GESTIONE DELL`ATTIVITÀ DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Ministero dell’Interno
Scuola Superiore dell’Amministrazione dell’Interno
XXV Corso di formazione per l’accesso alla qualifica di Viceprefetto
Novità e specificità
nella gestione del contenzioso
della Pubblica Amministrazione
A cura di: dr.ssa Ermelinda CAMERINI
dr. Francesco CAMPOLO
dr.ssa Giovanna HENRICO di CASSANO
dr. Federico PISCITELLI
dr. Paolo SIMONE
dr.ssa Desideria TOSCANO
Relatore: dr. Roberto PROIETTI
1
INDICE
PARTE I -
GESTIONE DELL’ATTIVITÀ DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE E
PREVENZIONE DEL CONTENZIOSO
PREMESSA - 1. I PRINCIPI
PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO
DELL’ATTIVITÀ
– 3. IL
- 2.
AMMINISTRATIVA
RESPONSABILE DEL PROCEDIMENTO
IL
– 4. LA
PARTECIPAZIONE AL PROCEDIMENTO E LA MOTIVAZIONE DEL PROVVEDIMENTO
– 5. IL
DIRITTO DI ACCESSO AI DOCUMENTI AMMINISTRATIVI – 6. L’AUTOTUTELA.
PARTE
II -
IL CONTENZIOSO E LE FORME DI DEFINIZIONE STRAGIUDIZIALE
DELLE CONTROVERSIE
CAPITOLO 1 – LE ALERNATIVE DISPUTE RESOLUTION (ADR)
1. I NUOVI MODELLI DI DEFINIZIONE DELLE CONTROVERSIE IN AMBITO EUROPEO 2.
LE
ADR
NELL’ORDINAMENTO
GIURIDICO
ITALIANO.
AUTOCOMPOSIZIONE DELLE LITI: LA TRANSAZIONE - 2.2.
DELLE LITI: L’ARBITRATO
- 2.3. LA
FORME
-
2.1.
FORME
DI
DI ETEROCOMPOSIZIONE
VIA INTERMEDIA: LA CONCILIAZIONE
- 2.3.1. LA
RIFORMA DELLA CONCILIAZIONE STRAGIUDIZIALE: LA MEDIAZIONE -
CAPITOLO 2 – IL
RUOLO DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE NELLE A.D.R.:
L’AMMINISTRAZIONE COME PARTE IN CAUSA
PREMESSA - 1. LA
MEDIAZIONE
- 2 PUBBLICA
SETTORI SPECIFICI
- 3. LA
PUBBLICA
AMMINISTRAZIONE
FRA
CONCILIAZIONE
E
AMMINISTRAZIONE E CONCILIAZIONE STRAGIUDIZIALE IN
PUBBLICA AMMINISTRAZIONE E L’ARBITRATO
-
4. LA
TRANSAZIONE QUALE CLAUSOLA DI CHIUSURA DEL SISTEMA PER LA PUBBLICA
AMMINISTRAZIONE
- 5. LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE
L’ACCORDO BONARIO
- 6. CENNI
E LA PREVENZIONE DELLE LITI:
SUI PROFILI DI RESPONSABILITA’ DEL FUNZIONARIO
PUBBLICO.
2
CAPITOLO 3 -
IL RUOLO DI TERZIETÀ DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE
NELLA RISOLUZIONE DELLE CONTROVERSIE
1. I
RICORSI AMMINISTRATIVI: LA CRISI DEL MODELLO GERARCHICO
- 2. LE
NOVITA’ NEL RICORSO STRAORDINARIO.
PARTE III - IL CONTENZIOSO GIUDIZIALE
CAPITOLO 1 - NOVITA'
NELLA GESTIONE DELLE CONTROVERSIE DINANZI AL
GIUDICE AMMINISTRATIVO
: IL D.LVO N. 104/2010 ED IL D.LVO
N.195/2011
PREMESSA - 1. PRINCIPI GENERALI - 2. LA
LA
COMPETENZA
GRADO
- 6. I
- 4. AZIONI
TERMINI
E DOMANDE
- 7. IL
GIUDIZIO DI OTTEMPERANZA
- 5. IL
GIURISDIZIONE AMMINISTRATIVA
PROCESSO AMMINISTRATIVO DI PRIMO
PROCEDIMENTO CAUTELARE
- 10. I
– 3.
RITI SPECIALI
- 8. IMPUGNAZIONI - 9. IL
- 11. DISPOSIZIONI
DEFLATTIVE DEL
CONTENZIOSO - 12. IL D.LGS. 15 NOVEMBRE 2011 N.195.
CAPITOLO 2 - NOVITA’ NELLA
GESTIONE DELLE CONTROVERSIE DINNANZI AL
GIUDICE CIVILE DOPO LA LEGGE N.
183/2010
ED IL D.LVO N.
150/2011
1. LA LEGGE N. 183/2010 - 2. IL
DECRETO LEGISLATIVO N. 150/2011.
CAPITOLO 3 - LA COSTITUZIONE DI PARTE CIVILE NEL GIUDIZIO PENALE
1. LA TUTELA CIVILE DELL’AMMINISTRAZIONE NEL GIUDIZIO PENALE.
CAPITOLO 4 – IL GIUDIZIO DINANZI ALLA CORTE DEI CONTI
1. LA TUTELA DELL’INTERESSE PUBBLICO NEL GIUDIZIO PER DANNO ERARIALE.
******************************
3
PARTE I - GESTIONE DELL’ATTIVITÀ DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE
E PREVENZIONE DEL CONTENZIOSO
PREMESSA - Nell’analisi del contenzioso che vede coinvolta la pubblica
amministrazione è necessario partire da un dato incontrovertibile: non esiste attività
umana senza conflitto, 1 essendo essa basata su un insieme di interessi fatti valere da
vari soggetti, pubblici e privati che, nel loro operare, vengono inevitabilmente in
contatto fra loro, con conseguente possibilità che si creino contrasti ed insorgano
controversie.
Acquisire questa consapevolezza è necessario affinché si possano realizzare le
condizioni per “gestire” al meglio le situazioni conflittuali tentando, anzitutto, di
prevenirle ed evitarle.
Ove, poi, ciò non sia possibile, occorre verificare la possibilità di risolvere in via
stragiudiziale la controversia.
Solo in via residuale, qualora anche la via stragiudiziale non fosse percorribile o
risultasse infruttuosa, ci si dovrebbe porre il problema di gestire
al meglio il
contenzioso giudiziale.
Invece, l’esperienza insegna che il metodo naturale che si attiva per dirimere tali
situazioni è rappresentato dal processo che si svolge innanzi ad un giudice, strumento
istituzionale utilizzato per la definizione delle controversie. Questa strada, però, da
alcuni anni si presenta sempre più difficoltosa da percorrere, risultando particolarmente
dispendiosa sia in termini di tempo ed energie, che in termini di risorse economiche 2.
Anche per tale ragione, nel corso del tempo, l’attività amministrativa ha subìto
una profonda evoluzione, che ha visto sempre più valorizzata la dimensione paritaria
dell’agire amministrativo, caratterizzato dalla realizzazione dell’interesse pubblico
mediante strumenti giuridici propri del diritto civile. In tal modo, la pubblica
1
“La gestione del conflitto nell’attività di impresa”: articolo pubblicato in “CostoZero” n. 1, gennaio febbraio 2009.
S. Galeani, C. Recchia, C. Testa “I metodi di risoluzione alternativa delle controversie” Officina giuridica Ianua
2011.
2
4
amministrazione può perseguire l’interesse pubblico attraverso lo strumento negoziale
privatistico, agendo su di un piano di parità rispetto al privato cittadino e non in veste di
organo titolare di poteri autoritativi, e può, così, utilizzare anche le forme privatistiche
di soluzione stragiudiziale delle controversie. Il superamento del tradizionale concetto
del modulo autoritativo – procedimentale quale strumento esclusivo di realizzazione
dell’interesse pubblico ha trovato un importante avallo normativo nell’art.1 della legge
n. 241 del 1990, a seguito delle modifiche introdotte con la legge n.15/2005,
riconoscendo alla pubblica amministrazione la facoltà di curare l’interesse pubblico
instaurando rapporti di carattere privatistico con i soggetti che vantano situazioni
giuridiche soggettive connesse e/o collegate ad interessi pubblici. Gli atti privati adottati
dalla pubblica amministrazione assumono natura giuridica privatistica ma funzione
pubblicistica e possono inquadrarsi nella nozione lata di attività amministrativa, ossia di
cura concreta dell’interesse pubblico 3.
Del pari, anche la previsione degli accordi ex art. 11 della l.n. 241/90 rivela
l’attenzione del legislatore per il modulo consensuale, con la conseguente soggezione
del rapporto che ne origina alle norme di diritto privato.
Nel corso del tempo, inoltre, si è modificato il rapporto tra pubblica
amministrazione che agisce autoritativamente e privato: il cittadino non è più
destinatario passivo di atti e comportamenti autoritativi, ma
ha la possibilità di
evidenziare la rilevanza dei propri interessi ed indicare, all’occorrenza, soluzioni
alternative idonee a scongiurare il sacrificio degli stessi all’interno del procedimento. La
partecipazione attiva del cittadino all’azione amministrativa ha reso indispensabile una
diversa gestione dell’organizzazione della stessa struttura pubblica, utile ad esprimere la
propria opinione sia come privato, che ha finalmente la possibilità di dialogare, che
come pubblica amministrazione, che può meglio valutare e ponderare gli interessi in
gioco realizzando il fine pubblico in modo efficace tramite scelte ragionate.
Ciò posto, i principi e gli istituti che regolano l’attività della pubblica
amministrazione, e le novità normative introdotte al fine di deflazionare il contenzioso,
3
F. Caringella, Manuale di diritto amministrativo, 2011, ed. Dike.
5
vanno prese in considerazione al fine di tentare di evitare e prevenire i conflitti con la
parte pubblica, verificare la possibilità di risolvere le controversie in via stragiudiziale e,
da ultimo, gestire al meglio il contenzioso giudiziale ove non si possano risolvere
altrimenti i conflitti insorti.
1. I PRINCIPI DELL’ATTIVITÀ AMMINISTRATIVA - Le innovazioni introdotte nel
Capo I della legge n.. 241/90 – dedicato ai principi - dalla legge n. 15/2005
rappresentano un quadro completo di norme generali sull’azione amministrativa tese a
consentire all’amministrazione di rispondere in modo efficiente ed adeguato ai bisogni
della collettività anche alla luce del nuovo riparto di competenze dettato dalla riforma
del Titolo V della Costituzione.
L’articolo 1, co. 1, della legge n. 241/90, enuncia i principi guida dell’azione
amministrativa, da un lato rinviando ai principi generali che regolano l’attività della
pubblica amministrazione, quali il principio di legalità, buon andamento e imparzialità,
e, dall’altro, introducendo espressamente il principio di trasparenza come regola di
condotta della pubblica amministrazione onde consentire in misura massima il livello di
partecipazione del cittadino alle decisioni della pubblica amministrazione ed evitare
conflitti in sede procedimentale.
In questa ottica, rileva il dovere dell’Amministrazione di rendere visibile e
controllabile dall’esterno il proprio operato: i principi della pubblicità e della
trasparenza trasformano gli amministrati da spettatori a protagonisti dell’operato dei
pubblici poteri, attribuendo loro l’esercizio di un controllo democratico sullo
svolgimento dell’attività amministrativa e sulla conformità di questa ai principi
costituzionali.
Alla trasparenza viene attribuito il significato di “conoscibilità esterna”
dell’azione amministrativa, e quindi l’accessibilità dei relativi documenti diventa un
principio generale della pubblica amministrazione: l’istituto del diritto di accesso
assicura a tutti sull’intero territorio nazionale il godimento del diritto alla trasparenza
dell’azione amministrativa; accanto a questo si pongono l’obbligo di motivazione,
6
nonché l’obbligo di comunicazione di avvio del procedimento e la conseguente
partecipazione del privato al procedimento.
La legge n. 69/2009 ha inserito nell’art.1 della legge n. 241/90 anche il principio
di imparzialità tra i canoni fondamentali dell’attività amministrativa (assieme al
principio di legalità e a quello di buon andamento ex art. 97 Cost), inteso come
equidistanza tra più soggetti pubblici o privati che vengono a contatto con la pubblica
amministrazione, ma anche come capacità del responsabile del procedimento,
nell’espletamento delle proprie funzioni, di raggiungere un grado di astrazione tale da
far valere l’interesse pubblico solo dopo una attenta ponderazione delle posizioni di
coloro che si trovano in potenziale conflitto con la pubblica amministrazione agente.
Tutta l’attività amministrativa è informata anche al principio di buon andamento,
che viene mutuato dalla compenetrazione di altri criteri contenuti nell’art.1 della
l.241/90, quali l’economicità e l’efficacia (ottimizzazione dei risultati in relazione ai
mezzi a disposizione e idoneità dell’azione amministrativa a perseguire gli obiettivi
enucleati dalla legge per la tutela degli interessi pubblici), la rapidità ed il miglior
contemperamento degli interessi.
Anche nell’ulteriore principio di ragionevolezza confluiscono eguaglianza,
imparzialità e buon andamento: in forza di tale principio l’azione amministrativa deve
adeguarsi, al di là delle prescrizioni normative, ad un canone di razionalità operativa in
modo da evitare decisioni irrazionali e arbitrarie.
Alla fine del I° comma dell’art.1 la legge 15/2005 ha inserito il riferimento ai
principi generali dell’ordinamento comunitario quale principio che deve regolare
l’azione delle pubbliche amministrazioni. La scelta operata dal legislatore è dunque
quella di assoggettare all’operatività dell’ordinamento comunitario tutta l’azione
amministrativa nazionale, indipendentemente dai settori e dalle posizioni soggettive
rilevanti, ossia senza distinguere se si tratti di procedimenti regolati dal diritto
comunitario o meno.
I principi ispiratori della legge n.241/90 sono posti a tutela dell’equo
contemperamento degli interessi coinvolti nel processo amministrativo. La loro
7
applicazione concorre a garantire la correttezza dell’azione amministrativa e,
indirettamente, produce una riduzione della conflittualità.
2 .
IL
PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO
– L’attività della pubblica
amministrazione si svolge secondo un ordine logico e temporale, normativamente
predisposto, che assume il nome di procedimento.
Fino all’entrata in vigore della legge 7.8.90, n.241 mancava
nel nostro
ordinamento una disciplina generale del procedimento amministrativo; con tale legge,
modificata dalle leggi n.15/2005 e n.80/2005 e n. 69/2009 il legislatore ha introdotto
una normativa di principio che si limita a definire i criteri essenziali ai quali deve
attenersi la pubblica amministrazione.
Il procedimento amministrativo si articola in quattro fasi, cronologicamente e
strumentalmente ordinate alla formazione dell’atto finale: la fase dell’iniziativa che può
essere assunta ad istanza di parte o d’ufficio; la fase dell’istruttoria, diretta
all’acquisizione, da parte dell’autorità amministrativa procedente, di tutti gli elementi
idonei a valutare l’interesse pubblico bilanciandolo con la tutela di altri interessi; la fase
conclusiva di adozione dell’atto finale e la fase integrativa dell’efficacia – che ricorre
solo ove espressamente prevista dalla legge - consistente in una serie di operazioni
preordinate a fare acquisire efficacia all’atto finale del procedimento 4.
La legge n. 241/90 detta alcune regole e prevede gli istituti di seguito descritti,
comuni a tutti i procedimenti amministrativi, anche al fine di contemperare gli interessi
coinvolti nell’azione amministrativa e tentare di prevenire ed evitare forme di conflitto e
contenzioso.
3. IL
RESPONSABILE DEL PROCEDIMENTO
– Tutto il Capo II della legge n.
241/90 è riservato alla regolamentazione della figura del responsabile del procedimento,
ovvero del soggetto al quale è affidato il ruolo di autorità guida di ciascun procedimento
amministrativo.
4
T. Martinez, Manuale di diritto amministrativo, Giuffrè ed. 2005.
8
Il responsabile vigila sul decorso del procedimento, assicurando le connessioni
tra le varie fasi, e rappresenta per il cittadino uno stabile punto di riferimento in armonia
con i principi di trasparenza, efficacia ed efficienza dell’azione amministrativa.
Tale istituto è stato introdotto per contrastare la frammentazione ed il
rallentamento dell’azione amministrativa, l’irresponsabilità di fatto dei soggetti deputati
a gestire il procedimento e la possibilità di un effettivo controllo sul loro operato
(trasparenza). Tale personalizzazione e responsabilizzazione delle persone fisiche che
agiscono per conto dell’ente è stata proseguita anche dalla legge n.69/2009,
che
all’art.2 ha previsto forme di responsabilizzazione in caso di mancata emanazione del
provvedimento nei termini previsti: l’art.4, co.2, del T.U. del pubblico impiego che
prevede la responsabilità in via esclusiva dei dirigenti per l’attività amministrativa, la
gestione e i risultati, viene così esteso anche all’ipotesi di mancato rispetto dei termini,
in quanto la mancata emanazione del provvedimento costituisce elemento di valutazione
della responsabilità dirigenziale.
Oltre la sua designazione (artt. 4 e 5) la legge prevede l’obbligo di comunicare
agli interessati il nominativo del responsabile del procedimento, l’unità organizzativa
competente (art.5, u.c.) ed i compiti del responsabile del procedimento (art.6).
L’atto di designazione non comporta il trasferimento di funzioni amministrative
da un organo ad un altro, né crea nuove competenze o nuove mansioni in carico al
dipendente investito dell’incarico di responsabile del procedimento: egli non riveste una
posizione sovraordinata, ma a seguito dell’incarico avrà diritto di sollecitare l’adozione
dei comportamenti dovuti, oltre che di denunciare eventuali omissioni o inadempienze
degli altri addetti. Grava, infatti, sul responsabile del procedimento il dovere generale
di porre in essere ogni atto o adempimento che si rilevi necessario per il buon esercizio
dell’azione amministrativa (art.6 l. 241/90). La lettera e) del citato articolo 6, introdotta
dal legislatore del 2005 ha previsto che laddove tale figura non coincida con l’organo
competente all’emissione del provvedimento finale, quest’ultimo ha l’obbligo di
motivare le ragioni per le quali si è discostato dalle risultanze dell’istruttoria effettuata
dal responsabile del procedimento .
9
L’articolo 7 della legge n. 241 del 1990, fissa l’obbligo di comunicare l’avvio
del procedimento ai soggetti nei cui confronti il provvedimento finale è destinato a
produrre effetti diretti, ai soggetti obbligati per legge ad intervenire nel procedimento, ai
soggetti che possono essere pregiudicati dal provvedimento e, su richiesta, a chiunque
ne abbia interesse: l’eventuale omissione dà luogo ad una situazione di irregolarità
dell’atto e può rilevare in termini di responsabilità disciplinare dell’agente che ha
omesso la comunicazione.
Da tutto ciò si ricava che la responsabilità che emerge dalle competenze ex
artt.4, 5 e 6 della legge n. 241/90 in capo al responsabile del procedimento identifica un
nuovo modello di svolgimento dell’azione amministrativa, che esce dall’anonimato e
coordina la partecipazione degli interessati in ragione dell’economicità dell’azione
amministrativa e della deflazione del contenzioso.
Stante l’assenza di un vero e proprio regime sanzionatorio, tuttavia, devono
ritenersi applicabili le disposizioni generali in tema di responsabilità penale, civile,
amministrativa, contabile e disciplinare dei dipendenti (art.28 Cost: il responsabile del
procedimento è direttamente responsabile in sede civile, penale ed amministrativa degli
atti posti in essere in violazione delle posizioni giuridiche soggettive dei privati).
La figura del responsabile del procedimento costituisce un punto di riferimento
per il privato che intende chiarire la propria posizione giuridica soggettiva in un’ottica
di riduzione preventiva della conflittualità sia nella fase istruttoria che in quella
successiva decisoria in sede di autotutela.
4. LA
PARTECIPAZIONE
PROVVEDIMENTO
AL
PROCEDIMENTO
E
LA
MOTIVAZIONE
DEL
– La partecipazione degli interessati al procedimento amministrativo
sancita dagli artt. 7 e segg. della legge n. 241/90 garantisce il rispetto del principio del
giusto procedimento, secondo il quale il procedimento amministrativo si deve svolgere
in modo tale da imporre limitazioni ai cittadini solo dopo aver svolto gli opportuni
accertamenti ed aver messo gli interessati in grado di esporre le proprie ragioni, con
evidenti effetti deflattivi del contenzioso: ogni disposizione che limiti o escluda tale
diritto va interpretata in modo rigoroso al fine di evitare di eludere il principio stesso.
10
Gli istituti di partecipazione realizzano anche la trasparenza dell’azione
amministrativa, in quanto il diritto di prendere visione degli atti e documenti e di essere
ascoltati permette di conoscere a fondo il formarsi dell’azione amministrativa,
consentendo anche allo stesso giudice di effettuare un penetrante controllo sotto il
profilo della correttezza dell’iter logico seguito e della completezza dell’istruttoria.
Lo strumento indispensabile per attivare la partecipazione al procedimento è
costituito dalla comunicazione di avvio del procedimento, che deve essere effettuata a
ridosso dell’inizio del procedimento e prima dell’inizio dell’istruttoria, comunque entro
un termine congruo prima dell’adozione del provvedimento finale perché deve
permettere al privato di partecipare all’iter procedimentale (ne consegue che
comunicazioni effettuate con
eccessivo ritardo sono equiparabili al difetto di
comunicazione e comportano l’illegittimità del provvedimento finale) 5 .
Va precisato tuttavia che la mancanza degli elementi informativi contenuti nella
comunicazione non comporta inevitabilmente l’illegittimità del provvedimento finale
qualora il privato, avuta comunque conoscenza del provvedimento, possa attivarsi al
fine di acquisire le informazioni necessarie 6.
Con la motivazione la pubblica amministrazione esterna i presupposti di fatto e
le ragioni giuridiche poste a fondamento dell’adozione di un determinato
provvedimento: con la legge n. 241/90 (art.3) è stato previsto un obbligo generale di
motivazione per tutti i provvedimenti amministrativi, compresi quelli concernenti
l’organizzazione amministrativa, lo svolgimento dei concorsi (inteso in senso ampio,
comprensivo anche delle gare per la stipulazione dei contratti, quali, ad es., quelli di
appalto pubblico) ed il personale, con la sola eccezione degli atti normativi e a
contenuto generale.
L’art.10-bis della legge n. 241/90 prevede una fase del contraddittorio nei
procedimenti ad istanza di parte che secondo l’Amministrazione devono concludersi
5
In tal senso, TAR Lombardia, Brescia, sez I, 8.4.2010, n.1514, in Foro Amm. TAR, 2010, 4, 1213.
6 Cfr. Caringella cit.
11
con un provvedimento negativo: il preavviso di diniego 7, che si configura come atto
endoprocedimentale di natura predecisoria, quindi non impugnabile, con il quale si
avvisa l’istante dei motivi ostativi all’accoglimento della sua domanda, invitando lo
stesso a produrre le proprie osservazioni. Tale istituto, da un lato, risponde alla finalità
di raccogliere ulteriori informazioni utili per l’emanazione del provvedimento finale e,
dall’altro,
anticipa in tale fase le richieste che potrebbero essere addotte in un
successivo giudizio, comportando una potenziale diminuzione del contenzioso tra
pubblica amministrazione e privati.
I destinatari del preavviso (che deve essere effettuato in forma scritta) sono gli
istanti e non tutti coloro che abbiano partecipato al contraddittorio istruttorio: l’istante
raggiunto dal preavviso può rispondere o meno entro il termine di dieci giorni dal
ricevimento della comunicazione. Nel caso in cui non risponda l’Amministrazione
concluderà il procedimento con un provvedimento espresso in conformità alla proposta
comunicata al cittadino.
Questo tipo di partecipazione, inserito nella fase antecedente l’adozione del
provvedimento finale, concretizza una ulteriore ipotesi di deflazione del contenzioso.
5. IL
DIRITTO DI ACCESSO AI DOCUMENTI AMMINISTRATIVI
– Al diritto di
accesso, diretta applicazione del principio di trasparenza (art.22 l.241/90) è stato
assegnato il ruolo di contemperamento delle contrapposte esigenze di celerità
dell’azione amministrativa e di garanzia degli interessi dei soggetti titolari di situazioni
giuridiche. Con esso è consentito ai destinatari dell’azione amministrativa di tutelare i
propri
interessi
mediante
la
facoltà
di
conoscere
la
documentazione
che
l’Amministrazione ha utilizzato per l’adozione della determinazione finale.
7
“Nei procedimenti ad istanza di parte il responsabile del procedimento o l’autorità competente, prima della formale
adozione di un provvedimento negativo, comunica tempestivamente agli istanti i motivi che ostano all’accoglimento
della domanda. Entro il termine di dieci giorni dal ricevimento della comunicazione, gli istanti hanno il diritto di
presentare per iscritto le loro osservazioni, eventualmente corredate dai documenti.(omissis)… Dall’eventuale mancato
accoglimento di tali osservazioni è data ragione nella motivazione del provvedimento finale. (omissis)…”.
12
La legge n. 15/2005 ha elevato il diritto di accesso a principio generale
dell’attività amministrativa e si è poi provveduto a disciplinarne le modalità di esercizio
emanando le relative norme esecutivi contenute nel d.P.R. 12 aprile 2006 n. 184.
Il diritto di accesso ai documenti amministrativi, in virtù delle sue elevate
finalità di interesse pubblico generale, è stato ricondotto nell’alveo delle prestazioni
essenziali che lo Stato deve garantire in maniera uniforme su tutto il territorio nazionale,
giusta la disposizione di cui all’art. 117, comma 2, lett. m) Cost.
Costituisce un preciso ed ineludibile onere di chiunque chieda di accedere a
documenti amministrativi indicare la specifica posizione legittimante 8: è legittimato
all’accesso chiunque possa dimostrare che il provvedimento o il documento
amministrativo richiesto all’accesso siano astrattamente idonei a produrre effetti diretti
o indiretti nei suoi confronti. Sono quindi accessibili sia i documenti relativi ad atti
inoppugnabili sia i documenti acquisibili in sede processuale con apposita istruttoria.
I caratteri dell’interesse all’accesso sono l’attualità, la personalità, la concretezza
e la serietà (meritevolezza). Il nuovo articolo 22 designa come titolari del diritto tutti i
soggetti privati, ricomprendendo tra essi espressamente anche i portatori di interessi
pubblici o diffusi (quindi associazioni, comitati, ecc.) i quali comprovino di avere un
interesse diretto, concreto ed attuale, che corrisponda ad una situazione giuridicamente
tutelata collegata al documento al quale si richiede di accedere.
Il soggetto interessato all’accesso è dunque tenuto a fornire alla pubblica
amministrazione che detiene il documento la dimostrazione di un puntuale interesse alla
conoscenza della documentazione stessa e della correlazione fra la cognizione degli atti
e la tutela della posizione giuridica del soggetto che esercita il diritto
Va precisato che l’art.24, co.3, stabilisce che “non sono ammissibili istanze di
accesso preordinate ad un controllo generalizzato dell’operato delle pubbliche
amministrazioni” 9.
8
9
In tal senso Cons. Stato, Sez. V, 21.11.2006, n. 6813.
TAR Lazio, Roma, Sez. I, 16.2.2004, n. 1453.
13
In tal senso, sotto il profilo organizzativo non possono sottacersi le disposizioni
che prevedono l’istituzione di uffici per le relazioni con il pubblico e dei servizi di
accesso polifunzionale, che possono avvalersi di strumenti informatici (art 10 ed 11 d.
lgvo 30.3.2001 n. 165).
A questo proposito, occorre rappresentare che il legislatore del 1990 ha
inglobato nel concetto di documento amministrativo “ogni rappresentazione grafica,
foto cinematografica, elettromagnetica o di qualunque altra specie del contenuto di atti
anche interni formati dalle pubbliche amministrazioni o comunque utilizzati ai fini
dell’attività amministrativa.”
Nel contesto di cui si discute, va fatto cenno alla legge 27.10.2009 n. 159 (
riforma Brunetta) che al comma 2 dell’art 1 stabilisce che le disposizioni del decreto
assicurano, fra l’altro: “ …la trasparenza dell’operato delle amministrazioni pubbliche
anche a garanzia della legalità”,
e che
all’art 3, fra i principi generali, “ la
trasparenza dei risultati della pubblica amministrazione e delle risorse impiegate per il
loro perseguimento” obbliga infatti tutte le amministrazioni pubbliche ad adottare un
programma per la trasparenza e l’integrità da aggiornare con cadenza triennale, per
indicare le iniziative intraprese per garantire un adeguato livello di trasparenza, la
legalità e lo sviluppo della cultura dell’integrità, da pubblicare anche su sito internet .
Per completare il quadro, è opportuno anche richiamare la direttiva del Ministero
per la funzione pubblica del 17.2.2006 sulla rendicontazione sociale delle pubbliche
amministrazioni con la quale si prevede che “ il bilancio sociale serve a rendere conto
ai cittadini in modo trasparente e chiaro di cosa l’amministrazione fa per loro”.
In conclusione, è possibile affermare che la trasparenza è divenuto un valore
fondamentale per la pubblica amministrazione sia sotto il profilo gestionale che
organizzativo, nel senso della effettiva visibilità e comprensibilità dell’azione e
dell’organizzazione amministrativa 10, che consentono di evitare tutte quelle forme di
10
Cfr. L’evoluzione del principio di trasparenza di Francesco Manganaro Ed. Aracne 2010
14
contenzioso finalizzate ad ottenere ciò che oggi si può avere mediante la presentazione
di una richiesta di accesso ai sensi dell’articolo 22 della legge n. 241 del 1990.
6. L’AUTOTUTELA – Nell’ottica di deflazionare il contenzioso, uno strumento
particolarmente utile ed importante è rappresentato dal potere di autotutela di cui
dispone la pubblica amministrazione, inteso non soltanto come possibilità di rimuovere
i provvedimenti amministrativi inopportuni (ex art. 21quinquies l.n. 241/1990) o
illegittimi (ex art. 21-nonies l.n. 241/1990), al fine di evitare di affrontare un
contenzioso che la vedrebbe perdente, ma anche come possibilità di modificare i
provvedimenti adottati al fine di sanare gli eventuali vizi che li affliggono, in modo tale
da indurre i destinatari dell’azione amministrativa a desistere dall’intento di presentare
ricorso o, comunque, contestare l’operato dell’organo che ha agito nel caso concreto. Si
pensi, sotto questo profilo, alla possibilità di convalida (provvedimento nuovo e
autonomo con il quale è possibile eliminare i vizi di legittimità di un atto invalido
precedentemente emanato dalla stessa autorità; ad esempio, con l'atto di convalida può
essere integrata la motivazione dell'atto invalido, ovvero possono essere eliminate le
clausole invalidanti o inseriti elementi mancanti nell'atto precedentemente emanato), di
sanare (mediante il provvedimento di sanatoria, un atto o un presupposto di legittimità
mancante al momento dell'emanazione del provvedimento amministrativo viene emesso
successivamente al fine di perfezionare, ex post, l’atto illegittimo; la sanatoria non
costituisce un provvedimento nuovo ed autonomo, ma si identifica con l’atto che nel
caso concreto è stato omesso; per tale ragione la sanatoria è limitata ad alcuni tipi di atto
quali proposte e approvazioni e non anche ai pareri), ratificare (al fine di eliminare il
vizio di incompetenza relativa da parte dell’autorità astrattamente competente, la quale
si appropria dell’atto adottato dall’organo incompetente).
PARTE II
-
IL CONTENZIOSO E LE FORME DI DEFINIZIONE
STRAGIUDIZIALE
DELLE CONTROVERSIE
CAPITOLO 1 – LE ALERNATIVE DISPUTE RESOLUTION (ADR)
15
1.
I NUOVI MODELLI DI DEFINIZIONE DELLE CONTROVERSIE IN AMBITO
EUROPEO
- In connessione con l’esigenza di assicurare il rispetto dei principi di
ragionevole durata del processo, di deflazione del contenzioso e di effettività della tutela
giurisdizionale, è stata avvertita, dapprima negli Stati Uniti e, negli ultimi anni, in
ambito comunitario, la necessità di individuare forme di risoluzione delle controversie
alternative alla tutela giurisdizionale 11.
Tali nuovi strumenti sono stati denominati con l’acronimo ADR, ovvero
Alternative Dispute Resolutions, per indicare istituti che, pur presentando sul piano
strutturale connotazioni eterogenee, mostrano, sul piano funzionale, scopi comuni quali:
la risoluzione dei conflitti senza ricorrere al giudice; la gestione della lite in modo
semplificato, con forte risparmio di costi e di tempo; la valorizzazione della libertà di
autodeterminazione degli attori sociali e la continuità dei rapporti tra le parti 12.
Forte impulso alla diffusione di questi modelli è stato dato nel 2002 dal libro
verde 13 adottato dalla Commissione europea, relativo ai “modi alternativi di risoluzione
delle controversie in materia civile e commerciale”; nel 2008 con l’approvazione della
direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio n. 2008/52/CE, per la diffusione della
mediazione all’interno degli Stati membri; nel Trattato di Lisbona (2007/C 306/01 - che
modifica il trattato sull'Unione europea, firmato il 13 dicembre 2007), al fine di
garantire, mediante una celere definizione della lite, il buon funzionamento del mercato
interno, abbattendo i costi del ricorso allo strumento tradizionale fornito dalle Corti di
giustizia.
11
Galeani, Recchia, Testa- “I metodi di risoluzione alternativa delle controversie” Officina giuridica Ianua: “Già nel
diritto romano era prevista nelle legis actiones una fase davanti al magistrato ove, oltre a istruire la controversia, si
provvedeva a tentare la conciliazione (fase in ius) e, solo in una seconda fase, fallito il tentativo conciliativo, la
controversia era decisa da un giudice (fase apud iudicem). Ciò a dimostrare come l’istituto della conciliazione fosse
radicato nella storia della società umana”.
12
F. Astone “Strumenti di tutela e forme di risoluzione bonaria del contenzioso nel codice dei contratti pubblici” –
Giappichelli , 2007.
13
Il libro verde, presentato il 10.4.2002 agli stati membri, richiama particolarmente l'attenzione sul ruolo dell'A.D.R.
come strumento al servizio della pace sociale ed al riguardo osserva "le parti non si affrontano più, ma al contrario si
impegnano in un processo di riavvicinamento e scelgono esse stesse il metodo di risoluzione del contenzioso. Questo
approccio consensuale aumenta la possibilità, per le parti, di mantenere, una volta risolta la lite, le loro relazioni di
natura commerciale o di altra natura ".
16
2. LE ADR NELL’ORDINAMENTO GIURIDICO ITALIANO
Nell’ordinamento italiano, la via ordinaria solitamente seguita dalle parti in
conflitto per risolvere la lite è quella di rivolgersi al giudice per ottenere la tutela del
proprio diritto, come garantito dall’articolo 24 della Costituzione.
Manca ancora una vera e propria cultura della risoluzione delle controversie
alternativa alla via giurisdizionale, che si traduce in una scarsa attenzione verso i nuovi
modelli, anche se l’ordinamento italiano ne conosce già alcuni, che si possono
distinguere in strumenti di autocomposizione e di eterocomposizione della lite, a
seconda se la soluzione sia attuata direttamente dalle parti, ovvero mediante l’intervento
di un terzo.
Tipiche espressioni delle due figure sono costituite, nel primo caso, dalla
transazione e, nel secondo caso, dall’arbitrato. A metà strada si colloca la conciliazione,
che viene attuata sì dalle parti, ma alla presenza di un terzo che svolge soprattutto un
ruolo di indirizzo più o meno ampio 14.
2.1. FORME DI AUTOCOMPOSIZIONE DELLE LITI: LA TRANSAZIONE - L’articolo
1965 del codice civile definisce la transazione il contratto con il quale le parti, facendosi
reciproche concessioni, pongono fine ad una lite già iniziata o prevengono una lite che
può sorgere tra di loro.
Tale soluzione è valida solo se ha ad oggetto diritti disponibili, vale a dire
quando le parti hanno il potere di estinguere il diritto in forma negoziale, rinunziando ai
diritti che derivano dal rapporto che le lega. 15.
Si tratta di un atto scritto, a titolo oneroso e a prestazioni corrispettive in cui, una
volta raggiunto l’accordo, il nuovo assetto voluto dalle parti in relazione al rapporto
controverso si sostituisce ad ogni precedente regolamentazione del rapporto stesso e si
pone come fonte regolatrice della nuova situazione giuridica.
14
G.A. Tarzia in “Arbitrato, ADR, Conciliazione” – Zanichelli 2009.
Ai sensi dell’art. 1966, comma 2, la transazione è nulla se ha ad oggetto gli status personali, i diritti della
personalità, l’obbligazione di prestare gli alimenti, l’obbligazione naturale.
15
17
Presuppone la sussistenza di una lite (res litigiosa), in atto o potenziale, di un
accordo che influisce su un rapporto giuridico avente carattere di incertezza (res dubia),
ed ha come oggetto non il rapporto o la situazione giuridica cui si riferisce la discorde
valutazione delle parti, ma la lite cui questa ha dato luogo o può dar luogo e che le parti
stesse intendono evitare.
In relazione all’oggetto si distingue poi la transazione “generale”, con la quale le
parti chiudono definitivamente ogni contestazione su tutti i loro pregressi rapporti,
costituendo tra loro una nuova situazione giuridica, dalla transazione “speciale”, che
riguarda un affare determinato, in modo da produrre l’effetto preclusivo della lite
limitatamente all’affare oggetto della transazione . 16
2.2. FORME
DI
ETEROCOMPOSIZIONE DELLE LITI: L’ARBITRATO
- Tipico
strumento di eterocomposizione della lite è l’arbitrato, disciplinato dal codice civile
quale mezzo alternativo al giudizio per la risoluzione delle controversie aventi ad
oggetto diritti disponibili.
Con esso le parti, volontariamente, possono sottrarre alla giurisdizione statale la
decisione di liti tra esse insorte, per affidarle ad un privato, l’arbitro, scelto dalle parti
stesse e, spesso, costituito da un collegio di almeno tre persone, il quale porrà fine alla
controversia con un provvedimento denominato dalla legge lodo.
Tale volontaria sottrazione per la devoluzione al giudizio dell’arbitro deve
avvenire attraverso un negozio, per il quale è imposta la forma scritta (art.807 c.p.c.),
denominato patto compromissorio o convenzione arbitrale, che può assumere la forma
del compromesso o della clausola compromissoria (artt. 807 e 808 c.p.c.).
L’arbitro perviene alla soluzione della lite decidendo la controversia entro un
termine di 240 giorni (art. 820 c.p.c.), a conclusione di un processo le cui norme
regolamentari possono essere liberamente stabilite dalle parti (art.816 bis c.p.c.), ma nel
16
Astone, cit.
18
quale deve essere, comunque, assicurato il rispetto del principio del contraddittorio
(art.829, I° comma, n.9, c.p.c.) 17.
Le parti possono, inoltre, stabilire che la decisione sia: secondo diritto, se
l’arbitro si pronuncia in base alle norme che disciplinano la fattispecie oggetto della
controversia; secondo equità nel caso le parti siano concordi a voler far decidere la
questione secondo un criterio basato su “valori oggettivi, già emersi nel contesto
sociale, ma non ancora tradotti in termini di legge scritta”. 18 Il vero grande vantaggio di
tale alternativa è quello di non porre in contrasto le parti e di mantenere rapporti
protratti nel tempo 19.
Si parla, poi, di arbitrato rituale se gli arbitri, nel loro giudicare, seguono le
norme del codice di procedura civile. Pur essendo simile, per forma, ad una sentenza, il
lodo ne può assumere la forza soltanto attraverso l’omologa del Tribunale.
Ove, invece, gli arbitri stabiliscano loro stessi le modalità di svolgimento della
procedura, l'arbitrato è considerato irrituale e la statuizione finale avrà efficacia
negoziale.
La differenza tra le due species di arbitrato risiede nel fatto che, nel primo caso,
le parti intendono ottenere un lodo vincolante ed efficace tra loro, impugnabile dinanzi
al giudice ordinario; mentre, nel secondo caso, esse intendono pervenire alla soluzione
della lite sul piano esclusivamente negoziale, precludendosi la possibilità di ottenere
una decisione suscettibile di acquisire gli anzidetti effetti. L’uno si conclude con un atto
equiparabile ad una sentenza di primo grado, l’altro con un negozio, senza esaurire
quindi alcun grado di giurisdizione, anche se il giudice deve tenerne conto nel decidere
la controversia, a meno di una sua preventiva invalidazione, ottenibile con le ordinarie
impugnative negoziali.
17
G. A. Tarzia da “Arbitrato, ADR, Conciliazione, dottrina casi sistemi” Ed. Zanichelli – 2009.
Cass. 11 novembre 1991 n. 12014.
19
Galeani, Recchia, Testa - Testa: I metodi di risoluzione alternativa delle controversie – Officina Giuridica Ianua 2011.
18
19
L’arbitrato
presenta
una
serie
di
vantaggi
rispetto
al
procedimento
giurisdizionale ordinario, quale la rapidità, la possibilità per le parti di poter scegliere gli
arbitri che decideranno la controversia utilizzando nei collegi soggetti tecnicamente
qualificati per la trattazione della specifica materia del contendere, la riservatezza della
controversia; ma presenta anche lo svantaggio del costo della procedura, sicuramente
più alto di un giudizio davanti ad un giudice 20.
2.3. LA VIA INTERMEDIA: LA CONCILIAZIONE - La conciliazione costituisce la
via intermedia fra gli strumenti di autocomposizione e di eterocomposizione della lite,
in quanto l’accordo fra le parti in conflitto può essere raggiunto grazie al ricorso ad un
soggetto terzo che, però, riveste un ruolo di solo indirizzo.
Nella normativa italiana il sistema processuale incentrato sul codice di procedura
civile nel suo impianto iniziale, metteva in primo piano la conciliazione giudiziale, sia
attraverso il tentativo di conciliazione in corso di causa, volto ad evitare la prosecuzione
del processo piuttosto che a scongiurarne l’inizio, sia dando spazio alla figura del
giudice conciliatore, poi sostituita da quella del giudice di pace, caratterizzata, però, da
una prevalenza della funzione giudicante rispetto a quella finalizzata all’amichevole
composizione della lite 21.
Le norme del codice prevedono, come regola generale, che la convenzione
conclusa dalle parti in giudizio per effetto della conciliazione confluisca in un verbale,
sottoscritto dalle parti, che costituisce titolo esecutivo (art.185 c.p.c.). Le statistiche
degli uffici del registro dimostrano, però, come non sia frequente l’esito conciliativo
rispetto al volume del contenzioso. L’istituto, infatti, è stato spesso ostacolato
dall’essere ormai la causa in corso e dall’assenza di una previsione di conseguenze
rilevanti in caso di mancata conciliazione.
20
L’arbitro viene pagato direttamente dalle parti e la misura e le modalità di pagamento delle spese viene concordata
tra le parti e l’arbitro; ciò è differente dal sistema dei costi della mediazione ove è fatto espresso divieto per il
mediatore di percepire somme direttamente dalle parti, che invece devono versare il dovuto all’organismo di
mediazione sulla base di tariffe minime e massime stabilite in apposito regolamento ministeriale.
21
G. Di Rago “La nuova conciliazione delle liti” da Italia Oggi 2010.
20
Il precedente più significativo di conciliazione stragiudiziale si rinviene nel
tentativo di conciliazione nelle cause di lavoro, innanzi alle apposite commissioni
presso gli uffici provinciali del lavoro, introdotto dal legislatore nel 1973 e poi
generalizzato, dapprima, nelle controversie di pubblico impiego privatizzato con il d.lgs.
29/93 e, poi, in tutto il rito del lavoro nel 1998.
Fino a poco tempo fa la conciliazione stragiudiziale in materia di lavoro,
disciplinata dal codice di procedura civile, era obbligatoria e costituiva condizione di
procedibilità della successiva eventuale azione giudiziaria innanzi al giudice del lavoro.
Di recente, gli scarsi effetti deflattivi sul contenzioso hanno, invece, indotto il
legislatore a optare per la conciliazione facoltativa, come previsto dalla legge
n.183/2010 (cd. “Collegato lavoro”), per cui le parti possono ricorrere direttamente al
giudice del lavoro (articolo 31, comma 3, che modifica l’articolo 410 c.p.c.). 22
Conseguentemente, il legislatore ha attribuito un valore centrale alla risoluzione
arbitrale irrituale davanti alle commissioni provinciali di conciliazione o davanti ai
collegi di conciliazione . 23 In particolare, si prevede che in qualunque fase del tentativo
di conciliazione, o al suo termine in caso di mancata riuscita, le parti possono accordarsi
per la risoluzione della lite affidando alla commissione di conciliazione il mandato a
risolvere in via arbitrale la controversia (art. 31, comma 5).
Inoltre, la legge n. 183 del 2010 estende le norme del codice di procedura civile
alle controversie inerenti i rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche
amministrazioni (art. 31, comma 9, abrogativo degli articoli 65 e 66 del D.Lgs.
165/2001) e, quindi, la procedura del tentativo di conciliazione è ormai identica a
prescindere che si tratti di datore di lavoro pubblico o privato.
22
Art. 31, comma 3, legge 183/2010 che sostituisce integralmente l’articolo 410 c.p.c.. Se la conciliazione riesce, anche
limitatamente ad una parte della domanda, viene redatto separato processo verbale sottoscritto dalle parti e dai
componenti della commissione di conciliazione. Il giudice, su istanza della parte interessata, lo dichiara esecutivo con
decreto. Se non si raggiunge l'accordo tra le parti, la commissione di conciliazione deve formulare una proposta per la
bonaria definizione della controversia. Se la proposta non e' accettata, i termini di essa sono riassunti nel verbale con
indicazione delle valutazioni espresse dalle parti. Delle risultanze della proposta formulata dalla commissione e non
accettata senza adeguata motivazione il giudice tiene conto in sede di giudizio.
23
G. Dosi “Dalla conciliazione giudiziale alla mediazione stragiudiziale” – De Jure – 2011.
21
2.3.1. LA RIFORMA DELLA CONCILIAZIONE STRAGIUDIZIALE: LA MEDIAZIONE La prima vera riforma in materia di conciliazione stragiudiziale, estesa alla quasi totalità
delle cause civili e commerciali, nasce dal forte impulso che l’Unione europea ha dato
nell’ultimo decennio al tema dello sviluppo delle procedure di risoluzione delle
controversie alternative a quelle giudiziarie. Tale riforma (che trova il suo precedente
più significativo nell’ambito delle liti societarie ai sensi del d.lgs. n. 5/2003 24) è stata
introdotta con il d.lgs. 4 marzo 2010, n.28, attuativo dell’articolo 60 della legge delega
18 giugno 2009, n. 69
25
, in materia di “mediazione finalizzata alla conciliazione delle
controversie civili e commerciali”, a sua volta espressione della direttiva dell’Unione
europea n.52/2008.
Il d.lgs. n. 28/2010, che ha la finalità di deflazionare il sistema giudiziario
italiano, usa il termine conciliazione non come nomen iuris del nuovo istituto, bensì
come possibile esito positivo del procedimento di mediazione. Il nuovo sistema fa leva
sul principio secondo cui “chiunque può accedere alla mediazione per la conciliazione
di una controversia civile e commerciale vertente su diritti disponibili” (art.2) 26.
Il tentativo di risoluzione stragiudiziale delle controversie previsto dalla riforma
si distingue in tre tipologie: una mediazione obbligatoria in determinate materie
tassativamente elencate dall’articolo 5
27
il cui esperimento è condizione di procedibilità
nel caso di un successivo processo per mancata conciliazione delle parti; una
mediazione demandata al giudice che si trova investito della controversia, che può
ritenere, a seguito degli elementi di valutazione forniti in giudizio, di invitare le parti in
24
"Definizione dei procedimenti in materia di diritto societario e di intermediazione finanziaria, nonchè in materia
bancaria e creditizia, in attuazione dell'articolo 12 della legge 3 ottobre 2001, n. 366".
25
"Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile".
26
In rivista giuridica De Jure – “Dalla conciliazione giudiziale alla mediazione stragiudiziale” cit.
27
Condominio, diritti reali, divisioni e successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende,
risarcimento di danno provocato dalla circolazione di veicoli e natanti, risarcimento del danno derivante da
responsabilità medica, da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità, contratti assicurativi,
bancari e finanziari.
22
lite a ricorrere all’istituto ; 28 la terza tipologia è, invece, quella volontaria, dove le parti,
in qualsiasi momento (anche durante un procedimento giudiziario in corso), possono
decidere di avviare una procedura di mediazione al fine di risolvere la lite sorta fra loro.
Il mediatore è un soggetto terzo, neutro ed imparziale, dotato di specifica
professionalità e formazione
29
, che cerca di stimolare la dialettica fra le parti
indirizzandole al fine di trovare, in piena autonomia, una possibile soluzione alla
controversia senza che a nessuna venga imposto di rinunciare alle proprie pretese.
Se la mediazione, la cui procedura ha durata non superiore a quattro mesi (art.6),
va a buon fine, si forma, sull’accordo accettato dalle parti, processo verbale,
successivamente omologato, su istanza di parte, dal Tribunale: verificatane la
conformità alle norme di legge, l’accordo diventa vincolante per i sottoscrittori. 30
In particolare, merita specificare che il legislatore - se da un lato per le
controversie di lavoro sia pubblico che privato ha reso la conciliazione non più
obbligatoria ma facoltativa – viceversa, per le controversie civili nelle materie elencate
nell’art. 5 del decreto legislativo n. 28/2010 ha reso la mediazione obbligatoria.
Volendo delineare più in dettaglio i rapporti fra la mediazione ed il giudizio
civile come regolati dagli artt. 5 , 7 e 13 del predetto decreto legislativo, si può
precisare che esso ha formato oggetto di modifiche ad opera del decreto legge
22.12.2011 n. 212, recante “disposizioni urgenti in materia di composizione delle crisi
da sovraindebitamento e disciplina del processo civile”.
L’art. 5, al comma 1, dopo aver precisato che la mediazione è condizione di
procedibilità della domanda giudiziale,
riconosce al
giudice il potere di rilevare
28
La fattispecie si rivolge alla quasi totalità delle cause civili e commerciali: ai sensi dell’art. 5, comma 2, del D.Lgs.
28/2010, l’invito deve essere rivolto alle parti prima dell’udienza di precisazione delle conclusioni e, comunque, prima
della discussione della causa: in tal senso essa costituisce l’evento finale di un procedimento di mediazione
stragiudiziale, ed il verbale di conciliazione costituirà (ex art.185 c.p.c.) titolo esecutivo non solo con efficacia per
l’espropriazione forzata e per l’esecuzione in forma specifica, ma anche per l’iscrizione dell’ipoteca giudiziale.
29
Il mediatore professionista svolge l’attività all’interno di enti appositamente istituiti dalla norma e posti sotto la
vigilanza del Ministero della Giustizia.
30
S. Galeani, C. Recchia, C. Testa, cit.
23
d’ufficio l’improcedibilità della domanda ed i tempi per rilevare tale improcedibilità e
disciplina in dettaglio le ipotesi in cui la mediazione prima del giudizio sia iniziata e
non conclusa o non sia stata esperita.
Con il comma 2, invece, viene riconosciuto al giudice adito il potere
discrezionale di invitare le parti alla mediazione anche nella fase di appello,
disciplinando le modalità per l’esercizio di tale potere.
L’articolo in questione chiarisce, poi, che lo svolgimento della mediazione, non
preclude la concessione dei provvedimenti cautelari – che, essendo finalizzati alla tutela
di situazioni giuridiche con carattere di urgenza, sarebbero vanificati nella loro finalità
dai tempi necessari all’espletamento della mediazione - e specifica i procedimenti per i
quali l’espletamento della mediazione non costituisce condizione di procedibilità della
domanda.
Inoltre, con tale articolo vengono chiariti gli effetti impeditivi della prescrizione
e della decadenza della domanda di mediazione.
Con il comma 6 bis del predetto articolo 5 - introdotto dal decreto legge n.
212/2011, il legislatore ha demandato al capo dell’ufficio giudiziario la vigilanza
sull’applicazione di quanto previsto dal comma 1 in merito alla mediazione nonché la
facoltà di adottare ogni iniziativa necessaria a favorire l’espletamento della mediazione,
nel caso in cui il giudice adito - in conformità a quanto previsto dal comma 2 del
predetto articolo 5 - inviti, in corso di causa, le parti alla mediazione.
Il predetto decreto legge, ha, poi, apportato un ulteriore modifica all’articolo 8,
che disciplina il procedimento di mediazione, riconoscendo, al comma 5, il potere del
giudice adito di condannare la parte costituita in giudizio al versamento nelle casse dello
Stato di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il
giudizio, nei casi, previsti dal richiamato articolo 5, in cui essa non abbia partecipato,
senza giustificato motivo, al procedimento di mediazione, sia nella fase anteriore al
giudizio che in pendenza dello stesso.
24
A tal fine, con la modifica apportata dal decreto legge per prevenire condotte
delle parti intese ad ostacolare la mediazione, è stato precisato che tale condanna è
disposta con ordinanza non impugnabile nel corso del giudizio.
Dalle modifiche introdotte con il decreto legge emerge con chiarezza la volontà
di incentivare la mediazione anche mediante la vigilanza sul rispetto delle relative
procedure e la sanzione di condotte delle parti tendenti ad ostacolare il ricorso a tale
strumento.
Per completare il quadro normativo, si rileva che il legislatore, sempre al fine di
favorire la definizione stragiudiziale delle vertenze, con l’articolo 13 ha disciplinato il
regime delle spese processuali in relazione agli sviluppi dell’esito del giudizio ed alla
sua corrispondenza o meno con le proposte emerse in sede di mediazione.
Conclusivamente, si osserva che in relazione alle disposizioni introdotte con il
decreto legislativo n. 28/2010, sono state sollevate diverse questioni di legittimità
costituzionale.
In particolare, il TAR Lazio con ordinanza n. 3202/2011, ha rimesso gli atti alla
Corte Costituzionale per possibile illegittimità costituzionale, fra gli altri, dell’articolo 5
del decreto legislativo n. 28/2010, che configura la mediazione quale condizione di
procedibilità della domanda giudiziale, per contrasto con gli artt.
24 e 77 della
Costituzione. A tal fine, il giudice amministrativo osserva, fra l’altro,
che le
disposizioni citate: “risultano in contrasto con l’articolo 24 della Costituzione nella
misura in cui determinano, nelle considerate materie, una incisiva influenza da parte di
situazioni preliminari e pregiudiziali sull’azionabilità in giudizio del diritto
soggettivo……”.
Risulta quindi evidente che solo dopo le pronunce della Corte potranno essere
delimitati gli esatti caratteri dell’istituto che si pone, al pari degli altri strumenti
apprestati dall’ordinamento, quale via alternativa più celere per la definizione delle
controversie, ma, a differenza del tentativo di conciliazione per le controversie di
lavoro, non riveste carattere facoltativo ma obbligatorio.
25
CAPITOLO 2 – IL
RUOLO DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE NELLE A.D.R.:
L’AMMINISTRAZIONE COME PARTE IN CAUSA
PREMESSA - La progressiva diffusione degli strumenti alternativi per la
risoluzione delle controversie e, in particolare, della conciliazione tramite la mediazione
in ogni settore del diritto civile, pone la questione dell’applicabilità dei vari istituti alle
liti concernenti rapporti in cui la pubblica amministrazione è parte in causa.
Al riguardo, è utile ricordare quanto rappresentato nella Parte I circa il fatto che,
sin dai primi anni ’90, il settore della pubblica amministrazione ha subito diversi
interventi legislativi volti al superamento dell’impianto esclusivamente autoritativo
dell’agire pubblico ed alla valorizzazione dei rapporti paritetici tra ente pubblico e parte
privata . 31 In questo contesto ed in questi ambiti possono trovare spazio le forme di
soluzione stragiudiziale delle controversie di cui si discute.
1. LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE
FRA CONCILIAZIONE E MEDIAZIONE
- Nel
nostro sistema ordinamentale manca un principio generale in tema di conciliazione
stragiudiziale esteso alla pubblica amministrazione. Ciò è anche il risultato di una
valutazione offerta al legislatore dalla prassi, che vede le pratiche conciliative molto più
largamente diffuse nel settore civile e commerciale rispetto a quello amministrativo 32.
Per la verità il legislatore ha tentato più volte, senza successo, di introdurre una
disciplina generale della conciliazione stragiudiziale applicabile anche alle controversie
amministrative, 33 il che ha lasciato aperta la discussione sul ruolo e sulle possibilità
della pubblica amministrazione di intervenire nelle procedure in questione.
31
Al riguardo il comma 1 bis, art. 1, della legge 241/90 introdotto dalla l. 15/2005 prevede che “La pubblica
amministrazione, nell’adozione di atti di natura non autoritativa agisce secondo le norme di diritto privato, salvo che la
legge disponga diversamente”.
32
M. Giovannini – cit.
33
Si segnala in proposito il ddl 5492 presentato durante la XIV Legislatura, poi decaduto per il mancato
completamento dell’iter parlamentare.
26
La discussione verte, principalmente, sulla contrapposizione fra rapporti di
diritto privato, ove le relative controversie possono essere conciliate in quanto
riguardano diritti soggettivi, e rapporti di diritto pubblico, ove ciò non potrebbe valere
in virtù dell’indisponibilità dell’interesse pubblico che la funzione amministrativa è
chiamata a soddisfare.
Questa distinzione, tenuto conto del generale processo di avvicinamento della
pubblica amministrazione ai modelli privatistici, che si affiancano agli strumenti tipici
del diritto pubblico, non esclude l’eventualità di una definizione conciliativa delle liti
attraverso la mediazione di un soggetto terzo 34.
Il problema, dunque, non si pone per le controversie che si svolgono dinnanzi al
giudice ordinario ed hanno ad oggetto comportamenti o attività di diritto privato della
pubblica amministrazione che incidono su diritti disponibili
35
- situazioni che le parti
hanno il potere di estinguere in forma negoziale - posto che l’art. 2, del d.Lgs. n. 28 del
2010, stabilisce che chiunque può accedere alla mediazione per la conciliazione di una
controversia civile e commerciale vertente su diritti disponibili 36.
2 PUBBLICA
SETTORI SPECIFICI - In
AMMINISTRAZIONE
E
CONCILIAZIONE
STRAGIUDIZIALE
IN
alcune materie, prima del D.Lgs. n. 28/2010, il legislatore aveva
comunque già previsto alcuni importanti elementi di novità, attraverso la possibilità di
risolvere, in via conciliativa, l’eventuale contenzioso che vede coinvolta la pubblica
amministrazione; materie nelle quali, data la specifica disciplina, non trova applicazione
la richiamata normativa sulla mediazione.
Premesso quanto già detto brevemente sulla conciliazione in materia di lavoro
alle dipendenze di una pubblica amministrazione ai sensi della legge n.183/2010, merita
34
,. L. Cattalano “Possibilità di ricorso all’ADR da parte della PA e responsabilità del funzionario pubblico” in “ La
Mediazione – regole e tecniche” , Officina del Diritto, Ed. Giuffrè – 2011.
35
Sono escluse, ad esempio, le controversie in materia di stato e capacità delle persone, procedure concorsuali o
obbligatorie.
36
Art. 2 Controversie oggetto di mediazione - 1. Chiunque può accedere alla mediazione per la conciliazione di una
controversia civile e commerciale vertente su diritti disponibili, secondo le disposizioni del presente decreto. 2. Il
presente decreto non preclude le negoziazioni volontarie e paritetiche relative alle controversie civili e commerciali, nè
le procedure di reclamo previste dalle carte dei servizi.
27
qui di essere segnalato il sistema previsto dalla legge n. 15/2009(cd. “pacchetto
Brunetta”) 37, da cui è scaturito il d.L.vo 20 dicembre 2009, n. 198, in materia di ricorso
per l’efficienza delle amministrazioni e dei concessionari di servizi pubblici: premesse
da cui è nata la cd. “class action” nei confronti della pubblica amministrazione.
Il provvedimento, al fine di ripristinare il corretto svolgimento della funzione o
la corretta erogazione di un servizio, stabilisce che i titolari di interessi giuridicamente
rilevanti e omogenei per una pluralità di utenti di servizi pubblici e consumatori,
possano agire in giudizio nei confronti della pubblica amministrazione in tutte le ipotesi
in cui dalla violazione degli obblighi contenuti nelle Carte dei Servizi o di standard
qualitativi ed economici stabiliti dalle autorità preposte alla regolazione del settore, sia
derivata una lesione di interessi giuridicamente rilevanti .
In tal caso l’azione in giudizio viene esercitata con ricorso al Giudice
amministrativo, previa diffida ad adempiere nei confronti degli organi di vertice
dell’amministrazione. Ai fini conciliativi, in luogo della diffida, il ricorrente può
promuovere la risoluzione extragiudiziale della controversia ed il ricorso è proponibile
entro un anno dall’esito eventualmente infruttuoso della procedura conciliativa (art.3,
comma 3, d.l.vo n.198/2009).
3. LA
PUBBLICA AMMINISTRAZIONE E L’ARBITRATO
-
La tendenza ad
assoggettare l’amministrazione alle regole del diritto comune in modo sempre più
incisivo caratterizza l’operato degli enti pubblici anche nell’arbitrato.
Da un lato vi è l’impossibilità di risolvere, mediante il ricorso a tale istituto, le
controversie in cui sono dedotti interessi legittimi, tenuto conto - come già osservato dell’indisponibilità dell’interesse pubblico ad essi connesso. Diverso è il caso in cui
l’amministrazione
agisce iure privatorum nell’ambito dell’attività negoziale, ove
vengono dedotte situazioni di diritto soggettivo. Qui le relative controversie rientrano
nella sfera di competenza del giudice ordinario o nell’ambito della giurisdizione
37
Delega al Governo per l’ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e l’efficienza e trasparenza delle
pubbliche amministrazioni.
28
esclusiva del giudice amministrativo, e, come tali, possono costituire oggetto di
arbitrato.
Anche nella procedura arbitrale, la posizione di parte della pubblica
amministrazione assume rilevanza per la specifica qualificazione di soggetto pubblico e,
soprattutto, per il collegamento della sua attività alla realizzazione degli interessi
pubblici.
In particolare, viene in considerazione la modalità di proposizione della
domanda che, nella fattispecie di patrocinio obbligatorio dell’Avvocatura dello Stato,
deve essere notificata presso l’ufficio competente per territorio di quest’ultima e deve
contenere sia gli elementi necessari per la procedura ordinaria che, al bisogno, elementi
più specifici (quali, ad es., l’importo della richiesta pecuniaria proposta), negli stessi
termini posti per l’esercizio dell’azione in sede arbitrale.
Anche quando parte del rapporto sia una pubblica amministrazione, l’istituto
arbitrale conserva sempre il proprio carattere volontario: la rinuncia alla giurisdizione
può essere conseguente solo alla concorde volontà delle parti e non può essere imposta
dall’una all’altra parte del rapporto (principio che ha trovato realizzazione con
l’affermazione dell’impossibilità dei cd. arbitrati obbligatori).
Per il resto, ai fini dello svolgimento del giudizio arbitrale valgono, dal punto di
vista procedurale, le regole generali previste dal codice civile.
Il lodo acquista, infatti, anche nei confronti della parte pubblica amministrazione
la propria esecutività ed il carattere di giudicato secondo le procedure previste in via
generale per le pronunce arbitrali ed è esperibile il giudizio di ottemperanza, in
considerazione del carattere sostanzialmente giurisdizionale della pronuncia arbitrale,
equiparabile alla sentenza dell’autorità giudiziaria (in tal senso si veda l’art. 824 bis
c.p.c.).
Va detto, in conclusione, che il ruolo della pubblica amministrazione nella
procedura arbitrale è oggi particolarmente limitato per esigenze connesse al
contenimento della spesa pubblica. In tale ottica la legge Finanziaria del 2008 (legge
29
n.244/2007) ha fatto divieto alle pubbliche amministrazioni di cui all’art.1, comma 2., d.
l.vo165/2001 di inserire clausole compromissorie ovvero di sottoscrivere compromessi
per deferire ad arbitri la decisione di controversie in tutti i contratti aventi ad oggetto
lavori, forniture e servizi. 38
4. LA
PUBBLICA
TRANSAZIONE QUALE CLAUSOLA DI CHIUSURA DEL SISTEMA PER LA
AMMINISTRAZIONE
- Nell’ambito dei rimedi alternativi alla via
giurisdizionale, la transazione si pone spesso, per la pubblica amministrazione, quale
clausola di chiusura del sistema, nel senso che anche laddove le altre procedure ADR
non siano andate a buon fine, l’amministrazione può ancora evitare il giudizio attraverso
la stipula di un atto transattivo con la controparte.
Oltre ad evitare o estinguere un giudizio, la transazione conferisce un assetto
definitivo ai rapporti sostanziali controversi sia per il privato che per la pubblica
amministrazione la quale, una volta obbligatasi, nell’ambito di un atto transattivo, ad
assumere un preciso comportamento, a svolgere una determinata attività o ad adottare
un provvedimento, non potrà assumere nuove e diverse determinazioni in merito.
Anche nel caso in cui una pubblica amministrazione sia parte di una transazione,
è richiesta la forma scritta ad substantiam, a prescindere dall’oggetto della transazione,
per cui non è possibile desumere per presunzione elementi costitutivi del contratto
transattivo . 39
Inoltre, la mancanza, nei rapporti di diritto pubblico, della disponibilità, da parte
dell’amministrazione, dei diritti in contesa, fa venir meno il requisito della capacità a
transigere e rende nulla la transazione conclusa in tali condizioni (art.1966 c.c.).
L’ammissibilità della transazione nei rapporti di diritto privato in cui è parte
un’amministrazione (quali, ad esempio, i casi di risarcimento per danni alla esecuzione
di contratti, controversie di lavoro, appalti) è confermata da espresse disposizioni di
38
F. Lubrano, La pubblica amministrazione come parte, da “Arbitrato, ADR, Conciliazione, dottrina casi sistemi” Ed.
Zanichelli – 2009.
39
Cass. 6.6.2002, n.8192 in Cons. Stato 2002, 1525.
30
legge (art.1, comma 1-bis legge n. 241/90
40
; art. 239 del d.l.vo n. 163/2006 cd. codice
dei contratti pubblici): alla fattispecie contrattuale che così si delinea si applicano, in
toto, le disposizioni del codice civile, sia pure con alcune cautele sull’opportunità delle
scelte e nell’osservanza di alcune disposizioni di legge.
Nella prassi infatti, la scelta di stipulare una transazione presuppone una oculata
e motivata valutazione dalla quale emergano la convenienza e l’adeguatezza del
risultato derivante dalle reciproche concessioni rispetto ad un giudizio dispendioso e
lungo: il fatto che la pubblica amministrazione possa addivenire ad una soluzione di
compromesso che comporta comunque un esborso di denaro pubblico frena spesso il
ricorso a tale istituto in quanto implica aspetti di responsabilità amministrativocontabile dei soggetti agenti.
Quanto ai vincoli procedurali in vista della formazione di un accordo transattivo,
l’art.14 r.d. n. 2440/1924 assoggetta le ipotesi transattive di un certo valore al parere del
Consiglio di Stato.
Peraltro, l’utilizzo della transazione da parte delle pubbliche amministrazioni è
stato perorato in una Raccomandazione adottata il 5.9.2001 dal Consiglio d’Europa, che
ha invitato gli Stati membri a dotarsi di normative nazionali attributive, alle autorità
amministrative, del potere di transigere.
Sulla scia degli indirizzi comunitari il d.lgs. n. 163/2006 ha previsto la
transazione all’articolo 239.
41
Il codice dei contratti pubblici disciplina, al riguardo,
una procedura minima per addivenire alla transazione: spetta al dirigente competente
della stazione appaltante, sentito il responsabile del procedimento, formulare una
proposta transattiva o esaminare quella dell’aggiudicatario. In ogni caso allorchè
l’importo ecceda i centomila euro, è sempre necessario il parere, obbligatorio ma non
vincolante, dell’Avvocatura dello Stato, che deve pronunciarsi sui rischi connessi al
40
“La pubblica amministrazione, nell’adozione di atti di natura non autoritativa, agisce secondo le norme di diritto
privato, salvo che la legge non disponga diversamente”.
41
“Essendo l’unico regime applicabile quello di diritto privato, in seguito alla conclusione del contratto
l’amministrazione perde ogni potere di incidere unilateralmente sulla situazione oggetto del negozio, potendo avvalersi
solamente degli strumenti privatistici del recesso e della risoluzione del contratto” Cons. Stato sez. V, 28.12.2001.
31
contenzioso e sulla convenienza ed opportunità della proposta transattiva, nonché sulla
sussistenza dei presupposti per procedere alla definizione della controversia. Il 4°
comma dell’art.239 del d. lgs. 163/2006 prescrive, in linea col principio generale in
tema di contratti stipulati dalla pubblica amministrazione, la forma scritta a pena di
nullità.
Le disposizioni in parola hanno tutte lo scopo di procedimentalizzare il percorso
che il soggetto pubblico deve compiere fino alla stipula della transazione, a garanzia
della trasparenza dell’attività amministrativa e della responsabilità dei soggetti agenti,
trattandosi di un contesto comunque funzionale alla cura degli interessi pubblici.
5. LA
PUBBLICA AMMINISTRAZIONE
L’ACCORDO BONARIO
E
LA PREVENZIONE
DELLE
LITI:
- L’accordo bonario rappresenta una peculiarità dell’operato
della pubblica amministrazione come parte nella gestione delle controversie alternativa
al giudizio.
L’istituto è disciplinato dall’art. 240 del codice dei contratti pubblici, rientra
nella categoria della cd. transazione speciale ed è volto alla riduzione e prevenzione del
contenzioso in materia di appalti pubblici, nella fase di esecuzione del contratto. 42
Ha per oggetto una lite riguardante le domande (cd. riserve) iscritte
dell’appaltatore nei documenti contabili, quando l’importo di queste superi il 10% del
valore economico dell’importo contrattuale, ovvero le domande che non essendo state
oggetto di procedura di accordo bonario in corso d’opera, risultino dal conto finale.
La riserva è una pretesa patrimoniale che descrive i fatti che l’hanno determinata
e la loro valutazione economica, ai fini dell’esatta quantificazione del compenso
ulteriore dovuto all’appaltatore rispetto all’importo inizialmente convenuto. L’onere
della riserva è preordinato a rendere immediatamente note alla stazione appaltante tutte
le situazioni suscettibili di aggravare i costi complessivi dell’opera che si verificano nel
corso dell’esecuzione stessa.
42
ai sensi dell’art.240 D.Lgs.n.163/2006 il procedimento relativo all’accordo bonario si applica ai lavori pubblici nei
settori ordinari affidati da amministrazioni aggiudicatrici ed enti aggiudicatori ovvero dai concessionari e ai contratti
pubblici relativi a servizi e forniture nei settori ordinari, nonché a tutti i contratti nei settori speciali.
32
L’amministrazione committente, infatti, deve poter valutare l’opportunità di
proseguire ovvero recedere dal rapporto di appalto, in relazione al perseguimento dei
fini d’interesse pubblico.
L’art.240 del D.Lgs. n. 163/2006 dispone che il direttore dei lavori – soggetto
istituzionalmente preposto alla direzione ed al controllo tecnico, contabile ed
amministrativo dell’esecuzione dell’intervento - dia immediata comunicazione al
responsabile del procedimento (art.10 D.lgs citato) delle riserve iscritte dall’appaltatore
negli atti contabili, trasmettendo contestualmente una relazione contenente un parere in
merito.
Tale relazione consente al responsabile del procedimento di valutare l’effettiva
e concreta sussistenza delle condizioni per l’avvio del procedimento di accordo e,
successivamente, di fornire ad una apposita commissione gli elementi necessari per
giungere ad una cognizione completa della controversia.
Nel caso di inerzia ad avviare il procedimento di accordo bonario, l’appaltatore
potrà adire il giudice amministrativo, al fine di accertare se sussistano le condizioni per
attivare il procedimento medesimo.
Per gli appalti o concessioni di importo superiore a 10 milioni di euro, al
responsabile
compete, inoltre, l’obbligo di costituire - entro trenta giorni dalla
comunicazione del direttore dei lavori - la commissione alla quale è demandato il
compito di formulare la proposta di accordo bonario. Tale commissione, formata da tre
componenti in possesso di specifica idoneità, si configura come organo esterno e terzo
rispetto alle parti della controversia.
La proposta di accordo - formulata dalla commissione nel termine di 90 giorni
dalla sua costituzione - ha la funzione di promuovere la conciliazione tra le parti e di
definire i termini dell’accordo stesso, che può ritenersi validamente concluso solo a
seguito di una pronuncia favorevole dell’amministrazione e dell’appaltatore sulla
proposta.
33
L’accordo ha natura contrattuale e si forma, a norma dell’articolo 1326 c.c., con
l’incontro della volontà delle parti. Trattandosi di un contratto stipulato da una pubblica
amministrazione, è necessario che rivesta la forma scritta ad substantiam ex artt.16 e 17
r.d. n. 2440/1023.
Al fine di perfezionare un valido rapporto contrattuale è altresì necessario che
l’accordo sia stipulato da un soggetto munito del potere di concluderlo e recare la
sottoscrizione del rappresentante dell’ente pubblico.
Le parti possono anche decidere di affidare alla Commissione il potere di
assumere decisioni vincolanti facendo sorgere, in questo secondo caso, una fattispecie
di arbitrato irrituale.
E’ possibile ricorrere all’arbitrato anche nel caso in cui siano decorsi
infruttuosamente i termini per la pronuncia sull’accordo sia da parte dell’impresa che
dell’ente appaltante (trenta giorni dal ricevimento della stessa).
6. CENNI
SUI PROFILI DI RESPONSABILITA’ DEL FUNZIONARIO PUBBLICO
-
Aspetto fondamentale per l’incentivazione dei modelli conciliativi di definizione delle
controversie che vedono la pubblica amministrazione come parte attiene, poi, ai profili
di responsabilità del funzionario che agisce a tutela dell’ente pubblico rappresentato.
Il disegno di legge 5492, presentato durante la XIV legislatura prevedeva, al
riguardo, un principio di carattere generale: la conciliazione della lite da parte di chi
rappresentava la pubblica amministrazione, in adesione a una proposta del conciliatore,
non dava luogo a responsabilità amministrativa. Ma la mancata approvazione del ddl ha
lasciato aperto il dibattito sui limiti della responsabilità del funzionario pubblico che, in
rappresentanza della pubblica amministrazione, scelga di optare per una soluzione quella conciliativa - che non consente di stabilire preventivamente la legittimità
giuridica delle rispettive pretese - in luogo della definizione giudiziale della vertenza.
Il problema nasce dal fatto che i pubblici funzionari, nella scelta di conciliare o
transigere una vertenza, non solo devono agire nell’interesse dell’amministrazione di
34
appartenenza, ma sono, altresì chiamati a rendere conto delle decisioni prese soprattutto
in sede erariale, innanzi alla Corte dei Conti.
Va detto, preliminarmente, che la via giudiziale non sempre si rivela quella
giusta, in quanto, in molti casi, può esporre l’ente pubblico alla difesa in più gradi di
giudizio con tempi, costi e risultati tutti da valutare. 43
In secondo luogo, come si desume direttamente dalla legge, la responsabilità
amministrativa dei soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei Conti è limitata
ai fatti e alle omissioni commessi con dolo o colpa grave, ferma restando
l’insindacabilità nel merito delle scelte discrezionali 44.
In terzo luogo, la disciplina delle controversie relative ai rapporti di lavoro alle
dipendenze delle pubbliche amministrazioni sancisce espressamente l’esenzione di chi
rappresenta la pubblica amministrazione da qualunque forma di responsabilità derivante
dalla scelta conciliativa effettuata; esimente non applicabile nei casi di dolo o colpa
grave (art.31, comma 1, della legge 183/2010). 45
Nelle controversie di lavoro la nuova disposizione assicura la più ampia tutela al
dipendente pubblico che partecipa alla conciliazione nell’interesse dell’amministrazione
e, nel contempo, lo responsabilizza in maniera più incisiva nella scelta conciliativa della
controversia, anche sotto il profilo disciplinare. Viene così superata la disposizione di
cui all’art. 66, comma 8, D.lgs. 165/2001, che prevedeva l’esonero dalla sola
responsabilità amministrativa del soggetto pubblico che aderisce alla proposta di
risoluzione anticipata della lite formulata dal collegio di conciliazione ovvero all’invito
del giudice.
43
M. Marinaro “La risoluzione stragiudiziale delle controversie – percorsi di ADR nell’attività di impresa” Ed. Aracne
– 2010.
44
Cfr. art. 1, comma 1, legge n. 20/94 e s.m.i. “Disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei
Conti”.
45
Art. 31 della legge 183/2010 che modifica l’art. 410 c.p.c. “La conciliazione della lite da parte di chi rappresenta la
pubblica amministrazione, anche in sede giudiziale ai sensi dell'articolo 420, commi primo, secondo e terzo, non può
dar luogo a responsabilità, salvi i casi di dolo e colpa grave”.
35
In merito ai profili di responsabilità del funzionario pubblico nella conciliazione
delle liti, è importante, inoltre, sottolineare l’orientamento giurisprudenziale della stessa
Corte dei Conti, volto a condannare per lite temeraria la resistenza in giudizio ad ogni
costo da parte della pubblica amministrazione 46.
Occorre, infine, accennare, brevemente, alle implicazioni derivanti dalla riforma
introdotta dalla normativa sulla mediazione. Per quanto la pubblica amministrazione
possa tendere ad avvalersi di istituti tradizionali per la risoluzione delle controversie, il
D. l.vo n. 28/2010 istituisce, nelle ipotesi tassativamente indicate dall’art. 5, l’obbligo
del ricorso alla mediazione quale condizione di procedibilità dell’azione giudiziaria. Ciò
può avere, nelle materie ivi previste (es. risarcimento del danno derivante dalla
circolazione di veicoli e natanti), importanti risvolti sul piano della responsabilità del
funzionario pubblico in caso di rifiuto di una proposta di conciliazione senza
giustificato motivo. Al riguardo, la novella al codice di procedura civile introdotta dalla
legge n. 69/2009 (art. 91 c.p.c.) prevede che il giudice “se accoglie la domanda in
misura non superiore all’eventuale proposta conciliativa, condanna la parte che ha
rifiutato senza giustificato motivo la proposta al pagamento delle spese del processo
maturate dopo la formulazione della proposta…” .
CAPITOLO 3 -
IL RUOLO DI TERZIETÀ DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE
NELLA RISOLUZIONE DELLE CONTROVERSIE.
1. I RICORSI AMMINISTRATIVI: LA CRISI DEL MODELLO GERARCHICO - La tutela
delle posizioni giuridiche lese dall’attività della pubblica amministrazione oltre ad
essere garantita attraverso procedimenti di natura negoziale o conciliativa riconducibili
ad atti di autonomia privata, è assicurata da due distinti rimedi attivabili ad istanza di
parte: il ricorso giurisdizionale ed il sistema dei ricorsi amministrativi.
Questi ultimi sono rimedi volti a ottenere la tutela della situazione giuridica
soggettiva lesa da un provvedimento o da un comportamento della pubblica
46
Corte dei Conti sentenza n. 938 del 19 luglio 2004.
36
amministrazione e consistono nella proposizione di un’istanza ad un’Autorità
amministrativa affinchè, ad esempio, riesamini un provvedimento che si suppone
viziato sotto il profilo della legittimità o, in alcuni casi, del merito.
La dottrina prevalente 47 attribuisce a detti istituti natura amministrativa e non
giurisdizionale e li colloca nella categoria dei procedimenti amministrativi di secondo
grado.
I ricorsi amministrativi, disciplinati dal D.P.R. n. 1199/1971, si dividono in tre
distinte categorie: il ricorso gerarchico, che può essere proprio, quando è rivolto
all’organo gerarchicamente superiore a quello che ha emanato l’atto impugnato, o
improprio, quando fra l’organo che ha emanato l’atto e quello a cui si ricorre manca un
rapporto di gerarchia ed il potere di decidere il ricorso deriva direttamente da una
espressa disposizione di legge; 48 il ricorso in opposizione, proponibile solo ove previsto
espressamente dalla legge e deciso dalla stessa autorità che ha adottato l’atto impugnato;
il ricorso straordinario al Capo dello Stato, ammissibile esclusivamente per
l’impugnazione di atti amministrativi definitivi 49.
I ricorsi ordinari sono rimedi di impugnazione avverso atti non definitivi, a tutela
sia di diritti soggettivi che di interessi legittimi, per far valere sia vizi di legittimità che
di merito. 50
Negli ultimi anni, la crisi del modello gerarchico nel sistema dell’organizzazione
amministrativa ha ridimensionato l’istituto del ricorso gerarchico che, già contemplato
nei sistemi giuridici anteriori alla formazione dello Stato unitario, si è rivelato
difficilmente compatibile con l’affermarsi delle nuove tendenze volte al decentramento
e alle autonomie, dei nuovi moduli di organizzazione amministrativa più vicini al
cittadino, nonché, con la trasformazione del rapporto fra Ministri e dirigenti da
47
48
A.M. Sandulli – Manuale di diritto amministrativo, Jovene editore – 2008.
Ne è un esempio il ricorso al Prefetto ai sensi della legge 689/1981 e s.m.i.
49
L’atto diviene definitivo dopo che sia stato esperito un solo grado di ricorso amministrativo.
50
Salvo il ricorso gerarchico improprio (solo per vizi di legittimità).
37
gerarchico a rapporto di direzione, strettamente connesso all’affermazione, negli anni
’90, del principio di separazione fra politica e gestione amministrativa.
Pertanto,
nell’ordinamento
il
ricorso
positivo,
gerarchico
non
appare
presentando
oggi
i
meramente
caratteri
residuale
dell’imparzialità,
dell’autorevolezza e dell’indipendenza, essenziali ad assicurare all’amministrazione un
ruolo di terzietà e perciò può essere considerato, al pari dei ricorsi in opposizione, un
rimedio interno alla stessa amministrazione procedente.
2. LE
NOVITA’ NEL RICORSO STRAORDINARIO
- I caratteri esaminati
(imparzialità, autorevolezza, indipendenza) sussistono pienamente nel ricorso
straordinario al Capo dello Stato, istituto che presenta anche alcuni importanti elementi
di novità.
Si tratta di un rimedio amministrativo di carattere generale, nettamente distinto
dai ricorsi ordinari, in quanto proponibile soltanto avverso atti amministrativi a carattere
definitivo, per vizi di legittimità e non di merito, destinato alla tutela di posizioni
soggettive di interesse legittimo e di diritto soggettivo. Si contraddistingue per il
carattere di alternatività rispetto al rimedio giurisdizionale, presenta maggiori garanzie
di contraddittorio rispetto agli altri ricorsi amministrativi, prevede un termine di
impugnazione più ampio (120 giorni) di quello giurisdizionale (60 giorni). A tutela della
parte resistente la normativa stabilisce, inoltre, la possibilità di chiedere la trasposizione
del ricorso straordinario in sede giurisdizionale.
Adottato in conformità al parere del Consiglio di Stato e, quindi con l’intervento
decisivo dell’organo chiamato ad assicurare, secondo il dettato costituzionale, la
giustizia nell’amministrazione, e indicato dalla dottrina come autorità indipendente di
garanzia e di correttezza dell’azione amministrativa, 51 il ricorso straordinario continua
ad essere utilizzato da un numero consistente di cittadini, anche grazie alla tempestività
della decisione.
51
S. Cassese, Il Consiglio di Stato e la riforma costituzionale. – Milano Giuffrè 1997.
38
In quest’ottica si assiste ad un “recupero” di tale istituto, ancora fortemente
caratterizzato dalla matrice di rimedio amministrativo, quale strumento di giustizia
potenzialmente idoneo a garantire una piena ed effettiva tutela del cittadino, con
ricadute positive sotto il profilo della deflazione del contenzioso giurisdizionale.
Sul ruolo centrale del Consiglio di Stato, che si esplica sia attraverso una
rigorosa attività di controllo su atti e documenti in fase istruttoria 52, sia mediante
l’espressione del parere su cui si basa la decisione predisposta dal Ministero competente
e adottata in forma di decreto del Presidente della Repubblica, si concentrano importanti
novità dell’istituto.
In primo luogo, la legge di delega n. 69/2009 ha attribuito al Consiglio di Stato
un potere ancora più significativo, che si manifesta attraverso la possibilità di
sospendere l’espressione del proprio parere, ove ritenga che il ricorso non possa essere
deciso indipendentemente dalla risoluzione di una questione di legittimità costituzionale
non manifestamente infondata. In tal caso, l’organo consultivo dispone l’immediata
trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale.
Ciò va ad aggiungersi alla possibilità per il Consiglio di Stato di sollevare, in
sede di parere sul ricorso, questioni di pregiudizialità comunitaria, a conferma di un
inquadramento dell’istituto in un contesto più moderno di garanzia degli interessi del
cittadino 53.
In secondo luogo, la stessa legge n. 69/2009 ha modificato parzialmente
l’articolo 44 del DPR n. 1199/71, fissando in maniera esplicita il carattere obbligatorio e
vincolante del parere del Consiglio di Stato, quale ulteriore garanzia di terzietà
dell’organo decidente, cui deve conformarsi il decreto del Presidente della Repubblica,
adottato su proposta del Ministro competente per materia ad istruire il procedimento che
conduce all’emanazione della decisione del ricorso straordinario. In tal modo è stata
52
In particolare se, in sede di parere, verifica l’incompletezza di atti o riconosce una contraddizione tra i fatti affermati
nell’atto impugnato e i documenti, può richiedere alla PA nuovi documenti istruttori o chiarimenti ovvero può ordinare
al Ministero competente nuove verificazioni anche in contraddittorio con le parti che, a loro volta, possono produrre
nuova documentazione.
53
Corte di Giustizia CE, V sez.16 ottobre 1997.
39
abrogata la disposizione che prevedeva, per il Ministero competente intenzionato a
proporre una decisione difforme, di sottoporre l’affare alla deliberazione del Consiglio
dei Ministri. 54
Altra importante novità riguarda l’esperibilità del giudizio di ottemperanza ai
fini dell’esecuzione della decisione del ricorso straordinario. La questione, lungamente
dibattuta in dottrina 55 e giurisprudenza 56 in merito alla natura giurisdizionale o,
piuttosto, amministrativa del decreto presidenziale, sembra aver trovato una soluzione in
sede di interpretazione di una norma del nuovo codice del processo amministrativo
approvato con D.Lgs 2 luglio 2010, n.104 che, facendo leva anche su alcuni spunti della
relazione di accompagnamento, prevede l’estensione del giudizio di ottemperanza alle
decisioni sui ricorsi al Capo dello Stato 57.
Il nuovo codice del processo amministrativo ha, inoltre, previsto espressamente
che “il ricorso straordinario è ammesso unicamente per le controversie devolute alla
giurisdizione amministrativa” 58, con ciò superando un precedente orientamento del
Consiglio di Stato che aveva determinato l’estensione dell’istituto anche a posizioni
giuridiche aventi consistenza di diritto soggettivo. Peraltro, la previsione del codice ha
54
M. Martini “ I ricorsi amministrativi” – La difesa in giudizio della PA – in riv. Pubblica Amministrazione – Giuffrè 2010
55
N.Pignatelli “Sulla natura del ricorsostraordinario:la scelta del Legislatore (art.69 l.69/2009, in www.giustiziaamministrativa.it, 2009. A.Auletta, Il legislatore”muove un passo vero la giurisdizionalizzazione del ricorso
straordinario al Presidente della Repubblica, in Foro amm.TAR,2009,5,1619. L.Carbone, La revisione del ricorso
straordinario al Presidente della Repubblica e la riaffermata natura giurisdizionale del rimedio di tutela, in
www.giustizia- amministrativa.it, 2009.
56
Ci si riferisce alla sentenza Cass. S.U. n. 2065/11, capofila di circa centotrenta pronunce successive e alla sentenza
Cons. di Stato, Sez. VI, 10 giugno 2011, n. 3513 in www.giustizia-amministrativa.it
57
Art. 112, comma 2 lettera d) - L’azione di ottemperanza può essere proposta per conseguire l’attuazione: a) delle
sentenze del giudice amministrativo passate in giudicato; b) delle sentenze esecutive e degli altri provvedimenti esecutivi
del giudice amministrativo; c) delle sentenze passate in giudicato e degli altri provvedimenti ad esse equiparati del
giudice ordinario, al fine di ottenere l’adempimento dell’obbligo della pubblica amministrazione di conformarsi, per
quanto riguarda il caso deciso, al giudicato; d) delle sentenze passate in giudicato e degli altri provvedimenti ad esse
equiparati per i quali non sia previsto il rimedio dell’ottemperanza, al fine di ottenere l’adempimento dell’obbligo della
pubblica amministrazione di conformarsi alla decisione; e) dei lodi arbitrali esecutivi divenuti inoppugnabili al fine di
ottenere l’adempimento dell’obbligo della pubblica amministrazione di conformarsi, per quanto riguarda il caso deciso,
al giudicato.
58
Art.7, comma 8.
40
posto un problema strettamente connesso alla mancanza di una disposizione transitoria
idonea a determinare con chiarezza i limiti di applicabilità della nuova disciplina, con
particolare riferimento ai ricorsi straordinari proposti in data anteriore all’entrata in
vigore del nuovo codice. Al riguardo, il Consiglio di Stato, sulla base di un
riconoscimento innovativo
e non di interpretazione autentica della previsione, ha
sostanzialmente concluso in senso negativo. 59
Questa interpretazione, favorevole all’applicazione della nuova disciplina ai soli
ricorsi proposti dopo l’entrata in vigore del codice, consente di evitare la frustrazione
delle aspettative dei cittadini i quali, in relazione alle controversie pendenti alla data di
entrata in vigore del nuovo codice, sarebbero stati lesi da un’eventuale declaratoria di
inammissibilità dei ricorsi proposti nel vigore del regime precedente, con evidente
violazione del principio di effettività della tutela, di cui all’art. 24 Cost., alla base del
sistema.
PARTE III - IL CONTENZIOSO GIUDIZIALE
CAPITOLO 1 - NOVITA'
NELLA GESTIONE DELLE CONTROVERSIE DINANZI AL
GIUDICE AMMINISTRATIVO : IL D.LVO N. 104/2010 ED IL D.LVO N.195/2011
PREMESSA - Nel capitolo precedente sono stati esaminati, nel loro variegato
atteggiarsi i metodi alternativi di composizione delle controversie, la cui diffusione
potrebbe produrre un rilevante impatto deflattivo sul contenzioso giudiziale
assicurando, nel contempo, una tutela celere ed effettiva.
Sicuramente orientato nella direzione di una tutela effettiva, piena e, soprattutto,
satisfattiva rendendo migliore il "servizio" reso ai cittadini dal giudice amministrativo60
59
Adunanza Generale 22 febbraio 2011 n. 808.
60
P. De Lise cit.
41
è il Codice del processo amministrativo, approvato dal D.Lgs 104 del 2 luglio 2010 che
ha dato attuazione alla delega recata dalla legge del. 18 giugno 2009, n. 69.
L’art. 44 della L.69/2009 ha delegato il Governo ad adottare, entro un anno
dall’entrata in vigore della legge stessa, uno o più decreti legislativi per il riassetto del
processo avanti ai Tribunali Amministrativi Regionali e al Consiglio di Stato, al fine di
adeguare le norme vigenti alla giurisprudenza della Corte Costituzionale e delle
giurisdizioni superiori, di coordinarle con le norme del codice di procedura civile in
quanto espressione di principi generali e di assicurare la concentrazione delle forme di
tutela.
Sotto il profilo strutturale, il decreto legislativo n. 104 del 2010, reca
l’approvazione del Codice e contiene quattro Allegati: di essi il primo (che consta di
137 articoli) costituisce propriamente il Codice del processo amministrativo; il secondo
reca le norme di attuazione; il terzo le norme transitorie; il quarto, infine, le norme di
coordinamento e le abrogazioni.
Il Codice è, a sua volta, articolato in cinque libri, recanti, rispettivamente, le
disposizioni di carattere generale, la disciplina del processo di primo grado, la disciplina
delle impugnazioni, la disciplina dell’ottemperanza e dei riti speciali, le disposizioni
finali; norme che, di seguito, saranno passate in rassegna per evidenziare alcuni degli
elementi di particolare novità introdotti con il nuovo compendio normativo.
1. PRINCIPI GENERALI - La ratio della codificazione si muove su due direttrici:
una di carattere formale, l’altra di carattere sostanziale.
Sotto il profilo formale, il Codice risponde all’esigenza di chiarificazione,
unificazione e coordinamento delle norme stratificatesi nel tempo (sono state abrogate
circa 50 fonti normative e un numero di disposizioni pari a 350 articoli) mentre, sotto il
profilo sostanziale, attende alla rilevante necessità di rendere concretamente effettiva la
tutela giurisdizionale del cittadino nei confronti dei pubblici poteri, dando al cittadino e
alle amministrazioni un sistema di regole processuali snelle e, nel contempo, chiare e
42
certe, idonee a consolidare le conquista della dottrina e della giurisprudenza,
“imprimendo nuovo impulso all’evoluzione del processo amministrativo” 61.
Evoluzione che, peraltro, è incardinata in un paradigma europeo di garanzie
sostanziali e processuali.
Invero, il Codice si apre con il richiamo al principio di effettività e ai principi
costituzionali della parità delle parti, del contraddittorio e del giusto processo.
In particolare, il principio di effettività - e quindi lo standard di tutela europeo in virtù dell'espressa formulazione legislativa, non opera più con riguardo alla sola
violazione del diritto sovranazionale, ma trova concreta attuazione anche in presenza di
un'inosservanza di disposizioni interne incidenti su materie sottratte alla competenza
comunitaria 62 .
Il privato, dunque, in ipotesi di indebite compressioni della propria situazione
soggettiva deve ricevere il più elevato livello di tutela tra quelle disposte dal diritto
nazionale (sulla base del principio del giusto processo) e dal diritto europeo (sulla base
del principio di effettività).
Nell’ottica del giusto processo, espressamente richiamato tra i principi ispiratori
del Codice, si è rivolta, innanzi tutto, specifica attenzione alla garanzia del
contraddittorio e alla parità delle parti processuali, come dimostrano il nuovo regime
della tutela cautelare, nelle diverse forme collegiale, monocratica interinale e
monocratica ante causam, l’ampliamento dei mezzi di prova con la previsione, in
particolare, della testimonianza scritta, anche nella giurisdizione di legittimità e
l’espresso richiamo al tradizionale principio dell’onere della prova, mitigato dal metodo
acquisitivo in relazione all’effettiva disponibilità dei mezzi di prova; inoltre, come
precisato nella Relazione, sono state privilegiate opzioni dirette ad assicurare, insieme,
celerità e qualità delle decisioni, come dimostrano, tra l’altro, il rapporto tra fase
cautelare e fase di merito, il regime di acquisizione e valutazione delle prove; i nuovi
61
R. Chieppa, Il codice del processo amministrativo alla ricerca dell’effettività della tutela, in www.giustiziaamministrativa.it.
62
F. Caringella - M. Protto , Codice del nuovo processo amministrativo, Roma , 2010.
43
termini per la produzione di atti e documenti difensivi; i limiti all’obbligo di
integrazione del contraddittorio e al rinvio al primo giudice.
In diverse disposizioni, il Codice invoca, inoltre, il principio di sinteticità, tanto
degli atti (sia di parte che dei giudici) che delle trattazioni orali, accostandolo a quello
della chiarezza che devono contemperarsi con il principio della necessaria motivazione
dei provvedimenti del giudice amministrativo (art.3 c.p.a.)
Il principio della ragionevole durata del processo (art.2, comma 2 del c.p.a.)
trova attuazione nelle previsioni del rito abbreviato per determinate materie (art.119
c.p.a.) nonchè nella possibilità di decisioni in forma semplificata (art.74 c.p.a.) e
nell'introduzione di procedimenti sommari di condanna al pagamento di somme
pecuniarie.
2. LA
GIURISDIZIONE AMMINISTRATIVA
- In materia di giurisdizione,
innovativa è l'espressa definizione della giurisdizione del giudice amministrativo, nelle
sue tre diverse ramificazioni di legittimità, esclusiva e di merito (art.7, comma 3,
c.p.a.).
E' da richiamare, inoltre,
la disciplina
del giudicato implicito sulla
giurisdizione, che richiede una maggiore responsabilità delle parti nel sollevare le
eccezioni, poiché viene limitata la rilevabilità del difetto di giurisdizione in appello se
ciò non sia avvenuto in primo grado.
Altrettanto rilevante è l'affermazione del principio della translatio iudicii, che
consente al processo iniziato erroneamente davanti ad un giudice privo di giurisdizione,
di poter continuare davanti al giudice effettivamente dotato di giurisdizione, onde dar
luogo a una pronuncia di merito che conclude la controversia processuale, giungendo in
modo più sollecito alla soluzione della questione.
L'obiettivo proposto con la traslazione processuale, di una concreta attuazione
del principio di effettività della tutela giurisdizionale, è perseguito attraverso la
possibilità di trasferire la causa da un ramo all'altro della giurisdizione con la salvezza
degli effetti sostanziali e processuali della domanda.
44
Il processo deve essere riproposto davanti al giudice indicato entro tre mesi dal
passaggio in giudicato del provvedimento del giudice che ha declinato la propria
giurisdizione, ferme restando le preclusioni e le decadenze intervenute.
3. LA
COMPETENZA
- Un’altra importante novità del Codice attiene al regime
della competenza che, nel chiaro intento di evitare il c.d. forum shopping, diventa
sempre inderogabile, con la conseguenza che il relativo difetto è rilevabile anche
d’ufficio, indipendentemente da un rilievo di parte, oltre che con regolamento di
competenza.
Il regolamento di competenza, disciplinata dagli artt. 13-16 c.p.a., è proponibile
senza termini fino a che la causa non sia stata decisa nel merito in primo grado e
costituisce ostacolo all’adozione di misure cautelari.
Con riferimento alla competenza per territorio, il Codice individua quale criterio
ordinario quello della sede dell’autorità amministrativa cui fa capo l’esercizio del potere
oggetto della controversia, precisando peraltro che tale criterio non opera là dove gli
effetti diretti del potere siano individuabili in un ambito diverso, nel qual caso la
competenza spetta al tribunale nella cui circoscrizione essi si verificano.
4. AZIONI
E DOMANDE
- Con riferimento alle azioni, il Codice sotto il titolo
“azioni di cognizione” disciplina in modo specifico l’azione di annullamento (art.29)
proponibile nel tradizionale termine di decadenza di sessanta giorni dalla piena
conoscenza dell’atto lesivo (salvo quanto stabilito per le controversie in tema di
appalti), per contestare i classici vizi di violazione di legge, incompetenza ed eccesso di
potere.
In proposito va osservato che l'articolo 34, comma 3, del codice del processo ha
introdotto una novità nell'escludere l'emanazione di una pronuncia di annullamento
allorché l'eliminazione dell'atto non risulti più utile ai fini del conseguimento del bene
della vita da parte del ricorrente.
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In tal caso il giudice amministrativo si limita ad una pronuncia di accertamento
dell'illegittimità al solo fine di consentire, eventualmente con un separato giudizio, il
ristoro del danno patito.
In sostanza,
una pronuncia di mero accertamento può aprire la strada
direttamente ad una tutela risacitoria senza passare per un'inutile e ineseguibile
pronuncia demolitoria.
L'articolo 30 del Codice regolamenta l’azione, anche generica, di condanna
(nella quale, quindi, trova spazio anche l’azione di adempimento), proponibile anche in
via autonoma rispetto all’azione di annullamento (senza la previsione di termini
particolari), nonché l’azione specifica di condanna al risarcimento del danno ingiusto
derivante dall’illegittimo esercizio dell’attività amministrativa e, nei casi di
giurisdizione esclusiva, anche per i danni da lesione di diritti soggettivi, secondo
l'impostazione derivante dalla storica sentenza delle Sezioni Unite numero 500 del
1999.
Tale azione, se legata alla lesione di interessi legittimi, è soggetta al termine
decadenziale di centoventi giorni decorrenti dal momento in cui il fatto si è verificato o
si è avuta conoscenza del provvedimento lesivo.
In caso di impugnazione o in sede di giudizio di ottemperanza, il termine di
centoventi giorni decorre dal passaggio in giudicato della sentenza di annullamento.
Nel novero delle azioni di condanna rientra anche l'azione specifica di condanna
per ritardato esercizio dell'attività amministrativa obbligatoria (c.d. danno da ritardo),
esperibile dal decorso di un anno dalla scadenza del termine per provvedere.
Nel determinare il risarcimento, il
giudice valuta il comportamento
complessivo delle parti, con espressa esclusione del risarcimento “dei danni che si
sarebbero potuti evitare usando l’ordinaria diligenza, anche attraverso l’esperimento
degli strumenti di tutela previsti.”
L'articolo 31 disciplina l’azione avverso il silenzio per l'accertamento
dell'obbligo dell'amministrazione di provvedere, proponibile fintanto che perdura
46
l’inadempimento e, comunque, non oltre un anno dalla scadenza del termine di
conclusione del procedimento amministrativo.
La norma stabilisce che il giudice può pronunciarsi sulla fondatezza della
pretesa dedotta in giudizio solo quando si tratti di attività vincolata, o quando non risulta
che residuino ulteriori margini di esercizio della discrezionalità e non sono necessari
adempimenti istruttori che debbano essere compiuti dall’amministrazione.
L'articolo è da leggersi in combinato disposto con l'articolo 117, riguardante il
ricorso avverso il silenzio che introduce importanti novità in termini di effettività della
tutela relativa al caso di inerzia dell'amministrazione.
Invero, il comma 1 dell'art.117 prevede che il ricorso avverso il silenzio è
proposto, anche senza previa diffida, con atto notificato all'amministrazione e ad almeno
un controinteressato.
Il ricorso è deciso con sentenza in forma semplificata e, in tale sede, o
successivamente, su istanza della parte interessata, il
giudice può nominare un
commissario ad acta.
Inoltre, se nel corso del giudizio sopravviene il provvedimento espresso o un
atto connesso con l'oggetto della controversia, questo può essere impugnato con motivi
aggiunti nei termini e con il rito previsti per il nuovo provvedimento.
Infine, vi è la previsione della possibilità di proporre congiuntamente all'azione
avverso il silenzio l'azione di risarcimento del danno. In tal caso il giudice può definire
con rito camerale l'azione avverso il silenzio e con rito ordinario la domanda
risarcitoria.
Infine è prevista l’azione per la declaratoria di nullità, proponibile per
l’accertamento delle nullità previste dalla legge (salvo quanto previsto per l’elusione del
giudicato, autonomamente disciplinata nel Libro IV) entro il termine di decadenza di
centottanta giorni, fermo restando che la nullità dell’atto può sempre essere opposta
dalla parte resistente o essere rilevata d’ufficio dal giudice.
47
5. IL PROCESSO AMMINISTRATIVO DI PRIMO GRADO - Un istituto nuovo è stato
introdotto dall'art. 51 c.p.a., che ha codificato l'intervento su ordine del giudice, di
origine processualcivilistica (art. 107 c.p.c.). Come è noto, il processo amministrativo
conosceva solo l'intervento volontario e adesivo, ad adiuvandum o ad opponendum, a
seconda se l'interesse che s'intende far valere - peraltro solo mediato e riflesso - sia
all'annullamento (intervento ad adiuvandum) o alla conservazione (intervento ad
opponendum) dell'atto impugnato.
Nell'ordinare la chiamata in giudizio, il giudice individua gli atti che
all'interventore devono essere notificati. Ove il terzo non sia chiamato nel termine
prescritto, il ricorso è dichiarato improcedibile. La conseguenza di detta omissione è,
dunque, la stessa prevista per la mancata estensione del contraddittorio nei termini
fissati dal giudice (art 49, comma 3).
6. I
TERMINI
- Nell' ottica della chiarezza, si è cercato di rendere certa e
omogenea la disciplina dei termini processuali, tanto nel rito ordinario che in quello
“accelerato” trattato dall’art.119 e in quello “specialissimo” del contenzioso appalti,
disciplinato all’art. 120.
In tale prospettiva i termini processuali sono stati integralmente “riordinati”,
superando tra l’altro le attuali incertezze giurisprudenziali sui termini per la
proposizione dei motivi aggiunti e dei ricorsi incidentali e altresi “razionalizzati” in
vista di un più pieno contraddittorio e di una migliore conoscenza della controversia da
parte del Giudice.
Si inquadra in tali obiettivi la previsione dei nuovi termini per il deposito dei
documenti e delle memorie e dell’introduzione del diritto di replica, dedicando
particolare cura alle modalità per il relativo computo, come nel caso dei termini a
“ritroso” dall’udienza o dalla camera di consiglio in scadenza in giorni festivi.
Opera nella stessa direzione, la semplificazione delle modalità di deposito degli
atti soggetti a notifica e delle decisioni impugnate finalizzata anche a garantire
l’effettiva disponibilità dei documenti depositati alle altre parti processuali.
48
7. IL
PROCEDIMENTO CAUTELARE
- Si è già accennato all’importanza che
assume nel nuovo sistema la disciplina della fase cautelare (artt.55 ss).
Si è cercato di assicurare una più effettiva garanzia del contraddittorio e una
maggiore conoscenza degli atti di causa da parte del Giudice, attraverso un ampliamento
dei termini
per la fissazione della camera di consiglio (almeno venti giorni dal
ricevimento della notifica e dieci dal deposito, che deve essere sempre accompagnato, a
pena di improcedibilità, da quello dell’istanza di fissazione d’udienza). Ciò ha peraltro
consentito di affermarne in modo espresso l’idoneità anche a soddisfare la garanzia del
contraddittorio per la eventuale decisione in forma semplificata, fatta salva l’espressa
richiesta di ulteriori termini a difesa per la proposizione di motivi aggiunti o di ricorsi
incidentali.
Nella stessa ottica è stato introdotto, sia per il procedimento cautelare che per gli
altri procedimenti in camera di consiglio, un termine di due giorni liberi dalla camera di
consiglio, per la presentazione di memorie e documenti.
Ancora in riferimento alla fase cautelare, è stata istituzionalizzata la possibilità
che l’istanza cautelare venga utilizzata come “porta” per avanzare richieste istruttorie
e/o per ottenere una sollecita fissazione dell’udienza di merito ed è stata comunque
espressamente garantita la sollecita fissazione di quest’ultima (entro un anno) in caso di
concessione di misure cautelari.
Sono stati puntualmente disciplinati i procedimenti per la tutela cautelare
monocratica nelle more della camera di consiglio e per quella ante causam , ora estesa a
tutte le controversie, nell’obiettivo di evitarne un uso distorto e strumentale a vantaggio
della sola parte ricorrente, consentendo una più effettiva garanzia di contraddittorio per
le parti resistenti e controinteressate che, oltre a poter essere, anche informalmente,
sentite prima della decisione sull’istanza, possono sempre chiedere la revoca della
misura eventualmente adottata, qualora riescano a rappresentarne l’ingiustizia.
Tra le misure di chiarificazione e razionalizzazione, meritano menzione le
disposizioni in tema di sospensione e di interruzione del processo e quelle sull’istanza di
fissazione d’udienza in ordine alla quale è ribadito e chiarito
l’obbligo della
49
presentazione, entro un anno dal deposito del ricorso ovvero dalla relativa cancellazione
o riassunzione e entro novanta giorni dalla comunicazione dell’atto che fa venir meno
la sospensione.
Ancora, nella riferita ottica di accelerazione della definizione della controversia,
è stata introdotta la possibilità di anticipare la decisione attraverso la concentrazione del
giudizio su una sola questione, con rinuncia agli altri motivi di ricorso.
8. IMPUGNAZIONI - Nel Libro Terzo, il Codice disciplina in modo organico e
coordinato i diversi mezzi di impugnazione (art.91), in merito ai quali è stato operato un
sostanziale allineamento ai mezzi previsti dal codice di procedura civile, nel rispetto del
vincolo di cui all’art. 111, ultimo comma, della Costituzione.
E' elemento significativo l’introduzione di una disciplina positiva del rimedio
dell’opposizione di terzo nel processo amministrativo (art.108), e la razionalizzazione
dei rapporti tra i diversi mezzi di impugnazione, con tendenziale preferenza per
l’appello, nel quale vengono fatte eventualmente confluire, nella forma dell’intervento,
le opposizioni di terzo.
Con specifico riferimento al giudizio di appello, le principali novità riguardano
l’individuazione dei soggetti legittimati ad appellare, la previsione della riserva di
appello, la disciplina dei nova (con espresso divieto di proposizione di domande nuove
e di motivi aggiunti su atti non impugnati in primo grado), la previsione dell’obbligo di
dedurre specifiche censure contro i capi della sentenza gravata, la riduzione delle ipotesi
di rinvio al primo giudice, la previsione della possibilità di appello incidentale anche su
capi diversi da quelli appellati in via principale, la rinuncia implicita alle domande e le
eccezioni dichiarate assorbite o non esaminate nella sentenza di primo grado, che non
siano state espressamente
riproposte nell’atto di appello o, per le parti diverse
dall’appellante, con memoria depositata a pena di decadenza entro il termine per la
costituzione in giudizio.
In analogia con quanto disposto per le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, è
stato riconosciuto all’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato il potere di enunciare il
principio di diritto nell’interesse della legge anche quando dichiara il ricorso
50
irricevibile, inammissibile o improcedibile,
ovvero l’estinzione del
giudizio
(art.99,comma 5,c.p.a.).
9. IL
GIUDIZIO DI OTTEMPERANZA
- Il Codice si occupa diffusamente del
giudizio di ottemperanza (artt.112-114), unificando la disciplina del giudizio di
ottemperanza per le sentenze passate in giudicato, del giudizio di esecuzione delle
sentenze di primo grado e degli altri provvedimenti esecutivi del giudice
amministrativo, nonchè dei provvedimenti equiparati alle sentenze passate in giudicato
per i quali non sia previsto il rimedio dell’ottemperanza, ivi espressamente compresi i
lodi arbitrali esecutivi divenuti inoppugnabili.
In ossequio al principio del contraddittorio, è prescritta la notificazione del
ricorso per ottemperanza prima del suo deposito, con conseguente superamento della
necessità della previa diffida e messa in mora.
Considerata la storica natura “mista” del giudizio di ottemperanza, che non è
pura esecuzione, ma presenta fisiologici momenti di cognizione, si è ritenuto, da un lato,
di prescrivere la notificazione nei riguardi non solo dell’amministrazione, ma anche di
tutte le altre parti del giudizio definito con la sentenza o con il lodo della cui
ottemperanza si tratta e, dall’altro, di consentire la concentrazione nell’ambito del
giudizio di ottemperanza di azioni cognitorie connesse, per evidenti ragioni di economia
processuale.
Confluiscono necessariamente nel giudizio di ottemperanza tutte le questioni di
mancata esecuzione, elusione, violazione del giudicato, oltre che tutte le questioni che
insorgono nel corso del giudizio a seguito degli atti del commissario ad acta, il cui
sindacato viene espressamente affidato allo stesso giudice dell’ottemperanza, nonchè
l’azione di risarcimento non solo dei danni derivanti dalla mancata esecuzione del
giudicato, ma anche di quelli causati dall’illegittimo esercizio del potere amministrativo
caso in cui, però, il giudizio di ottemperanza si svolge nelle forme, modi e termini del
processo ordinario.
Una interessante novità è costituita dalla possibilità di promuovere il giudizio di
ottemperanza anche al fine di ottenere chiarimenti in ordine alle modalità di
51
ottemperanza. In tal caso la legittimazione attiva spetta anche alla pubblica
amministrazione tenuta all’ottemperanza.
10. I RITI SPECIALI - Una particolare importanza assumono le disposizioni che
riprendono e, in parte riscrivono, le regole del rito speciale in materia di appalti pubblici
(artt.120-123 c.p.a.), originariamente introdotte dal D.lgs. n. 53 del 2010.
Aderendo all’esigenza di omogeneità del sistema, il Codice prevede
l’applicazione anche al nuovo contenzioso sugli appalti del rito accelerato ordinario
disciplinato dall’art. 119, con la sola eccezione dei termini per la notificazione del
ricorso di primo grado e dei motivi aggiunti, tanto contro provvedimenti già impugnati,
quanto contro provvedimenti nuovi, che viene, eccezionalmente, fissato in trenta giorni
contro i sessanta ordinari espressamente confermati dall’art. 119 anche per il rito
accelerato comune a particolari materie.
Con riferimento a quest’ultimo modello processuale, si segnalano i nuovi termini
per l’impugnazione delle sentenze (con l’espressa precisazione dell’irrilevanza della
omessa impugnazione del dispositivo ai fini della successiva richiesta di sospensione,
l’espressa indicazione dei termini di deposito delle memorie e dei documenti e la
necessità di un’espressa richiesta per la pubblicazione del dispositivo, non necessaria
per il contenzioso appalti.
11. DISPOSIZIONI
DEFLATTIVE DEL CONTENZIOSO
- Questa sintetica disamina
sulle principali novità introdotte dal Codice non può trascurare di segnalare alcune
disposizioni deflattive di ordine economico.
In particolare, oltre al già richiamato obbligo di pronuncia sulle spese della fase
cautelare e alla previsione di sanzioni per l’elusione delle pronunce di ottemperanza o
per il ritardo nell’esecuzione delle decisioni, si fa riferimento al nuovo potere del
giudice di condannare, anche d’ufficio, la parte soccombente al pagamento in favore
dell’altra parte di una somma di denaro equitativamente determinata, quando la
decisione è fondata su ragioni manifeste o orientamenti giurisprudenziali consolidati,
nonchè all' estensione del contributo unificato alla proposizione dei motivi aggiunti e
del ricorso incidentale, introduttivi di nuove domande.
52
In conclusione, il Codice offre un significativo bagaglio di novità e molti
importanti strumenti che possono contribuire ad un funzionamento sempre migliore
della giustizia amministrativa,
garantendo l’effettività e la celerità della tutela
giurisdizionale ed il rispetto del principio del “giusto processo”, assicurando una reale
garanzia del contraddittorio.
12. IL D.LGS. 15 NOVEMBRE 2011 N.195 - Va, infine, segnalato che il codice del
processo amministrativo è stato oggetto di un intervento correttivo contenuto nel d.lgs.
15 novembre 2011, n. 195, recante," Disposizioni correttive ed integrative del decreto
legislativo 2 luglio 2010, n. 104".
L'intervento di revisione ha posto riparo ad alcune imperfezioni della prima
stesura del codice del processo amministrativo e ha messo a punto quelle norme che in
sede di prima applicazione non sono apparse adeguate alle esigenze del processo.
Formalmente il testo si compone di due articoli: il primo contiene tutte le
modifiche apportate al codice con i relativi allegati; nel secondo è contenuta una norma
di coordinamento con la legge n. 127/1997 (c.d. Bassanini due).
Le modifiche al codice sono contenute nei tre commi da cui è composto l'art. 1
della legge; il primo comma contiene le modifiche del testo del «codice del processo
amministrativo» (allegato 1), il secondo comma contiene le modifiche alle norme di
attuazione (allegato2), il terzo comma riguarda le norme di coordinamento e
abrogazione (allegato 3).
Alcune modifiche apportate al testo del codice del processo amministrativo
sono da collegarsi a esigenze di coordinamento testuale e di precisione lessicale, altre
richiamano il rapporto tra processo amministrativo e codice di procedura civile (v.
art.12 c.p.a.), altre pongono mano a singole criticità processuali.
Uno sguardo alle modifiche più significative.
Il correttivo novella l'art. 12 del c.p.a che prevede la possibilità di risoluzione
delle controversie concernenti diritti soggettivi devoluti alla giurisdizione del giudice
amministrativo mediante arbitrato rituale di diritto, chiarendo che con la locuzione "
53
arbitrato rituale di diritto" si deve intendere la disciplina dell'arbitrato prevista da
codice di procedura civile (art.806 e seg.).
Completamente riscritto è l'art.25 c.p.a. sulla domiciliazione processuale delle
parti che prevede, allorchè la parte non elegga domicilio nel comune sede del T.A.R. o
la sezione staccata dove pende il ricorso, l'elezione di domicilio presso la segreteria dei
predetti tribunali. Nei giudizi davanti al Consiglio di Stato, se la parte non elegge
domicilio a Roma, s'intende domiciliata presso la segreteria del predetto Consesso.
Ulteriore modifica riguarda l'introduzione per lite temeraria. Il novellato comma
2 dell'art.26 c.p.a. introduce la pronuncia di condanna d'ufficio per la parte soccombente
al pagamento di una sanzione pecuniaria, in misura non inferiore al doppio nè superiore
al quinto del contributo unificato dovuto per il ricorso introduttivo del giudizio, quando
la parte soccombente ha agito o resistito in giudizio temerariamente, ossia andando
contro ragioni manifeste o orientamenti giurisprudenziale consolidati.
Il correttivo fornisce un'interpretazione autentica dell'art.57 c.p.c. in tema di
spese del procedimento cautelare stabilendo che la pronuncia sulle spese cautelari
conserva efficacia anche dopo il provvedimeno che definisce il giudizio, sia esso una
sentenza, un decreto o una pronuncia sul rito. La condanna alle spese può essere
modificata solo da diversa statuizione prevista nella sentenza di merito.
Con la modifica all'art.73 c.p.c. il correttivo ha imposto che le repliche non
possono introdurre nuovi argomenti difensivi e che il loro limite contenutistico sia
individuato sulla scorta delle memorie e delle repliche già depositate dalle altre parti;
l'onere delle parti di svolgere le proprie difese è riferito al primo termine previsto per le
memorie.
Il provvedimento in parola novella l'art.87 c.p.a. prevedendo, al comma 1, che "
le udienze sono pubbliche a pena di nullità, salvo quanto previsto dal comma 2, ma il
presidente del collegio può disporre che si svolgano a porte chiuse, se ricorrano ragioni
di sicurezza, dello Stato, di ordine pubblico o di buon costume".
54
Sempre in ordine all'art. 87, il correttivo modifica il comma 3 , relativamente
alla disciplina dei termini processuali in camera di consiglio, disponendo che nei giudizi
di cui al comma 2, con esclusione delle ipotesi di cui alla lettera a), vale a dire i giudizi
cautelari e quelli relativi all'esecuzione delle misure cautelari collegiali, e fatto salvo
quanto disposto dall'art.116, comma 1 (ricorso contro le determinazioni e il silenzio
sulle istanze d'accesso ai documenti amministrativi), i termini processuali sono
dimezzati rispetto a quelli del processo ordinario tranne, nei giudizi di primo grado,
quelli per la notificazione del ricorso introduttivo, del ricorso incidentale e dei motivi
aggiunti.
Il correttivo interviene all'art.95 c.p.a. per stabilire che l'impugnazione della
sentenza deve essere notificata a tutte le parti anche se attiene, oltre a una causa
inscindibile, anche a cause tra loro dipendenti; sempre in tema di impugnazioni,
intervenendo sull'art.101 c.p.a., dispone che la parte può stare in giudizio personalmente
solo se munita di specifica abilitazione al patrocinio dinanzi alle giurisdizioni superiori.
Con la modifica apportata all'art.108, il codice del processo amministrativo si
allinea al codice di procedura civile (art.404) nella previsione che per proporre
opposizione è sufficiente il pregiudizio, derivante dalla sentenza ancorchè passata in
giudicato, ai diritti e interessi legittimi del terzo. Si elimina, in tal modo, ogni incertezza
sui mezzi d'impugnazione a disposizione del litisconsorte necessario pretermesso.
Un sostanziale intervento ha riguardato l'art.112 c.p.a relativo al giudizio di
ottemperanza. E' stato, invero, eliminato il comma 4 del cennato articolo secondo cui
l'azione risarcitoria autonoma (connessa cioè al solo giudizio di cognizione) era
proponibile per la prima volta in sede di ottemperanza. Inoltre, mutano alcuni caratteri
procedurali nel giudizio di ottemperanza: la copia autentica del provvedimento di cui si
chiede l'ottemperanza potrà essere depositata insieme al ricorso notificato e agli altri
documenti; le parti, nei cui confronti si è formato il giudicato, potranno esperire
l'ordinaria azione di anullamento.
Ha ristabilito la situazione di parità processuale tra ricorrente e controinteressato
la modifica intervenuta all'art.120,comma 5 c.p.a., laddove è previsto che il termine
55
decadenziale dei 30 giorni si applica anche al ricorso incidentale. Il termine decorre
dalla ricevuta della notificazione del ricorso incidentale o, per i soggetti intervenuti,
dall'effettiva conoscenza della proposizione del ricorso principale.
Le modifiche agli artt.133, 134 e 135 c.p.a. concernono rispettivamente
l'integrazione dell'elenco delle materie sottoposte alla giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo, alla giurisdizione di merito e alla competenza del T.A.R. del Lazio,
sede di Roma.
In particolare, la giurisdizione esclusiva è estesa, tra le altre, anche alle
controversie in materia di silenzio assenso, segnalazione certificata di inizio attività e
denuncia di inizio attività ( mentre prima era solo prevista la sola dichiarazione di
inizio attività).
Intervenendo sull'art.134 c.p.a. attribuisce al giudice amministrativo la
giurisdizione con cognizione estesa al merito anche nelle controversie aventi ad oggetto
le sanzioni alternative (art.123 c.p.a.) comminate dal giudice nell'ambito della sua
giurisdizione sui lavori pubblici e pubbliche forniture.
L'art.135 del c.p.a. concernente la competenza funzionale inderogabile del
T.A.R. del Lazio, sede di Roma è novellato con l'attribuzione di competenza anche sulle
controversie concernenti i provvedimenti riguardanti i magistrati amministrativi adottati
dal Consiglio di Presidenza della giustizia amministrativa, l'assegnazione dei diritti
d'uso delle frequenze radiotelevisive e i provvedimenti (esclusi quelli in materia di
rapporti di impiego) adottati dall'Agenzia nazionale di regolamentazione del settore
postale.
Infine, concludendo la disamina di alcune tra le modifiche più significative
apportate dal correttivo al codice del processo amministrativo, si segnala il novellato
art.136 c.p.a. con cui è stato implementato l'uso delle modalità telematiche di
comunicazione degli avvocati. Infatti le comunicazioni di segreteria effettuate per posta
elettronica certificata o fax
ai recapiti
indicati dal difensore nel suo primo atto
processuale, si presumono conosciute dall'avvocato destinatario.
56
CAPITOLO 2 - NOVITA’ NELLA
GESTIONE DELLE CONTROVERSIE DINNANZI AL
GIUDICE CIVILE DOPO LA LEGGE N. 183/2010 ED IL D.LVO N. 150/2011
1. LA
LEGGE N.
183/2010 - Nel biennio 2010/2011, il legislatore è intervenuto
nella disciplina del giudizio dinnanzi al giudice ordinario modificando fra l’altro diverse
disposizioni contenute nel codice di procedura civile.
In particolare, nell’anno 2010 è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del
9.11.2010 n.262, dopo un faticoso iter legislativo, l’importante legge 4.11.2010 n.183.
Con tale legge, sono state dettate disposizioni in diverse materie ed, in
particolare, sono state sostituiti diversi articoli del codice di procedura civile relativi alla
disciplina delle controversie di lavoro nella parte relativa al tentativo di conciliazione,
che costituisce lo strumento fondamentale che l’ordinamento riconosce al lavoratore per
definire in via bonaria le controversie di lavoro, facente parte dei numerosi istituti
previsti dall’ordinamento per la definizione stragiudiziale delle controversie in merito
alle quale si è già diffusamente relazionato nel precedente capitolo per addivenire alla
definizione stragiudiziale delle liti.
Pertanto, di seguito, saranno illustrate le principali novità introdotte dalla legge
n. 183/2010 per effettuare una ricognizione degli strumenti che l’ordinamento vigente
pone a disposizione del lavoratore che intenda definire, in tempi rapidi e con minori
spese le controversie con il proprio datore di lavoro, sia esso privato che pubblico 63.
L’art 31 della predetta legge, in materia di conciliazione ed arbitrato, ha
sostituito gli artt. 410, 411, 412, 412 ter, 412 quater, ed ha modificato l’art. 420, primo
comma, del codice di procedura civile.
In particolare, tale legge ha introdotto due fondamentali modifiche al sistema
previgente.
63
Sul tema cfr Borghesi, “L’arbitrato ai tempi del collegato lavoro”, in www.judicium.it.
57
Il legislatore, tenuto conto degli esiti fallimentari del carattere obbligatorio del
tentativo di conciliazione stabilito dalla previgente formulazione della norma - che non
aveva ottenuto l’atteso effetto deflativo del contenzioso - fatta salva l’eccezione relativa
ai contratti certificati ex art 80 comma 4 del Dlgs 276/2003, ha reso tale tentativo
facoltativo e non più condizione di procedibilità della domanda giudiziale.
Inoltre, con tale legge è stata apportata al sistema delineato dal codice un’altra
fondamentale modifica costituita dall’unificazione delle regole procedurali per il
tentativo di conciliazione relative a controversie di lavoro pubblico e privato ( cfr
comma 9 art 31 legge 183/2010).
La predetta legge è intervenuta altresì, apportando modifiche alla previsione
della conciliazione giudiziale contenuta nella previgente formulazione dell’art. 420
c.p.c. ed enfatizzando il potere di conciliazione della lite che il codice riconosceva al
giudice. Infatti, nella precedente formulazione della norma, al giudice era affidato il
potere di tentare la conciliazione della lite mentre la nuova formulazione riconosce in
capo al giudice il potere più pregnante ed incisivo di formulare alle parti una proposta
transattiva che, se rifiutata dalle parti senza giustificato motivo, costituisce
comportamento valutabile dal giudice ai fini del giudizio. Appare chiaro, quindi,
l’intento del legislatore di consentire al lavoratore di poter definire la controversia in
modo bonario anche laddove sia stata già percorsa la via giudiziale.
In via incidentale, è opportuno accennare al fatto che il collegato lavoro ha
altresì modificato il primo e secondo comma dell’art 6 della legge 15.7.1966 n. 604 applicabile anche ai rapporti di lavoro con enti pubblici - recante “norme sui
licenziamenti individuali”, prevedendo che il licenziamento deve essere impugnato, a
pena di decadenza, entro sessanta giorni dalla ricezione della sua comunicazione in
forma scritta, ovvero dalla comunicazione in forma scritta dei motivi con qualsiasi atto,
anche extragiudiziale. La norma prevede che l’impugnazione diviene inefficace se entro
il successivo termine di duecentosettanta giorni l’interessato non deposita il ricorso
presso la cancelleria del Tribunale in funzione di giudice del lavoro, ovvero non
comunica alla controparte la richiesta di tentativo di conciliazione o arbitrato. Con i
58
commi 3 e 4, del medesimo articolo 6 della legge 15.7.1966 n. 604 il legislatore ha
esteso l’applicazione delle disposizioni citate come modificate dall’art. 32 del collegato
lavoro, ad altre ipotesi espressamente indicate fra cui i contratti di lavoro a termine.
Per quanto concerne la materia della conciliazione e dell’arbitrato in materia di
lavoro, un ulteriore elemento di novità ricavabile dall’esame delle modifiche introdotte
è costituito dal fatto che il legislatore – se, da un lato, ha reso facoltativo e non più
obbligatorio il tentativo di conciliazione - dall’altro ha notevolmente ampliato il numero
degli strumenti a disposizione del lavoratore per la definizione stragiudiziale della
controversia. L’art. 410 c.p.c., infatti, detta le regole per l’espletamento del tentativo di
conciliazione
prevedendo la composizione della commissione di conciliazione
costituita presso la Direzione Provinciale del lavoro, le modalità di presentazione della
richiesta di conciliazione ed i requisiti della stessa.
Per la rilevanza che assume per le controversie con la pubblica amministrazione,
occorre rilevare che nell’art 410 c.p.c., non è stata inserita la disposizione contenuta
nel comma 4 dell’art. 66 del decreto legislativo 165/2001, in base alla quale, in sede di
conciliazione, per l’Amministrazione deve comparire un soggetto munito del potere di
conciliare. A tal proposito, si rileva però che l’art. 16, lettera f), del decreto legislativo
n. 165/2001, prevede fra le funzioni dei dirigenti di uffici dirigenziali generali quella di
promuovere e resistere alla lite e demanda agli stessi il potere di conciliare e di
transigere.
Pertanto, atteso che alla seduta del collegio di conciliazione partecipa un
funzionario dell’Amministrazione interessata, si ritiene che detto funzionario incaricato
per l’espletamento del tentativo di conciliazione debba essere, comunque, in possesso di
apposita delega del dirigente generale che contenga l’espresso conferimento del potere
di conciliare e transigere.
E’ opportuno anche sottolineare come il legislatore abbia mantenuto la
previsione contenuta nel comma 8, dell’articolo 66 del decreto legislativo n. 165/2001
in base alla quale: “ la conciliazione
della lite da parte di chi rappresenta
l’Amministrazione, in adesione alla proposta formulata dal collegio di cui al comma 1
59
ovvero in sede giudiziale ai sensi dell’art 420 commi 1, 2 e 3 cpc non può dar luogo a
responsabilità amministrativa.”. Infatti, con il collegato lavoro il legislatore - pur
avendo abrogato l’art. 66 del decreto legislativo n. 165/2001, contenente la disposizione
citata - ha reintrodotto tale fondamentale principio, sia pure con diversa formulazione,
nell’ultimo comma dell’art. 410 cpc. La nuova disposizione esclude, infatti, la
responsabilità del soggetto che concilia la lite per l’Amministrazione anche nelle ipotesi
in cui si addivenga a tale conciliazione - non solo sulla base della proposta del collegio
che lo stesso è tenuto a formulare ex art. 411 c.p.c. laddove non venga raggiunto
l’accordo fra le parti - ma anche laddove l’accordo conciliativo venga raggiunto senza
l’intervento del collegio di conciliazione, ma in base al mero accordo delle parti. La
norma però - nell’ampliare le fattispecie nelle quali è esclusa la responsabilità del
soggetto munito del potere di conciliare - prevede che tale beneficio non è applicabile
nei casi di dolo o colpa grave. Con tale nuova disposizione, il legislatore, da un lato, ha
inteso tutelare il soggetto pubblico che partecipa al tentativo di conciliazione
impegnando interessi dell’Amministrazione che rappresenta, per delega del dirigente
generale e, dall’altro, ha inteso prevenire il rischio di condotte superficiali ed avventate
in sede di conciliazione, escludendo l’esimente dalla responsabilità, che può assumere
anche natura disciplinare, in caso di dolo o colpa grave del funzionario incaricato per
l’espletamento della singola conciliazione.
Una fondamentale novità è costituita - anche in ragione dell’espressa
applicabilità alle controversie di lavoro con la pubblica amministrazione - dall’art. 412
c.p.c., come sostituito dal comma 5 dell’articolo 31 del collegato lavoro, che contiene
disposizioni in tema di “risoluzione arbitrale della controversia”. Con tale articolo il
legislatore ha sostanzialmente riconosciuto alle parti la possibilità di richiedere alla
commissione di conciliazione incaricata dell’espletamento del tentativo di conciliazione
di risolvere in via arbitrale la controversia, in qualunque fase del tentativo di
conciliazione o al suo termine laddove lo stesso non riesca. In particolare, l’articolo
disciplina le caratteristiche del mandato da conferire alla commissione di conciliazione,
con l’espressa previsione che lo stesso possa decidere secondo equità, e prevede
60
espressamente che il lodo produca fra le parti gli effetti previsti dall’art 1372 e 2113,
comma 4, cpc e sia impugnabile ex art 803 ter c.p.c..
A tal proposito, è opportuno rilevare come, nel caso in esame, il tentativo di
conciliazione non costituisca condizione di procedibilità per il ricorso all’arbitrato, ma
solo una opportunità per ricorrere a tale strumento in quanto nella fase conciliativa le
parti hanno modo di capire se vi siano margini di trattativa e la commissione di
conciliazione ove operi in sede arbitrale è già a conoscenza della vertenza ed ha avuto
modo di saggiare la disponibilità delle parti. Peraltro, non può non rilevarsi come la
norma intenda dare maggior peso all’autonomia delle parti che possono percorrere, ove
la conciliazione non riesca, la via arbitrale tramite la medesima commissione di
conciliazione alla quale la legge riconosce lo svolgimento di funzioni arbitrali,
realizzando cosi l’auspicabile obiettivo di rendere più celere ed efficace la procedura. In
merito, è opportuno rilevare che il riconoscimento alla commissione di conciliazione di
funzioni arbitrali ha sollevato in dottrina la questione relativa alla possibile lesione dei
principi di imparzialità indipendenza e riservatezza che devono informare l’attività degli
arbitri che potrebbe essere lesi in tale ipotesi 64. Infatti, secondo parte della dottrina per
garantire l’imparzialità del collegio arbitrale dello stesso non devono far parte soggetti
che hanno fatto parte della commissione, rilevando però che la diversità delle funzione
di componente della commissione rispetto a quella dell’arbitro può comunque far
ragionevolmente escludere
che possa configurarsi una lesione del principio di
imparzialità.
Altra questione concerne il problema della riservatezza che la legge n. 183/2010
non ha affrontato, come, invece, avvenuto in occasione dell’emanazione D.lgs. n.
28/2010 in tema di mediazione, che agli artt. 9, 10 e 14 prevede in dettaglio i doveri e
gli obblighi del mediatore. Tali disposizioni potrebbero ritenersi applicabili anche ai
tentativi di conciliazione.
64
cfr Zucconi Galli Fonseca, L’arbitrato nelle controversie di lavoro: bilancio e prospettive di riforma, in Riv. Arb.
2008, 481.
61
Per completare il quadro delle innovazioni normative occorre richiamare gli artt.
412 ter e 412 quater c.p.c., anch’essi espressamente applicabili alle controversie di
lavoro pubblico.
L’art 412 ter c.p.c. prevede l’applicazione degli istituti della conciliazione e
dell’arbitrato presso le sedi e con le modalità previste dai contratti collettivi di lavoro,
relativamente alle controversie di lavoro espressamente indicate dalla legge. Detta
norma, quindi, in un ottica deflattiva del contenzioso, intende non precludere il ricorso
a forme conciliative eventualmente previste in materia di lavoro dai contratti collettivi.
Assume, invece, rilevanza fondamentale e carattere di novità l’art. 412 quater
c.p.c. - come sostituito dal comma 8 dell’articolo 31 del collegato lavoro - che
costituisce la norma più importante della predetta legge. Tale articolo, nella nuova
formulazione, prevede “altre modalità di conciliazione ed arbitrato” e consente di
proporre le controversie di cui all’art. 409 c.pc dinanzi ad apposito collegio di
conciliazione ed arbitrato irrituale costituito secondo specifiche disposizioni contenute
nell’art. 409 c.p.c.. Il legislatore ha previsto che detto collegio di conciliazione ed
arbitrato sia composto da un rappresentante delle parti ed un terzo membro quale
presidente scelto di comune accordo dalle parti
giuridiche e gli avvocati ammessi al patrocinio
fra professori universitari di materie
davanti alla Corte di Cassazione.
Quindi, il legislatore si è preoccupato di porre a capo della predetta commissione un
soggetto che - anche se scelto dalle parti - assicurasse la necessaria preparazione
tecnica. Inoltre, merita evidenziare il fatto che la norma rimette alle parti la scelta del
Presidente che, comunque, deve essere scelto fra professori universitari od avvocati
patrocinanti in cassazione.
Detto articolo disciplina analiticamente, altresì, le modalità di ricorso al collegio
di conciliazione ed arbitrato che deve essere presentato con ricorso contenente la
nomina dell’arbitro di parte e, fra l’altro l’oggetto della domanda e le ragioni di fatto e
di diritto sulla quale la stessa si fonda.
L’articolo 412 quater prevede, poi, che se la controparte intende accettare la
procedura di conciliazione ed arbitrato, nomina il proprio arbitro di parte che procede
62
poi d’intesa con l’arbitro dell’altra parte alla scelta del presidente e della sede del
collegio. Ove le parti non scelgano d’intesa il presidente la parte ricorrente può
richiedere che la nomina venga fatta dal presidente del competente tribunale.
Si sottolinea altresì, che il legislatore ha previsto la decisione della controversia
mediante l’emanazione di un lodo impugnabile ex art. 80 e 8 ter c.p.c. che viene
sottoscritto dalle parti e produce gli effetti di cui agli artt. 1372 e 2113, comma 4,
c.p.c..
Per completare il quadro delle importanti modifiche apportate dall’art. 31 del
collegato lavoro alla materia della conciliazione e dell’arbitrato in materia di lavoro,
merita accennare alla disposizione contenuta nel comma 12 che richiamando il decreto
legislativo 10.9.2003 n. 276 (cd legge Biagi) prevede la possibilità per gli organi di
certificazione di cui all’articolo 76 di istituire camere arbitrali per la definizione ai sensi
dell’art. 808 ter c.p.c. delle controversie nelle materie di cui all’art. 409 c.p.c. e a
all’art. 63 comma 1 del decreto legislativo 30.3.2001 n. 165.
Dal delineato quadro delle innovazioni normative, sinteticamente descritte, è
possibile prevenire alla conclusione che il legislatore - pur avendo eliminato il carattere
obbligatorio del tentativo di conciliazione - ha previsto numerosi strumenti conciliativi
ed arbitrali (con il richiamo alle norme sull’arbitrato irrituale contenute nel c.p.c.) in
favore del lavoratore pubblico o privato
prima dell’eventuale ricorso in sede
giurisdizionale, al fine di rendere il ricorso al giudice, nell’ottica deflattiva del
contenzioso, strumento da utilizzare in via residuale, solo laddove la controversia non
possa essere risolta. Tale scelta legislativa, risulta inevitabilmente connessa alla
necessità di deflazionare il contenzioso giuslavoristico, che non ha ottenuto risultati
significativi nel precedente assetto normativo che riconosceva il carattere obbligatorio
di tale tentativo mediante il ricorso a strumenti alternativi in grado di rendere meno
gravoso il notevole carico di lavoro degli uffici giudiziari.
2. IL
DECRETO LEGISLATIVO N.
150/2011 - Nel corso del 2011, il legislatore è
intervenuto nella disciplina del processo civile con l’emanazione del decreto legislativo
n. 150, pubblicato sulla GU n. 220 del 21.9.2011 recante: “ Disposizioni complementari
63
al codice di procedura civile in materia di riduzione e semplificazione dei procedimenti
civili di cognizione, ai sensi dell’art 54 della legge 18.6.2009 n. 69”.
Con l’articolo 54 della predetta legge n. 69/2009 il Governo è stato delegato
all’emanazione di uno o più decreti legislativi in materia di riduzione e semplificazione
dei procedimenti civili di cognizione rientranti nell’ambito della giurisdizione ordinaria
e che sono regolati dalla legislazione speciale, realizzando il coordinamento con le altre
disposizioni vigenti.
Inoltre, sono stati dettati numerosi principi e criteri direttivi a cui il Governo si è
dovuto attenere nell’emanazione dell’importante decreto legislativo n. 150/2011, fra cui
la riconduzione ad uno dei modelli processuali previsti dal codice di procedura civile,
ovvero: 1) procedimenti in cui sono prevalenti carattere di concentrazione processuale o
di officiosità dell’istruzione ricondotti al rito previsto dal libro II titolo IV capo I del
codice di procedura civile (artt. 409 e ss. c.p.c.); 2) procedimenti anche in camera di
consiglio con carattere di semplificazione della trattazione o dell’istruzione della causa
ricondotti al procedimento sommario di cognizione di cui libro IV titolo I capo III bis
c.p.c. introdotto dall’art 51 della legge 69/2009 (art. 702 bis c.p.c.); 3) tutti gli altri
procedimenti sono ricondotti al rito di cui al libro II titoli I e III ovvero titolo II c.p.c.
(artt. 163 e ss. c.p.c.).
Il predetto decreto legislativo, assume specifica rilevanza anche per la gestione
delle controversie della pubblica amministrazione dinanzi al giudice ordinario, atteso
che fra i procedimenti regolati dalla legislazione speciale ricondotti ai modelli previsti
dal codice di procedura civile figurano specifici procedimenti che vedono coinvolta la
pubblica amministrazione ed in particolare il Ministero dell’Interno.
Nella relazione illustrativa del d.l.vo n. 150/2011, si osserva che “l’evoluzione
normativa degli ultimi decenni si caratterizza per l’estrema proliferazione dei modelli
processuali, avvenuta spesso in assenza di un disegno organico, all’insegna della
ricerca di formule procedimentali che potessero assicurare una maggiore celerità dei
giudizi. Il fenomeno si è rilevato nel tempo come un fattore di disorganizzazione del
lavoro giudiziario, che viene unanimamente individuato come una delle cause delle
64
lungaggini dei giudizi civili, oltre ad aver determinato rilevanti difficoltà interpretative
per tutti gli operatori del diritto ….”. Inoltre, è stati rilevato come il governo
nell’esercizio della delega abbia inteso razionalizzare e semplificare la normativa
precedente contenuta nella legislazione speciale “raccogliendo in un unico testo
normativo tutte le disposizioni speciali che disciplinano i procedimenti giudiziari
previsti da leggi speciali, cosi dando luogo ad un testo che si pone in rapporto di
complementarietà rispetto al codice di procedura civile in sostanziale prosecuzione del
libro IV del medesimo codice”.
Sostanzialmente, dalla relazione illustrativa, emerge come il Governo abbia
inteso realizzare obiettivi di semplificazione e razionalizzazione per consentire agli
operatori del diritto di poter rinvenire in un unico testo normativo le varie disposizioni
che regolano ogni procedimento speciale.
Dalla riforma emerge la predilezione del modello processuale del rito del lavoro
per i procedimenti nei quali erano prevalenti i caratteri della concentrazione delle
attività processuali o laddove erano previsti ampi poteri istruttori del giudice.
Invece, sono stati ricondotti al procedimento sommario di cognizione i
procedimenti caratterizzati da una forte semplificazione della trattazione ed istruzione
della causa.
Infine, per i procedimenti non riconducibili ad uno dei due modelli enunciati il
governo ha ricondotto gli stessi al rito ordinario di cognizione di cui al libro II titolo V
capo I c.p.c..
Sostanzialmente, a seguito dell’introduzione delle norme contenute nel d.l.vo n.
150/2011, per ogni procedimento prima disciplinato dalla normativa speciale, le norme
di rito sono rinvenibili nelle disposizioni del codice di procedura civile relative al
singolo rito (rito del lavoro; rito sommario; etc...), nonché, nelle specifiche disposizioni
del decreto legislativo relative alla singola tipologia di controversia.
Il decreto legislativo n. 150/2011, si compone di cinque capi, di cui il primo
detta disposizioni generali, il secondo è dedicato alle controversie regolate dal rito del
65
lavoro, il terzo alle controversie regolate dal rito sommario di cognizione, il quarto a
quelle regolate dal rito ordinario di cognizione. Infine, il Capo V detta disposizioni
finali ed abrogazioni.
Dopo l’entrata in vigore del decreto legislativo n. 150/2011, il Ministero del
Lavoro
e delle Politiche sociali, con circolare n. 28 del 2.11.2011
ha fornito
chiarimenti circa le disposizioni introdotte dal decreto legislativo con particolare
riferimento all’articolo 6, relativo al procedimento di opposizione all’ordinanza ingiunzione ed alle disposizioni in materia di diretta costituzione in giudizio
dell’Amministrazione in deroga alla regola generale che demanda all’Avvocatura dello
Stato la difesa in giudizio della pubblica amministrazione.
Delle disposizioni contenute nel capo I merita segnalare che l’articolo 2 indica le
disposizioni del codice di procedura civile che non si applicano nelle controversie
disciplinate dal rito del lavoro. In proposito, è opportuno evidenziare che tale articolo, al
comma 1, nell’elencare le disposizioni che non si applicano alle controversie di cui al
capo II , salvo che siano espressamente richiamate, indica l’art. 417 bis c.p.c., che nelle
controversie di lavoro pubblico consente alla competente Avvocatura di affidare
all’Amministrazione la rappresentanza e difesa in giudizio.
A seguito della riforma, nelle controversie regolate dal rito del lavoro il giudice
può disporre fra l’altro dei poteri istruttori previsti dall’art 420 c.p.c .
L’articolo 3 detta disposizioni comuni alle controversie regolate dal rito
sommario di cognizione, l’articolo 4 disciplina il mutamento del rito e l’articolo 5 la
sospensione dell’efficacia esecutiva del provvedimento impugnato, con norma atipica e
mutuata dalle regole del processo amministrativo.
Per quanto riguarda il capo II - che prevede le controversie regolate dal rito del
lavoro – va osservato che negli otto articoli di cui lo stesso si compone vengono
elencate le controversie rimesse al giudice del lavoro, fra cui merita di segnalare le
ipotesi previste dagli articoli 6, 7, 8, 9 e 10, che attengono a controversie con la
pubblica amministrazione e a vertenze relative a materie rientranti nelle competenze del
Ministero dell’Interno.
66
L’articolo 6 disciplina, in particolare, l’opposizione all’ordinanza - ingiunzione,
già prevista dagli articoli 18 e 22 della legge 24.11.1981 n. 689: procedimento di
specifico interesse per il Ministero dell’Interno.
L’articolo 22 della legge n. 689/81, modificato e parzialmente abrogato
dall’articolo 34 del decreto legislativo n. 150/2011, prevedeva che avverso l’ordinanzaingiunzione di pagamento e contro l’ordinanza che dispone la sola confisca, gli
interessati potessero proporre opposizione davanti al giudice del luogo di commissione
della violazione individuato a norma dell’articolo 22 bis, entro il termine di giorni trenta
dalla notificazione del provvedimento. La disciplina introdotta nel 2011 ha sostituito la
disciplina prevista dal citato articolo 22 della legge n. 689/81, che è stato parzialmente
abrogato unitamente agli articoli 22 bis e 23 della legge del 1989, che regolavano la
competenza per il giudizio di opposizione ed il procedimento relativo.
Con la nuova disciplina, che tiene conto del mutato quadro normativo
costituzionale e degli interventi della Corte Costituzionale succedutisi in tale materia, il
ricorso deve essere proposto, come già previsto dalla previgente normativa, entro trenta
giorni dalla notificazione dell’atto.
Merita segnalare che il decreto ha inteso rendere omogenea la disciplina della
sospensione dell’efficacia dell’ordinanza - ingiunzione con quella della sospensione
dell’efficacia esecutiva del verbale di accertamento di violazione del codice della strada.
A tal fine, è stato previsto che la sospensione dell’efficacia del provvedimento opposto
possa essere concessa dal giudice – con ordinanza non impugnabile - solo laddove la
stessa sia stata richiesta dall’opponente e ricorrano gravi e circostanziate ragioni di cui il
giudice deve tener conto nella motivazione del provvedimento di sospensione.
Con il decreto legislativo n. 150/2011 tale procedimento viene ricondotto al rito
del lavoro in virtù dei caratteri di concentrazione e di officiosità dell’istruzione che,
come osservato nella relazione illustrativa, caratterizzano tale procedimento. E’
prevista, salvo ipotesi particolari, la competenza del giudice di pace.
Dal punto di vista procedurale, merita segnalare la previsione contenuta
nell’articolo 8, in forza del quale il giudice, nel fissare l’udienza ex art. 415, 2° comma,
67
c.p.c., ordina all’autorità che ha emesso l’ordinanza impugnata di depositare presso la
cancelleria dieci giorni prima dell’udienza fissata copia del rapporto e relativa
documentazione. Il ricorso ed il decreto devono essere notificati, a cura della
cancelleria, sia al ricorrente che all’autorità che ha emesso il provvedimento.
Il comma 9 del medesimo articolo, introduce specifiche disposizioni in ordine
alla possibilità per le parti di stare in giudizio personalmente. Infatti, dopo l’espressa
previsione in base alla quale, nel giudizio di primo grado, l’opponente e l’autorità che
ha emesso l’ordinanza possono stare in giudizio personalmente, la legge specifica che la
stessa può avvalersi di funzionari appositamente delegati.
Lo stesso comma 9 prevede che nel giudizio di opposizione all’ordinanza ingiunzione di cui all’art. 205 del decreto legislativo 30 aprile 1992 n. 285, il Prefetto
può farsi rappresentare in giudizio dall’Amministrazione cui appartiene l’organo
accertatore, che vi provvede a mezzo di propri funzionari appositamente delegati
laddove la stessa sia destinataria dei proventi della sanzione ex art. 208 del predetto
decreto.
Con tali disposizioni il legislatore ha presumibilmente inteso rendere meno
gravoso il carico di lavoro delle Prefetture consentendo al personale delle competenti
Amministrazioni comunali, appositamente delegato, di rappresentare in giudizio gli
Uffici Territoriali del Governo, così, realizzando economie di gestione. Ne consegue,
che l’attività di rappresentanza in giudizio può essere svolta da un soggetto appartenente
ad una Amministrazione diversa da quella che ha emanato l’atto impugnato, da cui
dipende l’organo che ha emesso l’atto istruttorio posto alla base dell’ordinanza.
L’articolo 6, al comma 10 prevede i poteri del giudice in relazione alle varie
evenienze del processo. Il giudice, in conformità a quanto aveva già stabilito la Corte
Costituzionale con sentenza n. 534/90, deve esaminare il ricorso nel merito anche
laddove il ricorrente non si presenti, purchè l’illegittimità del provvedimento emerga
con evidenza dalla documentazione depositata dal ricorrente oppure l’autorità
competente venga meno all’obbligo di depositare copia del rapporto e degli atti relativi.
68
In deroga al principio generale che vieta al giudice ordinario di annullare atti
illegittimi, è consentito al giudice, con la sentenza che accoglie il ricorso, di annullare in
tutto o in parte l’ordinanza o di modificarla.
Per quanto concerne i procedimenti ricondotti al rito del lavoro, si segnalano le
disposizioni contenute nell’articolo 7 relative all’opposizione al verbale di accertamento
di violazione del codice della strada, precedentemente disciplinato dall’articolo 204 bis
del decreto legislativo 30.4.1992 n.285. Tale disposizione ribadisce la competenza del
giudice di pace, prevedendo un dimezzamento a giorni trenta del termine per proporre
ricorso, precedentemente previsto in sessanta giorni. E’ riconosciuta espressamente la
legittimazione passiva del Prefetto nel caso in cui le violazioni contestate siano state
accertate da funzionari, ufficiali ed agenti dello Stato nonché da agenti e funzionari
delle Ferrovie dello Stato, delle ferrovie e tranvie in concessione e dell’Anas. Con tale
norma, il legislatore ha, quindi, riconosciuto nel Prefetto l’autorità provinciale che quale rappresentante del governo sul territorio - può comparire in giudizio tramite
propri funzionari appositamente delegati.
Le restanti disposizioni dell’articolo indicato riproducono, sostanzialmente,
quelle già contenute nel precedente articolo 6. Il comma 3 dell’art 7 configura un
ipotesi di inammissibilità del ricorso laddove non sia stato proposto previamente ricorso
ai sensi dell’art 203 del decreto legislativo 30.4.1992 n. 285, ovvero non sia stato
proposto ricorso al Prefetto, inteso quale condizione di procedibilità del ricorso dinanzi
al competente giudice di pace.
L’articolo 8 del decreto legislativo n. 150/2011 - che reca disposizioni di
particolare interesse per il Ministero dell’Interno - individua la competenza del giudice
di pace e, nel caso di trasgressore minorenne, del Tribunale dei Minorenni, per le
controversie previste dall’art. 75, comma 9, del DPR n. 309/1990, relative ad illeciti
inerenti sostanze stupefacenti che non hanno rilevanza penale ma comportano
l’irrogazione di sanzioni amministrative da parte dal Prefetto.
Detto articolo, specifica che tali controversie sono regolate dall’articolo 6 ovvero
dalle stesse regole procedurali previste per l’opposizione ad ordinanza ingiunzione.
69
Le restanti disposizioni del Capo II - relativo alle controversie regolate dal rito
del lavoro - concernono altri specifici procedimenti fra cui si segnala quello previsto
dall’articolo 9 in materia di recupero di aiuti di Stato di cui alla legge 6.6.2008 n. 101,
ora disciplinato dall’articolo 6. In merito, è opportuno segnalare che dalla relazione
illustrativa emerge la scelta del governo, al fine di conformarsi alla giurisprudenza
comunitaria, di mantenere la speciale disciplina del procedimento di sospensione
dell’efficacia del titolo amministrativo o giudiziale di pagamento emesso a seguito di
decisione di recupero.
Del Capo II va segnalato, infine, anche l’articolo 10 che detta disposizioni in
materia di applicazione del codice per la protezione dei dati personali, comprendendo
nel rito del lavoro le controversie previste dall’articolo 152 del decreto legislativo
30.6.2003 n. 196. Tale articolo, al comma 3, fissa un termine di giorni trenta per la
proposizione del ricorso avverso i provvedimenti del Garante per la protezione dei dati
personali che deve essere proposto dinnanzi al Tribunale del luogo ove ha la residenza il
titolare del trattamento dei dati, come definito dall’articolo 4 dal codice per la
protezione dei dati personali, con la possibilità di sospensione del provvedimento
impugnato ai sensi dell’articolo 5 del decreto legislativo n. 150/2011.
Assume specifica rilevanza la disposizione contenuta nel comma 6 del
medesimo articolo, che consente al giudice, con la sentenza emessa al termine del
giudizio, di prescrivere le misure necessarie anche in deroga al divieto di cui all’articolo
4 della legge 20.3.1865 n. 2248, nonché di stabilire il risarcimento del danno. Tale
disposizione persegue l’evidente fine di garantire l’effettività della tutela del ricorrente.
Per quanto concerne i procedimenti ricondotti al rito sommario di cognizione,
che persegue la finalità di garantire al cittadino la celere tutela dei suoi interessi, il
Governo - in attuazione della delega conferitagli - ha inserito nel Capo III 17 articoli
relativi a controversie incluse in quelle regolate dal rito sommario.
Alcuni dei procedimenti assoggettati al rito sommario di cognizione vedono
coinvolta la pubblica amministrazione ed, in particolare, anche il Ministero dell’Interno.
70
Come osservato nella relazione illustrativa, per detti procedimenti è stata esclusa la
possibilità di conversione del rito sommario di cognizione nel rito ordinario.
Nel merito dei numerosi procedimenti richiamati, si evidenziano gli articoli 16,
17, 18, 19 e 20 relativi a procedimenti inerenti la condizione dello straniero e di
rifugiato, materie rientranti nelle competenze istituzionali del Ministero dell’Interno.
Inoltre, il decreto legislativo n. 150/2011 comprende nel rito sommario di
cognizione talune azioni in materia elettorale (articoli 22, 23, 24).
In dettaglio, l’articolo 17 del decreto legislativo relativo alle controversie
inerenti l’impugnazione del provvedimento di allontanamento dei cittadini degli altri
Stati membri
dell’Unione Europea e dei loro familiari
per motivi imperativi di
pubblica sicurezza e per gli altri motivi di pubblica sicurezza di cui all’articolo 20 del
decreto legislativo 6.2.2007 n.30, nonché per i motivi di cui all’articolo 21 del predetto
decreto, prevede la competenza del Tribunale ove ha sede l’autorità che ha emanato il
provvedimento impugnato.
Tale procedimento è stato ricondotto al rito sommario di cognizione in ragione
dei caratteri di semplificazione della trattazione e dell’istruzione della causa evidenziati
dalla forma dell’atto introduttivo del giudizio e dal rinvio ad opera della normativa
previgente, alla disciplina dei procedimenti in camera di consiglio prevista dagli artt.
737 e ss c.p.c..
Per tale procedimento il ricorrente può stare in giudizio personalmente ed il
ricorso può essere presentato anche a mezzo del servizio postale, in conformità ai
principi stabiliti dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 278 del 16.7.2008.
L’efficacia esecutiva del provvedimento impugnato può essere sospesa in
conformità alle disposizioni contenute nell’articolo 5.
Al fine di assicurare l’immediata tutela in via cautelare degli interessi del
ricorrente, è previsto che l’allontanamento dal territorio non può avere luogo fino alla
pronuncia sull’istanza di sospensione, salvo che il provvedimento sia fondato su una
precedente decisione giudiziale o su motivi imperativi di pubblica sicurezza.
71
L’articolo 18 disciplina il procedimento concernente le controversie in materia
di espulsione dei cittadini di Stati che non sono membri dell’Unione Europea, decretata
ai sensi dell’articolo 13, comma 2,
del decreto legislativo 25.7.1998 n. 286. Il
procedimento, pure ricondotto al rito sommario, prevede la competenza del giudice di
pace e segue, sostanzialmente, le medesime regole relative ai ricorsi avverso i
provvedimenti di allontanamento dei cittadini dell’Unione Europea, con la possibilità di
partecipare personalmente al giudizio. Una peculiarità di tale procedimento è costituita
dalla inappellabilità dell’ordinanza che definisce il procedimento che trova la sua
ragione nel rispetto della clausola di invarianza finanziaria ovvero dell’impossibilità di
onerare ulteriormente l’erario per costi derivanti dall’Amministrazione della Giustizia.
A tal proposito va infatti ricordato come le controversie in esame siano caratterizzate
dall’ammissione di tutti i ricorrenti al gratuito patrocinio ed un eventuale introduzione
del giudizio di gravame avrebbe cagionato un notevole aumento di spese privo di un
adeguata copertura finanziaria.
Il decreto legislativo n. 150/2011 comprende nei procedimenti sommari le
controversie che ineriscono all’impugnazione dei provvedimenti di revoca o cessazione
dello status di rifugiato o di soggetto ammesso alla protezione sussidiaria ex articolo 35
del decreto legislativo 28.1.2008 n. 25. Competente al riguardo è il Tribunale ubicato
nel circondario ove ha sede la Commissione territoriale per il riconoscimento della
protezione internazionale che ha pronunciato il provvedimento impugnato ovvero, per
gli stranieri accolti o trattenuti presso centri di accoglienza, presso il distretto di Corte
di Appello ove ha sede il centro di accoglienza.
L’articolo 19 disciplina in dettaglio il procedimento, consentendo al Ministero
dell’Interno di stare in giudizio personalmente avvalendosi di propri dipendenti o di un
rappresentante designato dalla Commissione che ha adottato l’atto impugnato e
prevedendo espressamente che la controversia debba essere trattata con ogni urgenza in
ogni grado.
Sempre nell’ambito dei procedimenti che vedono coinvolto lo straniero,
l’articolo 20 disciplina l’opposizione al diniego del nulla osta al ricongiungimento
72
familiare e del permesso di soggiorno per motivi familiari nonché, agli altri
provvedimenti dell’autorità amministrativa in materia di diritto all’unità familiare,
prevedendo il potere per il giudice di disporre con l’ordinanza che accoglie il ricorso il
rilascio del visto anche in assenza del nulla osta.
Tra i procedimenti regolati dal rito sommario di cognizione rientrano alcune
controversie in materia elettorale (artt. 22, 23, 24) concernenti le elezioni comunali,
provinciali e regionali nonché, la eleggibilità e l’incompatibilità nelle elezioni per il
Parlamento europeo e l’impugnazione delle decisioni della Commissione elettorale
circondariale in tema di elettorato attivo. Detti procedimenti, ricondotti al rito sommario
in considerazione dell’urgenza che connota il contenzioso elettorale, sono regolati da
una dettagliata disciplina e prevedendo la competenza del Tribunale per le azioni
popolari e per le impugnative concernenti le elezioni comunali e provinciali e regionali.
Gli articolo 23 e 24 prevedono, invece, la competenza della Corte di appello per
le controversie in tema di eleggibilità ed incompatibilità nelle elezioni per il Parlamento
Europeo e per le controversie in tema di impugnazione delle decisioni della
Commissione elettorale circondariale in tema di elettorato attivo.
Nel capo IV sono elencate le controversie regolate dal rito ordinario di
cognizione. Il d.l.vo n.150/2011 comprende nel rito ordinario di cognizione (Titolo I e
Titolo III del Libro II c.p.c.) tre tipologie di controversie (art 31, 32, 33) fra cui si
segnalano, per la rilevanza generale per tutte le pubbliche amministrazioni, le
controversie in materia di opposizione a procedura coattiva per la riscossione delle
entrate patrimoniali dello Stato e degli altri enti pubblici. A tal proposito, si rileva che
l’articolo 3 del Regio Decreto 14.4.1910 n. 639 recante il Testo unico delle disposizioni
di legge relative alla riscossione delle entrate patrimoniali dello Stato, prevede che
avverso il provvedimento contenente l’ingiunzione di pagamento il debitore può
proporre opposizione regolata dal codice di procedura civile.
L’articolo 32 riconosce la competenza territoriale del luogo in cui ha sede
l’ufficio che ha emesso il provvedimento opposto. Il procedimento di opposizione, alla
luce di giurisprudenza costante della Corte di Cassazione considerata dalla Corte
73
Costituzionale diritto vivente con la sentenza n. 452 del 16.12.1997, ha natura di
giudizio di accertamento negativo della pretesa formulata con il provvedimento
impugnato, nel quale l’opponente assume riveste il ruolo di attore sia in senso formale
che sostanziale.
Merita rilevare che anche per tale procedimento è stata prevista la possibilità di
chiedere la sospensione dell’efficacia esecutiva del provvedimento impugnato.
Conclusivamente, si rileva che il decreto legislativo n. 150/2011 costituisce un
valido strumento per affrontare le specifiche controversie indicate, in tempi rapidi e con
garanzie processuali connesse ai particolari interessi di cui viene richiesta la tutela,
senza eccessivi esborsi connessi alla difesa in giudizio del privato, attesa la possibilità,
nella maggior parte dei casi, di partecipare personalmente al giudizio senza l’ausilio di
un difensore.
CAPITOLO 3 - LA COSTITUZIONE DI PARTE CIVILE NEL GIUDIZIO PENALE
1. LA TUTELA CIVILE DELL’AMMINISTRAZIONE
NEL GIUDIZIO PENALE
- L’art.
74 del c.p.p., in relazione alla legittimazione all`azione civile nel giudizio penale,
stabilisce che l`azione civile per le restituzioni e per il risarcimento del danno di cui
all`art. 185 c.p. può essere esercitata nel processo penale dal soggetto al quale il reato ha
recato danno ovvero dai suoi successori universali, nei confronti dell`imputato e del
responsabile civile.
La stesura originaria della norma (ante riforma del 1989) prevedeva la possibilità
di esercitare l’azione civile in sede di giudizio penale da parte della “persona fisica
danneggiata”. Il mutamento letterale della disposizione ha comportato l’elisione al
riferimento della persona “fisica” ed il riconoscimento della legittimazione a favore del
‘‘soggetto al quale il reato ha recato danno’’, con conseguente facoltà di proporre
azione civile anche da parte dello Stato nonché di altri Enti e/o Associazioni di vario
genere, che rivendichino la titolarità ad agire per il risarcimento di un danno derivato da
una condotta illecita di propri dipendenti o di terzi.
74
In base alla norma di cui all’art. 76 c.p.p., la costituzione di parte civile può
avvenire personalmente o a mezzo di procuratore speciale.
La costituzione di parte civile dello Stato assume connotazioni del tutto
particolari rispetto alla disciplina generale, in considerazione dell’operatività delle
disposizioni di cui al r.d. n. 1611 del 1933
65
. Le indicazioni sfavorevoli alla possibilità
per l’ente pubblico di costituirsi parte civile nel processo penale si basano su un
presunto aggravio di risorse umane ed economiche, stante la presenza nel processo
penale del P.M. a tutela degli interessi della parte pubblica e su una assunta
complicazione derivante dalla necessità della preventiva autorizzazione della Presidenza
del Consiglio dei Ministri.
L’Avvocatura dello Stato partecipa ai giudizi penali svolgendo, per
l’Amministrazione statale (e gli altri Enti ammessi al suo patrocinio) le facoltà che la
legge attribuisce alla persona offesa dal reato, ovvero esercitando l’azione civile per le
restituzioni o il risarcimento del danno attraverso la costituzione di parte civile; in altri
casi, la difesa erariale assiste l’Amministrazione chiamata a rispondere, ex art. 185
c.p.p., come responsabile civile per il fatto illecito del dipendente 66.
L’istituto della costituzione di parte civile ha lo scopo essenziale di permettere al
soggetto (c.d. danneggiato) che subisce le conseguenze di un nocumento patrimoniale
e/o morale derivante da un reato, di divenire parte processuale di un giudizio penale,
con il fine di ottenere un risarcimento, previo accertamento della verità dei fatti che si
sono rivelati dannosi per l’ente pubblico.
Alla parte civile, vengono processualmente riconosciute importanti facoltà, tra
cui quelle di proporre mezzi di prova e di confutare le prove a discarico offerte
dall'imputato stesso, nonché di rassegnare le proprie conclusioni prima della decisione
(cfr. artt. 187, 503 e 523 c.p.p.).
65
“Approvazione del T.U. delle leggi e delle norme giuridiche sulla rappresentanza e difesa in giudizio dello Stato e
sull'ordinamento dell'Avvocatura dello Stato”.
66 Si rammenta, altresì, l’ipotesi di cui all’art. 44, r.d. 30.10.1933, n. 1611, che consente all’Avvocatura dello Stato di
assumere la difesa dei dipendenti statali o degli altri soggetti pubblici ammessi al patrocinio, sia nella qualità di
imputati che di parte civile, nei giudizi penali che li interessino per fatti inerenti alle funzioni espletate.
75
Per le Amministrazioni centrali la costituzione in giudizio, ai sensi dell’art. 1, 4°
comma, della legga 3.1.1991, n. 3, avviene previa autorizzazione del Presidente del
Consiglio dei Ministri 67; tale autorizzazione viene concessa sulla base del parere
dell’ufficio dell’avvocatura competente alla trattazione del procedimento, nella ipotesi
in cui siano oggetto del procedimento apprezzabili interessi pubblici, patrimoniali o non
patrimoniali.
Naturalmente, come dianzi accennato, lo Stato nel giudizio penale può assumere
anche la veste di responsabile civile per il fatto dell’imputato: in tali casi, la
responsabilità della pubblica amministrazione per il fatto dell’imputato ha il proprio
fondamento nell’art. 28 della Costituzione, il quale stabilisce la responsabilità diretta dei
dipendenti pubblici, individuale ed in qualità di organi della stessa amministrazione,
secondo la nota teoria della “immedesimazione organica”. Tale forma di responsabilità
trova il proprio riferimento nel rapporto di causalità tra il fatto-reato e l’attività
“istituzionale” del dipendente, ovvero: il comportamento illecito di quest’ultimo (e gli
atti posti in essere) devono essere addebitabili all’amministrazione in quanto adottati in
relazione al perseguimento di fini istituzionali. Naturalmente, se il dipendente agisce per
scopi che vengono dimostrati essere totalmente estranei al proprio rapporto di servizio,
ancorché questo sia limitato a forme di collaborazione occasionale e saltuaria, i propri
atti non saranno idonei ad ingenerare responsabilità dell’ufficio dal quale dipende, fatti
salvi gli accertamenti sul profilo soggettivo (psicologico) posto alla base dei
comportamenti medesimi.
Il tradizionale orientamento della giurisprudenza tendeva ad escludere la
riferibilità degli atti alla P.A. in caso di accertato atteggiamento doloso del dipendente,
tale che la motivazione prettamente individuale ed egoistica dello stesso sarebbe stata
idonea a troncare il vincolo di connessione organica con il proprio ufficio; tale tesi è
stata successivamente rivista considerando la condotta come rapportata alla “integrale”
67 Una corrente dottrinale sostiene che l’autorizzazione in questione debba essere considerata alla stregua di
condizione indispensabile per ritenere valida la costituzione di parte civile; altri studiosi, di converso, ritengono che
l’autorizzazione in questione abbia la qualità di mero atto amministrativo interno che può essere prodotto anche in un
momento successivo alla formale costituzione.
76
attività istituzionale dell’ente di appartenenza ed alle effettive mansioni svolte dal
dipendente, idonee ad ingenerare il danno68.
Lo Stato, d’altro canto, può assumere la duplice e contestuale veste di
responsabile civile e di parte civile, anche se spesso si assiste alla estromissione dal
giudizio dello stesso quale responsabile civile nella fattispecie in cui la doppia attività
sia svolta dal medesimo organo amministrativo 69.
Per quanto invece concerne la vexata quaestio del presunto difetto di
giurisdizione del giudice penale in relazione alla richiesta di risarcimento danni, si
rammenta che l’ordinamento, all’art. 103 della Costituzione, prevede la riserva di
giurisdizione a favore della Corte dei Conti per l’intera materia della responsabilità
amministrativa. Per tale motivo, a lungo si è ritenuto che il giudice penale non avesse
titolo a decidere in caso di costituzione di parte civile per danno erariale. A seguito della
sentenza delle SS.UU. della Corte di Cassazione n. 20476 dell’anno 2005,
l’orientamento è mutato riconoscendo la titolarità d tale competenza al giudice penale
sulla base del disposto di cui agli artt.74 e ss. del c.p.p. (specialità delle norme del
codice di procedura penale) 70.
68 Il Consiglio di Stato (Sez. VI, 26 giugno 2003, n. 3850) ha rilevato che “i comportamenti illeciti tenuti da funzionari
ed organi dell'amministrazione, ove eventualmente riconducibili a fattispecie penali, ad illeciti commessi con dolo sono
suscettibili di interrompere, nella prospettiva tradizionale di ricostruzione della responsabilità della civile della p.a., il
nesso organico, con conseguente impossibilità di ritenere concretato un concorso del creditore nel fatto colposo
causativo di danno. Per ipotizzare una responsabilità civile della p.a. in presenza di dolo (ammessa dopo la sentenza n.
500/1999 da una corrente giurisprudenziale ben rappresentata da Cass., sez. III, 26 giugno 1998, n. 6334 secondo cui in
virtù del principio dell'immedesimazione organica gli atti compiuti dagli organi della p.a. sono imputabili direttamente
all'amministrazione stessa; ne consegue che l'atto amministrativo formalmente imputabile ad un organo collegiale (nella
specie, al consiglio comunale), ove lesivo dei diritti dei terzi, obbliga l'amministrazione al risarcimento del danno, a
nulla rilevando che il danno del terzo fosse stato dolosamente preordinato dalle persone fisiche che hanno
materialmente deliberato l'atto) è necessario effettuare una complessa valutazione di occasionalità necessaria tra
comportamento criminoso e mansioni sulla quale non sono stati forniti elementi univoci. In proposito il Collegio ritiene,
in adesione ad una tesi intermedia, che, ai fini della responsabilità diretta dell'amministrazione, il fatto doloso del
funzionario non è necessariamente non riferibile alla p.a., dovendo ritenersene al contrario la riferibilità allorché
sussista un nesso di occasionalità necessaria tra il comportamento dell'impiegato e le incombenze allo stesso affidate:
nesso che va accertato considerando non solo lo specifico comportamento dell'impiegato pubblico costituente abuso, ma
il complesso dell'attività nella quale esso si riferisce (Cass., sez. III, 14 maggio 1997, n. 4232)”.
70 Le SS.UU. hanno ritenuto che l’art. 103 Cost. individui una riserva di giurisdizione a favore della Corte dei Conti
non assoluta e generale bensì derogabile da disposizioni normative espresse (come quella contenuta nel c.p.p. a favore
del giudice penale).
77
Al riguardo, la Corte dei Conti (Sez. giur. Lombardia n. 5 del 2009) ha, invece,
affermato che, a norma dell’art. 538 c.p.p., il giudice penale che riscontra la sussistenza
del reato deve decidere sulla domanda risarcitoria proposta e, qualora ritenga esservi gli
estremi del diritto al risarcimento, condannare l'imputato. La condanna, peraltro, sarà
necessariamente generica quante volte la competenza alla liquidazione del danno sia
devoluta ad altro giudice (art. 538, 2° co., c.p.p.), ovvero quando le prove raccolte non
consentano la determinazione del quantum (art. 539 c.p.p.).
Sul punto è intervenuta da ultimo una decisione delle Sezioni Riunite della Corte
dei Conti – n. 1/2011, che ha statuito quanto segue: “Nelle ipotesi di danno erariale, la
giurisdizione penale e quella civile per risarcimento danni sono indipendenti da quella
amministrativo-contabile, talché non si può configurare un conflitto di giurisdizione,
ma si può solo ipotizzare una reciproca interferenza nelle modalità concrete
dell'esercizio della giurisdizione e quindi nei rapporti tra giudizi” (Cass. Civ. SS.UU.
n. 639/ord 1991; id. 5943/1993) 71. Pertanto, da un unico fatto/atto/comportamento, può
derivare una responsabilità penale, una responsabilità disciplinare, una responsabilità
civile di natura extracontrattuale ed una responsabilità contabile, con la conseguenza
che fra le due azioni giudiziali di cui sopra esiste preclusione solo nei casi in cui per una
sia già stato ottenuto l’integrale ristoro del danno sofferto ovvero si sia esclusa in
termini radicali l’esistenza di un illecito e, quindi, di un danno 72.
71
Tale assunto, già ribadito dalle SS.UU. della Cassazione con la nota sentenza n. 822/99 del 23.11.1999, viene
integrato da un consolidato orientamento giurisprudenziale contabile in base al quale l’eventuale azione risarcitoria,
altrimenti inammissibile per il principio del “ne bis in idem” determina non la carenza di giurisdizione ma del mero
interesse processuale (cfr. Corte Cost. n. 733/1988).
72
Occorre ricordare, infatti, che il rapporto tra la giurisdizione civile esercitata in sede penale dall’amministrazione e
l’azione di responsabilità esercitata dalla Procura contabile non si pone in termini di “ne bis in idem” ma di
proponibilità della domanda, intesa come verifica della sussistenza dell’interesse all’azione, che viene meno solo ove
l’amministrazione abbia già ottenuto l’integrale risarcimento del danno. Ne consegue che la giurisdizione penale e
quella civile risarcitoria, da un lato, e la giurisdizione contabile, dall’altro, sono reciprocamente indipendenti nei profili
istituzionali, anche quando investono un medesimo fatto materiale, dal momento che l’interferenza può avvenire tra i
giudizi e non tra le giurisdizioni (Cass., Sez. Un., 23 novembre 1999, n. 822; id., Ord. 21 maggio 1991, n. 369; id., 3
febbraio 1999, n. 664; id., Sent. 26 novembre 2004, n. 22277; id., Ord. 21 ottobre 2005, n. 20343, id., 24 marzo 2006, n.
6581). La proposizione dell’azione civile o della costituzione di parte civile in sede penale, quindi, non preclude l’azione
di responsabilità amministrativa, con l’unico limite del divieto di doppia condanna del dipendente per lo stesso fatto e
con eventuale effetto decurtante della pretesa erariale derivante dal parziale recupero in sede civile o transattiva (Corte
dei Conti, Sezione Lazio, 28 febbraio 2011).
78
I casi in cui lo Stato ha deciso di procedere alla costituzione di parte civile in un
giudizio penale sono aumentati, come casistica, negli ultimi anni, essendo stata
legittimamente autorizzata la costituzione in giudizi aventi ad oggetto reati di carattere
tributario, di terrorismo e criminalità organizzata (si pensi, ad esempio, ai processi
D’Antona, Moro e Biagi), di corruzione e concussione ed in tutti quei casi in cui è
palese la sussistenza di un danno patrimoniale e/o non patrimoniale subito dall’ente
pubblico 73.
CAPITOLO IV – IL GIUDIZIO DINANZI ALLA CORTE DEI CONTI
1. LA TUTELA DELL’INTERESSE PUBBLICO NEL GIUDIZIO PER DANNO ERARIALE
La nozione di “danno erariale” nella sua accezione originaria, era intimamente
collegata ad un aspetto di carattere essenzialmente patrimoniale, essendo rapportata alla
evidente (e misurabile) diminuzione del patrimonio di una pubblica amministrazione,
avvenuto in conseguenza di una azione lesiva.
Di converso, a tale concetto era connessa la nozione di responsabilità
amministrativa del dipendente che avesse provocato il danno, nelle due diverse
distinzioni di danno emergente (concretizzatosi in un esborso non giustificato di danaro
pubblico) e di lucro cessante (inteso quale mancato introito).
L’evolversi della società ed il moltiplicarsi delle azioni che difettano di una
valutazione prettamente “patrimoniale” degli effetti derivati, ma che concretizzano
comunque una lesione di interessi pubblici (collettivi) che riveste una valenza latamente
“economica”, ha indotto la dottrina e la giurisprudenza ad individuare altre forme di
73
Si rammenta, di converso, come la giurisprudenza anche più recente (cfr. Cassazione, Sez. VI 22 gennaio 2011, n.
2251) abbia escluso l’ammissibilità, nell’ambito di un processo a carico dell’Ente, di una costituzione di parte civile,
motivando sull’assenza di uno specifico riferimento normativo nell’ambito del D. Lgs. n. 231/2001 e, da un punto di
vista sostanziale, sulla impossibilità di individuare un danno derivante dall'illecito amministrativo diverso da quello
prodotto dal reato.
79
danno 74 che, nell’ambito della tutela della persona sono state ritenute suscettibili di
garanzia giudiziaria. Anche i giudici amministrativi si sono adeguati alle mutate
prospettive interpretative, riconoscendo tutela al privato cittadino nel caso di
responsabilità della P.A. per atti illegittimi, ancorché i relativi effetti derivati non sono
quantificabili secondo i principi di cui agli artt. 2043 e 2059 C.C. 75.
E’ stata, poi, riconosciuta tutela anche ad altre ipotesi di danno non patrimoniale,
fra cui: il danno all’immagine, il danno all’ambiente, il danno all’economia nazionale.
Tale impostazione teorica ha il proprio fondamento sia nella esigenza di valutare
particolari tipologie comportamentali, sia di spostare l’attenzione dal soggetto
responsabile dell’azione alla natura degli interessi sottesi all’attività svolta da
quest’ultimo, con ciò giungendo in alcuni casi anche al superamento della distinzione
fra soggetto pubblico e soggetto privato 76.
L’evoluzione normativa ha consentito alle Procure della Corte dei Conti di
procedere in via istruttoria all’accertamento del danno erariale c.d. indiretto, secondo gli
schemi di cui all’art. 17 comma 30 ter del D. Lgs. n. 78/2009 e succ. mod., il quale
stabilisce che “ Le procure della Corte dei Conti possono iniziare l'attività istruttoria
ai fini dell'esercizio dell'azione di danno erariale a fronte di specifica e concreta notizia
di danno, fatte salve le fattispecie direttamente sanzionate dalla legge”.
Tale disposizione, se da una parte sembra aver attribuito alla Corte dei Conti
maggiore possibilità di intervento in un ambito più ampio dei beni da tutelare e
proteggere, d’altro canto limita l’attività degli organi inquirenti contabili alle fattispecie
nelle quali il danno risulta effettivo, concreto ed attuale, tale da escludere una attività di
controllo generalizzato e senza confini nei confronti della P.A., così da evitare il rischio
74
Cfr. Cass. Civ., S.U., sent. n. 5668 del 25 giugno1997, in FI, 1997, I, 2872, nonché, Cass. Civ., S.U., sent. n. 744 del
25 ottobre 1999, in www.cortedicassazione.it.,e ancora, Cass. Civ., S.U., sent. n. 4582 del 2 marzo, 2006, in
www.cortedicassazione.it.
75
Cfr. TAR Puglia, Sez. III, Bari, sent. n. 10483 del 1 giugno 2004, Consiglio di Stato, Sez. VI, sent. n. 1096 del 16
marzo 2005, TAR Puglia, Sez II, Bari, sent. n. 3888 del 15 settembre 2005, in www.dirittoediritti.it.
76
E’ l’ipotesi in cui le funzioni pubbliche vengono affidate – tramite convenzione o altro – a soggetti privati.
80
di un possibile rallentamento o, in alcuni casi, del blocco totale dell’attività
amministrativa 77.
Nel caso di danno all’immagine, ad esempio, le Sezioni Riunite della Corte dei
Conti, con sentenza n.10/QM/2003, hanno precisato che il danno all’immagine è
qualificabile quale danno-evento, non collegabile ad una “deminutio patrimonii” bensì
ad
una
violazione
di
diritti
costituzionalmente
all’Amministrazione nel suo complesso
78.
garantiti,
riconducibili
Le varie Sezioni Giurisdizionali invece, in
numerose occasioni, (I Sezione Giurisdizionale Centrale, Sentenze nr. 251 del 2006 e
nr. 198 del 2007, III Sezione Giurisdizionale Centrale, Sentenza nr. 529 del 2005,
Sezione Giurisdizionale Lombardia, Sentenza nr. 681 del 2006, Sezione Giurisdizionale
Veneto, Sentenza nr. 927 del 2006, Sezione Giurisdizionale Lazio, Sentenza nr. 373 del
2007) hanno chiarito che il danno all’immagine non si identifica soltanto quando
l’amministrazione pubblica sostiene delle spese per eliminarne gli effetti, bensì anche
nella ipotesi in cui viene a rompersi l’aspettativa di legalità, imparzialità e correttezza
che i cittadini si attendono dalla P.A.
79.
La Suprema Corte, invece, ha recentemente
individuato nel danno all’immagine un tipico danno-conseguenza, collegabile al bene
tutelato da un preciso nesso di causalità 80.
Relativamente al danno da disservizio, la Corte dei Conti 81 ha precisato che tale
danno attiene alle ipotesi di illecito esercizio di pubbliche funzioni, ovvero da mancata
77 “Il danno erariale, quale oggettivo elemento di differenziazione tra la responsabilità amministrativa generica (per
danno) e quella c.d. tipizzata (di tipo sanzionatorio), deve sussistere al momento della proposizione della domanda
attorea nella sua triplice veste data dall’effettività, concretezza ed attualità. In particolare per quanto concerne il
requisito dell’attualità, nel caso di danno erariale indiretto qual è appunto quello derivante da una sentenza civile di
condanna dell’amministrazione in favore di un terzo danneggiato, la deminutio patrimonii, ovvero il momento del
depauperamento delle finanze pubbliche, viene fatto coincidere non già con l’effettivo pagamento del debito, bensì con il
passaggio in giudicato della pronuncia giudiziale che ne fissa l’obbligazione” Corte dei Conti, Sezione
Giurisdizionale per la Regione Calabria, sentenza 28 n. 714 del 23 settembre 2009.
78 Danno esistenziale: sentenze della Corte di legittimità e della Consulta (Cassazione, III Sezione Civile, Sentenze nn.
8827 e 8828 del 2003, Corte Costituzionale, Sentenza n. 233 del 2003), nonché SS.UU. n. 26972 del 2008.
79 Si potrebbe infatti verificare l’anomalia data dall’impossibilità per un Ente di provvedere alla riparazione del danno,
e quindi di chiederne il risarcimento, a causa della mancata sussistenza di adeguati fondi in bilancio.
80 Cassazione, Sezioni Unite Civili, Sentenze n. 6572 del 2006 e n. 26972 del 2008, III Sezione Civile, Sentenza n. 13546
del 2006.
81 Sezione Giurisdizionale Umbria, Sentenze nr. 371 del 2004 e nr. 346 del 2005, Sezione Giurisdizionale Piemonte,
Sentenza nr. 138 del 2006, Sezione Giurisdizionale Puglia, Sentenza nr. 661 del 2008.
81
prestazione del servizio, tale da integrare il mancato raggiungimento dei benefici a
favore della collettività. L’aspetto materiale del danno è rappresentato dai costi sostenuti
dalla P.A. per eliminare gli effetti dannosi sotto il profilo della scarsa (o nulla)
efficienza dimostrata,della inefficacia, della diseconomicità resa. Nell’ambito di tale
forma di danno, sono state fatte rientrare nel tempo ipotesi molto differenziate quali, in
particolare, il danno da tangente, il danno derivante dalla stipula di una polizza
assicurativa comprendente la copertura dei rischi da responsabilità (amministrativa e
contabile) per gli amministratori pubblici, il danno da illegittimo affidamento di
consulenze, il danno da omessa adesione alle convenzioni con la Centrale di
committenza nazionale Consip s.p.a..
CONCLUSIONI
Con il presente lavoro - che, per esigenze di sintesi, contiene solo un quadro
delle novità legislative che negli ultimi anni hanno interessato il panorama
ordinamentale italiano nel settore delle controversie giudiziali e stragiudiziali che
vedono parte la pubblica amministrazione - si è inteso fornire qualche spunto di
riflessione sulla necessità di affrontare i contenzioni ed i conflitti nel modo più rapido,
efficace ed economico possibile, facendo perno anche sulle modifiche normative
intervenute negli ultimissimi anni, sopra dettagliatamente individuate e descritte.
Come è noto, l’accesso alla giustizia per il cittadino è un diritto riconosciuto
dalla Costituzione italiana e dalla Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti
del’uomo e delle libertà fondamentali, ma, i dati statistici che riguardano il nostro Paese
per quanto riguarda la proposizione annuale di azioni giudiziali e la rapidità di
risoluzione delle controversie non è molto confortante, stante una collocazione per
l’Italia stabilita al 156° posto su 181 casi analizzati
82
e l’aumento accertato a far data
82
Rapporto Doing Business della World Bank – 2010. Nel 2009 l’Italia, nell’analogo rapporto, era stata inserita al 158°
posto su 180 casi e nel 2008 al 155° posto su 178 casi esaminati.
82
dall’anno 1975 sino al 2004 di un valore pari al 90% del tempo medio di durata dei
processi 83.
Tali circostanze, unite al problema dei costi spesso rilevanti da sostenere per
l’avvio e la prosecuzione dei giudizi, cui si aggiunge anche la complessità della via
processuale e la frammentazione delle posizioni giuridiche astrattamente tutelabili,
rende preferibile il ricorso a strumenti alternativi che garantiscono rapidità, economicità,
elasticità ed una più efficace tutela dei diritti e degli interessi in discussione.
E’ noto come l’ordinamento italiano ha visto il prevalere della funzione pubblica
giudiziale come modo di soluzione delle controversie, ma i sistemi alternativi di cui si è
parlato rappresentano una novità, mutuata dal diritto anglosassone e ripresa con gran
forza negli ultimi anni dall’Unione Europea, che dovrebbe rappresentare con sempre
maggior vigore uno strumento non già succedaneo ed emergenziale al sistema naturale,
bensì un efficiente sistema parallelo ed alternativo che integra quello giudiziale. Tali
sistemi possono apportare cospicui benefici non soltanto ai cittadini interessati a
risolvere in maniera più rapida ed economica le proprie vertenze, ma anche alla
pubbliche amministrazioni coinvolta nelle controversie.
Accanto a tale strada si pone l’esigenza ineliminabile e indifferibile di
razionalizzare il sistema giudiziario. Sotto questo profilo, vanno considerate le scelte del
Legislatore esaminate nel capitolo relativo alla risoluzione “giudiziale” delle
controversie ed, in particolare, i profili attinenti alle novità ed alla specificità della
disciplina processuale amministrativa, civilistica, penalistica e amministrativocontabile, di cui l’amministrazione deve tenere conto per gestire al meglio le
controversie che la vedono coinvolta.
In sostanza, come rappresentato nella premessa del presente lavoro, è
auspicabile che l’amministrazione “gestisca” al meglio le situazioni conflittuali,
anzitutto, tentando di prevenire ed evitare le criticità che possono dare origine ad un
83
Le stesse relazioni annuali del Ministro della Giustizia al Parlamento continuano ad evidenziare un trend di crescita
esponenziale pari al 3% circa in più rispetto all’anno immediatamente precedente e, quella relativa all’anno 2010,
riporta le seguenti cifre: 977 giorni per la definizione una causa civile di cognizione dinanzi ai Tribunali, 1.213 giorni
per i procedimenti esecutivi immobiliari, 837 giorni per le cause di previdenza ecc.
83
contenzioso, applicando correttamente i principi e gli istituti che caratterizzano l’attività
della pubblica amministrazione (cfr. Parte I).
Se, poi, tale azione preventiva non da i risultati sperati, occorre utilizzare tutti gli
strumenti a disposizione - consistenti sia nei nuovi sistemi alternativi al contenzioso
giudiziale (cfr. Parte II), che nei sistemi tradizionali di gestione dei procedimenti
giudiziari (cfr. Parte III) - tentando di privilegiare i primi, in quanto presentano benefici
in termini di riduzione dei tempi e dei costi del contenzioso, e tenendo conto delle
novità normative che hanno interessato i secondi.
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