Sanità, altro che gratis: oggi curarsi è un privilegio da ricchi

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DIRITTI
Sanità, altro che gratis: oggi curarsi
è un privilegio da ricchi
Diritti
di Elisabetta Ambrosi | 9 ottobre 2016
Elisabetta
Ambrosi
“Il nostro servizio nazionale sta precipitando, nel silenzio e
nell’indifferenza, nel baratro dell’incapienza di posti letto, di medici,
di infermieri, di spazi fisici, di risorse e di formazione. Il diritto ad
essere curati in maniera appropriata e in condizioni dignitose è
diventato quasi un privilegio”. Non è un articolo di un telegiornale di
opposizione, o l’esito di un’inchiesta giornalistica, ma l’analisi di
Costantino Troise, segretario dell’Associazione dei medici
dirigenti italiani del servizio sanitario nazionale, a commento del
caso del pensionato morto al Pronto soccorso dell’Ospedale San
Camillo di Roma.
Troise parla del martirio dei pazienti, e della situazione al collasso
dei Pronto soccorso, che si aggraverà con la probabile ipotesi della
guardia medica. Nulla di nuovo per noi utenti e cittadini di città
metropolitane, che ben conosciamo l’incubo che ci attende nel
malaugurato caso ci tocchi andare al Pronto soccorso. E
cerchiamo a tutti i costi di evitare, nonostante il malessere, andando
dal medico di famiglia, dal pediatra, tutto pur di non recarsi in quei
gironi infernali dove spesso mancano persino panche per sedersi e
macchinette per acqua e caffè.
Nelle ultime settimane i giornali hanno dato spazio alle
testimonianze della moglie di Amartya Sen e della scrittrice
Elisabeth Strout, che hanno raccontato emozionate la loro
felicissima esperienza presso i Pronto Soccorsi del Gemelli di
Roma e del Cardarelli di Napoli. Un colpo di fortuna, forse, più
probabilmente la fortuna di avere cognomi che di certo non sono
sfuggiti ai medici che le hanno prese in carico. Non che non esistano
casi di buona sanità, ma l’esperienza di tutti noi è nella maggior
parte dei casi radicalmente diversa, e sono gli stessi medici,
d’altronde, a denunciarla.
Ma quello dei Pronto soccorso è solo un aspetto della degenerazione
della nostra sanità pubblica. Nessuno parla dei costi crescenti a
carico dei cittadini. Essendo l’Italia ormai un paese ingiusto o
giusto a macchie di leopardo, a causa di un federalismo folle per cui
alcune regioni garantiscono prestazioni che altre rifiutano o mettono
ticket più bassi che altrove, sta di fatto che ormai – parlo per il
Lazio dove vivo – per accedere alla sanità pubblica bisogna essere
mediamente benestanti.
Tanto sono aumentati i ticket per le analisi e le visite (nel Lazio da
qualche anno vige un super ticket di 14 euro a ricetta) tanto che
spesso – ormai lo sanno tutti, tranne Zingaretti evidentemente –
conviene recarsi al privato. E non è raro vedere cittadini che
fanno la spola tra una Asl e un centro privato per capire dove
spendono meno. Una visita di pochi minuti costa 33 euro circa, un
costo non elevatissimo ma comunque – immaginiamo una famiglia
con più figli che debba fare un controllo dermatologico per due
bambini – consistente. Così come si pagano ormai gli esami come
risonanza e tac. Magari poco, ad esempio 40 o 50 euro – ma
comunque non certo zero. Ci sono poi prestazioni importanti,
come alcuni vaccini, interamente a carico del paziente, e che
sfiorano centinaia di euro (è il caso del meningoocco B, 180 euro).
Tutto ciò accade nel migliore dei casi, quando cioè si riesca ad
accedere alla sanità pubblica. Infatti nella maggior parte dei casi
(altro che addio alle liste di attesa), per una prestazione occorre
aspettare mesi, ed è normale che un cittadino che magari è stato
sollecitato per un controllo non aspetti un anno per verificare se è
sano oppure bisognoso di cure. Ma per far questo deve avere i
soldi e accedere all’intramoenia, mondo magico dove basta avere
una carta di credito per avere la stessa prestazione – e magari lo
stesso macchinario – usato per i pazienti in lista d’attesa.
stesso macchinario – usato per i pazienti in lista d’attesa.
Tanto assurda è questa situazione che molti ospedali hanno
organizzato una sorta di terza via, la medicina “sociale”: si può
cioè accedere senza ricetta rossa e direttamente negli ospedali in
certi orari e pagare una cifra che sta a metà tra il ticket e
l’intramoenia. Quindi comunque consistente, sempre pensando a
una famiglia con figli e un reddito medio. Assurdo, a pensarci bene.
Non doveva essere la sanità gratuita e accessibile? Ma un altro
esempio fulgido sono le operazioni: certo, queste sono gratis, e
anche la degenza ospedaliera, e non è poco. Peccato che esista un
post operatorio di cui non si parla dove tantissime prestazioni – ad
esempio la fisioterapia – sono accessibili solo pagando, e
pagando parecchio. Averla gratis è quasi impossibile.Per non parlare
dei tutori o di altri dispositivi medici, che raggiungono costo folli.
Un capitolo ulteriore meriterebbe il costo delle medicine
abbondantemente prescritte da medici ospedalieri e privati. Oggi se
vai in farmacia a comprare un paio di prodotti non spendi meno di
venti, trenta euro. Di recente, mi è capitato di comprare tre farmaci
per bambini e aver pagato la cifra folle di sessanta euro. Anche per i
bambini i costi infatti sono assurdi – 12­15 euro per dei fermenti
lattici, lo stesso per uno sciroppo per la tosse – tanto da mettere
spesso in seria difficoltà le famiglie.
Eppure di questo nessuno parla, perché anche grazie alla resistenza
di Federfarma non c’è stata alcuna liberalizzazione che consentisse
almeno di introdurre un po’ di concorrenza nei farmaci di fascia C.
Nei Paesi più civilizzati del nostro le farmacie non sono inutili tempi
del benessere, piene di prodotti superflui e forti del monopolio di
tutte le fasce di farmaci, ma luoghi dove si vendono solo le pillole
necessarie alla cura prescritta. Invece le nostre case si
riempiono di prodotti che dopo il primo uso non ci servono più e che
si accumulano fino a scadere. Questa sarebbe una vera riforma, ma
Lorenzin – e tutti coloro che l’hanno preceduta – non vi hanno mai
accennato.
Tra Pronto Soccorso affollati, costose analisi grazie ai super ticket
regionali e spesa per medicine sono sempre di più quelli che si
affidano alle assicurazioni private. Che però non sono enti di
beneficenza e hanno criteri molto stretti, sia per l’accesso – se sei
anziano paghi tantissimo o non entri proprio – e per i rimborsi.
Molte ormai poi adottano questa politica: per molte prestazioni
rimborsano il prezzo dei ticket del Ssn e basta. Così si si chiude il
cerchio, e il paziente è costretto di nuovo a ricorrere al pubblico,
pagando però un’assicurazione privata. E questa sarebbe una sanità
gratuita?
PS: Non ho accennato al doloroso capitolo dell’assistenza
domiciliare e della questione dell’assegno di accompagnamento
per anziani, un altro ambito dove l’assistenza dipende dalla
Regione in cui vivi ma dove, in linea di massima, se non hai soldi o
figli che paghino per te badanti o costosissime rette per anziani
finisci in ghetti di povertà e abbandono. Bastano comunque due
numeri a raccontare quanto sia finta la frase del “servizio sanitario
migliore del mondo”. Qual è la cifra che lo Stato dà come
accompagno nel caso di una persona non autosufficiente al cento per
accompagno nel caso di una persona non autosufficiente al cento per
cento (e dunque bisogna di badante)? Circa 400 euro. Cosa
stabilisce il contratto nazionale della badanti, così come indicato dai
sindacati? Da novecento a mille e cento euro, a seconda delle
capacità, più contributi e vitto e alloggio. C’è da aggiungere
qualcosa?
| 9 ottobre 2016
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