Polinomi in una indeterminata

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Prof. Sergio Zoccante
NUMERI E ALGORITMI
Mod. 6
Calcolo letterale. L’anello dei polinomi in una indeterminata.
INTRODUZIONE
Affrontiamo esplicitamente il calcolo letterale, che è comunemente inteso come il nucleo
fondamentale dell’algebra elementare. Consigliamo qui di riguardare il documento del modulo
1, Temi e problemi nell’insegnamento dell’algebra.
L’essenza del calcolo letterale è contenuto nelle proprietà dell’anello dei polinomi in una o due
indeterminate, che tratteremo in questo modulo e nel prossimo. A differenza dei precedenti,
questo percorso non è riproponibile tal quale alle classi: è piuttosto una messa a punto degli
strumenti teorici che un insegnante deve avere per gestire con attenzione l’attività in classe.
L’anello dei polinomi è lo strumento matematico approntato nel corso di alcuni secoli per
rispondere ad alcune esigenze dell’attività matematica. Eccone alcune:
1. esprimere in modo adeguato, coerente e generale le relazioni tra numeri nei vari insiemi;
2. trattare e risolvere alcune categorie di equazioni;
3. esprimere e trattare alcune categorie di funzioni.
Questo comporta una certa articolazione nei significati, che si riflette in parte nella
terminologia specifica (in particolare la differenza tra indeterminata, incognita e variabile).
Per questa lezione ho fatto riferimento in modo particolare al testo di Villani, Cominciamo da
zero, già citato nella bibliografia, pagg. 123 e seguenti.
Ecco una sintesi ed un completamento per punti di quanto visto nella lezione.
L’anello dei polinomi in una indeterminata.
1. I polinomi in una sola indeterminata x e con i coefficienti in un anello commutativo K
formano, con le operazioni di addizione e di moltiplicazione, un anello commutativo con
identità, comunemente indicato con K[x]. Nell’uso comune, K sarà Z, Q, R o C. Nella
nostra analisi, considereremo anche gli anelli Zn, e quindi gli anelli di polinomi del tipo
Zn[x].
Per fare in modo che l’insieme di polinomi formi un anello, bisogna convenire che siano
polinomi anche gli elementi dell’anello K (le costanti): tra queste costanti figura l’elemento
neutro per l’addizione, 0 (il polinomio nullo) e 1, elemento neutro per la moltiplicazione.
2. Tutte le operazioni si eseguono in modo molto simile alle operazioni tra numeri
rappresentati in base 10. Per capire la causa di questa somiglianza, basta ricordare che la
scrittura posizionale è una scrittura polinomiale. La differenza principale consiste
nell’assenza del riporto nel caso di addizioni tra polinomi e del prestito nel caso delle
sottrazioni.
3. In Z, è possibile la divisione euclidea. Questa si basa sull’ordinamento indotto dal valore
assoluto, e consente di scrivere, dati m e n, m = n·q + r, con 0 ≤ r < |n|.
In K[x] (K = Q, R o C), la divisione euclidea si basa sul grado di un polinomio, che in
questo caso svolge il ruolo del valore assoluto negli interi.
Il grado di un polinomio P(x), scritto in forma normale, è l’esponente massimo con cui
compare l’indeterminata x: se
P(x)= an xn + an1 xn1 + an2 xn2 + …a1 x + a0
con an ≠ 0,
allora n è il grado. Alle costanti (diverse da 0) si attribuisce grado 0, mentre a 0 viene
spesso attribuito grado ∞.
1
La divisione euclidea tra polinomi ricalca fedelmente la divisione lunga tra numeri interi, e
come quella termina con un resto di grado minore del grado del divisore.
N.B. quoziente e resto sono sicuramente polinomi di K[x] se K è un campo, come abbiamo
ipotizzato sopra.
Ad esempio, in Z[x] si considerino A(x) = x2 + 2
e
B(x) = 3 x − 1. In questo caso
quoziente e resto (trovarli!) non sono elementi di Z[x].
4. Si ha il seguente importante risultato:
Se in K vale la legge di annullamento del prodotto, allora la legge di annullamento del
prodotto vale anche in K[x].
DIM.
Siano
A(x) = an xn + an1 xn1 + an2 xn2 + …a1 x + a0
con an ≠ 0
e
B(x) = bm xm + bm1 xm1 + bm2 xm2 + …b1 x + b0
con bm ≠ 0
elementi di K[x].
Il prodotto C(x) = A(x)· B(x) ha come coefficiente del termine di grado massimo an· bm.
Ora, se in K vale la legge dell’annullamento del prodotto, il numero an· bm sarà diverso da
0, e quindi tale sarà anche il polinomio C(x), in quanto ha (almeno) un termine non nullo.
Invece, se in K non vale la legge dell’annullamento del prodotto, il numero an· bm potrà
essere uguale a 0, e quindi tale potrà essere anche il polinomio C(x).
C.V.D.
Ad esempio, in Z6 non vale la legge di annullamento del prodotto (ci sono divisori dello
zero). Consideriamo in Z6[x] i polinomi A(x) = 3 x2 e B(x) = 4 x3.
Il loro prodotto risulta
12·x5 (modulo 6) = 0·x5 = 0.
5. Nel calcolo letterale un peso notevole è assunto dal riconoscimento dei prodotti notevoli.
Qui si fanno presenti alcune osservazioni:
a. Le regole del calcolo letterale sono le proprietà formali delle operazioni negli insiemi
numerici Z, Q, R o C.
b. I prodotti notevoli non sono regole di calcolo indipendenti: sono solo casi particolari
del normale calcolo tra polinomi e come tali devono essere presentati.
c. Non bisogna neppure moltiplicare i casi inutilmente: ad esempio, (a+b)2 e (a−b)2
non sono prodotti notevoli diversi.
d. Dal punto di vista dell’apprendimento, vanno memorizzati così come vanno
memorizzate le tabelline: servono per fornire una base di esperienza e per
velocizzare il calcolo.
e. È importante, per attribuire significato al calcolo letterale, vedere come questi
prodotti notevoli possano servire nel calcolo mentale rapido.
Esempio:
calcolare 212. Tutti sanno quanto vale 20 2; quindi 212 = (20+1)2 = 202+20+20+1.
Analogamente per 192.
Altro esempio:
calcolare 14·16, sapendo quanto vale 15 2. Basta leggere 14·16 = (15−1)·(15+1).
Analogamente per 13·17.
f. Altre attività significative da fare con i primissimi elementi del calcolo sono alcune
semplici dimostrazioni aritmetiche.
Esempi:
- ricavare una formula per la somma dei primi n numeri naturali;
- dimostrare che la somma di due dispari consecutivi è un multiplo di 4.
In casi come questi, assume particolare valenza il modo stesso in cui vengono
formalizzati i numeri in questione: alcune formulazioni facilitano la dimostrazione,
altre la possono ostacolare.
Per altre esemplificazioni, si veda Matematica 2003.
6. La fattorizzazione in K[x] è in parte legata alla presenza di zeri delle funzioni polinomiali.
Ecco tre risultati iniziali, ma importanti:
TEOREMA DEL RESTO
2
Se P(x) è un polinomio di K[x] di grado ≥ 1 ed a è un elemento di K, il resto R della
divisione di P(x) per x − a è uguale P(a), valore assunto dal polinomio per x=a.
DIM.
Eseguendo la divisione, otteniamo:
P(x) = (x − a)·Q(x) + R.
R risulta essere una costante, poiché di grado 0. Sostituendo a ad x nell’espressione
precedente si ottiene
P(a) = (a − a)·Q(a) + R = 0·Q(a) + R=R.
C.V.D.
Conseguenza immediata:
TEOREMA DELLA RADICE:
Se P(x) è un polinomio di K[x] di grado ≥ 1 ed a è un elemento di K, il polinomio P(x) è
divisibile per x − a in K[x] se e solo se P(a)=0, ossia se e solo se a è una radice di P(x).
7. Da questo, il seguente importante
TEOREMA
Un polinomio P(x) di K[x] di grado n ≥ 1 a coefficienti in K = Z, Q, R o C possiede al
massimo n radici in K.
DIM.
Se il numero di radici è minore di n, il teorema è vero. Resta da provare che vale anche
quando le radici sono n.
Supponiamo quindi che P(x) abbia le n radici a1, a2, … an appartenenti a K.
Otteniamo allora, usando ripetutamente la divisione euclidea:
P(x) = (xa1)·Q1(x)
con grado(Q1)= n1
= (xa1)·(xa2)·Q2(x)
con grado(Q2)= n2
…
= (xa1)·(xa2)·(xan1)·Q n1(x)
con grado(Q n1)= 1
= (xa1)·(xa2)·(xan1)·(xan)·Q n
con Q n costante ≠ 0.
Ora, se P(x) avesse una altra radice an+1 in K, diversa dalle precedenti, sostituendo tale
valore nel polinomio, avremmo da un lato
P(an+1)=0, perché an+1 è radice,
ma d’altra parte anche
P(an+1)=Q n·( an+1a1)·( an+1a2)·( an+1an1)·( an+1an) ≠ 0
poiché nessuno dei fattori è nullo e in K vale la legge di annullamento del prodotto.
Questo è assurdo, e termina la dimostrazione.
C.V.D.
In questi teoremi già si intrecciano due aspetti dei polinomi: quello formale, di cui diremo
tra breve, e quello funzionale, in cui l’indeterminata diventa variabile, e può quindi
assumere valori in K.
8. TEOREMA DI IDENTITÀ DEI POLINOMI
Il teorema che andremo ad enunciare ci porta a chiarire i due aspetti di cui si è parlato nel
punto precedente.
Premettiamo alcune considerazioni, che si ricollegano all’origine del concetto di polinomio,
come accennato nell’introduzione.
Un polinomio P(x) di K[x] può essere visto da due punti di vista:
a. Dal punto di vista algebrico-formale, in cui x è un simbolo a cui non si attribuisce
significato numerico. In tal caso, il nome appropriato per x è indeterminata. In
questo caso, due polinomi scritti in forma canonica sono formalmente uguali se sono
dello stesso grado e hanno coefficienti dello stesso grado uguali.
In questo contesto, cioè, il polinomio è identificato univocamente dalla successione
dei coefficienti.
b. Dal punto di vista analitico-funzionale, in cui ad x si attribuisce un valore numerico
in K; in tal caso il nome appropriato per x è variabile. Per ogni valore di x, P(x)
3
assume un valore in K, per cui il polinomio definisce una funzione polinomiale con
dominio K e codominio K.
In questo contesto, diciamo che due polinomi P(x) e Q(x) sono funzionalmente
uguali se individuano su K la stessa funzione, ossia se P(x) = Q(x) per ogni x di K.
Ecco ora l’enunciato del
TEOREMA:
Due polinomi P(x) e Q(x) a coefficienti in K = Z, Q, R o C sono formalmente uguali se e
solo se sono funzionalmente uguali (ossia se P(x) = Q(x) per ogni x di K).
Nota: Della doppia implicazione di cui è formato il teorema, una (se due polinomi sono
formalmente uguali allora sono funzionalmente uguali) è banale, mentre l’altra no.
Va anzi detto che questa seconda è falsa se, invece di prendere K = Z, Q, R o C,
prendiamo K corpo finito. Ad esempio, in Z3[x] i polinomi x3 + x e 2·x sono uguali
funzionalmente (danno lo stesso risultato per ogni elemento di Z3: verificatelo!) ma
naturalmente sono formalmente diversi.
Passiamo ora a dimostrare che
se due polinomi sono funzionalmente uguali allora sono formalmente uguali.
DIM.
Andiamo a dimostrare una asserzione equivalente (la contronominale) a quella data, e
precisamente che
se due polinomi P(x) e Q(x) non sono formalmente uguali allora non sono funzionalmente
uguali.
Consideriamo infatti il polinomio differenza D(x) = P(x)  Q(x).
Poiché
m = grado(D) ≤ max{grado(P), grado(Q)}
D(x) ha al più m radici (per il teorema precedente), quindi la funzione
D: K →K si annulla al più in m valori di K.
Poiché K ha cardinalità infinita, risulta che D(x) non è la funzione nulla, e pertanto
P(x)  Q(x)≠0, ossia P(x) ≠ Q(x).
C.V.D.
LEZIONI ON LINE:
studio del materiale relativo a questi concetti, dimostrazione di tutti i
teoremi citati. Usare il forum per chiarirsi le idee.
ATTIVITA' PER CAPIRE E PER INSEGNARE
1.
Si trovino, in Z5[x], due coppie di polinomi diversi formalmente ma uguali
funzionalmente, di grado diverso nei due casi. Suggerimento: si veda il Piccolo teorema di
Fermat.
Si possono fare considerazioni analoghe per in Z4[x]? Dove stanno i problemi?
2.
Si utilizzi l’algoritmo di Euclide (delle divisioni successive) per il calcolo del MCD
tra le coppie di polinomi seguenti:
a)
x4  4x3 + 1
e
x3  3x2 + 1
4
3
2
b)
x + 2x  x  4x  2
e
x4 + x3  x2  2x  2
Questa tecnica mostra che non è necessario saper scomporre in fattori due polinomi, per
trovarne i fattori comuni (ad esempio, per semplificare una frazione algebrica).
3.
Si individuino, nell’arco degli studi superiori, i vari momenti in cui si utilizza in
modo significativo la fattorizzazione dei polinomi (fuori dal calcolo letterale del biennio: in
geometria analitica, nello studio delle successioni, in trigonometria, in probabilità, in
analisi,…).
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