fine del II secolo a.C., secondo la tradizione, ebbe la felice idea di riprodurre artificialmente il fenomeno naturale dell`acqua e del vapore caldi, inventando il sistema di riscaldamento artificiale dell'acqua convogliata sotto il pavimento e nelle pareti degli ambienti termali. Il termine "ipocausto" definiva lo spazio sotto il pavimento in cui si accendeva un forno a legna. Il calore di combustione veniva convogliato sotto il pavimento sollevato su pilastrini (suspensurae) che così rimaneva caldo, mentre contemporaneamente l'acqua riscaldata serviva per il bagno caldo nelle vasche (solia o alvei). L`idea determinò il successo del sistema termale in tutto il mondo romano. Nel 33 a.C. a Roma esistevano non meno di centosettanta bagni, secondo un censimento eseguito da Agrippa, il genero di Augusto che, circa dieci anni dopo, inaugurò le terme che da lui presero nome in Campo Marzio, con accesso gratuito in perpetuo per i cittadini, la cui planimetria presenta ancora, però, una disposizione casuale degli ambienti intorno alla sala rotonda centrale, tipica degli edifici termali di età repubblicana. Nella stessa regio, nel 62 d.C. Nerone costruì le sue bellissime terme, celebrate da Marziale (Epigrammi, VII, 34, 4); "Cosa c’e di peggio di Nerone? Cosa c’e di meglio delle sue terme?”. E' questo il primo bagno in cui gli ambienti termali veri e propri (frigidarium, tepidarium, Calidarium) sono disposti lungo un asse centrale, mentre palestre e annessi sono collocati ortogonalmente a essi. Nell’80 d.C. Tito inaugurò le sue terme nella zona della Domus Aurea neroniana, ma di esse abbiamo pochissimi resti e solo qualche disegno rinascimentale. A Nord-Est di esse, nel 110 d.C. Traiano inaugurò i lussuosissimi bagni che da lui presero nome e che inglobarono parti della reggia di Nerone. In esse si canonizzò il tipo delle "grandi terme imperiali", luogo per il bagno, ma anche ricco di portici, giardini, biblioteche, viali, in cui le strutture termali vere e proprie erano collocate nel corpo centrale, separato dal giardino dalle sale di lettura e di ritrovo, che erano a ridosso degli alti muri di cinta che separavano l'edificio dalla città. Il complesso era perfettamente orientato Nord-Est/Sud-Ovest, per sfruttare al massimo l’insolazione, accorgimento che sarà adottato anche in seguito in altri edifici termali. Un secolo dopo i Romani assistettero all'inaugurazione del bagno, che apparve subito come il più sontuoso e grandioso mai costruito, le Terme di Caracalla, superate in grandezza, ma non in magnificenza, dalle Terme di Diocleziano, inaugurate circa novant’anni dopo. Tutte le terme erano centri di ritrovo e il luogo dove passare il tempo libero, fare esercizio fisico, curare il corpo, ma anche mangiare, incontrare amici e conoscenti e dove si poteva passare tutto il pomeriggio, dall’apertura (dalle dodici alle quattordici) alla chiusura (al tramonto). Erano frequentate da tutti i ceti sociali, dai più umili ai più ricchi, e anche gli imperatori le frequentavano volentieri: Augusto e Vespasiano vi giocavano a palla, anzi quest’ultimo, dice Svetonio (Vespasiano, 20), si tratteneva molto tempo nello sferisterio. Tra i giocatori di palla c’erano anche veri e propri idoli delle folle, come Ursus, noto da un’iscrizione del II secolo d.C. (CIL VI, 9797) in cui ricorda: "Il popolo mi lodava e alte grida risuonavano nelle Terme di Traiano, nelle Terme di Agrippa e di Tito, molte anche nelle Terme di Nerone: credetemi pure, sono io, venite a festeggiarmi, o giocatori di palla e adornate, amici, di fiori, viole e rose la mia statua". Ovviamente c’erano anche i parassiti, come quello noto da un epigramma di Marziale (XII, 82): "Nelle terme e nei luoghi accanto ai bagni non e possibile scansare Menogene, pur ricorrendo a ogni espediente. Afferrerà il pallone, sudaticcio con la destra o la sinistra, le sue prese per fare segnare in tuo favore. Raccoglierà dalla polvere la palla lì caduta e te la porterà anche s’egli abbia già fatto il bagno e si sia calzati i sandali [...]. Ti loderà e ammirerà in tutto, fintanto che tu, dopo aver sopportato mille noie, non gli dirai vieni a mangiare con me". Essendo molto frequentate, le terme erano oggetto delle visite dei ladri, i fures balnearii che approfittavano della confusione per introdursi negli spogliatoi (apodyteria) e impadronirsi degli oggetti lasciati incustoditi. Tanto frequenti erano i furti che i ricchi andavano al bagno con uno schiavo che lasciavano a sorvegliare i vestiti. Le donne amavano andare alle terme: infatti già dal II secolo a.C. sono noti bagni con ambienti rigidamente divisi per i due sessi, come sappiamo da Varrone (Della lingua latina, I, 1, 9, 68). Ma già Cicerone lamentava che la separazione tra i due sessi non fosse sempre rispettata (Dei doveri, I, 35, 129) e la stessa abitudine ai bagni "promiscui" scandalizza anche Plinio il Vecchio (Storia naturale, XXXIII, 153), mentre Marziale li accettava come specchio della licenziosa società del suo tempo (Epigrammi, III, 51, 72; XI, 47, 75). L'imperatore Adriano, per fare cessare questo scandalo, stabilì la rigida separazione dei sessi, prescrivendo ambienti separati o adottando orari differenziati (Scrittori della Storia augusta, Vita di Adriano, 18, 10); lo stesso provvedimento fu adottato da Marco Aurelio (Scrittori della Storia augusta, Vita di Marco Aurelio, 23, 8) e da Severo Alessandro (Scrittori della Storia augusta, Vita di Severo Alessandro, 24, 2), per contrastarne uno opposto del vizioso Eliogabalo. Gli orari d’apertura delle terme erano in genere, come si è detto, concentrati tra mezzogiorno e le quattordici e il tramonto, anche se esistono sicuramente le prove che a Pompei e in Lusitania le terme potevano rimanere aperte anche la notte. La tassa d’ingresso era varia, ma sicuramente si trattava di una cifra molto modesta: Orazio (Satire, I, 3, 37) e Marziale (Epigrammi, II, 52; III, 30, 4) parlano di un quadrans, il quarto di un asse, la moneta più piccola battuta al loro tempo, quando per un asse e mezzo si comprava un litro di vino e una forma di pane. All’epoca di Diocleziano il prezzo era di due denarii, il pezzo più piccolo della serie bronzea, con il quale si pagava anche la custodia delle vesti all’interno delle terme. In occasioni o in edifici termali particolari l’ingresso era gratuito, un espediente usato da uomini pubblici per conquistarsi la benevolenza dei cittadini. 1.2_L’Architettura termale: struttura e funzionamento Le terme romane erano edifici pubblici dotati di impianti che oggi chiameremmo igienicosanitari, e rappresentavano uno dei principali luoghi di ritrovo nella Roma antica, a partire dal II secolo a.C. Le prime terme nacquero in luoghi dove era possibile sfruttare le sorgenti naturali di acque calde o dotate di particolari doti curative. Col tempo, soprattutto in età imperiale, si diffusero anche dentro le città, grazie allo sviluppo di tecniche di riscaldamento delle acque sempre più evolute. Il primo esempio di terme può essere fatte risalire ai tempi di Appio Claudio, intorno alla metà del V secolo a.C. quando questi fece condurre in città le acque sorgive di Preneste per mezzo dei primi acquedotti. Per le prime “vere” terme, propriamente dette, fu invece necessario attendere il 27 a.C. quando Marco Vipsanio Agrippa fece realizzare nel Campo Marzio, un complesso termale; non costituito dai solamente bagni, ma unito a un importante complesso di sale e vasti cortili recinti da portici per esercizi ginnici. La magnificenza di queste terme aveva tuttavia una estensione assai limitata se proporzionata a quelle che vennero realizzate in seguito. Lo stile era quello repubblicano, con i vari ambienti disposti senza un ordine preciso, attorno a una vasta sala rotonda centrale. Tutti gli imperatori che succedettero le presero d'esempio e ne costruirono sempre di più grandi e complesse. Così quelle di Nerone,che costituiscono il primo esempio di grandi terme imperiali, in cui gli ambienti termali sono disposti secondo un asse ed il resto degli ambienti disposti simmetricamente lungo un asse orientato secondo la direzione nord – sud. Altri esempi da citare sono le Terme di Tito (80 d.C.), di Traiano (110 d.C.), delimitate da edifici perimetrali ed orientate secondo l'asse nord-est / sud-ovest che ne garantiva l'ottimizzazione dell'insolazione, caratteristica questa ripresa sia dalle Terme di Caracalla (216 d.C.) che di Diocleziano. Lo sviluppo interno tipico era quello di una successione di stanze, che veniva dettata da norme fisse basate su criteri fisici e medici legati ai presunti benefici provocati dai repentini cambi di temperatura. Così da una disposizione dei locali di tipo lineare, tipica dell'epoca repubblicana si passa ad un percorso anulare e dunque a quelle dotate di doppio percorso simmetrico, favorendo in tal modo la divisione fra uomini e donne.I frequentatori erano soliti procedere attraverso i vari ambienti delle terme secondo un percorso stabilito. Accedendo quindi dagli ingressisi passava agli spogliatoi (apodyterium) quindi a sale dedicate alla preparazione alla ginnastica (elaeothaesium). Prima di accedere all'acqua era consuetudine passare da ambienti per il raschiamento, ovvero della pulizia del corpo (destrictarium), e l'unzione con oli (elaeothaesium). Il cuore delle terme era costituito dagli ambienti dotati di vasche d'acqua. A seconda delle temperature si distinguevano tepidarium, frigidarium, e calidarium, anch'essi frequentati secondo un ordine prestabilito, ordine che prevedeva anche il passaggio attraverso la saune (laconicum). Il percorso terminava con un bagno nella natatio, ovvero la piscina natatoria scoperta. IL CALIDARIUM Il calidarium era la parte delle antiche termedestinata ai bagni in acqua calda e ai bagni di vapore. Esso poteva avere forma rotonda o rettangolare, con una o più vasche (piscinae) di acqua calda, o bagni individuali. Generalmente era posto nel lato sudosud-ovest delle terme, allo scopo di sfruttare il calore naturale del sole. Nelle strutture più antiche il calore era ottenuto con semplici bracieri. Col tempo venne sempre più utilizzato dai Romani un sistema di riscaldamento per mezzo di aria calda circolante sotto il pavimento e attraverso le pareti, l'ipocausto, la cui ideazione veniva attribuita a Sergio Orata. Il pavimento del calidarium era formato da uno strato di calcestruzzo, che poggiava su pilastri di mattoni (suspensura) in uno spazio cavo destinato alla circolazione dell'aria calda. Questo sistema poteva essere completato trasportando l'aria calda anche nelle pareti del calidario per mezzo di condotti in laterizio (tubuli). Negli scavi archeologici, la presenza delle strutture dell'ipocausto (le suspensure in mattoni e i tubuli nelle pareti), permettono di identificare i locali dotati di riscaldamento. Il calidarium poteva comprendere il laconico, cioè il sudatorio (ambienti surriscaldati per provocare la sudorazione) e l'alveo (vasca per il bagno in acqua calda). Non è nota con sicurezza la temperatura che veniva ottenuta di solito nei caldari. La temperatura nei moderni bagni turchi è dell'ordine di 35 °C mentre nelle saune finlandesi si possono raggiungere i 70 °C. È noto che i Romani calzavano sandali con suola di legno; poiché queste calzature dovevano resistere alla temperatura dei calidari, si ritiene che la temperatura in un determinato calidario non potesse superare la temperatura di 50-55 °C. IL FRIGIDARIUM Il frigidarium era la parte delle terme dove potevano essere effettuati bagni in acqua fredda. Il frigidario poteva avere forma rotonda (come nelle Terme Stabiane a Pompei), o più spesso rettangolare, con uno o più vasche (piscinae) di acqua fredda. Nella sala si giungeva attraverso il calidarium e tepidarium. Per mantenere la temperatura ottimale, i frigidari erano esposti generalmente al lato nord delle terme, con piccolissime aperture verso l'esterno, quel tanto che era sufficiente per garantire l'illuminazione e a impedire il riscaldamento attraverso il calore solare. A differenza della piscina natatoria, il frigidario era generalmente coperto. Se necessario, l'acqua era mantenuta fresca con l'aggiunta di neve.I più grandi frigidari che ci sono pervenuti dall'antichità sono nel complesso delle terme di Caracalla (il frigidarium misura 58 x 24m) e in quelle di Diocleziano, coperto da una volta a crociera, in prossimità del piccolo chiostro. IL TEPIDARIUM Il tepidarium era la parte delle terme destinata ai bagni in acqua tiepida, spesso situato tra il frigidarium e il calidarium, e mantenuta a temperatura moderata. Riscaldato moderatamente da una corrente d'aria calda che passava sotto il pavimento sorretto da suspensura, il tepidario era un ambiente di passaggio tra le sale del calidario, destinate ai bagni caldi e alla sudorazione, e al frigidario, la sala destinata ai bagni freddi, dunque fungeva da filtro per questioni legate al cambio di temperatura. Ricordiamo che dal tepidarium delle terme di Diocleziano è stata ricavata l'attuale basilica di Santa Maria degli Angeli. 1.3_Le terme di Caracalla 1.3.1_Storia del complesso Le Terme di Caracalla sono uno dei più grandi e meglio conservati complessi termali dell’antichità. I ruderi delle Terme, che si ammirano ancora per la notevole altezza di oltre 30 metri in alcuni punti, ci danno oggi solo l’idea della grandiosità del complesso termale secondo per grandezza solo a quello, successivo di quasi un secolo, delle Terme di Diocleziano – ma le dimensioni dell’edificio e la monumentalità degli ambienti, conservati per due piani in alzato e per due livelli sotto terra, ci permettono di immaginarne la fastosità. Concepite probabilmente da Settimio Severo, le Terme furono inaugurate nel 216 d.C., sotto il regno del figlio, Marcello Aurelio Antonino Bassiano, detto Caracalla, nella XII regio, Piscina Pubblica, posta nella parte meridionale della città, abbellita e monumentalizzata dai Severi con la Via Nova, tracciata da Caracalla in direzione delle nuove terme e il Septizodium, un grandioso Ninfeo a più piani, simile alla scena di un teatro ellenistico, voluto da Settimio Severo sulle pendici sud-occidentali del Palatino, come quinta monumentale della Via Appia. Elio Sparziano nella sua “Vita di Caracalla” ci informa che l’imperatore costruì “thermas eximias et magnificientissimas”, ma sappiamo da altri autori che esse furono completate, nei porticati ed in alcune decorazioni, dai suoi successori, Eliogabalo e Severo Alessandro, e quindi si poterono dire ultimate nel 235 d.C. Restauri furono eseguiti da Aureliano, dopo un incendio, e da Diocleziano, che intervenne con lavori sull’acquedotto (Aqua Antoniniana), che da lui prese il nome di forma Iobia. Costantino modificò il Calidarium, con l’inserimento di un’abside semicircolare, lasciando testimonianza del suo intervento in un'iscrizione conservata nei sotterranei dell’edificio. Nel V secolo d.C. le Terme erano perfettamente funzionanti, come è documentato dalle parole di Polemio Silvio, che le cita come una delle sette meraviglie di Roma, famose per la ricchezza delle loro decorazioni e delle opere che le abbellivano, e di Olimpiodoro, che parla della loro grandiosità, misurabile anche dai milleseicento "sedili" per il pubblico che vi si trovavano. Che le Terme fossero perfettamente funzionanti in quel periodo é dimostrato anche dai dati di recenti scavi nelle gallerie, che hanno testimoniato lavori risalenti a quegli armi. Le Terme vissero solo tre secoli, in quanto furono definitivamente abbandonate dopo il 537 d. C., a seguito dell’assedio di Roma ad opera di Vitige, re dei Goti, il quale tagliò gli acquedotti per prendere la città per sete. Da quel momento il complesso termale perse di importanza, anche a causa della pericolosità della sua posizione, troppo fuorimano rispetto al centro, dove si andavano concentrando gli abitanti per la paura degli invasori. Giunsero quindi gli anni dell’oblio, nei quali forse il monumento fu il cimitero dei pellegrini ammalatisi durante i viaggi per Roma e ricoverati nel vicino Xenodochium dei Santi Nereo e Achilleo: il ritrovamento in anni recenti di alcune povere tombe del VI-VII secolo all’interno del recinto perimetrale ha fatto supporre che nelle Terme fossero seppelliti appunto i pellegrini. Ci sono testimonianze, nel Liber Pontificalis, di restauri all’acquedotto, almeno fino al IX secolo, da parte dei papi Adriano I, Sergio II e Nicolò I, che, insieme alle tracce evidenti di calcare negli alloggiamenti dei tubi, quando questi erano già stati asportati, e di concrezioni massicce nelle gallerie, dimostrano che comunque l’acqua continuò a fluire qui, liberamente per secoli. Già nel XII secolo le Terme furono cava di materiali per la decorazione di chiese e palazzi: tre capitelli con le aquile e i fulmini, simboli di Zeus, provenienti dalla palestra orientale, furono posti in opera, nel duomo di Pisa, dopo opportuni riadattamenti. La medesima sorte subirono, nello stesso secolo, gli otto capitelli con Iside, Serapide e Arpocrate provenienti dalle biblioteche e riutilizzati nella chiesa di Santa Maria in Trastevere. Nei protocolli notarili del XIV secolo il luogo era detto Palatium Antonianum ed era sicuramente adibito a vigne ed orti, vista anche la grande quantità d'acqua disponibile. Ma ancora nel XV secolo le sue importanti rovine suscitavano l’entusiasmo dei rari visitatori, quali Poggio Fiorentino, che nel 1450 scriveva: “Delle terme del figlio di Severo, Antonino, grandissime vestigia restano, più che delle altre, le quali attirano grande ammirazione dei riguardanti che non sanno farsi un’idea a quale uso fosse stata innalzata quella mole così portentosa di fabbricati, e l’apparato ti tante colonne così grandi e di marmi così diversi”. Durante il pontificato di Giulio II, nei primi anni del XVI secolo, ancora restavano in piedi, anche se sepolte dalle rovine, molte colonne e la parte centrale delle Terme era visitabile. Pochi anni dopo la situazione precipitò, a seguito degli scavi di papa Paolo III Farnese, per la costruzione del suo nuovo palazzo, momento fondamentale per la storia delle Terme. Nel 1545-1547 grandi statue, oggetti preziosi, bronzi, gruppi colossali, furono rinvenuti all’ “Antoniniana”, suscitando grande interesse nei contemporanei. Dopo gli scavi Farnese, le Terme di Caracalla vissero un lungo periodo di abbandono: nella seconda metà del XVI secolo sappiamo che papa Paolo V le concesse in proprietà ai Gesuiti del seminario romano per portarvi i ragazzi a giocare nei giorni di festa. Si disse anche che Filippo Neri conducesse alle Terme i ragazzi del suo oratorio e che sia stato lui a far dipingere l’affresco della Vergine sorretta da un angelo ancora visibile in un ambiente prospiciente la natatio. Tra il XVI ed il XVII secolo, l'interesse per la grandiosa architettura dell'edificio ci ha lasciato disegni di celebri autori, quali il Falda, Giuliano da Sangallo, il Palladio, il Piranesi ed il Nolli. Nel 1824 scavi sistematici furono iniziati nel corpo centrale dal conte Egidio Di Velo: essi portarono alla luce, tra l’altro, i famosi mosaici pavimentali con gli atleti, attualmente conservati ai Musei Vaticani. Gli scavi continuarono fino alla metà del secolo a opera di Canina nel frigidarium e poi a opera di Guidi nel 1860-1867. Quest’ultimo rinvenne, nell’angolo sud-orientale delle Terme, a una quota di circa 8 metri sotto l’attuale livello di calpestio, una ricca domus di età adrianea, con pavimenti a mosaico e affreschi di II stile alle pareti. Quelli della stanza più interessante, il lararium, sono stati staccati e restaurati nel 1975 ed ora sono collocati in un ambiente della palestra orientale. Negli anni 1866-1869 fu scavato il corpo centrale dell’edificio e furono rinvenuti i celebri capitelli figurati, colonne di porfido ed un torso di Eracle. Altre ricerche furono compiute nel 1870, anno in cui il monumento divenne proprietà del governo italiano, da Pietro Rosa, che si concentrò sulla palestra orientale, mentre nel 1878-1879 Fiorelli scoprì il pavimento in opus sectile marmoreo del Calidarium e quello a mosaico della palestra occidentale, che venne completamente scavata. Nei primi anni del Novecento si procedette all’esplorazione del recinto perimetrale e di parte dei sotterranei; questi scavi portarono alla scoperta dei vani compresi nella grande esedra occidentale, della biblioteca e, nel sottosuolo, del Mitreo e di quello che recenti studi hanno identificato come un mulino ad acqua. L’esplorazione sistematica delle gallerie, in parte già note dal Settecento e dall'Ottocento, iniziò nel 1901, per proseguire ad est negli anni 1937-1938, in occasione dei restauri delle stesse per l’impianto del palcoscenico del Teatro dell’Opera nel Calidarium. I restauri furono eseguiti dal Governatorato della Soprintendenza ai Monumenti del Lazio, ma di essi esiste purtroppo solo una esigua documentazione. Dopo questo periodo, i lavori più importanti nel monumento sono stati senz’altro quelli degli anni ottanta, quando il recinto meridionale è stato completamente liberato dalla fitta vegetazione e dalle case abusive che ancora lo occupavano parzialmente ed il complesso, restaurato nel lato sud, nelle cisterne e nella biblioteca sud-ovest, e in quello est, nel cosiddetto Tempio di Giove, è stato finalmente restituito nella sua pianta originaria. Per gli anni Novanta un momento significativo della storia delle Terme può senz’altro essere individuato nel 1993, anno dell’ultima stagione lirica estiva del Teatro dell’Opera nel Calidarium, dopo un'occupazione che risaliva al 1938. Nel 1996, infine, risale l'ultimo ritrovamento statuario nelle Terme di Caracalla: una statua di Artemide acefala, stante, vestita di corto chitone, utilizzata come basolo di strada della pavimentazione delle gallerie sotterranee. La statua è esposta, dall’Aprile del 1997, nell’aula ottagona (ex Planetario) delle Terme di Diocleziano, insieme a numerose altre prove delle Terme. Nel 1998 le Terme sono state liberate, con un lavoro attento, da tutte le strutture arrugginite del vecchio palcoscenico del Teatro dell’Opera che risalivano al 1938. I lavori sono durati circa un anno, ed a questi si sono susseguiti i lavori per il Giubileo, con la costruzione di nuovi servizi per il pubblico e di una nuova recinzione. Nel 2001 le Terme sono state riaperte alla musica classica, ospitando per due anni la stagione estiva dell’Accademia di Santa Cecilia, ed alla lirica, accogliendo di nuovo la stagione del Teatro dell’Opera, con un palcoscenico all’aperto temporaneo e rimovibile, lontano dalle strutture del Calidarium, e nel pieno rispetto del monumento che, in molti casi, è stato preferito dai registi come unica, monumentale scenografia. CARACALLA Marco Aurelio Antonino Bassiano nacque a Lugdunum, il 4 aprile del 188 d.C., quando suo padre, Settimio Severo, era governatore della provincia gallica. Quest’ultimo, un ambizioso senatore di origine africana, fu acclamato imperatore dalle legioni del Danubio nel 193 e rimase unico padrone del l’impero nel 197 dopo essersi liberato di tutti gli altri pretendenti. La madre di Bassiano, Giulia Domna, era la figlia del sommo sacerdote di El Gabal a Emesa: a lei gli oroscopi avevano predetto che avrebbe sposato un re; Caracalla aveva un fratello, Geta, con il quale i rapporti furono difficili sin dal l’infanzia. Era, cosi almeno narrano le fonti, un giovinetto amabile, intelligente, affabile e sempre pronto ad atti di benevolenza, sed haec puer, ma questo riguarda la sua fanciullezza. Quando aveva quindici anni, nel 203, Severo gli fece sposare Plautilla, figlia del suo favorito Plautianus e cinque anni più tardi lo porto con sé in Britannia. Lì Bassiano, che aveva già mutato profondamente carattere diventando più torvo , severo e ossessionato dalla volontà di somigliare ad Alessandro Magno, prese parte con il padre e il fratello Geta alla guerra contro i Caledoni. Nel febbraio del 211 Settimio Severo morì a Eboracum e i suoi due figli si affrettarono a concludere la pace e a tornare a Roma, con la madre Giulia Domna, ai primi di maggio per assumere insieme le redini dell’impero. Erodiano racconta che il palazzo imperiale sul Palatino fu addirittura diviso in due, con ingressi e vestiboli indipendenti, per evitare che i fratelli si incontrassero. Anche l’impero fu diviso a metà e Caracalla tenne per sé la parte occidentale. Nel febbraio del 212 Geta morì ucciso dal fratello tra le braccia della madre. Gli autori antichi narrano che, dopo aver compiuto il delitto, Caracalla si rifugiò presso l’esercito, quasi fosse scampato ad un attentato ordito da Geta; successivamente, convincendo i pretoriani a forza di donativi e di promesse, riuscì a farsi proclamare unico imperatore e cominciò a uccidere gli amici e i partigiani del fratello. Più di mille vittime perirono in questo modo, e tra questi il celebre giurista Papiniano, grande amico del padre, al quale si era rivolto per farsi difendere dall’accusa di fratricidio e dal quale aveva avuto uno sdegnoso rifiuto con il pretesto che scusare un tale delitto non era altrettanto facile che commetterlo. Caracalla si abbandonò quindi a una serie di atti sanguinari alternati da atti di religiosità morbosa, in uno dei quali decretò l’apoteosi del fratello, mentre prima ne aveva ordinato la damnatio memoriae, e cioè la sparizione di ogni effigie e di ogni ricordo scritto. Scriveva al Senato che in lui abitava lo spirito di Alessandro Magno, tanto che camminava sempre con la testa reclinata verso destra, come nei ritratti più noti del macedone. Caracalla affidò tutta la gestione della politica interna al consilium principis, presieduto dalla madre, che fu in tutto e per tutto l’imperatrice regnante e la responsabile dell’impero, mentre il figlio si occupava solo dell’amatissimo esercito. Giulia Domna, che regnò incontrastata come imperatrice madre, aveva la direzione e il controllo dei problemi amministrativi, dei registri, della corrispondenza imperiale greca e latina. I suoi titoli Pia e Felix, riservati sino a quel momento agli imperatori, la garantivano e la legittimavano in nome della pietas imperiale e del carisma augusteo. Governò il mondo in qualità di madre della patria, forse non amando il figlio fratricida, ma sicura che egli avrebbe regnato per un tempo assai lungo, sostenuto dall’appoggio incondizionato dell’esercito. Mentre la madre di fatto governava l’impero, Caracalla compiva numerose imprese militari, sia per difendere i confini dalle invasioni sia per cercare nuove entrate economiche; le imprese si svolsero in Europa e in Oriente. Nella primavera-estate del 213 egli partì per le Gallie dove, a Narbona, condannò a morte un gran numero di cittadini e il governatore della provincia. Da questa zona probabilmente aveva importato la veste che poi gli diede il soprannome, il mantello detto “caracalla”, dotato di un ampio cappuccio che egli amava indossare e che fece distribuire ai cittadini romani. Partì poi per la Germania per fare la guerra ai Catti e agli Alemandi, ma ne uscì sconfitto e dovette comprarsi la pace a peso d’oro. L’anno dopo andò in Tracia a combattere contro i Geti e da li passò in Asia Minore. Fondò una colonia a Edessa e, dopo aver saputo che gli abitanti di Alessandria parlavano di lui con disprezzo e lo disapprovavano per l’uccisione di Geta, fece mettere la città a ferro e fuoco. Infine, nel 215 si recò ad Antiochia per preparare la guerra ai Parti, saccheggiò il paese, disperse le ossa dei re e ne saccheggiò i sepolcri. Tornò quindi a Edessa a passare l’inverno (216-217) e celebrò nelle monete la vittoria partica. Nel 212 durante il viaggio tra Edessa e Carre, dove si stava recando a visitare il tempio del dio Luno, un soldato lo pugnalò mentre scendeva da cavallo per ordine del suo prefetto Macrino, che si fece proclamare imperatore dai militari. Questa, in sintesi, la biografia di Caracalla secondo Dione Cassio e l’Historia Augusta, ma la sua vita e le sue opere devono essere considerate anche in base a dati storici certi. Se gli autori antichi sono poco generosi con l’imperatore, descrivendolo come un folle e sanguinario fratricida, la storia gli deve atto di un provvedimento di straordinaria importanza per l’evoluzione dell’impero: la politica di Caracalla fu quella di raggiungere l'unificazione interna ponendo nella stessa condizione tutti gli abitanti dello Stato. Conseguenza e strumento di questo disegno politico fu la concessione della cittadinanza romana a tutti gli abitanti delle province, la Constitutio Anroniniana. L’impero versava, inoltre, in una grave crisi politica ed economica: le larghissime elargizioni di denaro destinate ai militari richiedevano infatti un continuo flusso di moneta, in parte procurata dal raddoppio delle tasse sulle eredità e sulle manomissioni, in parte con le nuove provvidenze monetarie che riducevano il valore del denaro; in quel periodo fu istituita la figura del Corrector Italiae, con l’incarico di riorganizzare le finanze dei municipi d’Italia. La Constitutio Antoniniana è a stento ricordata dagli storici: Dione Cassio, personaggio non secondario e testimone diretto di quegli anni, la cita solo in un passo che descrive le misure vessatorie con cui Caracalla cercava di accrescere le entrate dello Stato per poter arricchire i soldati, da sempre i suoi prediletti; Erodiano, altro autore all’incirca coetaneo di Caracalla e funzionario imperiale, non ne fa minimamente cenno; lo stesso dicasi per l’Historia Augusta, nella quale si trovano informazioni anche spicciole sull’imperatore, ma non questa. Ma l’indifferenza o la poca comprensione per la portata storica dell’editto non ci devono stupire, poiché spesso le grandi trasformazioni della storia non vengono capite dai contemporanei, ma solo dai posteri. Con la Constitutio Antoniniana, infatti, l’impero diventa patria di tutti quelli che vi abitano e che si riconoscono nel titolo comune di civis Romanus sotto leggi che sono le stesse per tutti, in ogni angolo dell’impero e per tutti i suoi abitanti. L’altro provvedimento da lui adottato fu la creazione dell'antoninianus, una moneta contenente tanto argento quanto se ne trovava nel denarius, ma che valeva una volta e mezzo quest’ultimo, destinato a diventare, nel corso del III secolo, la moneta cardine del sistema (una soluzione geniale, una svalutazione attuata non diminuendo la percentuale di metallo nobile, ma il suo standard ponderale). Si trattò di un provvedimento che tendeva a stabilizzare il sistema monetario con la coniazione di un nominale argenteo che fosse meno sopravvalutato del denarius rispetto al suo contenuto di metallo fine. In realtà sembra che la riforma monetaria di Caracalla, oggetto di divergenti interpretazioni da parte degli storici, sia stata causata dalla volontà di ristabilire la "fiducia" nella moneta imperiale, fortemente indebolitasi dopo la drastica svalutazione attuata da Settimio Severo, padre di Caracalla, ma che non bastò a risolvere la crisi inflazionistica nella quale versava lo Stato. Le spese generali erano infatti cresciute moltissimo con l'aumento del numero delle legioni voluto da Settimio Severo, ma la persistenza del pericolo sul fronte renano-danubiano e su quello orientale rendeva improponibile ogni ipotesi di contenimento della spesa militare. Se la tradizione letteraria filo-senatoria ha infatti sempre dipinto Caracalla come l’imperatore che spendeva patrimoni per l’esercito, tuttavia è vero che il potere imperiale, in questo modo, prendeva atto del ruolo decisivo che, ancor più che in passato, giocava l’elemento militare. Le spese per gli armamenti erano, cioè, incomprimibili e a esse si era anche aggiunta la voce dei tributi per comprare la pace dai barbari. Inoltre erano cresciute le spese per le opere pubbliche e quelle per l’annona della capitale. In conclusione, dobbiamo rivalutare la figura di questo imperatore "maledetto" alla luce di quelli che sono stati i suoi numerosi meriti storici, non ultima la costruzione delle Terme, e considerando il breve e travagliato periodo del suo regno. 1.3.2_Il cantiere e l'architettura Le Terme di Caracalla occupano una superficie rettangolare di circa 337x328 metri. Il cantiere di costruzione fu un'opera di grande ingegneria: per costruire la piattaforma e colmare il dislivello tra il colle del piccolo Aventirio e la valle delle Camene fu progettato un cantiere a tre grandi terrazze digradanti, che nella parte più settentrionale era costituito da archi in laterizio, che al tempo stesso costituivano la sostruzione della piattaforma e i sotterranei per i servizi. La parte più a monte era invece circondata dal muro di cinta che sostruiva e conteneva il colle che fu scavato e che in parte servì da materiale di costruzione dell’edificio. La differenza di quota tra il livello più basso e quello più alto era di circa 14 metri, ma il primo livello fu parzialmente riempito con terra compattata sino a raggiungere il piano di calpestio di 26 metri sul livello del mare. Nel livello più basso si trovavano tutte le gallerie di servizio, i cunicoli e le fogne, oltre alle aree di immagazzinaggio. Si è calcolato che alla costruzione dell’edificio abbiano lavorato novemila operai al giorno per circa cinque anni, contando tutti coloro che hanno cavato o prodotto i materiali, li hanno trasportati sul posto e quanti hanno materialmente costruito e poi decorato l’edificio. Solo i laterizi dei sotterranei e del sopraterra dovevano essere milioni. C’erano almeno duecentocinquantadue (252) colonne, sedici delle quali alte più di 12 metri. L'approvvigionamento idrico era assicurato dall’acquedotto fatto costruire da Caracalla come derivazione dell’aqua Marcia, arricchita con la captazione di nuove sorgenti, che prese il nome di aqua Nova Antoniniana dall’imperatore. L'edificazione dell’acquedotto deve avere necessariamente costituito uno dei momenti prioritari del programma costruttivo. La sua datazione è resa possibile dal ritrovamento dell’iscrizione dedicatoria del nuovo braccio, che ci riporta all’anno 212 d.C., secondo del regno del solo Caracalla. Il percorso dell’acquedotto non è ricostruibile con certezza, tranne che per il tratto già noto da tempo che va dal cosiddetto Arco di Druso, un sovrapassaggio dell’acquedotto sulle Mura Aureliane di fronte a Porta Appia, alle Terme, ma alcuni segmenti sono stati definitivamente riconosciuti, quali un tratto alla circonvallazione Appia, lungo 5 metri, e un altro in piazza Galeria, lungo 4,5 metri; un altro è costituito dall’incrocio con le Mura Aureliane mentre quelli in sotterraneo sono molto meno conosciuti. Dopo il cosiddetto Arco di Druso, un altro segmento lungo circa 6 metri è conservato a largo delle Terme di Caracalla. L’arrivo dell’acquedotto (castellum aquae) era situato sul lato meridionale delle Terme, dove sono ancora conservate in parte le diciotto cisterne che garantivano una maggiore portata d’acqua nei momenti di necessità (manutenzioni, svuotamento delle piscine, sostituzione delle tubature in piombo, lavaggio degli ambienti prima e dopo l’arrivo del pubblico ecc.). Recenti studi sul sistema idrico delle Terme hanno rivelato la complessità del progetto e del funzionamento dei sistemi di approvvigionamento idrico, riscaldamento e scarico. L'adduzione dell’acqua era garantita, come detto, dall’Acquedotto Antoniniano: dalle cisterne si dipartivano i tubi in piombo, che rifornivano tutte le utenze dell’edificio, con vari percorsi e differenti diramazioni che raggiungevano tutte le vasche e le fontane sparse nelle Terme. Probabilmente le vasche del frigidarium e della natatio erano alimentate in continuo, a differenza di quelle d’acqua calda che erano riempite e svuotate di volta in volta. Il sistema fognario era articolato intorno ad una grande galleria centrale profonda circa 10 metri sotto il piano di calpestio delle Terme, nella quale confluivano tutti gli scarichi e le acque piovane. Il sistema sotterraneo di manutenzione era garantito da una fitta rete di gallerie che raggiungeva tutte le parti dell’edificio; nei sotterranei al di sotto del Calidarium era collocato tutto il sistema di riscaldamento con i praefurnia (ve ne dovevano essere circa cinquanta, dei quali ventiquattro sono conservati, ed altrettanti sono ipotizzabili grazie alle tracce nelle murature, per un calcolo di simmetria) e le caldaie per il riscaldamento dell’acqua. I forni consumavano in media 10 tonnellate al giorno di legname, che era conservato in alcune parti delle gallerie, adibite proprio a deposito (è stato calcolato che nei sotterranei fosse possibile accumulare oltre 2000 tonnellate di legna, pari alle necessita di consumo di sette mesi). Un momento preliminare essenziale alla costruzione dell’edificio deve essere stato, oltre all’impianto dell‘acquedotto, la creazione della nuova viabilità d’accesso alle Terme, la via Nova Antoniniana, che correva davanti al lato Nord del complesso, collegando il Circo Massimo con la via Appia. La strada, che gli autori antichi ricordano per la sua bellezza, era molto ampia e costituiva sicuramente il degno accesso a quelle che erano le Terme più belle della città ed uno degli edifici più ricchi di opere d’arte dell’epoca, ma fu anche una facile via di trasporto dei materiali da costruzione che, portati in grande quantità, dovevano essere immagazzinati nello stesso cantiere. Mentre probabilmente quattro erano gli accessi sul lato principale (Nord) dell’edificio, un solo ingresso è oggi riconoscibile sul lato Sud-Ovest: esso consisteva in un monumentale scalone d’accesso dal lato del colle del piccolo Aventino e uno scalone simmetrico doveva essere sul lato opposto. Lo schema planimetrico del complesso è quello delle "grandi terme imperiali", non solo edificio per il bagno, ma anche luogo per il passeggio e lo studio, oltre che per lo sport e la cura del corpo. Orientato Nord-Est/Sud-Ovest, il blocco centrale, il vero e proprio edificio termale, è completamente staccato dal recinto che le circonda, dove erano collocate a Sud le cisterne e le due biblioteche simmetriche, a Ovest e a Est due grandi esedre racchiudenti ambienti caldi e di ritrovo, a nord gli accessi principali e le tabernae inserite nel recinto perimetrale. Nel lato Sud davanti alle cisterne correva una gradinata, interpretabile forse, più che come uno stadio, secondo l'identificazione tradizionale, come una cascata d'acqua. Nell’angolo Sud-Ovest del complesso, una monumentale scalinata costituiva l’accesso alle Terme dal colle Aventino. Accanto ad essa é ancora oggi riconoscibile l’unica superstite delle due biblioteche, oggetto di compiute indagini di scavo negli anni ottanta, dopo i primi saggi del 1912 che portarono alla sua scoperta. L'ambiente, a pianta rettangolare di 38x22 metri, presenta tre pareti coperte da nicchie, in numero di trentadue, che dovevano servire per l'alloggiamento degli armaria lignei per contenere i libri; in una nicchia più grande, al centro della parete Sud, doveva invece essere collocata la statua di Atena od un qualche gruppo scultoreo. Davanti alle tre pareti correva una "banchina" di muratura che doveva essere una specie di sedile per la consultazione dei volumina. Il pavimento della biblioteca è un bell’esempio di opus sectile marmoreo con motivo a quadrati e rettangoli con dischi inscritti, dei quali sono stati trovati molti frammenti di marmi colorati ancora in situ. Il recinto delle Terme, circondato di portici, era diviso dal corpo centrale per mezzo di un grande xystus o giardino per il passeggio e la conversazione. Dello xystus ci parlano Vitruvio e Plinio dicendoci che esso era il giardino preferito vicino alle ville e ai palazzi più sontuosi ed aveva la caratteristica di essere circondato da portici su uno o più lati. La pianta del corpo centrale si presenta come un volume rettangolare chiuso di circa 214x110 metri, dal quale sporgono solo il Calidarium circolare e due piccole esedre laterali, inglobate in due ambienti rettangolari simmetrici che sono riconosciute, anche da confronti planimetrici con altri edifici termali, come palestre, circondate da portici e forse coperte al centro. Altri ambienti dalla chiara destinazione d’uso sono gli apodyteria o spogliatoi, la natatio o piscina scoperta, il frigidarium, grande aula coperta con quattro vasche di acqua fredda sui lati lunghi, il tepidarium con due vasche e il Calidarium con sette vasche per i bagni d’acqua calda. Ai lati del Calidarium si trovavano gli ambienti per le sudationes, i laconica. L'edificio si articolava su due piani, almeno nelle palestre, negli ambienti ad esse annessi e negli apodyteria, in due dei quali sono ancora conservate le scale d’accesso al piano superiore illuminate da strette finestre. Nel secondo piano dovevano collocarsi ambienti la cui destinazione d’uso è difficilmente ricostruibile, ma che possiamo immaginare destinati al massaggio, all’elioterapia, alla depilazione. Analizzando la pianta dell’edificio in maniera più dettagliata si nota che esso presenta i vestibula, ingressi sul lato Nord, gli apodyteria e le palestre, doppi e simmetrici rispetto al corpo termale vero e proprio; in quest’ultimo invece la natatio, il frigidarium, il tepidarium e il Calidarium sono disposti su un unico asse, per evitare al massimo la dispersione di calore e al contempo sfruttare appieno l’insolazione e l'esposizione ad occidente delle zone calde, dove d’estate il sole batte fino al tramonto. Un ambiente di grande rilevanza architettonica e monumentale è il frigidarium, un grande salone che rappresentava il vero e proprio centro dell’edificio, compreso tra natatio e Calidarium e che costituiva con quest’ultimo la parte più notevole del complesso termale. Il frigidarium era una vasta aula, di 58x24 metri, coperta da tre grandi crociere che poggiavano su otto colossali colonne di granito grigio egiziano addossate alle parati, che in realtà ne sostenevano la spinta e contemporaneamente collegavano l'ambiente a quelli vicini, mentre sul lato Nord il prospetto si presentava scandito da tre grandi archi che incorniciavano la bellissima parete a nicchie della natatio. Tutti i pilastri arano collegati tra loro da due ordini di arcate, delle quali il superiore aveva grandi finestre. I lati lunghi erano occupati alle estremità da quattro nicchioni in cui si trovavano la vasche per l‘acqua fredda, aperte verso l'interno del grande salone con due colonne di porfido e sovrastate da grandi arcate. La grande sala aveva una pavimentazione in opus sectile marmoreo, a lastroni di marmo con dischi di granito e porfido entro quadrati, mentre le pareti erano ricoperte da una zoccolatura marmorea policroma, della quale ora resta solo la preparazione. Probabilmente nelle nicchie alle pareti, dove erano collocate le statue, c'era un rivestimento di mosaici di pasta vitrea che creavano un effetto iridescente con l’acqua. Il frigidarium aveva la funzione principale di raccolta e di smistamento dei frequentatori delle Terme da una sala all’altra dell’edificio, in quanto la sua posizione centrale lo rendeva il fulcro dei percorsi dei bagnanti, ma aveva anche la funzione di piscina fredda coperta, per la presenza delle quattro grandi vasche, due delle quali comunicanti con il tepidarium sul lato Sud, e le altre due invece collegate, probabilmente con un gioco di cascata, con la natatio sul lato Nord. Su quest‘ultimo, al centro tra le due grandi vasche in muratura, è riconoscibile l'alloggiamento di una grande vasca-fontana circolare, ora conservata al Museo Archeologico di Napoli. La monumentale aula di tipo basilicale del frigidarium ha ispirato l’architettura di molti altri importanti edifici pubblici successivi, quali le Terme di Diocleziano e la Basilica di Massenzio, ma la sua influenza non si fermò agli edifici imperiali; infatti, gli architetti che costruirono nell’Ottocento le stazioni ferroviarie di Chicago e la Pennsylvania Station di New York copiarono esattamente la sua architettura. Altro ambiente di grande rilevanza monumentale e architettonica era il Calidarium, a pianta circolare, pavimentato di marmo, coperto da una cupola di quasi 36 metri di diametro, di poco più piccola di quella del Pantheon. Le pareti erano attraversate da una doppia serie di archi che scaricavano solo su otto pilastri in muratura il peso della cupola; sotto gli archi si aprivano ampie finestre a vetri, che con la loro grande dimensione dovevano contribuire notevolmente al riscaldamento dell’ambiente tramite irraggiamento solare e, contemporaneamente, alleggerire il peso dell’intera struttura. Il Calidarium comunicava, attraverso un passaggio, con il tepidarium e mediante due porte laterali con le saune (laconica). Al di sotto dell’ambiente si trovavano i forni per il riscaldamento dell‘acqua che riempiva le sette vasche di marmo (9x5x1 metri) della sala. Di tali vasche, sei sono ancora riconoscibili, la settima deve essere stata sostituita da una piccola abside posta sul lato sud, durante il già citato restauro di Costantino. Un passo dell’ Historia Augusta, relativo ad una cellam solearem dall’ardita struttura di bronzo, ha creato molte discussioni sull’identificazione di tale ambiente nell’edificio, ma possiamo ormai definitivamente riconoscervi il Calidarium o cella soliaris (dal latino solium = vasca) con una volta metallica al di sotto della cupola. Anche la natatio, vera e propria piscina olimpionica, doveva essere un ambiente di grande impatto monumentale: la sua facciata Nord era divisa in tre parti da gigantesche colonne di granito grigio; ogni parte conteneva sei nicchie per statue, tre per ognuno dei due livelli, divisi da due ordini, il più basso con rocchi di marmo caristio, il più alto di granito del Foro; nella fila di nicchie del piano inferiore sono ancora riconoscibili i condotti dell’acqua che alimentavano a cascata la piscina. L'ambiente era di dimensioni imponenti (50x22 metri) e con pareti di oltre 20 metri d’altezza; sui lati corti si entrava, per mezzo di una scalinata, nella vasca, che non doveva essere molto alta e quindi poco adatta ai tuffi. Un confronto stilistico per questo ambiente é possibile con le frontes scenae dei teatri ellenistici, ma soprattutto con un monumento anche molto vicino topograficamente e cronologicamente, il Septizodium costruito dal padre di Caracalla, Settimio Severo. La parte senz’altro meno nota delle Terme è costituita dai sotterranei di servizio, un dedalo di grandi gallerie carrozzabili (6 metri di altezza per 6 metri di larghezza) che corre sotto buona parte dell'edificio, dove si trovavano tutti i depositi di legname, un mulino, il Mitreo, l'impianto di riscaldamento i forni e le caldaie, ma anche quello idrico, una fitta rete di piccole gallerie che serviva per la posa delle tubazioni in piombo e la gestione dell’adduzione e della distribuzione dell'acqua. L`impianto idrico doveva essere d’altronde perfettamente organizzato per permettere agli inservienti di sopperire alle necessità del funzionamento di un complesso termale così grande e con un numero di frequentatori che, come si è già accennato, calcolando le dimensioni delle vasche e degli ambienti, e il tempo medio di sosta per le fasi della ginnastica, della sauna, del bagno caldo e freddo, raggiungeva facilmente le seimila ottomila persone al giorno, se non oltre. Le gallerie più grandi, quelle del riscaldamento, correvano per centinaia di metri sotto tutto l’edificio ed erano illuminate da lucernai, che permettevano anche la circolazione d’aria ed impedivano al legname lì conservato di marcire. Le loro grandi dimensioni erano legate alla necessità che vi transitassero i carri carichi di legna trainati da cavalli; per questi ultimi erano stati previsti nelle pareti alcuni abbeveratoi, riconoscibili in tre nicchie foderate di cocciopesto in una delle pareti delle tre gallerie simmetriche del lato occidentale. Le volte a botte che coprivano i sotterranei erano foderate da mattoni quadrati (bessales), dalle misure di 19x19 centimetri, a loro volta foderati da bipedali. Il mulino, iniziato a scavare nel 1912 fu all’inizio erroneamente datato alla tarda antichità o al Medioevo. Solo recentemente due studiosi svedesi, Schiøler e Wikander, ne hanno correttamente ricostruito il funzionamento e lo hanno convincentemente datato, sulla base della tecnica edilizia - del tutto omogenea con quella delle Terme di Caracalla - e di alcuni ritrovamenti ceramici, agli anni della costruzione dell'edificio. E' d'altronde credibile che esso fosse una installazione originale e necessaria del complesso termale, vista la grande quantità di bagnanti che vi trascorrevano la giornata e le loro numerose necessità. Probabilmente bruciò intorno alla seconda metà del III secolo, e fu successivamente ricostruito con alcune variazioni nella pianta. Sicuramente fu attivo almeno fino al V secolo periodo in cui le Terme erano ancora perfettamente funzionanti come attestano gli autori antichi (Polemio, Silvio e Olimpiodoro) e i dati di scavo anche recenti. Il Mitreo fu scavato in occasione dei grandi sterri eseguiti nella zona all’inizio del Novecento e pubblicato dal suo scopritore Ettore Ghislanzoni. Ad esso si accede dall'ingresso che si affaccia sulla via Antoniniana e dal quale si entra anche nelle gallerie, separate però da una porta o da un cancello. I sotterranei si articolano in una serie di cinque ambienti, il primo dei quali è una sorta di vestibolo d'ingresso e al tempo stesso di sottoscala di una grandinata che scendeva dal piano delle terme. Questo ambiente presenta, sul lato corto settentrionale, una piccola vasca semicircolare, coperta a semicupola, rivestita in cocciopesto. Da questo, oltrepassando una soglia in travertino (una delle numerose conservate nel Mitreo) ed un passaggio, si giunge in un altro ambiente, chiuso anch'esso da una porta o da un cancello, dove fu trovata, nel 1912, una statua di Afrodite Anadioneme, ora conservata nell'ex Planetario. Si entra quindi nel Mitreo vero e proprio, il più grande di Roma, costituito da un grande ambiente rettangolare, coperto con volte a crociera, pavimentato a mosaico bianco e nero, e con banchine sui lati lunghi. All'inizio dell'ambiente è visibile, scavata nel pavimento, una fossa circolare, coperta da una lastra piana di marmo, nella quale era interrata la grande olla di terracotta contente le spighe. Nella parete lunga occidentale è ancora riconoscibile un affresco rappresentante Mitra o un dadoforo con copricapo frigio e disco solare sul ventre. Ma l’elemento senz’altro più interessante dell’ambiente, peraltro quasi completamente spoglio della decorazione, tranne che per un blocco di marmo, di fattura molto rozza, che doveva rappresentare la petra genetrix, con un serpente tra le rocce, dalla quale era nato il dio. Essa era collegata, attraverso uno stretto passaggio ed una scaletta, con un altro ambiente attiguo, aperto a sua volta su quella che possiamo ritenere una "sagrestia", fornita di un bancone di rozza cortina laterizia sullo sfondo e di una vaschetta circolare con gradini che doveva servire alle abluzioni connesse con il sacrificio. Sull’uso della buca rettangolare, un unicum nei Mitrei conosciuti, le interpretazioni sono diverse, ma si possono così riassumere: la gran parte degli studiosi, ritiene che in essa debba riconoscersi la fossa sanguinis per il sacrificio del toro (taurobolium), che veniva ucciso su una grata in ferro posta sopra la buca, dentro la quale si trovava l'indiziato, vestito con una toga candida, pronto a ricevere il bagno del sangue dell’animale. Altri ritengono invece che fosse una botola per qualche "apparizione spettacolare". Ma più convincente appare la prima ipotesi, che ben si collega con la religiosità di Caracalla e della sua famiglia, indirizzata ad un sincretismo che quasi accomunava divinità classiche e orientali in un unico culto e che mescolava, nello stesso edificio, già all’interno di un bagno imperiale, una statua di Afrodite, un’iscrizione dedicata a Serapide Kosmokrator a cui poi e stato eraso il nome del dio egizio per sostituirlo con quello di Mitra, e infine la fossa per il taurobolium connessa con il culto di Mitra e con quello di Attis. 2_IL TEATRO 2.1_Evoluzione storica del Teatro L’eredità greca Premessa Il teatro greco ha un triplice interesse. I cittadini degli stati greci furono le prime comunità europee a innalzare gli spettacoli drammatici a livello di arte, e i drammaturgi che fissarono le forme della tragedia e della commedia- Eschilo, Sofocle, Euripide e Aristofane- hanno sempre mantenuto intatta fino ad oggi la loro rilevanza. Tali drammaturghi esercitarono un potente stimolo, e dozzine di autori moderni hanno trovato vigore nell’adattare i loro temi leggendari alle condizioni moderne. Allo stesso modo, anche la forma dei teatri classici non rimane un semplice oggetto di studio. In secondo luogo è rilevante il fatto che gli spettacoli festivi a Epidauro e in altri luoghi non sono cose da museo: il teatro moderno in gran parte delle sue linee di sviluppo deriva dai Greci o comunque ha elaborato nuove forme basate sull’analisi di quelle antiche. In terzo luogo c’è il fatto che, dal Rinascimento in poi, le forme e le convenzioni degli edifici teatrali classici hanno condizionato totalmente quelle dei teatri moderni: un teatro d’Opera francese del Settecento, un teatro reale inglese dell’Ottocento e un teatro americano costruito nel ventesimo secolo possono sembrare lontanissimi dai modelli classici, tuttavia, a guardar più da vicino, ci si accorge che tutti derivano da quella unica tradizione. È necessario però ricordare che quando si parla del “teatro greco” ci si riferisce non a una, ma a parecchie realtà. Di solito usando questo termine si ha in mente il grande teatro greco di Atene; ma accanto a questa costruzione famosa vi erano molti altri edifici teatrali eretti in diversi luoghi, lungo un considerevole arco di tempo. Non ci può quindi essere nessun ideale assoluto di teatro greco, anche se, per comodità, possiamo dividere gli edifici esistenti , o quelli per i quali abbiamo qualche prova archeologica sicura, in quattro tipi principali. 1. Il primo tipo ha solo un’importanza storica: i teatri in legno prima di Eschilo che, secondo alcune ricerche recenti, sembra fossero costruiti con pianta trapezoidale e non circolare. Ordini di gradoni messi ad angolo erano disposti in modo da circondare quasi completamente il luogo della danza, forse anch’esso di forma trapezoidale, noto come orchestra. 2. Non si può stabilire con sicurezza il momento preciso in cui apparvero per la prima volta i teatri in legno anteriori ad Eschilo, ma certamente cominciarono a delinearsi molto tempo prima che prendesse corpo, nel V secolo a.C., il secondo tipo, quello ateniese classico. 3. Questo, a sua volta, cedette il passo a quello ellenistico, così detto poiché è il tipo di teatro eretto dal quarto secolo in poi, soprattutto nei territori al di fuori della Grecia vera e propria, sebbene gravitanti nella cultura greca o ellenica. Nell’arte teatrale, questo tipo di teatro fa da riscontro a quel movimento che, nella storia, è simboleggiato dalle conquiste di Alessandro Magno. 4. E infine, nel momento in cui la declinante civiltà greca incontra la cultura romana in rapida espansione, in questa società sorge un quarto tipo di teatro, che per convenzione è chiamato greco-romano. Il teatro prima di Eschilo, il teatro classico ateniese, il teatro ellenistico e quello greco-romano vanno tenuti distinti, anche se fra l’uno e l’altro non vi è soluzione di continuità e certi edifici teatrali appartengono a un momento di passaggio. Il secondo tipo di teatro, foss’ anche solo per i suoi legami con i maestri dell’antica tragedia e commedia greca, ha indiscutibilmente il più grande interesse intrinseco, ma dal nostro punto di vista i due tipi posteriori hanno un valore eguale, se non maggiore, poiché è attraverso di loro che il modello ellenico fu trasmesso in epoche posteriori. Bisogna comunque ricordare che alcune questioni rimangono tuttora insolute, poiché molti elementi, anche importanti, non possono essere accertati da indagini esclusivamente archeologiche, e bisogna ricorrere ad altre fonti di informazione, quelle letterarie. Fra queste le principali sono due. La prima ci è fornita dalle annotazioni sulla costruzione dell’edificio teatrale e sui modi della rappresentazione di Vitruvio e di Polluce, autori che fornirono agli architetti del Rinascimento quasi tutte le notizie allora note sul teatro classico, e i cui scritti hanno ancora un’importanza primaria. Tuttavia, sebbene tali opere siano di inestimabile valore, non risultano attendibili quando i dati che forniscono sono in contrasto con le prove raccolte da altre fonti. La seconda fonte di informazione è costituita dai drammi stessi, ideati in modo da permettere una facile rappresentazione scenica. Bisogna evitare comunque conclusioni tassative circa la presentazione di una data scena in un dato modo, ma restare disponibili a possibilità diverse da quelle che forse ci vengono in mente per prime. L’antico teatro di Atene Dal sorgere delle due forme drammatiche principali nei secoli IV e V a.c., la tragedia e la commedia, le rappresentazioni teatrali, colorite di sentimento religioso, si rivolsero a tutta la comunità, e quando si arrivò a costruire i teatri, la necessità primaria fu quella di un ampio spazio per ospitare il pubblico. È anche evidente che il coro era un elemento di base dei drammi, l’area di azione, quindi, doveva essere sufficientemente larga per permettere al coro di fare quegli elaborati movimenti di danza che erano connessi con il canto dei versi lirici. In rapporto a queste due esigenze è presumibile che i teatri più antichi non fossero altro che uno spazio livellato, circolare per gli interpreti, posto, per comodità degli spettatori, ai piedi del declivio di una collina. Lo spazio livellato, con al centro un altare, era conosciuto come “orchestra”: fino ad allora il termine “teatro”, derivato dal verbo “vedere”, si riferiva non a un luogo ma semplicemente al gruppo convenuto degli spettatori. Non esisteva una parola per denotare al tempo stesso l’orchestra e l’auditorio. Partendo da questa semplice struttura, in cui un luogo circolare per la danza era ciò che tramutava il terreno naturale in luogo per la rappresentazione, il teatro greco si sviluppò facilmente e logicamente. Dapprima ci furono pochi sedili di legno sul bordo della orchestra, destinati alle personalità più importanti della comunità e per gli ospiti d’onore: più tardi altri sedili di legno, o “ikria”, disposti su per il fianco della collina, crearono un vero e proprio luogo per il pubblico. È evidente, per quanto si è detto, che questi sedili in legno dovevano avere una struttura angolare; quando la pietra soppiantò il legno, ad inizio del V sec., sia l’orchestra che i sedili per il pubblico furono modellati in forma circolare. Poiché il declivio della collina era rivolto solo verso una parte e perfino nel tipo più primitivo di rappresentazione drammatica l’azione presentava un unico fronte visivo, i sedili non circondavano completamente l’orchestra; comunque gli spettatori potevano avere ancora una buona visuale degli interpreti anche se le file dei sedili si prolungavano un po’ oltre un emiciclo esatto, con i lati terminali obliqui rispetto al diametro dell’orchestra. L’edificio scenico e la scena Con l’introduzione del secondo e più tardi del terzo attore, che le esigenze delle rappresentazioni costringevano ad apparire nelle spoglie di diversi personaggi, fu necessario erigere una capanna a uso degli interpreti delle rappresentazioni. Ad Atene l’immediata vicinanza dell’antico tempio di Dioniso avrebbe reso quasi impossibile la costruzione di una capanna o spogliatoio, ed è probabile che lo spostamento dell’antica orchestra di circa 15 metri più a Nord fosse imposto proprio da queste considerazioni; il risultato fu che nella parte posteriore di quella che era stata l’orchestra si creò uno spazio libero, dove fu montata una piccola “skenè” (edificio scenico) di legno. La sua funzione originaria era senza dubbio soltanto pratica: cioè forniva agli attori un luogo appartato in cui prepararsi senza essere visti, e nel quale ritirarsi non appena esauriti i loro interventi in scena; ma ben presto si scoprì che offriva molte possibilità se utilizzata come sfondo scenico. È da questo momento che i drammi, invece di esser ambientati in aperta campagna, cominciarono ad avere luogo davanti a un tempio o a un palazzo. Non siamo in grado di dire che aspetto avesse questa primitiva “skenè”; sicuramente era semplice, con ogni probabilità presentava un fronte privo di ornamenti, a esclusione forse di quadri, eretti a simboli dell’azione scenica. Ma nel giro di pochi anni la “skenè” divenne più complessa: fu poi costruita una base di pietra per renderla più elaborata, consistente in una lunga parete frontale, interrotta alle due estremità da due avancorpi laterali (“paraskenia”). Tra questi due avancorpi possiamo supporre che esistesse un palco molto basso, forse sopraelevato appena di pochi centimetri rispetto al piano dell’orchestra, ma che tuttavia forniva quella sopraelevazione che tutti gli attori hanno sempre cercato e usato. Subito dietro questo palco c’era probabilmente un proscenio, costruito in legno come il resto della “skenè”, nella cui facciata si aprivano forse tre porte per le uscite e le entrate degli attori. Era ovvio che questa “skenè”, che spesso era più lunga del diametro del circolo orchestrale, arrivasse quasi alle file dei sedili laterali. Così in ciascun lato si ebbe un ingresso tra i limiti dei sedili e le estremità della “skenè”. Questi ingressi, di cui si servivano sia il coro che gli spettatori, ebbero il nome di “parodos” e in epoca più tarda furono abbelliti con porte riccamente scolpite. Con ogni probabilità la “skenè” in legno, eretta su un basamento di pietra alla fine del V secolo a.C., era a due piani, e quello superiore si chiamava “episkenion”, e veniva utilizzato per le macchine. Nel momento in cui la skené divenne una costruzione elaborata, a volte anche in pietra, la regola convenzionale del palazzo per la tragedia si affermò pienamente e così si trasmise come forma da imitare agli autori drammatici del Rinascimento. Il teatro ellenistico Nel corso del quarto sec a.C. cominciarono a cambiare le condizioni sociali e, con esse, la forma del teatro: con l’affermarsi di un nuovo stile di scrittura drammatica, il teatro “classico” originario si trovò a non corrispondere più alle esigenze dei tempi; e di conseguenza, mentre la cultura ellenistica si diffondeva in tutta la Magna Grecia, furono introdotte delle modifiche che pur non alterando del tutto la forma della scena, l’adeguarono in qualche modo alle nuove tendenze. Per fortuna esistono ancora costruzioni di questo tipo, a Epidauro, Eretria, Oropo e altrove, che ci consentono di avere un’idea abbastanza chiara della loro struttura generale. Essa era determinata essenzialmente dal fatto che, mentre i vecchi teatri accentravano l’attenzione sull’orchestra, i nuovi tendevano ad indirizzarla verso la scena, sulla quale si muovevano gli attori. Particolarmente degni di attenzione sono alcuni cambiamenti nella pianta. In generale lo spazio per il pubblico rimase un emiciclo completo oppure fu modificato in modo che l’emiciclo si presentasse leggermente ampliato, prolungando le file dei sedili per alcuni metri perpendicolarmente rispetto al diametro; cambiamenti notevoli vi furono invece nella zona destinata agli attori. Anziché su di un palco basso gli attori erano posti su di una lunga piattaforma elevata, alta dai 3 ai 4 metri, sorretta da file di colonne tra le quali di solito erano inseriti dei pannelli di legno dipinti. All’introduzione di questo palco elevato fece riscontro un nuovo sviluppo della skené. I pannelli di legno dipinti inseriti fra le colonne del fronte del palco avevano semplicemente una mano di colore oppure erano decorati soltanto con disegni ornamentali, ma sopra, da fare da sfondo agli attori, si fece qualcosa di molto più elaborato. In fondo al palcoscenico c’era una facciata larga, ampia, con tre aperture immense, dentro le quali si potevano collocare grandi “pìnakes” dipinti, e possiamo pensare che, in armonia con l’argomento e il tono della Commedia Nuova, questi elementi di scenografia per lo meno tendessero al realistico. Non fu, naturalmente, solo il fondo della skené a diventare più aggettante in questo periodo. L’intera costruzione divenne più grande ed era generalmente suddivisa in diversi ambienti, ed al tempo stesso divenne frequente l’elaborazione architettonica, come nelle porte maestose tra la fine dei sedili e l’inizio della skené. E’ chiaro che, sebbene questi teatri siano ancora molto diversi dagli edifici teatrali sorti in epoca moderna, ci si muove poco alla volta nella direzione degli stili più tardi, col trasferimento del fulcro di interesse dall’orchestra al palcoscenico, con l’abolizione del coro e la funzione primaria attribuita agli attori, con l’importanza data all’intreccio nelle commedie, con la tendenza al realismo e con quella, ad esso associata, verso l’elaborazione della scena. I teatri greco-romani Verso la fine del secondo secolo a. C. si manifestarono ulteriori modificazioni nella forma del teatro, che condurranno direttamente verso la produzione di edifici teatrali, affatto diversi, dell’epoca romana. Teatri come quelli di Termesso, Sagalasso, Patara, Mira, Tralle, Magnesia ed Efeso mostrano, con piccole variazioni, una forma comune, con degli elementi caratteristici. 1. Innanzitutto lo spazio riservato al pubblico nella maggioranza dei casi mantiene la vecchia forma, protraendosi al di là del semicerchio regolare. 2. L’orchestra, che finora era stata sempre circolare, viene ristretta dall’avanzamento dell’edificio scenico, la skené, sebbene resti sempre maggiore di un semicerchio. In molti di questi teatri, se si tracciasse il cerchio completo dell’orchestra, questo toccherebbe tangenzialmente il lato anteriore della skené, mentre il palcoscenico si protenderebbe fino alla metà circa del raggio. 3. La fila più bassa dei sedili confina, di solito, direttamente con l’orchestra. 4. Il fronte della scena è allargato e reso più sontuoso, anche se il fronte del palco è di solito spoglio o composto di pannelli disadorni. 5. Il palcoscenico lungo e stretto dei teatri ellenistici viene sostituito da una piattaforma molto più bassa e profonda, a volte fino a circa 6 metri di profondità. La pianta del teatro di Termesso mostra chiaramente gli elementi principali di questo nuovo tipo di teatro, e le sue rovine mostrano altrettanto chiaramente come lo sfondo scenico sia divenuto più sontuoso e monumentale. Ormai il palcoscenico e la “scenografia” sono giunti ad avere un’importanza predominante, e si palesa in tutta la sua evidenza la trasformazione che conduce dallo stile prettamente greco a quello romano. Il teatro romano Gli edifici teatrali La differenza fondamentale tra le rappresentazioni teatrali romane e quelle dell’antica Grecia consiste forse nel fatto che a Roma le rappresentazioni sceniche non avevano un effettivo rapporto con la religione. Una simile affermazione esige un commento chiarificatore. A Roma, i molti giorni dell’anno in cui potevano essere rappresentate commedie ed altri spettacoli erano connessi tecnicamente alle festività in onore degli déi; spesso negli edifici teatrali era incluso un altare; e abbastanza di frequente rappresentazioni drammatiche facevano parte dei giochi funebri. Nel considerare i teatri di Roma ci rendiamo conto che questi legami non hanno un valore sostanziale: andando a teatro, i Romani cercavano il divertimento, e col passare dei secoli si tendeva sempre di più a far venire a teatro la massa illetterata: gli spettacoli di gran moda erano l’azione faresca ed il dramma a sensazione. In epoca molto antica le colonie greche stabilitesi in Sicilia avevano portato dalla madre patria la passione per la costruzione di edifici teatrali, nei quali presentavano molte famose tragedie e commedie ateniesi. In massima parte, tuttavia, le prime scene erette per spettacoli recitati furono semplici strutture in legno. A poco a poco, ed ancora in larga misura sotto l’influenza dei coloni ellenici, diversi nuclei cittadini cominciarono a sostituirle con costruzioni teatrali in pietra, che rivelavano per la maggior parte un nuovo orientamento architettonico, così che, nell’epoca in cui fu costruito a Roma il grande teatro di Pompeo, nel 55 a.C., si era ormai affermato un nuovo modello di edificio teatrale. Questo nuovo modello aveva molti elementi degni di interesse. Il proskenion romano, ora nella forma latinizzata di proscaenium, spesso riferito all’intera area di azione ed al suo sfondo, era di solito ornato sul fronte con nicchie e colonne. La scena stessa era più bassa e notevolmente più profonda. Dietro agli attori sorgeva una fastosa scaenae frons, di proporzioni maestose. Ancora più importanti furono altre innovazioni. I Greci, nel delimitare lo spazio destinato al pubblico, avevano sempre accordato la preferenza ad una struttura che si prolungava oltre la metà del cerchio, circondando in parte l’orchestra. Nei teatri italici, invece, il luogo per il pubblico (chiamato cavea) fu ridotto ad una forma rigidamente emiciclica, ed in armonia con ciò, il circolo orchestrale fu ridotto alla metà, avendo perduto l’antica importanza teatrale, al punto che in alcuni di questi teatri si misero i posti per gli spettatori più notabili proprio all’interno dello spazio riservato all’orchestra. Poiché ora il fronte della scena coincideva col diametro dell’orchestra ristretta, la parte di teatro riservata agli attori e quella assegnata agli spettatori non avevano una linea di demarcazione chiaramente segnata. Mentre i teatri greci erano sempre stati composti da due o da tre parti separate, qui in generale si tendeva a creare un insieme architettonico unitario. La saldatura della cavea, dell’orchestra e degli edifici scenici comportava che gli antichi ingressi aperti, che erano ai lati della scena, poterono essere inglobati, completando così formalmente logicamente il processo di integrazione, e sulla parte superiore di queste strutture ricavate dalle mura, i così detti tribunalia, si poté provvedere a dei posti per coloro che curavano l’allestimento della rappresentazione o per gli ospiti d’onore. Inoltre, la fusione delle parti che in origine erano separate, veniva ad eliminare il bisogno di costruire la cavea su un terreno in pendio. In alcune zone periferiche dei domini romani persistette l’antico criterio greco nella scelta del luogo, ma in generale ci si rese conto che il teatro romano poteva essere costruito meglio se l’insieme era progettato per occupare un terreno pianeggiante. Questo significava, a sua volta, che l’intera costruzione dovesse essere circondata da alte pareti, circostanza che gli architetti romani sfruttarono subito ornando le pareti con colonne e maestosi archi in pietra. Dal momento in cui il teatro di Pompeo aveva così offerto un nuovo modello, sorsero in ogni parte dell’impero romano decine di edifici di questo tipo, che divennero man mano sempre più fastosi ed elaborati. La cavea, di vasta estensione, era suddivisa da corridoi e rampe (i vomitoria) e spesso assumeva l’aspetto di una serie di “piani”, ciascuno con il proprio ordine di ornamenti architettonici. L’orchestra era spesso chiusa da un muro perimetrale che permetteva di usare tale spiazzo per spettacoli gladiatori, oppure riempito d’acqua, per finte battaglie navali o balletti acquatici. Il gusto per la decorazione portò a collocare delle figure scolpite lungo il fronte del palco: laddove una volta c’era una parete relativamente spoglia ora appariva un fregio di figure inginocchiate. Per compensare l’altezza della cavea, la scaenae frons si innalzava in una foresta compatta di elementi architettonici, e spesso, si erigeva una tettoia sulla scena per proteggere sia i fregi architettonici, sia gli attori. La presenza di questa tettoia in alcuni teatri porta a considerare due innovazioni tipiche di teatri romani. Dato che ora il teatro era trattato come un’unità singola e che la sommità della scaenae frons era alla stessa altezza della sommità della cavea, c’era la possibilità di coprire l’intera struttura, riparandola con un telone al quale si dava il nome di velum o velarium. Una seconda innovazione li avvicinò di più ai teatri coperti del periodo moderno: i Romani inventarono una tenda frontale, detta aeleum, che fissata presumibilmente ad un’intelaiatura, poteva essere lasciata cadere nell’orchestra e sollevata di nuovo; altro tipo di tenda, conosciuto come siparium, poteva essere usato per coprire parti della facciata dietro gli attori. Per quanto maestosi ed imponenti possano essere i resti dei teatri romani, studiosi affermano che fossero meno adatti alla rappresentazione drammatica dei teatri greci. Si deve quindi riconoscere, purtroppo, che questi edifici erano progettati all’origine come monumenti di orgoglio cittadino, piuttosto che come luoghi in cui presentare le opere drammatiche nel modo migliore. Rappresentazioni nel Medioevo I teatri medievali e la mise-en-scène Come si può facilmente immaginare, non siamo in grado di descrivere l’aspetto di un qualsiasi “teatro” usato nel Medioevo. Possiamo piuttosto parlare del problema dei singoli “luoghi teatrali” (nel senso più ampio) impiegati negli anni compresi tra l’apparizione del primo dramma liturgico e gli intermezzi comici del sedicesimo secolo. In generale, possiamo dividere questi “luoghi teatrali” in alcuni gruppi principali, da esaminare separatamente: 1) la chiesa come teatro; 2) la disposizione dell’area di azione analoga a quella dentro la chiesa, quando per la prima volta il dramma fu portato all’aperto; 3) la messinscena fissa; 4) il circolo; 5) il corteo dei carri (pageant). 1. Cominciamo prima con gli apparati fatti in chiesa per la rappresentazione dei drammi liturgici. Fino al dodicesimo secolo la tomba di Cristo è quasi sempre indicata come una costruzione architettonica con due archi, nella maniera bizantina convenzionale. Con lo sviluppo del dramma liturgico però si introducono nuovi modelli: la tomba è rappresentata col coperchio sollevato, ed è affiancata da un angelo ; il Cristo, mai rappresentato dagli artisti bizantini, è ora mostrato nel momento in cui emerge dal sarcofago. Sorse poi la necessità di avere più di una scena immaginaria. Il dramma liturgico mostrava già una tendenza ad un estendere lo spazio dell’azione: l’intera navata della chiesa poteva essere usata dagli attori. 2. Successivamente vennero proposti al pubblico drammi più elaborati e differenziati, in cui gli autori degli allestimenti erano dominati dall’idea della chiesa come teatro, sebbene le rappresentazioni si fossero spostate al di fuori di esse. 3. La sistemazione delle mansions (scene fisse) era fatta in modo tale da ricordare la disposizione interna delle chiese. Tale principio si fonda sull’accettazione da parte del pubblico di tre convenzioni: a) la raffigurazione simbolica di località immaginarie per mezzo di mansions o loci deputati; b) la disposizione di tali mansions l’una accanto all’altra; c) l’utilizzazione, ai fini dell’azione, dello spazio reale che circondava le mansions, o ne era circondato. Nel corso di una rappresentazione lo spettatore doveva dimenticare tutte le mansions eccetto quella a cui si riferiva l’azione presentata in quel momento. L’area a livello terreno, che a volte gli attori utilizzavano come mansions, era chiamata con la parola tecnica “platea”: era un’area non precisata di cui gli attori stessi potevano fare una località immaginaria. 4. In questo periodo, in Francia,si diffonde un nuovo metodo di rappresentazione teatrale: la scena viene allestita “in circolo”. L’insieme dell’azione degli attori, così come la possibilità per il pubblico di vedere l’azione era progettata nell’ambito della circonferenza, e i luoghi utilizzati per questo tipo di eventi erano i gli edifici teatrali romani esistenti, come quelli di Nimes, Arles e Orange. 5. In Inghilterra, le corporazioni, preferivano mettere in scena i loro drammi su quelli che vennero ad essere noti come “pageants”, che si possono considerare mansions separate, collocate su ruote, in modo tale da essere spostate da un luogo ad un altro. L’Italia nel Rinascimento La scena dipinta Per comprendere il teatro rinascimentale ed il tipo di scena dobbiamo tornare al trattato di Serlio. La sua descrizione pratica di come costruire un teatro contiene quattro punti particolarmente significativi. 1. La sua pianta, per il luogo del pubblico e per la scena presuppone l’uso di una sala rettangolare, come quelle che si usavano comunemente nelle corti per rappresentazioni drammatiche. La scena è posta ad un’estremità della sala ed i sedili per gli spettatori sono posti su sostegni digradanti. Tale disposizione deriva dalla cavea del teatro romano, e differisce da una ricostruzione archeologica solo in quanto in tutta la zona posteriore della sala, dietro le prime file semicircolari di posti, le file di gradoni si staccano direttamente dalle pareti. 2. Un’ispirazione analoga si può trovare nel fatto che il Serlio presenti in tre disegni una scena comica, una scena tragica ed una satirica, seguendo esattamente la descrizione contenuta nell’opera di Vitruvio. I disegni che egli presenta non sono pensati per rappresentazioni particolari: sono scene-tipo da usarsi ogni qualvolta viene presentata in pubblico una commedia, una tragedia o un dramma. Si cerca di far rivivere il teatro classico. 3. Le illustrazioni riguardanti la scena comica e la tragica sono strettamente legate al disegno del Peruzzi, eseguito probabilmente per la rappresentazione romana della Calandria nel 1514. Si può affermare che il metodo suggerito dal Serlio nel 1551 per costruire le scene era quello impiegato circa 37 anni prima per la realizzazione di quel disegno, e che era ancora in uso nella metà del secolo. 4. Tornando alla pianta ed alla sezione trasversale, vediamo che nel disegnare la zona destinata alla scena, il Serlio è partito ancora una volta dall’imitazione della piattaforma scenica romana: da questa deriva infatti la lunga e stretta piattaforma destinata agli attori e posta proprio davanti al pubblico. Analizzando più a fondo si nota che, invece di una scaenae frons a colonne, c’è una piattaforma nettamente inclinata, su cui la scena prospettica di una strada o di una piazza di città è ottenuta tramite una giudiziosa mescolanza di case costruite e telone dipinto: le case vanno diminuendo in altezza fino a quando non sono chiuse da un fondale dipinto prospetticamente. Gli attori non recitavano nella scena, ma davanti ad essa, per non vanificare il gioco di prospettive. Il Teatro Olimpico di Vicenza La scena illustrata dal Serlio trovava sì la propria origine nel teatro classico, ma era un tipo di scena prospettica che apparteneva direttamente all’età rinascimentale. Fra coloro che erano interessati al teatro in quel periodo ve ne erano almeno alcuni che esigevano un’aderenza più rigorosa al mondo romano. Vennero fatti esperimenti in quella direzione, ma per comprenderli appieno dobbiamo volgerci a ciò che costituisce il coronamento di tali tentativi, ovvero il teatro progettato da Andrea Palladio (1518-1580) per l’Accademia Olimpica di Vicenza. Nelle sue linee generali, l’edificio, è concepito secondo le più accreditate teorie classiche dell’epoca. Non vi è una sala completamente semicircolare, ma i sedili sono disposti secondo una semiellisse, che fornisce così migliori linee prospettiche agli spettatori. Tra i gradoni anteriori della sala e il palcoscenico c’è un’orchestra poco alta. Il palcoscenico vero e proprio è rettangolare, lungo e stretto come nei teatri romani, con un pavimento in legno, dipinto ad imitazione del marmo. E’ interamente delimitato da una scaenae frons, una facciata architettonica ricca di ornamenti: nella parte inferiore vi sono quattro timpani con statue, in quella superiore sei statue sormontate da altrettanti pannelli decorativi e da un tetto dipinto. Sulla parete di fronte al pubblico c’è un largo arco aperto, la porta regia di Vitruvio, affiancato da due porte più piccole (portae minores). Le due ali laterali della facciata, poste ad angolo retto con la parete principale, hanno anch’esse delle porte sormontate da palchetti, destinati sia all’azione della commedia, sia agli spettatori. In origine tutte queste entrate pare fossero chiuse con porte o con fondali dipinti; ma ben presto la passione del Rinascimento per la prospettiva ne introdusse l’uso anche in questo tempio di ispirazione classica. Gli studiosi furono affascinati dal suo accenno ai periaktoi greci. Fu probabilmente con questi periaktoi in mente che lo Scamozzi ebbe l’idea di costruire sulla scena del Teatro Olimpico, delle strade prospettiche, una per ogni entrata, poste a formare angoli tali che ogni spettatore potesse seguirne con gli occhi almeno una. Le scene in questo caso erano fisse e si presupponeva che rappresentassero delle strade convergenti verso un cortile centrale. L’Inghilterra e la Spagna nel Rinasimento La scena elisabettiana In Inghilterra, durante la prima metà del sedicesimo secolo, ci sono solo due attività teatrali completamente distinte, ma che si influenzano reciprocamente. In primo luogo c’era il lavoro dei piccoli gruppi di attori professionisti che agivano principalmente sul nudo pavimento delle sale signorili o nelle piazze dei mercati o nelle sale delle locande. Per la rappresentazione dei loro “interludi” non avevano bisogno d’altro se non di una via di accesso alla zona di recitazione. Un altro elemento interessante è lo stretto contatto fisico tra attori e spettatori. In pratica, il luogo in cui si immaginava l’azione aveva poca importanza e nel momento in cui tale luogo andava specificato, si raggiungeva una perfetta comprensione tra i due gruppi: coloro che guardavano lo spettacolo erano preparati ad usare la loro immaginazione, e coloro che interpretavano le scene erano attenti a rendere chiare le cose. Fondamentalmente l’attenzione degli spettatori era rivolta agli attori ed alle loro parole, e non al luogo dell’azione. La vera gloria della scena elisabettiana non va cercata in questi spazi, ma nei teatri degli attori professionisti. Sappiamo con certezza che alla fine degli anni ’60 riscuotevano un successo di pubblico tale da permettere loro di allargare il numero degli attori, e intorno al 1576 la posizione raggiunta li metteva in grado di deciderei non essere più girovaghi e di stabilirsi in sedi fisse. Si costruirono così in quell’anno i migliori edifici teatrali del secolo: The Theatre, Il Globe Theatre ed il Fortune. I teatri erano costruzioni circolari, ottagonali o quadrate con tetti di paglia che coprivano le pareti laterali, mentre la zona centrale restava a cielo aperto. Chi voleva vedere lo spettacolo pagava una piccola somma per entrare nell’arena, dove rimaneva in piedi per tutta la durata della rappresentazione. Se però era in grado di pagarsi posti migliori, poteva salire le scale che portavano alle gallerie che giravano lungo le pareti, e ci si poteva sedere su panche. Il palcoscenico era costituito da una grande piattaforma quadrata, di 12 metri di lato, che si avanzava fino a metà dell’arena, di modo che veniva quasi completamente circondata dagli spettatori. Una coppia di robuste colonne, collocate a metà dei lati del palcoscenico, sorreggevano un mezzo tetto che in parte celava un’area superiore dalla quale, tramite una botola, si potevano calare o tirar su degli oggetti. In alcuni teatri, sotto il tavolato di quest’area, era dipinto un cielo blu con delle stelle. Al di sopra si ergeva una costruzione simile ad una torretta che aveva una torretta con in cima una bandiera con l’emblema del teatro. Proprio in fondo alla piattaforma c’era una facciata interrotta da porte di ingresso, sopra le quali c’era una galleria che formava una specie di palcoscenico superiore. Inoltre sappiamo che gli attori avevano a loro disposizione qualcosa di simile ad un palcoscenico interno. I corrales spagnoli Il “corral” può essere definito come un cortile formato dalle pareti di case contigue, non dissimile per forma e per grandezza dai cortili delle locande inglesi. Ad un’estremità era eretto il palcoscenico, una nuda piattaforma, proprio come nei teatri inglesi, sebbene a volte delle tende dipinte potessero fare da sfondo agli attori. Sotto, sul terreno, erano disposte delle panche, mentre posizioni più vantaggiose per vedere il dramma erano finestre o piccoli balconi (célosiaso o aposéntos) che si aprivano nelle pareti delle case che delimitavano il “corral”. In più, una specie di galleria a mo’ di palco, chiamata la “cazuela” era assegnata al pubblico femminile. Spesso su tutto il cortile erano stese delle tende, che più tardi furono sostituite da soffitti fissi dipinti. La struttura del palco era simile a quella in uso a Londra. Dietro la piattaforma c’era una zona spogliatoio che poteva essere aperta come un palco interno, mentre un piano superiore poteva essere usato per gli stessi scopi della galleria elisabettiana, fungendo ora da bastione di una città assediata, ora da terrazza di una casa, ora da sommità di una collina. Il Barocco e il suo retaggio Per quanto riguarda il teatro, uno studio dei principi e della pratica barocca deve tenere conto di cinque fatti principali. 1. Durante questo periodo tutti i paesi , perfino la conservatrice Spagna, ruotavano in in’orbita comune e contributi furono dati da architetti e pittori di altre nazioni. Era quindi minore rispetto al 1500 il divario che separava i teatri inglesi, spagnoli e francesi da quelli delle corti italiane. 2. L’importanza dell’attività teatrale barocca si deve individuare nell’attenzione ad una scenografia adatta a rappresentazioni completamente diverse dalle commedie e dalle tragedie di ispirazione classica del sedicesimo secolo. I metodi per rappresentazioni spettacolari escogitati dagli artisti erano usati, in forma semplificata, anche per l’allestimento dei drammi, ma l’interesse-guida era quello per l’opera e per i lavori ad essa connessi. 3. Come in Italia, nel sedicesimo secolo, i centri più importanti di attività furono i teatri legati alle corti e che godevano dei sussidi del principe, allo stesso tempo non bisogna dimenticare che fu in questo periodo che i teatri pubblici cominciarono ad adottare i metodi inventati e seguiti in questi teatri annessi ai palazzi. Il primo teatro per l’opera aperto ad un pubblico pagante apparve a Venezia nel 1637, e fu seguito da molti altri: quando i teatri inglesi ripresero la loro attività, dopo diciotto anni di chiusura durante il regime del Commonwealth, abbandonarono la forma tradizionale elisabettiana e cercarono di imitare, nel loro piccolo, lo stile italiano. 4. Il barocco inventò nuovi modi di assicurarsi effetti spettacolari, incoraggiò anche l’installazione di macchinari che andavano molto al di là di quanto si fosse mai immaginato. Il risultato fu che l’elemento spettacolare ebbe il sopravvento su ogni altra considerazione. Lo spazio che un tempo era stato sufficiente per gli attori, ora appariva limitato in modo ridicolo. Numerosi trattati, su problemi teatrali, seguirono le indicazioni dei più grandi allestitori dell’epoca, ciascuno suggerendo sempre nuovi metodi, che contribuivano a determinare l’estendersi dello spazio scenico in larghezza e in profondità, in altezza e nella zona sottostante del palco, che venne ad ospitare molte macchine necessarie alla realizzazione delle meraviglie sceniche. 5. Tutto ciò, a sua volta, significava che gli architetti di teatro erano costretti ad adottare ora nuovi criteri nella disposizione dei posti a sedere per il pubblico. In molti teatri di corte italiani del ‘500 tutta l’attenzione era rivolta al principe ed ai suoi ospiti favoriti: spesso una piccola piattaforma posta nel centro della sala veniva approntata per questo gruppo privilegiato, e gli artisti progettavano le scene in modo da dare una visione prospettica esatta solo da quel punto. Già verso la fine del secolo si venivano considerando gli svantaggi che derivavano dal dirigere tutte le linee verso questo asse centrale, si dovette tornare ad utilizzare pratiche antiche. I teatri dell’età barocca Gli artisti dell’inizio del ‘500 che costruivano piazze di città in prospettiva potevano facilmente condurre la propria attività senza avere teatri permanenti. Le loro scene, molto poche profonde, venivano costruite agevolmente entro i confini di una sala ducale ed altrettanto facilmente si potevano smantellare. Quando però si sviluppò lo stile barocco, i “maghi” del teatro pretesero necessariamente di avere edifici adibiti esclusivamente all’allestimento di Opere e di simili lavori drammatici. Inoltre era assolutamente essenziale che questi edifici avessero dei palcoscenici molto larghi, e specialmente molto profondi, con abbondanza di spazio sopra e sotto la scena. Ne deriva che l’età barocca fu un periodo di attiva progettazione e costruzione teatrale, con la conseguente affermazione di un modello di base che con piccole modifiche venne accettato universalmente. Per quello che riguarda la situazione teatrale inglese, in questo periodo la tradizione di origine elisabettiana, che aveva resistito alla pressione del teatro barocco europeo per tutto il Settecento, alla fine scomparve nell’era vittoriana. E’ perciò necessario considerare la forma del teatro inglese come un’aberrazione nazionale dal modello barocco italiano, ed allo stesso tempo è necessario riconoscere che la sua presenza impose delle convenzioni particolari agli attori. Di solito gli attori entravano ed uscivano dal palcoscenico non attraverso le quinte, ma delle porte; a volte queste porte dovevano rappresentare idealmente per gli spettatori luoghi particolari (altro residuo della pratica elisabettiana). Dietro l’arco di proscenio c’erano le scene dipinte, che dovevano essere indicative piuttosto che accuratamente dettagliate. La combinazione di piattaforma e scena con arco di proscenio, inoltre, sembra indicare come usuale un procedimento particolare. In numerosi drammi troviamo attori che, stando sulla parte avanzata del palcoscenico, vengono invitati a retrocedere “dentro la scena”, cioè dietro l’arco di proscenio. Allora accadono due cose: le due parti di un nuovo fondale si saldano assieme e nascondono gli attori che sono indietreggiati, mentre altri attori escono sulla piattaforma attraverso porte. Così nella zona anteriore, che potrebbe essere quasi considerata come un’antica platea, cambia in un attimo il luogo in cui si immagina la scena. In merito alla situazione teatrale barocca italiana è necessario partire dall’analisi del famoso teatro Farnese di Parma, costruito da Giovan Battista Aleotti nel 1618, ma di questo ne parleremo in maniera più approfondita in un capitolo successivo. La pianta dell’edificio teatrale Si è già parlato della maggiore profondità del palcoscenico di questi teatri, ora bisogna volgersi alla sala ed al rapporto tra questa e l’area di recitazione (“area scenica”). L’analisi può iniziare esaminando la pianta e la sezione trasversale di un tipo ideale, ma semplice di teatro barocco disegnato da Andrea Pozzo e pubblicato nel 1613. La scena in sé stessa è alquanto elaborata, ed offre lo spazio per due serie di 6 quinte laterali, disposte obliquamente rispetto al fronte del palco e decrescenti in altezza verso il fondo; oltre vi sono due serie di fondali con un altro spazio dietro per ulteriori effetti prospettici. La sala mostra un’organizzazione diversa da quella che era possibile trovare fino alla costruzione del Teatro Farnese: al posto dei gradoni, al posto delle balconate aperte, ci sono cinque gallerie divise in palchi da pilastri ed archi. Ora, i palchi in sé stessi non erano una novità, ciò che però è nuovo e nello stesso tempo assolutamente caratteristico del disegno teatrale barocco, è l’aver frantumato tutte le gallerie in scomparti separati, così da far assumere alla sala l’aspetto di un “alveare”. Poiché queste file serrate di palchi servivano per offrire agli spettatori la desiderata comodità ed intimità, divennero ben presto la norma in tutti i teatri italiani, e loro tracce si possono ancora oggi vedere non soltanto nei teatri lirici, ma anche nei teatri ordinari. Probabilmente la maggior parte di questi scomparti erano all’inizio separati l’uno dall’altro da tramezzi di legno disposti in modo inopportuno perpendicolarmente al parapetto; ma ben presto i tramezzi furono angolati rispetto alla scena, consentendo così una visuale migliore agli spettatori, ed in molte sale (Teatro ducale di Mantova, il Teatro Filarmonico di Verona e il Teatro Falcone di Genova) i palchetti furono costruiti in modo da sporgere leggermente, secondo un ordine rigoroso, così da non costringere in una posizione troppo scomoda chi guardava la scena. Comunque la sala del Pozzo, nonostante la sua pianta basata su gallerie di palchetti, ha una forma che si incontra raramente, eccetto nei teatri barocchi più piccoli. La disposizione semicircolare, derivata fondamentalmente dai tentativi di riproduzione o ricostruzione del teatro romano, era del tutto soddisfacente quando il pubblico era limitato; la visibilità infatti era sufficientemente buona eccetto che ai margini estremi. Ma per un pubblico più numeroso tale disposizione risultava del tutto inadeguata, e già nel teatro Farnese vediamo che lo spazio riservato al pubblico viene reso più profondo per rispondere alla profondità della scena, prolungando il semplice semicerchio fino fargli assumere la forma ad U. Il teatro nel diciannovesimo secolo Realismo e luce Negli ultimi anni del Settecento, in Inghilterra, ci si muove decisamente verso il realismo storico, e forse il modo migliore di avvicinarsi ai decenni successivi è rifarsi a questo movimento. Durante tutto il secolo vi furono molte forme di “realismo” negli spettacoli. Persino il melodramma spesso attirava l’attenzione del pubblico introducendo oggetti d’uso comune sulla scena (vetture, carri, lampioni stradali, animali, ecc…). Nella maggior parte dei paesi la passione per il reale ed il verosimile prendeva il posto del gusto per lo spettacolo grandioso e ben presto ciò condusse ad un genere nuovo di realismo, che non soltanto mirava a rappresentare il reale, ma mirava anche a ritrarre il sordido. Quando consideriamo le varie tendenze, che spesso contrastano l’una con l’altra, pure conducendo allo stesso obiettivo, ci accorgiamo che le realizzazioni dei nuovi uomini di teatro non sarebbero state possibili senza un’innovazione preliminare: l’avvento dell’illuminazione. Non è perciò troppo esagerato dire che, sul piano pratico, l’innovazione più significante e la più caratteristica nel teatro dell’Ottocento fu l’introduzione di un nuovo sistema di illuminazione. Prima venne l’uso dell’illuminazione a gas, già introdotta nell’Opéra di Parigi nel 1822, poi venne l’utilizzazione delle luci della ribalta, e, finalmente, durante la seconda metà del secolo, l’illuminazione elettrica. In questo modo si ottenevano facilmente effetti nuovi: la scena poteva essere illuminata a giorno o completamente oscurata semplicemente tramite un interruttore. Il “ golfo mistico” Nel 1802 Franz Ludwig Castel pubblicava uno studio che si proponeva di offrire suggerimenti per migliorare la progettazione dei teatri: in questo studio sosteneva che tutti i vizi ed i mali del teatro del suo tempo derivavano dal palcoscenico barocco profondo e con quinte piatte. Influenzato profondamente dalla filosofia contemporanea, affermava che l’associare glia attori tridimensionali a quelle scenografie dipinte prospetticamente era ridicolo proprio perché non realistico. Sosteneva che al posto di queste assurdità dovevano esserci scene il più possibile “plastiche”, ed inoltre affermava che, con tali scene, le sale teatrali potevano essere costruite davvero in forma di anfiteatro, forma che si era dimostrata inadeguata alla scena profonda con quinte piatte. Questa era la teoria, ma vi furono uomini che cercarono di portare una soluzione pratica e queste parole. Karl Friedrich Schinkel (1781-1841), per esempio, proponeva l’abolizione delle quinte a favore di un unico grande sfondo dipinto, posto a considerevole distanza dagli attori, così che l’elemento tridimensionale e quello bidimensionale non venissero a contatto. Gottfried Semper, allievo di Schinkel, proponeva invece l’abolizione della fossa dell’orchestra, e disponeva il pubblico in un ampio apparato di posti a forma di anfiteatro, senza suddivisioni marcate. Più importanti di tutte erano, però, le idee di Wagner , che divenivano attuabili, in quanto si disponeva di uno strumento di illuminazione rigorosamente controllabile. Fino all’Ottocento i teatri avevano un pubblico illuminato tanto quanto gli attori sulla scena. Ora, all’inizio di uno spettacolo, il pubblico poteva essere immerso nel buio, e questo era quello che Wagner desiderava. Nel più puro stile tedesco, egli diede a questa trovata un’aura filosofica e metafisica, parlando oscuramente del “golfo mistico” tra interpreti e spettatori. Nacque così la vera scena “a scatola ottica”, assolutamente impossibile prima. 2.2_Caso studio: il Teatro Farnese 2.2.1_ Genesi del teatro e cultura teatrale dell’epoca Il teatro Farnese è un’opera di notevolissimo interesse storico nel senso più ampio del termine, e ciò comporta l’esigenza di analizzarlo sotto diverse angolazioni per meglio conoscere i significati della sua architettura. Nel sedicesimo secolo la storia in Italia si diversifica da quella del resto d’Europa. In Francia, Spagna, Germania, Inghilterra, ad opera di potenti monarchie o di non meno determinanti scismi religiosi, le unità nazionali vanno fortificandosi. In Italia, al contrario, le autonomie locali si individuano sempre più in modo definitivo e si trovano costrette a entrare direttamente in un gioco europeo dominato da concentrazioni maggiori, quindi in condizione di progressiva inferiorità. Nel quadro di un continuo alternarsi di contrapposizioni e alleanze, di brevi paci e piccole guerre, la sola azione politica italiana che riveli una consapevolezza della situazione e una lungimiranza di intenti è quella pensata e voluta da papa Paolo III, e poi continuata, bene o male, dai suoi successori e dalla famiglia Farnese, che, con i suoi cardinali, si trovò a dominare la curia romana. Essa mirava non solo al recupero di una pace religiosa europea attraverso le iniziative tridentine, ma anche all' instaurazione di una pace stabile in Italia, basata sull'equilibrio tra Francia e Impero, prima, e tra Francia e Spagna, dopo. Questa politica di continue alleanze, trattati, ambascerie, matrimoni tra i diversi casati non ebbe risultati visibili e positivi ma determinò una sempre maggior vivacità di rapporti e di scambi fra le città italiane, con innegabili risultati socio-economici e soprattutto culturali. Se per introdurre il discorso sul teatro Farnese si è premessa un’inquadratura storica generale, è perché ci si trova di fronte a un’opera che, nelle sue più vere motivazioni, va oltre i suoi pur determinanti rapporti con la città di Parma e con la storia dell' architettura teatrale. All’inizio del ’600, questo Teatro vuole infatti rappresentare, nel senso più completo della parola, la potenza e la gloria dei Farnese, che, per quasi un secolo, con Paolo III, col gran cardinale Alessandro, col duca-condottiero Alessandro, con lo stesso palazzo-reggia di Roma, avevano dominato la scena politica italiana ma che ora venivano ad avere un solo punto di forza nel ducato di Parma, e avevano quindi la pressante necessità di rinverdire le alleanze e il prestigio. Infatti il Teatro venne costruito per volere del duca Ranuccio I in previsione di una visita a Parma di Cosimo II, visita che poi non avvenne per la cagionevole salute del Granduca; e fu inaugurato dieci anni dopo in occasione delle nozze di Odoardo, nuovo duca di Parma, con Margherita de’ Medici. Il sipario su cui Lionello Spada dipinse affiancati gli stemmi dei Farnese e dei Medici, è emblematico nel definire la funzione storica di questo Teatro e del teatro di corte barocco in genere, inteso come la più appariscente e grandiosa espressione di tutta una politica culturale e di tutta un’attività diplomatica. Il teatro Farnese è anche opera che occupa una posizione particolarmente significativa nella storia dell’architettura teatrale, e la sua importanza trova conferma nel fatto che dei tre soli esemplari giunti fino a noi in tutta la produzione architettonica teatrale italiana che. va dalla meta del ’400 all’inizio del ’600, due, e cioè l’Olimpico di Vicenza e l’Olimpico di Sabbioneta, rimangono, a differenza del Farnese, un poco ai margini del filone evolutivo principale. Questi due teatri, opere mirabili e forse di maggior perfezione stilistica, sono però da considerarsi piuttosto fatti isolati ed eccezionali per destinazione e struttura: il primo a causa della sua rigida impostazione classica, dal scaenae frons alla cavea, il secondo per le ridotte dimensioni, che ne fanno un tipico teatrino privato di corte. Il teatro Farnese invece, pur esprimendo, come più avanti si illustrerà, con i suoi nuovi elementi morfologici, il sorgere dell'organismo teatrale all’italiana, rappresenta sia la conclusione della tipologia del teatro rinascimentale, sia l’espressione più completa di quella cultura teatrale venetopadana che ebbe in Ferrara la matrice formativa e nell’Aleotti un mirabile e sapiente interprete. Il nuovo fattore rinascimentale della scena come restituzione prospettica dello spazio reale, unendosi ai due tradizionali, medievale e classico-umanistico, determina il campo entro cui si svolge la dialettica delle diverse esperienze, giunte sino a noi purtroppo solo attraverso documentazioni grafiche più o meno precise. Il processo di trasformazione, attraverso il quale si giungerà alla soluzione architettonica farnesiana, è da ricercarsi nell'evoluzione della rappresentazione teatrale, a partire dai famosi "ingegni" del Brunelleschi per la festa di San Felice in Firenze, dove aveva cominciato a svilupparsi una coordinazione nella visione scenica . Invenzioni che precorrono quella mirabile meccanica teatrale che esordirà con lo spettacolo inaugurale del teatro Farnese nel 1628. Parallelamente all’evoluzione scenica si ha un graduale mutamento dei contenuti letterari, che, riscoprendo la tragedia e la commedia classica sotto l’influenza della nuova cultura umanistica, da religiosi diventano profani. Nella seconda meta del ’5OO nasce il melodramma, destinato a dare un nuovo impulso alla vita teatrale italiana. Gli architetti chiamati a costruire l’edificio teatrale, nonostante prendano a modello i teatri dell’antichità e intendano risuscitare forme classiche, giungono a soluzioni strutturali e morfologiche sostanzialmente diverse da quelle delle loro matrici. Il confluire degli influssi umanistici quattrocenteschi, derivanti dai rilevamenti archeologici e dalle pubblicazioni degli scritti di Vitruvio, nelle nuove ricerche spaziali collegate allo studio della prospettiva e nelle esigenze tecniche del melodramma, determina il formarsi di una vera e propria cultura dello spettacolo teatrale presso le corti delle signorie italiane. L’azione drammatica, arricchita di musica, canto e danza si unisce così in un tutto armonico, anche se macchinoso, con una scenografia ormai completa di fondali reali o fantastici, di quinte in rilievo, di complicati macchinari per produrre effetti di movimento e di luce. Il Serlio definisce lo sviluppo della cavea per gli spettatori, codifica le nuove scene prospettiche, ricche di effetti e di invenzioni, e riprende il concerto già espresso dall’Alberti nel De Re Aedificatoria, secondo il quale ai tre generi di rappresentazione, tragica, comica e satirica (ora identificata come pastorale), corrispondono tre tipi di scena: architettonica aulica, architettonica comune e la naturalistica. Accanto alla nuova scenografia viene realizzandosi una nuova impostazione dell’ambiente per il pubblico, che, anche per l’adattamento provvisorio in cortili o sale preesistenti, tende ad assumere pianta rettangolare con gradinate sui tre lati. Esempi tipici sono il teatro progettato nel 1565 dal Vasari nella grande sala di Palazzo Vecchio per la recita della "Confanaria", e il teatro Mediceo, costruito dal Buontalenti nel 15285. al primo Piano degli Uffizi, per le nozze di Cesare d' Este e Virginia de’ Medici. Se Firenze è il centro più celebrato nella formazione rinascimentale dell'organismo-teatro, nella zona padana è Ferrara che diviene centro creativo autonomo non meno attivo, ed estende la sua influenza a Mantova, Bologna, Parma e Padova. Questa sua funzione dura per più di un secolo, dalla fine del ’400 all’inizio del ’600. E' sintomatico che nello sviluppo di un teatro che si afferma come proiezione della città si ponga così all’avanguardia una città che lo è anche in urbanistica, con quel primo modello esemplare di tessuto urbano progettato che è l'addizione erculea di Biagio Rossetti. Parallelamente agli allestimenti citati, che pongono le basi del nuovo teatro all'italiana, proseguivano gli studi e i rilevamenti dell'antico, come pure si susseguivano le edizioni del testo di Vitruvio, con contributi del Palladio. E infatti il primo teatro rinascimentale costruito come organismo autonomo e stabile e giunto fino a noi è un teatro che, rispetto a quelli precedenti e contemporanei, risulta più legato agli schemi e ai progetti vitruviani: l'Olimpico di Vicenza. Progettato dal Palladio nel 1580 per l'Accademia Olimpica, e cioè per un pubblico ristretto e per particolari esigenze culturali, e terminato dallo Scamozzi nel 1585, esso realizza i canoni del teatro classico, solo con piccole concessioni alle esigenze del tempo. Così il scaenae frons, ossia la scena fissa ed architettonica non presenta tre nicchioni con tre aperture uguali come era nel teatro romano, bensì una porta centrale (o porta regia), notevolmente più ampia delle altre due, quasi a preludere all'arco scenico. Evidente è l'ispirazione dell' Aleotti a questo teatro e all'architettura palladiana, specialmente riscontrabile in alcuni disegni dell'epoca realtivi al progetto del teatro Farnese. Il secondo teatro rinascimentale giunto fino a noi è l'Olimpico di Sabbioneta costruito dallo scamozzi per Vespasiano Gonzaga, nel 1590, cioè dopo l'esperienza vicentina. Lo Scamozzi profondo conoscitore della tecnica prospettica impostò il teatro secondo le più funzionali tendenze del momento, unite ad un attento studio delle proporzioni. L'edificio è infatti a pianta rettangolare e contiene in un quadrato la scena fissa e in un altro la gradinata semi circolare e la loggia di coronamento, motivi che l'Aleotti riprenderà con altri rapporti nel suo teatro degli Intrepidi a Ferrara. Nel perfetto equilibrio spaziale del teatro dello Scamozzi le due parti, pubblico e spettacolo, tendono ancora a a fondersi attraverso una zona intermedia, solo individuata dagli archi trionfali dipinti sulle due pareti laterali, elementi che saranno ripresi plasticamente e con altro significato nel teatro Farnese. A Sabbioneta l'arcoscenico è infatti ancora inutile, dato che la scena è fissa. L' ultima bellissima imponente scena fissa che ora non esiste più, ma che possiamo mentalmente molto bene ricostruire attraverso il disegno del progettista, custodito agli uffizi. E' comunque indubbio e riconosciuto il contributo di questi due teatri alla concezione del Farnese; come si può ritenere che siamo stati noti all'Aleotti pure il progetto del Vignola, del quale egli era fervido ammiratore, per il teatro da realizzarsi nel cortile del Palazzo Farnese in Piacenza, e il teatro delle Saline, pur esso in Piacenza e costruito come il Teatro di Parma al primo piano di un edificio. Mentre il teatro delle Saline (1592) per le sue caratteristiche non può aver rappresentato nulla di significativo per l'Aleotti, si ritiene che quello del Vignola abbia influenzato la progettazione non solo del Farnese di Parma, ma anche dell'Olimpico di Vicenza. Particolare è infatti la posizione del progetto di Piacenza nell'evoluzione dell'architettura teatrale della seconda metà del '500. Esso prevede l'abbinamento di un cortile rettangolare con una cavea, a cielo aperto, di forma semicircolare ridotta poi a “mezzovato” per evidenti ragioni di inserimento nel perimetro dell'antica rocca viscontea. Se da una parte si tratta quindi ancora di un organismo a doppio uso, cioè di un cortile utilizzabile a teatro all'aperto e di una cavea classico vitruviana con funzione anche di esedra, quale fondale del cortile sull'asse dell'ingresso principale del palazzo ducale, dall'altra abbiamo un nuovo rapporto spaziale tra l'area degli spettatori e l'area dello spettacolo, rapporto che prelude al vasto palcoscenico del Teatro Farnese. In questa panoramica della storia dell'architettura teatrale del Rinascimento si è così giunti all'inizio del '600 e al Teatro Farnese, che se è il terzo esempio cronologicamente rimastoci di questo periodo, è forse il primo per la novità dei contributi progettuali, anche in rapporto ai successivi sviluppi. Al teatro Farnese è indiscutibilmente legato il nome di Giovan Battista Aleotti, architetto dalla personalità eclettica, che con la sua versatilità non solo ha creato un mirabile vano teatrale, nonostante difficili esigenze e condizionamenti, ma ha anche dato vita ad una spettacolare scenografia, oggetto delle più entusiastiche descrizioni da parte dei contemporanei. La sua preminente affermazione nel campo dell'architettura teatrale può essere attribuita sia all'acquisita cultura specifica, sia ad una congeniale inventiva nell'ideazione di macchine spettacolari. L' Aleotti si è infatti formato sulla cultura umanistica e sull'insegnamento di Vitruvio, ha rilevato opere classiche, tra cui l'Anfiteatro di Verona, si è ampiamente documentato sui teatri del Palladio e dello Scamozzi, e lo ha dimostrato nei suoi lavori. Essenziali sono le esperienze acquisite nei suggestivi allestimenti scenografici per particolari manifestazioni, come le nozze di Marco Pio di Savoia con Clelia Farnese, o nella realizzazione di fontane e raffinati giochi d'acqua ricchi di inventiva e movimento come nel Giardinetto Nuovo presso il baluardo di San Benedetto nei giardini della Castellina a Ferrara. Ma dove si ritiene che l' Aleotti si sia espresso per la prima volta in un organismo teatrale completo e stabile è nella progettazione del teatro per l' Accademia degli Intrepidi a Ferrara. Databile non oltre il 1605 il teatro è costruito per incarico del marchese Enzo Bentivoglio nel volume di un grande magazzino esistente preso in affitto. L' opera è interessante per la sua organicità, ma non è comunque da ritenersi un capolavoro di modernità funzionale, come è stato affermato, e nemmeno un esemplare di dimensioni minori del teatro Farnese, da cui si differenzia negli elementi architettonici e nei rapporti. Si può piuttosto rilevare l'influenza dell'Olimpico di Sabbioneta, sia nella cavea che nella piazza e nel loggiato di coronamento, mentre la sua originalità è riscontrabile nell'arcoscenico e nella scena, che probabilmente non era fissa ma impostata su “telari mobili”. E' comunque indubbio che il teatro degli Intrepidi rappresenta uno dei migliori esempi dei teatri privati prima dell'affermarsi del teatro all'italiana realizzati sulla scena dell'Olimpico di Sabbioneta che a sua volta ha avuto una matrice Serliana. Dopo l'esperienza progettuale degli Intrepidi l' Aleotti continua la sua attività in campo scenico, allestendo vari tornei tra cui meritano menzione quelli tenuti in Ferrara nel 1610 e a Parma nel 1616. L'anno successivo affronta la progettazione del più grande teatro polifunzionale, il Farnese di Parma. Coadiuvato da validi collaboratori e gli si impegna in modo particolare, e il risultato è tale che l'opera rappresenterà nel futuro un riferimento di grande importanza nella storia del teatro. 2.2.2_Eredità culturale del teatro. Riprendendo il discorso del rapporto del teatro Farnese con la storia dell'architettura teatrale, occorre dire che la sua posizione è particolarmente interessante, perché trova collocazione in un momento di rapida e sostanziale trasformazione. Dal teatro rinascimentale si passa al teatro barocco, detto anche all'italiana, che è poi giunto fino a noi attraverso il XVIII e XIX secolo. Ci sembra utile dividere l'analisi in tre parti: il teatro Farnese come teatro rinascimentale; come anticipatore di strutture che troveranno in seguito grande sviluppo nella tipologia del teatro all'italiana e , più in generale, nel teatro lirico; ed infine come portatore di caratteristiche che rimangono esclusivamente sue, che ne fanno quindi un unicum, sebbene alcune caratteristiche verranno poi riprese, a distanza di secoli, da attuali tendenze per teatri di grandi dimensioni. Gli elementi che legano ancora il teatro Farnese alla cultura teatrale del '500 e quindi a quella classica vitruviana sono così evidenti da farne l'esempio emblematico di chiusura di quell'epoca. Infatti la forma ad U è nuova, ma gli spettatori sono ancora posti su gradinate come nella cavea classica, e la stessa forma ad U deriva dalla commistione del semicerchio classico con il rettangolo del teatro-cortile e in genere di quelli provvisori. Il loggiato sopra la cavea come luogo di deambulazione ed elemento significativo della composizione architettonica lo troviamo nel teatro classico, e quindi negli olimpici di Vicenza e Sabbioneta. La novità del loggiato multiplo può esser vista mutuata anch'essa dal teatro-cortile, come quello di palazzo Pitti. Infine il nuovo arcoscenico si apre in un contesto architettonico che non può non richiamare il scaene frons classico palladiano. Come pure i due archi trionfali laterali sono la riminiscenza dei parodoi. Esaminando invece gli stessi elementi da un altro punto di vista, possiamo dire che la forma della sala ad U preconfigura le settecentesche piante a campana dei Bibiena, nonché quelle ellittiche e a ferro di cavallo che verranno poi universalmente adottate. La forma della pianta del teatro Farnese viene ripresa già nei teatri immediatamente successi, mentre il doppio loggiato di serliane doriche e ioniche, anticipa quella soluzione a logge o a palchi sovrapposti che incomincerà ben presto ad essere adottata e che diventerà più tardi un partito comune a tutti i teatri, segnando il trapasso dal teatro di corte per manifestazioni sporadiche al teatro borghese a pagamento e funzionamento regolare. Già nel 1638 lo Schouwburg di Amsterdam presenta un doppio ordine di logge aventi al di sopra gradinate perimetrali: cioè unno schema che riproduce quello del Farnese e anticipa il “loggione”, che verrà adottato poi in quasi tutti i teatri all'italiana. Ma dove, a partire dall'esempio del teatro Farnese, si possono constatare nei teatri ad esso posteriori le più decisive innovazioni, è nella sistemazione del palcoscenico e nel suo collegamento con la sala. Il palco non è più a scena fissa ma dotato di quinte scorrevoli e di fondali sollevabili, è di una profondità notevole, atta a contenere le più svariate prospettive oltre ad ingombranti macchinari per la movimentazione di cose e persone. Fra sala e palcoscenico diventa d' uso normale l'arco scenico. Altro discorso si può fare per la sistemazione dell'orchestra davanti al palcoscenico che fu attuata per la prima volta nel Farnese in occasione dello spettacolo inaugurale. Solo qualche tempo più tardi la sistemazione dell'orchestra diventa stabile e definitiva, dando forma a quel golfo mistico adottato poi da tutti i teatri d'opera. Nel '600 il teatro vero e proprio si sviluppa in due distinte direzioni: il teatro pubblico a pagamento e il teatro stabile di corte. Nel contempo continuano e si sviluppano le grandi manifestazioni per celebrare, secondo il costume dell'epoca, i fasti delle varie dinastie: queste manifestazioni si svolgevano in vari luoghi ma soprattutto in allestimenti all'aperto. Il teatro farnese si pone come la sola risposta globale, con un organismo stabile a queste esigenze; da qui le sue inusitate dimensioni, paragonabili al tempo solo a quelle delle cattedrali. Costi elevati e poca sicurezza fecero in modo che la polivalenza funzionale del teatro Farnese non ebbero alcun seguito. 3_IL PROGETTO 3.1_Obiettivi Le Terme di Caracalla, nonostante il riconosciuto valore architettonico, non rientrano, secondo una statistica effettuata dalla Sovraintendenza dei Beni Archeologici di Roma, nei primi dieci monumenti visitati della Capitale. La popolazione romana, e non solo, associa indissolubilmente alle Terme la funzione di sede per la stagione estiva del Teatro dell'Opera. Con la nostra proposta progettuale intendiamo valorizzare l'attrattività del sito archeologico; offrendo un supporto stabile alla funzione legata alla rappresentazione teatrale e allo stesso tempo riqualificando il percorso di visita. La soluzione adottata permette di far non solo coesistere ma anche dialogare i due aspetti dell'intervento. Infatti il teatro riprende la forma originale del Calidarium, la cui percezione è oggi notevolmente compromessa dalle ridotte dimensioni dei resti di tale ambiente: così facendo la visita non viene disturbata dalla presenza dell'intervento (come avveniva per le precedenti strutture) ma anzi viene arricchita da un elemento attrattivo e stimolante. Altro aspetto dell'intervento riguarda la ricostruzione del fronte della natatio,che, oltre a dialogare con la struttura del teatro (trovandosi in asse con esso e prestandosi dunque quale scaenae frons), diventa un momento importante e suggestivo della visita. Tale momento ha luogo nel frigidarium, che grazie alla sua posizione centrale dell'impianto termale, in particolate su quello che viene definito l'asse delle acque (costituito da natatio, frigidarium, tepidarium e calidarium), diventa il punto di percezione globale dell'intervento. Proprio come era in origine, il frigidarium diventa anche il punto più importante della visita, punto in cui è stato scelto di mostrare una collezione costituita da copie di statue, ritrovate all'interno delle Terme ed ora sparse in vari musei. Se il frigidarium accoglie la parte scultorea della collezione, nel tepidarium è esposto parte del repertorio musivo costituito da frammenti oggi trascurati e non adeguatamente apprezzabili. 3.2_Descrizione dell’intervento: un teatro alle terme di Caracalla Analizzando le diverse soluzioni per quanto riguarda l'ubicazione del teatro alle Terme attuate a partire dal 1937 fino ai giorni nostri, è stato scelto di posizionare il nuovo palco direttamente all'interno del calidarium, facendo in modo che l'aspetto esteriore del Teatro riprendesse la volumetria ipotetica di quello che era un tempo il locale in questione. La forma che ne risulta è dunque quella di un semicerchio perfetto addossato al prospetto sud-est delle Terme. Dal punto di vista strutturale il teatro è sorretto da undici coppie di “costoloni” di legno lamellare, disposti a raggiera e convoglianti al centro del calidarium, dove le teste delle travi sono fissate ad un anello di acciaio. Le travi poggiano inoltre direttamente sulle sostruzioni del calidarium, che affiorando da terra sono oggi visibili definendo il perimetro dell'ambiente originale. L'importanza fondamentale del tema della tutela e conservazione delle rovine e della reversibilità dell'intervento ci ha portato a predisporre uno strato di sacrificio sopra alle rovine in modo da non comprometterne l'integrità, così come una platea è stata pensata per garantire su tutta la superficie del calidarium un'uniforme distribuzione del peso della struttura. L'inclinazione della parte delle travi in legno che costituiscono lo scheletro del teatro, detta la pendenza delle gradinate, costituendo dunque una vera e propria cavea, pavimentata in legno e dotata di apposite poltrone. Al centro, sopra l'anello d'acciaio, trova dunque spazio l'orchestra, dove una pavimentazione dotata di un sistema di sollevamento consente l'innalzamento della stessa a livello del palcoscenico. L'ingresso al teatro è garantito dall'esterno tramite una scalinata ed una coppia di rampe poste centralmente rispetto al prospetto sud-est, che conducono allo spazio sottostante le gradinate della cavea che funge da foyer e da distribuzione. Tale spazio assume una forma a semicerchio agli estremi della quale è possibile accedere direttamente alla cavea attraverso rampe simmetriche (che riprendono i parodoi, ovvero gli elementi del teatro classico attraverso i quali era garantito l'accesso), oppure è possibile accedere ai piani superiori, tramite ascensori o scale. I vani ascensore sono stati ricavati nello spazio che intercorre fra le ultime due coppie di travi in legno lamellare, mentre le scale si avvolgono attorno a setti, agganciati alla struttura principale, posti a chiusura dei locali adiacenti al calidarium. Tali locali, laconica, aventi funzione di stanze sudoripare, vengono dunque visivamente chiuse dal corpo scale. All' interno di questi locali sono stati poste alcune funzioni di servizio della struttura teatrale, in particolare sono state identificate: ad est rispetto al calidarium l'area destinata ai camerini, accessibile solo dagli addetti ai lavori in quanto posta ad un livello inferiore rispetto al foyer, mentre ad ovest la zona bar-ristoro che occupa in questo caso due locali fra loro comunicanti. Dagli ascensori possiamo accedere ai quattro piani successivi, tre dei quali inclinati e dotati di gradinate per il pubblico, mentre all'ultimo è stata ubicata la sala regia, posta in posizione centrale ed affiancata da corridoi dove sono stati previsti fasce attrezzate per impianti tecnici. La piega effettuata dalla struttura portante in copertura permette l'installazione di file di pannelli con funzione acustica aventi anche una notevole importanza estetica. L'esterno del teatro è rivestito da listelli orizzontali di ceramica trattata, aventi un' anima metallica che ne permette l'aggancio ad una serie di montanti, anch'essi metallici, fissati nello spessore delle solette. L'effetto voluto è quello di restituire l'idea del volume del calidarium senza però compromettere la permeabilità dell'edificio. Il palcoscenico occupa la rimanente superficie del calidarium, adattandosi ai resti dei grandi pilastri che costituivano la struttura portante dello stesso. Il palcoscenico è costituito da una struttura leggera in metallo ed accoglie, sotto il livello di calpestio, un vano adibito a magazzino. Al palcoscenico, come al magazzino appena citato, si accede attraverso un'apertura che collega all'area dei camerini. Caratteristica importante del teatro è la presenza di un scaenae frons costituito dal fronte della natatio ricostruito. L'intervento prevede infatti di ricostruire il fronte principale di quella che era la piscina all'aperto, situata all'estremo opposto rispetto al calidarium di quello che era l'asse delle acque (calidarium, tepidarium, frigidarium, natatio). La visuale dello spettatore trova dunque sempre, filtrato attraverso un sistema presente di quinte costituite dalle rovine del frigidarium, il rapporto con questo elemento. Ancora oggi sono presenti e riconoscibili le diciotto nicchie che caratterizzavano la parete originale. La ricostruzione di tale elemento avviene tramite elementi lignei applicata ad un'apposita struttura metallica che viene agganciata direttamente alla muratura esistente. Tale ricostruzione assume un'importante valore anche dal punto di vista del percorso di visita. Detto percorso è stato rivisitato solo per quanto riguarda la pavimentazione: l'intenzione progettuale è infatti quella di regolarizzare tutto il tragitto di visita del complesso con terra stabilizzata. All'interno dell'impianto termale l'asse di visita è perpendicolare a quello delle acque citato in precedenza e procedendo dunque da una palestra all'altra i due assi si incrociano nel frigidarium. 3.3_Il progetto di allestimento in situ Proprio in questo ambiente, il frigidarium, un tempo fulcro fondamentale delle Terme, il progetto prevede l'esposizione di una collezione statuaria, costituita da copie di statue i cui originale sono stati prelevati dalle Terme nel tempo e oggi custoditi in vari musei. La disposizione delle statue riprende i limiti originali del locale del frigidarium ed arricchisce i quattro spazi che costituivano le vasche di acqua fredda. In tali spazi, adeguatamente ripavimentati, sono presenti delle piccole nicchie nelle quali è stato pensato di posizionare resti e frammenti ritrovati durante le varie campagne di scavo ed ora conservate nei sotterranei. Due pezzi della collezione statuaria particolarmente interessanti sono posizionati in modo da sottolineare l'accesso ad altri ambienti. Il primo è un capitello figurato ritrovato intatto ed ora non visibile in quanto conservato nei sotterranei. Con apposito piedistallo è stato posizionato al centro di una vasca circolare. Da questo punto, per mezzo di un cambio di pavimentazione che sottolinea la direzione dell'asse delle acque, si accede alla natatio, dove è possibile ammirare la ricostruzione del fronte, grazie alla struttura della pavimentazione che aggetta sulla vasca d'acqua. Tale vasca riprende il perimetro della vasca originale ed è rivestita da lastre di rame sorrette da una struttura metallica che poggia proprio come nel calidarium su di una apposita platea. Il Toro Farnese (imponente gruppo statuario oggi custodito al Museo Archeologico Nazionale di Napoli), posto di fronte al capitello figurato sopra citato caratterizza invece l'accesso al tepidarium. In questo ambiente di dimensioni ridotte rispetto al frigidarium, è stata prevista l'esposizione di frammenti di mosaici oggi per nulla valorizzati e sparsi per il complesso termale. L'ambiente in questione è delimitato dalla presenza della parte posteriore del palcoscenico, la cui altezza è stata ripresa per l'installazione degli espositori che accolgono il repertorio musivo, e che sono disposti lungo il perimentro dello spazio. 3.3.1_Le decorazioni e le opere d’arte Le Terme di Caracalla, seppur note come "ville della plebe" perché collocate in una zona di Roma popolare come la regio Aventina, nei pressi del quartiere commerciale del Testaccio, erano, a detta degli autori antichi, eximias et magnificentissimas. La loro ricca decorazione consisteva in pavimenti di marmi colorati orientali, mosaici di pasta vitrea e marmi alle pareti, stucchi dipinti e centinaia di statue sia nelle nicchie delle pareti degli ambienti, sia nelle sale più importanti e nei giardini. Alcune di queste statue erano di bronzo. ma la maggior parte erano di marmo dipinto e dovevano costituire un colpo d’occhio abbagliante nella già ricca policromia delle Terme. La prima raccolta sistematica delle opere scultoree fu iniziata da papa Paolo III Farnese nel 1545-1547, durante gli sterri compiuti all‘"Antoniana" per decorate il suo nuovo palazzo. Grande sensazione provocò fra i contemporanei il ritrovamento, probabilmente nella palestra orientale, del Toro Farnese, il famoso gruppo colossale ricavato da un unico blocco di marmo, nel quale è rappresentato il supplizio di Dirce legata al toro da Anfione e Zeto per vendicare i torti da lei arrecati alla madre Antiope, che assiste alla scena. Date le proporzioni colossali, il gruppo fu collocato nel cortile di Palazzo Farnese che affacciava su via Giulia, e non è chiaro se subì interventi di adattamento e di trasformazione, forse in fontana, già all’epoca del suo ritrovamento. Era talmente famoso che persino il re di Francia Luigi XIV tentò di acquistarlo e trasportarlo a Parigi, ma senza successo; comunque il suo destino non era quello di rimanere a Roma perché nel 1788 fu trasportato a Napoli, insieme a molta parte della collezione Farnese, dote dell’ultima erede della famiglia, Elisabetta, andata in sposa al re di Spagna Filippo V, e da lei trasmessa a suo figlio Carlo di Borbone, re di Napoli. Prima esposto nella Villa Reale di Chiaia, fu poi trasferito nel 1826 nel Museo Archeologico Nazionale di Napoli, dove è tuttora conservato insieme agli altri capolavori provenienti dalle Terme. Fra questi dobbiamo ricordare il celebre Ercole colossale in riposo proveniente dal frigidarium, firmato sul basamento da Glykon, uno scultore ateniese attivo all’inizio del III secolo d.C. Della scultura Pietro Santi Bartoli (Flaminio Vacca, Memorie,77) dice che il corpo fu trovate alle Terme, la testa nel fondo di un pozzo in Trastevere e le gambe alle Frattocchie. La fama del tipo statuario è dimostrata dalla diffusione di copie di ogni dimensione, che vanno dai pochi centimetri fino ai 3 metri. Un altro Ercole di grandi dimensioni fu trovato nel frigidarium delle Terme di Caracalla, il cosiddetto Ercole Latino, dato prima per disperso e poi riconosciuto nella grande statua conservata nella Reggia di Caserta. Ercole era molto amato dai Severi e molto presente nelle raffigurazioni delle Terme: in uno dei più famosi capitelli figurati dell'antichità, sempre proveniente dal frigidarium, il semidio è rappresentato in posizione di riposo appoggiato ad una clava. In tempi diversi furono recuperati nelle Terme altri gruppi famosi, come quello Atreo con Tieste, statue di Minerva, di Venere, busti di personaggi della famiglia imperiale e numerosi frammenti architettonici, fra cui le vasche ora nel cortile del Belvedere in Vaticano e i due splendidi bacini di granito grigio provenienti anch'essi dal frigidarium e riutilizzati dal Rinaldi come fontane in Piazza Farnese. Sempre di granito era la colonna proveniente dalla natatio e portata a Firenze nel 1563, dove fu eretta da Cosimo I de' Medici in Piazza Santa Trinità, nella quale ancora si trova. Una parte cospicua dell’apparato decorativo doveva essere costituita dalle statue nelle nicchie, presenti più o meno nelle pareti di quasi tutti gli ambienti, tranne che in quelli più caldi, e che sono state calcolate in piu di centoventi, una grande quantità delle quali deve essere confluita nelle collezioni museali di tutta Europa. II dato conferma la notizia trasmessaci da Pietro Santi Bartoli (Flaminio Vacca, Memorie,78) che gli scavi alle Terme furono così copiosi di materiali da riempire interi magazzini di Palazzo Farnese, nonostante di molti bei frammenti si fosse fatta calce, come era abitudine in quei tempi. Sicuramente in una nicchia doveva essere collocata la statua di Artemide rinvenuta nei sotterranei nel 1996, poiché essa ha la caratteristica di un panneggio molto inciso e accurato sul davanti e, al contrario, liscio, quasi non lavorato, sul dorso, segno che era sicuramente destinata a una visione esclusivamente frontale. Di tutta la decorazione scultorea e architettonica dell’edificio restano nei magazzini circa duemila frammenti, fra i quali anche pezzi di grande interesse, come i celebri capitelli figurati del frigidarium, quelli con le aquile e i fulmini, parti del fregio con le armi dalle palestre, basi, colonne, cornici ecc. Il marmo era di numerose qualità: marmo bianco greco (soprattutto proconnesio, ma anche pario, tasio e docimeno) e lunense, graniti rosa e grigi, porfido, serpentino, giallo antico, pavonazzetto, cipollino e molte altre varietà ancora. Infine, è assolutamente necessario ricordare anche i pavimenti marmorei e i mosaici che decoravano le Terme. Infatti questi ultimi costituiscono uno dei più completi complessi decorativi esistenti a Roma, dove è difficile trovare un repertorio così ampio e cronologicamente omogeneo. I pavimenti del corpo centrale (frigidarium, tepidarium, Calidarium) erano tutti in opus sectile marmoreo, del quale non abbiamo più traccia tranne che per qualche frammento nel Calidarium e nel frigidarium. Sia i pavimenti delle palestre e delle stanze a esse connesse, sia quelli dei vestiboli della natatio erano a mosaici di tessere di marmi colorati con grande uso della breccia serpentina e del giallo antico; i motivi decorativi, estremamente vari e originali, denotavano un gusto e una ricchezza inventiva notevoli. Quelli degli apodyteria, invece, erano a semplici mosaici bianchi e neri con motivi geometrici di volta in volta diversi; ancora, i mosaici delle palestre erano di marmi colorati a motivi curvilinei e con un bellissimo motivo a girali d’acanto di breccia serpentina nella parte centrale. Nelle due absidi furono rinvenuti, negli scavi del 1824, i celebri mosaici con gli atleti, nel 1838 trasferiti nel Museo del Palazzo Laterano, e dal 1963 ospitati ai Musei Vaticani, dove, negli anni settanta, sono stati rimontati nel loro assetto originario e nella primitiva forma semicircolare. Probabilmente in occasione del distacco dei mosaici dalle esedre delle palestre furono eseguiti minuziosi acquerelli che ne documentano lo stato prima della rimozione. l pavimenti, bordati da una fascia nera, presentavano all’interno Io spazio suddiviso in pannelli rettangolari, quadrati e di forma irregolare: i primi contenevano figure di atleti o di giudici a grandezza naturale, i secondi busti di atleti di dimensioni maggiori del vero, i terzi figure di attrezzi o di premi atletici. Gli atleti si distinguono immediatamente dai giudici per la loro nudità e, a seconda dei loro attributi, sono riconoscibili atleti vincitori (con ramo di palma e corna), pugili, discoboli, lanciatori di giavellotto, lottatori. I giudici di gara indossano una lunga veste, hanno i capelli cortissimi, la barba e tengono in mano una palmetta, che fungeva da segnale. Tra gli attrezzi rappresentati negli spazi di risulta ricorrono i manubri e i rami di palma. I piani superiori delle palestre erano decorati da un pavimento con thiasos marino animato da nereidi, tritoni e delfini, eroti e mostri d’acqua, lungo oltre 300 metri che, crollato in buona parte dai piani superiori, è ora visibile in grossi frammenti appoggiati alle pareti delle due palestre e in altri ambienti del corpo centrale. Le pareti delle Terme erano decorate con crustae marmoree, riconoscibili dai piccoli fori per le grappe che dovevano sorreggere le lastre di marmo e che consentono di ricostruirne il disegno rettangolare. Come accennato, le volte degli ambienti prospicienti la natatio e le nicchie delle vasche del frigidarium erano invece coperte da mosaici di pasta vitrea, che dovevano creare un effetto iridescente riflettendosi nelle vasche piene d’acqua. BIBLIOGRAFIA Le Terme di Caracalla F. Coarelli, “Guida archeologica di Roma”, Arnoldo Mondadori Editore, Verona 1984. J.Delaine, “The cella solearis of the Baths of Caracalla: a Reappraisal”, tratto da “Paper of the British school at Rome”, 55, 1987, pp. 147-155. J.Delaine, “Recent Research on Roman Baths”, tratto da “Journal of Roman Archaeology”, 1, 1988, pp.19, 21-22, 26-29. E. Ghislazzoni, “Scavi nelle Terme Antoniniane”, in “Notizie degli scavi dell’antichità”, Roma, 1912, pp. 305325; in particolare per il sopraterra pp. 305-317, per i sotterranei pp. 317-325. M. Grant, “Gli imperatori romani”, Laterza, Roma, 1984. M. Grant, “La civiltà di Roma, 133 a.C. – 217 d. C.”, Il Saggiatore, Milano, 1960 I. Iacopi, “L’Arco di Costantino e le Terme di Caracalla”, Istituto poligrafico dello Stato, Roma, 1977. L. Lombardi, A. Corazza, “Le Terme di Caracalla”, Palombi, Roma, 1996. L.Lombardi, A.Corazza, “Gli impianti tecnici delle Terme di Caracalla: impianto idraulico e termico”, Palombi, Roma, 2007. M. Piranomonte, “Le Terme di Caracalla”, in “Architetture di Roma Antica II”, Milano, 1933, pp. 30-45. M. Piranomonte, “Terme di Caracalla. Lo scavo della biblioteca sud-ovest”, in “La ciutàt en el mon Romà”, Atti del XIV Congresso ArchCI, 1994, pp. 333-335. M. Piranomonte, A. Capodiferro, “Le Terme di Caracalla: un luogo per lo sport e il tempo libero”, in “Lo sport nel mondo antico”, catalogo della mostra, Roma, 1987, pp. 109-119. G. Ripostelli, “Le Terme di Antonino Caracalla: all'epoca romana nel medioevo e ai giorni nostri”, A.Carlini, Roma, 1915. R. A. Staccioli, “Acquedotti, fontane e terme di Roma antica”, Newton & Compton Ed., Roma 2005. Storia del Teatro S. Cattiodoro, “Architettura scenica e teatro urbano”, F. Angeli, Milano, 2007. P. Degl’Innocenti, “Sviluppo storico-tipologico delle architetture per lo spettacolo”, Alfani, Firenze, 1995. C. Fontana, “A scena aperta: scala e teatri tra riforme e conservazione”, Mondadori Electa, Milano, 2006. V. Gandolfi, “Il teatro Farnese di Parma”, Luigi Battei, Parma, 1980. A. Nicoll, “Lo spazio scenico: storia dell’arte teatrale”, Bulzoni Editore, Roma, 1971. U. Pappalardo, “Teatri greci e romani”, Arsenale Editore, San Giovanni Lupatoio (Vr), 2007. P. Piccolo, “Appunti di scenografia”, I.E.P.I., Roma, 1954. I. Prozzillo, “Francesco Milizia: teorico e storico dell’architettura”, Guida Editori, Napoli, 1971. P. Salvadeo, “Abitare lo spettacolo”, Maggioli editore, Santarcangelo di Romagna (RN), 2009. G. Wickham, “Storia del teatro”, Il Mulino, Bologna, 1988. Museografia L. Basso Peressut, “I Luoghi Del Museo : Tipo E Forma Fra Tradizione E Innovazione”, Editori Riuniti, Roma, 1985. P. F. Caliari, “Appunti di museografia”, Libreria Clup, Milano, 2001. P. F. Caliari, “Museografia.Teoria estetica e metodologia didattica”, Alinea, Firenze, 2003. P. F. Caliari, “La forma dell’effimero. Tra allestimento e architettura: compresenza di codici e sovrapposizione di tessiture”, Edizioni Lybra Immagine, Milano, 2000. G. Crespi, N. Dego, “Opere e progetti, Giorgio Grassi”, Electa, Milano, 2004. G. Crespi, S. Pierini, “Giorgio Grassi. I progetti, le opere e gli scritti”, Electa, Milano, 1996. G. Grassi, “Teatro romano di Brescia: progetto di restituzione e riabilitazione”, Electa, Milano, 2003. A. Forti, “Restauro e museografia”, Alinea, Firenze, 1999 S. Pierini, “Progetti per la città antica”, F. Motta, Milano, 1995. M. C. Ruggieri Tricoli, “Musei sulle rovine: architetture nel contesto archeologico”, Lybra Immagine, Milano, 2007