FTNEWS 1 di 2 http://www.ftnews.it/webarea/print.asp?cod=266 Bernini: Apollo e Dafne mercoledì, 08 aprile 2015 di Luca Napolitani Un’opera riprodotta davvero ovunque; un condensato di tecnica, espressività, fantasia e cuore. Tutto ciò la rende l’icona di un’epoca e di un gusto che ha trasferito l’attenzione dell’umanità verso un rapporto più “vero” con la realtà. Gian Lorenzo Bernini è uno degli scultori più ammirati e richiesti durante il XVII secolo, e oggi resta uno dei massimi esponenti del barocco. Figlio dello scultore Pietro Bernini, la fortuna di Gian Lorenzo arriva nel 1605: il padre si trasferisce a Roma con la famiglia, ottenendo la protezione del cardinale Scipione CaffarelliBorghese. Apollo e Dafne costituisce un perfetto esempio dell’evoluzione della scultura, e rivela come già in giovanissima età il talento di Gian Lorenzo poggiasse su basi solide e di grande esempio per gli artisti futuri. Bernini vive nella Roma dei Carracci e di Caravaggio, una città nella quale convergono differenti tendenze figurative, che si nutrono ora di forti richiami accademici e rinascimentali ora di uno spiccato naturalismo, e ciò giustifica l’inenarrabile ecletticità di questo artista che ha mostrato inclinazioni considerevoli anche in pittura e architettura. In seguito ad una fase di irreprensibile rispetto verso la scultura ellenistica, Bernini conosce anni intensi e fortunati tra il 1621 e il 1625: Scipione Borghese lo convoca, commissionandogli quattro gruppi marmorei di soggetto mitologico e biblico. Tra questi quattro gruppi, spicca in modo quasi “aggressivo” l’Apollo e Dafne<7i>, di grande interesse per la resa dei dettagli e per la novità del modo in cui Bernini si destreggia nei confronti di una tematica (quella mitologica o sacra) che l’arte accademica collocava al massimo grado della sua gerarchia. Di sicuro, gli animi più romantici e sognatori vedranno riunite nel vortice di questa scultura tutte le passioni contrastanti che possono trasparire da un cuore davvero innamorato: Apollo, osserva incredulo la bellissima Dafne che terrorizzata si trasforma in una pianta di alloro; la stessa pianta che sarà sacra al dio. Per sempre. Le Metamorfosi di Ovidio sono la fonte di questa maestosa scultura, nella quale si fondono in equilibrio tragedia e speranza; una fonte aulica che Bernini propone in una chiave del tutto nuova: nonostante le pose classicheggianti delle figure, vi sono evidenti influenze caravaggesche nella volontà di rappresentare il momento culminante di massima tensione emotiva, né un minuto prima né un minuto dopo, e una marcata potenza nei gesti che tradisce uno spirito di matrice del tutta seicentesca. Di fortissimo effetto è la resa dei volti dei protagonisti della scena: ben lontani dall’impassibilità che ci si aspetterebbe da delle divinità, Bernini opera in un modo tale che pare quasi “umanizzare” queste personalità celesti, svelandone tutte le loro debolezze. L’espressione stupita di Apollo, accentuata dalla mano destra aperta, si accompagna a quella terrorizzata di Dafne, amplificata da un urlo che ricorda molto Lo scudo con testa di Medusa già dipinto da Caravaggio. Ciò che contraddistingue maggiormente l’Apollo e Dafne è il dinamismo violento dal quale lo spettatore viene travolto: un vortice accentuato dalla figura di Dafne che sta vivendo il momento della sua trasformazione, come dimostrano i capelli e le mani che stanno pian piano prendendo la forma di piccole foglie di alloro, tramite le quali emerge tutta l’impeccabile virtuosità di Bernini anche nella resa 08/04/2015 22:35 FTNEWS 2 di 2 http://www.ftnews.it/webarea/print.asp?cod=266 delle materie; l’impianto del gruppo scultoreo invade lo spazio, come se Apollo e Dafne avessero intenzione di volare via e distaccarsi dal basamento sul quale poggiano. Un momento scenografico, di un impatto straordinario, che relega ad un ruolo secondario l’allegoria di cui questa scultura è portatrice: al di là del contenuto romantico , quest’opera nasconde dietro di sé molteplici significati che permettono la sua lettura in una chiave maggiormente cristiana, data la natura del committente. Un’iscrizione che avrebbe dovuto accompagnare la scultura recita: Chi, amando, insegue le gioie della bellezza fugace riempie la mano di fronde e coglie bacche amare. Un invito o meglio un ammonimento di un imponente peso moraleggiante che non risparmia nessuno, di fronte al quale molti di noi, oggi, storcerebbero il naso; ma affiancata a questa interpretazione troviamo un’ulteriore allusione che il punto di vista cristiano intende come difesa della virtù della donna, il cui fine è fuggire ad ogni costo dalle trappole e seduzioni del piacere. E’davvero curioso notare come una scultura che attira in sé una certa aura di modernità fosse portatrice di valori molto tradizionali e conservatori, che Scipione Borghese era talmente impegnato a diffondere che si dimenticava di rispettare … Tuttavia, esulando dalle contraddizioni della storia, si può riconoscere che noi umani un comune obbiettivo lo abbiamo: difendere la nostra felicità. Ma le sfaccettature di quest’ultima sono sconfinate quasi quanto l’universo, e se qualcuno ci rincorre, tentando di capirci, siamo portati spesso a difendere la nostra integrità, a chiuderci nella nostra corteccia e volare via. Fortunatamente, anche se il nostro carattere non ci consente di cambiare e di fidarci con facilità, la speranza ci sussurra che non sempre l’altro vuole renderci vittima e che ci sarà sempre qualcuno che raccoglierà i resti delle nostre foglie di alloro per mantenere in vita ciò che resta di noi nelle circostanze più infelici. Scheda tecnica: Autore: Gian Lorenzo Bernini Data: 1622- 1625 Materiale: marmo Altezza: 243 cm Ubicazione: Roma, Galleria Borghese 08/04/2015 22:35