Il contratto preliminare, percorsi per una definizione

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CAPITOLO PRIMO
Il contratto preliminare,
percorsi per una definizione
SOMMARIO: 1.0. Il contratto preliminare, percorsi per una definizione. – 1.1. Rapporti tra preliminare e definitivo: autonomia causale tra i due contratti. – 1.2. Conseguenze sui rapporti tra contenuto del preliminare e contenuto del definitivo. –
1.3. Vizi del contratto preliminare e loro rapporto con il contratto definitivo. – 1.4.
Profili comparatistici. – 1.4.1. Gli USA. – 1.5. Minuta, puntuazione, intese precontrattuali, lettera d’intenti, opzione: distinzioni concettuali e valore degli scritti
provenienti dalle parti nella vicenda contrattuale “in itinere”. – 1.6. Il contenuto
del contratto preliminare immobiliare. – 1.7. Le figure della prassi: la proposta
d’acquisto accettata ed il preliminare del preliminare. – 1.8. I confini tra contratto
preliminare e contratto definitivo. – 1.9. Dal preliminare ai preliminari: trascrivibilità del patto di opzione e dei preliminari unilaterali? – 1.10. Visione d’insieme
dei requisiti del contratto preliminare immobiliare. – 1.11. La buona fede.
1.0. Il contratto preliminare, percorsi per una definizione
Legislazione c.c. 1351, 2645-bis, 2932.
Bibliografia Corrias 1998 – Ricciuto 1999 – Bozzi 2007.
Il contratto preliminare è un istituto giuridico totalmente ignorato dal
codice civile del 1865. Tale codice, ricalcato sul modello del codice napoleonico che in omaggio al dogma del consenso traslativo prevedeva espressamente il principio “promessa di vendita vale vendita”, escludeva
la possibilità di assumere un vincolo preliminare nonché, più in generale,
di stipulare contratti cosiddetti preparatori. Tuttavia, la diffusione del preliminare nella prassi negoziale, pur in presenza di tale vuoto normativo,
ha portato dottrina e giurisprudenza a valorizzare questa figura che veniva ad essere, svincolata sia dal principio del diritto francese (art. 1589
code Napoléon) «la promesse de vente vaut vente lorsque il y a le consentement des deux parties sur la chose et sur le prix» sia dal modello
germanico fondato sulla separazione del momento obbligatorio dalla fase esecutiva, che vede il contratto definitivo quale atto traslativo astratto
(Einigung) con una causa esterna compiuto in esecuzione dell’obbligo di
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dare assunto con il contratto causale ad efficacia obbligatoria (ABGB,
par. 936). Si veniva così a configurare uno strumento che prevedeva prima del tradizionale momento traslativo una assunzione di obbligazione
intermedia e, come tale, incompatibile con l’essenza immediatamente traslativa dello schema tipologico della vendita basato sul principio consensualistico (art. 1125 c.c. del 1865) (Bozzi 2007, 1).
In tale ambito tutta l’attività che precedeva la stipulazione del contratto definitivo (in forza del suddetto principio consensualistico) veniva relegata all’ambito delle trattative, limitando la tutela delle parti all’ambito
extra contrattuale.
La mancanza di definizione normativa ha portato già agli inizi del secolo scorso la dottrina a formulare la definizione di contratto preliminare
che è giunta sino a noi, che qualifica la figura come un contratto ad effetti
obbligatori consistente nell’accordo con cui le parti si obbligano a concludere, in un secondo momento, un contratto definitivo già delineato nei
suoi elementi essenziali.
Le norme del codice civile vigente che regolano il contratto preliminare sono gli artt. 1351 e 2932: il primo ne disciplina la forma (ma non ne
fornisce una definizione) ed il secondo l’esecuzione specifica. A questo
nucleo essenziale di norme è seguito, nel 1997, l’art. 2645 bis c.c., il quale sancisce, a determinate condizioni, la trascrivibilità del contratto preliminare immobiliare.
Come istituto il contratto preliminare è passibile di numerose applicazioni, ma trova un maggiore rilievo (diremmo quasi una applicazione fisiologica) in relazione a contratti aventi ad oggetto compravendite di beni
immobili; infatti, è assai raro nella prassi (viste la complessità, il rilievo
economico e le formalità necessarie alla trascrizione di tale operazione)
che una compravendita immobiliare sia a “formazione istantanea” ovvero
sia il risultato dell’incontro immediato tra una proposta ed una accettazione, ed è proprio in questo senso che emerge l’utilità pratica di separare
gli effetti obbligatori da quelli reali.
La funzione del preliminare viene comunemente individuata nel rinvio
del definitivo regolamento di interessi voluto dalle parti ad un momento
futuro: i contraenti fissano il contenuto del futuro contratto e si obbligano
a stipularlo, senza peraltro giungere alla sua immediata conclusione.
Le motivazioni che spingono i contraenti a preferire la stipulazione di
un contratto preliminare di compravendita di un immobile ad un contratto
definitivo possono essere variamente ricondotte: alla mancanza di documenti o dei dati necessari alla stipulazione dell’atto pubblico; al fine di
cautelarsi contro vizi e/o difetti di qualità dell’immobile; per consentire al
promissario acquirente di reperire le necessarie risorse finanziarie per pa-
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gare il prezzo (come avviene nel caso assai frequente in cui il promissario
acquirente debba accendere un mutuo o stipulare un contratto di leasing)
o/e per assolvere gli obblighi tributari connessi alla vendita; per cogliere
un’occasione particolarmente vantaggiosa; a fronte dell’incertezza in ordine al verificarsi di eventi rilevanti ai fini della futura conclusione del
contratto definitivo o della determinazione del suo contenuto; per l’esigenza di verifica delle concrete condizioni di edificabilità di un terreno,
nonché degli oneri e dei costi legati all’edificazione. Queste varie motivazioni socio economiche che costituiscono lo scopo, tradizionalmente
riconosciuto, della dilazione hanno portato a dire che la funzione tipica
del contratto preliminare sia il controllo delle sopravvenienze (che sarebbe a presidio principalmente degli interessi dell’acquirente), unitamente a
quella pure ipotizzabile (di garanzia del promettente venditore) di controllo sulla reale corresponsione del prezzo concordato. Va rilevato come
pure la funzione di controllo delle sopravvenienze, intesa come controllo
che il contraente intende ancora esercitare sul bene o sulla prestazione,
per quanto non implichi una libera valutazione di convenienza circa l’affare (già consegnate al vincolo preliminare) ricomprende pur sempre operazioni d’attività in cui può manifestarsi una volontà negoziale delle parti
(cfr. Ricciuto 1999, 253).
In altre parole l’individuazione della funzione sopra esposta come giustificazione causale tipica della scissione tra consenso preliminare e definitivo, in coerenza con la tradizione e con la stessa formulazione letterale
delle norme che qualificano “contratto” la prestazione del consenso dovuto, permette di attribuire al definitivo stesso natura negoziale, sul rilievo
che con esso si attuerebbe una seconda valutazione di opportunità dell’operazione economica di contenuto diverso da quella svolta in sede preliminare, ed, in ogni caso, circoscritta all’accertamento di eventuali divergenze rispetto agli elementi sui quali si era fondata la prima. Così ad esempio se il controllo esercitato solo dopo la conclusione di un contratto
definitivo rivela presupposti ignorati da una delle parti, questa disporrà
certamente di domande giudiziali di annullamento o risoluzione. Il preliminare (bilaterale) invece consente alle parti stesse di operare quel controllo prima di assumere gli obblighi finali, Qualora infatti prima della conclusione dell’affare si individuino cause di annullabilità o di risoluzione del
futuro contratto, il contraente svantaggiato potrà invocarle e rifiutare così
la stipulazione dei definitivo (Ricciuto 1999, 253).
Se il contratto preliminare è quindi il contratto che obbliga le parti a
concludere in futuro un ulteriore contratto che viene convenzionalmente
chiamato definitivo, la completezza sostanziale e formale di tale contratto
preliminare ne condiziona la validità e quindi anche la concreta possibi-
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lità di esecuzione coattiva in caso di inadempimento (art. 2932 c.c.).
A fianco dello schema tipico del preliminare testé descritto, nella
prassi tendono ad emergere figure maggiormente articolate derivanti dall’introduzione nella stipulazione di elementi ulteriori e diversi che trasformano il contratto preliminare in una sequenza complessa (es. preliminare di cosa altrui, preliminare con effetti anticipati, preliminare del preliminare, ecc. come si vedrà in seguito).
Il rilievo di queste varianti è tale da far dubitare che accanto alla figura
tipica del preliminare, delineata dal legislatore (che prevede solo l’obbligo di concludere il definitivo), sia rinvenibile l’esistenza di figure atipiche di preliminare immobiliare.
Da quanto fin qui esposto risulta chiaro che l’espressione “contratto
preliminare”, in materia immobiliare «non descrive un fenomeno unitario,
ma una serie di figure sensibilmente diverse fra loro, sia con riferimento
agli interessi concreti che sono atte a realizzare, che rispetto alle caratteristiche strutturali che ognuna di esse presenta» (Corrias 1998, 1006).
Di fatto ci sembra si possa rilevare che le stesse definizioni di contratto preliminare rinvenibili nella giurisprudenza siano per la gran parte correttamente orientate a superare eccessive schematizzazioni dogmatiche e
formalistiche per orientarsi decisamente verso la sostanza del contenuto
dell’accordo.
1.1. Rapporti tra preliminare e definitivo: autonomia causale tra i
due contratti
Legislazione c.c. 1325, 1376, 1470, 2643, 2932.
Bibliografia Montesano 1953 – Betti 1954 – Tamburrino 1954 – Giorgianni 1961 – Alabisio
1966 – Ravazzoni 1966 – Rascio 1967 – Gabrielli 1970 – Gabrielli 1974 – Scalisi 1978 –
Montesano 1979 – Carresi 1987 – Chianale 1990 – Trabucchi 1992 – Gazzoni 1997 – Luminoso 1998 – Gabrielli 2003 – Gazzoni 2003 – Vitalone 2005 – Bozzi 2007 – Vitalone 2008.
La dottrina tradizionale (Santoro Passarelli, Rubino) ha ritenuto il contratto preliminare il fondamento di un obbligo di dare in senso proprio,
risulta evidente come alla base di questa ricostruzione vi sia il modello
specifico del preliminare di compravendita che viene identificato come
fonte dell’obbligo di trasferire la proprietà o altro diritto reale attraverso
lo strumento del contratto definitivo, l’obbligo di contrarre si giustificherebbe, in altre parole, solo come obbligo di trasferire, non avendo senso
obbligarsi ad obbligarsi.
«La funzione del contratto preliminare è quella di impegnare contraenti
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alla futura stipula, alle condizioni e nei termini in esso convenuti, di un successivo contratto definitivo, della prestazione essenziale che ne formò oggetto è costituita da quel particolare facere, consistente nella stipulazione anzidetta, che deve esattamente corrispondere agli elementi predeterminati in sede di compromesso».
(Cass. 29.3.2006, n. 7273, GCM, 2006, 3).
Ed ancora,
«il contratto preliminare è fonte di un obbligo convenzionale di contrarre e
genera, quindi, un diritto alla conclusione di un contratto definitivo e non direttamente alla prestazione che ne forma oggetto».
(Cass. 16.10. 2001, n. 12608, GCM, 2001, 1754).
L’obbligazione che nasce nel contratto preliminare è quindi un’obbligazione di facere ma un facere circostanziato cioè l’obbligazione di concludere quel contratto a cui il preliminare è strumentale. Il contratto preliminare fa nascere un vincolo obbligatorio in sé perfetto (e ciò lo differenzia da altre figure che possono essere ad esso avvicinate) che va ad inserirsi in quel procedimento di formazione del contratto definitivo ed a
tale ruolo di antecedente cronologico deve appunto il suo nome di preliminare.
Permangono, peraltro, in dottrina posizioni divergenti, che non hanno
trovato un punto di contatto neanche seguito della introduzione della recente novella, in materia di trascrizione del contratto preliminare (Vitalone 2005, 19 ss.). Infatti, nella relazione al decreto legge 31 dicembre
1996, numero 669, convertito in l. 28 febbraio 1997, numero 30, si dichiara testualmente che «il raccordo con il sistema, sul piano logico giuridico, lo si ha considerando il contratto preliminare non in modo autonomo, ma come segmento di un procedimento che nasce con il preliminare ma che è destinato a svilupparsi, per effetto della procedura prevista
dall’art. 2932 c.c., in un negozio con effetti reali. È tenendo conto dell’intera vicenda che si individua nel preliminare un contratto sostanziale
prodromico di una vicenda negoziale intesa al raggiungimento di effetti
reali». Si distinguono al riguardo posizioni che ritengono che la normativa abbia consacrato a livello positivo il tipo negoziale della vendita obbligatoria (Gazzoni 2003, 23 ss.) e tesi che all’opposto, ritengono che essa abbia accolto la nozione tradizionale di contratto preliminare, quale
contratto con cui le parti si impegnano a stipulare, in futuro un altro contratto (Luminoso 1998, 14 ss.).
I due principali filoni dottrinali possono essere sintetizzati nella teoria
della “causa interna” del contratto definitivo e quella opposta della “causa
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esterna” dello stesso. Secondo la prima, la funzione causale del definitivo
andrebbe rintracciata nell’effetto tipico che è destinato a produrre (esempio compravendita), per cui esso avrebbe una propria autonomia funzionale e renderebbe irrilevanti, per la sua validità ed efficacia, eventuali vizi
del preliminare. Il secondo filone, invece, tende a valorizzare il contrasto,
ritenuto da alcuni insanabile, tra natura negoziale e natura di atto dovuto
del contratto definitivo: si sostiene che contratto definitivo troverebbe la
propria giustificazione causale nell’adempimento dell’obbligo di contrarre imposto dal preliminare, per cui, configurandosi il definitivo, non già
come negozio autonomo, ma come atto dovuto, esso verrebbe caratterizzato da una causa solvendi che rinvia, per la propria qualificazione appunto, ad una causa esterna.
Da ciò deriverebbe (tra l’altro) la rilevante conseguenza che l’invalidità del preliminare priverebbe di giustificazione causale l’attribuzione
patrimoniale operante con il definitivo, legittimando, eventualmente, la
ripetizione dell’indebito oggettivo.
L’orientamento che assimila le cause del preliminare e del definitivo
pone il suo fondamento, nel quadro del collegamento funzionale tra i due
contratti, nell’unità dell’operazione economica divisata dai contraenti (riconoscendosi ad essa una valenza non soltanto nominalistica e descrittiva
del rapporto con il contratto) e nell’intenzione delle parti di realizzare uno
scopo economico unitario, in questa prospettiva teleologica la valutazione
causale non può che riguardare l’operazione negoziale nella sua totalità
per cui ciascun contratto realizza una frazione dell’intento unitario. È l’operazione economica nella sua unità funzionale che «quale schema unificante dell’intero assetto di interessi disegnato dall’autonomia privata, penetra
all’interno delle singole cause che compongono il collegamento negoziale, qualificandole in concreto a prescindere dalla causa tipica dei singoli
schemi negoziali» (Gabrielli 2003, 93 ss., 102 e autori ivi citati, nonché
Scalisi 1978, 52; Bozzi 2007, 4).
Tale orientamento parrebbe trovare una assonanza in giurisprudenza.
«È così maturato progressivamente il convincimento che l’impegno assunto con il preliminare non si esaurisce nello scambio dei consensi richiesto
per la stipulazione del contratto definitivo. Non solo perché l’interesse delle
parti è diretto alla realizzazione dell’operazione economica programmata, rispetto alla quale il contratto definitivo assume un rilievo meramente strumentale. Ma (e soprattutto) perché la conclusione di detto contratto non è neppure
indispensabile per il raggiungimento del risultato perseguito dalle parti, avendo il legislatore previsto che lo stesso obbiettivo possa essere raggiunto
mediante la pronuncia di una sentenza produttiva degli effetti del contratto
“non concluso” (art. 2932 c.c.).
Il contratto preliminare e quello definitivo, pur rimanendo distinti, si con-
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figurano pertanto quali momenti di una sequenza procedimentale diretta alla
realizzazione di un’operazione unitaria (Cass. 27 giugno 1987, n. 5716). E in
termini non diversi si pongono i rapporti tra il contratto preliminare e la sentenza destinata a surrogare il contratto “non concluso”, dal momento che la
natura giurisdizionale dell’atto non esclude che il rapporto da essa derivante
abbia pur sempre natura contrattuale. Questo spiega, tra l’altro, perché (superando il dogma della immodificabilità del contratto preliminare, il quale postula che l’aspetto definitivo dell’operazione coincida esattamente con quello
prefigurato nel preliminare) sia stata ammessa dalle sentenze appena ricordate, in presenza di difformità non sostanziali e di vizi incidenti (non sulla sua
effettiva utilizzabilità ma solo sul relativo valore e su qualche secondaria modalità di godimento), la possibilità di introdurre, nel giudizio promosso ai
sensi del citato art. 2932 c.c., domande dirette a modificare o ad integrare il
contenuto delle prestazioni delle parti».
(Cass. Sez. U., 7.7.2004, n. 12505, GI, suppl., 268).
Questa articolata prospettiva, accomunata dal presupposto che il definitivo, come atto di adempimento e quindi dovuto, è incompatibile con
l’espressione dell’autonomia, ha dato luogo in realtà a più ipotesi ricostruttive.
Il contratto preliminare è stato ritenuto esso stesso titolo della costituzione di una situazione giuridica finale e quindi della volontà dispositiva
sicché un’ulteriore volizione sarebbe superflua ritenendosi che esso sia
«Per la forma e la sostanza potenzialmente definitivo» (Giorgianni 1961,
64 ss.; Montesano 1979, 511 ss.).
Da questa considerazione deriverebbero due ordini di conseguenze, rispettivamente nella fase fisiologica in quella patologica del rapporto scaturente dal preliminare. Con riferimento al primo aspetto, il contratto definitivo costituirebbe soltanto la documentazione successiva alla quale è
subordinata all’efficacia del contratto preliminare il quale sarebbe la vera
fonte degli effetti (Montesano 1953, 20 ss.). In caso di inadempimento la
sentenza costitutiva e messa ai sensi dell’art. 2932 c.c., trasformando la
potenzialità del preliminare in atto, non verrebbe a sostituire il titolo negoziale per difetto del consenso mancante ma darebbe l’effetto negoziale
all’asseto di interessi già compiutamente delineato nel preliminare il quale in sostanza verrebbe reso definitivo (Montesano 1953, 508). In questa
sorta di procedimento ritroso che tende vieppiù ad individuare nel preliminare il titolo delle prestazioni finali, è stata prospettata la considerazione
del preliminare secondo il modello della vendita obbligatoria germanica.
Seguendo questa prospettiva si è giunti a riproporre, a conferma della
tesi della causa solutoria del definitivo quale atto dovuto, la scissione romanistica tra titulus e modus adquirendi che, applicata alla sequenza preliminare definitiva, comporta, non senza qualche forzatura, che dal preli-
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minare non sorga l’obbligo di prestare il consenso bensì di dare, ossia un
obbligo in capo al venditore di far acquistare la proprietà tramite il compimento di un atto traslativo (modus adquirendi) sul modello della vendita obbligatoria seguita da un atto dovuto non contrattuale costitutivo del
diritto (Chianale 1990, 95, 276 ss.).
L’ipotesi ricostruttiva del preliminare quale vendita obbligatoria dalla
quale nascerebbe per il commissario acquirente uno ius ad rem e non un
mero credito in personam e la conseguente assimilazione del preliminare
al contratto traslativo sono apparse trovare conferma, anche sul piano del
diritto positivo, dal regime di pubblicità al quale il preliminare può essere
assoggettato. Questo regime produrrebbe effetti sostanzialmente equiparabili a quelli propri della trascrizione di un contratto traslativo, in quanto
non meramente prenotativi sul piano di un autonoma opponibilità ex art.
2644 c.c. benché l’efficacia della trascrizione sia temporalmente limitata
a tre anni (Bozzi 2007, 10).
In tempi recenti tale visione è stata portata alle estreme conseguenze:
«La giurisprudenza, nella sostanza, è ormai orientata nel senso della vendita obbligatoria, A seguito della nota sentenza delle sezioni unite (Cass. 27
febbraio 1985, n. 1720) in cui si parla di “sostanziale impegno traslativo” del
promittente alienante, può ben dirsi che “il preliminare sempre più viene assumendo l’aspetto e le sembianze di un comune contratto obbligatorio, con
cui le parte si promettono prestazioni più che consensi”».
(Gazzoni 1997, 21).
Riteniamo sia evidente, dal punto di vista empirico, l’unicità nella
maggior parte dei casi, dell’operazione economica cui si tende con la sequenza preliminare definitivo, il che porta a dire che nella maggior parte
dei casi è vero che questi realizzino “momenti di una sequenza procedimentale diretta alla realizzazione di un’operazione unitaria”, tuttavia questo rilievo per così dire “statistico” non può assurgere a ruolo autonomo
sia sotto il profilo economico che sotto il profilo causale dei contratti preliminari, è infatti esperienza altrettanto comune, il “commercio”, attraverso cessioni, preliminari a catena, contratti a favore di terzo, clausole per
persona da nominare, sino alla cessione di aziende o società che hanno
stipulato il contratto (così come anche di altre forme di intesa preliminare, esempio opzioni) il che pone in evidenza da un lato come sia possibile
stipulare contratti preliminari per raggiungere fini economici che, in realtà sono diversi, per lo stipulante, – che poi diviene in vario modo “cedente” – da quelli propri del contratto definitivo; dall’altro come l’operazione
“contratto preliminare” si pone in linea generale sicuramente in correlazione oggettiva con un successivo contratto definitivo.
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Riteniamo quindi preferibile seguire la tesi tradizionale per cui il contratto definitivo sarebbe, da un lato, adempimento e, dall’altro, il negozio
traslativo espressione di autonomia privata, che si costituirebbe come effetto dell’atto dovuto o sarebbe a sua volta causa dell’estinzione dell’obbligo.
Anche sul piano della teoria generale è stato sostenuto che il negozio
giuridico bilaterale posto in essere in adempimento di un’obbligazione
contrattuale tra le parti ha funzione liberatoria, quindi estintiva, del precedente rapporto e, a un tempo, creativa dell’assetto finale degli interessi. (cfr.
Betti 1954, 113).
Non può comunque ragionevolmente dubitarsi che ove il definitivo
venga comunque stipulato, e se con esso le parti hanno conferito finale
sistemazione al loro assetto di interessi, ne deve discendere che il contratto preliminare ha svolto tutti i suoi effetti e non può pertanto essere più
oggetto di ulteriori conseguenze, anche se, eventualmente, viziato. Ove mai
i vizi del primo siano rinvenibili anche nel secondo sarà questo ad essere
eventualmente aggredito dalla parte che tali vizi lamenta (Vitalone 2008,
20 ss.). In tale senso si schiera anche la giurisprudenza la quale ha avuto
modo di precisare che
«Con il secondo motivo del ricorso principale si deduce violazione e falsa
applicazione dell’art. 1392 (rectius 1362) del codice civile. Osserva la ricorrente che nel contratto definitivo non risultava alcun richiamo o riferimento
alla volontà delle parti di un superamento di quanto espresso nel preliminare
riguardo alle obbligazioni accessorie in esso contenute. Rileva infine che i
giudici del merito avevano omesso di esaminare un fatto decisivo per il giudizio vale a dire il comportamento degli acquirenti i quali, sottoscrivendo in
data 14.3.1990 il contratto definitivo, non avevano richiesto la restituzione
dell’assegno bancario consegnato pochi giorni prima in data 23.2.90 a garanzia della promessa di pagamento di L. 101.500.000 in dieci semestralità, con
ciò evidenziando che il “saldo” contenuto nell’atto notarile non li esonerava
dalla promessa di pagamento. Le censure non hanno pregio. Correttamente,
con riguardo al primo punto, ha richiamato la Corte milanese la giurisprudenza di questo giudice di legittimità secondo la quale quando le parti, stipulato
un contratto preliminare, siano poi addivenute alla stipula di quello definitivo, quest’ultimo costituisce l’unica fonte dei diritti e degli obblighi inerenti al
negozio voluto da esse, in quanto il contratto preliminare, determinando soltanto l’obbligo reciproco della stipulazione di quello definitivo, resta superato
da questo la cui disciplina può anche non conformarsi a quello del preliminare, salvo che le parti nel contratto definitivo abbiano espressamente previsto
che essa sopravviva».
(Cass. n. 1196/1982, n. 3278/1987, n. 1993/1989, ma vedi anche le successive sentenze nn.
6402/1994, 10210/1994, 4354/1998, 7206/1999, 5635/2002, Redazione Giuffrè, pubblicata anche
in MGI, 2003, 5; Contr, 2004, 133 con nota di Timpano. In senso sostanzialmente conforme cfr.
Cass. 11.12.20000, n. 15575 e cfr. Cass. 25.2.2003, n. 2824).
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Si condivide la riflessione che rileva che la funzione che il contratto
preliminare svolge sempre (anche se non necessariamente in modo esclusivo) e che va ad assumere rilevanza causale, è la soddisfazione dell’interesse a concludere un contratto definitivo (cioè l’operazione economica)
non immediatamente, ma attraverso una sequenza procedimentale, con la
conseguente assunzione di un impegno che rappresenta la forma più intensa e compiuta di vincolo, avente ad oggetto la conclusione di un futuro
contratto.
Il preliminare è pure incluso dalla dottrina prevalente nella categoria
dei contratti preparatori, alla quale è riconosciuta autonomia. Tali contratti generano impegni vincolanti al pari dell’opzione e del patto di prelazione e la cui funzione strumentale viene meno con la stipula del contratto principale (Gabrielli 1974, 1 ss., 27 ss.; 1970, 137 ss.), tale configurazione esclude dai contratti preparatori il patto di prelazione (Tamburrino
1954, 69, 203 ss.; Alabisio 1966, 46 ss.; Rascio 1967, 168; Ravazzoni
1966, 91; Carresi 1987, 42 ss.; Trabucchi 1992, 39).
La dottrina dominante ha contestato, con argomenti per altro persuasivi, che la trascrizione del preliminare ne consenta l’assimilazione ai contratti con effetti reali e ha opportunamente confermato il ruolo centrale e
insostituibile del contratto di vendita nella vicenda traslativa. Non sembra
dubitabile che l’opera ricostruttiva dell’interprete non possa prescindere
dal diritto positivo. Non è dato quindi concepire l’atto di alienazione come una variante non negoziale giacché questa costruzione del fenomeno
circolatorio si pone in contrasto con gli enunciati normativi in vigore che
considerano l’atto traslativo quale contratto avente in sé una causa giustificativa dell’attribuzione reale (art. 1470 c.c.). Il nostro sistema esclude
l’esigenza di subordinare l’effetto reale a fatti o a contegni (traditio) ulteriori rispetto al consenso come rifugge dalla scelta germanica di conservare in tema di circolazione dei beni la distinzione tra titolo del trasferimento e modalità traslativo (art. 1376 c.c.). Quindi vi è incongruenza logica tra pagamento traslativo, che in quanto posto in essere in adempimento di un parere esistente rapporto obbligatorio è atto unilaterale che implica l’irrilevanza della volontà dell’accipiens, e la natura contrattuale della
vendita alla quale è collegato l’effetto traslativo secondo la volontà dei contraenti.
Non sussistendo nel nostro ordinamento un negozio astratto (art. 1325,
n. 2, c.c.), il promissario acquirente non si pone come mero destinatario
del previsto trasferimento, dovendo necessariamente seguire al contratto
preliminare un nuovo negozio causale (Bozzi 2007, 11). La scelta del legislatore in materia di trascrizione del contratto preliminare, che riconosce
solo il contratto definitivo (ai sensi dell’art. 2643 c.c.) quale fonte unica e
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non sostituibile dell’effetto traslativo (art. 1470 c.c.) appare dunque confermare la visione propria della dottrina tradizionale e prevalente.
1.2. Conseguenze sui rapporti tra contenuto del preliminare e
contenuto del definitivo
Legislazione c.c. 1374, 1375.
Bibliografia Bozzi 2007.
L’interesse pratico offerto dal confronto tra le due diverse teorie circa
l’autonomia causale, o meno, di preliminare e definitivo si manifesta eminentemente nel caso di divergenza tra regolamenti posti all’interno dei
due contratti. Secondo l’indirizzo tradizionale della dottrina della giurisprudenza, conclusa la vendita, il preliminare, avendo esaurito la sua funzione esce di scena, tranne nel caso in cui il contratto definitivo non esaurisca gli obblighi a contrarre previsti nel preliminare, e l’introduzione del
rapporto contrattuale finale del termine porta all’irrilevanza, tranne che
per alcuni specifici aspetti, della convenzione preliminare, la quale è privata di ogni efficacia negoziale, tanto che il contratto preceduto da un altro di esso preparatorio non si distingue in alcun modo dal contratto che
sia stato concluso direttamente in forma definitiva. L’eventuale modificazione del rapporto nascente dal preliminare scaturisce dalla stipula del definitivo che non è un formulario astratto, bensì un atto di autonomia. Se il
definitivo è concepito come un mero atto di adempimento di una volontà
già compiutamente formulata, il preliminare non può, invece, che essere
intangibile e le clausole in esso contenute che non siano riprodotte nel
contratto di vendita non devono ritenersi espunte, ma conservano il loro
valore impegnativo tranne che non sia provata la comune volontà di modifica. In mancanza della prova di un accordo modificativo, la vendita
che si ha difforme dal contratto preliminare non può rappresentare un’automatica modifica di esso con rilevanza innovativa delle obbligazioni assunte con il preliminare. L’ineludibile corollario di questo orientamento
dottrinario sembra essere quello che, in mancanza di un accordo modificativo dei termini della pattuizione originaria, questa, lungi dall’essere
superata dalla regolamentazione contenuta nel contratto definitivo, conserva il proprio valore impegnativo, sicché le parti si troverebbero di fronte al singolare fenomeno di un medesimo rapporto regolato da una pluralità di fonti contrattuali concorrenti e divergenti nel loro contenuto con conseguenze pratiche la cui intuibile complessità potrebbe essere sciolta soltanto in sede contenziosa (Bozzi 2007, 22).