Ministero dell’Interno Scuola Superiore dell’Amministrazione dell’Interno XXV Corso di formazione per l’accesso alla qualifica di Viceprefetto Novità e specificità nella gestione del contenzioso della Pubblica Amministrazione A cura di: dr.ssa Ermelinda CAMERINI dr. Francesco CAMPOLO dr.ssa Giovanna HENRICO di CASSANO dr. Federico PISCITELLI dr. Paolo SIMONE dr.ssa Desideria TOSCANO Relatore: dr. Roberto PROIETTI 1 INDICE PARTE I - GESTIONE DELL’ATTIVITÀ DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE E PREVENZIONE DEL CONTENZIOSO PREMESSA - 1. I PRINCIPI PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO DELL’ATTIVITÀ – 3. IL - 2. AMMINISTRATIVA RESPONSABILE DEL PROCEDIMENTO IL – 4. LA PARTECIPAZIONE AL PROCEDIMENTO E LA MOTIVAZIONE DEL PROVVEDIMENTO – 5. IL DIRITTO DI ACCESSO AI DOCUMENTI AMMINISTRATIVI – 6. L’AUTOTUTELA. PARTE II - IL CONTENZIOSO E LE FORME DI DEFINIZIONE STRAGIUDIZIALE DELLE CONTROVERSIE CAPITOLO 1 – LE ALERNATIVE DISPUTE RESOLUTION (ADR) 1. I NUOVI MODELLI DI DEFINIZIONE DELLE CONTROVERSIE IN AMBITO EUROPEO 2. LE ADR NELL’ORDINAMENTO GIURIDICO ITALIANO. AUTOCOMPOSIZIONE DELLE LITI: LA TRANSAZIONE - 2.2. DELLE LITI: L’ARBITRATO - 2.3. LA FORME - 2.1. FORME DI DI ETEROCOMPOSIZIONE VIA INTERMEDIA: LA CONCILIAZIONE - 2.3.1. LA RIFORMA DELLA CONCILIAZIONE STRAGIUDIZIALE: LA MEDIAZIONE - CAPITOLO 2 – IL RUOLO DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE NELLE A.D.R.: L’AMMINISTRAZIONE COME PARTE IN CAUSA PREMESSA - 1. LA MEDIAZIONE - 2 PUBBLICA SETTORI SPECIFICI - 3. LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE FRA CONCILIAZIONE E AMMINISTRAZIONE E CONCILIAZIONE STRAGIUDIZIALE IN PUBBLICA AMMINISTRAZIONE E L’ARBITRATO - 4. LA TRANSAZIONE QUALE CLAUSOLA DI CHIUSURA DEL SISTEMA PER LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE - 5. LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE L’ACCORDO BONARIO - 6. CENNI E LA PREVENZIONE DELLE LITI: SUI PROFILI DI RESPONSABILITA’ DEL FUNZIONARIO PUBBLICO. 2 CAPITOLO 3 - IL RUOLO DI TERZIETÀ DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE NELLA RISOLUZIONE DELLE CONTROVERSIE 1. I RICORSI AMMINISTRATIVI: LA CRISI DEL MODELLO GERARCHICO - 2. LE NOVITA’ NEL RICORSO STRAORDINARIO. PARTE III - IL CONTENZIOSO GIUDIZIALE CAPITOLO 1 - NOVITA' NELLA GESTIONE DELLE CONTROVERSIE DINANZI AL GIUDICE AMMINISTRATIVO : IL D.LVO N. 104/2010 ED IL D.LVO N.195/2011 PREMESSA - 1. PRINCIPI GENERALI - 2. LA LA COMPETENZA GRADO - 6. I - 4. AZIONI TERMINI E DOMANDE - 7. IL GIUDIZIO DI OTTEMPERANZA - 5. IL GIURISDIZIONE AMMINISTRATIVA PROCESSO AMMINISTRATIVO DI PRIMO PROCEDIMENTO CAUTELARE - 10. I – 3. RITI SPECIALI - 8. IMPUGNAZIONI - 9. IL - 11. DISPOSIZIONI DEFLATTIVE DEL CONTENZIOSO - 12. IL D.LGS. 15 NOVEMBRE 2011 N.195. CAPITOLO 2 - NOVITA’ NELLA GESTIONE DELLE CONTROVERSIE DINNANZI AL GIUDICE CIVILE DOPO LA LEGGE N. 183/2010 ED IL D.LVO N. 150/2011 1. LA LEGGE N. 183/2010 - 2. IL DECRETO LEGISLATIVO N. 150/2011. CAPITOLO 3 - LA COSTITUZIONE DI PARTE CIVILE NEL GIUDIZIO PENALE 1. LA TUTELA CIVILE DELL’AMMINISTRAZIONE NEL GIUDIZIO PENALE. CAPITOLO 4 – IL GIUDIZIO DINANZI ALLA CORTE DEI CONTI 1. LA TUTELA DELL’INTERESSE PUBBLICO NEL GIUDIZIO PER DANNO ERARIALE. ****************************** 3 PARTE I - GESTIONE DELL’ATTIVITÀ DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE E PREVENZIONE DEL CONTENZIOSO PREMESSA - Nell’analisi del contenzioso che vede coinvolta la pubblica amministrazione è necessario partire da un dato incontrovertibile: non esiste attività umana senza conflitto, 1 essendo essa basata su un insieme di interessi fatti valere da vari soggetti, pubblici e privati che, nel loro operare, vengono inevitabilmente in contatto fra loro, con conseguente possibilità che si creino contrasti ed insorgano controversie. Acquisire questa consapevolezza è necessario affinché si possano realizzare le condizioni per “gestire” al meglio le situazioni conflittuali tentando, anzitutto, di prevenirle ed evitarle. Ove, poi, ciò non sia possibile, occorre verificare la possibilità di risolvere in via stragiudiziale la controversia. Solo in via residuale, qualora anche la via stragiudiziale non fosse percorribile o risultasse infruttuosa, ci si dovrebbe porre il problema di gestire al meglio il contenzioso giudiziale. Invece, l’esperienza insegna che il metodo naturale che si attiva per dirimere tali situazioni è rappresentato dal processo che si svolge innanzi ad un giudice, strumento istituzionale utilizzato per la definizione delle controversie. Questa strada, però, da alcuni anni si presenta sempre più difficoltosa da percorrere, risultando particolarmente dispendiosa sia in termini di tempo ed energie, che in termini di risorse economiche 2. Anche per tale ragione, nel corso del tempo, l’attività amministrativa ha subìto una profonda evoluzione, che ha visto sempre più valorizzata la dimensione paritaria dell’agire amministrativo, caratterizzato dalla realizzazione dell’interesse pubblico mediante strumenti giuridici propri del diritto civile. In tal modo, la pubblica 1 “La gestione del conflitto nell’attività di impresa”: articolo pubblicato in “CostoZero” n. 1, gennaio febbraio 2009. S. Galeani, C. Recchia, C. Testa “I metodi di risoluzione alternativa delle controversie” Officina giuridica Ianua 2011. 2 4 amministrazione può perseguire l’interesse pubblico attraverso lo strumento negoziale privatistico, agendo su di un piano di parità rispetto al privato cittadino e non in veste di organo titolare di poteri autoritativi, e può, così, utilizzare anche le forme privatistiche di soluzione stragiudiziale delle controversie. Il superamento del tradizionale concetto del modulo autoritativo – procedimentale quale strumento esclusivo di realizzazione dell’interesse pubblico ha trovato un importante avallo normativo nell’art.1 della legge n. 241 del 1990, a seguito delle modifiche introdotte con la legge n.15/2005, riconoscendo alla pubblica amministrazione la facoltà di curare l’interesse pubblico instaurando rapporti di carattere privatistico con i soggetti che vantano situazioni giuridiche soggettive connesse e/o collegate ad interessi pubblici. Gli atti privati adottati dalla pubblica amministrazione assumono natura giuridica privatistica ma funzione pubblicistica e possono inquadrarsi nella nozione lata di attività amministrativa, ossia di cura concreta dell’interesse pubblico 3. Del pari, anche la previsione degli accordi ex art. 11 della l.n. 241/90 rivela l’attenzione del legislatore per il modulo consensuale, con la conseguente soggezione del rapporto che ne origina alle norme di diritto privato. Nel corso del tempo, inoltre, si è modificato il rapporto tra pubblica amministrazione che agisce autoritativamente e privato: il cittadino non è più destinatario passivo di atti e comportamenti autoritativi, ma ha la possibilità di evidenziare la rilevanza dei propri interessi ed indicare, all’occorrenza, soluzioni alternative idonee a scongiurare il sacrificio degli stessi all’interno del procedimento. La partecipazione attiva del cittadino all’azione amministrativa ha reso indispensabile una diversa gestione dell’organizzazione della stessa struttura pubblica, utile ad esprimere la propria opinione sia come privato, che ha finalmente la possibilità di dialogare, che come pubblica amministrazione, che può meglio valutare e ponderare gli interessi in gioco realizzando il fine pubblico in modo efficace tramite scelte ragionate. Ciò posto, i principi e gli istituti che regolano l’attività della pubblica amministrazione, e le novità normative introdotte al fine di deflazionare il contenzioso, 3 F. Caringella, Manuale di diritto amministrativo, 2011, ed. Dike. 5 vanno prese in considerazione al fine di tentare di evitare e prevenire i conflitti con la parte pubblica, verificare la possibilità di risolvere le controversie in via stragiudiziale e, da ultimo, gestire al meglio il contenzioso giudiziale ove non si possano risolvere altrimenti i conflitti insorti. 1. I PRINCIPI DELL’ATTIVITÀ AMMINISTRATIVA - Le innovazioni introdotte nel Capo I della legge n.. 241/90 – dedicato ai principi - dalla legge n. 15/2005 rappresentano un quadro completo di norme generali sull’azione amministrativa tese a consentire all’amministrazione di rispondere in modo efficiente ed adeguato ai bisogni della collettività anche alla luce del nuovo riparto di competenze dettato dalla riforma del Titolo V della Costituzione. L’articolo 1, co. 1, della legge n. 241/90, enuncia i principi guida dell’azione amministrativa, da un lato rinviando ai principi generali che regolano l’attività della pubblica amministrazione, quali il principio di legalità, buon andamento e imparzialità, e, dall’altro, introducendo espressamente il principio di trasparenza come regola di condotta della pubblica amministrazione onde consentire in misura massima il livello di partecipazione del cittadino alle decisioni della pubblica amministrazione ed evitare conflitti in sede procedimentale. In questa ottica, rileva il dovere dell’Amministrazione di rendere visibile e controllabile dall’esterno il proprio operato: i principi della pubblicità e della trasparenza trasformano gli amministrati da spettatori a protagonisti dell’operato dei pubblici poteri, attribuendo loro l’esercizio di un controllo democratico sullo svolgimento dell’attività amministrativa e sulla conformità di questa ai principi costituzionali. Alla trasparenza viene attribuito il significato di “conoscibilità esterna” dell’azione amministrativa, e quindi l’accessibilità dei relativi documenti diventa un principio generale della pubblica amministrazione: l’istituto del diritto di accesso assicura a tutti sull’intero territorio nazionale il godimento del diritto alla trasparenza dell’azione amministrativa; accanto a questo si pongono l’obbligo di motivazione, 6 nonché l’obbligo di comunicazione di avvio del procedimento e la conseguente partecipazione del privato al procedimento. La legge n. 69/2009 ha inserito nell’art.1 della legge n. 241/90 anche il principio di imparzialità tra i canoni fondamentali dell’attività amministrativa (assieme al principio di legalità e a quello di buon andamento ex art. 97 Cost), inteso come equidistanza tra più soggetti pubblici o privati che vengono a contatto con la pubblica amministrazione, ma anche come capacità del responsabile del procedimento, nell’espletamento delle proprie funzioni, di raggiungere un grado di astrazione tale da far valere l’interesse pubblico solo dopo una attenta ponderazione delle posizioni di coloro che si trovano in potenziale conflitto con la pubblica amministrazione agente. Tutta l’attività amministrativa è informata anche al principio di buon andamento, che viene mutuato dalla compenetrazione di altri criteri contenuti nell’art.1 della l.241/90, quali l’economicità e l’efficacia (ottimizzazione dei risultati in relazione ai mezzi a disposizione e idoneità dell’azione amministrativa a perseguire gli obiettivi enucleati dalla legge per la tutela degli interessi pubblici), la rapidità ed il miglior contemperamento degli interessi. Anche nell’ulteriore principio di ragionevolezza confluiscono eguaglianza, imparzialità e buon andamento: in forza di tale principio l’azione amministrativa deve adeguarsi, al di là delle prescrizioni normative, ad un canone di razionalità operativa in modo da evitare decisioni irrazionali e arbitrarie. Alla fine del I° comma dell’art.1 la legge 15/2005 ha inserito il riferimento ai principi generali dell’ordinamento comunitario quale principio che deve regolare l’azione delle pubbliche amministrazioni. La scelta operata dal legislatore è dunque quella di assoggettare all’operatività dell’ordinamento comunitario tutta l’azione amministrativa nazionale, indipendentemente dai settori e dalle posizioni soggettive rilevanti, ossia senza distinguere se si tratti di procedimenti regolati dal diritto comunitario o meno. I principi ispiratori della legge n.241/90 sono posti a tutela dell’equo contemperamento degli interessi coinvolti nel processo amministrativo. La loro 7 applicazione concorre a garantire la correttezza dell’azione amministrativa e, indirettamente, produce una riduzione della conflittualità. 2 . IL PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO – L’attività della pubblica amministrazione si svolge secondo un ordine logico e temporale, normativamente predisposto, che assume il nome di procedimento. Fino all’entrata in vigore della legge 7.8.90, n.241 mancava nel nostro ordinamento una disciplina generale del procedimento amministrativo; con tale legge, modificata dalle leggi n.15/2005 e n.80/2005 e n. 69/2009 il legislatore ha introdotto una normativa di principio che si limita a definire i criteri essenziali ai quali deve attenersi la pubblica amministrazione. Il procedimento amministrativo si articola in quattro fasi, cronologicamente e strumentalmente ordinate alla formazione dell’atto finale: la fase dell’iniziativa che può essere assunta ad istanza di parte o d’ufficio; la fase dell’istruttoria, diretta all’acquisizione, da parte dell’autorità amministrativa procedente, di tutti gli elementi idonei a valutare l’interesse pubblico bilanciandolo con la tutela di altri interessi; la fase conclusiva di adozione dell’atto finale e la fase integrativa dell’efficacia – che ricorre solo ove espressamente prevista dalla legge - consistente in una serie di operazioni preordinate a fare acquisire efficacia all’atto finale del procedimento 4. La legge n. 241/90 detta alcune regole e prevede gli istituti di seguito descritti, comuni a tutti i procedimenti amministrativi, anche al fine di contemperare gli interessi coinvolti nell’azione amministrativa e tentare di prevenire ed evitare forme di conflitto e contenzioso. 3. IL RESPONSABILE DEL PROCEDIMENTO – Tutto il Capo II della legge n. 241/90 è riservato alla regolamentazione della figura del responsabile del procedimento, ovvero del soggetto al quale è affidato il ruolo di autorità guida di ciascun procedimento amministrativo. 4 T. Martinez, Manuale di diritto amministrativo, Giuffrè ed. 2005. 8 Il responsabile vigila sul decorso del procedimento, assicurando le connessioni tra le varie fasi, e rappresenta per il cittadino uno stabile punto di riferimento in armonia con i principi di trasparenza, efficacia ed efficienza dell’azione amministrativa. Tale istituto è stato introdotto per contrastare la frammentazione ed il rallentamento dell’azione amministrativa, l’irresponsabilità di fatto dei soggetti deputati a gestire il procedimento e la possibilità di un effettivo controllo sul loro operato (trasparenza). Tale personalizzazione e responsabilizzazione delle persone fisiche che agiscono per conto dell’ente è stata proseguita anche dalla legge n.69/2009, che all’art.2 ha previsto forme di responsabilizzazione in caso di mancata emanazione del provvedimento nei termini previsti: l’art.4, co.2, del T.U. del pubblico impiego che prevede la responsabilità in via esclusiva dei dirigenti per l’attività amministrativa, la gestione e i risultati, viene così esteso anche all’ipotesi di mancato rispetto dei termini, in quanto la mancata emanazione del provvedimento costituisce elemento di valutazione della responsabilità dirigenziale. Oltre la sua designazione (artt. 4 e 5) la legge prevede l’obbligo di comunicare agli interessati il nominativo del responsabile del procedimento, l’unità organizzativa competente (art.5, u.c.) ed i compiti del responsabile del procedimento (art.6). L’atto di designazione non comporta il trasferimento di funzioni amministrative da un organo ad un altro, né crea nuove competenze o nuove mansioni in carico al dipendente investito dell’incarico di responsabile del procedimento: egli non riveste una posizione sovraordinata, ma a seguito dell’incarico avrà diritto di sollecitare l’adozione dei comportamenti dovuti, oltre che di denunciare eventuali omissioni o inadempienze degli altri addetti. Grava, infatti, sul responsabile del procedimento il dovere generale di porre in essere ogni atto o adempimento che si rilevi necessario per il buon esercizio dell’azione amministrativa (art.6 l. 241/90). La lettera e) del citato articolo 6, introdotta dal legislatore del 2005 ha previsto che laddove tale figura non coincida con l’organo competente all’emissione del provvedimento finale, quest’ultimo ha l’obbligo di motivare le ragioni per le quali si è discostato dalle risultanze dell’istruttoria effettuata dal responsabile del procedimento . 9 L’articolo 7 della legge n. 241 del 1990, fissa l’obbligo di comunicare l’avvio del procedimento ai soggetti nei cui confronti il provvedimento finale è destinato a produrre effetti diretti, ai soggetti obbligati per legge ad intervenire nel procedimento, ai soggetti che possono essere pregiudicati dal provvedimento e, su richiesta, a chiunque ne abbia interesse: l’eventuale omissione dà luogo ad una situazione di irregolarità dell’atto e può rilevare in termini di responsabilità disciplinare dell’agente che ha omesso la comunicazione. Da tutto ciò si ricava che la responsabilità che emerge dalle competenze ex artt.4, 5 e 6 della legge n. 241/90 in capo al responsabile del procedimento identifica un nuovo modello di svolgimento dell’azione amministrativa, che esce dall’anonimato e coordina la partecipazione degli interessati in ragione dell’economicità dell’azione amministrativa e della deflazione del contenzioso. Stante l’assenza di un vero e proprio regime sanzionatorio, tuttavia, devono ritenersi applicabili le disposizioni generali in tema di responsabilità penale, civile, amministrativa, contabile e disciplinare dei dipendenti (art.28 Cost: il responsabile del procedimento è direttamente responsabile in sede civile, penale ed amministrativa degli atti posti in essere in violazione delle posizioni giuridiche soggettive dei privati). La figura del responsabile del procedimento costituisce un punto di riferimento per il privato che intende chiarire la propria posizione giuridica soggettiva in un’ottica di riduzione preventiva della conflittualità sia nella fase istruttoria che in quella successiva decisoria in sede di autotutela. 4. LA PARTECIPAZIONE PROVVEDIMENTO AL PROCEDIMENTO E LA MOTIVAZIONE DEL – La partecipazione degli interessati al procedimento amministrativo sancita dagli artt. 7 e segg. della legge n. 241/90 garantisce il rispetto del principio del giusto procedimento, secondo il quale il procedimento amministrativo si deve svolgere in modo tale da imporre limitazioni ai cittadini solo dopo aver svolto gli opportuni accertamenti ed aver messo gli interessati in grado di esporre le proprie ragioni, con evidenti effetti deflattivi del contenzioso: ogni disposizione che limiti o escluda tale diritto va interpretata in modo rigoroso al fine di evitare di eludere il principio stesso. 10 Gli istituti di partecipazione realizzano anche la trasparenza dell’azione amministrativa, in quanto il diritto di prendere visione degli atti e documenti e di essere ascoltati permette di conoscere a fondo il formarsi dell’azione amministrativa, consentendo anche allo stesso giudice di effettuare un penetrante controllo sotto il profilo della correttezza dell’iter logico seguito e della completezza dell’istruttoria. Lo strumento indispensabile per attivare la partecipazione al procedimento è costituito dalla comunicazione di avvio del procedimento, che deve essere effettuata a ridosso dell’inizio del procedimento e prima dell’inizio dell’istruttoria, comunque entro un termine congruo prima dell’adozione del provvedimento finale perché deve permettere al privato di partecipare all’iter procedimentale (ne consegue che comunicazioni effettuate con eccessivo ritardo sono equiparabili al difetto di comunicazione e comportano l’illegittimità del provvedimento finale) 5 . Va precisato tuttavia che la mancanza degli elementi informativi contenuti nella comunicazione non comporta inevitabilmente l’illegittimità del provvedimento finale qualora il privato, avuta comunque conoscenza del provvedimento, possa attivarsi al fine di acquisire le informazioni necessarie 6. Con la motivazione la pubblica amministrazione esterna i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche poste a fondamento dell’adozione di un determinato provvedimento: con la legge n. 241/90 (art.3) è stato previsto un obbligo generale di motivazione per tutti i provvedimenti amministrativi, compresi quelli concernenti l’organizzazione amministrativa, lo svolgimento dei concorsi (inteso in senso ampio, comprensivo anche delle gare per la stipulazione dei contratti, quali, ad es., quelli di appalto pubblico) ed il personale, con la sola eccezione degli atti normativi e a contenuto generale. L’art.10-bis della legge n. 241/90 prevede una fase del contraddittorio nei procedimenti ad istanza di parte che secondo l’Amministrazione devono concludersi 5 In tal senso, TAR Lombardia, Brescia, sez I, 8.4.2010, n.1514, in Foro Amm. TAR, 2010, 4, 1213. 6 Cfr. Caringella cit. 11 con un provvedimento negativo: il preavviso di diniego 7, che si configura come atto endoprocedimentale di natura predecisoria, quindi non impugnabile, con il quale si avvisa l’istante dei motivi ostativi all’accoglimento della sua domanda, invitando lo stesso a produrre le proprie osservazioni. Tale istituto, da un lato, risponde alla finalità di raccogliere ulteriori informazioni utili per l’emanazione del provvedimento finale e, dall’altro, anticipa in tale fase le richieste che potrebbero essere addotte in un successivo giudizio, comportando una potenziale diminuzione del contenzioso tra pubblica amministrazione e privati. I destinatari del preavviso (che deve essere effettuato in forma scritta) sono gli istanti e non tutti coloro che abbiano partecipato al contraddittorio istruttorio: l’istante raggiunto dal preavviso può rispondere o meno entro il termine di dieci giorni dal ricevimento della comunicazione. Nel caso in cui non risponda l’Amministrazione concluderà il procedimento con un provvedimento espresso in conformità alla proposta comunicata al cittadino. Questo tipo di partecipazione, inserito nella fase antecedente l’adozione del provvedimento finale, concretizza una ulteriore ipotesi di deflazione del contenzioso. 5. IL DIRITTO DI ACCESSO AI DOCUMENTI AMMINISTRATIVI – Al diritto di accesso, diretta applicazione del principio di trasparenza (art.22 l.241/90) è stato assegnato il ruolo di contemperamento delle contrapposte esigenze di celerità dell’azione amministrativa e di garanzia degli interessi dei soggetti titolari di situazioni giuridiche. Con esso è consentito ai destinatari dell’azione amministrativa di tutelare i propri interessi mediante la facoltà di conoscere la documentazione che l’Amministrazione ha utilizzato per l’adozione della determinazione finale. 7 “Nei procedimenti ad istanza di parte il responsabile del procedimento o l’autorità competente, prima della formale adozione di un provvedimento negativo, comunica tempestivamente agli istanti i motivi che ostano all’accoglimento della domanda. Entro il termine di dieci giorni dal ricevimento della comunicazione, gli istanti hanno il diritto di presentare per iscritto le loro osservazioni, eventualmente corredate dai documenti.(omissis)… Dall’eventuale mancato accoglimento di tali osservazioni è data ragione nella motivazione del provvedimento finale. (omissis)…”. 12 La legge n. 15/2005 ha elevato il diritto di accesso a principio generale dell’attività amministrativa e si è poi provveduto a disciplinarne le modalità di esercizio emanando le relative norme esecutivi contenute nel d.P.R. 12 aprile 2006 n. 184. Il diritto di accesso ai documenti amministrativi, in virtù delle sue elevate finalità di interesse pubblico generale, è stato ricondotto nell’alveo delle prestazioni essenziali che lo Stato deve garantire in maniera uniforme su tutto il territorio nazionale, giusta la disposizione di cui all’art. 117, comma 2, lett. m) Cost. Costituisce un preciso ed ineludibile onere di chiunque chieda di accedere a documenti amministrativi indicare la specifica posizione legittimante 8: è legittimato all’accesso chiunque possa dimostrare che il provvedimento o il documento amministrativo richiesto all’accesso siano astrattamente idonei a produrre effetti diretti o indiretti nei suoi confronti. Sono quindi accessibili sia i documenti relativi ad atti inoppugnabili sia i documenti acquisibili in sede processuale con apposita istruttoria. I caratteri dell’interesse all’accesso sono l’attualità, la personalità, la concretezza e la serietà (meritevolezza). Il nuovo articolo 22 designa come titolari del diritto tutti i soggetti privati, ricomprendendo tra essi espressamente anche i portatori di interessi pubblici o diffusi (quindi associazioni, comitati, ecc.) i quali comprovino di avere un interesse diretto, concreto ed attuale, che corrisponda ad una situazione giuridicamente tutelata collegata al documento al quale si richiede di accedere. Il soggetto interessato all’accesso è dunque tenuto a fornire alla pubblica amministrazione che detiene il documento la dimostrazione di un puntuale interesse alla conoscenza della documentazione stessa e della correlazione fra la cognizione degli atti e la tutela della posizione giuridica del soggetto che esercita il diritto Va precisato che l’art.24, co.3, stabilisce che “non sono ammissibili istanze di accesso preordinate ad un controllo generalizzato dell’operato delle pubbliche amministrazioni” 9. 8 9 In tal senso Cons. Stato, Sez. V, 21.11.2006, n. 6813. TAR Lazio, Roma, Sez. I, 16.2.2004, n. 1453. 13 In tal senso, sotto il profilo organizzativo non possono sottacersi le disposizioni che prevedono l’istituzione di uffici per le relazioni con il pubblico e dei servizi di accesso polifunzionale, che possono avvalersi di strumenti informatici (art 10 ed 11 d. lgvo 30.3.2001 n. 165). A questo proposito, occorre rappresentare che il legislatore del 1990 ha inglobato nel concetto di documento amministrativo “ogni rappresentazione grafica, foto cinematografica, elettromagnetica o di qualunque altra specie del contenuto di atti anche interni formati dalle pubbliche amministrazioni o comunque utilizzati ai fini dell’attività amministrativa.” Nel contesto di cui si discute, va fatto cenno alla legge 27.10.2009 n. 159 ( riforma Brunetta) che al comma 2 dell’art 1 stabilisce che le disposizioni del decreto assicurano, fra l’altro: “ …la trasparenza dell’operato delle amministrazioni pubbliche anche a garanzia della legalità”, e che all’art 3, fra i principi generali, “ la trasparenza dei risultati della pubblica amministrazione e delle risorse impiegate per il loro perseguimento” obbliga infatti tutte le amministrazioni pubbliche ad adottare un programma per la trasparenza e l’integrità da aggiornare con cadenza triennale, per indicare le iniziative intraprese per garantire un adeguato livello di trasparenza, la legalità e lo sviluppo della cultura dell’integrità, da pubblicare anche su sito internet . Per completare il quadro, è opportuno anche richiamare la direttiva del Ministero per la funzione pubblica del 17.2.2006 sulla rendicontazione sociale delle pubbliche amministrazioni con la quale si prevede che “ il bilancio sociale serve a rendere conto ai cittadini in modo trasparente e chiaro di cosa l’amministrazione fa per loro”. In conclusione, è possibile affermare che la trasparenza è divenuto un valore fondamentale per la pubblica amministrazione sia sotto il profilo gestionale che organizzativo, nel senso della effettiva visibilità e comprensibilità dell’azione e dell’organizzazione amministrativa 10, che consentono di evitare tutte quelle forme di 10 Cfr. L’evoluzione del principio di trasparenza di Francesco Manganaro Ed. Aracne 2010 14 contenzioso finalizzate ad ottenere ciò che oggi si può avere mediante la presentazione di una richiesta di accesso ai sensi dell’articolo 22 della legge n. 241 del 1990. 6. L’AUTOTUTELA – Nell’ottica di deflazionare il contenzioso, uno strumento particolarmente utile ed importante è rappresentato dal potere di autotutela di cui dispone la pubblica amministrazione, inteso non soltanto come possibilità di rimuovere i provvedimenti amministrativi inopportuni (ex art. 21quinquies l.n. 241/1990) o illegittimi (ex art. 21-nonies l.n. 241/1990), al fine di evitare di affrontare un contenzioso che la vedrebbe perdente, ma anche come possibilità di modificare i provvedimenti adottati al fine di sanare gli eventuali vizi che li affliggono, in modo tale da indurre i destinatari dell’azione amministrativa a desistere dall’intento di presentare ricorso o, comunque, contestare l’operato dell’organo che ha agito nel caso concreto. Si pensi, sotto questo profilo, alla possibilità di convalida (provvedimento nuovo e autonomo con il quale è possibile eliminare i vizi di legittimità di un atto invalido precedentemente emanato dalla stessa autorità; ad esempio, con l'atto di convalida può essere integrata la motivazione dell'atto invalido, ovvero possono essere eliminate le clausole invalidanti o inseriti elementi mancanti nell'atto precedentemente emanato), di sanare (mediante il provvedimento di sanatoria, un atto o un presupposto di legittimità mancante al momento dell'emanazione del provvedimento amministrativo viene emesso successivamente al fine di perfezionare, ex post, l’atto illegittimo; la sanatoria non costituisce un provvedimento nuovo ed autonomo, ma si identifica con l’atto che nel caso concreto è stato omesso; per tale ragione la sanatoria è limitata ad alcuni tipi di atto quali proposte e approvazioni e non anche ai pareri), ratificare (al fine di eliminare il vizio di incompetenza relativa da parte dell’autorità astrattamente competente, la quale si appropria dell’atto adottato dall’organo incompetente). PARTE II - IL CONTENZIOSO E LE FORME DI DEFINIZIONE STRAGIUDIZIALE DELLE CONTROVERSIE CAPITOLO 1 – LE ALERNATIVE DISPUTE RESOLUTION (ADR) 15 1. I NUOVI MODELLI DI DEFINIZIONE DELLE CONTROVERSIE IN AMBITO EUROPEO - In connessione con l’esigenza di assicurare il rispetto dei principi di ragionevole durata del processo, di deflazione del contenzioso e di effettività della tutela giurisdizionale, è stata avvertita, dapprima negli Stati Uniti e, negli ultimi anni, in ambito comunitario, la necessità di individuare forme di risoluzione delle controversie alternative alla tutela giurisdizionale 11. Tali nuovi strumenti sono stati denominati con l’acronimo ADR, ovvero Alternative Dispute Resolutions, per indicare istituti che, pur presentando sul piano strutturale connotazioni eterogenee, mostrano, sul piano funzionale, scopi comuni quali: la risoluzione dei conflitti senza ricorrere al giudice; la gestione della lite in modo semplificato, con forte risparmio di costi e di tempo; la valorizzazione della libertà di autodeterminazione degli attori sociali e la continuità dei rapporti tra le parti 12. Forte impulso alla diffusione di questi modelli è stato dato nel 2002 dal libro verde 13 adottato dalla Commissione europea, relativo ai “modi alternativi di risoluzione delle controversie in materia civile e commerciale”; nel 2008 con l’approvazione della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio n. 2008/52/CE, per la diffusione della mediazione all’interno degli Stati membri; nel Trattato di Lisbona (2007/C 306/01 - che modifica il trattato sull'Unione europea, firmato il 13 dicembre 2007), al fine di garantire, mediante una celere definizione della lite, il buon funzionamento del mercato interno, abbattendo i costi del ricorso allo strumento tradizionale fornito dalle Corti di giustizia. 11 Galeani, Recchia, Testa- “I metodi di risoluzione alternativa delle controversie” Officina giuridica Ianua: “Già nel diritto romano era prevista nelle legis actiones una fase davanti al magistrato ove, oltre a istruire la controversia, si provvedeva a tentare la conciliazione (fase in ius) e, solo in una seconda fase, fallito il tentativo conciliativo, la controversia era decisa da un giudice (fase apud iudicem). Ciò a dimostrare come l’istituto della conciliazione fosse radicato nella storia della società umana”. 12 F. Astone “Strumenti di tutela e forme di risoluzione bonaria del contenzioso nel codice dei contratti pubblici” – Giappichelli , 2007. 13 Il libro verde, presentato il 10.4.2002 agli stati membri, richiama particolarmente l'attenzione sul ruolo dell'A.D.R. come strumento al servizio della pace sociale ed al riguardo osserva "le parti non si affrontano più, ma al contrario si impegnano in un processo di riavvicinamento e scelgono esse stesse il metodo di risoluzione del contenzioso. Questo approccio consensuale aumenta la possibilità, per le parti, di mantenere, una volta risolta la lite, le loro relazioni di natura commerciale o di altra natura ". 16 2. LE ADR NELL’ORDINAMENTO GIURIDICO ITALIANO Nell’ordinamento italiano, la via ordinaria solitamente seguita dalle parti in conflitto per risolvere la lite è quella di rivolgersi al giudice per ottenere la tutela del proprio diritto, come garantito dall’articolo 24 della Costituzione. Manca ancora una vera e propria cultura della risoluzione delle controversie alternativa alla via giurisdizionale, che si traduce in una scarsa attenzione verso i nuovi modelli, anche se l’ordinamento italiano ne conosce già alcuni, che si possono distinguere in strumenti di autocomposizione e di eterocomposizione della lite, a seconda se la soluzione sia attuata direttamente dalle parti, ovvero mediante l’intervento di un terzo. Tipiche espressioni delle due figure sono costituite, nel primo caso, dalla transazione e, nel secondo caso, dall’arbitrato. A metà strada si colloca la conciliazione, che viene attuata sì dalle parti, ma alla presenza di un terzo che svolge soprattutto un ruolo di indirizzo più o meno ampio 14. 2.1. FORME DI AUTOCOMPOSIZIONE DELLE LITI: LA TRANSAZIONE - L’articolo 1965 del codice civile definisce la transazione il contratto con il quale le parti, facendosi reciproche concessioni, pongono fine ad una lite già iniziata o prevengono una lite che può sorgere tra di loro. Tale soluzione è valida solo se ha ad oggetto diritti disponibili, vale a dire quando le parti hanno il potere di estinguere il diritto in forma negoziale, rinunziando ai diritti che derivano dal rapporto che le lega. 15. Si tratta di un atto scritto, a titolo oneroso e a prestazioni corrispettive in cui, una volta raggiunto l’accordo, il nuovo assetto voluto dalle parti in relazione al rapporto controverso si sostituisce ad ogni precedente regolamentazione del rapporto stesso e si pone come fonte regolatrice della nuova situazione giuridica. 14 G.A. Tarzia in “Arbitrato, ADR, Conciliazione” – Zanichelli 2009. Ai sensi dell’art. 1966, comma 2, la transazione è nulla se ha ad oggetto gli status personali, i diritti della personalità, l’obbligazione di prestare gli alimenti, l’obbligazione naturale. 15 17 Presuppone la sussistenza di una lite (res litigiosa), in atto o potenziale, di un accordo che influisce su un rapporto giuridico avente carattere di incertezza (res dubia), ed ha come oggetto non il rapporto o la situazione giuridica cui si riferisce la discorde valutazione delle parti, ma la lite cui questa ha dato luogo o può dar luogo e che le parti stesse intendono evitare. In relazione all’oggetto si distingue poi la transazione “generale”, con la quale le parti chiudono definitivamente ogni contestazione su tutti i loro pregressi rapporti, costituendo tra loro una nuova situazione giuridica, dalla transazione “speciale”, che riguarda un affare determinato, in modo da produrre l’effetto preclusivo della lite limitatamente all’affare oggetto della transazione . 16 2.2. FORME DI ETEROCOMPOSIZIONE DELLE LITI: L’ARBITRATO - Tipico strumento di eterocomposizione della lite è l’arbitrato, disciplinato dal codice civile quale mezzo alternativo al giudizio per la risoluzione delle controversie aventi ad oggetto diritti disponibili. Con esso le parti, volontariamente, possono sottrarre alla giurisdizione statale la decisione di liti tra esse insorte, per affidarle ad un privato, l’arbitro, scelto dalle parti stesse e, spesso, costituito da un collegio di almeno tre persone, il quale porrà fine alla controversia con un provvedimento denominato dalla legge lodo. Tale volontaria sottrazione per la devoluzione al giudizio dell’arbitro deve avvenire attraverso un negozio, per il quale è imposta la forma scritta (art.807 c.p.c.), denominato patto compromissorio o convenzione arbitrale, che può assumere la forma del compromesso o della clausola compromissoria (artt. 807 e 808 c.p.c.). L’arbitro perviene alla soluzione della lite decidendo la controversia entro un termine di 240 giorni (art. 820 c.p.c.), a conclusione di un processo le cui norme regolamentari possono essere liberamente stabilite dalle parti (art.816 bis c.p.c.), ma nel 16 Astone, cit. 18 quale deve essere, comunque, assicurato il rispetto del principio del contraddittorio (art.829, I° comma, n.9, c.p.c.) 17. Le parti possono, inoltre, stabilire che la decisione sia: secondo diritto, se l’arbitro si pronuncia in base alle norme che disciplinano la fattispecie oggetto della controversia; secondo equità nel caso le parti siano concordi a voler far decidere la questione secondo un criterio basato su “valori oggettivi, già emersi nel contesto sociale, ma non ancora tradotti in termini di legge scritta”. 18 Il vero grande vantaggio di tale alternativa è quello di non porre in contrasto le parti e di mantenere rapporti protratti nel tempo 19. Si parla, poi, di arbitrato rituale se gli arbitri, nel loro giudicare, seguono le norme del codice di procedura civile. Pur essendo simile, per forma, ad una sentenza, il lodo ne può assumere la forza soltanto attraverso l’omologa del Tribunale. Ove, invece, gli arbitri stabiliscano loro stessi le modalità di svolgimento della procedura, l'arbitrato è considerato irrituale e la statuizione finale avrà efficacia negoziale. La differenza tra le due species di arbitrato risiede nel fatto che, nel primo caso, le parti intendono ottenere un lodo vincolante ed efficace tra loro, impugnabile dinanzi al giudice ordinario; mentre, nel secondo caso, esse intendono pervenire alla soluzione della lite sul piano esclusivamente negoziale, precludendosi la possibilità di ottenere una decisione suscettibile di acquisire gli anzidetti effetti. L’uno si conclude con un atto equiparabile ad una sentenza di primo grado, l’altro con un negozio, senza esaurire quindi alcun grado di giurisdizione, anche se il giudice deve tenerne conto nel decidere la controversia, a meno di una sua preventiva invalidazione, ottenibile con le ordinarie impugnative negoziali. 17 G. A. Tarzia da “Arbitrato, ADR, Conciliazione, dottrina casi sistemi” Ed. Zanichelli – 2009. Cass. 11 novembre 1991 n. 12014. 19 Galeani, Recchia, Testa - Testa: I metodi di risoluzione alternativa delle controversie – Officina Giuridica Ianua 2011. 18 19 L’arbitrato presenta una serie di vantaggi rispetto al procedimento giurisdizionale ordinario, quale la rapidità, la possibilità per le parti di poter scegliere gli arbitri che decideranno la controversia utilizzando nei collegi soggetti tecnicamente qualificati per la trattazione della specifica materia del contendere, la riservatezza della controversia; ma presenta anche lo svantaggio del costo della procedura, sicuramente più alto di un giudizio davanti ad un giudice 20. 2.3. LA VIA INTERMEDIA: LA CONCILIAZIONE - La conciliazione costituisce la via intermedia fra gli strumenti di autocomposizione e di eterocomposizione della lite, in quanto l’accordo fra le parti in conflitto può essere raggiunto grazie al ricorso ad un soggetto terzo che, però, riveste un ruolo di solo indirizzo. Nella normativa italiana il sistema processuale incentrato sul codice di procedura civile nel suo impianto iniziale, metteva in primo piano la conciliazione giudiziale, sia attraverso il tentativo di conciliazione in corso di causa, volto ad evitare la prosecuzione del processo piuttosto che a scongiurarne l’inizio, sia dando spazio alla figura del giudice conciliatore, poi sostituita da quella del giudice di pace, caratterizzata, però, da una prevalenza della funzione giudicante rispetto a quella finalizzata all’amichevole composizione della lite 21. Le norme del codice prevedono, come regola generale, che la convenzione conclusa dalle parti in giudizio per effetto della conciliazione confluisca in un verbale, sottoscritto dalle parti, che costituisce titolo esecutivo (art.185 c.p.c.). Le statistiche degli uffici del registro dimostrano, però, come non sia frequente l’esito conciliativo rispetto al volume del contenzioso. L’istituto, infatti, è stato spesso ostacolato dall’essere ormai la causa in corso e dall’assenza di una previsione di conseguenze rilevanti in caso di mancata conciliazione. 20 L’arbitro viene pagato direttamente dalle parti e la misura e le modalità di pagamento delle spese viene concordata tra le parti e l’arbitro; ciò è differente dal sistema dei costi della mediazione ove è fatto espresso divieto per il mediatore di percepire somme direttamente dalle parti, che invece devono versare il dovuto all’organismo di mediazione sulla base di tariffe minime e massime stabilite in apposito regolamento ministeriale. 21 G. Di Rago “La nuova conciliazione delle liti” da Italia Oggi 2010. 20 Il precedente più significativo di conciliazione stragiudiziale si rinviene nel tentativo di conciliazione nelle cause di lavoro, innanzi alle apposite commissioni presso gli uffici provinciali del lavoro, introdotto dal legislatore nel 1973 e poi generalizzato, dapprima, nelle controversie di pubblico impiego privatizzato con il d.lgs. 29/93 e, poi, in tutto il rito del lavoro nel 1998. Fino a poco tempo fa la conciliazione stragiudiziale in materia di lavoro, disciplinata dal codice di procedura civile, era obbligatoria e costituiva condizione di procedibilità della successiva eventuale azione giudiziaria innanzi al giudice del lavoro. Di recente, gli scarsi effetti deflattivi sul contenzioso hanno, invece, indotto il legislatore a optare per la conciliazione facoltativa, come previsto dalla legge n.183/2010 (cd. “Collegato lavoro”), per cui le parti possono ricorrere direttamente al giudice del lavoro (articolo 31, comma 3, che modifica l’articolo 410 c.p.c.). 22 Conseguentemente, il legislatore ha attribuito un valore centrale alla risoluzione arbitrale irrituale davanti alle commissioni provinciali di conciliazione o davanti ai collegi di conciliazione . 23 In particolare, si prevede che in qualunque fase del tentativo di conciliazione, o al suo termine in caso di mancata riuscita, le parti possono accordarsi per la risoluzione della lite affidando alla commissione di conciliazione il mandato a risolvere in via arbitrale la controversia (art. 31, comma 5). Inoltre, la legge n. 183 del 2010 estende le norme del codice di procedura civile alle controversie inerenti i rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni (art. 31, comma 9, abrogativo degli articoli 65 e 66 del D.Lgs. 165/2001) e, quindi, la procedura del tentativo di conciliazione è ormai identica a prescindere che si tratti di datore di lavoro pubblico o privato. 22 Art. 31, comma 3, legge 183/2010 che sostituisce integralmente l’articolo 410 c.p.c.. Se la conciliazione riesce, anche limitatamente ad una parte della domanda, viene redatto separato processo verbale sottoscritto dalle parti e dai componenti della commissione di conciliazione. Il giudice, su istanza della parte interessata, lo dichiara esecutivo con decreto. Se non si raggiunge l'accordo tra le parti, la commissione di conciliazione deve formulare una proposta per la bonaria definizione della controversia. Se la proposta non e' accettata, i termini di essa sono riassunti nel verbale con indicazione delle valutazioni espresse dalle parti. Delle risultanze della proposta formulata dalla commissione e non accettata senza adeguata motivazione il giudice tiene conto in sede di giudizio. 23 G. Dosi “Dalla conciliazione giudiziale alla mediazione stragiudiziale” – De Jure – 2011. 21 2.3.1. LA RIFORMA DELLA CONCILIAZIONE STRAGIUDIZIALE: LA MEDIAZIONE La prima vera riforma in materia di conciliazione stragiudiziale, estesa alla quasi totalità delle cause civili e commerciali, nasce dal forte impulso che l’Unione europea ha dato nell’ultimo decennio al tema dello sviluppo delle procedure di risoluzione delle controversie alternative a quelle giudiziarie. Tale riforma (che trova il suo precedente più significativo nell’ambito delle liti societarie ai sensi del d.lgs. n. 5/2003 24) è stata introdotta con il d.lgs. 4 marzo 2010, n.28, attuativo dell’articolo 60 della legge delega 18 giugno 2009, n. 69 25 , in materia di “mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali”, a sua volta espressione della direttiva dell’Unione europea n.52/2008. Il d.lgs. n. 28/2010, che ha la finalità di deflazionare il sistema giudiziario italiano, usa il termine conciliazione non come nomen iuris del nuovo istituto, bensì come possibile esito positivo del procedimento di mediazione. Il nuovo sistema fa leva sul principio secondo cui “chiunque può accedere alla mediazione per la conciliazione di una controversia civile e commerciale vertente su diritti disponibili” (art.2) 26. Il tentativo di risoluzione stragiudiziale delle controversie previsto dalla riforma si distingue in tre tipologie: una mediazione obbligatoria in determinate materie tassativamente elencate dall’articolo 5 27 il cui esperimento è condizione di procedibilità nel caso di un successivo processo per mancata conciliazione delle parti; una mediazione demandata al giudice che si trova investito della controversia, che può ritenere, a seguito degli elementi di valutazione forniti in giudizio, di invitare le parti in 24 "Definizione dei procedimenti in materia di diritto societario e di intermediazione finanziaria, nonchè in materia bancaria e creditizia, in attuazione dell'articolo 12 della legge 3 ottobre 2001, n. 366". 25 "Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile". 26 In rivista giuridica De Jure – “Dalla conciliazione giudiziale alla mediazione stragiudiziale” cit. 27 Condominio, diritti reali, divisioni e successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, risarcimento di danno provocato dalla circolazione di veicoli e natanti, risarcimento del danno derivante da responsabilità medica, da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità, contratti assicurativi, bancari e finanziari. 22 lite a ricorrere all’istituto ; 28 la terza tipologia è, invece, quella volontaria, dove le parti, in qualsiasi momento (anche durante un procedimento giudiziario in corso), possono decidere di avviare una procedura di mediazione al fine di risolvere la lite sorta fra loro. Il mediatore è un soggetto terzo, neutro ed imparziale, dotato di specifica professionalità e formazione 29 , che cerca di stimolare la dialettica fra le parti indirizzandole al fine di trovare, in piena autonomia, una possibile soluzione alla controversia senza che a nessuna venga imposto di rinunciare alle proprie pretese. Se la mediazione, la cui procedura ha durata non superiore a quattro mesi (art.6), va a buon fine, si forma, sull’accordo accettato dalle parti, processo verbale, successivamente omologato, su istanza di parte, dal Tribunale: verificatane la conformità alle norme di legge, l’accordo diventa vincolante per i sottoscrittori. 30 In particolare, merita specificare che il legislatore - se da un lato per le controversie di lavoro sia pubblico che privato ha reso la conciliazione non più obbligatoria ma facoltativa – viceversa, per le controversie civili nelle materie elencate nell’art. 5 del decreto legislativo n. 28/2010 ha reso la mediazione obbligatoria. Volendo delineare più in dettaglio i rapporti fra la mediazione ed il giudizio civile come regolati dagli artt. 5 , 7 e 13 del predetto decreto legislativo, si può precisare che esso ha formato oggetto di modifiche ad opera del decreto legge 22.12.2011 n. 212, recante “disposizioni urgenti in materia di composizione delle crisi da sovraindebitamento e disciplina del processo civile”. L’art. 5, al comma 1, dopo aver precisato che la mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale, riconosce al giudice il potere di rilevare 28 La fattispecie si rivolge alla quasi totalità delle cause civili e commerciali: ai sensi dell’art. 5, comma 2, del D.Lgs. 28/2010, l’invito deve essere rivolto alle parti prima dell’udienza di precisazione delle conclusioni e, comunque, prima della discussione della causa: in tal senso essa costituisce l’evento finale di un procedimento di mediazione stragiudiziale, ed il verbale di conciliazione costituirà (ex art.185 c.p.c.) titolo esecutivo non solo con efficacia per l’espropriazione forzata e per l’esecuzione in forma specifica, ma anche per l’iscrizione dell’ipoteca giudiziale. 29 Il mediatore professionista svolge l’attività all’interno di enti appositamente istituiti dalla norma e posti sotto la vigilanza del Ministero della Giustizia. 30 S. Galeani, C. Recchia, C. Testa, cit. 23 d’ufficio l’improcedibilità della domanda ed i tempi per rilevare tale improcedibilità e disciplina in dettaglio le ipotesi in cui la mediazione prima del giudizio sia iniziata e non conclusa o non sia stata esperita. Con il comma 2, invece, viene riconosciuto al giudice adito il potere discrezionale di invitare le parti alla mediazione anche nella fase di appello, disciplinando le modalità per l’esercizio di tale potere. L’articolo in questione chiarisce, poi, che lo svolgimento della mediazione, non preclude la concessione dei provvedimenti cautelari – che, essendo finalizzati alla tutela di situazioni giuridiche con carattere di urgenza, sarebbero vanificati nella loro finalità dai tempi necessari all’espletamento della mediazione - e specifica i procedimenti per i quali l’espletamento della mediazione non costituisce condizione di procedibilità della domanda. Inoltre, con tale articolo vengono chiariti gli effetti impeditivi della prescrizione e della decadenza della domanda di mediazione. Con il comma 6 bis del predetto articolo 5 - introdotto dal decreto legge n. 212/2011, il legislatore ha demandato al capo dell’ufficio giudiziario la vigilanza sull’applicazione di quanto previsto dal comma 1 in merito alla mediazione nonché la facoltà di adottare ogni iniziativa necessaria a favorire l’espletamento della mediazione, nel caso in cui il giudice adito - in conformità a quanto previsto dal comma 2 del predetto articolo 5 - inviti, in corso di causa, le parti alla mediazione. Il predetto decreto legge, ha, poi, apportato un ulteriore modifica all’articolo 8, che disciplina il procedimento di mediazione, riconoscendo, al comma 5, il potere del giudice adito di condannare la parte costituita in giudizio al versamento nelle casse dello Stato di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio, nei casi, previsti dal richiamato articolo 5, in cui essa non abbia partecipato, senza giustificato motivo, al procedimento di mediazione, sia nella fase anteriore al giudizio che in pendenza dello stesso. 24 A tal fine, con la modifica apportata dal decreto legge per prevenire condotte delle parti intese ad ostacolare la mediazione, è stato precisato che tale condanna è disposta con ordinanza non impugnabile nel corso del giudizio. Dalle modifiche introdotte con il decreto legge emerge con chiarezza la volontà di incentivare la mediazione anche mediante la vigilanza sul rispetto delle relative procedure e la sanzione di condotte delle parti tendenti ad ostacolare il ricorso a tale strumento. Per completare il quadro normativo, si rileva che il legislatore, sempre al fine di favorire la definizione stragiudiziale delle vertenze, con l’articolo 13 ha disciplinato il regime delle spese processuali in relazione agli sviluppi dell’esito del giudizio ed alla sua corrispondenza o meno con le proposte emerse in sede di mediazione. Conclusivamente, si osserva che in relazione alle disposizioni introdotte con il decreto legislativo n. 28/2010, sono state sollevate diverse questioni di legittimità costituzionale. In particolare, il TAR Lazio con ordinanza n. 3202/2011, ha rimesso gli atti alla Corte Costituzionale per possibile illegittimità costituzionale, fra gli altri, dell’articolo 5 del decreto legislativo n. 28/2010, che configura la mediazione quale condizione di procedibilità della domanda giudiziale, per contrasto con gli artt. 24 e 77 della Costituzione. A tal fine, il giudice amministrativo osserva, fra l’altro, che le disposizioni citate: “risultano in contrasto con l’articolo 24 della Costituzione nella misura in cui determinano, nelle considerate materie, una incisiva influenza da parte di situazioni preliminari e pregiudiziali sull’azionabilità in giudizio del diritto soggettivo……”. Risulta quindi evidente che solo dopo le pronunce della Corte potranno essere delimitati gli esatti caratteri dell’istituto che si pone, al pari degli altri strumenti apprestati dall’ordinamento, quale via alternativa più celere per la definizione delle controversie, ma, a differenza del tentativo di conciliazione per le controversie di lavoro, non riveste carattere facoltativo ma obbligatorio. 25 CAPITOLO 2 – IL RUOLO DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE NELLE A.D.R.: L’AMMINISTRAZIONE COME PARTE IN CAUSA PREMESSA - La progressiva diffusione degli strumenti alternativi per la risoluzione delle controversie e, in particolare, della conciliazione tramite la mediazione in ogni settore del diritto civile, pone la questione dell’applicabilità dei vari istituti alle liti concernenti rapporti in cui la pubblica amministrazione è parte in causa. Al riguardo, è utile ricordare quanto rappresentato nella Parte I circa il fatto che, sin dai primi anni ’90, il settore della pubblica amministrazione ha subito diversi interventi legislativi volti al superamento dell’impianto esclusivamente autoritativo dell’agire pubblico ed alla valorizzazione dei rapporti paritetici tra ente pubblico e parte privata . 31 In questo contesto ed in questi ambiti possono trovare spazio le forme di soluzione stragiudiziale delle controversie di cui si discute. 1. LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE FRA CONCILIAZIONE E MEDIAZIONE - Nel nostro sistema ordinamentale manca un principio generale in tema di conciliazione stragiudiziale esteso alla pubblica amministrazione. Ciò è anche il risultato di una valutazione offerta al legislatore dalla prassi, che vede le pratiche conciliative molto più largamente diffuse nel settore civile e commerciale rispetto a quello amministrativo 32. Per la verità il legislatore ha tentato più volte, senza successo, di introdurre una disciplina generale della conciliazione stragiudiziale applicabile anche alle controversie amministrative, 33 il che ha lasciato aperta la discussione sul ruolo e sulle possibilità della pubblica amministrazione di intervenire nelle procedure in questione. 31 Al riguardo il comma 1 bis, art. 1, della legge 241/90 introdotto dalla l. 15/2005 prevede che “La pubblica amministrazione, nell’adozione di atti di natura non autoritativa agisce secondo le norme di diritto privato, salvo che la legge disponga diversamente”. 32 M. Giovannini – cit. 33 Si segnala in proposito il ddl 5492 presentato durante la XIV Legislatura, poi decaduto per il mancato completamento dell’iter parlamentare. 26 La discussione verte, principalmente, sulla contrapposizione fra rapporti di diritto privato, ove le relative controversie possono essere conciliate in quanto riguardano diritti soggettivi, e rapporti di diritto pubblico, ove ciò non potrebbe valere in virtù dell’indisponibilità dell’interesse pubblico che la funzione amministrativa è chiamata a soddisfare. Questa distinzione, tenuto conto del generale processo di avvicinamento della pubblica amministrazione ai modelli privatistici, che si affiancano agli strumenti tipici del diritto pubblico, non esclude l’eventualità di una definizione conciliativa delle liti attraverso la mediazione di un soggetto terzo 34. Il problema, dunque, non si pone per le controversie che si svolgono dinnanzi al giudice ordinario ed hanno ad oggetto comportamenti o attività di diritto privato della pubblica amministrazione che incidono su diritti disponibili 35 - situazioni che le parti hanno il potere di estinguere in forma negoziale - posto che l’art. 2, del d.Lgs. n. 28 del 2010, stabilisce che chiunque può accedere alla mediazione per la conciliazione di una controversia civile e commerciale vertente su diritti disponibili 36. 2 PUBBLICA SETTORI SPECIFICI - In AMMINISTRAZIONE E CONCILIAZIONE STRAGIUDIZIALE IN alcune materie, prima del D.Lgs. n. 28/2010, il legislatore aveva comunque già previsto alcuni importanti elementi di novità, attraverso la possibilità di risolvere, in via conciliativa, l’eventuale contenzioso che vede coinvolta la pubblica amministrazione; materie nelle quali, data la specifica disciplina, non trova applicazione la richiamata normativa sulla mediazione. Premesso quanto già detto brevemente sulla conciliazione in materia di lavoro alle dipendenze di una pubblica amministrazione ai sensi della legge n.183/2010, merita 34 ,. L. Cattalano “Possibilità di ricorso all’ADR da parte della PA e responsabilità del funzionario pubblico” in “ La Mediazione – regole e tecniche” , Officina del Diritto, Ed. Giuffrè – 2011. 35 Sono escluse, ad esempio, le controversie in materia di stato e capacità delle persone, procedure concorsuali o obbligatorie. 36 Art. 2 Controversie oggetto di mediazione - 1. Chiunque può accedere alla mediazione per la conciliazione di una controversia civile e commerciale vertente su diritti disponibili, secondo le disposizioni del presente decreto. 2. Il presente decreto non preclude le negoziazioni volontarie e paritetiche relative alle controversie civili e commerciali, nè le procedure di reclamo previste dalle carte dei servizi. 27 qui di essere segnalato il sistema previsto dalla legge n. 15/2009(cd. “pacchetto Brunetta”) 37, da cui è scaturito il d.L.vo 20 dicembre 2009, n. 198, in materia di ricorso per l’efficienza delle amministrazioni e dei concessionari di servizi pubblici: premesse da cui è nata la cd. “class action” nei confronti della pubblica amministrazione. Il provvedimento, al fine di ripristinare il corretto svolgimento della funzione o la corretta erogazione di un servizio, stabilisce che i titolari di interessi giuridicamente rilevanti e omogenei per una pluralità di utenti di servizi pubblici e consumatori, possano agire in giudizio nei confronti della pubblica amministrazione in tutte le ipotesi in cui dalla violazione degli obblighi contenuti nelle Carte dei Servizi o di standard qualitativi ed economici stabiliti dalle autorità preposte alla regolazione del settore, sia derivata una lesione di interessi giuridicamente rilevanti . In tal caso l’azione in giudizio viene esercitata con ricorso al Giudice amministrativo, previa diffida ad adempiere nei confronti degli organi di vertice dell’amministrazione. Ai fini conciliativi, in luogo della diffida, il ricorrente può promuovere la risoluzione extragiudiziale della controversia ed il ricorso è proponibile entro un anno dall’esito eventualmente infruttuoso della procedura conciliativa (art.3, comma 3, d.l.vo n.198/2009). 3. LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE E L’ARBITRATO - La tendenza ad assoggettare l’amministrazione alle regole del diritto comune in modo sempre più incisivo caratterizza l’operato degli enti pubblici anche nell’arbitrato. Da un lato vi è l’impossibilità di risolvere, mediante il ricorso a tale istituto, le controversie in cui sono dedotti interessi legittimi, tenuto conto - come già osservato dell’indisponibilità dell’interesse pubblico ad essi connesso. Diverso è il caso in cui l’amministrazione agisce iure privatorum nell’ambito dell’attività negoziale, ove vengono dedotte situazioni di diritto soggettivo. Qui le relative controversie rientrano nella sfera di competenza del giudice ordinario o nell’ambito della giurisdizione 37 Delega al Governo per l’ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e l’efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni. 28 esclusiva del giudice amministrativo, e, come tali, possono costituire oggetto di arbitrato. Anche nella procedura arbitrale, la posizione di parte della pubblica amministrazione assume rilevanza per la specifica qualificazione di soggetto pubblico e, soprattutto, per il collegamento della sua attività alla realizzazione degli interessi pubblici. In particolare, viene in considerazione la modalità di proposizione della domanda che, nella fattispecie di patrocinio obbligatorio dell’Avvocatura dello Stato, deve essere notificata presso l’ufficio competente per territorio di quest’ultima e deve contenere sia gli elementi necessari per la procedura ordinaria che, al bisogno, elementi più specifici (quali, ad es., l’importo della richiesta pecuniaria proposta), negli stessi termini posti per l’esercizio dell’azione in sede arbitrale. Anche quando parte del rapporto sia una pubblica amministrazione, l’istituto arbitrale conserva sempre il proprio carattere volontario: la rinuncia alla giurisdizione può essere conseguente solo alla concorde volontà delle parti e non può essere imposta dall’una all’altra parte del rapporto (principio che ha trovato realizzazione con l’affermazione dell’impossibilità dei cd. arbitrati obbligatori). Per il resto, ai fini dello svolgimento del giudizio arbitrale valgono, dal punto di vista procedurale, le regole generali previste dal codice civile. Il lodo acquista, infatti, anche nei confronti della parte pubblica amministrazione la propria esecutività ed il carattere di giudicato secondo le procedure previste in via generale per le pronunce arbitrali ed è esperibile il giudizio di ottemperanza, in considerazione del carattere sostanzialmente giurisdizionale della pronuncia arbitrale, equiparabile alla sentenza dell’autorità giudiziaria (in tal senso si veda l’art. 824 bis c.p.c.). Va detto, in conclusione, che il ruolo della pubblica amministrazione nella procedura arbitrale è oggi particolarmente limitato per esigenze connesse al contenimento della spesa pubblica. In tale ottica la legge Finanziaria del 2008 (legge 29 n.244/2007) ha fatto divieto alle pubbliche amministrazioni di cui all’art.1, comma 2., d. l.vo165/2001 di inserire clausole compromissorie ovvero di sottoscrivere compromessi per deferire ad arbitri la decisione di controversie in tutti i contratti aventi ad oggetto lavori, forniture e servizi. 38 4. LA PUBBLICA TRANSAZIONE QUALE CLAUSOLA DI CHIUSURA DEL SISTEMA PER LA AMMINISTRAZIONE - Nell’ambito dei rimedi alternativi alla via giurisdizionale, la transazione si pone spesso, per la pubblica amministrazione, quale clausola di chiusura del sistema, nel senso che anche laddove le altre procedure ADR non siano andate a buon fine, l’amministrazione può ancora evitare il giudizio attraverso la stipula di un atto transattivo con la controparte. Oltre ad evitare o estinguere un giudizio, la transazione conferisce un assetto definitivo ai rapporti sostanziali controversi sia per il privato che per la pubblica amministrazione la quale, una volta obbligatasi, nell’ambito di un atto transattivo, ad assumere un preciso comportamento, a svolgere una determinata attività o ad adottare un provvedimento, non potrà assumere nuove e diverse determinazioni in merito. Anche nel caso in cui una pubblica amministrazione sia parte di una transazione, è richiesta la forma scritta ad substantiam, a prescindere dall’oggetto della transazione, per cui non è possibile desumere per presunzione elementi costitutivi del contratto transattivo . 39 Inoltre, la mancanza, nei rapporti di diritto pubblico, della disponibilità, da parte dell’amministrazione, dei diritti in contesa, fa venir meno il requisito della capacità a transigere e rende nulla la transazione conclusa in tali condizioni (art.1966 c.c.). L’ammissibilità della transazione nei rapporti di diritto privato in cui è parte un’amministrazione (quali, ad esempio, i casi di risarcimento per danni alla esecuzione di contratti, controversie di lavoro, appalti) è confermata da espresse disposizioni di 38 F. Lubrano, La pubblica amministrazione come parte, da “Arbitrato, ADR, Conciliazione, dottrina casi sistemi” Ed. Zanichelli – 2009. 39 Cass. 6.6.2002, n.8192 in Cons. Stato 2002, 1525. 30 legge (art.1, comma 1-bis legge n. 241/90 40 ; art. 239 del d.l.vo n. 163/2006 cd. codice dei contratti pubblici): alla fattispecie contrattuale che così si delinea si applicano, in toto, le disposizioni del codice civile, sia pure con alcune cautele sull’opportunità delle scelte e nell’osservanza di alcune disposizioni di legge. Nella prassi infatti, la scelta di stipulare una transazione presuppone una oculata e motivata valutazione dalla quale emergano la convenienza e l’adeguatezza del risultato derivante dalle reciproche concessioni rispetto ad un giudizio dispendioso e lungo: il fatto che la pubblica amministrazione possa addivenire ad una soluzione di compromesso che comporta comunque un esborso di denaro pubblico frena spesso il ricorso a tale istituto in quanto implica aspetti di responsabilità amministrativocontabile dei soggetti agenti. Quanto ai vincoli procedurali in vista della formazione di un accordo transattivo, l’art.14 r.d. n. 2440/1924 assoggetta le ipotesi transattive di un certo valore al parere del Consiglio di Stato. Peraltro, l’utilizzo della transazione da parte delle pubbliche amministrazioni è stato perorato in una Raccomandazione adottata il 5.9.2001 dal Consiglio d’Europa, che ha invitato gli Stati membri a dotarsi di normative nazionali attributive, alle autorità amministrative, del potere di transigere. Sulla scia degli indirizzi comunitari il d.lgs. n. 163/2006 ha previsto la transazione all’articolo 239. 41 Il codice dei contratti pubblici disciplina, al riguardo, una procedura minima per addivenire alla transazione: spetta al dirigente competente della stazione appaltante, sentito il responsabile del procedimento, formulare una proposta transattiva o esaminare quella dell’aggiudicatario. In ogni caso allorchè l’importo ecceda i centomila euro, è sempre necessario il parere, obbligatorio ma non vincolante, dell’Avvocatura dello Stato, che deve pronunciarsi sui rischi connessi al 40 “La pubblica amministrazione, nell’adozione di atti di natura non autoritativa, agisce secondo le norme di diritto privato, salvo che la legge non disponga diversamente”. 41 “Essendo l’unico regime applicabile quello di diritto privato, in seguito alla conclusione del contratto l’amministrazione perde ogni potere di incidere unilateralmente sulla situazione oggetto del negozio, potendo avvalersi solamente degli strumenti privatistici del recesso e della risoluzione del contratto” Cons. Stato sez. V, 28.12.2001. 31 contenzioso e sulla convenienza ed opportunità della proposta transattiva, nonché sulla sussistenza dei presupposti per procedere alla definizione della controversia. Il 4° comma dell’art.239 del d. lgs. 163/2006 prescrive, in linea col principio generale in tema di contratti stipulati dalla pubblica amministrazione, la forma scritta a pena di nullità. Le disposizioni in parola hanno tutte lo scopo di procedimentalizzare il percorso che il soggetto pubblico deve compiere fino alla stipula della transazione, a garanzia della trasparenza dell’attività amministrativa e della responsabilità dei soggetti agenti, trattandosi di un contesto comunque funzionale alla cura degli interessi pubblici. 5. LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE L’ACCORDO BONARIO E LA PREVENZIONE DELLE LITI: - L’accordo bonario rappresenta una peculiarità dell’operato della pubblica amministrazione come parte nella gestione delle controversie alternativa al giudizio. L’istituto è disciplinato dall’art. 240 del codice dei contratti pubblici, rientra nella categoria della cd. transazione speciale ed è volto alla riduzione e prevenzione del contenzioso in materia di appalti pubblici, nella fase di esecuzione del contratto. 42 Ha per oggetto una lite riguardante le domande (cd. riserve) iscritte dell’appaltatore nei documenti contabili, quando l’importo di queste superi il 10% del valore economico dell’importo contrattuale, ovvero le domande che non essendo state oggetto di procedura di accordo bonario in corso d’opera, risultino dal conto finale. La riserva è una pretesa patrimoniale che descrive i fatti che l’hanno determinata e la loro valutazione economica, ai fini dell’esatta quantificazione del compenso ulteriore dovuto all’appaltatore rispetto all’importo inizialmente convenuto. L’onere della riserva è preordinato a rendere immediatamente note alla stazione appaltante tutte le situazioni suscettibili di aggravare i costi complessivi dell’opera che si verificano nel corso dell’esecuzione stessa. 42 ai sensi dell’art.240 D.Lgs.n.163/2006 il procedimento relativo all’accordo bonario si applica ai lavori pubblici nei settori ordinari affidati da amministrazioni aggiudicatrici ed enti aggiudicatori ovvero dai concessionari e ai contratti pubblici relativi a servizi e forniture nei settori ordinari, nonché a tutti i contratti nei settori speciali. 32 L’amministrazione committente, infatti, deve poter valutare l’opportunità di proseguire ovvero recedere dal rapporto di appalto, in relazione al perseguimento dei fini d’interesse pubblico. L’art.240 del D.Lgs. n. 163/2006 dispone che il direttore dei lavori – soggetto istituzionalmente preposto alla direzione ed al controllo tecnico, contabile ed amministrativo dell’esecuzione dell’intervento - dia immediata comunicazione al responsabile del procedimento (art.10 D.lgs citato) delle riserve iscritte dall’appaltatore negli atti contabili, trasmettendo contestualmente una relazione contenente un parere in merito. Tale relazione consente al responsabile del procedimento di valutare l’effettiva e concreta sussistenza delle condizioni per l’avvio del procedimento di accordo e, successivamente, di fornire ad una apposita commissione gli elementi necessari per giungere ad una cognizione completa della controversia. Nel caso di inerzia ad avviare il procedimento di accordo bonario, l’appaltatore potrà adire il giudice amministrativo, al fine di accertare se sussistano le condizioni per attivare il procedimento medesimo. Per gli appalti o concessioni di importo superiore a 10 milioni di euro, al responsabile compete, inoltre, l’obbligo di costituire - entro trenta giorni dalla comunicazione del direttore dei lavori - la commissione alla quale è demandato il compito di formulare la proposta di accordo bonario. Tale commissione, formata da tre componenti in possesso di specifica idoneità, si configura come organo esterno e terzo rispetto alle parti della controversia. La proposta di accordo - formulata dalla commissione nel termine di 90 giorni dalla sua costituzione - ha la funzione di promuovere la conciliazione tra le parti e di definire i termini dell’accordo stesso, che può ritenersi validamente concluso solo a seguito di una pronuncia favorevole dell’amministrazione e dell’appaltatore sulla proposta. 33 L’accordo ha natura contrattuale e si forma, a norma dell’articolo 1326 c.c., con l’incontro della volontà delle parti. Trattandosi di un contratto stipulato da una pubblica amministrazione, è necessario che rivesta la forma scritta ad substantiam ex artt.16 e 17 r.d. n. 2440/1023. Al fine di perfezionare un valido rapporto contrattuale è altresì necessario che l’accordo sia stipulato da un soggetto munito del potere di concluderlo e recare la sottoscrizione del rappresentante dell’ente pubblico. Le parti possono anche decidere di affidare alla Commissione il potere di assumere decisioni vincolanti facendo sorgere, in questo secondo caso, una fattispecie di arbitrato irrituale. E’ possibile ricorrere all’arbitrato anche nel caso in cui siano decorsi infruttuosamente i termini per la pronuncia sull’accordo sia da parte dell’impresa che dell’ente appaltante (trenta giorni dal ricevimento della stessa). 6. CENNI SUI PROFILI DI RESPONSABILITA’ DEL FUNZIONARIO PUBBLICO - Aspetto fondamentale per l’incentivazione dei modelli conciliativi di definizione delle controversie che vedono la pubblica amministrazione come parte attiene, poi, ai profili di responsabilità del funzionario che agisce a tutela dell’ente pubblico rappresentato. Il disegno di legge 5492, presentato durante la XIV legislatura prevedeva, al riguardo, un principio di carattere generale: la conciliazione della lite da parte di chi rappresentava la pubblica amministrazione, in adesione a una proposta del conciliatore, non dava luogo a responsabilità amministrativa. Ma la mancata approvazione del ddl ha lasciato aperto il dibattito sui limiti della responsabilità del funzionario pubblico che, in rappresentanza della pubblica amministrazione, scelga di optare per una soluzione quella conciliativa - che non consente di stabilire preventivamente la legittimità giuridica delle rispettive pretese - in luogo della definizione giudiziale della vertenza. Il problema nasce dal fatto che i pubblici funzionari, nella scelta di conciliare o transigere una vertenza, non solo devono agire nell’interesse dell’amministrazione di 34 appartenenza, ma sono, altresì chiamati a rendere conto delle decisioni prese soprattutto in sede erariale, innanzi alla Corte dei Conti. Va detto, preliminarmente, che la via giudiziale non sempre si rivela quella giusta, in quanto, in molti casi, può esporre l’ente pubblico alla difesa in più gradi di giudizio con tempi, costi e risultati tutti da valutare. 43 In secondo luogo, come si desume direttamente dalla legge, la responsabilità amministrativa dei soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei Conti è limitata ai fatti e alle omissioni commessi con dolo o colpa grave, ferma restando l’insindacabilità nel merito delle scelte discrezionali 44. In terzo luogo, la disciplina delle controversie relative ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni sancisce espressamente l’esenzione di chi rappresenta la pubblica amministrazione da qualunque forma di responsabilità derivante dalla scelta conciliativa effettuata; esimente non applicabile nei casi di dolo o colpa grave (art.31, comma 1, della legge 183/2010). 45 Nelle controversie di lavoro la nuova disposizione assicura la più ampia tutela al dipendente pubblico che partecipa alla conciliazione nell’interesse dell’amministrazione e, nel contempo, lo responsabilizza in maniera più incisiva nella scelta conciliativa della controversia, anche sotto il profilo disciplinare. Viene così superata la disposizione di cui all’art. 66, comma 8, D.lgs. 165/2001, che prevedeva l’esonero dalla sola responsabilità amministrativa del soggetto pubblico che aderisce alla proposta di risoluzione anticipata della lite formulata dal collegio di conciliazione ovvero all’invito del giudice. 43 M. Marinaro “La risoluzione stragiudiziale delle controversie – percorsi di ADR nell’attività di impresa” Ed. Aracne – 2010. 44 Cfr. art. 1, comma 1, legge n. 20/94 e s.m.i. “Disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei Conti”. 45 Art. 31 della legge 183/2010 che modifica l’art. 410 c.p.c. “La conciliazione della lite da parte di chi rappresenta la pubblica amministrazione, anche in sede giudiziale ai sensi dell'articolo 420, commi primo, secondo e terzo, non può dar luogo a responsabilità, salvi i casi di dolo e colpa grave”. 35 In merito ai profili di responsabilità del funzionario pubblico nella conciliazione delle liti, è importante, inoltre, sottolineare l’orientamento giurisprudenziale della stessa Corte dei Conti, volto a condannare per lite temeraria la resistenza in giudizio ad ogni costo da parte della pubblica amministrazione 46. Occorre, infine, accennare, brevemente, alle implicazioni derivanti dalla riforma introdotta dalla normativa sulla mediazione. Per quanto la pubblica amministrazione possa tendere ad avvalersi di istituti tradizionali per la risoluzione delle controversie, il D. l.vo n. 28/2010 istituisce, nelle ipotesi tassativamente indicate dall’art. 5, l’obbligo del ricorso alla mediazione quale condizione di procedibilità dell’azione giudiziaria. Ciò può avere, nelle materie ivi previste (es. risarcimento del danno derivante dalla circolazione di veicoli e natanti), importanti risvolti sul piano della responsabilità del funzionario pubblico in caso di rifiuto di una proposta di conciliazione senza giustificato motivo. Al riguardo, la novella al codice di procedura civile introdotta dalla legge n. 69/2009 (art. 91 c.p.c.) prevede che il giudice “se accoglie la domanda in misura non superiore all’eventuale proposta conciliativa, condanna la parte che ha rifiutato senza giustificato motivo la proposta al pagamento delle spese del processo maturate dopo la formulazione della proposta…” . CAPITOLO 3 - IL RUOLO DI TERZIETÀ DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE NELLA RISOLUZIONE DELLE CONTROVERSIE. 1. I RICORSI AMMINISTRATIVI: LA CRISI DEL MODELLO GERARCHICO - La tutela delle posizioni giuridiche lese dall’attività della pubblica amministrazione oltre ad essere garantita attraverso procedimenti di natura negoziale o conciliativa riconducibili ad atti di autonomia privata, è assicurata da due distinti rimedi attivabili ad istanza di parte: il ricorso giurisdizionale ed il sistema dei ricorsi amministrativi. Questi ultimi sono rimedi volti a ottenere la tutela della situazione giuridica soggettiva lesa da un provvedimento o da un comportamento della pubblica 46 Corte dei Conti sentenza n. 938 del 19 luglio 2004. 36 amministrazione e consistono nella proposizione di un’istanza ad un’Autorità amministrativa affinchè, ad esempio, riesamini un provvedimento che si suppone viziato sotto il profilo della legittimità o, in alcuni casi, del merito. La dottrina prevalente 47 attribuisce a detti istituti natura amministrativa e non giurisdizionale e li colloca nella categoria dei procedimenti amministrativi di secondo grado. I ricorsi amministrativi, disciplinati dal D.P.R. n. 1199/1971, si dividono in tre distinte categorie: il ricorso gerarchico, che può essere proprio, quando è rivolto all’organo gerarchicamente superiore a quello che ha emanato l’atto impugnato, o improprio, quando fra l’organo che ha emanato l’atto e quello a cui si ricorre manca un rapporto di gerarchia ed il potere di decidere il ricorso deriva direttamente da una espressa disposizione di legge; 48 il ricorso in opposizione, proponibile solo ove previsto espressamente dalla legge e deciso dalla stessa autorità che ha adottato l’atto impugnato; il ricorso straordinario al Capo dello Stato, ammissibile esclusivamente per l’impugnazione di atti amministrativi definitivi 49. I ricorsi ordinari sono rimedi di impugnazione avverso atti non definitivi, a tutela sia di diritti soggettivi che di interessi legittimi, per far valere sia vizi di legittimità che di merito. 50 Negli ultimi anni, la crisi del modello gerarchico nel sistema dell’organizzazione amministrativa ha ridimensionato l’istituto del ricorso gerarchico che, già contemplato nei sistemi giuridici anteriori alla formazione dello Stato unitario, si è rivelato difficilmente compatibile con l’affermarsi delle nuove tendenze volte al decentramento e alle autonomie, dei nuovi moduli di organizzazione amministrativa più vicini al cittadino, nonché, con la trasformazione del rapporto fra Ministri e dirigenti da 47 48 A.M. Sandulli – Manuale di diritto amministrativo, Jovene editore – 2008. Ne è un esempio il ricorso al Prefetto ai sensi della legge 689/1981 e s.m.i. 49 L’atto diviene definitivo dopo che sia stato esperito un solo grado di ricorso amministrativo. 50 Salvo il ricorso gerarchico improprio (solo per vizi di legittimità). 37 gerarchico a rapporto di direzione, strettamente connesso all’affermazione, negli anni ’90, del principio di separazione fra politica e gestione amministrativa. Pertanto, nell’ordinamento il ricorso positivo, gerarchico non appare presentando oggi i meramente caratteri residuale dell’imparzialità, dell’autorevolezza e dell’indipendenza, essenziali ad assicurare all’amministrazione un ruolo di terzietà e perciò può essere considerato, al pari dei ricorsi in opposizione, un rimedio interno alla stessa amministrazione procedente. 2. LE NOVITA’ NEL RICORSO STRAORDINARIO - I caratteri esaminati (imparzialità, autorevolezza, indipendenza) sussistono pienamente nel ricorso straordinario al Capo dello Stato, istituto che presenta anche alcuni importanti elementi di novità. Si tratta di un rimedio amministrativo di carattere generale, nettamente distinto dai ricorsi ordinari, in quanto proponibile soltanto avverso atti amministrativi a carattere definitivo, per vizi di legittimità e non di merito, destinato alla tutela di posizioni soggettive di interesse legittimo e di diritto soggettivo. Si contraddistingue per il carattere di alternatività rispetto al rimedio giurisdizionale, presenta maggiori garanzie di contraddittorio rispetto agli altri ricorsi amministrativi, prevede un termine di impugnazione più ampio (120 giorni) di quello giurisdizionale (60 giorni). A tutela della parte resistente la normativa stabilisce, inoltre, la possibilità di chiedere la trasposizione del ricorso straordinario in sede giurisdizionale. Adottato in conformità al parere del Consiglio di Stato e, quindi con l’intervento decisivo dell’organo chiamato ad assicurare, secondo il dettato costituzionale, la giustizia nell’amministrazione, e indicato dalla dottrina come autorità indipendente di garanzia e di correttezza dell’azione amministrativa, 51 il ricorso straordinario continua ad essere utilizzato da un numero consistente di cittadini, anche grazie alla tempestività della decisione. 51 S. Cassese, Il Consiglio di Stato e la riforma costituzionale. – Milano Giuffrè 1997. 38 In quest’ottica si assiste ad un “recupero” di tale istituto, ancora fortemente caratterizzato dalla matrice di rimedio amministrativo, quale strumento di giustizia potenzialmente idoneo a garantire una piena ed effettiva tutela del cittadino, con ricadute positive sotto il profilo della deflazione del contenzioso giurisdizionale. Sul ruolo centrale del Consiglio di Stato, che si esplica sia attraverso una rigorosa attività di controllo su atti e documenti in fase istruttoria 52, sia mediante l’espressione del parere su cui si basa la decisione predisposta dal Ministero competente e adottata in forma di decreto del Presidente della Repubblica, si concentrano importanti novità dell’istituto. In primo luogo, la legge di delega n. 69/2009 ha attribuito al Consiglio di Stato un potere ancora più significativo, che si manifesta attraverso la possibilità di sospendere l’espressione del proprio parere, ove ritenga che il ricorso non possa essere deciso indipendentemente dalla risoluzione di una questione di legittimità costituzionale non manifestamente infondata. In tal caso, l’organo consultivo dispone l’immediata trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale. Ciò va ad aggiungersi alla possibilità per il Consiglio di Stato di sollevare, in sede di parere sul ricorso, questioni di pregiudizialità comunitaria, a conferma di un inquadramento dell’istituto in un contesto più moderno di garanzia degli interessi del cittadino 53. In secondo luogo, la stessa legge n. 69/2009 ha modificato parzialmente l’articolo 44 del DPR n. 1199/71, fissando in maniera esplicita il carattere obbligatorio e vincolante del parere del Consiglio di Stato, quale ulteriore garanzia di terzietà dell’organo decidente, cui deve conformarsi il decreto del Presidente della Repubblica, adottato su proposta del Ministro competente per materia ad istruire il procedimento che conduce all’emanazione della decisione del ricorso straordinario. In tal modo è stata 52 In particolare se, in sede di parere, verifica l’incompletezza di atti o riconosce una contraddizione tra i fatti affermati nell’atto impugnato e i documenti, può richiedere alla PA nuovi documenti istruttori o chiarimenti ovvero può ordinare al Ministero competente nuove verificazioni anche in contraddittorio con le parti che, a loro volta, possono produrre nuova documentazione. 53 Corte di Giustizia CE, V sez.16 ottobre 1997. 39 abrogata la disposizione che prevedeva, per il Ministero competente intenzionato a proporre una decisione difforme, di sottoporre l’affare alla deliberazione del Consiglio dei Ministri. 54 Altra importante novità riguarda l’esperibilità del giudizio di ottemperanza ai fini dell’esecuzione della decisione del ricorso straordinario. La questione, lungamente dibattuta in dottrina 55 e giurisprudenza 56 in merito alla natura giurisdizionale o, piuttosto, amministrativa del decreto presidenziale, sembra aver trovato una soluzione in sede di interpretazione di una norma del nuovo codice del processo amministrativo approvato con D.Lgs 2 luglio 2010, n.104 che, facendo leva anche su alcuni spunti della relazione di accompagnamento, prevede l’estensione del giudizio di ottemperanza alle decisioni sui ricorsi al Capo dello Stato 57. Il nuovo codice del processo amministrativo ha, inoltre, previsto espressamente che “il ricorso straordinario è ammesso unicamente per le controversie devolute alla giurisdizione amministrativa” 58, con ciò superando un precedente orientamento del Consiglio di Stato che aveva determinato l’estensione dell’istituto anche a posizioni giuridiche aventi consistenza di diritto soggettivo. Peraltro, la previsione del codice ha 54 M. Martini “ I ricorsi amministrativi” – La difesa in giudizio della PA – in riv. Pubblica Amministrazione – Giuffrè 2010 55 N.Pignatelli “Sulla natura del ricorsostraordinario:la scelta del Legislatore (art.69 l.69/2009, in www.giustiziaamministrativa.it, 2009. A.Auletta, Il legislatore”muove un passo vero la giurisdizionalizzazione del ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, in Foro amm.TAR,2009,5,1619. L.Carbone, La revisione del ricorso straordinario al Presidente della Repubblica e la riaffermata natura giurisdizionale del rimedio di tutela, in www.giustizia- amministrativa.it, 2009. 56 Ci si riferisce alla sentenza Cass. S.U. n. 2065/11, capofila di circa centotrenta pronunce successive e alla sentenza Cons. di Stato, Sez. VI, 10 giugno 2011, n. 3513 in www.giustizia-amministrativa.it 57 Art. 112, comma 2 lettera d) - L’azione di ottemperanza può essere proposta per conseguire l’attuazione: a) delle sentenze del giudice amministrativo passate in giudicato; b) delle sentenze esecutive e degli altri provvedimenti esecutivi del giudice amministrativo; c) delle sentenze passate in giudicato e degli altri provvedimenti ad esse equiparati del giudice ordinario, al fine di ottenere l’adempimento dell’obbligo della pubblica amministrazione di conformarsi, per quanto riguarda il caso deciso, al giudicato; d) delle sentenze passate in giudicato e degli altri provvedimenti ad esse equiparati per i quali non sia previsto il rimedio dell’ottemperanza, al fine di ottenere l’adempimento dell’obbligo della pubblica amministrazione di conformarsi alla decisione; e) dei lodi arbitrali esecutivi divenuti inoppugnabili al fine di ottenere l’adempimento dell’obbligo della pubblica amministrazione di conformarsi, per quanto riguarda il caso deciso, al giudicato. 58 Art.7, comma 8. 40 posto un problema strettamente connesso alla mancanza di una disposizione transitoria idonea a determinare con chiarezza i limiti di applicabilità della nuova disciplina, con particolare riferimento ai ricorsi straordinari proposti in data anteriore all’entrata in vigore del nuovo codice. Al riguardo, il Consiglio di Stato, sulla base di un riconoscimento innovativo e non di interpretazione autentica della previsione, ha sostanzialmente concluso in senso negativo. 59 Questa interpretazione, favorevole all’applicazione della nuova disciplina ai soli ricorsi proposti dopo l’entrata in vigore del codice, consente di evitare la frustrazione delle aspettative dei cittadini i quali, in relazione alle controversie pendenti alla data di entrata in vigore del nuovo codice, sarebbero stati lesi da un’eventuale declaratoria di inammissibilità dei ricorsi proposti nel vigore del regime precedente, con evidente violazione del principio di effettività della tutela, di cui all’art. 24 Cost., alla base del sistema. PARTE III - IL CONTENZIOSO GIUDIZIALE CAPITOLO 1 - NOVITA' NELLA GESTIONE DELLE CONTROVERSIE DINANZI AL GIUDICE AMMINISTRATIVO : IL D.LVO N. 104/2010 ED IL D.LVO N.195/2011 PREMESSA - Nel capitolo precedente sono stati esaminati, nel loro variegato atteggiarsi i metodi alternativi di composizione delle controversie, la cui diffusione potrebbe produrre un rilevante impatto deflattivo sul contenzioso giudiziale assicurando, nel contempo, una tutela celere ed effettiva. Sicuramente orientato nella direzione di una tutela effettiva, piena e, soprattutto, satisfattiva rendendo migliore il "servizio" reso ai cittadini dal giudice amministrativo60 59 Adunanza Generale 22 febbraio 2011 n. 808. 60 P. De Lise cit. 41 è il Codice del processo amministrativo, approvato dal D.Lgs 104 del 2 luglio 2010 che ha dato attuazione alla delega recata dalla legge del. 18 giugno 2009, n. 69. L’art. 44 della L.69/2009 ha delegato il Governo ad adottare, entro un anno dall’entrata in vigore della legge stessa, uno o più decreti legislativi per il riassetto del processo avanti ai Tribunali Amministrativi Regionali e al Consiglio di Stato, al fine di adeguare le norme vigenti alla giurisprudenza della Corte Costituzionale e delle giurisdizioni superiori, di coordinarle con le norme del codice di procedura civile in quanto espressione di principi generali e di assicurare la concentrazione delle forme di tutela. Sotto il profilo strutturale, il decreto legislativo n. 104 del 2010, reca l’approvazione del Codice e contiene quattro Allegati: di essi il primo (che consta di 137 articoli) costituisce propriamente il Codice del processo amministrativo; il secondo reca le norme di attuazione; il terzo le norme transitorie; il quarto, infine, le norme di coordinamento e le abrogazioni. Il Codice è, a sua volta, articolato in cinque libri, recanti, rispettivamente, le disposizioni di carattere generale, la disciplina del processo di primo grado, la disciplina delle impugnazioni, la disciplina dell’ottemperanza e dei riti speciali, le disposizioni finali; norme che, di seguito, saranno passate in rassegna per evidenziare alcuni degli elementi di particolare novità introdotti con il nuovo compendio normativo. 1. PRINCIPI GENERALI - La ratio della codificazione si muove su due direttrici: una di carattere formale, l’altra di carattere sostanziale. Sotto il profilo formale, il Codice risponde all’esigenza di chiarificazione, unificazione e coordinamento delle norme stratificatesi nel tempo (sono state abrogate circa 50 fonti normative e un numero di disposizioni pari a 350 articoli) mentre, sotto il profilo sostanziale, attende alla rilevante necessità di rendere concretamente effettiva la tutela giurisdizionale del cittadino nei confronti dei pubblici poteri, dando al cittadino e alle amministrazioni un sistema di regole processuali snelle e, nel contempo, chiare e 42 certe, idonee a consolidare le conquista della dottrina e della giurisprudenza, “imprimendo nuovo impulso all’evoluzione del processo amministrativo” 61. Evoluzione che, peraltro, è incardinata in un paradigma europeo di garanzie sostanziali e processuali. Invero, il Codice si apre con il richiamo al principio di effettività e ai principi costituzionali della parità delle parti, del contraddittorio e del giusto processo. In particolare, il principio di effettività - e quindi lo standard di tutela europeo in virtù dell'espressa formulazione legislativa, non opera più con riguardo alla sola violazione del diritto sovranazionale, ma trova concreta attuazione anche in presenza di un'inosservanza di disposizioni interne incidenti su materie sottratte alla competenza comunitaria 62 . Il privato, dunque, in ipotesi di indebite compressioni della propria situazione soggettiva deve ricevere il più elevato livello di tutela tra quelle disposte dal diritto nazionale (sulla base del principio del giusto processo) e dal diritto europeo (sulla base del principio di effettività). Nell’ottica del giusto processo, espressamente richiamato tra i principi ispiratori del Codice, si è rivolta, innanzi tutto, specifica attenzione alla garanzia del contraddittorio e alla parità delle parti processuali, come dimostrano il nuovo regime della tutela cautelare, nelle diverse forme collegiale, monocratica interinale e monocratica ante causam, l’ampliamento dei mezzi di prova con la previsione, in particolare, della testimonianza scritta, anche nella giurisdizione di legittimità e l’espresso richiamo al tradizionale principio dell’onere della prova, mitigato dal metodo acquisitivo in relazione all’effettiva disponibilità dei mezzi di prova; inoltre, come precisato nella Relazione, sono state privilegiate opzioni dirette ad assicurare, insieme, celerità e qualità delle decisioni, come dimostrano, tra l’altro, il rapporto tra fase cautelare e fase di merito, il regime di acquisizione e valutazione delle prove; i nuovi 61 R. Chieppa, Il codice del processo amministrativo alla ricerca dell’effettività della tutela, in www.giustiziaamministrativa.it. 62 F. Caringella - M. Protto , Codice del nuovo processo amministrativo, Roma , 2010. 43 termini per la produzione di atti e documenti difensivi; i limiti all’obbligo di integrazione del contraddittorio e al rinvio al primo giudice. In diverse disposizioni, il Codice invoca, inoltre, il principio di sinteticità, tanto degli atti (sia di parte che dei giudici) che delle trattazioni orali, accostandolo a quello della chiarezza che devono contemperarsi con il principio della necessaria motivazione dei provvedimenti del giudice amministrativo (art.3 c.p.a.) Il principio della ragionevole durata del processo (art.2, comma 2 del c.p.a.) trova attuazione nelle previsioni del rito abbreviato per determinate materie (art.119 c.p.a.) nonchè nella possibilità di decisioni in forma semplificata (art.74 c.p.a.) e nell'introduzione di procedimenti sommari di condanna al pagamento di somme pecuniarie. 2. LA GIURISDIZIONE AMMINISTRATIVA - In materia di giurisdizione, innovativa è l'espressa definizione della giurisdizione del giudice amministrativo, nelle sue tre diverse ramificazioni di legittimità, esclusiva e di merito (art.7, comma 3, c.p.a.). E' da richiamare, inoltre, la disciplina del giudicato implicito sulla giurisdizione, che richiede una maggiore responsabilità delle parti nel sollevare le eccezioni, poiché viene limitata la rilevabilità del difetto di giurisdizione in appello se ciò non sia avvenuto in primo grado. Altrettanto rilevante è l'affermazione del principio della translatio iudicii, che consente al processo iniziato erroneamente davanti ad un giudice privo di giurisdizione, di poter continuare davanti al giudice effettivamente dotato di giurisdizione, onde dar luogo a una pronuncia di merito che conclude la controversia processuale, giungendo in modo più sollecito alla soluzione della questione. L'obiettivo proposto con la traslazione processuale, di una concreta attuazione del principio di effettività della tutela giurisdizionale, è perseguito attraverso la possibilità di trasferire la causa da un ramo all'altro della giurisdizione con la salvezza degli effetti sostanziali e processuali della domanda. 44 Il processo deve essere riproposto davanti al giudice indicato entro tre mesi dal passaggio in giudicato del provvedimento del giudice che ha declinato la propria giurisdizione, ferme restando le preclusioni e le decadenze intervenute. 3. LA COMPETENZA - Un’altra importante novità del Codice attiene al regime della competenza che, nel chiaro intento di evitare il c.d. forum shopping, diventa sempre inderogabile, con la conseguenza che il relativo difetto è rilevabile anche d’ufficio, indipendentemente da un rilievo di parte, oltre che con regolamento di competenza. Il regolamento di competenza, disciplinata dagli artt. 13-16 c.p.a., è proponibile senza termini fino a che la causa non sia stata decisa nel merito in primo grado e costituisce ostacolo all’adozione di misure cautelari. Con riferimento alla competenza per territorio, il Codice individua quale criterio ordinario quello della sede dell’autorità amministrativa cui fa capo l’esercizio del potere oggetto della controversia, precisando peraltro che tale criterio non opera là dove gli effetti diretti del potere siano individuabili in un ambito diverso, nel qual caso la competenza spetta al tribunale nella cui circoscrizione essi si verificano. 4. AZIONI E DOMANDE - Con riferimento alle azioni, il Codice sotto il titolo “azioni di cognizione” disciplina in modo specifico l’azione di annullamento (art.29) proponibile nel tradizionale termine di decadenza di sessanta giorni dalla piena conoscenza dell’atto lesivo (salvo quanto stabilito per le controversie in tema di appalti), per contestare i classici vizi di violazione di legge, incompetenza ed eccesso di potere. In proposito va osservato che l'articolo 34, comma 3, del codice del processo ha introdotto una novità nell'escludere l'emanazione di una pronuncia di annullamento allorché l'eliminazione dell'atto non risulti più utile ai fini del conseguimento del bene della vita da parte del ricorrente. 45 In tal caso il giudice amministrativo si limita ad una pronuncia di accertamento dell'illegittimità al solo fine di consentire, eventualmente con un separato giudizio, il ristoro del danno patito. In sostanza, una pronuncia di mero accertamento può aprire la strada direttamente ad una tutela risacitoria senza passare per un'inutile e ineseguibile pronuncia demolitoria. L'articolo 30 del Codice regolamenta l’azione, anche generica, di condanna (nella quale, quindi, trova spazio anche l’azione di adempimento), proponibile anche in via autonoma rispetto all’azione di annullamento (senza la previsione di termini particolari), nonché l’azione specifica di condanna al risarcimento del danno ingiusto derivante dall’illegittimo esercizio dell’attività amministrativa e, nei casi di giurisdizione esclusiva, anche per i danni da lesione di diritti soggettivi, secondo l'impostazione derivante dalla storica sentenza delle Sezioni Unite numero 500 del 1999. Tale azione, se legata alla lesione di interessi legittimi, è soggetta al termine decadenziale di centoventi giorni decorrenti dal momento in cui il fatto si è verificato o si è avuta conoscenza del provvedimento lesivo. In caso di impugnazione o in sede di giudizio di ottemperanza, il termine di centoventi giorni decorre dal passaggio in giudicato della sentenza di annullamento. Nel novero delle azioni di condanna rientra anche l'azione specifica di condanna per ritardato esercizio dell'attività amministrativa obbligatoria (c.d. danno da ritardo), esperibile dal decorso di un anno dalla scadenza del termine per provvedere. Nel determinare il risarcimento, il giudice valuta il comportamento complessivo delle parti, con espressa esclusione del risarcimento “dei danni che si sarebbero potuti evitare usando l’ordinaria diligenza, anche attraverso l’esperimento degli strumenti di tutela previsti.” L'articolo 31 disciplina l’azione avverso il silenzio per l'accertamento dell'obbligo dell'amministrazione di provvedere, proponibile fintanto che perdura 46 l’inadempimento e, comunque, non oltre un anno dalla scadenza del termine di conclusione del procedimento amministrativo. La norma stabilisce che il giudice può pronunciarsi sulla fondatezza della pretesa dedotta in giudizio solo quando si tratti di attività vincolata, o quando non risulta che residuino ulteriori margini di esercizio della discrezionalità e non sono necessari adempimenti istruttori che debbano essere compiuti dall’amministrazione. L'articolo è da leggersi in combinato disposto con l'articolo 117, riguardante il ricorso avverso il silenzio che introduce importanti novità in termini di effettività della tutela relativa al caso di inerzia dell'amministrazione. Invero, il comma 1 dell'art.117 prevede che il ricorso avverso il silenzio è proposto, anche senza previa diffida, con atto notificato all'amministrazione e ad almeno un controinteressato. Il ricorso è deciso con sentenza in forma semplificata e, in tale sede, o successivamente, su istanza della parte interessata, il giudice può nominare un commissario ad acta. Inoltre, se nel corso del giudizio sopravviene il provvedimento espresso o un atto connesso con l'oggetto della controversia, questo può essere impugnato con motivi aggiunti nei termini e con il rito previsti per il nuovo provvedimento. Infine, vi è la previsione della possibilità di proporre congiuntamente all'azione avverso il silenzio l'azione di risarcimento del danno. In tal caso il giudice può definire con rito camerale l'azione avverso il silenzio e con rito ordinario la domanda risarcitoria. Infine è prevista l’azione per la declaratoria di nullità, proponibile per l’accertamento delle nullità previste dalla legge (salvo quanto previsto per l’elusione del giudicato, autonomamente disciplinata nel Libro IV) entro il termine di decadenza di centottanta giorni, fermo restando che la nullità dell’atto può sempre essere opposta dalla parte resistente o essere rilevata d’ufficio dal giudice. 47 5. IL PROCESSO AMMINISTRATIVO DI PRIMO GRADO - Un istituto nuovo è stato introdotto dall'art. 51 c.p.a., che ha codificato l'intervento su ordine del giudice, di origine processualcivilistica (art. 107 c.p.c.). Come è noto, il processo amministrativo conosceva solo l'intervento volontario e adesivo, ad adiuvandum o ad opponendum, a seconda se l'interesse che s'intende far valere - peraltro solo mediato e riflesso - sia all'annullamento (intervento ad adiuvandum) o alla conservazione (intervento ad opponendum) dell'atto impugnato. Nell'ordinare la chiamata in giudizio, il giudice individua gli atti che all'interventore devono essere notificati. Ove il terzo non sia chiamato nel termine prescritto, il ricorso è dichiarato improcedibile. La conseguenza di detta omissione è, dunque, la stessa prevista per la mancata estensione del contraddittorio nei termini fissati dal giudice (art 49, comma 3). 6. I TERMINI - Nell' ottica della chiarezza, si è cercato di rendere certa e omogenea la disciplina dei termini processuali, tanto nel rito ordinario che in quello “accelerato” trattato dall’art.119 e in quello “specialissimo” del contenzioso appalti, disciplinato all’art. 120. In tale prospettiva i termini processuali sono stati integralmente “riordinati”, superando tra l’altro le attuali incertezze giurisprudenziali sui termini per la proposizione dei motivi aggiunti e dei ricorsi incidentali e altresi “razionalizzati” in vista di un più pieno contraddittorio e di una migliore conoscenza della controversia da parte del Giudice. Si inquadra in tali obiettivi la previsione dei nuovi termini per il deposito dei documenti e delle memorie e dell’introduzione del diritto di replica, dedicando particolare cura alle modalità per il relativo computo, come nel caso dei termini a “ritroso” dall’udienza o dalla camera di consiglio in scadenza in giorni festivi. Opera nella stessa direzione, la semplificazione delle modalità di deposito degli atti soggetti a notifica e delle decisioni impugnate finalizzata anche a garantire l’effettiva disponibilità dei documenti depositati alle altre parti processuali. 48 7. IL PROCEDIMENTO CAUTELARE - Si è già accennato all’importanza che assume nel nuovo sistema la disciplina della fase cautelare (artt.55 ss). Si è cercato di assicurare una più effettiva garanzia del contraddittorio e una maggiore conoscenza degli atti di causa da parte del Giudice, attraverso un ampliamento dei termini per la fissazione della camera di consiglio (almeno venti giorni dal ricevimento della notifica e dieci dal deposito, che deve essere sempre accompagnato, a pena di improcedibilità, da quello dell’istanza di fissazione d’udienza). Ciò ha peraltro consentito di affermarne in modo espresso l’idoneità anche a soddisfare la garanzia del contraddittorio per la eventuale decisione in forma semplificata, fatta salva l’espressa richiesta di ulteriori termini a difesa per la proposizione di motivi aggiunti o di ricorsi incidentali. Nella stessa ottica è stato introdotto, sia per il procedimento cautelare che per gli altri procedimenti in camera di consiglio, un termine di due giorni liberi dalla camera di consiglio, per la presentazione di memorie e documenti. Ancora in riferimento alla fase cautelare, è stata istituzionalizzata la possibilità che l’istanza cautelare venga utilizzata come “porta” per avanzare richieste istruttorie e/o per ottenere una sollecita fissazione dell’udienza di merito ed è stata comunque espressamente garantita la sollecita fissazione di quest’ultima (entro un anno) in caso di concessione di misure cautelari. Sono stati puntualmente disciplinati i procedimenti per la tutela cautelare monocratica nelle more della camera di consiglio e per quella ante causam , ora estesa a tutte le controversie, nell’obiettivo di evitarne un uso distorto e strumentale a vantaggio della sola parte ricorrente, consentendo una più effettiva garanzia di contraddittorio per le parti resistenti e controinteressate che, oltre a poter essere, anche informalmente, sentite prima della decisione sull’istanza, possono sempre chiedere la revoca della misura eventualmente adottata, qualora riescano a rappresentarne l’ingiustizia. Tra le misure di chiarificazione e razionalizzazione, meritano menzione le disposizioni in tema di sospensione e di interruzione del processo e quelle sull’istanza di fissazione d’udienza in ordine alla quale è ribadito e chiarito l’obbligo della 49 presentazione, entro un anno dal deposito del ricorso ovvero dalla relativa cancellazione o riassunzione e entro novanta giorni dalla comunicazione dell’atto che fa venir meno la sospensione. Ancora, nella riferita ottica di accelerazione della definizione della controversia, è stata introdotta la possibilità di anticipare la decisione attraverso la concentrazione del giudizio su una sola questione, con rinuncia agli altri motivi di ricorso. 8. IMPUGNAZIONI - Nel Libro Terzo, il Codice disciplina in modo organico e coordinato i diversi mezzi di impugnazione (art.91), in merito ai quali è stato operato un sostanziale allineamento ai mezzi previsti dal codice di procedura civile, nel rispetto del vincolo di cui all’art. 111, ultimo comma, della Costituzione. E' elemento significativo l’introduzione di una disciplina positiva del rimedio dell’opposizione di terzo nel processo amministrativo (art.108), e la razionalizzazione dei rapporti tra i diversi mezzi di impugnazione, con tendenziale preferenza per l’appello, nel quale vengono fatte eventualmente confluire, nella forma dell’intervento, le opposizioni di terzo. Con specifico riferimento al giudizio di appello, le principali novità riguardano l’individuazione dei soggetti legittimati ad appellare, la previsione della riserva di appello, la disciplina dei nova (con espresso divieto di proposizione di domande nuove e di motivi aggiunti su atti non impugnati in primo grado), la previsione dell’obbligo di dedurre specifiche censure contro i capi della sentenza gravata, la riduzione delle ipotesi di rinvio al primo giudice, la previsione della possibilità di appello incidentale anche su capi diversi da quelli appellati in via principale, la rinuncia implicita alle domande e le eccezioni dichiarate assorbite o non esaminate nella sentenza di primo grado, che non siano state espressamente riproposte nell’atto di appello o, per le parti diverse dall’appellante, con memoria depositata a pena di decadenza entro il termine per la costituzione in giudizio. In analogia con quanto disposto per le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, è stato riconosciuto all’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato il potere di enunciare il principio di diritto nell’interesse della legge anche quando dichiara il ricorso 50 irricevibile, inammissibile o improcedibile, ovvero l’estinzione del giudizio (art.99,comma 5,c.p.a.). 9. IL GIUDIZIO DI OTTEMPERANZA - Il Codice si occupa diffusamente del giudizio di ottemperanza (artt.112-114), unificando la disciplina del giudizio di ottemperanza per le sentenze passate in giudicato, del giudizio di esecuzione delle sentenze di primo grado e degli altri provvedimenti esecutivi del giudice amministrativo, nonchè dei provvedimenti equiparati alle sentenze passate in giudicato per i quali non sia previsto il rimedio dell’ottemperanza, ivi espressamente compresi i lodi arbitrali esecutivi divenuti inoppugnabili. In ossequio al principio del contraddittorio, è prescritta la notificazione del ricorso per ottemperanza prima del suo deposito, con conseguente superamento della necessità della previa diffida e messa in mora. Considerata la storica natura “mista” del giudizio di ottemperanza, che non è pura esecuzione, ma presenta fisiologici momenti di cognizione, si è ritenuto, da un lato, di prescrivere la notificazione nei riguardi non solo dell’amministrazione, ma anche di tutte le altre parti del giudizio definito con la sentenza o con il lodo della cui ottemperanza si tratta e, dall’altro, di consentire la concentrazione nell’ambito del giudizio di ottemperanza di azioni cognitorie connesse, per evidenti ragioni di economia processuale. Confluiscono necessariamente nel giudizio di ottemperanza tutte le questioni di mancata esecuzione, elusione, violazione del giudicato, oltre che tutte le questioni che insorgono nel corso del giudizio a seguito degli atti del commissario ad acta, il cui sindacato viene espressamente affidato allo stesso giudice dell’ottemperanza, nonchè l’azione di risarcimento non solo dei danni derivanti dalla mancata esecuzione del giudicato, ma anche di quelli causati dall’illegittimo esercizio del potere amministrativo caso in cui, però, il giudizio di ottemperanza si svolge nelle forme, modi e termini del processo ordinario. Una interessante novità è costituita dalla possibilità di promuovere il giudizio di ottemperanza anche al fine di ottenere chiarimenti in ordine alle modalità di 51 ottemperanza. In tal caso la legittimazione attiva spetta anche alla pubblica amministrazione tenuta all’ottemperanza. 10. I RITI SPECIALI - Una particolare importanza assumono le disposizioni che riprendono e, in parte riscrivono, le regole del rito speciale in materia di appalti pubblici (artt.120-123 c.p.a.), originariamente introdotte dal D.lgs. n. 53 del 2010. Aderendo all’esigenza di omogeneità del sistema, il Codice prevede l’applicazione anche al nuovo contenzioso sugli appalti del rito accelerato ordinario disciplinato dall’art. 119, con la sola eccezione dei termini per la notificazione del ricorso di primo grado e dei motivi aggiunti, tanto contro provvedimenti già impugnati, quanto contro provvedimenti nuovi, che viene, eccezionalmente, fissato in trenta giorni contro i sessanta ordinari espressamente confermati dall’art. 119 anche per il rito accelerato comune a particolari materie. Con riferimento a quest’ultimo modello processuale, si segnalano i nuovi termini per l’impugnazione delle sentenze (con l’espressa precisazione dell’irrilevanza della omessa impugnazione del dispositivo ai fini della successiva richiesta di sospensione, l’espressa indicazione dei termini di deposito delle memorie e dei documenti e la necessità di un’espressa richiesta per la pubblicazione del dispositivo, non necessaria per il contenzioso appalti. 11. DISPOSIZIONI DEFLATTIVE DEL CONTENZIOSO - Questa sintetica disamina sulle principali novità introdotte dal Codice non può trascurare di segnalare alcune disposizioni deflattive di ordine economico. In particolare, oltre al già richiamato obbligo di pronuncia sulle spese della fase cautelare e alla previsione di sanzioni per l’elusione delle pronunce di ottemperanza o per il ritardo nell’esecuzione delle decisioni, si fa riferimento al nuovo potere del giudice di condannare, anche d’ufficio, la parte soccombente al pagamento in favore dell’altra parte di una somma di denaro equitativamente determinata, quando la decisione è fondata su ragioni manifeste o orientamenti giurisprudenziali consolidati, nonchè all' estensione del contributo unificato alla proposizione dei motivi aggiunti e del ricorso incidentale, introduttivi di nuove domande. 52 In conclusione, il Codice offre un significativo bagaglio di novità e molti importanti strumenti che possono contribuire ad un funzionamento sempre migliore della giustizia amministrativa, garantendo l’effettività e la celerità della tutela giurisdizionale ed il rispetto del principio del “giusto processo”, assicurando una reale garanzia del contraddittorio. 12. IL D.LGS. 15 NOVEMBRE 2011 N.195 - Va, infine, segnalato che il codice del processo amministrativo è stato oggetto di un intervento correttivo contenuto nel d.lgs. 15 novembre 2011, n. 195, recante," Disposizioni correttive ed integrative del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104". L'intervento di revisione ha posto riparo ad alcune imperfezioni della prima stesura del codice del processo amministrativo e ha messo a punto quelle norme che in sede di prima applicazione non sono apparse adeguate alle esigenze del processo. Formalmente il testo si compone di due articoli: il primo contiene tutte le modifiche apportate al codice con i relativi allegati; nel secondo è contenuta una norma di coordinamento con la legge n. 127/1997 (c.d. Bassanini due). Le modifiche al codice sono contenute nei tre commi da cui è composto l'art. 1 della legge; il primo comma contiene le modifiche del testo del «codice del processo amministrativo» (allegato 1), il secondo comma contiene le modifiche alle norme di attuazione (allegato2), il terzo comma riguarda le norme di coordinamento e abrogazione (allegato 3). Alcune modifiche apportate al testo del codice del processo amministrativo sono da collegarsi a esigenze di coordinamento testuale e di precisione lessicale, altre richiamano il rapporto tra processo amministrativo e codice di procedura civile (v. art.12 c.p.a.), altre pongono mano a singole criticità processuali. Uno sguardo alle modifiche più significative. Il correttivo novella l'art. 12 del c.p.a che prevede la possibilità di risoluzione delle controversie concernenti diritti soggettivi devoluti alla giurisdizione del giudice amministrativo mediante arbitrato rituale di diritto, chiarendo che con la locuzione " 53 arbitrato rituale di diritto" si deve intendere la disciplina dell'arbitrato prevista da codice di procedura civile (art.806 e seg.). Completamente riscritto è l'art.25 c.p.a. sulla domiciliazione processuale delle parti che prevede, allorchè la parte non elegga domicilio nel comune sede del T.A.R. o la sezione staccata dove pende il ricorso, l'elezione di domicilio presso la segreteria dei predetti tribunali. Nei giudizi davanti al Consiglio di Stato, se la parte non elegge domicilio a Roma, s'intende domiciliata presso la segreteria del predetto Consesso. Ulteriore modifica riguarda l'introduzione per lite temeraria. Il novellato comma 2 dell'art.26 c.p.a. introduce la pronuncia di condanna d'ufficio per la parte soccombente al pagamento di una sanzione pecuniaria, in misura non inferiore al doppio nè superiore al quinto del contributo unificato dovuto per il ricorso introduttivo del giudizio, quando la parte soccombente ha agito o resistito in giudizio temerariamente, ossia andando contro ragioni manifeste o orientamenti giurisprudenziale consolidati. Il correttivo fornisce un'interpretazione autentica dell'art.57 c.p.c. in tema di spese del procedimento cautelare stabilendo che la pronuncia sulle spese cautelari conserva efficacia anche dopo il provvedimeno che definisce il giudizio, sia esso una sentenza, un decreto o una pronuncia sul rito. La condanna alle spese può essere modificata solo da diversa statuizione prevista nella sentenza di merito. Con la modifica all'art.73 c.p.c. il correttivo ha imposto che le repliche non possono introdurre nuovi argomenti difensivi e che il loro limite contenutistico sia individuato sulla scorta delle memorie e delle repliche già depositate dalle altre parti; l'onere delle parti di svolgere le proprie difese è riferito al primo termine previsto per le memorie. Il provvedimento in parola novella l'art.87 c.p.a. prevedendo, al comma 1, che " le udienze sono pubbliche a pena di nullità, salvo quanto previsto dal comma 2, ma il presidente del collegio può disporre che si svolgano a porte chiuse, se ricorrano ragioni di sicurezza, dello Stato, di ordine pubblico o di buon costume". 54 Sempre in ordine all'art. 87, il correttivo modifica il comma 3 , relativamente alla disciplina dei termini processuali in camera di consiglio, disponendo che nei giudizi di cui al comma 2, con esclusione delle ipotesi di cui alla lettera a), vale a dire i giudizi cautelari e quelli relativi all'esecuzione delle misure cautelari collegiali, e fatto salvo quanto disposto dall'art.116, comma 1 (ricorso contro le determinazioni e il silenzio sulle istanze d'accesso ai documenti amministrativi), i termini processuali sono dimezzati rispetto a quelli del processo ordinario tranne, nei giudizi di primo grado, quelli per la notificazione del ricorso introduttivo, del ricorso incidentale e dei motivi aggiunti. Il correttivo interviene all'art.95 c.p.a. per stabilire che l'impugnazione della sentenza deve essere notificata a tutte le parti anche se attiene, oltre a una causa inscindibile, anche a cause tra loro dipendenti; sempre in tema di impugnazioni, intervenendo sull'art.101 c.p.a., dispone che la parte può stare in giudizio personalmente solo se munita di specifica abilitazione al patrocinio dinanzi alle giurisdizioni superiori. Con la modifica apportata all'art.108, il codice del processo amministrativo si allinea al codice di procedura civile (art.404) nella previsione che per proporre opposizione è sufficiente il pregiudizio, derivante dalla sentenza ancorchè passata in giudicato, ai diritti e interessi legittimi del terzo. Si elimina, in tal modo, ogni incertezza sui mezzi d'impugnazione a disposizione del litisconsorte necessario pretermesso. Un sostanziale intervento ha riguardato l'art.112 c.p.a relativo al giudizio di ottemperanza. E' stato, invero, eliminato il comma 4 del cennato articolo secondo cui l'azione risarcitoria autonoma (connessa cioè al solo giudizio di cognizione) era proponibile per la prima volta in sede di ottemperanza. Inoltre, mutano alcuni caratteri procedurali nel giudizio di ottemperanza: la copia autentica del provvedimento di cui si chiede l'ottemperanza potrà essere depositata insieme al ricorso notificato e agli altri documenti; le parti, nei cui confronti si è formato il giudicato, potranno esperire l'ordinaria azione di anullamento. Ha ristabilito la situazione di parità processuale tra ricorrente e controinteressato la modifica intervenuta all'art.120,comma 5 c.p.a., laddove è previsto che il termine 55 decadenziale dei 30 giorni si applica anche al ricorso incidentale. Il termine decorre dalla ricevuta della notificazione del ricorso incidentale o, per i soggetti intervenuti, dall'effettiva conoscenza della proposizione del ricorso principale. Le modifiche agli artt.133, 134 e 135 c.p.a. concernono rispettivamente l'integrazione dell'elenco delle materie sottoposte alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, alla giurisdizione di merito e alla competenza del T.A.R. del Lazio, sede di Roma. In particolare, la giurisdizione esclusiva è estesa, tra le altre, anche alle controversie in materia di silenzio assenso, segnalazione certificata di inizio attività e denuncia di inizio attività ( mentre prima era solo prevista la sola dichiarazione di inizio attività). Intervenendo sull'art.134 c.p.a. attribuisce al giudice amministrativo la giurisdizione con cognizione estesa al merito anche nelle controversie aventi ad oggetto le sanzioni alternative (art.123 c.p.a.) comminate dal giudice nell'ambito della sua giurisdizione sui lavori pubblici e pubbliche forniture. L'art.135 del c.p.a. concernente la competenza funzionale inderogabile del T.A.R. del Lazio, sede di Roma è novellato con l'attribuzione di competenza anche sulle controversie concernenti i provvedimenti riguardanti i magistrati amministrativi adottati dal Consiglio di Presidenza della giustizia amministrativa, l'assegnazione dei diritti d'uso delle frequenze radiotelevisive e i provvedimenti (esclusi quelli in materia di rapporti di impiego) adottati dall'Agenzia nazionale di regolamentazione del settore postale. Infine, concludendo la disamina di alcune tra le modifiche più significative apportate dal correttivo al codice del processo amministrativo, si segnala il novellato art.136 c.p.a. con cui è stato implementato l'uso delle modalità telematiche di comunicazione degli avvocati. Infatti le comunicazioni di segreteria effettuate per posta elettronica certificata o fax ai recapiti indicati dal difensore nel suo primo atto processuale, si presumono conosciute dall'avvocato destinatario. 56 CAPITOLO 2 - NOVITA’ NELLA GESTIONE DELLE CONTROVERSIE DINNANZI AL GIUDICE CIVILE DOPO LA LEGGE N. 183/2010 ED IL D.LVO N. 150/2011 1. LA LEGGE N. 183/2010 - Nel biennio 2010/2011, il legislatore è intervenuto nella disciplina del giudizio dinnanzi al giudice ordinario modificando fra l’altro diverse disposizioni contenute nel codice di procedura civile. In particolare, nell’anno 2010 è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 9.11.2010 n.262, dopo un faticoso iter legislativo, l’importante legge 4.11.2010 n.183. Con tale legge, sono state dettate disposizioni in diverse materie ed, in particolare, sono state sostituiti diversi articoli del codice di procedura civile relativi alla disciplina delle controversie di lavoro nella parte relativa al tentativo di conciliazione, che costituisce lo strumento fondamentale che l’ordinamento riconosce al lavoratore per definire in via bonaria le controversie di lavoro, facente parte dei numerosi istituti previsti dall’ordinamento per la definizione stragiudiziale delle controversie in merito alle quale si è già diffusamente relazionato nel precedente capitolo per addivenire alla definizione stragiudiziale delle liti. Pertanto, di seguito, saranno illustrate le principali novità introdotte dalla legge n. 183/2010 per effettuare una ricognizione degli strumenti che l’ordinamento vigente pone a disposizione del lavoratore che intenda definire, in tempi rapidi e con minori spese le controversie con il proprio datore di lavoro, sia esso privato che pubblico 63. L’art 31 della predetta legge, in materia di conciliazione ed arbitrato, ha sostituito gli artt. 410, 411, 412, 412 ter, 412 quater, ed ha modificato l’art. 420, primo comma, del codice di procedura civile. In particolare, tale legge ha introdotto due fondamentali modifiche al sistema previgente. 63 Sul tema cfr Borghesi, “L’arbitrato ai tempi del collegato lavoro”, in www.judicium.it. 57 Il legislatore, tenuto conto degli esiti fallimentari del carattere obbligatorio del tentativo di conciliazione stabilito dalla previgente formulazione della norma - che non aveva ottenuto l’atteso effetto deflativo del contenzioso - fatta salva l’eccezione relativa ai contratti certificati ex art 80 comma 4 del Dlgs 276/2003, ha reso tale tentativo facoltativo e non più condizione di procedibilità della domanda giudiziale. Inoltre, con tale legge è stata apportata al sistema delineato dal codice un’altra fondamentale modifica costituita dall’unificazione delle regole procedurali per il tentativo di conciliazione relative a controversie di lavoro pubblico e privato ( cfr comma 9 art 31 legge 183/2010). La predetta legge è intervenuta altresì, apportando modifiche alla previsione della conciliazione giudiziale contenuta nella previgente formulazione dell’art. 420 c.p.c. ed enfatizzando il potere di conciliazione della lite che il codice riconosceva al giudice. Infatti, nella precedente formulazione della norma, al giudice era affidato il potere di tentare la conciliazione della lite mentre la nuova formulazione riconosce in capo al giudice il potere più pregnante ed incisivo di formulare alle parti una proposta transattiva che, se rifiutata dalle parti senza giustificato motivo, costituisce comportamento valutabile dal giudice ai fini del giudizio. Appare chiaro, quindi, l’intento del legislatore di consentire al lavoratore di poter definire la controversia in modo bonario anche laddove sia stata già percorsa la via giudiziale. In via incidentale, è opportuno accennare al fatto che il collegato lavoro ha altresì modificato il primo e secondo comma dell’art 6 della legge 15.7.1966 n. 604 applicabile anche ai rapporti di lavoro con enti pubblici - recante “norme sui licenziamenti individuali”, prevedendo che il licenziamento deve essere impugnato, a pena di decadenza, entro sessanta giorni dalla ricezione della sua comunicazione in forma scritta, ovvero dalla comunicazione in forma scritta dei motivi con qualsiasi atto, anche extragiudiziale. La norma prevede che l’impugnazione diviene inefficace se entro il successivo termine di duecentosettanta giorni l’interessato non deposita il ricorso presso la cancelleria del Tribunale in funzione di giudice del lavoro, ovvero non comunica alla controparte la richiesta di tentativo di conciliazione o arbitrato. Con i 58 commi 3 e 4, del medesimo articolo 6 della legge 15.7.1966 n. 604 il legislatore ha esteso l’applicazione delle disposizioni citate come modificate dall’art. 32 del collegato lavoro, ad altre ipotesi espressamente indicate fra cui i contratti di lavoro a termine. Per quanto concerne la materia della conciliazione e dell’arbitrato in materia di lavoro, un ulteriore elemento di novità ricavabile dall’esame delle modifiche introdotte è costituito dal fatto che il legislatore – se, da un lato, ha reso facoltativo e non più obbligatorio il tentativo di conciliazione - dall’altro ha notevolmente ampliato il numero degli strumenti a disposizione del lavoratore per la definizione stragiudiziale della controversia. L’art. 410 c.p.c., infatti, detta le regole per l’espletamento del tentativo di conciliazione prevedendo la composizione della commissione di conciliazione costituita presso la Direzione Provinciale del lavoro, le modalità di presentazione della richiesta di conciliazione ed i requisiti della stessa. Per la rilevanza che assume per le controversie con la pubblica amministrazione, occorre rilevare che nell’art 410 c.p.c., non è stata inserita la disposizione contenuta nel comma 4 dell’art. 66 del decreto legislativo 165/2001, in base alla quale, in sede di conciliazione, per l’Amministrazione deve comparire un soggetto munito del potere di conciliare. A tal proposito, si rileva però che l’art. 16, lettera f), del decreto legislativo n. 165/2001, prevede fra le funzioni dei dirigenti di uffici dirigenziali generali quella di promuovere e resistere alla lite e demanda agli stessi il potere di conciliare e di transigere. Pertanto, atteso che alla seduta del collegio di conciliazione partecipa un funzionario dell’Amministrazione interessata, si ritiene che detto funzionario incaricato per l’espletamento del tentativo di conciliazione debba essere, comunque, in possesso di apposita delega del dirigente generale che contenga l’espresso conferimento del potere di conciliare e transigere. E’ opportuno anche sottolineare come il legislatore abbia mantenuto la previsione contenuta nel comma 8, dell’articolo 66 del decreto legislativo n. 165/2001 in base alla quale: “ la conciliazione della lite da parte di chi rappresenta l’Amministrazione, in adesione alla proposta formulata dal collegio di cui al comma 1 59 ovvero in sede giudiziale ai sensi dell’art 420 commi 1, 2 e 3 cpc non può dar luogo a responsabilità amministrativa.”. Infatti, con il collegato lavoro il legislatore - pur avendo abrogato l’art. 66 del decreto legislativo n. 165/2001, contenente la disposizione citata - ha reintrodotto tale fondamentale principio, sia pure con diversa formulazione, nell’ultimo comma dell’art. 410 cpc. La nuova disposizione esclude, infatti, la responsabilità del soggetto che concilia la lite per l’Amministrazione anche nelle ipotesi in cui si addivenga a tale conciliazione - non solo sulla base della proposta del collegio che lo stesso è tenuto a formulare ex art. 411 c.p.c. laddove non venga raggiunto l’accordo fra le parti - ma anche laddove l’accordo conciliativo venga raggiunto senza l’intervento del collegio di conciliazione, ma in base al mero accordo delle parti. La norma però - nell’ampliare le fattispecie nelle quali è esclusa la responsabilità del soggetto munito del potere di conciliare - prevede che tale beneficio non è applicabile nei casi di dolo o colpa grave. Con tale nuova disposizione, il legislatore, da un lato, ha inteso tutelare il soggetto pubblico che partecipa al tentativo di conciliazione impegnando interessi dell’Amministrazione che rappresenta, per delega del dirigente generale e, dall’altro, ha inteso prevenire il rischio di condotte superficiali ed avventate in sede di conciliazione, escludendo l’esimente dalla responsabilità, che può assumere anche natura disciplinare, in caso di dolo o colpa grave del funzionario incaricato per l’espletamento della singola conciliazione. Una fondamentale novità è costituita - anche in ragione dell’espressa applicabilità alle controversie di lavoro con la pubblica amministrazione - dall’art. 412 c.p.c., come sostituito dal comma 5 dell’articolo 31 del collegato lavoro, che contiene disposizioni in tema di “risoluzione arbitrale della controversia”. Con tale articolo il legislatore ha sostanzialmente riconosciuto alle parti la possibilità di richiedere alla commissione di conciliazione incaricata dell’espletamento del tentativo di conciliazione di risolvere in via arbitrale la controversia, in qualunque fase del tentativo di conciliazione o al suo termine laddove lo stesso non riesca. In particolare, l’articolo disciplina le caratteristiche del mandato da conferire alla commissione di conciliazione, con l’espressa previsione che lo stesso possa decidere secondo equità, e prevede 60 espressamente che il lodo produca fra le parti gli effetti previsti dall’art 1372 e 2113, comma 4, cpc e sia impugnabile ex art 803 ter c.p.c.. A tal proposito, è opportuno rilevare come, nel caso in esame, il tentativo di conciliazione non costituisca condizione di procedibilità per il ricorso all’arbitrato, ma solo una opportunità per ricorrere a tale strumento in quanto nella fase conciliativa le parti hanno modo di capire se vi siano margini di trattativa e la commissione di conciliazione ove operi in sede arbitrale è già a conoscenza della vertenza ed ha avuto modo di saggiare la disponibilità delle parti. Peraltro, non può non rilevarsi come la norma intenda dare maggior peso all’autonomia delle parti che possono percorrere, ove la conciliazione non riesca, la via arbitrale tramite la medesima commissione di conciliazione alla quale la legge riconosce lo svolgimento di funzioni arbitrali, realizzando cosi l’auspicabile obiettivo di rendere più celere ed efficace la procedura. In merito, è opportuno rilevare che il riconoscimento alla commissione di conciliazione di funzioni arbitrali ha sollevato in dottrina la questione relativa alla possibile lesione dei principi di imparzialità indipendenza e riservatezza che devono informare l’attività degli arbitri che potrebbe essere lesi in tale ipotesi 64. Infatti, secondo parte della dottrina per garantire l’imparzialità del collegio arbitrale dello stesso non devono far parte soggetti che hanno fatto parte della commissione, rilevando però che la diversità delle funzione di componente della commissione rispetto a quella dell’arbitro può comunque far ragionevolmente escludere che possa configurarsi una lesione del principio di imparzialità. Altra questione concerne il problema della riservatezza che la legge n. 183/2010 non ha affrontato, come, invece, avvenuto in occasione dell’emanazione D.lgs. n. 28/2010 in tema di mediazione, che agli artt. 9, 10 e 14 prevede in dettaglio i doveri e gli obblighi del mediatore. Tali disposizioni potrebbero ritenersi applicabili anche ai tentativi di conciliazione. 64 cfr Zucconi Galli Fonseca, L’arbitrato nelle controversie di lavoro: bilancio e prospettive di riforma, in Riv. Arb. 2008, 481. 61 Per completare il quadro delle innovazioni normative occorre richiamare gli artt. 412 ter e 412 quater c.p.c., anch’essi espressamente applicabili alle controversie di lavoro pubblico. L’art 412 ter c.p.c. prevede l’applicazione degli istituti della conciliazione e dell’arbitrato presso le sedi e con le modalità previste dai contratti collettivi di lavoro, relativamente alle controversie di lavoro espressamente indicate dalla legge. Detta norma, quindi, in un ottica deflattiva del contenzioso, intende non precludere il ricorso a forme conciliative eventualmente previste in materia di lavoro dai contratti collettivi. Assume, invece, rilevanza fondamentale e carattere di novità l’art. 412 quater c.p.c. - come sostituito dal comma 8 dell’articolo 31 del collegato lavoro - che costituisce la norma più importante della predetta legge. Tale articolo, nella nuova formulazione, prevede “altre modalità di conciliazione ed arbitrato” e consente di proporre le controversie di cui all’art. 409 c.pc dinanzi ad apposito collegio di conciliazione ed arbitrato irrituale costituito secondo specifiche disposizioni contenute nell’art. 409 c.p.c.. Il legislatore ha previsto che detto collegio di conciliazione ed arbitrato sia composto da un rappresentante delle parti ed un terzo membro quale presidente scelto di comune accordo dalle parti giuridiche e gli avvocati ammessi al patrocinio fra professori universitari di materie davanti alla Corte di Cassazione. Quindi, il legislatore si è preoccupato di porre a capo della predetta commissione un soggetto che - anche se scelto dalle parti - assicurasse la necessaria preparazione tecnica. Inoltre, merita evidenziare il fatto che la norma rimette alle parti la scelta del Presidente che, comunque, deve essere scelto fra professori universitari od avvocati patrocinanti in cassazione. Detto articolo disciplina analiticamente, altresì, le modalità di ricorso al collegio di conciliazione ed arbitrato che deve essere presentato con ricorso contenente la nomina dell’arbitro di parte e, fra l’altro l’oggetto della domanda e le ragioni di fatto e di diritto sulla quale la stessa si fonda. L’articolo 412 quater prevede, poi, che se la controparte intende accettare la procedura di conciliazione ed arbitrato, nomina il proprio arbitro di parte che procede 62 poi d’intesa con l’arbitro dell’altra parte alla scelta del presidente e della sede del collegio. Ove le parti non scelgano d’intesa il presidente la parte ricorrente può richiedere che la nomina venga fatta dal presidente del competente tribunale. Si sottolinea altresì, che il legislatore ha previsto la decisione della controversia mediante l’emanazione di un lodo impugnabile ex art. 80 e 8 ter c.p.c. che viene sottoscritto dalle parti e produce gli effetti di cui agli artt. 1372 e 2113, comma 4, c.p.c.. Per completare il quadro delle importanti modifiche apportate dall’art. 31 del collegato lavoro alla materia della conciliazione e dell’arbitrato in materia di lavoro, merita accennare alla disposizione contenuta nel comma 12 che richiamando il decreto legislativo 10.9.2003 n. 276 (cd legge Biagi) prevede la possibilità per gli organi di certificazione di cui all’articolo 76 di istituire camere arbitrali per la definizione ai sensi dell’art. 808 ter c.p.c. delle controversie nelle materie di cui all’art. 409 c.p.c. e a all’art. 63 comma 1 del decreto legislativo 30.3.2001 n. 165. Dal delineato quadro delle innovazioni normative, sinteticamente descritte, è possibile prevenire alla conclusione che il legislatore - pur avendo eliminato il carattere obbligatorio del tentativo di conciliazione - ha previsto numerosi strumenti conciliativi ed arbitrali (con il richiamo alle norme sull’arbitrato irrituale contenute nel c.p.c.) in favore del lavoratore pubblico o privato prima dell’eventuale ricorso in sede giurisdizionale, al fine di rendere il ricorso al giudice, nell’ottica deflattiva del contenzioso, strumento da utilizzare in via residuale, solo laddove la controversia non possa essere risolta. Tale scelta legislativa, risulta inevitabilmente connessa alla necessità di deflazionare il contenzioso giuslavoristico, che non ha ottenuto risultati significativi nel precedente assetto normativo che riconosceva il carattere obbligatorio di tale tentativo mediante il ricorso a strumenti alternativi in grado di rendere meno gravoso il notevole carico di lavoro degli uffici giudiziari. 2. IL DECRETO LEGISLATIVO N. 150/2011 - Nel corso del 2011, il legislatore è intervenuto nella disciplina del processo civile con l’emanazione del decreto legislativo n. 150, pubblicato sulla GU n. 220 del 21.9.2011 recante: “ Disposizioni complementari 63 al codice di procedura civile in materia di riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione, ai sensi dell’art 54 della legge 18.6.2009 n. 69”. Con l’articolo 54 della predetta legge n. 69/2009 il Governo è stato delegato all’emanazione di uno o più decreti legislativi in materia di riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione rientranti nell’ambito della giurisdizione ordinaria e che sono regolati dalla legislazione speciale, realizzando il coordinamento con le altre disposizioni vigenti. Inoltre, sono stati dettati numerosi principi e criteri direttivi a cui il Governo si è dovuto attenere nell’emanazione dell’importante decreto legislativo n. 150/2011, fra cui la riconduzione ad uno dei modelli processuali previsti dal codice di procedura civile, ovvero: 1) procedimenti in cui sono prevalenti carattere di concentrazione processuale o di officiosità dell’istruzione ricondotti al rito previsto dal libro II titolo IV capo I del codice di procedura civile (artt. 409 e ss. c.p.c.); 2) procedimenti anche in camera di consiglio con carattere di semplificazione della trattazione o dell’istruzione della causa ricondotti al procedimento sommario di cognizione di cui libro IV titolo I capo III bis c.p.c. introdotto dall’art 51 della legge 69/2009 (art. 702 bis c.p.c.); 3) tutti gli altri procedimenti sono ricondotti al rito di cui al libro II titoli I e III ovvero titolo II c.p.c. (artt. 163 e ss. c.p.c.). Il predetto decreto legislativo, assume specifica rilevanza anche per la gestione delle controversie della pubblica amministrazione dinanzi al giudice ordinario, atteso che fra i procedimenti regolati dalla legislazione speciale ricondotti ai modelli previsti dal codice di procedura civile figurano specifici procedimenti che vedono coinvolta la pubblica amministrazione ed in particolare il Ministero dell’Interno. Nella relazione illustrativa del d.l.vo n. 150/2011, si osserva che “l’evoluzione normativa degli ultimi decenni si caratterizza per l’estrema proliferazione dei modelli processuali, avvenuta spesso in assenza di un disegno organico, all’insegna della ricerca di formule procedimentali che potessero assicurare una maggiore celerità dei giudizi. Il fenomeno si è rilevato nel tempo come un fattore di disorganizzazione del lavoro giudiziario, che viene unanimamente individuato come una delle cause delle 64 lungaggini dei giudizi civili, oltre ad aver determinato rilevanti difficoltà interpretative per tutti gli operatori del diritto ….”. Inoltre, è stati rilevato come il governo nell’esercizio della delega abbia inteso razionalizzare e semplificare la normativa precedente contenuta nella legislazione speciale “raccogliendo in un unico testo normativo tutte le disposizioni speciali che disciplinano i procedimenti giudiziari previsti da leggi speciali, cosi dando luogo ad un testo che si pone in rapporto di complementarietà rispetto al codice di procedura civile in sostanziale prosecuzione del libro IV del medesimo codice”. Sostanzialmente, dalla relazione illustrativa, emerge come il Governo abbia inteso realizzare obiettivi di semplificazione e razionalizzazione per consentire agli operatori del diritto di poter rinvenire in un unico testo normativo le varie disposizioni che regolano ogni procedimento speciale. Dalla riforma emerge la predilezione del modello processuale del rito del lavoro per i procedimenti nei quali erano prevalenti i caratteri della concentrazione delle attività processuali o laddove erano previsti ampi poteri istruttori del giudice. Invece, sono stati ricondotti al procedimento sommario di cognizione i procedimenti caratterizzati da una forte semplificazione della trattazione ed istruzione della causa. Infine, per i procedimenti non riconducibili ad uno dei due modelli enunciati il governo ha ricondotto gli stessi al rito ordinario di cognizione di cui al libro II titolo V capo I c.p.c.. Sostanzialmente, a seguito dell’introduzione delle norme contenute nel d.l.vo n. 150/2011, per ogni procedimento prima disciplinato dalla normativa speciale, le norme di rito sono rinvenibili nelle disposizioni del codice di procedura civile relative al singolo rito (rito del lavoro; rito sommario; etc...), nonché, nelle specifiche disposizioni del decreto legislativo relative alla singola tipologia di controversia. Il decreto legislativo n. 150/2011, si compone di cinque capi, di cui il primo detta disposizioni generali, il secondo è dedicato alle controversie regolate dal rito del 65 lavoro, il terzo alle controversie regolate dal rito sommario di cognizione, il quarto a quelle regolate dal rito ordinario di cognizione. Infine, il Capo V detta disposizioni finali ed abrogazioni. Dopo l’entrata in vigore del decreto legislativo n. 150/2011, il Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, con circolare n. 28 del 2.11.2011 ha fornito chiarimenti circa le disposizioni introdotte dal decreto legislativo con particolare riferimento all’articolo 6, relativo al procedimento di opposizione all’ordinanza ingiunzione ed alle disposizioni in materia di diretta costituzione in giudizio dell’Amministrazione in deroga alla regola generale che demanda all’Avvocatura dello Stato la difesa in giudizio della pubblica amministrazione. Delle disposizioni contenute nel capo I merita segnalare che l’articolo 2 indica le disposizioni del codice di procedura civile che non si applicano nelle controversie disciplinate dal rito del lavoro. In proposito, è opportuno evidenziare che tale articolo, al comma 1, nell’elencare le disposizioni che non si applicano alle controversie di cui al capo II , salvo che siano espressamente richiamate, indica l’art. 417 bis c.p.c., che nelle controversie di lavoro pubblico consente alla competente Avvocatura di affidare all’Amministrazione la rappresentanza e difesa in giudizio. A seguito della riforma, nelle controversie regolate dal rito del lavoro il giudice può disporre fra l’altro dei poteri istruttori previsti dall’art 420 c.p.c . L’articolo 3 detta disposizioni comuni alle controversie regolate dal rito sommario di cognizione, l’articolo 4 disciplina il mutamento del rito e l’articolo 5 la sospensione dell’efficacia esecutiva del provvedimento impugnato, con norma atipica e mutuata dalle regole del processo amministrativo. Per quanto riguarda il capo II - che prevede le controversie regolate dal rito del lavoro – va osservato che negli otto articoli di cui lo stesso si compone vengono elencate le controversie rimesse al giudice del lavoro, fra cui merita di segnalare le ipotesi previste dagli articoli 6, 7, 8, 9 e 10, che attengono a controversie con la pubblica amministrazione e a vertenze relative a materie rientranti nelle competenze del Ministero dell’Interno. 66 L’articolo 6 disciplina, in particolare, l’opposizione all’ordinanza - ingiunzione, già prevista dagli articoli 18 e 22 della legge 24.11.1981 n. 689: procedimento di specifico interesse per il Ministero dell’Interno. L’articolo 22 della legge n. 689/81, modificato e parzialmente abrogato dall’articolo 34 del decreto legislativo n. 150/2011, prevedeva che avverso l’ordinanzaingiunzione di pagamento e contro l’ordinanza che dispone la sola confisca, gli interessati potessero proporre opposizione davanti al giudice del luogo di commissione della violazione individuato a norma dell’articolo 22 bis, entro il termine di giorni trenta dalla notificazione del provvedimento. La disciplina introdotta nel 2011 ha sostituito la disciplina prevista dal citato articolo 22 della legge n. 689/81, che è stato parzialmente abrogato unitamente agli articoli 22 bis e 23 della legge del 1989, che regolavano la competenza per il giudizio di opposizione ed il procedimento relativo. Con la nuova disciplina, che tiene conto del mutato quadro normativo costituzionale e degli interventi della Corte Costituzionale succedutisi in tale materia, il ricorso deve essere proposto, come già previsto dalla previgente normativa, entro trenta giorni dalla notificazione dell’atto. Merita segnalare che il decreto ha inteso rendere omogenea la disciplina della sospensione dell’efficacia dell’ordinanza - ingiunzione con quella della sospensione dell’efficacia esecutiva del verbale di accertamento di violazione del codice della strada. A tal fine, è stato previsto che la sospensione dell’efficacia del provvedimento opposto possa essere concessa dal giudice – con ordinanza non impugnabile - solo laddove la stessa sia stata richiesta dall’opponente e ricorrano gravi e circostanziate ragioni di cui il giudice deve tener conto nella motivazione del provvedimento di sospensione. Con il decreto legislativo n. 150/2011 tale procedimento viene ricondotto al rito del lavoro in virtù dei caratteri di concentrazione e di officiosità dell’istruzione che, come osservato nella relazione illustrativa, caratterizzano tale procedimento. E’ prevista, salvo ipotesi particolari, la competenza del giudice di pace. Dal punto di vista procedurale, merita segnalare la previsione contenuta nell’articolo 8, in forza del quale il giudice, nel fissare l’udienza ex art. 415, 2° comma, 67 c.p.c., ordina all’autorità che ha emesso l’ordinanza impugnata di depositare presso la cancelleria dieci giorni prima dell’udienza fissata copia del rapporto e relativa documentazione. Il ricorso ed il decreto devono essere notificati, a cura della cancelleria, sia al ricorrente che all’autorità che ha emesso il provvedimento. Il comma 9 del medesimo articolo, introduce specifiche disposizioni in ordine alla possibilità per le parti di stare in giudizio personalmente. Infatti, dopo l’espressa previsione in base alla quale, nel giudizio di primo grado, l’opponente e l’autorità che ha emesso l’ordinanza possono stare in giudizio personalmente, la legge specifica che la stessa può avvalersi di funzionari appositamente delegati. Lo stesso comma 9 prevede che nel giudizio di opposizione all’ordinanza ingiunzione di cui all’art. 205 del decreto legislativo 30 aprile 1992 n. 285, il Prefetto può farsi rappresentare in giudizio dall’Amministrazione cui appartiene l’organo accertatore, che vi provvede a mezzo di propri funzionari appositamente delegati laddove la stessa sia destinataria dei proventi della sanzione ex art. 208 del predetto decreto. Con tali disposizioni il legislatore ha presumibilmente inteso rendere meno gravoso il carico di lavoro delle Prefetture consentendo al personale delle competenti Amministrazioni comunali, appositamente delegato, di rappresentare in giudizio gli Uffici Territoriali del Governo, così, realizzando economie di gestione. Ne consegue, che l’attività di rappresentanza in giudizio può essere svolta da un soggetto appartenente ad una Amministrazione diversa da quella che ha emanato l’atto impugnato, da cui dipende l’organo che ha emesso l’atto istruttorio posto alla base dell’ordinanza. L’articolo 6, al comma 10 prevede i poteri del giudice in relazione alle varie evenienze del processo. Il giudice, in conformità a quanto aveva già stabilito la Corte Costituzionale con sentenza n. 534/90, deve esaminare il ricorso nel merito anche laddove il ricorrente non si presenti, purchè l’illegittimità del provvedimento emerga con evidenza dalla documentazione depositata dal ricorrente oppure l’autorità competente venga meno all’obbligo di depositare copia del rapporto e degli atti relativi. 68 In deroga al principio generale che vieta al giudice ordinario di annullare atti illegittimi, è consentito al giudice, con la sentenza che accoglie il ricorso, di annullare in tutto o in parte l’ordinanza o di modificarla. Per quanto concerne i procedimenti ricondotti al rito del lavoro, si segnalano le disposizioni contenute nell’articolo 7 relative all’opposizione al verbale di accertamento di violazione del codice della strada, precedentemente disciplinato dall’articolo 204 bis del decreto legislativo 30.4.1992 n.285. Tale disposizione ribadisce la competenza del giudice di pace, prevedendo un dimezzamento a giorni trenta del termine per proporre ricorso, precedentemente previsto in sessanta giorni. E’ riconosciuta espressamente la legittimazione passiva del Prefetto nel caso in cui le violazioni contestate siano state accertate da funzionari, ufficiali ed agenti dello Stato nonché da agenti e funzionari delle Ferrovie dello Stato, delle ferrovie e tranvie in concessione e dell’Anas. Con tale norma, il legislatore ha, quindi, riconosciuto nel Prefetto l’autorità provinciale che quale rappresentante del governo sul territorio - può comparire in giudizio tramite propri funzionari appositamente delegati. Le restanti disposizioni dell’articolo indicato riproducono, sostanzialmente, quelle già contenute nel precedente articolo 6. Il comma 3 dell’art 7 configura un ipotesi di inammissibilità del ricorso laddove non sia stato proposto previamente ricorso ai sensi dell’art 203 del decreto legislativo 30.4.1992 n. 285, ovvero non sia stato proposto ricorso al Prefetto, inteso quale condizione di procedibilità del ricorso dinanzi al competente giudice di pace. L’articolo 8 del decreto legislativo n. 150/2011 - che reca disposizioni di particolare interesse per il Ministero dell’Interno - individua la competenza del giudice di pace e, nel caso di trasgressore minorenne, del Tribunale dei Minorenni, per le controversie previste dall’art. 75, comma 9, del DPR n. 309/1990, relative ad illeciti inerenti sostanze stupefacenti che non hanno rilevanza penale ma comportano l’irrogazione di sanzioni amministrative da parte dal Prefetto. Detto articolo, specifica che tali controversie sono regolate dall’articolo 6 ovvero dalle stesse regole procedurali previste per l’opposizione ad ordinanza ingiunzione. 69 Le restanti disposizioni del Capo II - relativo alle controversie regolate dal rito del lavoro - concernono altri specifici procedimenti fra cui si segnala quello previsto dall’articolo 9 in materia di recupero di aiuti di Stato di cui alla legge 6.6.2008 n. 101, ora disciplinato dall’articolo 6. In merito, è opportuno segnalare che dalla relazione illustrativa emerge la scelta del governo, al fine di conformarsi alla giurisprudenza comunitaria, di mantenere la speciale disciplina del procedimento di sospensione dell’efficacia del titolo amministrativo o giudiziale di pagamento emesso a seguito di decisione di recupero. Del Capo II va segnalato, infine, anche l’articolo 10 che detta disposizioni in materia di applicazione del codice per la protezione dei dati personali, comprendendo nel rito del lavoro le controversie previste dall’articolo 152 del decreto legislativo 30.6.2003 n. 196. Tale articolo, al comma 3, fissa un termine di giorni trenta per la proposizione del ricorso avverso i provvedimenti del Garante per la protezione dei dati personali che deve essere proposto dinnanzi al Tribunale del luogo ove ha la residenza il titolare del trattamento dei dati, come definito dall’articolo 4 dal codice per la protezione dei dati personali, con la possibilità di sospensione del provvedimento impugnato ai sensi dell’articolo 5 del decreto legislativo n. 150/2011. Assume specifica rilevanza la disposizione contenuta nel comma 6 del medesimo articolo, che consente al giudice, con la sentenza emessa al termine del giudizio, di prescrivere le misure necessarie anche in deroga al divieto di cui all’articolo 4 della legge 20.3.1865 n. 2248, nonché di stabilire il risarcimento del danno. Tale disposizione persegue l’evidente fine di garantire l’effettività della tutela del ricorrente. Per quanto concerne i procedimenti ricondotti al rito sommario di cognizione, che persegue la finalità di garantire al cittadino la celere tutela dei suoi interessi, il Governo - in attuazione della delega conferitagli - ha inserito nel Capo III 17 articoli relativi a controversie incluse in quelle regolate dal rito sommario. Alcuni dei procedimenti assoggettati al rito sommario di cognizione vedono coinvolta la pubblica amministrazione ed, in particolare, anche il Ministero dell’Interno. 70 Come osservato nella relazione illustrativa, per detti procedimenti è stata esclusa la possibilità di conversione del rito sommario di cognizione nel rito ordinario. Nel merito dei numerosi procedimenti richiamati, si evidenziano gli articoli 16, 17, 18, 19 e 20 relativi a procedimenti inerenti la condizione dello straniero e di rifugiato, materie rientranti nelle competenze istituzionali del Ministero dell’Interno. Inoltre, il decreto legislativo n. 150/2011 comprende nel rito sommario di cognizione talune azioni in materia elettorale (articoli 22, 23, 24). In dettaglio, l’articolo 17 del decreto legislativo relativo alle controversie inerenti l’impugnazione del provvedimento di allontanamento dei cittadini degli altri Stati membri dell’Unione Europea e dei loro familiari per motivi imperativi di pubblica sicurezza e per gli altri motivi di pubblica sicurezza di cui all’articolo 20 del decreto legislativo 6.2.2007 n.30, nonché per i motivi di cui all’articolo 21 del predetto decreto, prevede la competenza del Tribunale ove ha sede l’autorità che ha emanato il provvedimento impugnato. Tale procedimento è stato ricondotto al rito sommario di cognizione in ragione dei caratteri di semplificazione della trattazione e dell’istruzione della causa evidenziati dalla forma dell’atto introduttivo del giudizio e dal rinvio ad opera della normativa previgente, alla disciplina dei procedimenti in camera di consiglio prevista dagli artt. 737 e ss c.p.c.. Per tale procedimento il ricorrente può stare in giudizio personalmente ed il ricorso può essere presentato anche a mezzo del servizio postale, in conformità ai principi stabiliti dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 278 del 16.7.2008. L’efficacia esecutiva del provvedimento impugnato può essere sospesa in conformità alle disposizioni contenute nell’articolo 5. Al fine di assicurare l’immediata tutela in via cautelare degli interessi del ricorrente, è previsto che l’allontanamento dal territorio non può avere luogo fino alla pronuncia sull’istanza di sospensione, salvo che il provvedimento sia fondato su una precedente decisione giudiziale o su motivi imperativi di pubblica sicurezza. 71 L’articolo 18 disciplina il procedimento concernente le controversie in materia di espulsione dei cittadini di Stati che non sono membri dell’Unione Europea, decretata ai sensi dell’articolo 13, comma 2, del decreto legislativo 25.7.1998 n. 286. Il procedimento, pure ricondotto al rito sommario, prevede la competenza del giudice di pace e segue, sostanzialmente, le medesime regole relative ai ricorsi avverso i provvedimenti di allontanamento dei cittadini dell’Unione Europea, con la possibilità di partecipare personalmente al giudizio. Una peculiarità di tale procedimento è costituita dalla inappellabilità dell’ordinanza che definisce il procedimento che trova la sua ragione nel rispetto della clausola di invarianza finanziaria ovvero dell’impossibilità di onerare ulteriormente l’erario per costi derivanti dall’Amministrazione della Giustizia. A tal proposito va infatti ricordato come le controversie in esame siano caratterizzate dall’ammissione di tutti i ricorrenti al gratuito patrocinio ed un eventuale introduzione del giudizio di gravame avrebbe cagionato un notevole aumento di spese privo di un adeguata copertura finanziaria. Il decreto legislativo n. 150/2011 comprende nei procedimenti sommari le controversie che ineriscono all’impugnazione dei provvedimenti di revoca o cessazione dello status di rifugiato o di soggetto ammesso alla protezione sussidiaria ex articolo 35 del decreto legislativo 28.1.2008 n. 25. Competente al riguardo è il Tribunale ubicato nel circondario ove ha sede la Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale che ha pronunciato il provvedimento impugnato ovvero, per gli stranieri accolti o trattenuti presso centri di accoglienza, presso il distretto di Corte di Appello ove ha sede il centro di accoglienza. L’articolo 19 disciplina in dettaglio il procedimento, consentendo al Ministero dell’Interno di stare in giudizio personalmente avvalendosi di propri dipendenti o di un rappresentante designato dalla Commissione che ha adottato l’atto impugnato e prevedendo espressamente che la controversia debba essere trattata con ogni urgenza in ogni grado. Sempre nell’ambito dei procedimenti che vedono coinvolto lo straniero, l’articolo 20 disciplina l’opposizione al diniego del nulla osta al ricongiungimento 72 familiare e del permesso di soggiorno per motivi familiari nonché, agli altri provvedimenti dell’autorità amministrativa in materia di diritto all’unità familiare, prevedendo il potere per il giudice di disporre con l’ordinanza che accoglie il ricorso il rilascio del visto anche in assenza del nulla osta. Tra i procedimenti regolati dal rito sommario di cognizione rientrano alcune controversie in materia elettorale (artt. 22, 23, 24) concernenti le elezioni comunali, provinciali e regionali nonché, la eleggibilità e l’incompatibilità nelle elezioni per il Parlamento europeo e l’impugnazione delle decisioni della Commissione elettorale circondariale in tema di elettorato attivo. Detti procedimenti, ricondotti al rito sommario in considerazione dell’urgenza che connota il contenzioso elettorale, sono regolati da una dettagliata disciplina e prevedendo la competenza del Tribunale per le azioni popolari e per le impugnative concernenti le elezioni comunali e provinciali e regionali. Gli articolo 23 e 24 prevedono, invece, la competenza della Corte di appello per le controversie in tema di eleggibilità ed incompatibilità nelle elezioni per il Parlamento Europeo e per le controversie in tema di impugnazione delle decisioni della Commissione elettorale circondariale in tema di elettorato attivo. Nel capo IV sono elencate le controversie regolate dal rito ordinario di cognizione. Il d.l.vo n.150/2011 comprende nel rito ordinario di cognizione (Titolo I e Titolo III del Libro II c.p.c.) tre tipologie di controversie (art 31, 32, 33) fra cui si segnalano, per la rilevanza generale per tutte le pubbliche amministrazioni, le controversie in materia di opposizione a procedura coattiva per la riscossione delle entrate patrimoniali dello Stato e degli altri enti pubblici. A tal proposito, si rileva che l’articolo 3 del Regio Decreto 14.4.1910 n. 639 recante il Testo unico delle disposizioni di legge relative alla riscossione delle entrate patrimoniali dello Stato, prevede che avverso il provvedimento contenente l’ingiunzione di pagamento il debitore può proporre opposizione regolata dal codice di procedura civile. L’articolo 32 riconosce la competenza territoriale del luogo in cui ha sede l’ufficio che ha emesso il provvedimento opposto. Il procedimento di opposizione, alla luce di giurisprudenza costante della Corte di Cassazione considerata dalla Corte 73 Costituzionale diritto vivente con la sentenza n. 452 del 16.12.1997, ha natura di giudizio di accertamento negativo della pretesa formulata con il provvedimento impugnato, nel quale l’opponente assume riveste il ruolo di attore sia in senso formale che sostanziale. Merita rilevare che anche per tale procedimento è stata prevista la possibilità di chiedere la sospensione dell’efficacia esecutiva del provvedimento impugnato. Conclusivamente, si rileva che il decreto legislativo n. 150/2011 costituisce un valido strumento per affrontare le specifiche controversie indicate, in tempi rapidi e con garanzie processuali connesse ai particolari interessi di cui viene richiesta la tutela, senza eccessivi esborsi connessi alla difesa in giudizio del privato, attesa la possibilità, nella maggior parte dei casi, di partecipare personalmente al giudizio senza l’ausilio di un difensore. CAPITOLO 3 - LA COSTITUZIONE DI PARTE CIVILE NEL GIUDIZIO PENALE 1. LA TUTELA CIVILE DELL’AMMINISTRAZIONE NEL GIUDIZIO PENALE - L’art. 74 del c.p.p., in relazione alla legittimazione all`azione civile nel giudizio penale, stabilisce che l`azione civile per le restituzioni e per il risarcimento del danno di cui all`art. 185 c.p. può essere esercitata nel processo penale dal soggetto al quale il reato ha recato danno ovvero dai suoi successori universali, nei confronti dell`imputato e del responsabile civile. La stesura originaria della norma (ante riforma del 1989) prevedeva la possibilità di esercitare l’azione civile in sede di giudizio penale da parte della “persona fisica danneggiata”. Il mutamento letterale della disposizione ha comportato l’elisione al riferimento della persona “fisica” ed il riconoscimento della legittimazione a favore del ‘‘soggetto al quale il reato ha recato danno’’, con conseguente facoltà di proporre azione civile anche da parte dello Stato nonché di altri Enti e/o Associazioni di vario genere, che rivendichino la titolarità ad agire per il risarcimento di un danno derivato da una condotta illecita di propri dipendenti o di terzi. 74 In base alla norma di cui all’art. 76 c.p.p., la costituzione di parte civile può avvenire personalmente o a mezzo di procuratore speciale. La costituzione di parte civile dello Stato assume connotazioni del tutto particolari rispetto alla disciplina generale, in considerazione dell’operatività delle disposizioni di cui al r.d. n. 1611 del 1933 65 . Le indicazioni sfavorevoli alla possibilità per l’ente pubblico di costituirsi parte civile nel processo penale si basano su un presunto aggravio di risorse umane ed economiche, stante la presenza nel processo penale del P.M. a tutela degli interessi della parte pubblica e su una assunta complicazione derivante dalla necessità della preventiva autorizzazione della Presidenza del Consiglio dei Ministri. L’Avvocatura dello Stato partecipa ai giudizi penali svolgendo, per l’Amministrazione statale (e gli altri Enti ammessi al suo patrocinio) le facoltà che la legge attribuisce alla persona offesa dal reato, ovvero esercitando l’azione civile per le restituzioni o il risarcimento del danno attraverso la costituzione di parte civile; in altri casi, la difesa erariale assiste l’Amministrazione chiamata a rispondere, ex art. 185 c.p.p., come responsabile civile per il fatto illecito del dipendente 66. L’istituto della costituzione di parte civile ha lo scopo essenziale di permettere al soggetto (c.d. danneggiato) che subisce le conseguenze di un nocumento patrimoniale e/o morale derivante da un reato, di divenire parte processuale di un giudizio penale, con il fine di ottenere un risarcimento, previo accertamento della verità dei fatti che si sono rivelati dannosi per l’ente pubblico. Alla parte civile, vengono processualmente riconosciute importanti facoltà, tra cui quelle di proporre mezzi di prova e di confutare le prove a discarico offerte dall'imputato stesso, nonché di rassegnare le proprie conclusioni prima della decisione (cfr. artt. 187, 503 e 523 c.p.p.). 65 “Approvazione del T.U. delle leggi e delle norme giuridiche sulla rappresentanza e difesa in giudizio dello Stato e sull'ordinamento dell'Avvocatura dello Stato”. 66 Si rammenta, altresì, l’ipotesi di cui all’art. 44, r.d. 30.10.1933, n. 1611, che consente all’Avvocatura dello Stato di assumere la difesa dei dipendenti statali o degli altri soggetti pubblici ammessi al patrocinio, sia nella qualità di imputati che di parte civile, nei giudizi penali che li interessino per fatti inerenti alle funzioni espletate. 75 Per le Amministrazioni centrali la costituzione in giudizio, ai sensi dell’art. 1, 4° comma, della legga 3.1.1991, n. 3, avviene previa autorizzazione del Presidente del Consiglio dei Ministri 67; tale autorizzazione viene concessa sulla base del parere dell’ufficio dell’avvocatura competente alla trattazione del procedimento, nella ipotesi in cui siano oggetto del procedimento apprezzabili interessi pubblici, patrimoniali o non patrimoniali. Naturalmente, come dianzi accennato, lo Stato nel giudizio penale può assumere anche la veste di responsabile civile per il fatto dell’imputato: in tali casi, la responsabilità della pubblica amministrazione per il fatto dell’imputato ha il proprio fondamento nell’art. 28 della Costituzione, il quale stabilisce la responsabilità diretta dei dipendenti pubblici, individuale ed in qualità di organi della stessa amministrazione, secondo la nota teoria della “immedesimazione organica”. Tale forma di responsabilità trova il proprio riferimento nel rapporto di causalità tra il fatto-reato e l’attività “istituzionale” del dipendente, ovvero: il comportamento illecito di quest’ultimo (e gli atti posti in essere) devono essere addebitabili all’amministrazione in quanto adottati in relazione al perseguimento di fini istituzionali. Naturalmente, se il dipendente agisce per scopi che vengono dimostrati essere totalmente estranei al proprio rapporto di servizio, ancorché questo sia limitato a forme di collaborazione occasionale e saltuaria, i propri atti non saranno idonei ad ingenerare responsabilità dell’ufficio dal quale dipende, fatti salvi gli accertamenti sul profilo soggettivo (psicologico) posto alla base dei comportamenti medesimi. Il tradizionale orientamento della giurisprudenza tendeva ad escludere la riferibilità degli atti alla P.A. in caso di accertato atteggiamento doloso del dipendente, tale che la motivazione prettamente individuale ed egoistica dello stesso sarebbe stata idonea a troncare il vincolo di connessione organica con il proprio ufficio; tale tesi è stata successivamente rivista considerando la condotta come rapportata alla “integrale” 67 Una corrente dottrinale sostiene che l’autorizzazione in questione debba essere considerata alla stregua di condizione indispensabile per ritenere valida la costituzione di parte civile; altri studiosi, di converso, ritengono che l’autorizzazione in questione abbia la qualità di mero atto amministrativo interno che può essere prodotto anche in un momento successivo alla formale costituzione. 76 attività istituzionale dell’ente di appartenenza ed alle effettive mansioni svolte dal dipendente, idonee ad ingenerare il danno68. Lo Stato, d’altro canto, può assumere la duplice e contestuale veste di responsabile civile e di parte civile, anche se spesso si assiste alla estromissione dal giudizio dello stesso quale responsabile civile nella fattispecie in cui la doppia attività sia svolta dal medesimo organo amministrativo 69. Per quanto invece concerne la vexata quaestio del presunto difetto di giurisdizione del giudice penale in relazione alla richiesta di risarcimento danni, si rammenta che l’ordinamento, all’art. 103 della Costituzione, prevede la riserva di giurisdizione a favore della Corte dei Conti per l’intera materia della responsabilità amministrativa. Per tale motivo, a lungo si è ritenuto che il giudice penale non avesse titolo a decidere in caso di costituzione di parte civile per danno erariale. A seguito della sentenza delle SS.UU. della Corte di Cassazione n. 20476 dell’anno 2005, l’orientamento è mutato riconoscendo la titolarità d tale competenza al giudice penale sulla base del disposto di cui agli artt.74 e ss. del c.p.p. (specialità delle norme del codice di procedura penale) 70. 68 Il Consiglio di Stato (Sez. VI, 26 giugno 2003, n. 3850) ha rilevato che “i comportamenti illeciti tenuti da funzionari ed organi dell'amministrazione, ove eventualmente riconducibili a fattispecie penali, ad illeciti commessi con dolo sono suscettibili di interrompere, nella prospettiva tradizionale di ricostruzione della responsabilità della civile della p.a., il nesso organico, con conseguente impossibilità di ritenere concretato un concorso del creditore nel fatto colposo causativo di danno. Per ipotizzare una responsabilità civile della p.a. in presenza di dolo (ammessa dopo la sentenza n. 500/1999 da una corrente giurisprudenziale ben rappresentata da Cass., sez. III, 26 giugno 1998, n. 6334 secondo cui in virtù del principio dell'immedesimazione organica gli atti compiuti dagli organi della p.a. sono imputabili direttamente all'amministrazione stessa; ne consegue che l'atto amministrativo formalmente imputabile ad un organo collegiale (nella specie, al consiglio comunale), ove lesivo dei diritti dei terzi, obbliga l'amministrazione al risarcimento del danno, a nulla rilevando che il danno del terzo fosse stato dolosamente preordinato dalle persone fisiche che hanno materialmente deliberato l'atto) è necessario effettuare una complessa valutazione di occasionalità necessaria tra comportamento criminoso e mansioni sulla quale non sono stati forniti elementi univoci. In proposito il Collegio ritiene, in adesione ad una tesi intermedia, che, ai fini della responsabilità diretta dell'amministrazione, il fatto doloso del funzionario non è necessariamente non riferibile alla p.a., dovendo ritenersene al contrario la riferibilità allorché sussista un nesso di occasionalità necessaria tra il comportamento dell'impiegato e le incombenze allo stesso affidate: nesso che va accertato considerando non solo lo specifico comportamento dell'impiegato pubblico costituente abuso, ma il complesso dell'attività nella quale esso si riferisce (Cass., sez. III, 14 maggio 1997, n. 4232)”. 70 Le SS.UU. hanno ritenuto che l’art. 103 Cost. individui una riserva di giurisdizione a favore della Corte dei Conti non assoluta e generale bensì derogabile da disposizioni normative espresse (come quella contenuta nel c.p.p. a favore del giudice penale). 77 Al riguardo, la Corte dei Conti (Sez. giur. Lombardia n. 5 del 2009) ha, invece, affermato che, a norma dell’art. 538 c.p.p., il giudice penale che riscontra la sussistenza del reato deve decidere sulla domanda risarcitoria proposta e, qualora ritenga esservi gli estremi del diritto al risarcimento, condannare l'imputato. La condanna, peraltro, sarà necessariamente generica quante volte la competenza alla liquidazione del danno sia devoluta ad altro giudice (art. 538, 2° co., c.p.p.), ovvero quando le prove raccolte non consentano la determinazione del quantum (art. 539 c.p.p.). Sul punto è intervenuta da ultimo una decisione delle Sezioni Riunite della Corte dei Conti – n. 1/2011, che ha statuito quanto segue: “Nelle ipotesi di danno erariale, la giurisdizione penale e quella civile per risarcimento danni sono indipendenti da quella amministrativo-contabile, talché non si può configurare un conflitto di giurisdizione, ma si può solo ipotizzare una reciproca interferenza nelle modalità concrete dell'esercizio della giurisdizione e quindi nei rapporti tra giudizi” (Cass. Civ. SS.UU. n. 639/ord 1991; id. 5943/1993) 71. Pertanto, da un unico fatto/atto/comportamento, può derivare una responsabilità penale, una responsabilità disciplinare, una responsabilità civile di natura extracontrattuale ed una responsabilità contabile, con la conseguenza che fra le due azioni giudiziali di cui sopra esiste preclusione solo nei casi in cui per una sia già stato ottenuto l’integrale ristoro del danno sofferto ovvero si sia esclusa in termini radicali l’esistenza di un illecito e, quindi, di un danno 72. 71 Tale assunto, già ribadito dalle SS.UU. della Cassazione con la nota sentenza n. 822/99 del 23.11.1999, viene integrato da un consolidato orientamento giurisprudenziale contabile in base al quale l’eventuale azione risarcitoria, altrimenti inammissibile per il principio del “ne bis in idem” determina non la carenza di giurisdizione ma del mero interesse processuale (cfr. Corte Cost. n. 733/1988). 72 Occorre ricordare, infatti, che il rapporto tra la giurisdizione civile esercitata in sede penale dall’amministrazione e l’azione di responsabilità esercitata dalla Procura contabile non si pone in termini di “ne bis in idem” ma di proponibilità della domanda, intesa come verifica della sussistenza dell’interesse all’azione, che viene meno solo ove l’amministrazione abbia già ottenuto l’integrale risarcimento del danno. Ne consegue che la giurisdizione penale e quella civile risarcitoria, da un lato, e la giurisdizione contabile, dall’altro, sono reciprocamente indipendenti nei profili istituzionali, anche quando investono un medesimo fatto materiale, dal momento che l’interferenza può avvenire tra i giudizi e non tra le giurisdizioni (Cass., Sez. Un., 23 novembre 1999, n. 822; id., Ord. 21 maggio 1991, n. 369; id., 3 febbraio 1999, n. 664; id., Sent. 26 novembre 2004, n. 22277; id., Ord. 21 ottobre 2005, n. 20343, id., 24 marzo 2006, n. 6581). La proposizione dell’azione civile o della costituzione di parte civile in sede penale, quindi, non preclude l’azione di responsabilità amministrativa, con l’unico limite del divieto di doppia condanna del dipendente per lo stesso fatto e con eventuale effetto decurtante della pretesa erariale derivante dal parziale recupero in sede civile o transattiva (Corte dei Conti, Sezione Lazio, 28 febbraio 2011). 78 I casi in cui lo Stato ha deciso di procedere alla costituzione di parte civile in un giudizio penale sono aumentati, come casistica, negli ultimi anni, essendo stata legittimamente autorizzata la costituzione in giudizi aventi ad oggetto reati di carattere tributario, di terrorismo e criminalità organizzata (si pensi, ad esempio, ai processi D’Antona, Moro e Biagi), di corruzione e concussione ed in tutti quei casi in cui è palese la sussistenza di un danno patrimoniale e/o non patrimoniale subito dall’ente pubblico 73. CAPITOLO IV – IL GIUDIZIO DINANZI ALLA CORTE DEI CONTI 1. LA TUTELA DELL’INTERESSE PUBBLICO NEL GIUDIZIO PER DANNO ERARIALE La nozione di “danno erariale” nella sua accezione originaria, era intimamente collegata ad un aspetto di carattere essenzialmente patrimoniale, essendo rapportata alla evidente (e misurabile) diminuzione del patrimonio di una pubblica amministrazione, avvenuto in conseguenza di una azione lesiva. Di converso, a tale concetto era connessa la nozione di responsabilità amministrativa del dipendente che avesse provocato il danno, nelle due diverse distinzioni di danno emergente (concretizzatosi in un esborso non giustificato di danaro pubblico) e di lucro cessante (inteso quale mancato introito). L’evolversi della società ed il moltiplicarsi delle azioni che difettano di una valutazione prettamente “patrimoniale” degli effetti derivati, ma che concretizzano comunque una lesione di interessi pubblici (collettivi) che riveste una valenza latamente “economica”, ha indotto la dottrina e la giurisprudenza ad individuare altre forme di 73 Si rammenta, di converso, come la giurisprudenza anche più recente (cfr. Cassazione, Sez. VI 22 gennaio 2011, n. 2251) abbia escluso l’ammissibilità, nell’ambito di un processo a carico dell’Ente, di una costituzione di parte civile, motivando sull’assenza di uno specifico riferimento normativo nell’ambito del D. Lgs. n. 231/2001 e, da un punto di vista sostanziale, sulla impossibilità di individuare un danno derivante dall'illecito amministrativo diverso da quello prodotto dal reato. 79 danno 74 che, nell’ambito della tutela della persona sono state ritenute suscettibili di garanzia giudiziaria. Anche i giudici amministrativi si sono adeguati alle mutate prospettive interpretative, riconoscendo tutela al privato cittadino nel caso di responsabilità della P.A. per atti illegittimi, ancorché i relativi effetti derivati non sono quantificabili secondo i principi di cui agli artt. 2043 e 2059 C.C. 75. E’ stata, poi, riconosciuta tutela anche ad altre ipotesi di danno non patrimoniale, fra cui: il danno all’immagine, il danno all’ambiente, il danno all’economia nazionale. Tale impostazione teorica ha il proprio fondamento sia nella esigenza di valutare particolari tipologie comportamentali, sia di spostare l’attenzione dal soggetto responsabile dell’azione alla natura degli interessi sottesi all’attività svolta da quest’ultimo, con ciò giungendo in alcuni casi anche al superamento della distinzione fra soggetto pubblico e soggetto privato 76. L’evoluzione normativa ha consentito alle Procure della Corte dei Conti di procedere in via istruttoria all’accertamento del danno erariale c.d. indiretto, secondo gli schemi di cui all’art. 17 comma 30 ter del D. Lgs. n. 78/2009 e succ. mod., il quale stabilisce che “ Le procure della Corte dei Conti possono iniziare l'attività istruttoria ai fini dell'esercizio dell'azione di danno erariale a fronte di specifica e concreta notizia di danno, fatte salve le fattispecie direttamente sanzionate dalla legge”. Tale disposizione, se da una parte sembra aver attribuito alla Corte dei Conti maggiore possibilità di intervento in un ambito più ampio dei beni da tutelare e proteggere, d’altro canto limita l’attività degli organi inquirenti contabili alle fattispecie nelle quali il danno risulta effettivo, concreto ed attuale, tale da escludere una attività di controllo generalizzato e senza confini nei confronti della P.A., così da evitare il rischio 74 Cfr. Cass. Civ., S.U., sent. n. 5668 del 25 giugno1997, in FI, 1997, I, 2872, nonché, Cass. Civ., S.U., sent. n. 744 del 25 ottobre 1999, in www.cortedicassazione.it.,e ancora, Cass. Civ., S.U., sent. n. 4582 del 2 marzo, 2006, in www.cortedicassazione.it. 75 Cfr. TAR Puglia, Sez. III, Bari, sent. n. 10483 del 1 giugno 2004, Consiglio di Stato, Sez. VI, sent. n. 1096 del 16 marzo 2005, TAR Puglia, Sez II, Bari, sent. n. 3888 del 15 settembre 2005, in www.dirittoediritti.it. 76 E’ l’ipotesi in cui le funzioni pubbliche vengono affidate – tramite convenzione o altro – a soggetti privati. 80 di un possibile rallentamento o, in alcuni casi, del blocco totale dell’attività amministrativa 77. Nel caso di danno all’immagine, ad esempio, le Sezioni Riunite della Corte dei Conti, con sentenza n.10/QM/2003, hanno precisato che il danno all’immagine è qualificabile quale danno-evento, non collegabile ad una “deminutio patrimonii” bensì ad una violazione di diritti costituzionalmente all’Amministrazione nel suo complesso 78. garantiti, riconducibili Le varie Sezioni Giurisdizionali invece, in numerose occasioni, (I Sezione Giurisdizionale Centrale, Sentenze nr. 251 del 2006 e nr. 198 del 2007, III Sezione Giurisdizionale Centrale, Sentenza nr. 529 del 2005, Sezione Giurisdizionale Lombardia, Sentenza nr. 681 del 2006, Sezione Giurisdizionale Veneto, Sentenza nr. 927 del 2006, Sezione Giurisdizionale Lazio, Sentenza nr. 373 del 2007) hanno chiarito che il danno all’immagine non si identifica soltanto quando l’amministrazione pubblica sostiene delle spese per eliminarne gli effetti, bensì anche nella ipotesi in cui viene a rompersi l’aspettativa di legalità, imparzialità e correttezza che i cittadini si attendono dalla P.A. 79. La Suprema Corte, invece, ha recentemente individuato nel danno all’immagine un tipico danno-conseguenza, collegabile al bene tutelato da un preciso nesso di causalità 80. Relativamente al danno da disservizio, la Corte dei Conti 81 ha precisato che tale danno attiene alle ipotesi di illecito esercizio di pubbliche funzioni, ovvero da mancata 77 “Il danno erariale, quale oggettivo elemento di differenziazione tra la responsabilità amministrativa generica (per danno) e quella c.d. tipizzata (di tipo sanzionatorio), deve sussistere al momento della proposizione della domanda attorea nella sua triplice veste data dall’effettività, concretezza ed attualità. In particolare per quanto concerne il requisito dell’attualità, nel caso di danno erariale indiretto qual è appunto quello derivante da una sentenza civile di condanna dell’amministrazione in favore di un terzo danneggiato, la deminutio patrimonii, ovvero il momento del depauperamento delle finanze pubbliche, viene fatto coincidere non già con l’effettivo pagamento del debito, bensì con il passaggio in giudicato della pronuncia giudiziale che ne fissa l’obbligazione” Corte dei Conti, Sezione Giurisdizionale per la Regione Calabria, sentenza 28 n. 714 del 23 settembre 2009. 78 Danno esistenziale: sentenze della Corte di legittimità e della Consulta (Cassazione, III Sezione Civile, Sentenze nn. 8827 e 8828 del 2003, Corte Costituzionale, Sentenza n. 233 del 2003), nonché SS.UU. n. 26972 del 2008. 79 Si potrebbe infatti verificare l’anomalia data dall’impossibilità per un Ente di provvedere alla riparazione del danno, e quindi di chiederne il risarcimento, a causa della mancata sussistenza di adeguati fondi in bilancio. 80 Cassazione, Sezioni Unite Civili, Sentenze n. 6572 del 2006 e n. 26972 del 2008, III Sezione Civile, Sentenza n. 13546 del 2006. 81 Sezione Giurisdizionale Umbria, Sentenze nr. 371 del 2004 e nr. 346 del 2005, Sezione Giurisdizionale Piemonte, Sentenza nr. 138 del 2006, Sezione Giurisdizionale Puglia, Sentenza nr. 661 del 2008. 81 prestazione del servizio, tale da integrare il mancato raggiungimento dei benefici a favore della collettività. L’aspetto materiale del danno è rappresentato dai costi sostenuti dalla P.A. per eliminare gli effetti dannosi sotto il profilo della scarsa (o nulla) efficienza dimostrata,della inefficacia, della diseconomicità resa. Nell’ambito di tale forma di danno, sono state fatte rientrare nel tempo ipotesi molto differenziate quali, in particolare, il danno da tangente, il danno derivante dalla stipula di una polizza assicurativa comprendente la copertura dei rischi da responsabilità (amministrativa e contabile) per gli amministratori pubblici, il danno da illegittimo affidamento di consulenze, il danno da omessa adesione alle convenzioni con la Centrale di committenza nazionale Consip s.p.a.. CONCLUSIONI Con il presente lavoro - che, per esigenze di sintesi, contiene solo un quadro delle novità legislative che negli ultimi anni hanno interessato il panorama ordinamentale italiano nel settore delle controversie giudiziali e stragiudiziali che vedono parte la pubblica amministrazione - si è inteso fornire qualche spunto di riflessione sulla necessità di affrontare i contenzioni ed i conflitti nel modo più rapido, efficace ed economico possibile, facendo perno anche sulle modifiche normative intervenute negli ultimissimi anni, sopra dettagliatamente individuate e descritte. Come è noto, l’accesso alla giustizia per il cittadino è un diritto riconosciuto dalla Costituzione italiana e dalla Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti del’uomo e delle libertà fondamentali, ma, i dati statistici che riguardano il nostro Paese per quanto riguarda la proposizione annuale di azioni giudiziali e la rapidità di risoluzione delle controversie non è molto confortante, stante una collocazione per l’Italia stabilita al 156° posto su 181 casi analizzati 82 e l’aumento accertato a far data 82 Rapporto Doing Business della World Bank – 2010. Nel 2009 l’Italia, nell’analogo rapporto, era stata inserita al 158° posto su 180 casi e nel 2008 al 155° posto su 178 casi esaminati. 82 dall’anno 1975 sino al 2004 di un valore pari al 90% del tempo medio di durata dei processi 83. Tali circostanze, unite al problema dei costi spesso rilevanti da sostenere per l’avvio e la prosecuzione dei giudizi, cui si aggiunge anche la complessità della via processuale e la frammentazione delle posizioni giuridiche astrattamente tutelabili, rende preferibile il ricorso a strumenti alternativi che garantiscono rapidità, economicità, elasticità ed una più efficace tutela dei diritti e degli interessi in discussione. E’ noto come l’ordinamento italiano ha visto il prevalere della funzione pubblica giudiziale come modo di soluzione delle controversie, ma i sistemi alternativi di cui si è parlato rappresentano una novità, mutuata dal diritto anglosassone e ripresa con gran forza negli ultimi anni dall’Unione Europea, che dovrebbe rappresentare con sempre maggior vigore uno strumento non già succedaneo ed emergenziale al sistema naturale, bensì un efficiente sistema parallelo ed alternativo che integra quello giudiziale. Tali sistemi possono apportare cospicui benefici non soltanto ai cittadini interessati a risolvere in maniera più rapida ed economica le proprie vertenze, ma anche alla pubbliche amministrazioni coinvolta nelle controversie. Accanto a tale strada si pone l’esigenza ineliminabile e indifferibile di razionalizzare il sistema giudiziario. Sotto questo profilo, vanno considerate le scelte del Legislatore esaminate nel capitolo relativo alla risoluzione “giudiziale” delle controversie ed, in particolare, i profili attinenti alle novità ed alla specificità della disciplina processuale amministrativa, civilistica, penalistica e amministrativocontabile, di cui l’amministrazione deve tenere conto per gestire al meglio le controversie che la vedono coinvolta. In sostanza, come rappresentato nella premessa del presente lavoro, è auspicabile che l’amministrazione “gestisca” al meglio le situazioni conflittuali, anzitutto, tentando di prevenire ed evitare le criticità che possono dare origine ad un 83 Le stesse relazioni annuali del Ministro della Giustizia al Parlamento continuano ad evidenziare un trend di crescita esponenziale pari al 3% circa in più rispetto all’anno immediatamente precedente e, quella relativa all’anno 2010, riporta le seguenti cifre: 977 giorni per la definizione una causa civile di cognizione dinanzi ai Tribunali, 1.213 giorni per i procedimenti esecutivi immobiliari, 837 giorni per le cause di previdenza ecc. 83 contenzioso, applicando correttamente i principi e gli istituti che caratterizzano l’attività della pubblica amministrazione (cfr. Parte I). Se, poi, tale azione preventiva non da i risultati sperati, occorre utilizzare tutti gli strumenti a disposizione - consistenti sia nei nuovi sistemi alternativi al contenzioso giudiziale (cfr. Parte II), che nei sistemi tradizionali di gestione dei procedimenti giudiziari (cfr. Parte III) - tentando di privilegiare i primi, in quanto presentano benefici in termini di riduzione dei tempi e dei costi del contenzioso, e tenendo conto delle novità normative che hanno interessato i secondi. 84 BIBLIOGRAFIA - F. Caringella, Manuale di diritto amministrativo, ed. Dike 2011 - A.M.Sandulli –Manuale di diritto amministrativo. Jovene editore 2009 - A.Quaranta V. Lopilato Il Processo Amministrativo – Commentario al D. Lgs.vo 104/2010 – Giuffrè - C. Mariconda, ADR tra mediazione e diritti, profili comparatistici, Ed. Scientifiche Italiane, 2008 - F. Manganaro L’evoluzione del principio di trasparenza Ed. Aracne 2010 - M. 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