Globalizzazione e politiche sociali

INTRODUZIONE
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Introduzione
Nel progresso morale degli uomini, è il mutuo aiuto — e non la lotta di tutti
contro tutti — l’elemento più importante.
(Kropotkin, 1902)
La «globalizzazione» è oggi un termine ampiamente utilizzato, per quanto
controverso, nel dibattito politico e accademico. C’è chi lo associa soprattutto ai
flussi di capitali, persone e informazioni che dovrebbero dare vita a nuove e
promettenti opportunità di sviluppo; c’è chi vi vede, al contrario, i sinistri presagi
di una sorta di «tirannia» esercitata dal regime economico globale (e totalitario) su
tutti gli individui (Hay e Watson, 1999; Teeple, 1995). Quale che sia il nostro
atteggiamento rispetto alla globalizzazione (orientato all’entusiasmo, al revisionismo o allo scetticismo), è ormai innegabile che questo complesso fenomeno
rappresenti un oggetto di studio a sé stante. Nel corso dell’ultimo decennio si è via
via cumulato, nelle scienze sociali, un vero e proprio filone di «studi sulla globalizzazione». Si dice che la globalizzazione preluda a cambiamenti radicali nella realtà
oggettiva del mondo, ma anche nella percezione soggettiva che ciascuno ha della
realtà esterna e della propria esperienza vissuta; che si tratti di un processo legato
alle strutture economiche e alle politiche globali, ma che si ripercuote anche sulla
sfera della vita privata di ogni individuo: dal lavoro alla scuola, dalla politica alla
famiglia, al tempo libero (Giddens, 2000). In virtù della vastissima portata delle
trasformazioni che provoca, la globalizzazione rappresenterebbe — almeno secondo alcuni — un processo di natura «rivoluzionaria».
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GLOBALIZZAZIONE E
POLITICA SOCIALE
La politica sociale, nell’ambito della globalizzazione, occupa una posizione
di primo piano: basti pensare alla centralità delle questioni legate allo «sviluppo
sociale» nell’agenda dei lavori delle istituzioni internazionali e sovranazionali, o
all’influenza dei processi di globalizzazione sulle politiche sociali dei singoli governi nazionali. Gli studi sulla globalizzazione, non a caso, hanno tratto ampio spunto
da interrogativi come i seguenti: che differenza c’è — se c’è — tra il modello del
capitalismo globale di oggi e quello del passato? Che conseguenze ne derivano
per i governi, le aziende, i lavoratori, le comunità, le famiglie e gli individui? È un
peccato, a ben pensarci, che chi considera la globalizzazione un fatto (anzitutto)
di economia politica tenda poi a trascurarne le ripercussioni sui sistemi nazionali
di welfare; per non parlare, poi, delle analisi della globalizzazione che ignorano in
toto le funzioni e le attività degli Stati nel campo del welfare.
La politica sociale come disciplina accademica, d’altra parte, ha sempre
fatto riferimento alla realtà dei singoli Stati-nazione, tanto che fino alla metà degli
anni Novanta — con l’eccezione della politica sociale comunitaria, ossia quella
propria dell’Unione europea — ha quasi del tutto trascurato il contesto politico
globale. Se questa è la tendenza di fondo, è comunque innegabile che la produzione scientifica in tema di globalizzazione e politica sociale, negli ultimi anni, sia
cresciuta in misura esponenziale;1 con ogni probabilità, vista la sempre maggiore
influenza dei processi transnazionali sul pensiero e sul linguaggio accademico,
tale produzione continuerà a crescere anche nei prossimi anni. Questo richiederà
agli studiosi della materia, tra l’altro, di ampliare le loro conoscenze a un campo
di ricerca molto più esteso (basti citare le relazioni internazionali e gli studi sullo
sviluppo) di quello che, tradizionalmente, è loro proprio. L’economia politica
globale del welfare, in effetti, è stata oggetto dei development studies assai prima
che della «normale» politica sociale, per lo meno nei Paesi occidentali; sarebbe
anzi opportuno cominciare a integrare, nello studio dei processi globali, gli
schemi di analisi della politica sociale (che si sono applicati quasi esclusivamente
ai Paesi industrializzati) e quelli dello studio dei Paesi in via di sviluppo (Deacon et
al., 1997; Gough, 2000a; MacPherson e Midgley, 1987; Morales-Gomez, 1999).
Ed è proprio sull’interfaccia tra gli «studi sulla globalizzazione» e quelli di
politica sociale che si colloca il presente volume. La sua finalità, per dirla con un
mezzo slogan, è portare la globalizzazione nello studio della politica sociale, e
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Vale la pena citare, facendo almeno riferimento ai Paesi del «centro» del sistema-mondo, le opere
principali in questa direzione: Alber e Standing, 2000; Baldwin, 1997; Bonoli et al., 2000; Burden,
1998; Clarke, 2000; Deacon e Hulse, 1996; Deacon et al., 1997; Deacon, 1995; 1998; 1999a;
1999b; 2000a; 2000b; Esping-Andersen, 1996; 2000; George, 1998; Gough, 2000a; 2000b;
2000c; Jordan, 1998; Leibfried, 2000; Midgley, 1997; Mishra, 1996; 1999; Moran e Wood,
1996; Navarro, 1982; 1998; Pierson, 1998; Rieger e Leibfried, 1998; Rhodes, 1996; 1997;
Room, 1999; Scharpf, 2000; Standing, 1999; Stryker, 1998; Wilding, 1997; Yeates, 1999.
INTRODUZIONE
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applicare quest’ultima nel campo dei globalization studies. L’idea da cui esso
nasce, infatti, è che soltanto una prospettiva analitica globale possa oggi rispecchiare quella complessa «geografia della comunità» (Scholte, 2000) che modella
la politica sociale. La nostra analisi partirà da una rilettura critica delle teorie della
globalizzazione più «oltranziste», che tendono a disegnare questo fenomeno come
una «forza della natura» travolgente, inevitabile e di matrice tecnico-economica,
che sgretola gli attributi di potere politico e di autonomia degli Stati, al pari della
loro funzione nelle politiche pubbliche. Secondo questa versione dei fatti, i
governi nazionali subirebbero un «assedio perenne» da parte del capitale globale
e delle istituzioni che lo sostengono, senza avere altra scelta che mettere in atto
politiche sociali ed economiche coerenti con la «logica dei fatti» imposta dalla
globalizzazione, nonché con le esigenze della business class internazionale. Si
dice anche che la globalizzazione indebolisca i sistemi di welfare «maturi» (specie
quelli che contemplano un intervento diffuso dello Stato), e ne ostacoli lo sviluppo
nelle realtà nazionali che ne sono prive.
Nel criticare una visione così riduttiva e deterministica, cercheremo di
riportare a galla alcuni temi, aperti in fatto di possibilità di azione politica e di
conflitto sociale, che ci paiono cruciali per qualsiasi analisi del nesso tra globalizzazione e politica sociale. L’idea di base, che argomenteremo nel corso del
volume, è infatti che esista tra questi due termini una relazione dialettica di
reciprocità. Cercheremo di mostrare che l’immagine dello Stato nazionale (e dello
Stato sociale, nonché dei suoi cittadini) come passivo destinatario della globalizzazione, capace al più di adattarsi a essa, è priva di ogni fondamento; è vero,
semmai, che gli Stati contribuiscono attivamente allo sviluppo di quei processi per
cui si parla, in generale, di «globalizzazione». Guarderemo quindi ai modi in cui gli
apparati di welfare nazionali, e le specifiche politiche sociali, contribuiscono a
dare forma — in senso sia «proattivo», sia «reattivo» — alle strategie, ai processi
e ai risultati prodotti dalla globalizzazione. Si tratta di mettere in luce, in ultima
analisi, che l’andamento della globalizzazione è frutto di un ampio ventaglio di
dinamiche diverse, interne ed esterne ai singoli Paesi.
I capitoli che seguiranno sono quindi dedicati a una rassegna critica delle
ipotesi chiave delle teorie «integraliste» della globalizzazione (quelle dei teorici
«globalisti»), con le sue ripercussioni nel campo della politica sociale. Il capitolo
primo, rivolto allo studio delle diverse dimensioni della globalizzazione, servirà a
mettere in luce alcune questioni aperte, di carattere generale, sollevate dagli studi
in materia. Si considereranno i possibili significati della «globalizzazione» sotto il
profilo della politica sociale, e si passeranno in rassegna gli approcci teorici che
è possibile impiegare a tale riguardo. Il capitolo secondo prenderà invece in
esame i processi per i quali si parla di «globalizzazione dell’economia». Come ci
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GLOBALIZZAZIONE E
POLITICA SOCIALE
sforzeremo di mettere in luce, l’idea di economia globale, nonostante gli indubbi
cambiamenti che hanno avuto luogo nel commercio, nei sistemi produttivi e nella
finanza internazionale, si posa su basi empiriche assai più modeste e irregolari di
quel che pretende l’ortodossia ufficiale dei «globalizzatori». Nei tre capitoli seguenti guarderemo alle possibilità di regolamentazione politica della globalizzazione, e
quindi alle strutture e ai processi della cosiddetta «governance globale». Il capitolo
terzo si occuperà dei rapporti tra capitale (globale) e Stati (nazionali), mostrando
i limiti dell’ipotesi secondo cui la capacità d’azione e il potere degli Stati risulterebbero, per effetto dell’economia globale, ridimensionati in misura sostanziale.
Quello che invece emerge è che gli Stati, pur avendo perso parte delle loro
prerogative di potere (verso l’alto e verso il basso, come si vedrà), mantengono un
ruolo di primissimo piano sia nel loro contesto locale, sia nello scenario internazionale. Nel capitolo quarto analizzeremo il regime internazionale di governo dei
«flussi transnazionali» (che siano di capitali o di esseri umani) della globalizzazione,
e quindi il ruolo dei maggiori organismi intergovernativi nell’impostare le politiche
sociali. Il capitolo quinto guarderà invece al ruolo e agli spazi, nel quadro globale,
dei conflitti sociali e delle lotte politiche, sottolineando l’importanza delle variabili
«locali» o «nazionali» — compresi i movimenti sociali di protesta e di opposizione
— rispetto alle strategie «globalizzanti» degli Stati e del capitale internazionale.
Come si potrà vedere, i fattori locali svolgono ancora un ruolo decisivo nel definire
i tempi, la rapidità e gli effetti dei processi di globalizzazione. Concluderemo
quindi riproponendo, in forma sintetica, le principali sfaccettature del rapporto
globalizzazione-politica sociale affrontate nel corso dell’opera.
Qualsiasi tentativo di analizzare tale rapporto, in definitiva, non può che
assumere portata internazionale: il modo in cui gli Stati «interagiscono» con i
processi di globalizzazione, infatti, è diverso a seconda del loro posizionamento
nell’economia politica globale, e in funzione della storia nazionale, delle istituzioni
e delle specifiche strutture di potere di ciascun Paese. Dal punto di vista storico,
non tutti gli Stati hanno maturato gli stessi livelli di sovranità, di autonomia o di
capacità regolativa; altrettanto diversi sono i patrimoni dei singoli Stati quanto a
ricchezza della società civile o dei regimi di welfare (Pérez Baltodano, 1999). Se
questo è vero, anche l’esperienza della globalizzazione che è propria di ogni
Paese, e il modo in cui vi reagisce, saranno diversi da tutti gli altri. Cercheremo
di mettere in luce questi aspetti distintivi, in riferimento alla posizione geopolitica
e all’evoluzione storica di Paesi appartenenti alle diverse aree continentali del
pianeta: Europa occidentale, Europa centro-orientale, Asia orientale e sud-orientale, America latina, America settentrionale e Africa.
GLOBALIZZAZIONE E
POLITICA SOCIALE: LE COORDINATE DI RIFERIMENTO
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Globalizzazione e politica sociale:
le coordinate di riferimento
La globalizzazione è un concetto che utilizzeremo di continuo in questo
volume, ma cercheremo di farlo in modo tutt’altro che acritico. È importante
riconoscere sin dall’inizio, in effetti, che «globalizzazione» è una nozione controversa, il cui sempre più diffuso utilizzo ha fatto passare in secondo piano la
generale mancanza di consenso per quanto riguarda le sue implicazioni, le sue
modalità di funzionamento e le direzioni verso le quali, come processo globale,
essa si rivolge (Gordon, 1987; Mittelman, 1996). Come ha avuto modo di
osservare un autore, «più si legge della sterminata letteratura in tema di globalizzazione, meno si hanno le idee chiare circa il suo significato e le sue implicazioni»
(Amin, 1998). Si potrebbe perfino sostenere che il semplice fatto di parlare della
globalizzazione, facendola corrispondere a una determinata realtà sociale (per
non parlare, poi, delle sue implicazioni per la politica sociale), contribuisca di per
sé a riprodurne la mitologia. È quindi necessario cominciare la nostra analisi da
una rassegna delle diverse prospettive teoriche sulla globalizzazione, con le virtù
e i difetti che ciascuna di esse, presa in generale o applicata al campo della politica
sociale, manifesta.
Le sfere e le dimensioni della globalizzazione
Nella sua essenza, il termine «globalizzazione» fa riferimento a una sempre
più estesa rete di processi e interconnessioni di ordine economico, culturale,
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GLOBALIZZAZIONE E
POLITICA SOCIALE
sociale e politico, che travalicano sistematicamente i confini nazionali. Riccardo
Petrella (1996) ha opportunamente enucleato sette diversi tipi di globalizzazione,
ciascuno con i suoi tratti (e i suoi processi) distintivi (vedi la tabella 1.1). Accanto
a questa tipologia assisteremo senz’altro, nell’arco dei prossimi anni, alla comparsa di varie altre forme o modelli di «globalizzazione».
In letteratura è possibile rintracciare un’ampia gamma di approcci teorici
alla globalizzazione. È possibile formulare una distinzione, in prima battuta, tra i
modelli qualitativi — che guardano soprattutto alle identità e alle esperienze
vissute — e i modelli quantitativi, che analizzano soprattutto le realtà dei sistemi
politici ed economici di portata mondiale (Wolff, 1991). Un’altra distinzione
generale è quella che può essere tracciata tra le macro- e le microteorie della
globalizzazione (Hout, 1996). Secondo le prime, la globalizzazione trae vita
soprattutto dall’interazione tra le dinamiche dell’economia, della tecnologia e
della politica. Per le seconde, i cambiamenti hanno luogo prima di tutto sul piano
delle singole imprese e del loro ambiente, nella transizione verso il sistema postfordista dell’organizzazione flessibile, a livello intraaziendale e nei sistemi interaziendali. L’approccio «macro» è quello che prevale nelle ricerche di sociologi,
economisti e scienziati politici; l’approccio «micro» si riflette invece più spesso tra
gli studiosi con una formazione in business administration o in economia
aziendale, ma compare anche negli studi dei geografi e di altri scienziati sociali che
cercano di ricostruire il percorso evolutivo dei network di interconnessione globale (Gereffi e Wyman, 1990).
La globalizzazione economica consiste nell’«emergere di una nuova configurazione nei trasferimenti internazionali di prodotti e di conoscenze» (OECD,
1996a, p. 19), e si riferisce alle trasformazioni avvenute nei flussi di capitale e di
forza lavoro, nei sistemi di produzione e nel commercio di beni e servizi. Gli
indicatori comunemente impiegati per la globalizzazione dell’economia sono i
trend evolutivi del commercio internazionale (importazioni ed esportazioni), gli
investimenti esteri diretti (FDI o foreign direct investments), la finanza internazionale e le reti e le alleanze tra le grandi corporations. Il commercio e gli
investimenti internazionali, a giudizio di molti osservatori, sono ormai un elemento strutturale delle singole economie nazionali (benché in diversa misura, in
funzione dei settori dell’economia e dei Paesi interessati); le basi e le strutture
territoriali del modello di produzione e di accumulazione del capitalismo, d’altra
parte, sono ormai presenti nell’intero panorama mondiale, grazie allo sviluppo
delle strutture e delle attività del capitalismo globale. Le imprese multinazionali, o
meglio transnazionali (TNC o transnational corporations) sono ritenute il
protagonista principale di questa «globalizzazione» della produzione e della finanza, giacché agiscono su base transnazionale (o addirittura globale) per quanto
GLOBALIZZAZIONE E
POLITICA SOCIALE: LE COORDINATE DI RIFERIMENTO
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TABELLA 1.1
Sette modelli di «globalizzazione»
Categoria
Elementi e processi distintivi
1. Globalizzazione della finanza e della proprietà dei capitali
Deregolamentazione dei mercati finanziari,
mobilità internazionale dei capitali, sviluppo dei processi di incorporazione e di fusione delle imprese. La globalizzazione dei mercati azionari, invece, è ancora alla fase iniziale.
2. Globalizzazione dei mercati e delle strategie di impresa, specie per la concorrenza
Integrazione delle attività di impresa su scala globale, delocalizzazione di operazioni
integrate (tra cui ricerca, sviluppo e finanziamento), dislocazione globale della componentistica, alleanze strategiche.
3. Globalizzazione della tecnologia, delle attività di ricerca e sviluppo e della conoscenza
La tecnologia è l’elemento-chiave: lo sviluppo della tecnologia dell’informazione e delle
telecomunicazioni facilita la crescita dei
network globali, nell’ambito della stessa
impresa e tra imprese diverse. La globalizzazione come processo di universalizzazione
del «toyotismo» (il modello della «produzione
snella»).
4. Globalizzazione degli stili di vita e dei
modelli di consumo; globalizzazione della
cultura
Emulazione e «trapianto» in tutte le culture
degli stili di vita dominanti. Omogeneizzazione dei modelli di consumo. Influenza dei mass
media. Trasformazione della cultura in «alimento culturale» e «prodotto culturale». Applicazione delle regole dell’OMC anche all’ambito dei flussi culturali.
5. Globalizzazione delle capacità di regolamentazione e di governo
Ridimensionamento del ruolo dei governi e
dei parlamenti nazionali. Tentativo di costituire regole e istituzioni innovative, all’altezza della «governance globale».
6. Globalizzazione come unificazione politica del mondo
Analisi statocentrica dell’integrazione delle
società mondiali in un sistema politico ed
economico globale, guidato da un potere centrale.
7. Globalizzazione della percezione e della
coscienza sociale
Processi sociali e culturali incentrati sulla
Terra come «un unico luogo». Movimenti globali (inclusi i cosiddetti no global). Cittadinanza planetaria.
Fonte: Petrella, 1996.
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GLOBALIZZAZIONE E
POLITICA SOCIALE
riguarda la progettazione dei prodotti, la distribuzione degli impianti e dei processi
produttivi, il marketing e le vendite. L’opinione prevalente è che le grandi imprese
operino nel contesto unitario dell’economia globale, in cui tutti gli elementi del
ciclo produttivo — dall’estrazione delle materie prime, sino alla distribuzione del
prodotto al dettaglio — sono integrati e interdipendenti, in una dinamica che ha
poco a che vedere con i «normali» rapporti di scambio tra le singole economie
nazionali (Bretherton, 1996).
L’industria automobilistica rappresenta uno degli esempi classici di produzione globale. Le automobili, ormai da tempo, non sono più prodotte in toto in
un singolo Paese, né sono identificabili con esso; la loro componentistica è
prodotta in fabbriche dislocate un po’ ovunque per il mondo, per poi essere
importata nel Paese dove ha sede l’assemblaggio. Le carte di credito, d’altra
parte, sono un tipico esempio di «servizio globale», a cui corrisponde un mercato
mondiale pregiato e specializzato, che si basa sull’impiego di tecnologie avanzate
(in termini di elaborazione dei dati, di strumentazioni all’avanguardia, di uso delle
telecomunicazioni) ed è gestito da organizzazioni dal raggio d’azione globale
(Petrella, 1996). L’esempio delle carte di credito serve a mettere in luce il ruolo
fondamentale di cui si fa carico, nel facilitare i processi di globalizzazione, la
tecnologia. La diffusione globale delle tecnologie e delle reti dell’informazione e
della comunicazione (da internet fino alle trasmissioni via satellite) è uno dei
principali vettori della globalizzazione, ed è stata, prima ancora, la condicio sine
qua non per la circolazione transnazionale dei flussi di capitali. La tecnologia
elettronica ha trasformato le possibilità di trasferire — in termini quantitativi —
le liquidità e i capitali monetari, in forme completamente nuove — dal punto di
vista qualitativo — di finanziamento delle imprese e degli individui, di imprenditorialità e di funzionamento dei sistemi creditizi (Sklair, 1998a, p. 8).
Queste nuove tecnologie hanno prodotto sistemi di comunicazione che
sono «istantanei nei loro effetti, e globali per la loro portata» (Bretherton, 1996,
p. 4). Ciò che ne deriva non è soltanto l’interdipendenza dei sistemi economici e
politici nazionali, ma anche, secondo taluni autori, una sorta di «compressione del
tempo e dello spazio» (per lo meno sul piano della percezione soggettiva), se non
un «restringimento del mondo» nel cosiddetto «villaggio globale» (Giddens, 1994;
Harvey, 1997; Roberston, 1999). Per effetto delle reti globali della comunicazione, ad esempio, «gli accadimenti locali sono influenzati da eventi che potrebbero
avere avuto luogo all’altro capo del pianeta» (Giddens, 1994). Le nuove tecnologie mettono anche i migranti, i rifugiati e i richiedenti asilo nella condizione di
mantenere relazioni sociali nei Paesi più distanti, mentre rendono sempre più
instabili e vulnerabili le frontiere nazionali, non meno che il senso di lealtà e di
appartenenza dei cittadini di ogni Paese (Albrow et al., 1997; Verhulst, 1999). La
GLOBALIZZAZIONE E
POLITICA SOCIALE: LE COORDINATE DI RIFERIMENTO
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tecnologia, secondo molti autori, incide quindi profondamente anche sulle identità individuali. Gli studi condotti negli ultimi anni in campo etnografico, d’altra
parte, hanno messo in luce la trasformazione avvenuta nel concetto di comunità:
da una nozione che fa riferimento a uno specifico contesto locale, a una che
abbraccia anche le forme comunitarie o di vicinato di tipo «virtuale» (Elkins, 1999);
le stesse comunità dei migranti, in quest’ottica, costruiscono e riproducono le loro
identità culturali avvalendosi dei legami che si creano grazie all’uso delle tecnologie transnazionali (Albrow et al., 1997). Smith (1995) ha saputo sintetizzare con
efficacia le ripercussioni di questi complessi sviluppi:
L’erosione dei tradizionali confini che distinguevano tra loro gli Stati, i
gruppi etnici e le società civili sta producendo nuovi spazi di vita quotidiana,
nuove fonti di significati culturali e nuove forme di agire sociale e politico, che
si spingono al di là dei confini definiti dalle frontiere nazionali. (Smith, 1995,
p. 250)
Le questioni legate all’identità hanno assunto grande importanza in questo
filone di studi, dal momento che proprio la cultura — nella prospettiva dei
cosiddetti cultural studies — è stata una delle prime aree di interesse dei teorici
della globalizzazione. L’approccio culturale alla globalizzazione si concentra
soprattutto sul versante soggettivo, o delle «esperienze vissute», rispetto ai processi globali. Secondo Robertson, uno dei primi sociologi «culturalisti» che si siano
occupati di globalizzazione, «è prima di tutto la consapevolezza della globalizzazione, e le reazioni alla globalizzazione, ciò che oggi caratterizza la realtà sociale
degli individui». Questa visione del fenomeno si fonda su una sorta di coscienza
globale: «La coscienza, sempre più radicata e diffusa tra gli individui, del mondo
come un luogo unico» (Wolff, 1991, p. 162 — corsivo nell’originale). L’idea, in
qualche modo, è che siamo tutti «cittadini planetari», senza distinzione di nazionalità (né di classe, sesso, genere, appartenenza etnica o «razziale», [dis]abilità o
sessualità), e da questa consapevolezza comune deriverebbe la visione della
globalità. Questa prospettiva di analisi guarda alla globalizzazione anche nell’ottica degli effetti generati, sul piano culturale, dai flussi di persone (lavoratori
migranti e rifugiati, ma anche turisti), idee, informazioni e immagini, che si
sviluppano su scala globale. L’attenzione cade anche sulla cultura commerciale
(cinema, musica pop, televisione, ecc.), vista l’estensione ormai globale dei flussi
comunicativi legati ai mass media. Taluni autori hanno persino ipotizzato la
nascita di una «cultura globale», per effetto della diffusione globale dei programmi
televisivi occidentali (in specie quelli americani) — a danno dell’autonomia delle
culture locali. La stessa tecnologia che ha posto le basi dei processi di globalizzazione viene quindi accusata di facilitare l’«imperialismo culturale globale», con
l’accentramento del controllo dei mass media nelle grandi corporations occiden-
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GLOBALIZZAZIONE E
POLITICA SOCIALE
tali e con la forzata trasmissione dei valori occidentali su scala planetaria. Accanto
a chi lamenta la presunta uniformità culturale globale, peraltro, vi è chi pone
l’accento sulla capacità delle culture locali di adattarsi e di reagire alle influenze
globali: si sottolinea, cioè, il crescente riconoscimento di cui godono le differenze
e le distinzioni di ordine culturale, come mostrano le varie versioni del nazionalismo etnico o del fondamentalismo religioso, ossia di pratiche di tipo culturale che
assumono importanti ripercussioni sul piano politico.
Arriviamo in tal modo alla globalizzazione politica, che fa riferimento al
nuovo contesto globale in cui si collocano le identità, i processi e le attività che
hanno a che vedere con la politica (Holton, 1998, p. 109). C’è chi sostiene, per
un verso, che la globalizzazione dell’economia conduca di per sé alla libertà
politica. Come si leggeva, anni fa, su «The Economist»: «La ricchezza, a quanto
pare, genera democrazia; un effetto positivo in più della crescita del capitalismo
su scala globale» (18/01/1997, p. 14). In termini meno enfatici e più realistici, c’è
chi sostiene che lo sviluppo del «libero mercato» faciliti la nascita di una classe
media globale, in grado di rivendicare maggiori spazi di democrazia da regimi
politici che, tradizionalmente, ne erano privi. I processi di democratizzazione che
hanno avuto luogo in Paesi come Taiwan o la Corea del Sud sono citati, in
quest’ottica, come prodotto della liberalizzazione economica che in questi Paesi,
per effetto della crescente apertura (e integrazione) rispetto all’economia globale,
ha avuto luogo.
Per un altro verso, c’è chi sostiene che la globalizzazione abbia accelerato gli
scambi e le interazioni politiche a livello transnazionale. La cosiddetta «sfera
globale» sarebbe cioè il prodotto non solo delle profonde trasformazioni di potere
e della differenziazione avvenuta nei processi economici (Kayatekin e Ruccion,
1998), ma anche della differenziazione dei processi e delle strutture politicoistituzionali (Cerny, 1995; 1996). Bretherton, a sua volta, definisce la globalizzazione politica nei termini di una «crescente inclinazione a riconoscere la portata
globale di molti problemi, che richiedono quindi soluzioni globali», e con riferimento allo «sviluppo di organizzazioni internazionali e istituzioni globali che
cercano di rispondere a tali problemi» (Bretherton, 1996, p. 8). La globalizzazione politica, intesa come globalismo, riflette la sempre più diffusa consapevolezza
che i problemi sociali, economici e ambientali sono per loro natura transnazionali
(se non di portata globale e sistemica), e che la risoluzione di tali problemi sollecita
interventi concertati e condivisi fra attori diversi (statuali e non governativi), nel
campo d’azione degli organismi (istituzioni, organizzazioni e agenzie) internazionali (Deacon et al., 1997).