La grande sfida
per il XXI secolo
di Dominick Salvatore
L
La nuova rivoluzione economica
L’economia e la società sono oggi al centro di una rivoluzione paragonabile a quella
industriale, sia per quanto riguarda le dimensioni, sia per le conseguenze che essa ha e avrà
sull’economia mondiale. La rivoluzione attuale è basata sulla globalizzazione dei mercati, resa
possibile dalla rapida diffusione della tecnologia informatica e dalla creazione della nuova
information economy.
La globalizzazione, un tempo, si esauriva nella semplice esportazione di beni e servizi
e, al limite, nel trasferimento di alcuni impianti produttivi all’estero. Oggi, la globalizzazione
implica molto di più, e cioè il fatto che le decisioni manageriali, anziché essere rivolte alla
singola regione o nazione, devono tenere in considerazione il mondo intero come mercato rilevante.
A causa dell’enorme sviluppo delle telecomunicazioni e dei trasporti, i gusti si stanno
uniformando a livello internazionale, e questo vale non soltanto per i prodotti alimentari di
basso prezzo (come per esempio la Coca-Cola), ma anche per beni più costosi di lunga durata, come telefonini, personal computer e automobili. Oggi, più che in passato, molti prodotti
sono importati e altri ancora hanno parti e componenti costruite all’estero, con la conseguenza che i produttori nazionali devono affrontare una competizione sempre più agguerrita su
scala mondiale. Allo stesso tempo, anche il mercato del lavoro è diventato globale, con i lavoratori dei Paesi ricchi sempre più in concorrenza con quelli dei Paesi in via di sviluppo, specialmente quelli dei mercati emergenti.
Le conseguenze della globalizzazione
La globalizzazione ha comportato una forte e crescente interdipendenza tra le varie economie, come è evidenziato dal rapido incremento degli scambi commerciali internazionali di
beni e servizi, dai massicci movimenti di capitali finanziari e investimenti diretti, e dai forti
flussi migratori di persone e di know-how. Negli ultimi decenni, il commercio internazionale
è cresciuto con un ritmo pari al doppio di quello della crescita del Pil globale, tanto da esse-
DOMINICK SALVATORE È PROFESSORE DI ECONOMIA ALLA FORDHAM UNIVERSITY DI NEW YORK.
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re considerato uno dei motori trainanti della crescita mondiale. Anche il flusso internazionale di capitali finanziari e investimenti diretti è più che raddoppiato nell’ultimo decennio in rapporto al Pil mondiale. La liberalizzazione del commercio e della finanza internazionale ha reso
tutto questo possibile, mentre la concorrenza internazionale lo ha reso indispensabile: le
imprese devono esportare beni e servizi per ottenere economie di scala nella produzione, e
devono investire capitali e tecnologie all’estero, laddove i ricavi sono superiori, per non perdere competitività e mercati. Anche i flussi migratori internazionali di persone sono cresciuti
di molto. E ciò non riguarda solo persone con una bassa preparazione tecnica, ma anche
esperti, il cosiddetto brain drain per intenderci.
Tuttavia, come spesso accade nelle rivoluzioni, anche la globalizzazione comporta sia
grandi opportunità che grandi pericoli. Le opportunità e i benefici sono indiscutibili. La globalizzazione ha fatto migliorare le condizioni economiche di tutti i Paesi e di tutti i popoli. La
Banca mondiale ha dimostrato che negli ultimi decenni le nazioni in via di sviluppo più aperte al mercato mondiale sono cresciute più
rapidamente dei Paesi ricchi (riducendo
È necessario dare vita
quindi le disuguaglianze internazionali),
mentre quelle meno aperte sono cresciute
a un sistema che
meno rapidamente, rendendo più ampio il
permetta un controllo
loro divario rispetto ai Paesi ricchi.
più capillare
Nessuno ha forzato la Cina ad aprirsi ai
e democratico del
mercati internazionali, e senza tale apertura essa non avrebbe mai potuto ottenere
processo di
i capitali, le tecnologie e i mercati che le
globalizzazione
hanno permesso la rapidissima crescita
tra le varie nazioni
economica che ha registrato nell’ultimo
e i vari popoli.
decennio, senza dimenticare che ciò ha
anche comportato una diminuzione del
numero di cinesi poveri.
La Banca mondiale ha stimato che se il processo di globalizzazione non si fosse verificato, il numero di poveri (coloro che vivono con un reddito inferiore a un dollaro al giorno)
sarebbe aumentato dai 300 milioni di persone di dieci anni fa a 650 milioni, anziché essere
ridotto ai 150 milioni attuali. Anche se si tratta solo di stime, questi dati, veramente drammatici, non sono discutibili. Non è quindi la globalizzazione che ha causato la povertà; senza
la globalizzazione, semmai, la povertà nel mondo sarebbe stata molto superiore.
Tuttavia, la globalizzazione ha anche comportato un incremento nelle disuguaglianze
tra i Paesi ricchi e i Paesi in via di sviluppo più poveri, così come all’interno dei Paesi poveri stessi. La globalizzazione comporta efficienza economica per le nazioni e le popolazioni che
riescono a coglierne i benefici, ma non per i Paesi più arretrati e chiusi, che invece non riescono a beneficiarne.
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La necessità di una “nuova” globalizzazione
Anche se l’efficienza economica è ovviamente molto importante, essa non può e non
deve essere la sola cosa che c’interessa. Ci sono profondi aspetti etici, sociali e umani che
non possono essere lasciati al mercato. Oggi, tuttavia, non ci sono regole adeguate a livello
nazionale e internazionale che tengano conto di questi importanti aspetti non economici della
globalizzazione. Il forte dilemma che si presenta alle nazioni e ai popoli ricchi è come dare
alla globalizzazione un volto più umano, e quindi un contenuto più etico e sociale. In altre
parole, non si può rimanere indifferenti alla profonda povertà di certe nazioni, in particolare
in Africa, o alla fame di milioni di bambini. È chiaro che un mondo simile non può nemmeno essere pacifico e tranquillo. Infatti, e diversamente che non in passato, la collettività è
oggigiorno sempre meno disposta a tollerare tali forti ineguaglianze.
Purtroppo, né le Nazioni Unite, né la Banca mondiale, né il Fondo monetario internazionale, né l’Organizzazione mondiale del commercio o altre istituzioni internazionali sembrano capaci o disposte a istituire nuove regole per gestire la globalizzazione in modo da permettere una più equa distribuzione dei benefici che da essa scaturiscono. C’è molto che i
Paesi sviluppati possono e devono fare per aiutare quelli poveri, come per esempio cancellare tutti i debiti internazionali, aumentare gli aiuti economici e aprire di più i propri mercati ai
prodotti di queste nazioni. Ma tutto questo non è affatto sufficiente. Quello che è necessario
è la totale ristrutturazione del sistema economico e finanziario internazionale in modo da
riflettere tutte le interdipendenze che si sono venute a creare in seguito alla globalizzazione.
È anche necessario eliminare le cause che hanno portato i nuovi terroristi ad atti tanto
ignobili quanto disperati. La sfida per il futuro è quindi quella di creare un sistema sociale,
economico e politico mondiale che elimini le ragioni del terrorismo e che, pur permettendo
alla globalizzazione di continuare la sua rapida corsa verso l’efficienza e la crescita economica, assicuri una distribuzione dei benefici economici, sia tra i vari Paesi che all’interno degli
stessi, più equa che non in passato. In sostanza, è necessario dare vita a un sistema che permetta un controllo più capillare e democratico del processo di globalizzazione tra le varie
nazioni e i vari popoli. Questa è la grande sfida per il XXI secolo.
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