Chi lo capisce questo libro? - Università degli Studi di Trieste

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Simona Regina e Marina Sbisà *
Università di Trieste
Chi lo capisce questo libro?
Questioni di comprensibilità nei libri di testo di fisica.
da La fisica nella scuola 36, 2003, Atti del XL Congresso Nazionale AIF, pp. 91-102
1. Premessa
Parliamo qui dalla parte dell’utente, e in particolare del lettore (lo studente) che deve usare il libro di testo
di fisica per imparare un po' di fisica. Non ci porremo il problema, del tutto fuori della nostra portata, di
definire o applicare criteri di accuratezza e attendibilità scientifica del libro di testo di fisica. Lasciamo
volentieri questo compito ai fisici e agli insegnanti di fisica. Il nostro intento è invece rilevare aspetti del libro
di testo che possono essere notati anche da un lettore non esperto della specifica disciplina trattata, perché
riguardano i modi in cui il testo si fa, o non si fa, comprendere. Comprendere il testo deve essere possibile
anche a chi non conosce ancora la fisica, per esempio allo studente, che altrimenti non la potrebbe neppure
imparare.
Non rifletteremo specificamente neppure su aspetti di carattere epistemologico o di didattica della fisica (il
modo in cui i testi costruiscono o presentano il rapporto fra teoria e esperienza, e l'approccio piuttosto
induttivo, a partire da esempi ed esperimenti, oppure deduttivo, a partire da definizioni e dimostrazioni), cosa
cui pure la lettura di libri di testo di fisica dà spunto. Qualunque rapporto si ritenga esistere in fisica fra teoria
ed esperienza, e qualunque strategia espositiva o di ragionamento si ritenga da privilegiare, rimane un
problema costante la trasparenza di queste operazioni, la loro ricostruibilità da parte del lettore. E' appunto a
questo livello che si colloca il nostro intervento. Siamo interessate alla possibilità che il testo da al lettore di
apprendere mediante la lettura (tanto sui contenuti della fisica, quanto sul suo essere un certo tipo di
scienza) e ai modi per sfruttare queste possibilità in modo ottimale.
Ci interessa sottolineare subito che i problemi di comprensione del libro di testo possono essere affrontati
"a monte" o "a valle": cioè possono essere affrontati nella compilazione del libro da parte degli autori o nella
sua scelta da parte dell'insegnante, prima che il libro adottato venga effettivamente in mano ai ragazzi; ma
possono e noi sosteniamo devono anche essere affrontati in classe, quando il libro adottato è in mano ai
ragazzi e viene adoperato, con spiegazioni ma anche con esercizi di comprensione approfondita, discussioni
e altre strategie didattiche opportune. La scelta fra affrontare i problemi "a valle" o "a monte" non è esclusiva:
in realtà andrebbero fatte tutte e due le cose, poiché anche il libro di testo meglio scritto e più accuratamente
scelto è comunque un testo, qualche cosa da leggere e comprendere, e leggere comprendendo non è mai
cosa banale, anzi molte volte è essa stessa una cosa che bisogna imparare a fare (ma se bisogna che gli
studenti la imparino, bisognerà anche che qualcuno si faccia carico di insegnargliela). Va poi da sé che i
problemi di comprensione influenzano l'apprendimento: senza un'articolata comprensione testuale non è
possibile manipolare le varie informazioni contenute nel testo per riutilizzarle nei modi, che le varie situazioni
scolastiche possono rendere pertinenti.
Discuteremo quindi della comprensibilità dei libri di testo di fisica: quanto e in quali modi si fanno capire
(o, a volte, non capire). Non faremo riferimento a misure quantitative, né a test di comprensione, e non
daremo verdetti a favore o a sfavore di singoli libri. Cercheremo di rilevare aspetti qualitativi che risultano
percepibili anche intuitivamente: la presenza di strategie testuali più o meno ben costruite e trasparenti. Per
essere studiati, questi aspetti richiedono innanzitutto l'esame approfondito di casi-campione.
2. Il campione di testi esaminato
In via preliminare, vorremmo soffermarci a illustrare il corpus su cui abbiamo condotto le nostre
osservazioni.
Abbiamo avuto a disposizione i seguenti testi:
1. Dal pendolo ai quark, Amaldi, Zanichelli, Bologna.
2. Elementi di fisica, Turchetti e Fasi, Zanichelli, Bologna.
3. Fisica 1, Bergamaschini, Marazzini e Mazzoni, Carlo Signorelli Editore, Milano.
4. Nuova fisica sperimentale, Caforio e Ferilli, Le Monnier, Firenze.
5. Percorsi di fisica, Zanetti, Zanichelli, Bologna.
In questi testi, abbiamo preso in considerazione alcuni argomenti ricorrenti, anche se non trattati da tutti allo
stesso punto del loro discorso (la statica, la definizione di "forza", l’equilibrio). Le differenze nell'ordine di
trattazione della materia sono già indicative dell'esistenza di impostazioni diverse.
Anche i tipi di scrittura e di impaginazione esemplificati dai testi esaminati sono svariati e vale la pena di
prenderli in considerazione, in quanto costituiscono il quadro all'interno del quale si determinano poi i
problemi di lettura e comprensione di cui noi ci interessiamo. Come gli insegnanti ben sanno, oggi il libro di
testo non è in genere strutturato in modo omogeneo, con un'esposizione lineare suddivisa in capitoli e
paragrafi e illustrazioni con funzione solo marginale. Diversi generi testuali, a volte diversi da libro a libro,
contribuiscono a costituire il libro di testo: accanto al testo vero e proprio si trovano finestre, inserti, note,
illustrazioni, letture e via dicendo. Questa varietà si riscontra anche nei libri da noi esaminati.
Tutti i libri presentano pagine suddivise verticalmente in più colonne. Presentano pagine suddivise in due
colonne Elementi di fisica, Fisica 1, Nuova Fisica Sperimentale e Percorsi di Fisica; Dal Pendolo ai quark
presenta pagine suddivise in tre colonne. Se la pagina è suddivisa in due colonne, quella contenente il testo
principale può essere in posizione centrale (Elementi, Nuova Fisica) oppure sempre a destra (Fisica,
Percorsi). Il testo principale in Dal pendolo è nella colonna mediana. Le altre colonne sono usate per:
illustrazioni e didascalie (Fisica, Elementi, Nuova fisica) o per ulteriori uscite laterali dal testo (esempi,
appunti, quesiti in Dal pendolo e note a margine numerate progressivamente che però non rinviano ad una
porzione ben definita del testo a fianco in Percorsi).
La suddivisione del testo varia per dimensione delle unità e terminologia. Dal pendolo, Fisica e Percorsi
sono suddivisi semplicemente in capitoli, con l'aggiunta finale, rispettivamente, di: schede di laboratorio,
esercizi e problemi; Riflessioni e Commenti, con presentazione di documenti esplicativi del pensiero di alcuni
grandi fisici che hanno contribuito allo sviluppo della scienza; e Appendici, con risposte alle domande
disseminate marginalmente al testo (quelle che abbiamo chiamato “note”) e agli esercizi di fine capitolo.
Elementi e Nuova fisica sono divisi in parti (unità, moduli) suddivise ulteriormente in sotto-parti (capitoli,
unità).
Oltre al testo principale e ai generi testuali rappresentati al suo fianco nelle altre colonne della pagina,
alcuni testi inseriscono generi testuali ulteriori. All'inizio di parti o capitoli troviamo la segnalazione degli
obiettivi del percorso didattico (Dal pendolo, Nuova fisica, Fisica), i prerequisiti per affrontarne lo studio
(Nuova fisica) e la proposta di test di ingresso (Nuova fisica, Fisica). Alla fine di parti o capitoli alcuni dei
volumi esaminati propongono il riepilogo delle nozioni esposte (Dal pendolo, Nuova fisica, Elementi), tutti
presentano prove di verifica. In alcuni casi vi sono inserti o finestre, per esempio: in Nuova fisica sono
inserite all’interno dei paragrafi finestre con esempi-esercizi svolti e troviamo inoltre schede di laboratorio,
tecnologiche e storiche; in Fisica troviamo mappe concettuali di sintesi dei concetti trattati, problemi risolti
inseriti nel testo e finestre con integrazioni; in Percorsi gli Inserti (estesi su due colonne) forniscono
informazioni ulteriori a quelle contenute nel paragrafo, che si chiude con la proposta di Attività di ricerca e
sperimentali.
La varietà di generi testuali che confluisce nello stesso volume va presa in considerazione dal punto di
vista della comprensibilità sia in quanto fonte di ricchezza comunicativa, sia perché può porre problemi di
comprensione specifici. Ci si potrebbe chiedere se la complessità dell'impaginazione e dei generi testuali è
sempre un fattore positivo, che sostiene l'attenzione del lettore, oppure se oltre una certa soglia può
confondere. Non possiamo rispondere direttamente a questa domanda, che richiederebbe di procedere a dei
test abbastanza complessi, ma suggeriamo comunque che oltre ai fattori quantitativi vanno tenuti presenti
quelli qualitativi, cioè la chiarezza dei ruoli assegnati ai diversi generi testuali presenti nel libro e la possibilità
di mettere nella giusta relazione passi o figure appartenenti a questi diversi generi, magari con l'aiuto di indici
o rimandi (a cominciare dalla solo apparentemente ovvia numerazione delle figure e loro segnalazione nella
porzione di testo di riferimento: dettaglio che è curato solo in alcuni libri, per esempio Nuova Fisica).
3. Vari problemi di comprensibilità
La lettura approfondita da noi fatta delle parti di libri di testo sopra indicate ha suggerito numerose
considerazioni riguardanti la loro comprensibilità, e in particolare: le cause di certi problemi di comprensione
che i suoi fruitori, gli studenti, possono incontrare, i modi in cui tali problemi possono essere affrontati, le
potenzialità comunicative del testo e i modi per avviare gli studenti a un loro sfruttamento ottimale.
I problemi di comprensione sono spesso connessi a difficoltà che i lettori (e con ciò anche gli studenti)
possono trovare nell'individuare la comunicazione implicita. Vorremmo ribadire che la comunicazione
implicita, nelle sue due forme principali definite presupposizione (cfr. Strawson 1950, Stalnaker 1973) e
implicatura (Grice 1989, Levinson 1985, Sperber e Wilson 1986, Levinson 2001), è una dimensione
necessariamente presente nella comprensione complessiva di un testo (Sbisà 1999, Bertuccelli Papi 2000).
Una certa quantità di comunicazione implicita va considerata come fisiologica e anzi, rende il testo più ricco,
purché il lettore sia in grado di riconoscere e rendere esplicito ciò che il testo comunica implicitamente. A
volte però la cattiva costruzione del testo suggerisce impliciti non chiaramente recuperabili, contraddittori o
quant'altro, oppure trascura di comunicare sotto qualsiasi forma informazioni indispensabili.
Il primo tipo di problema, cioè la scarsa abilità dei lettori, può essere affrontato solo "a valle" educando gli
studenti a una lettura ragionata e approfondita, nonché all'abilità di rendere esplicite le comunicazioni
implicite (non esistono finora, a nostra conoscenza, strategie didattiche consolidate in questo campo: i lavori
di Lucia Lumbelli e della sua scuola sono forse un po' pessimisti sulle capacità degli studenti di acquisire
abilità di esplicitazione - cfr. Lumbelli 1989, Paoletti 2001; ma si vedano anche le indicazioni date in Rodari e
Sbisà 1989, Sbisà 1991, Sbisà 1999). Il secondo tipo di problema deve essere anzitutto affrontato "a monte",
ma poiché nessuno è perfetto a questo mondo, l'insegnante dovrà sempre aspettarsi che anche il libro di
testo migliore soffra ogni tanto di questi difetti. Insegnanti e studenti già avvertiti dell'importanza dell'implicito
e allenati ad affrontarlo se la caveranno meglio anche in queste circostanze.
3.1. Questioni di comunicazione implicita
Qualunque l'ordine di esposizione scelto, qualunque il grado di eterogeneità del volume, bisogna che
ciascun segmento testuale (capitolo, paragrafo, capoverso, nota, didascalia, lettura, esercizio..) risulti, di
suo, comprensibile. Esamineremo perciò anzitutto la comunicazione implicita in passi di genere omogeneo,
partendo da casi in cui l'implicito è facile da individuare o comunque contribuisce al messaggio complessivo
dato dal testo, fino a casi in cui è fuorviante o non recuperabile.
Spesso ciò che il testo comunica in modo implicito o marginale (come sfondo della comunicazione
esplicitamente espressa) è parte integrante dei contenuti da apprendere, ed è facilmente recuperabile e con
ciò esplicitabile. Un caso di implicito facile da esplicitare, ma cui non si pone sempre sufficiente attenzione, è
quello in cui frasi secondarie o incidentali forniscono o ricordano al lettore che cosa significa, o come va
definita, un'espressione difficile o problematica che viene usata nell'enunciato. Ad esempio:
(1) Abbiamo già anticipato che la massa di un corpo esprime una sua proprietà invariante, cioè
indipendente dalla posizione e dalle condizioni in cui si trova, mentre il peso dipende dalla sua distanza dal
centro della Terra (…) (Nuova fisica, B10)
(2) La condizione perché un punto materiale sia in equilibrio (cioè sia fermo e continui a restare fermo) è che
(…) (Dal Pendolo, p.72)
In (1) il significato dell'espressione "proprietà invariante” si ricava rendendo indipendente l'inciso introdotto
da "cioè"; in (2) ciò che si deve intendere per “equilibrio” è fornito dal testo attraverso una parentetica, come
annotazione marginale la cui verità è data per scontata. Le strategie pragmatiche di esplicitazione sono qui
funzionali all’arricchimento e all’acquisizione del lessico proprio della disciplina; in casi come questi è
possibile all'insegnante, attraverso una domanda appositamente formulata, stimolare un lavoro sul testo al
fine di controllare l'acquisizione della definizione.
Un altro caso abbastanza ovvio di implicito sono le "presupposizioni di esistenza" associate a sintagmi
nominali definiti o a descrizioni dimostrative, che a volte rimandano a nozioni che dovrebbero essere già
state impartite e acquisite, mentre altre volte possono introdurre nuovi referenti del discorso. Spesso la
scrittura giustamente concisa e riassuntiva del libro di testo fa abbondante uso di questa strategia testuale,
che sarebbe perciò importante padroneggiare. Si consideri:
(3) Inoltre, trattandosi di una pura forza di “reazione”, il suo modulo, nella situazione di equilibrio, è
determinato dal principio di azione e reazione (…) (Fisica, p. 206)
Qui è presupposto che la forza in discussione ha un modulo, che esistono pure forze di reazione, che esiste
un tipo di situazione definibile "di equilibrio", e anche che esiste un principio di azione e reazione con il quale
si possono spiegare determinati fenomeni fisici. Del principio, o di che cosa siano un modulo o l'equilibrio, in
questa sede non si dice null'altro; assumiamo che queste cose siano già state trattate; si noti che è
comunque utile che le presupposizioni d'esistenza siano notate dal lettore, perché possono avviare ad
un'appropriata ricerca (nella propria memoria o nel testo stesso) di descrizioni o definizioni delle entità
presupposte.
Anche nella formulazione di problemi o esperimenti, dettagli a volte importanti della situazione ipotizzata
sono introdotti mediante presupposizioni di sintagmi nominali definiti. Ad esempio:
(4) Un'asta rigida è incernierata in una parete verticale. Un cavo, fissato per un'estremità alla parete, porta
appeso all'altra estremità un carico di 400 N (fig.4). Calcoliamo la tensione del cavo e la compressione
dell'asta, nell'ipotesi che il peso dell'asta sia trascurabile. (Nuova fisica, B34)
Anche tralasciando il fatto che solo la figura mostra le relazioni rispettive di asta e cavo, si può notare che gli
enunciati dati per presupposti dalle descrizioni definite "la tensione del cavo" e "la compressione dell'asta",
cioè "Il cavo ha (un certo grado di) tensione" e "L'asta viene compressa", giocano un ruolo notevole nella
comprensione del problema. Saper esplicitare la comunicazione implicita nella formulazione di un problema
spesso avvicina alla soluzione.
A volte gli impliciti sono meno vicini alla superficie testuale e quindi un po' più difficili da mettere a fuoco.
Questo è ad esempio il caso del paragrafo introduttivo del capitolo su "L'equilibro dei corpi" nel volume
Fisica, intitolato "Obiettivi". Per comprendere tale paragrafo, si deve essere in grado di cogliere la stretta
relazione fra lo stato definito "di quiete" e lo stato di equilibrio. Essa viene comunicata in modo indiretto: si
parla prima di "quiete" e stato di quiete, si afferma poi che lo stato di quiete è appositamente ricercato
perché
(5) In sua assenza le case crollerebbero, le sedie non ci sosterrebbero (…) (Fisica, p. 205)
e si continua parlando dell'interesse degli antichi per "i problemi di equilibrio" nonché della Statica come
studio delle leggi che descrivono "l'equilibrio dei corpi". In questa deriva terminologica la stretta relazione fra
quiete ed equilibrio può essere colta solo grazie all'assunto della pertinenza. Chi avesse colto l'implicito
riceverà conferma nel paragrafo successivo, dove si chiarisce che le due espressioni vengono trattate come
coreferenti:
(6) Vogliamo ora esaminare le condizioni che lasciano un corpo, pur in generale soggetto a forze, in uno
stato di quiete ovvero di equilibrio. (Fisica, p.206)
Non è infrequente che presupposizioni e implicature legate alla pertinenza siano ambedue all'opera,
cooperando a produrre informazione:
(7) Se si preme sull'estremità A con la forza FA lentamente verso il basso, l'estremità B si muove verso l'alto
sotto l'azione della forza FB. Poiché la leva è un corpo rigido e ruota lentamente senza attrito, essa non
accumula energia. Ne consegue che, per il principio di conservazione dell'energia, il lavoro ricevuto da una
parte deve essere immediatamente ceduto all'esterno dall'altra. (Elementi, p. 101)
Qui le descrizioni definite "l'estremità A" e "l'estremità B" si riferiscono ai bracci della leva introdotti
precedentemente nel testo, che evidentemente hanno ciascuno un'estremità; e per capire che cosa succede,
bisogna capire che "il lavoro ricevuto da una parte" presuppone che "una parte riceve lavoro" (poi bisognerà
capire quale parte e quale lavoro). E' una presupposizione esistenziale a introdurre nel discorso il principio di
conservazione dell'energia, dandone per scontata l'esistenza. Probabilmente, l’informazione riguardante il
suo esatto contenuto è stata fornita nei capitoli precedenti; una piena comprensione rimanda in questo caso
anche a conoscenze precedentemente acquisite. Tuttavia viene suggerita per pertinenza l'esistenza di una
relazione fra energia e lavoro, fra non accumulare energia e cedere tanto lavoro quanto si riceve, che può già
mettere il lettore sulla buona traccia.
Fin qui, riconoscere l'implicito e saperlo esplicitare si rivelano abilità funzionali alla comprensione del
testo, alla sua rielaborazione e con ciò a una solida acquisizione della terminologia e delle nozioni proprie
della disciplina. Ma in altri casi, riconoscere l'implicito può servire a difendersi dal testo, a trovare i suoi punti
deboli, o (all'insegnante) per proteggere gli studenti dal testo nonché per integrarlo dove è carente. Il
seguente passo, in un paragrafo che introduce il concetto di massa come grandezza fondamentale partendo
dalla bilancia, va vicino a risultare fuorviante.
(8) L’impiego della bilancia ha un grave inconveniente: essa infatti misura la forza con la quale un corpo sulla
Terra preme sul suo supporto.
Questo sarebbe un inconveniente? Perché mai? Soltanto procedendo nella lettura si riesce a ricostruire a
quale inconveniente gli estensori del testo si riferiscano. La frase immediatamente successiva dà una prima
chiave:
(9) Lo stesso corpo, sulla Luna, darebbe origine a una forza notevolmente minore (…)
L'inconveniente ha evidentemente a che fare con la relazione fra forze-peso e diverse posizioni possibili di un
corpo nel cosmo. Questa soluzione è confermata nell'ultima frase del capoverso, introdotta dall'indicatore di
conclusione "quindi":
(10) Quindi, nello spazio non saremmo più in grado di determinare con una bilancia la quantità di materia con
cui abbiamo a che fare. (Elementi, p. 20).
Questa conclusione però sarà di certo meglio capita e appresa, quanto meglio sarà stato capito il
ragionamento che vi conduce.
Ancora più vicino a risultare fuorviante è il seguente breve testo posto nella finestra di apertura di un
capitolo sulla Statica, forse nella speranza di interessare il lettore all'argomento:
(11) Quali sono le condizioni che impediscono a un oggetto che inizialmente è fermo di mettersi in
movimento? A questa domanda risponde la Statica, a cui è dedicato questo capitolo. Dopo aver definito il
concetto di forza, esamineremo in quali condizioni un corpo sta in equilibrio. Introdurremo una nuova
grandezza, il momento di una coppia di forze, che caratterizza l'efficacia di una forza nel provocare una
rotazione. (Dal Pendolo, p.66)
Un lettore distratto conclude che la Statica si occupa di rotazioni. Uno pedante potrebbe bloccarsi all'inizio
accorgendosi di quanto sia controintuitivo dover assumere che un oggetto che inizialmente è fermo abbia
bisogno, per restare fermo, di qualcosa che gli impedisca di mettersi in movimento (la domanda iniziale
infatti comunica, attraverso la forma interrogativa introdotta da “quali”, che ci sono condizioni che
impediscono ad un oggetto fermo di muoversi - altrimenti dunque si metterebbe in moto; o no?).
Nel seguente passo volto a introdurre la nozione di attrito avremo l'opportunità di rilevare un altro tipo
di problema, quello della presenza di un "non detto" non recuperabile.
(12) Tutti noi sappiamo che l'attrito ostacola il moto quando andiamo in bicicletta così come quando andiamo
in automobile. Sappiamo inoltre che dobbiamo spendere soldi per lubrificare la parti in movimento di
qualsiasi macchina. Abbiamo quindi un concetto molto negativo delle forze d'attrito (…) (Percorsi, p. 63)
Qui l'esistenza dell'attrito e il verificarsi di varie sue conseguenze anche lontane vengono dati per
presupposti (in quanto il verbo fattivo "sapere" da per presupposta la verità della sua frase complemento), e
fino a questo punto, si tratta di impliciti del tutto recuperabili. Ma se uno studente non sapesse che lubrificare
serve a ridurre l'attrito, la sola esigenza di interpretare le tre frasi come pertinenti l'una all'altra potrebbe non
bastare a fargli immaginare che lubrifichiamo le macchine per ridurre l'attrito che ne ostacola il movimento.
Verificare che gli studenti abbiano presente che lubrificare serve a ridurre l'attrito è un'integrazione esterna al
testo, che in questo caso può risultare necessaria.
3.2. Relazioni fra parti di testo eterogenee
Abbiamo visto che i libri di testo sono entità testuali composite: alle spiegazioni articolate in capitoli e
paragrafi si associano immagini e didascalie, note a margine, indicazioni introduttive e sommari, che per una
completa comprensione dei contenuti comunicati e il loro pieno apprendimento bisogna poter sia
comprendere, sia mettere in appropriata relazione con le spiegazioni stesse.
Cercheremo ora di dare una rapida rassegna dei problemi che possono sorgere in parti del testo diverse
dalle tradizionali spiegazioni o nelle relazioni fra parti testuali eterogenee. Tralasceremo la questione
dell'effettiva utilità di certe componenti testuali come i Prerequisiti o gli Obiettivi all'inizio del capitolo, che
spesso hanno un'aria un po' minacciosa e non sempre una chiara connessione col testo principale (ma si
vedano, ad esempio, le considerazioni fatte sopra a proposito dell'esempio (11)). Ci concentreremo
soprattutto sul rapporto del testo principale con le figure e le loro didascalie.
Nel caso seguente, come del resto (fortunatamente) in molti casi, la figura e la sua didascalia integrano
l’informazione data nel testo:
(13) Se sul punto materiale non è applicata alcuna forza va da sé che la forza totale è zero. Se invece
subisce due forze, esse devono controbilanciarsi perché vi sia equilibrio. Questo è il caso, per esempio, del
peso attaccato al dinamometro. Su di esso agiscono, con un risultato nullo, la forza della molla e quella della
gravità. (Dal Pendolo, p.72)
E' presupposta l’esistenza della forza di gravità e di una meno chiara "forza della molla", e si afferma che
perché ci sia equilibrio esse si devono controbilanciare. Ma è nella didascalia della figura che accompagna
questo passo che si chiarisce seppur implicitamente (grazie alle informazioni nelle due parentesi) perché
queste due forze generano una forza totale uguale a zero:
(14) FIG 6.10 Il disco sta fermo. Quindi la forza totale a cui è sottoposto deve essere uguale a zero. Poiché
su di esso agiscono sia la forza di gravità (diretta verso il basso) che la forza della molla (diretta verso l’alto),
le due forze si controbilanciano esattamente. (Dal pendolo, p.72)
Fra testo principale e uscite laterali, come ad esempio note a margine o domande proposte all'attenzione
degli studenti, c'è a volte qualche problema di pertinenza. Per esempio, può accadere che un quesito
inserito a margine, con la funzione di stimolare il ragionamento dell'allievo, non trovi alcuna risposta
sufficientemente evidente nel testo che affianca (è chiaro che in questi casi l'utilizzo del testo non può essere
affidato alla sola lettura individuale). In altri casi il problema può consistere nella comprensione corretta dei
rapporti di coreferenza, totale (identità) o parziale, di espressioni usate rispettivamente nel testo principale e
nelle note o didascalie. Consideriamo ad esempio la seguente definizione esplicita:
(15) In fisica si indica con il termine forza un qualunque ente capace di deformare un corpo o di modificarne
lo stato di quiete o di moto (figg. 1 e 2) (Fisica, p.148)
Le figure che la accompagnano a margine mostrano rispettivamente una mano che preme un oggetto molle
e una mano che trascina un cubo mediante una corda. La corrispondenza fra la definizione e le didascalie
delle figure lascia a desiderare in quanto nel testo compare il termine assai astratto "ente", che se viene
capito, viene comunque capito come riferentesi a un oggetto individuale, mentre le didascalie usano la
locuzione "sviluppare una forza", in cui sostituire "forza" con "ente" darebbe luogo a un risultato
incomprensibile (non si sviluppano enti):
(16) L'azione della mano sulla plastilina produce una sua deformazione. Si dice allora che la mano ha
sviluppato una forza sul blocco di plastilina.
(17) La trazione della mano sul corpo (…) smuove il corpo dalla sua posizione iniziale. Si dice allora che la
mano ha sviluppato una forza sul corpo.
Mentre le riformulazioni dello stesso concetto in parti diverse e eterogenee del testo dovrebbe in linea di
principio favorire la capacità di riferire con parole proprie quanto studiato, incongruenze come questa
possono invece generare un'impasse, in quanto le informazioni provenienti dalle due diverse fonti non sono
integrabili fra loro.
In certi casi inoltre sono le strategie espositive usate nel testo e nelle uscite laterali a essere fra loro
divergenti, fino quasi alla contraddizione. Ad esempio, la didascalia di un'illustrazione associata a un
paragrafo in cui si introduce il concetto di forza (l'ometto che trascina un sasso con una corda) afferma:
(18) FIG 6.3 La forza, essendo un vettore, è caratterizzata da una direzione (…), da un verso (… ) e da una
intensità (…) (Dal pendolo, p. 68)
L’informazione che la forza è un vettore è fornita a titolo di presupposizione dell'intero enunciato nell'inciso
"essendo un vettore"; infatti, considerando la forma gerundiva come una relativa ellittica, parafrasata ci
fornisce l’informazione, data implicitamente, circa tale caratteristica della forza. L'operazione comunicativa
così fatta nella didascalia è però in contraddizione con quella che viene fatta più sotto nella stessa pagina
nel testo principale, a conclusione del paragrafo sul concetto di forza:
(19) Sulla base di ciò che è stato detto, non abbiamo alcun elemento per dire che la forza è una grandezza
vettoriale. Allo stato attuale, questa affermazione è solo un sospetto, una ipotesi che è necessario verificare.
(Dal pendolo, p. 68)
Questo gioco un po' superficiale con gli impegni generati dagli atti linguistici nella comunicazione (il lettore è
impegnato o no a prendere per vero che la forza è una grandezza vettoriale? dove sta la cautela educativa
del libro che invoca procedure di verifica, quando il libro stesso ben prima di dimostrarla dà la stessa
informazione per presupposta?) può indubbiamente disorientare.
Ed ecco infine un caso, decisamente infelice, in cui una figura, anziché servire da chiarimento come
dovrebbe, disorienta ancora di più.
(20) Nella vita quotidiana la forza peso ha ruolo fondamentale per tutti noi, e per tutte le cose che ci
circondano. Infatti essa ci trattiene ancorati all’astronave su cui viviamo, cioè al pianeta Terra. E ciò avviene
sia che "abbiamo la testa in giù" sia che “abbiamo la testa in su”, proprio come mostra la figura 4.1. (Percorsi,
p. 48)
Qui è presupposta l’esistenza della forza peso e quindi la conoscenza di questa entità da parte dei lettori
("la forza peso"). Il connettivo “infatti” indica che ciò che segue funge da spiegazione del ruolo
fondamentale attribuito alla forza peso: essa ci tiene ancorati alla terra. Ma nella frase successiva l'uso di
"sia che.. sia che" suggerisce che ambedue le situazioni potrebbero essere reali. Perciò, nonostante l’uso
delle virgolette, si potrebbe continuare a pensare che le nozioni di avere la testa in giù o in su abbiano
qualche base concreta, e a peggiorare le cose interviene la figura citata, una specie di mappamondo con
un uomo in piedi a ciascun polo e in alto l'indicazione "Nuova Zelanda", in basso "Italia". La didascalia
recita:
(21) Per gli abitanti della Nuova Zelanda, noi siamo "a testa in giù". (Percorsi, p. 48)
Volendo ricordare ai ragazzi che esistono paesi abitati nella parte del pianeta Terra diametralmente
opposta alla nostra, si sarebbe potuto comunque specificare che per tutti il "giù" è sempre rivolto verso il
centro della terra, e che naturalmente non dobbiamo credere che qualcuno provi la spiacevole sensazione
di avere la testa in giù (come fa ad esempio, trattando lo stesso tema, Dal pendolo, p.66).
3.3. Strategie testuali della spiegazione in fisica
I problemi di cui abbiamo trattato nel paragrafo 3.1 sono ubiquitari nelle varie discipline di studio:
acquisizione della terminologia specifica, riattivazione e consolidamento di conoscenze precedenti, messa in
relazione di espressioni fra loro diverse che confluiscono in una stessa informazione sono obiettivi della
comprensione testuale, e precondizioni per un buon utilizzo di libri e altri materiali scritti, qualunque sia la
materia insegnata. I problemi che abbiamo esemplificato nel paragrafo 3.2. sono aumentati e non risolti dalla
crescente eterogeneità dei libri di testo, e forse in ogni caso maggiormente presenti in quelle discipline
scientifiche che presentano sia un aspetto teorico, che un aspetto sperimentale o applicativo. Alle
osservazioni fatte sopra vorremmo ora aggiungerne alcune più specificamente dedicate alla fisica.
Un problema di struttura testuale e insieme di comprensione del testo importante per una disciplina
scientifica come la fisica è costituito dai ragionamenti o dimostrazioni che il libro di testo deve riferire. Spesso
la comprensione di questi richiede che il lettore possieda un buon grado di competenza pragmatica-testuale,
cioè sia in grado di riconoscere le indicazioni date dai connettivi o indicatori discorsivi della lingua naturale
circa la struttura dell'argomentazione e di fare gli altri collegamenti che possono risultare necessari.
Consideriamo i seguenti due esempi, riguardanti ambedue la natura vettoriale della forza.
(22) La conferma di questa previsione viene dall'esperienza. E' possibile cioè verificare sperimentalmente
che le forze si sommano secondo le regole già viste per i vettori spostamento. (Nuova Fisica, B5)
"Cioè" annuncia una spiegazione, e in effetti la frase che lo contiene spiega come l'esperienza conferma la
previsione che le forze siano grandezze vettoriali. Ma è una spiegazione mezza implicita. Perché mai
"verificare (…) che le forze si sommano secondo le regole già viste per i vettori spostamento" costituisce
conferma sperimentale del fatto che le forze sono grandezze vettoriali? Il lettore riceve tutti gli elementi di
un'argomentazione, ma non l'argomentazione stessa (che supponiamo, da profane, dovrebbe essere
qualcosa come: "Se le forze fossero grandezze vettoriali, la somma di più forze dovrebbe seguire le regole
per la somma dei vettori. Conosciamo le regole per la somma dei vettori spostamento. Sottoponendo un
oggetto a più forze, si vedrà se l'effetto delle forze combinate corrisponde a quello che si può calcolare
usando le regole per la somma dei vettori spostamento", etc.). Il lavoro di esplicitazione risulta in questo
caso cruciale per l'apprendimento.
Altrove questo stesso ragionamento viene, forse per eccesso di cautela, disteso in passaggi distinti
situati in passi del testo distinti:
(23) Prima di decidere se la forza è o non è un vettore, bisogna definire in modo preciso questa grandezza
dicendo come si fa a misurarla. (Dal pendolo, p.68)
(24) Una grandezza fisica è definita solo se è stato adottato un procedimento che consente di misurarla. (Dal
pendolo, p. 68, nota a margine)
Il testo principale lascia aperto l'interrogativo: che cosa c'entra il modo in cui si misura la forza con il suo
essere o non essere un vettore? La nota a margine da (in parte) una spiegazione, ma ci vuole molta
cooperatività per capire la sua pertinenza e quindi riconoscere la spiegazione come tale. La soluzione sarà
data solo all'inizio del paragrafo successivo:
(25) Sapendo come si fa a misurare le forze, siamo ora in grado di rispondere alla domanda se esse sono
grandezze vettoriali. Si tratta di capire se effettivamente si sommano come vettori. (Dal pendolo, p.70)
Il ragionamento è chiarissimo, a questo punto; tuttavia recuperabile soltanto con una buona padronanza
della lettura che consenta un gioco di avanti e indietro tra un paragrafo e l'altro.
Un aspetto particolare delle argomentazioni e spiegazioni in fisica è inoltre l'uso di paragoni ed esempi
che sono intesi raccordare conoscenze ed esperienze ordinarie con conoscenze scientifiche proprie della
disciplina, rendendo (sperabilmente) quest'ultime più comprensibili. Riteniamo sia importante osservare
come paragoni ed esempi risultino di regola comprensibili solo su uno sfondo di impliciti che il lettore deve
essere in grado di ricostruire. In ogni paragone ci sono aspetti pertinenti, per i quali l'analogia vale, e aspetti
non pertinenti, che bisogna saper accantonare. Ad esempio:
(26) (…) una forza applicata a un corpo in movimento produce una variazione di velocità, come avviene
quando un portiere rinvia il pallone passatogli di piede da un difensore. (Nuova Fisica, B2)
Qui ci si può chiedere se l'evidente variazione di direzione nel rinvio del pallone (che sarà pure rivolto verso il
campo, non più verso la porta) faccia o non faccia parte degli aspetti pertinenti dell'analogia. Comunque, per
selezionare gli aspetti pertinenti, può essere utile renderli espliciti: paragoni ed esempi sono quindi spesso
luoghi adatti per stimolare attività di esplicitazione. (Per quest'esempio in particolare si può anche notare che
potrebbe esserci un elemento di "non detto": oppure tutte le ragazze guardano le partite di calcio?).
In alcune esemplificazioni l'elemento da accantonare è proprio costituito dagli aspetti più intuitivi, che
bisogna però saper riconoscere come non pertinenti: se si parla della pressione delle zampe di un elefante
su un pavimento di legno e si dimostra che è minore di quella esercitata dai tacchi a spillo (Percorsi, p. 6465) bisogna evidentemente astrarre dal fatto che l'elefante, in assoluto, potrebbe far crollare l'edificio, e se si
parla della deformazione di un corpo vincolato operata da una forza, bisogna astrarre dal fatto che se le
nostre mani premono su un oggetto rigido posto su un piano rigido (Nuova Fisica, B3), sono le nostre mani e
non l'oggetto o il piano a deformarsi. E' curioso che questa astrazione sia richiesta in modo assolutamente
tacito, in base all'assunto che ciò che non è menzionato debba essere riconosciuto come non pertinente.
E' comprensibile che il difficile passo dall'osservazione alla teoria preoccupi gli autori dei libri di testo, ma
a volte proprio la preoccupazione può indurre a soluzioni inadatte sul piano comunicativo. Consideriamo il
seguente passo introduttivo al concetto di forza:
(27) Un oggetto che è fermo non si mette in movimento da solo. Per spostare un libro sul tavolo o un mobile
sul pavimento bisogna spingerlo oppure tirarlo. Occorre quindi esercitare sull'oggetto una forza. Queste
osservazioni mostrano che il concetto di forza è collegato nella nostra mente all'idea di sforzo muscolare.
(Dal pendolo, p. 66)
Questo passo presenta molteplici problemi. "Quindi" suggerisce che si sta facendo un ragionamento: se
bisogna spingere o tirare, allora bisogna esercitare una forza. Ma in realtà si tratta dell'introduzione di un
nuovo termine astratto, in luogo di una gamma di termini ordinari (non parleremo più di spingere, tirare, etc.,
ma di esercitare forze), e il connettivo più corretto da usare sarebbe stato "cioè". Il problema principale, in
parte conseguente da questo equivoco, viene al pettine nella frase successiva. "Queste osservazioni" è un
sintagma nominale anaforico (descrizione dimostrativa) del tutto poco chiaro. Non si è parlato di
osservazioni - se non del fatto che per spostare gli oggetti bisogna spingerli o tirarli, un po' poco come
osservazione sperimentale; quello che è stato introdotto nelle righe precedenti è, come si è visto, un punto
terminologico, non sperimentale. Per giunta non è vero che quanto detto mostri alcunché riguardo alle
connessioni mentali all'opera nel lettore. Sono gli autori a spiegare che per loro esemplificare la forza in
termini di tirare o spingere comporta associarla all'idea di sforzo muscolare. Essi così manifestano nient'altro
che la loro speranza che i lettori trovino i loro esempi comprensibili per lo stesso motivo.
Se i problemi dell'approccio osservativo e sperimentale alla fisica si riflettono nelle strutture testuali dei
libri in questi ed altri modi, anche gli approcci di carattere deduttivo fanno trapelare i problemi loro specifici
nel linguaggio che usano. Si consideri ad esempio il passo seguente, che segue e commenta l'illustrazione
della formula che definisce il baricentro di un sistema di punti materiali:
(28) Riconsiderato da questo punto di vista, il baricentro si carica di un altro significato, potendosi
considerare come centro di massa del sistema (…) Il concetto di centro di massa di un corpo o di un sistema
è di importanza determinante per definire lo stato di moto di un corpo o di un sistema rispetto all'effetto
dinamico di forze esercitate dall'esterno. A tal scopo immaginiamo di attribuire al centro di massa tutta la
massa M del sistema. (…) (Fisica, p. 223)
Interessa qui vedere come l'idea di centro di massa viene prima introdotta come modo di considerare il
baricentro, poi viene usata nell'ambito della descrizione definita "il concetto di centro di massa" che
presuppone l'esistenza non tanto dei centri di massa ma dell'entità teorica che li concettualizza, mentre solo
alla fine, stabilito il ruolo del centro di massa nella teoria, si passa a usare la descrizione definita "il centro di
massa" con pieno valore presupposizionale. Forse, un percorso troppo complicato.
Infine, vorremmo notare come l'esistenza di una problematica meta-teorica può spingere gli autori dei
libri di testo a fare implicitamente, anziché fisica, filosofia della fisica.
(29) Concludendo, la bilancia a bracci uguali misura qualcosa di diverso dal peso, poiché resta in equilibrio
anche quando il peso cambia. Essa serve a misurare la massa di un corpo, per definizione. Quindi, se
venisse chiesto che cosa è la massa di un corpo, più che rispondere "è la quantità di materia che lo
costituisce", sarebbe assai meglio rispondere che la massa di un corpo "è quella cosa che si misura con la
bilancia a bracci uguali". (Percorsi, p. 49)
Perché sarebbe assai meglio? nel criterio di valutazione, che resta implicito, ci sono probabilmente tutte le
prese di posizioni degli autori del libro su che cosa la fisica sia e come vada insegnata...
4. Linee d’indirizzo
Il libro di testo, in quanto deposito di informazioni, é di ausilio sia all’attività didattica degli insegnanti che
al percorso di formazione degli studenti. Quest’ultimi con esso interagiscono al fine di acquisire nuove
conoscenze. Proprio a tal fine, il libro di testo dovrebbe consentire loro un facile accesso alle informazioni
veicolate: se gli studenti non possono cogliere l’effettiva ricchezza informativa non saranno neppure in grado
di dimostrare, in ambito scolastico e non solo, l’acquisizione di nozioni, concetti, definizioni inerenti
l’argomento di studio. È necessario, dunque, perché il testo possa essere usato in maniera produttiva, che le
informazioni siano innanzitutto recuperabili. Ciò significa che anche la comunicazione implicita deve poter
essere individuata ed esplicitata. Come infatti si evince dagli esempi riportati, gli studenti per apprendere
devono ricavare dal testo anche ciò che esso comunica solo implicitamente, ma perché ciò sia possibile gli
impliciti devono essere ben segnalati. Quest’aspetto sicuramente merita di essere preso maggiormente in
considerazione al momento della scrittura dei libri per la scuola. Non si tratta tanto di semplificare il lessico o
la struttura sintattica del testo fino a impoverirlo, né di cercare di fargli dire "tutto" più esplicitamente possibile
fino a renderlo insopportabilmente noioso. Ma un testo risulta più comprensibile, anche se mai senza
cooperazione da parte del lettore, se le inferenze che richiede sono segnalate bene e univocamente e
soprattutto se i processi inferenziali suggeriti non comportano ambiguità e contraddizione e se il rapporto
testo, immagini e altri strumenti didattici è chiaro e ben equilibrato (per esempio, le coreferenze sono ben
rintracciabili). Inoltre, constatato che il libro non si esaurisce nella sola componente verbale e che gli
accorgimenti grafici e testuali (colonne di commento, finestre, glossari, uscite laterali dal testo..)
intervengono nel processo di lettura-comprensione, ad essi va posta altrettanta attenzione. Le diverse parti
che compongono il libro, cioè, devono risultare pertinenti tra loro e pertinenti allo scopo divulgativo, altrimenti
rischiano solo di disorientare il lettore o di limitare anziché ampliare le sue possibilità di riutilizzo delle
informazioni. E naturalmente gli stili espositivi di componenti testuali diverse non devono dare comunicazioni
fra loro incongruenti (si vedano gli esempi (18)-(19) sopra discussi). Le diverse modalità comunicative
proposte tramite l'uso di generi testuali diversi rendono più dinamica l’esposizione, ma devono essere
innanzitutto funzionali alla comprensione, fornendo informazioni recuperabili e strutture argomentative
trasparenti.
Tuttavia, come abbiamo già anticipato, i problemi di comprensione non si possono risolvere soltanto "a
monte". Dato che una certa quantità di comunicazione implicita è fisiologica in qualsiasi testo, e che la sua
esplicitazione è determinante per la comprensione, è importante allora sviluppare un approccio didattico più
attento ad essa. La consapevolezza metalinguistica, frutto dello studio degli impliciti, non solo può servire ai
fruitori per utilizzare meglio un testo ma può fornire agli stessi insegnanti strumenti per rendere le
spiegazioni più efficaci, più attente ai processi inferenziali e ai microragionamenti necessari per capire certi
punti del testo (e certi argomenti della disciplina). Anche in classe possono essere proposti interventi didattici
opportunamente mirati a sviluppare la competenza pragmatica-testuale di effettuare parafrasi, la capacità di
ragionare sul testo, di inferire le informazioni nascoste o individuare in quale direzione vadano cercate quelle
non dette, eventualmente di cogliere e correggere i difetti del testo.
La consapevolezza della comunicazione implicita può servire sia per sfruttare pienamente un libro ben
scritto, sia per superare (esplicitandoli) eventuali problemi di organizzazione testuale nel libro usato (ad
esempio la scarsa pertinenza di certe uscite laterali, il contrasto fra strategie espositive in diverse parti del
testo) o per aggiustare problemi suscitati dalla presenza di impliciti fuorvianti (che per poter essere negati e
accantonati, devono prima essere resi espliciti).
Si accompagnano pertanto a nostro parere la necessità di un calcolo equilibrato di strategie per
l’organizzazione dell’informazione, a maggior ragione in un testo per la scuola, e l’opportunità di rivolgere,
nella didattica, maggiore attenzione all’attività di verifica e miglioramento della comprensione testuale.
5. Conclusioni
Il nostro approccio al libro di testo di fisica si è forse rivelato troppo "umanistico"? In realtà, speriamo di
avere dato qualche indicazione a supporto dell'idea, che ancora fa difficoltà a farsi strada, della necessaria
trasversalità dell’educazione linguistica. Questo non significa ricorrere più spesso ai dizionari di sinonimi, né
tantomeno reintrodurre nel discorso scientifico quelle libere associazioni e considerazioni retoriche che sono
tradizionalmente premiate dall'educazione linguistica in italiano-prima lingua. Fermi restando gli spazi per gli
usi della lingua tipicamente umanistici e persino estetici, riteniamo necessario che l'educazione linguistica
contribuisca anche all'educazione al ragionamento, appunto educando alla comprensione ragionata. Di
questa collaborazione l'insegnamento della fisica, come di altre discipline scientifiche, non potrebbe che
giovarsi. Inoltre, poiché l'abitudine alla comprensione ragionata, oltre che necessaria nelle scienze, è utile
anche altrove - non ultima la vita democratica di una società! - una didattica delle scienze che comprenda la
collaborazione trasversale con un'educazione linguistica opportunamente orientata si trova nella condizione
di dare maggior contributo alla formazione culturale dei giovani. Siamo tentate di dire che l'educazione alla
comprensione ragionata è un contributo essenziale che la didattica delle scienze può dare alla formazione
generale anche umanistica.
* La ricerca è stata svolta dalle autrici in collaborazione. I paragrafi 2, 3. 3.1, 3.2 e 4 sono stati scritti da
Simona Regina. I paragrafi 1, 3.3 e 5 sono stati scritti da Marina Sbisà.
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